Eine bessere Demokratie durch neue Formen politischer Partizipation

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Una migliore forma di democrazia attraverso le nuove forme di
partecipazione politica?
Di
Markus Linden
Intervento del 21.09.2012 in Cortona (Toscana)
1. La crisi della democrazia e la resilienza democratica
Il tenore del dibattito nelle democrazie occidentali è chiaro: la democrazia non è
in buona forma, o almeno cosi sostengono studiosi e giornalisti. Questa
insoddisfazione si manifesta anche tra i cittadini. A rafforzare questa
conclusione i dati della ricerche politiche più recenti. Di conseguenza la fiducia
verso partiti e parlamenti è diminuita considerevolmente. Anche i tassi di
partecipazione alle consultazioni elettorali sono in calo. Oltre 20 anni dopo il
crollo del sistema comunista, a cui ha fatto seguito il pensiero alquanto naif della
„fine della storia“, ora la discussione politologica è dominata da analisi e
conclusioni negative.
L’esempio più emidente di ciò c’è lo dà il libro di Colin Crouch
„Postdemocrazia“. Il concetto di „Postdemocrazia“ già c’era, ma Crouch lo ha
trasformato in un termine più „maneggevole“. Secondo la sua tesi, le istituzioni
democratiche dell’Occidente sono rimaste le stesse, ma noi non possiamo più
parlare di vere democrazie. Il principio centrale di Crouch è lo sganciamento dei
partiti dalla loro base. Come risultato si è avuta l‘ascesa e il predominio di
politici neoliberali e l‘eliminazione della partecipazione pubblica. Il
consolidamento del sistema dominante si raggiunge con la manipolazione
mediale. Non bisogna sorprendersi che „Postdemocrazia“ sia apparso nella
versione italiana solo nel 2003.
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Naturalmente l’analisi di Crouch potrebbe essere spiegata anche con le
classiche teorie delle élite.
A voler seguire Gaetano Mosca, la classe dominante si assicura il potere
grazie alla sua capacità di organizzazione. Questo monopolio della
organizzazione si poteva infrangere nella „Democrazia funzionante“, attraverso
cioè uno stretto legame tra i partiti e i loro gruppi di sostegno. Venuti meno
questi legami tra società e partiti, gli intrecci delle elite si sviluppano tra il
potere dell’industria, della politica e dei media. La politica è al servizio del
capitale. Crouch parla di dominio delle multinazionali.
Fino a questo punto la diagnosi della crisi è in gran parte, e giustamente,
motivata. Tuttavia la tesi di Crouch del regresso della democrazia tralascia
completamente molti aspetti positivi. Si pensi, ad esempio, alle istanze delle
donne, al movimento degli ambientalisti, a quello degli omosessuali o alle
minoranze etniche. Anche la soluzione di Crouch è povera di idee. Egli è favore
di una più forte protesta sociale. Crouch non cita nemmeno la possibilità di
riformare le istituzioni. E proprio qui, a mio avviso, che c’è la forza della
democrazia, la differenza fondamentale con la dittatura. Le democrazie
dispongono di una forte resilienza istituzionale.
Il concetto della „resilienza democratica“ definisce la capacità di
adattamento delle istituzioni democratiche alle nuove sfide, e anche la
possibilità di incorporare nuovi procedimenti e nuovi meccanismi nella
democrazia esistente. La resilienza democratica significa che la democrazia si
può evolvere, si può adattare senza per questo dover mettere in discussione la
democrazia stessa, la sua essenza.
È evidente che la democrazia, cosi com’è, deve essere riformata. In
proposito, ad esempio, secondo il politologo americano Russell J. Dalton, le
tradizionali istituzioni della democrazia, i partiti e i parlamenti, non sono più
adatti a soddisfare le esigenze della popolazione.
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La democrazia rappresentativa deve quindi essere integrata con nuove
forme di partecipazione pubblica.
La tesi di Dalton più nota è quella secondo cui una maggiore
partecipazione popolare rende la democrazia più democratica, migliora
l’identificazione dei cittadini e porta ad una maggiore considerazione delle
istanze represse. La resilienza democratica sarebbe quindi anche una questione
di implementazione di nuove forme di partecipazione. Si richiuderebbe cosi la
spaccatura creatasi tra società e politica.
