I Tumori della Tiroide: aspetti epidemiologici, quadri clinici e semeiologici B. Trinti Istituto di Ingegneria Biomedica, sezione di Tecnologie Biomediche, CNR. Dipartimento di Medicina Sperimentale e Patologia, Università “La Sapienza”, Roma. Introduzione Il carcinoma tiroideo rappresenta la più frequente neoplasia maligna del sistema endocrino e si può ritenere che esso sia presente nel 2-3% delle lesioni nodulari riscontrabili nella popolazione generale. L’istotipo follicolare prevale nelle aree di endemia gozzigena mentre in aree non endemiche prevale l’istotipo papillifero. L’evoluzione naturale della proliferazione tiroidea, nella stragrande maggioranza dei casi, è caratterizzata da un decorso del tutto asintomatico; pertanto il riconoscimento della lesione accrescitiva di tipo neoplastico costituisce un problema di rilevante impegno diagnostico non essendo agevole discriminarla dalle lesioni nodulari benigne che costituiscono un’evenienza di frequente riscontro nella patologia tiroidea. Premesse morfofunzionali La tiroide, sul piano morfofunzionale, è strutturata in due differenti compartimenti cellulari; quello follicolare di derivazione endodermica, anatomicamente preponderante, preposto alla sintesi delle iodotironine, e quello delle cellule C, di derivazione neuroectodermica deputato alla sintesi della calcitonina. La trasformazione tumorale della tiroide si differenzia, sul piano fisiopatologico e clinico, da quella delle altre ghiandole endocrine, poiché, non essendo contrassegnata da una esaltata attività funzionale del tessuto neoplastico,è per lo più caratterizzata da uno stato clinico di eutiroidismo. D’altronde il sistema delle cellule C calcitonina-secernenti può essere coinvolto, su basi genetiche, nella trasformazione tumorale, indipendentemente da ogni compromissione dell’epitelio follicolare, risultando spesso associato ad altri tumori neuroendocrini. I carcinomi della tiroide sono da considerarsi neoformazioni tumorali ad andamento relativamente benigno anche se, soprattutto nelle rare forme indifferenziate, ed in quelle che coinvolgono il sistema delle cellule C, si assiste talora al rapido progredire della proliferazione tumorale. La lesione tumorale spesso si esprime clinicamente con la comparsa di un nodulo e/o adenopatia locoregionale, usualmente asintomatici, non disponendosi, a tutt’oggi, di specifici markers clinicamente diagnostici per riconoscere nella sua fase iniziale l’erroneo processo replicativo dei singoli tireociti. Va inoltre sottolineato che, a motivo della lenta evoluzione il carcinoma tiroideo è da considerare tra le neoformazioni tumorali, endocrine e non endocri- ne, ad andamento relativamente benigno, anche se di rado, soprattutto nelle forme che coinvolgono il sistema parafollicolare ed in quelle indifferenziate, si assiste al rapido progredire del processo tumorale. Ed infatti i rilievi statistici sulla mortalità dimostrano che il carcinoma tiroideo, se tempestivamente diagnosticato, può essere eradicato, anche nelle fasi di iniziale disseminazione metastatica, prescindendo dalla genesi uni o plurifocale della lesione neoplastica. Epidemiologia Il carcinoma tiroideo rappresenta la più frequente neoplasia maligna del sistema endocrino, ma costituisce un’evenienza relativamente rara, rappresentando lo 0,5-1% di tutti i tumori maligni dell’uomo. L’incidenza varia ampiamente sia in funzione delle diverse casistiche cliniche che per distribuzione geografica. Si può ritenere che il tumore primitivo clinicamente manifesto sia annidato nel 2-3% delle lesioni nodulari riscontrabili nella popolazione generale. Tale valore non si modifica sostanzialmente tenendo conto anche delle lesioni occulte, di dimensioni inferiori a 10 mm, alle quali concordemente non è da attribuire alcuna rilevanza clinica.. Le evidenti discrepanze registrate tra incidenza e mortalità per carcinoma, sono da attribuire al netto prevalere delle forme più differenziate ed alla lenta progressione dell’istotipo papillifero e di quello follicolare, caratterizzati da elevata sopravvivenza media, rispettivamente del 90% e 60%. Per interpretare tali discrepanze è stato inoltre invocato il ruolo della endemia gozzigena quale possibile fattore di rischio carcinogenetico. 