Responsabilità amministrativo contabile e attività ispettiva

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Dispensa
Responsabilità amministrativo contabile
e attività ispettiva
a cura del
prof. avv. Vito TENORE, Magistrato della Corte dei Conti, professore di materie pubblicistiche presso la
SNA (exSSPA), la Scuola Superiore dell’economia e delle Finanze, Scuola Ufficiali Carabinieri di Roma.
Già Avvocato dello Stato, Magistrato Militare e Magistrato ordinario. Autore del volume TENORE,
“L’ispezione amministrativa ed il suo procedimento”, Giuffrè, Milano.
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IL PROCEDIMENTO DI CONTROLLO ISPETTIVO
del Prof. Avv. Vito Tenore
Magistrato della Corte dei conti
e Professore presso la SNA ex Scuola Superiore della PA
e la Scuola Ufficiali Carabinieri di Roma1
1. L’ISPEZIONE COME PROCEDIMENTO AMMINISTRATIVO. RIFLESSI DELLA LEGGE 7 AGOSTO 1990 N.
241 SULLA SUA DISCIPLINA.
Secondo i più recenti approdi dottrinali2 e giurisprudenziale, l’ispezione si configura come subprocedimento istruttorio, "servente" rispetto ad un più ampio procedimento di controllo destinato, di
regola, a sfociare in un provvedimento di amministrazione attiva avente rilevanza esterna. Le indagini
ispettive si inseriscono, in particolare, nella fase istruttoria di un più vasto procedimento "principale",
divenendo esse stesse sub-procedimento istruttorio, e sono dunque di regola preordinate ad acquisire
elementi conoscitivi necessari per lo svolgimento dell’azione amministrativa e per l’adozione di un
provvedimento di rilevanza esterna. L’ispezione fine a se stessa, come rimarcato anche dalla direttiva 2
luglio 2002 della funzione pubblica, rinvenibile in calce al presente studio, non serve a nulla.
A titolo meramente esemplificativo, le risultanze di un accertamento ispettivo possono costituire il
presupposto per l’attivazione di un procedimento disciplinare, o l’ispezione può inserirsi in tale
procedimento come momento istruttorio di verifica di fatti (c.d. inchiesta disciplinare). Inoltre
l’accertamento ispettivo può risultare indefettibile per completare riscontri cartolari finalizzati alla revoca
di una concessione o di una autorizzazione (ergo si può inserire in un più vasto c.d. procedimento di
secondo grado con la specifica finalità di acquisizione di elementi necessari per un corretto esercizio del
potere di autotutela). L’ispezione può comportare altresì l’acquisizione di elementi utili per l’adozione di
sanzioni amministrative nei confronti dell’ispezionato, o per un trasferimento per incompatibilità
ambientale di un pubblico dipendente. Molto spesso poi il riscontro in sede ispettiva di irregolarità
amministrative o contabili porta all’adozione di atti di autotutela da parte dei vertici dell’amministrazione
ispezionata (es. annullamento di atti di inquadramento del personale ritenuti illegittimi).
Va dunque superata l’ormai anacronistica visione dell’ispezione come mero atto amministrativo,
che ha avuto nel passato autorevoli sostenitori, in quanto, ove si abbia ben presente come l’attività
ispettiva viene concretamente espletata. è incontestabile che la stessa sia la risultante di una pluralità di
atti ed operazioni poste in essere dall’organo procedente secondo un iter logico-giuridico di seguito
analizzato.
E in un sistema amministrativo ormai decisamente caratterizzato dalla c.d. procedimentalizzazione
dell’agire della p.a., la quale vede come suo momento centrale non più il provvedimento conclusivo, ma la
fase istruttoria in cui gli elementi di fatto e di diritto rilevanti ai fini del decidere vengono acquisiti e
1
Il testo non tiene conto delle modifiche legislative alla l. 7.8.1990 n.241 della l. 69 del 2009.
Ci sia consentito il richiamo al nostro TENORE, L’ispezione amministrativa ed il suo procedimento, Milano, Giuffre,
1999.
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valutati, l’attività ispettiva assume un ruolo essenziale proprio nella delicata fase istruttoria (v. art. 6, lett. b,
I. n. 241 del 1990) di molti procedimenti amministrativi, divenendo il momento decisivo (subprocedimentale e, nel contempo, infraprocedimentale) di supporto logico-fattuale per la successiva
adozione di provvedimenti di amministrazione attiva nei confronti dell’ispezionato.