Tuttavia si possono fare due considerazioni in merito alla formula „più
partecipazione è uguale più democrazia“: innanzitutto pregiudica una rinascita
del principio della rappresentanza politica. Al riguardo sono utili i lavori di Jane
Mansbridge, Nadia Urbinati, Michael Saward e Bernhard Manin. Nei loro scritti
la rappresentanza viene descritta come una procedura necessaria per la
democrazia, che è superiore alla democrazia diretta anche normativamente.
In secondo luogo, la discussione sulla partecipazione e sulla rappresentanza è
ugualmente poco nuova come la tesi della crisi della democrazia. Nel 1975
Samuel P. Huntington, Michel Crozier und Joji Watanuki hanno prodotto
un’analisi del tema. Il loro libro „Crisi della Democrazia“ può essere letto come
reazione alle teorie sulla democrazia partecipativa dei primi anni 70 e alla grave
crisi economica del tempo. La situazione è quindi perfettamente paragonabile a
quella di oggi. Crozier, Huntington e Watanuki giungono ad una conclusione
completamente diversa da quella di Russell J. Dalton. I primi sostengono che la
democrazia non difetta di possibilità di partecipazione, ma di responsabilità
rappresentativa. È la scarsa trasparenza del governo e dell’opposizione ad
indebolire la democrazia e non la mancanza di possibilità di partecipazione.
Infine la domanda di maggiore partecipazione democratica si contrappone alla
governabilità e alla trasparenza stessa della democrazia.
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Di seguito intendo esaminare se le nuove forme di partecipazione oggi
rafforzino o indeboliscano la democrazia sulla base di tre diverse forme di
partecipazione. Saranno discussi i meccanismi di mediazione, della democrazia
diretta nella forma di elezioni popolari e le nuove possibilità della democrazia
online. La mia tesi è che questi procedimenti sono spesso sopravvalutati. C’è
inoltre il pericolo che questi procedimenti vengano utilizzati non come strumenti
di critica verso il potere, bensì come elementi di rafforzamento e
consolidamento dello stesso. Credere che la crisi della democrazia possa essere
superata semplicemente con nuove forme di partecipazione è naiv. Le seguenti
tre forme di partecipazione politica lo dimostrano
2. Meccanismi di mediazione politica e decisionale
Soprattutto sul piano locale i procedimenti di mediazione con la partecipazione
die cittadini sono uno strumento straordinario per migliorare la qualità
democratica delle decisioni. Si tratta della cosiddetta „Democrazia cooperativa“.
Gli interessati e i responsabili politici devono elaborare e prendere per ogni
singola questione decisioni condivise, che conteplino gli interessi di tutti i
partecipanti.
I fautori di tali procedimenti fanno volentieri riferimento alla alla teoria
politica di Jürgen Habermas. Habermas sostiene che il processo politico della
deliberazione può essere ulteriormente razionalizzato. Se tutti gli argomenti
rilevanti hanno lo stesso peso in un dibattito, allora è possibile raggiungere i
migliori risultati politici possibili. Qui Habermas parla di „verità“ e della
affermazione di „interessi generali“.
Questa concezione della Grundidee (l‘idea fondamentale) che Habermas
ha sostenuto, già negli anni 60, in un lavoro
è qui solo accennata. Ciò
nonostante si possono intravedere le lacune della teoria democratica deliberativa
– razionale di Habermas. Una soluzione ottimale del problema non può esserci
nel campo della politica.
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Al contrario della tecnica la politica si distingue per la diversità di interessi e di
valori. Chi crede che i risultati politici possano soddisfare allo stesso modo tutti i
soggetti coinvolti, nega il pluralismo. Questo pluralismo di valori individuali, di
gerarchie di valori e interessi è un assioma democratico ineludibile.
L’ideale di razionalizzazione di Habermas si rifà alla tradizione della
democrazia utopica di Rousseau.
La democrazia pluralista si caratterizza invece per maggioranze e minoranze.
Nella realtà entrambi questi gruppi non sono affatto omogenei. In questo
contesto può essere d’aiuto quanto sostiene Giovanni Sartori, secondo cui le
maggioranze sono sempre formate da molte minoranze.
Da quanto detto ne consegue che i procedimenti di mediazione possono
contribuire alla moderazione, ma non certo a risultati accettabili da tutte le parti.