14 B. Trinti L’analisi epidemiologica del carcinoma tiroideo deve tener conto di altri elementi, in particolare la distribuzione per istotipo, notevolmente variabile da Paese a Paese. La frequenza elevata del carcinoma follicolare, segnalata in aree di endemia gozzigena (Svizzera, Colombia) e la sua apparente riduzione in seguito a iodoprofilassi (dal 42 al 30% e dal 37% al 15%), ove si considerino i valori assoluti, anziché le percentuali, potrebbe essere dovuta non ad una diminuzione del carcinoma follicolare, bensì ad un aumento reale del carcinoma papillifero. Ed infatti il carcinoma è frequente anche in aree non endemiche, ove prevale l’istotipo papillifero (USA), e la frequenza relativa del carcinoma follicolare è analoga in paesi endemici e non endemici. Accanto alle forme differenziate di carcinoma tiroideo, che si esprimono con un ampio spettro di evolutività clinica, sono da considerare le rare forme altamente aggressive, quale il carcinoma anaplastico, che colpisce soprattutto soggetti in età avanzata, ed è contrassegnato da una prognosi infausta, con sopravvivenza inferiore ad un anno. Per quanto riguarda la distribuzione del carcinoma tiroideo in relazione al sesso è stata riportata una maggiore frequenza nel sesso femminile, sia negli USA (F/M = 2,7), che in Europa (F/M = 2,9), pur essendosi osservata una sensibile variazione in rapporto all’istotipo. Per il carcinoma occulto, invece, non esiste una significativa differenza rispetto ai due sessi. Negli ultimi decenni, si è rilevato un progressivo incremento di incidenza, pur osservandosi una concomitante riduzione dell’indice di mortalità. E tale rilievo è da riferire all’impiego di sussidi diagnostici più accurati, che consentono il riconoscimento precoce della lesione neoplastica e la conseguente più incisiva efficacia dei provvedimenti terapeutici instaurati. Nel contempo si è registrata una riduzione delle forme più invasive e maligne, quale il carcinoma anaplastico. L’incidenza globale del carcinoma tiroideo non appare sostanzialmente influenzata dalla carenza iodica alimentare; peraltro in Italia è stato osservato che l’incidenza di questo tumore in zone a carenza iodica risulta 2 volte superiore rispetto a zone non carenti, con una maggiore frequenza delle forme follicolari o delle forme scarsamente differenziate. La percentuale di sopravvivenza a cinque anni per la malattia carcinomatosa è molto elevata, circa il 90%, con una cuspide di quasi il 99%, ove sia considerato solamente l’istotipo papillifero. Il tumore può, tuttavia, recidivare anche molti anni dopo la diagnosi, talvolta oltre i 20. Pertanto, ove ricorra il rischio di recidiva, assumono un determinante ruolo prognostico sia la tempestività della diagnosi, sia un rigoroso protocollo clinico-terapeutico, incentrato su un follow-up periodico, protratto per tutta la vita del paziente. Dalla analisi epidemiologica emergono due ordini di elementi che sono statisticamente associati alla genesi della lesione neoplastica, i fattori endogeni e quelli esogeni, ai quali può essere attribuito il significato di momenti causali, o quanto meno concausali. • Fattori endogeni I fattori genetici: alcuni rilievi epidemiologici dimostrano che la maggior frequenza del carcinoma occulto è assai significativa e non dipende da fattori ambientali. La predisposizione familiare: è suggerita dal riscontro di casi familiari in alcuni istotipi; sono stati infatti descritti accanto