Anche nell’iter ispettivo, come si vedrà nel successivo punto 2. si rinvengono tutte le canoniche
componenti strutturali del procedimento amministrativo: l’iniziativa, l’istruttoria e la decisione. Il che sta a
significare che il procedimento ispettivo tende alla formazione di un atto amministrativo (la relazione
ispettiva) attraverso una sequenza di atti teleologicamente orientati.
Viene in tale sviluppo procedimentale espressa la funzione amministrativa, e viene nel contempo garantita
la partecipazione e la collaborazione del cittadino ispezionato in attuazione dei principi di imparzialità,
trasparenza ed obiettività dell’azione pubblica.
La qualificazione dell’attività ispettiva come attività procedimentalizzata costituisce un approdo
relativamente recente a livello dottrinale e giurisprudenziale, prevalendo nel passato, come si è già
ricordato, letture in chiave meramente "attizia" dell’ispezione, da taluni ritenuta essere addirittura una
mera operazione materiale.
Il più moderno approccio in questa sede propugnato ha notevoli riflessi sul piano operativo,
rendendo applicabile, nei limiti della compatibilità, la disciplina generale sul procedimento amministrativo
codificata nella legge 7 agosto 1990 n. 241, come novellata ad opera delle l. n.15 ed 80 del 20053.
Quest’ultima normativa ha, come è noto, portata generale e trova dunque applicazione per qualsiasi
procedimento amministrativo, salvo espresse esclusioni, totali o parziali (es. art. 7, co. 1 e 2, art. 13, art. 24,
co. 4, 1. n. 241 cit.).
Deve quindi concludersi che, in assenza di deroghe testuali, anche per il procedimento ispettivo
trovi applicazione, nei limiti della compatibilità normativa e logica, la generale disciplina del procedimento
amministrativo, volta a garantire la trasparenza e l’imparzialità dell’azione amministrativa, affinché
l’indagine ispettiva si svolga in modo non arbitrario e con una adeguata composizione degli interessi,
pubblici e privati, coinvolti nell’azione della p.a., al fine di orientarla al meglio, anche attraverso una
adeguata instaurazione del contraddittorio con l’ispezionato. Opportunità, questa, che sino al recente
passato non era ritenuta un obbligo per l’organo inquirente, in considerazione della possibilità di
contestare, nelle sedi competenti, le risultanze ispettive.
Tale approdo concettuale appare decisamente rilevante alla luce della già evidenziata carenza di
una regolamentazione dettagliata dell’attività ispettiva nelle norme, primarie e secondarie (unica
eccezione, sebbene non si tratti di fonte del diritto, è la cennata direttiva 2 luglio 2002 della funzione
pubblica), che istituiscono corpi ispettivi o attribuiscono compiti ispettivi a taluni pubblici dipendenti.
La legge n. 241 del 1990 finisce dunque con l’essere la basilare e fondamentale guida normativa per
qualsiasi funzionario preposto a compiti di controllo ispettivo.
La ricaduta di tale inquadramento sul piano giustiziale è evidente: l’inosservanza della normativabase soprarichiamata potrebbe tradursi in vizi invalidanti la successiva attività procedimentale, che
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La produzione dottrinale sul tema è vastissima. E’ sufficiente il rinvio a TENORE, L’incidenza della nuova legge
n.241 del 1990 sulle pubbliche amministrazioni, Cedam Padova, 2006, con ampia bibliografia e giurisprudenza.
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legittimano il soggetto ispezionato alla proposizione di ricorsi giurisdizionali ed amministrativi a tutela delle
proprie ragioni.
Non a caso la giurisprudenza, raramente adita nel passato in materia ispettiva, negli ultimi anni sta
iniziando a vagliare controversie su accertamenti ispettivi, nelle quali si fanno valere vizi riconducibili alla
violazione di regole poste proprio dalla legge n. 241 del 1990.
E’ il caso, ad esempio, del contenzioso in materia di violazione della comunicazione di avvio di
procedimento ispettivo e di partecipazione istruttoria allo stesso, o di diritto di accesso agli atti ispettivi. Ed
ulteriori questioni potrebbero insorgere in ordine alla necessità di una congrua motivazione delle risultanze
ispettive, o alla chiusura del procedimento ispettivo nei termini prescritti, o ancora, alla (mancata) nomina
e comunicazione all’ispezionato del nominativo del responsabile del procedimento ispettivo.
Occorre tuttavia porsi un fondamentale e prioritario interrogativo relativo alla esistenza o meno di
limiti ad una trasposizione de piano dell’intera normativa procedimentale (1. n. 241 cit.) all’accertamento
ispettivo.