In Germania, ad esempio, sono stati utilizzati procedimenti di mediazione in
occasione
della
realizzazione
dell’aeroporto
di
Francoforte
e
della
ristrutturazione della stazione di Stoccarda.
Indubbiamente siamo già di fronte ai un risultato molto positivo dei
meccanismi di democrazia partecipata, senza per questo sopravvalutarne
l’importanza. Ci sono infatti problemi connessi alla forma istituzionale dei
processi di mediazione. Nella maggioranza dei casi queste procedure sono
utilizzate solo dopo che una controversia è già scoppiata, quindi quando è troppo
tardi. Il più delle volte non ci sono prescrizioni giuridiche sullo svolgimento e
sull’obbligatorietà dei meccanismi di mediazione partecipata. Inoltre, le
procedure di partecipazione diretta sono spesso definite da organi esecutivi e
amministrativi. Si apre cosi la strada alla influenza della politica classica.
Particolarmente problematica è poi la presenza di un mediatore
carismatico. Il suo potenziale è immenso. Ad esempio, nel caso della
controversa
ristrutturazione della stazione ferroviaria di Stoccarda è stato
nominato mediatore del processo di democrazia partecipata una figura politica
di spicco come Heiner Geißler.
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Geißler ha lodato la tecnica della mediazione, definendola una nuova
forma di democrazia diretta. In realtà la personalità di Geißler ha avuto un
enorme influsso su tutto il procedimento. La sua proposta di compromesso è
stata il risultato di uno studio di ingegneri svizzeri – e non di un compromesso
raggiunto fra le parti interessate.
L’esperienza di democrazia partecipata di Stoccarda ha poco a che vedere con il
metodo del „checks and balances“ (controlli e contrappesi)
3. Democrazia diretta
Nella forma plebiscitaria, poi, la democrazia diretta è affetta da altri problemi. In
Germania viene promossa da molto tempo l’introduzione di plebisciti a livello
nazionale. Finora forme di democrazia diretta partecipate vengono realizzate
unicamente a livello comunale. Negli altri paesi, in particolare in Svizzera, c’è
invece una lunga tradizione di questa forma di partecipazione. Ad un primo
sguardo è molto illuminante che la crisi della rappresentanza politica coincida
con l’introduzione della democrazia diretta. Le decisioni dei cittadini su
questioni oggettive si offre come un chiaro mezzo di definizione della identità e
della autonomia stessa dei cittadini.
Ma anche la democrazia diretta non è una panacea per tutto. I suoi
detrattori vi vedono la via d’accesso alla demagogia e al populismo. Più
importante di questa mia conclusione, è invece un secondo aspetto. Con la
democrazia diretta si decide una questione chiusa nella sua definizione. Il modo
e il momento della formulazione della domanda
assumono quindi
un‘importanza determinante per il risultato. Viene cioè enfatizzata non solo
l’influenza dei cittadini, ma anche quella di chi pone la questione in termini
netti, a favore o contro.
Un terzo punto critico della democrazia diretta si evince dal paragone con
la democrazia rappresentativa. La democrazia diretta non conosce alcun
compromesso.
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Non produce perciò un effetto di moderazione nè di compromesso. La
democrazia rappresentativa richiede invece uno cambio di rappresentanti – per
lo meno se i partiti e i parlamenti sono funzionano come istituzioni.
L’effetto
di
moderazione,
che
può
garantire
un’alternanza
di
rappresentanti che funzioni è difficilmente raggiungibile con la democrazia
diretta.
Il mio quarto e ultimo punto di critica alla democrazia diretta viene citato
solo raramente, ma è empiricamente ben evidente. Le minoranze e i socialmente
debole sono tendenzialmente a favore dei plebisciti. In Svizzera, ad esempio, un
gruppo di ricerca ha scoperto che sono soprattutto le minoranze poco integrate a
percepire negativamente la democrazia diretta. L’esempio più evidente è il
divieto dei minareti in Svizzera. I ceti sociali deboli tendono ad evitare i
plebisciti, anche se si tratta di questioni importanti. La partecipazione alle
elezioni è di circa il 40%. Sono soprattutto le periferie più povere a tenersi
lontano dalle elezioni.
4. La democrazia on line
Speranze ancora più forti sono collegate alla democrazia diretta on line. Nello
specifico ci sono cinque promesse o ideali che rendono la democrazia cosi
attraente: attraverso l’accesso libero si spera che si realizzi la trasformazione
dell’ideale di uguaglianza, Gleichheitsideals, della democrazia. In questo modo
la differenza tra governati e governanti verrebbe potenzialmente in parte
rimossa.