a casi sporadici, anche rari casi familiari di carcinoma papillifero, mentre è da tempo nota quella per il carcinoma midollare, geneticamente trasmessa come carattere autosomico dominante ad alta penetranza. Si tratta di una non comune forma di tumore tiroideo (3-5%) spesso associato ad altri tumori endocrini, ed in particolare al feocromocitoma, che costituiscono il gruppo delle cosiddette MEN (multiple endocrine neoplasie) e che sul piano istogenetico derivano dalle cellule C la cui etiopatogenesi è oggi riconosciuta nelle mutazioni del protooncogene RET. I fattori ormonali: vanno sempre menzionati nell’ambito delle cause endogene, anche per interpretare l’elevato rapporto F/M che si osserva nella patologia tumorale della tiroide per cui sono stati invocati l’influenza degli ormoni sessuali femminili. La patologia tumorale tiroidea inciderebbe con frequenza più elevata nelle donne che hanno fatto uso di estrogeni, quali contraccettivi orali. • Fattori esogeni Le radiazioni ionizzanti: svolgono un ruolo determinante quale fattore etiopatogenetico del carcinoma tiroideo. Il rischio carcinogenetico è particolarmente espresso se l’esposizione alle radiazioni avviene in età infantile, risultandone un effetto lesivo più intenso sulla tiroide in fase evolutiva. Le risultanze epidemiologiche sono assai eloquenti dimostrando una elevata incidenza sia nei sopravvissuti a Hiroshima e Nagasaki, sia nei bambini delle Isole Marshall esposti accidentalmente alla ricaduta di radioattivi dello iodio, così come più di recente a seguito dell’incidente di Cernobyl. È interessante notare che la maggior parte dei carcinomi erano tumori solitari della tiroide e che per il carcinoma indotto dalle irradiazioni (dose correlata) non si osserva la spiccata prevalenza nel sesso femminile, che invece si riscontra nei carcinomi spontanei. Il tempo di latenza tra l’irradiazione e la diagnosi istologica di carcinoma è in genere 10-12 anni. I dati epidemiologici inducono a ritenere che il carcinoma tiroideo possa essere legato ad una duplice mutazione genica. La prima è, spesso, ereditata, comportando una sorta di predisposizione all’insorgere di questo tumore; la seconda è, in genere, acquisita, ed è da riferire all’effetto delle radiazioni, soprattutto se l’esposizione avviene nella età infantile. I Tumori della Tiroide: aspetti epidemiologici, quadri clinici e semeiologici L’iperstimolazione da parte del TSH, in sinergismo con altri fattori di crescita, evocata da cause gozzigene o da altri fattori endogeni, ad esempio l’iperestrogenismo, o di altri fattori esogeni potrebbe, infine, agire da concausa o da cofattore. Aspetti clinico-evolutivi Il carcinoma tiroideo può esordire con ampio spettro di quadri clinico-semeiologici apprezzabili: dal quadro del tutto asintomatico del cosiddetto carcinoma “occulto”, che può repertarsi quale riscontro occasionale esclusivamente istologico, (postoperatorio o autoptico), all’esordio con colonizzazioni metastatiche, sino alla rara evenienza di un tumultuoso accrescersi del carcinoma anaplastico, dotato di minacciosa aggressività, e rapidamente letale, con sopravvivenza a 12 mesi praticamente nulla. Nella stragrande maggioranza dei casi l’evoluzione naturale della proliferazione tiroidea, , è caratterizzata da un decorso del tutto asintomatico, e con tendenza alla disseminazione metastatica in un arco di tempo protratto, tanto da registrarsi una mortalità assai limitata. Pertanto il riconoscimento della lesione accrescitiva di tipo neoplastico costituisce un problema di rilevante impegno diagnostico, soprattutto nelle fasi iniziali, non essendo agevole discriminarla dalle lesioni nodulari benigne, che costituiscono un’evenienza di frequente rilievo, occasionalmente reperibili, sia in ambienti specialistici, così come in strutture cliniche di prima istanza. Infatti, un