Sul punto occorre rimarcare l’esistenza, a nostro avviso, di un duplice sbarramento a tale
operazione di ermeneutica giuridica: in primo luogo va evidenziato il basilare limite della compatibilità
logica degli istituti della legge n. 241 del 1990 con la specifica finalità di acquisizione autoritativa di scienza
cui tende l’ispezione. In secondo luogo, va ancora una volta sottolineata l’esistenza di diverse testuali
ipotesi di inapplicabilità di alcuni istituti della legge n. 241 ad alcuni procedimenti, tra i quali è talvolta
ricompreso anche il procedimento ispettivo.
In ordine alla prima limitazione evidenziata (limitazione ontologica), riteniamo che siano intrinsecamente
inapplicabili al procedimento ispettivo, caratterizzato da una unilaterale po testà acquisitiva di fatti e
documenti, le norme della legge n.241 del 1990 che regolano gli accordi procedimentali e sostitutivi (art.
11), vertendosi in materia, quella ispettiva, che esclude qualsiasi accordo con l’ispezionato per la
determinazione concordata del contenuto della relazione ispettiva o, addirittura, per sostituire
quest’ultima con un un pactum.
Il richiamato limite interpretativo opera in parte, a nostro avviso, anche in relazione all’obbligo di
comunicazione di avvio di procedimento (art. 7, 1. n. 241 cit.). Difatti, pur in presenza di una previsione
normativa (art. 7 cit.) testualmente di portata generale, la stessa non può logicamente trovare
incondizionata applicazione per un procedimento, quale quello ispettivo, spesso caratterizzato da un
"effetto sorpresa sull’ispezionato, che verrebbe meno, compromettendo irrimediabilmente l’esito
dell’accertamento, qualora il soggetto o l’ufficio controllato venisse previamente notiziato dell’arrivo degli
ispettori.
Tale conclusione si pone in sintonia con quell’indirizzo dottrinale4 e giurisprudenziale tendente ad
individuare alcuni limiti logici alla generalizzata portata applicativa dell’art. 7 della 1. n. 241, superandone la
testuale onnicomprensiva formulazione.
Va tuttavia doverosamente evidenziato su questo delicato punto che se si optasse per l’assoluta
inapplicabilità dell’art. 7 ai procedimenti ispettivi, il cittadino (e dunque l’ispezionato) verrebbe privato
della conoscenza di alcuni elementi utili per l’esercizio di propri diritti (conoscenza del nominativo del
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TENORE, L’ispezione amministrativa ed il suo procedimento, Milano, Giuffre, 1999.
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responsabile del procedimento, dell’ufficio ove è possibile prendere visione dell’atto, art. 8, 1. cit.). È
dunque preferibile ritenere che la comunicazione debba essere comunque effettuata nei confronti
dell’ispezionato (nei limiti che saranno precisati nel successivo punto 3) quando le esigenze istruttorie
correlate all’accertamento in corso lo consentano, o quando si tratti di ispezioni non caratterizzate da
"effetto sorpresa". Non va difatti dimenticato che la comunicazione di avvio di procedimento è correlata
alla successiva partecipazione istruttoria del cittadino (ispezionato), che può fornire un utile apporto
collaborativo attraverso audizioni, presentazione di memorie scritte e documenti, che l’amministrazione
deve doverosamente valutare (art. 10, 1. n. 241), anche al fine di prevenire contenzioso giudiziale ove le
osservazioni dell’ispezionato contribuiscano a chiarire i fatti e ad evitare l’attivazione di inutili successivi
procedimenti sanzionatori, o comunque restrittivi, da parte dell’amministrazione.
In definitiva, ciò che va tutelato è il principio del contraddittorio procedimentale e la
conseguenziale obiettiva acquisizione degli elementi di fatto da parte dell’ispettore. Principi, questi, che
non sembrano essere inconciliabili con l’effetto sorpresa che caratterizza talvolta le ispezioni, dal momento
che, in caso di urgenza, nulla impedisce che il contraddittorio venga differito ad una fase successiva
all’acquisizione degli elementi istruttori, per valutare, in modo obiettivo, eventuali elementi (es.
giustificazioni) forniti dall’ispezionato sulle circostanze riscontrate.
Va ricordato che alcuni dati normativi successivi (ed alcuni anteriori) alla legge n. 241 del 1990
confermano invece settorialmente la soluzione favorevole alla doverosa comunicazione di avvio di
procedimento .
Le considerazioni svolte valgono anche per la comunicazione dell'avvio di procedimento ai "soggetti
individuati o facilmente individuabili, diversi dai suoi destinatari diretti" qualora possano subire un
pregiudizio dal provvedimento finale.