La seconda promessa è la realizzazione dell‘ideale di partecipazione,
Partizipationsideals. Ognuno può partecipare ovunque e in ogni momento.
Inoltre, i sostenitori della democrazia digitale postulano l’ideale della
informazione,
Informationsideal.
Di
conseguenza
Internet
renderebbe
disponibili tutte le informazioni rilevanti. La democrazia digitale rappresenta
inoltre l’ideale della reazione, Responsivitätsideal.
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Le nuove tecnologie informatiche dovrebbero consentire il „ricollegamento“
comunicativo tra rappresentanti e rappresentati.
Alla fine anche i promotori della democrazia digitale sostengono l’ideale
razionale (Rationalitätsideal) di Jürgen Habermas.
Avrete sicuramente capito oramai che io respingo, e con profonda convinzione,
il tentativo di pervenire ad una razionalizzazione consensuale del processo
politico. Anche le altre quattro promesse della democrazia digitale devono
essere a mio avviso fortemente relativizzate. Qui vorrei brevemente discutere
solo le obiezioni più importanti:
Il tasso di partecipazione ai metodi e alle decisioni della democrazia
digitale è basso. La forma di partecipazione è autoreferenziale soprattutto con i
„temi della rete“ che esercitano una straordinaria capacità di mobilitazione.
Spesso gli esperimenti della democrazia digitale sono caratterizzati da una
scarsissima partecipazione. Le lobby ben organizzate dispongono cosi di un
canale di influenza aggiuntivo, soprattutto se non c’e alcun obbligo di
discussione. Inoltre, si deve tener ben presente che la discussione argomentativa
sulle questioni oggettive in Internet è pretenziosa. Qui vale al regola
approssimativa secondo cui la differenze sociali della partecipazione aumentano
con l’aumentare delle esigenze e delle richieste. I ceti meno istruiti sono
svantaggiati dalla democrazia digitale. La partecipazione democratica digitale
favorisce una certa distanza anonima verso ogni questione trattata. Il politologo
Ingolfur Blühdorn sostiene che l’atteggiamento di protesta di oggi è innanzitutto
di natura simbolica. Non si tratta di fare qualcosa di concreto, ma piuttosto di un
evento politico, un happening, che deve calmare in primo luogo la coscienza dei
partecipanti.
Accanto agli aspetti citati vorrei sollevare un’ulteriore critica, che solo di
raro viene discussa. Le procedure della democrazia digitale sono collegate agli
esecutivi e alla pubblica amministrazione.
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I partiti e i parlamenti restano normalmente fuori. Si tratta, in pratica, di
manifestazioni di pubbliche relazioni confezionate ad arte sotto l’emblema
armonioso della partecipazione pubblica.
La forma di partecipazione soffre spesso del fatto che non ha luogo nessuna
discussione su alternative possibili, bensì vengono tematizzate solo proposte
esecutive. Senza l’opposizione la democrazia non ha alcun senso. Questa
opposizione non può risultare tuttavia unicamente da una predeterminata,
fortemente predeterminata, partecipazione digitale. L’opposizione è per nascita
guidata dai rappresentanti dell‘opposizione. Nella teoria politica si dice che i
rappresentanti si identificano con i gruppi rappresentati. La rappresentanza
produce i rappresentati. Alla luce di questo aspetto della democrazia, cioè alla
alternanza di governi, opposizione e di gruppi di popolazione, a favore o contro
il governo, la democrazia digitale non può essere giustificata nella sua forma
attuale, cosi come viene praticata oggi.
5. Conclusioni
Da quanto fin qui detto si possono trarre conclusioni piuttosto scettiche.
Nuove forme di partecipazione non conducono automaticamente ad una
migliore democrazia. Al contrario, l’utilizzo di questa forma di partecipazione
può condurre ad una influenza del potere esecutivo, ad accrescere le lobby ben
organizzate e le concentrazioni di potere economico.
Sul piano teoretico si può motivare
questo giudizio con due teorie
classiche della democrazia. Nella sua „Teoria economica della democrazia“
Anthony Downs, nel 1957, arriva alla conclusione secondo cui la democrazia in
casi normali è al servizio degli strati sociali più poveri.