nodulo clinicamente apprezzabile, di diametro superiore al cm, è riscontrabile nel 4%-5% della popolazione adulta, e al rilievo semeiologico di un nodulo tiroideo solitario, che rappresenta la più frequente manifestazione iniziale del tumore, non è dato assegnare valore patognomonico, almeno sino a quando il processo neoformativo sia confinato entro la capsula ghiandolare. I tradizionali parametri semeiologici, clinici e strumentali, adottati in passato quali elementi di sospetta malignità, debbono essere attentamente valutati e possono, talora, assumere il ruolo di aspecifici elementi orientativi, ma a nessuno di essi può essere conferito il significato diagnostico di marker di potenziale malignità. L’età ed il sesso, così, non rappresentano elementi significativi, anche se l’età giovanile o presenile costituiscono due coorti a rischio, soprattutto se all’indagine anamnestica si registri la esposizione a radiazioni ionizzanti. Pur prevalendo nettamente la patologia nodulare nel sesso femminile, (F/M=4,3/1), il riscontro di un nodulo singolo, o dominante, nel paziente di sesso maschile è gravato da maggiore rischio di malignità e da una prognosi meno favorevole. In età evolutiva il nodulo tiroideo non è un’evenienza frequente, infatti, il 10% dei carcinomi tiroidei si manifesta prima dei 21 anni e rappresentano il 5,7% di tutti i tumori del collo in età infantile. Peral- 15 tro il carcinoma tiroideo è il più frequente dei carcinomi diagnosticati in età inferiore ai 15 anni e la sua incidenza aumenta sensibilmente in bambini sottoposti a precedente irradiazione alla regione anteriore del collo. Negli anziani il nodulo è evenienza molto più comune, ma il rischio di malignità non differisce rispetto all’adulto, mentre in caso di neoplasia il decorso e la prognosi possono risultare molto meno favorevoli per la maggiore aggressività del tumore. In definitiva il carcinoma tiroideo, pur riscontrandosi in tutte le età, è più frequente nell’età adulta, con una netta prevalenza nel sesso femminile, colpito con una frequenza 3-4 volte superiore rispetto al sesso maschile. L’indice di mortalità per carcinoma tiroideo è spiccatamente inferiore all’indice di incidenza e, inoltre, se tempestivamente diagnosticato può essere eradicato, anche nelle iniziali fasi metastatiche, prescindendo dalla genesi uni o plurifocale della lesione neoplastica. Aspetti Semeiologici, clinici e strumentali • Esame obiettivo I tumori differenziati si possono manifestare sia come nodulo solitario in una ghiandola normale che come nodulo nell’ambito di un gozzo multinodulare; può essere, a volte, accompagnato da una linfoadenopatia nella regione del collo. La tumefazione uninodulare è la più frequente e la distinzione fra cancro e nodulo benigno (adenomatoso o cistico), non emerge con chiarezza dall’esame clinico, almeno per quelle lesioni confinate entro la capsula tiroidea. La citologia agoaspirativa ha permesso di riconoscere la prevalenza della lesione maligna nel nodulo singolo in circa il 2-3 %. Solo raramente la presenza di alcuni sintomi irritativi o meccanici possono indurre a porre il sospetto di patologia a carattere espansivo e/o infiltrativo. Peraltro la sintomatologia a carattere compressivo od ostruttivo, è assai variabile e sintomi aspecifici quali disfagia, dispnea, tosse, disfonia, si riscontrano anche in presenza di altre patologie benigne. L’aumentata consistenza della formazione nodulare, sia essa a superficie liscia o finemente granulare, non è un elemento di sospetta malignità, così come la sfumata demarcazione dal tessuto extranodulare non assume valore semeiologico significativo. La fissità del parenchima ghiandolare data da una infiltrazione dei tessutiti peritiroidei, superficiali e profondi, pur non potendo escludere un processo infiltrativo non neoplastico, quale la tiroidite di