Circa la seconda limitazione prospettata (limitazione testuale) riteniamo che costituiscano deroghe
formali per l’applicazione delle norme della legge n. 241 del 1990 al procedimento ispettivo:
a) la previsione (art. 7, co. 1) che consente di differire (o addirittura di escludere), in generale, la
comunicazione di avvio di procedimento qualora "sussistano ragioni derivanti da particolari esigenze di
celerità’’, nozione che, a nostro avviso, fa riferimento a situazioni in cui la comunicazione de qua
comprometterebbe il soddisfacimento dell’interesse pubblico a cui tende l’atto conclusivo del
procedimento (evenienze, queste, molto spesso riscontrabili in relazione ad accertamenti ispettivi). Tale
argomento testuale completa e corrobora la sovraesposta conclusione favorevole ad una forte limitazione
"ontologica" all’obbligo di comunicazione ex art. 7 in materia di controlli ispettivi;
b) la previsione che esclude l’applicabilità del capo terzo della legge n. 241 per alcuni procedimenti, tra i
quali quelli tributari (art. 13, co. 2, 1. n. 241) e dunque anche per le ispezioni tributarie. Le limitazioni
contenute in quest’ultima norma sono state oggetto, da parte di taluni autori, di interpretazione estensiva,
fondata su criteri ermeneutici tendenti a valorizzare i profili teleologici di alcuni procedimenti: ove, ad
esempio, questi ultimi risultassero "riservati" (nozione a cui potrebbe ricondursi senza eccessivi salti logici
anche l’attività ispettiva), non troverebbe per essi applicazione l’intero capo sulla partecipazione
procedimentale;
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c) l’espressa previsione dell’art. 22, co. 4, 1. n. 241, che devolve a ciascuna amministrazione l’individuazione
degli atti sottratti all’accesso per le esigenze di cui al comma 2. Tra tali atti talune amministrazioni hanno
annoverato le relazioni ispettive, mentre altre hanno collocato queste ultime tra gli atti il cui accesso può
essere "differito" per non ostacolare o impedire Io svolgimento dell’azione amministrativa. Sui rapporti tra
accesso agli atti ispettivi e segretazione degli stessi si ritornerà funditus nel successivo punto 3;
d) le settoriali previsioni che, per alcuni specifici accertamenti ispettivi, escludono, espressamente o
indirettamente, l’applicabilità di alcune disposizioni della legge n. 241.
Poiché alcune di tali norme sono anteriori alla predetta legge generale, si pone un serio problema di
implicita abrogazione delle stesse ad opera della sopravvenuta disciplina, o, in subordine, di possibile
incostituzionalità delle stesse (ove ritenute lex specialis non derogabile dalla successiva 1. n. 241 quale lex
generalis) per ingiustificata disparità di trattamento. Analogamente devono ritenersi superati quegli
indirizzi giurisprudenziali formatisi anteriormente alla legge n. 241 del 1990 che hanno all’epoca escluso la
vigenza di alcuni principi - quale quello del contraddittorio, della comunicazione del responsabile del
procedimento, della motivazione della lettera di incarico poi codificati dalla legge sul procedimento
amministrativo.
Conclusivamente può ribadirsi che, in considerazione della riconduzione del sub-procedimento ispettivo
nell’alveo dei procedimenti amministrativi, allo stesso potrà applicarsi la generale disciplina della legge n.
241 del 1990, con alcuni doverosi adattamenti ed alcune necessarie limitazioni, sulla cui portata si attende
comunque un consolidamento concettuale ad opera della giurisprudenza.
Tra i principi generali della legge n. 241 applicabili anche al procedimento ispettivo riteniamo che
siano annoverabili: l’obbligo di motivazione della relazione ispettiva (art. 3, 1. n. 241), ovviamente ove la
relazione non si sostanzi in una mera ricognizione difatti materiali o di dati giuridici; l’obbligo di conclusione
esplicita del procedimento (art. 2, co. 2, 1. cit.); l’obbligo di determinazione del responsabile del
procedimento (art. 4 e 5, 1. cit.); l’obbligo di indicare e comunicare il nominativo del responsabile del
procedimento (art. 4 e 5, 1. 241 cit.); l’obbligo di comunicare il termine e l’autorità dove ricorrere, ove vi sia
comunicazione della relazione ispettiva (art. 3, co. 4, 1. cit.); l’obbligo di concludere il procedimento nei
termini prescritti (ad. 2, co. 2, 1. cit.).