Quando la politica viene percepita dai cittadini troppo complessa, c’è una grande
insicurezza da parte dei cittadini stessi sugli effetti delle proprie decisioni
elettorali. Più tardi Danilo Zolo ha ripreso questo argomento.
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Secondo Zolo le società e le democrazie di oggi sono caratterizzate da una
enorme complessità. Secondo Zolo non si può più avere una democrazia, nel
migliore die casi una oligarchia liberale.
Chi resta ancorato all’ideale normativo della democrazia emancipativa non può
naturalmente rassegnarsi a questa conclusione. I confini tra l’oligarchia liberale
e il potere non rappresentativo sono molto fluidi, basti pensare alla democrazia
dell’Unione Europea, o agli attuali sviluppi della democrazia in Ungheria e in
Italia. Le nuove forme di partecipazione politica diretta non sono tuttavia il
percorso ideale per una migliore democrazia. Piuttosto sono foriere di una
maggiore complessità e di mancanza di trasparenza e non di più democrazia.
Secondo la mia opinione queste forme di partecipazione diretta possono
unicamente, e non è poco, fornire un importante contributo. Dovrebbero essere
meglio adattate alle esigenze fondamentali del processo di rappresentanza e non
snobbate o ignorate come da una parte si tende a fare.
La partecipazione politica diretta è sensata se migliora la qualità democratica del
sistema di rappresentanza.
La democrazia rappresentativa deve essere intesa da rappresentanti e
rappresentati come l’alternanza prevista e argomentata di governi e opposizioni.
Il Parlamento, come istituzione centrale della democrazia, non può essere
sostituito. Deve esserci una gerarchia tra la rappresentanza parlamentare –
politico partitica e altre forme di partecipazione. Chi persegue il modello di una
democrazia di cittadinanza civica dimentica che le disuguaglianze sociali si
trasmettono al campo della politica.
La democrazia rappresentativa richiede che oppositori e sostenitori del
governo restino riconoscibili, distinti. Solo cosi le alternative politiche, che
caratterizzano una democrazia pluralista, possono rimanere trasparenti.
Nuove forme di partecipazione possono rafforzare la trasparenza e la
libertà dei processi elettorali tra differenti alternative. I procedimenti della
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democrazia digitale dovrebbero essere collegati ai parlamenti e non al potere
esecutivo. Per questo non c’è bisogno di nuove istituzioni. Basterebbe a tal fine
il rispetto del principio della partecipazione pubblica.
La rappresentanza non è immaginabile senza la partecipazione pubblica.
Da questo ne consegue, ad esempio, che tutte le sedute parlamentari dovrebbero
essere trasmesse e commentate in tempo reale attraverso la rete. La proposta è in
linea con la logica funzionale di un sistema parlamentare. La stessa dialettica fra
le diverse alternative ne uscirebbe in questo modo rafforzata.
Per quanto concerne la democrazia diretta, questa non è il mezzo per
scalfire le oligarchie e i cartelli di potere. I meccanismi della democrazia diretta
dovrebbero essere istituzionalizzati come strumenti di veto, con cui i cittadini
possono respingere una proposta legislativa del Parlamento. Il veto dei cittadini
potrebbe anche contribuire ad un dibattito rinnovato, a nuove alternative e a
raggiungere un più ampio consenso. Un predominio dei meccanismi di
democrazia diretta alla lunga genererebbe tra i cittadini un sentimento di
estraneità e di imposizione esterna.
La questione centrale nella democrazia è chi detiene il potere. Spero di
aver dimostrato che l’introduzione di nuove forme di democrazia partecipata
non necessariamente porti con se un aumento del „potere dei cittadini“.
Ci sono teorici della democrazia che sul valore della responsabilità
rappresentativa, tra questi in particolare Giovanni Sartori e Elmer Eric
Schattschneider. I loro argomenti possono essere letti come la base per una idea
ambiziosa della democrazia. Alla fine la differenza sostanziale con la dittatura è
nella possibilità di eleggere il proprio governo. Se questo requisito di base non
esiste più, allora non si può più parlare di democrazia. La partecipazione politica
diretta contribuisce a migliorare la democrazia se lo scontro dialettico serve a
promuovere alternative motivate. In caso contrario avremo meno trasparenza e
più disuguaglianze.
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