Riedel, costituisce un elemento semeiologico di sospetta malignità così come l’improvviso aumento di volume del nodulo non sostenuto da un processo emorragico. Nei soggetti anziani, un nodulo con accrescimento rapido e doloroso e consistenza aumentata, deve esse- 16 B. Trinti re considerato sospetto di lesione anaplastica; quando esso è sostenuto da un processo non neoplastico, con il tempo, il dolore si attenua e, in genere, la tumefazione regredisce. Nella maggioranza dei casi, il carcinoma tiroideo presenta un lento ritmo accrescitivo e le sue dimensioni possono rimanere costanti per un lungo periodo, rendendo sempre necessaria una attenta valutazione diagnostica. La presenza di uno o più linfonodi in sede laterocervicale o sopra-claveare fissi, duri, dolenti sono da considerare con sospetto, indipendentemente dalle dimensioni della ghiandola, dall’età del paziente o dai rilievi anamnestici. • Accertamenti di laboratorio e markers tumorali Gli esami di laboratorio non forniscono indicazioni sulla benignità o malignità della lesione nodulare infatti la neoplasia è generalmente associata a valori normali degli ormoni tiroidei e degli anticorpi, ed anche il dosaggio della tireoglobulina non assume valore di specificità. Il dosaggio della tireoglobulina è, invece, un utile marker nel follow-up di pazienti trattati chirurgicamente per carcinoma differenziato della tiroide: i valori di tireoglobulina rientrano nella norma, o al di sotto dei valori normali dopo intervento di tiroidectomia totale, mentre si elevano successivamente nel caso di recidiva neoplastica. La calcitonina è elevata in oltre il 75% dei soggetti affetti da carcinoma midollare ed è impiegata quale marker tumorale nello screening familiare per questa patologia. Il CEA risulta elevato solo in pochi pazienti affetti da carcinoma della tiroide. Per quanto attiene alle indagini genetico-molecolari, seppur di sempre maggiore importanza, sono ancora appannaggio di pochi qualificati centri di ricerca. • Esami strumentali L’ecografia - l’elevato potere risolutivo di trasduttori da 10-13 mHz consentono di ottenere immagini che individuano aree di alterata morfologia parenchimale di non oltre 2 millimetri di diametro. Tali sofisticati reperti ecografici debbono essere correttamente interpretati per discriminare la non infrequente espressione della fisiologica disomogeneità morfofunzionale del tessuto tiroideo dalla lesione nodulare. Pur non essendo disponibili specifici patterns ecografici che consentano di discriminare la lesione benigna da quella maligna, alcuni parametri ultrasonografici quali la presenza di microcalcificazioni “a cielo stellato”, l’ipoecogenicità, la marezzatura solido-cistica della lesione rispetto al parenchima, l’irregolarità dei margini e, soprattutto, l’invasione extraghiandolare, orientano verso un sospetto di malignità da verificare citologicamente. Il nodulo solido è il più spesso benigno, ma la struttura solida può con maggiore frequenza risultare carcinomatosa. Riassumendo, all’indagine ecografica deve essere attribuito un valore limitativo nella definizione della natura della lesione, ma essa è assai utile nell’offrire elementi affidabili che consentano di valutare l’evoluzione del nodulo; infatti, permette di verificarne le variazioni volumetriche, di identificare la contemporanea presenza di linfonodi e/o lesioni intraghiandolari che alla citologica risultino espressione di processo neoplastico. Inoltre l’ecotomografia rappresenta un irrinunciabile presidio diagnostico, quale supporto metodologico per consentire il prelievo “mirato” di tessuto tiroideo, mediante aspirazione con ago sottile. L’eco-color-Doppler - è un utile presidio diagnostico, integrativo della ecografia tradizionale, per lo studio comparativo della vascolarizzazione della patologia nodulare tiroidea. Tale metodologia, sempre più