Quest’ultima affermazione necessita di alcuni chiarimenti. L’art. 2, co. 2, 1. n. 241 devolve a
ciascuna amministrazione il compito di individuare, attraverso apposito regolamento, i termini massimi per
la chiusura dei vari procedimenti di propria competenza. Solo ove le amministrazioni rimangano inerti in
tale attività, o omettano di regolamentare taluni procedimenti, scatta in via residuale la disciplina dell’art.
2, co. 3, 1. cit., che statuisce un termine massimo di 90 giorni per la chiusura del procedimento non
"temporizzato" ex se dalla p.a.
Adattando tale regola generale alla materia ispettiva, deve ritenersi che il procedimento ispettivo
debba necessariamente concludersi, in assenza di un più lungo termine prefissato da apposito
regolamento, entro il termine di 90 giorni dal suo inizio. L’inosservanza di tale termine potrebbe
configurare una violazione di legge azionabile innanzi al giudice amministrativo. In considerazione della
ristrettezza di un termine di soli 90 giorni per la chiusura di istruttorie spesso assai complesse, è auspicabile
che le amministrazioni fissino termini ben più ampi in via regolamentare.
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In assenza di una disposizione normativa in tal senso e possibile sostenere che, ove l’ispettoreresponsabile del procedimento, in considerazione della complessità dell’istruttoria, avesse necessità di
proseguire l’indagine ispettiva oltre i termini regolamentari (o soprattutto oltre il ristretto termine legale
pari a 90 giorni), possa richiedere un motivato supplemento di lettera di incarico che consenta di portare a
conclusione il procedimento.
In ogni caso la presenza di una circostanza, di fatto o di diritto, ostativa alla tempestiva definizione del
procedimento ispettivo nei termini prescritti, pur se idonea ad escludere la sussistenza dell’elemento
psicologico nella condotta del responsabile del procedimento inerte e dunque della responsabilità penale,
civile, amministrativo-contabile e disciplinare dello stesso, non preclude la formazione del silenzio-rifiuto
giustiziabile (ove si dimostri un interesse attuale all’impugnativa della relazione ispettiva).
Va comunque rimarcato che la necessità di una determinazione legale o regolamentare dei tempi
massimi per la chiusura del sub-procedimento ispettivo va coordinata con i tempi procedimentali prefissati
per la chiusura del più ampio procedimento in cui quello ispettivo si inserisce. Se, ad esempio, l’art. 9, co. 2,
1. 7 febbraio 1990 n. 19 prevede un termine di 90 giorni per la conclusione di un procedimento disciplinare
nel corso del quale è necessario espletare un’ispezione sui fatti contestati, il termine massimo di tale
accertamento istruttorio infraprocedimentale dovrà necessariamente tener conto del più ampio termine
previsto per la chiusura del procedimento disciplinare e non potrà essere ovviamente superiore allo stesso,
soprattutto ove si consideri che, secondo un recente indirizzo dell’adunanza plenaria del Consiglio di Stato, i
termini procedimentali del giudizio disciplinare hanno natura perentoria, nonostante l’eventuale necessità
di espletare complesse attività interne "endoprocedimentali" (quale quella ispettiva).
2. LE TRE FASI DEL PROCEDIMENTO ISPETTIVO: A) L’INIZIATIVA (LA LETTERA DI INCARICO); B) GLI
ACCERTAMENTI ISTRUTTORI E I POTERI CAUTELARI; C) LA RELAZIONE ISPETTIVA.
Alla luce dell’inquadramento del controllo ispettivo nella categoria dei procedimenti amministrativi, può
passarsi all’esame delle tre canoniche tappe dell’iter ispettivo: l’iniziativa, l’istruttoria procedimentale, la
relazione ispettiva.
a) L’iniziativa (la lettera di incarico).
L’iniziativa può provenire dallo stesso organo procedente, anche se di regola I’input nasce da un
organo superiore ("ordine o incarico d’ispezione"), solitamente coincidente con il dirigente del servizio
ispettivo della singola amministrazione o con l’organo di vertice dell’amministrazione centrale o locale. Tale
organo di vertice, in sintonia con l’evoluzione normativa concernente il riparto di compiti tra vertice politico
e dirigenza, andrebbe individuato nell’ambito di quest’ultima.
Spesso l’attivazione del controllo ispettivo, soprattutto in occasione di ispezioni c.d. straordinarie, avviene
su segnalazione di soggetti privati estranei all’amministrazione (si pensi alle segnalazioni di disfunzioni
amministrative inoltrate da ignoti "delatori" alle autorità pubbliche). Va comunque evidenziato che la
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segnalazione di un cittadino è mera occasione per l’effettuazione di una ispezione, il cui iter
procedimentale (con relativi termini) ha di regola formale inizio per ordine dell’organo di vertice.
L’atto di iniziativa, a forma scritta (ed oggi anche "informatica") ma talvolta, secondo prassi non
corretta, anche orale, avrebbe, ad avviso di alcuni, natura di provvedimento, che l’ispezione (complesso di
operazioni materiali e non atto amministrativo, secondo la teoria in esame) porterebbe ad esecuzione.
Secondo una più corretta impostazione, invece, esso non avrebbe natura provvedimentale, ma di mero atto
amministrativo (quasi sempre interno) di organizzazione, che puntualizza in concreto la legittimazione
dell’organo ispettivo destinatario già prevista da norma .
L’ordine fissa l’oggetto ed eventuali modalità dell’indagine (che possono essere materia di separata
istruzione, se riservate). L’oggetto deve essere necessariamente delimitato, non potendosi legittimare delle
ispezioni omnibus su qualsiasi profilo dell’attività controllata, situazione che mal si concilierebbe, per i suoi
effetti ritardanti sull’ufficio ispezionato, con il principio del buon andamento dell’amministrazione (art. 97
Cost.) e con l’art. 8, co. 2, lett. b), L. n. 241 del 1990 che sancisce espressamente l’individuazione di un
oggetto del procedimento promosso.
Illegittima è dunque la prassi, talvolta riscontrabile, di redigere ordini d’ispezione che indichino
genericamente quali soggetti ispezionati "le imprese esistenti in una certa zona", devolvendo all’ispettore la
loro individuazione, oppure che indichino in modo vago l’oggetto dell’indagine, o che addirittura si limitino
ad indicare solo le norme attributive del potere inquirente
Riteniamo, in contrasto con un isolato orientamento dottrinale, che la limitazione dell’oggetto non abbia
una rilevanza meramente interna, ma assuma valenza anche nei confronti del terzo ispezionato,
destinatario della comunicazione nei limiti infraprecisati, il quale potrebbe far valere in sede giurisdizionale
l’assenza di pertinenza tra tale oggetto e gli atti ispettivi in concreto posti in essere.
La lettera di incarico costituisce altresì l’atto di nomina del responsabile (o dei responsabili) del
procedimento ispettivo da parte del titolare del servizio o dell’ufficio ispettivo (o dell’organo di vertice
amministrativo dell’ente) ove non voglia espletare egli direttamente l’incarico - in applicazione degli art. 4 e
5, 1. n. 241 cit.
Tecnicamente tale atto è qualificabile come delega amministrativa. Di regola il suddetto ispettoreresponsabile del procedimento (o, talvolta, collegio ispettivo) è responsabile sia dell’istruttoria e dei
connessi adempimenti procedurali, sia del l’adozione del provvedimento finale (relazione ispettiva), da non
confondere con l’atto conclusivo del più ampio procedi mento (es. disciplinare, di autotutela etc.) in cui il
sub-procedimento di controllo ispettivo si inserisce. Difatti in quest’ultimo caso l’atto di amministrazione
attiva (es. sanzione disciplinare revoca di un beneficio, diniego d autorizzazione etc.) sarà di competenza di
soggetto distinto da quello che ha proceduto all’ispezione.
Non riteniamo che la nomina, da parte del dirigente, del responsabile dell’accertamento ispettivo
sia suscettibile di delega da parte del dipendente prescelto ad altro funzionario: si eserciterebbe in tal
modo una indebita interferenza in un potere, quello di organizzazione degli uffici e di riparto del lavoro. che
è proprio del solo titolare dell’unità organizzativa. In ogni caso alcune norme ribadiscono assai
opportunamente tale principio generale per alcune settoriali ispezioni .