diffusamente utilizzata è valsa a descrivere diversificati patterns di flusso, da I a IV, del tessuto tiroideo ma, a tale catalogazione iconografica, non corrisponde alcuna classificazione nosografica di ordine anatomopatologico e quindi deve essere considerata del tutto avulsa da qualsiasi implicazione diagnostica. Purtuttavia, va segnalato che il carcinoma tiroideo è per lo più caratterizzato dai seguenti aspetti: nodulo a struttura solido-disomogeneo, iso-ipoecogeno, con calcificazioni interne, e ricca vascolarizzazione intra e perinodulare. La scintigrafia – l’impiego di radioisotopi come lo ed il 99Tc, utilizzati per una valutazione funzionale della lesione nodulare, differenziando i noduli iperattivi da quelli ipoattivi, consentono di impostare l’ulteriore algoritmo diagnostico; infatti i noduli “caldi”, che captano avidamente il radioiodio, sono solitamente sostenuti da lesioni benigne; mentre i noduli “freddi”, che concentrano il radionuclide con ridotta efficienza, e che possono potenzialmente annidare una lesione cancerosa, esigono ulteriori precisazioni diagnostiche, essendo la lesione ipocaptante sostenuta da processi alterativi di diversa natura. Un ruolo importante potrà avere, in quest’ottica, la sperimentazione di un nuovo prototipo di sonda scintigrafica (Imaging Probe) nella caratterizzazione funzionale di noduli tiroidei sub centimetrici che sfuggono al potere risolutivo della gamma camera. Il limite principale dell’esame scintigrafico risiede nella sua aspecificità nel definire la natura maligna del substrato lesivo che si evidenzia come area non captante; la ridotta capacità iodofissatrice è espressione dello stato funzionale del tessuto alterato e non riflette la probabilità di rischio di malignità. Ed infatti la maggior parte dei noduli “freddi” è sostenuta da lesioni benigne. Anche l’esame con gli indicatori positivi è scarsamente specifico, rappresentando tali traccianti potassio-mimetici, esclusivamente un indicatore di ipercellularità. Altri radioisotopi come il Cesio 131, il Gallio 67 e il Selenio 75 sono stati utilizzati come markers di malignità ma il loro impiego può fornire solamente elementi utili per definire una lesione ipercellulare che, rappresentando un quadro indeterminato di neopla- 131I I Tumori della Tiroide: aspetti epidemiologici, quadri clinici e semeiologici sia follicolare, potrà essere sia di natura benigna che maligna. Accanto alla tradizionale indagine scintigrafica sono stati recentemente utilizzati nuovi radioisotopi. La scintigrafia con indio111 octeotride (In111), tracciante specifico nella diagnostica dei tumori neuroendocrini, è utilizzata nella diagnostica della patologia nodulare tiroidea per l’elevata affinità della molecola per i recettori della somatostatina. La metodica, utilmente impiegata nella diagnosi di carcinoma midollare della tiroide è dotata di una sensibilità del 71% ed è indicata nei casi risultati negativi allo studio con tecniche tradizionali, consentendo l’individuazione anche di carcinomi midollari di minime dimensioni non riconosciuti alla TAC. Sempre per la diagnostica scintigrafica del carcinoma midollare può essere utilizzato lo 131I meta-iodio-benzil-guanidina (MIBG), originariamente applicato per lo studio funzionale del feocromocitoma. Ultimamente, altre tecniche radioisotopiche, prerogativa di strutture sanitarie d’elite, si sono affiancate a quelle tradizionali per la caratterizzazione delle neoplasie tiroidee e sono la tomografia computerizzata a singola emissione fotonica (SPECT) e la tomografia ad emissione di positroni (PET). Quest’ultima offre, rispetto alla SPECT, il vantaggio di fornire immagini quantitativamente più accurate e dotate di migliore risoluzione spaziale. La tomografia assiale computerizzata (TAC) e la risonanza magnetica nucleare (RMN) sono indagini che forniscono informazioni