Tale lettera d’incarico finisce col coincidere, salvo alcuni adattamenti contenutistici alle prescrizioni
dell’art. 8, co. 2, 1. 241, con l’avvio di procedimento ispettivo, che deve essere di regola comunicato
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all’organo o ente ispezionato, sia ai sensi degli art. 7 e 8 1. n. 241 del 1990 o di norme specifiche (es. art. 44,
co. 5 d.P.R. 27 marzo 1992 n. 287 sulle ispezioni SIC e SIR; art. 24, d.P.R. 10 luglio 1991 n. 231 sui controlli
ispettivi del Garante per la radiodiffusione e l’editoria; art. 10, co. 2, d.P.R. 30 aprile 1998 n. 217 sulle
ispezioni dell’Antitrust), sia al fine di fornire prova all’ispezionato dell’esistenza della legittimazione a
procedere a controllo in capo all’ispettore (o collegio ispettivo). Si veda anche la direttiva della funzione
pubblica 2 luglio 2002 in calce al presente studio
Come già anticipato al paragrafo 1, è da ritenersi comunque legittima la facoltà, per alcune
ispezioni caratterizzate da un indefettibile effetto sorpresa (quelle c.d. straordinarie), di differire la
comunicazione di avvio di procedimento (e dunque della lettera di incarico) ad un momento successivo, al
fine di non compromettere l’esito dell’accertamento istruttorio. Evidente appare in tali casi la sussistenza
delle richiamate "particolari esigenze di celerità" (art. 7, 1. n. 241 del 1990). La successiva comunicazione
dell’avvio di procedimento, il cui contenuto è puntualmente determinato dall’art. 8, co. 2, 1. cit., consentirà
egualmente una adeguata garanzia del contraddittorio con l’ispezionato (art. 10, 1. cit.).
Va sottolineato che, in aggiunta al contenuto obbligatorio dell’avvio di procedimento sancito
dall’art. 8, 1. 241 cit., andrebbero opportunamente (sul piano deontologico) indicate all’ispezionato le
eventuali sanzioni comminabili dall’amministrazione a fronte di rifiuti o ritardi nel fornire informazioni o
esibire documenti, o nel caso in cui vengano fornite notizie ed esibiti documenti non veritieri. In caso di
omessa comunicazione di tali sanzioni previste da legge, troverà comunque applicazione il generale
principio della ignorantia legis non excusat, e dunque ben poco spazio potrà residuare a favore della buona
fede dell’ispezionato, doverosamente tenuto a conoscere la settoriale normativa in cui opera.
Qualora invece vi fosse una norma che espressamente obbligasse l’ispettore alla formale
comunicazione anche delle suddette sanzioni, l’inosservanza della prescrizione si tradurrebbe in una
invalidità della sanzione comminata senza previo avviso.
Destinatari dell’ordine di ispezione non sono gli ispezionati, ma, come detto, gli organi ispettivi
procedenti, che, a loro volta, "gireranno" la comunicazione, al momento opportuno (v. sopra), agli
ispezionati, in applicazione degli art. 5, co. 3 e 8, 1. n. 241 del 1990. Qualora l’indagine risulti
particolarmente complessa, destinatario della lettera d’incarico può essere anche un collegio di ispettori,
sebbene la più recente legislazione si evolva verso la progressiva riduzione degli organi collegiali nel nostro
ordinamento a favore del più agile modello monocratico.
Va poi segnalato che l’art. 7, 1. n. 241 del 1990, pone un ulteriore obbligo in capo al responsabile
del procedimento: quello di notiziare con la comunicazione in esame anche i "soggetti individuati o
facilmente individuabili, diversi dai suoi destinatari diretti" qualora possano subire un pregiudizio dal
provvedimento finale. Per il procedimento ispettivo tale situazione potrebbe verificarsi qualora le ispezioni
condotte su soggetti pubblici o privati possano portare al disvelamento di fatti (es. segreti professionali,
industriali, condizioni di salute etc.) propri di persone fisiche o giuridiche estranee al controllo.
Anche per tali soggetti valgono le considerazioni svolte sulla possibilità di differire la comunicazione
e di partecipare al procedimento ai sensi della vigente disciplina normativa.
Qualche considerazione va poi sviluppata in relazione ad una evenienza che sovente si riscontra nel
corso dell’accertamento ispettivo: qualora l’ispettore riscontri fatti nuovi (illeciti o irregolari) che esulano
dall’ambito dell’indagine doverosamente delimitato dalla lettera di incarico, può l’organo procedente
ampliare ex se l’indagine in corso e effettuare riscontri su tali fatti?
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A nostro avviso, in tale situazione, l’ispettore procedente, ove non si tratti di fatti strettamente connessi e
conseguenziali ai fatti oggetto dell’indagine in corso, dovrebbe richiedere un supplemento di lettera di
incarico (da comunicare successivamente agli ispezionati nei tempi opportuni) per legittimare l’esercizio dei
propri poteri inquisitori.
Qualora ciò non avvenga, oltre a sorgere eventuali profili di responsabilità in capo all’ispettore, le
risultanze ispettive così acquisite potrebbero risultare, nonostante alcune sentenze in senso contrario,
illegittime ed avrebbero, a catena, un effetto invalidante sulla successiva attività amministrativa che le
avesse recepite. Pertanto, ove si verificasse una situazione del genere, l’amministrazione attiva non potrà
tener conto degli accertamenti ispettivi irregolarmente svolti.
b) Gli accertamenti istruttori e i poteri cautelari.