di tipo morfostrutturale e trovano indicazione nel caso di masse dislocate in regione mediastinica, quindi non raggiungibili ecograficamente, per una valutazione preoperatoria, come nel caso di gozzo intratoracico e/o stadiazione delle neoplasie maligne tiroidee immerse. Come l’ecografia la TAC e RMN non sono in grado di differenziare tra neoplasie benigne o maligne della tiroide, sono tuttavia di grande aiuto nel definire i rapporti topografici dei tumori di maggiori dimensioni e nel valutare la presenza di linfoadenopatia metastatica. La RMN consente di meglio definire l’aspetto dei tessuti molli e, inoltre, non richiede l’impiego di radioiodio quale marker metabolico trovando applicazione, da sola o in associazione con l’indio111 octeotride, in pazienti con anamnesi positiva per carcinoma midollare della tiroide. L’esame citologico eseguito mediante aspirazione con ago sottile (FNA - Fine Needle Aspiration), rappresenta l’indagine prioritaria di screening da inserire nell’algoritmo diagnostico del nodulo tiroideo, essendo dotato di attendibilità diagnostica nettamente superiore alle metodiche tradizionali, assume il significato di indagine selettiva e specifica nella caratterizzazione preoperatoria della patologia nodulare tiroidea. Tecnica non invasiva, di esecuzione ambulatoriale, è del tutto priva di qualsiasi rischio e complicanze, dal costo irrilevante, può essere ripetuta senza perico- 17 lo offrendo una notevolissima accuratezza diagnostica. L’esame citologico permette di porre con assoluta attendibilità la definizione diagnostica, di benignità o malignità, in oltre l’80% della lesioni esaminate; mentre il restante 20% corrisponde a quadri citologici definiti non diagnostici sia per inadeguatezza del prelievo che per quadri citologici indeterminati (proliferazione follicolare). La diagnosi di malignità è posta nel 5% dei reperti citologici diagnostici, e l’esame permette di descrivere quadri corrispondenti al carcinoma papillifero, al carcinoma indifferenziato anaplastico, al carcinoma midollare ed a forme di carcinoma metastatico. Per la diagnosi di carcinoma follicolare, l’esame citologico non offre elementi patognomonici, in quanto la lesione pur presentandosi con elevato numero di cellule, aggregate in strutture follicolari, talora con anisonucleosi, non evidenzia le più peculiari caratteristiche differenziali tra adenoma e carcinoma follicolare cioè l’angioinvasività e il superamento della capsula. La mancata disponibilità di elementi citostrutturali specifici che consentano di poter differenziare la lesione ipercellulare benigna, sostenuta da iperplasia follicolare e da adenoma follicolare, da quella maligna propria del carcinoma follicolare rappresenta il limite principale della metodica rendendo necessaria, in questi casi, la verifica chirurgica della lesione. In conclusione, considerando l’elevata frequenza della tireopatia nodulare, che raramente annida una lesione carcinomatosa, diventa fondamentale attenersi ad un rigoroso percorso diagnostico che preveda accertamenti dotati dei requisiti di un’elevata sensibilità, specificità ed accuratezza. In tale ottica l’esame citologico eseguito sotto monitoraggio ecoguidato, ed integrato dagli esami morfofunzionali ed immunologici, consentendo un inquadramento nosografico della tireopatia nodulare, rappresenta l’indagine più discriminante della lesione carcinomatosa che, soprattutto nelle fasi iniziali, costituisce un problema di rilevante impegno clinico nel differenziarla dalle più frequenti lesioni benigne. Bibliografia 1. Andreoli M. I tumori della tiroide (2004) In:La tiroide. Fisiopatologia,diagnostica molecolare, clinica e terapia. Andreoli M. Il Pensiero scientifico ed. 449-498 2. Baloch ZW, LiVolsi VA (2002) Fine-needle aspiration of thyroid gland. 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