L’iter procedimentale, nella sua fase centrale istruttoria, si snoda in una serie di operazioni ed atti
(non necessariamente scritti), secondo una scelta discrezionale dell’organo ispettivo procedente, che
costituisce applicazione dei poteri riconosciuti dall’art. 6, 1. n. 241 del 1990 a qualsiasi responsabile del
procedimento. Ove a procedere sia un collegio ispettivo, trattandosi di collegio non perfetto, non è
necessaria la presenza contestuale di tutti gli ispettori nel corso dei vari incombenti istruttori, mentre
indefettibile è la firma di detti membri in calce alla relazione ispettiva.
Questa fase tende essenzialmente all’individuazione dei fatti, dei soggetti e degli interessi coinvolti
nel procedimento e degli elementi necessari per la loro valutazione .
Le operazioni e gli atti ispettivi, anche a volerne ammettere una propria autonomia strutturale, non
hanno tuttavia una loro autonomia funzionale: essi vanno dunque visti esclusivamente nella loro unitarietà,
come elementi della complessiva attività accertativa dell’ispettore.
Tali operazioni si traducono dell’acquisizione di documenti, nella ricognizione di luoghi,
nell’accertamento su bilanci o su macchinari, oltre che nell’audizione di soggetti (ispezionati e terzi) capaci
di fornire dati ed elementi utili ai fini dell’indagine.
Non riteniamo, in assenza di espressa previsione di legge, che siano applicabili, nei confronti
dell’ispezionato o di soggetti terzi in possesso di utili informazioni, le norme di procedura sul dovere di
testimoniare per i pubblici dipendenti. Tuttavia tale obbligo potrebbe essere indirettamente "imposto"
ricordando all’ispezionato (se intraneo alla p.a.) i rischi, aventi risvolti disciplinari, derivanti dalla violazione
di un ordine del superiore gerarchico qualora l’ispettore sia un sovraordinato rispetto all’ispezionato o la
domanda sia stata formulata, su richiesta dell’ispettore, dal superiore gerarchico diretto dell’ispezionato.
Comunque, qualora non sussista una supremazia gerarchica, la suddetta responsabilità disciplinare
potrebbe discendere dalla inosservanza del principio dellassidua e solerte collaborazione" cui l’impiegato
deve ispirare la propria condotta, nell’interesse dell’amministrazione per il pubblico bene" (art. 13 t.u. imp.
civ. St., oggi sostanzialmente ribadito dall’art. 5, lett. e) del d.lvo. 3 febbraio 1993 n. 29 (oggi TU 165 del
2001), dalla contrattazione collettiva - v. art. 25, co. 2, c.c.n.l. comparto ministeri 1994-1997 e succ mod.- e
dal d.m. funzione pubbl. 31 marzo 1994, c.d. codice deontologico oggi allegato al CCNL). Non va infine
trascurata la portata sistematica della previsione contrattuale, suscettibile di interpretazione estensiva, che
sancisce la comminatoria della sospensione dal servizio con privazione della retribuzione sino a 10 giorni
10
per il "rifiuto di testimonianza oppure per testimonianza falsa o reticente in procedimenti disciplinari" (v.
art. 23, co. 3, c.c.n.l comparto ministeri 1994-1997 e succ mod.) .
Tra gli atti ispettivi rivestono un ruolo centrale gli ordini: di esibire documenti, bilanci,
corrispondenza e di rilasciare copia di ogni atto o documento ritenuto pertinente ai fini dell’indagine, di
cessare una certa condotta illegittima, di adottare accorgimenti per evitare la protrazione di situazioni non
conformi a legge. Tali ultime due tipologie di "ordini" non sono di regola proprie dell’attività ispettiva, di
regola caratterizzata, come si è più volte sottolineato, da mere finalità acquisitive di elementi di giudizio.
Pertanto, per poter esercitare potestà proprie dell’amministrazione attiva - quali le due da ultimo
richiamate - appare indefettibile una previsione legislativa legittimante l’ispettore, come avviene, ad
esempio, in materia di ispezioni del lavoro.
Dell’eventuale rifiuto di esibizione e di consegna di documenti o di copia conforme degli stessi, di
ottemperare alle richieste di cessazione da condotte illegittime, nonché del rifiuto dell’ispezionato di
rispondere alle domande poste, l’ispettore deve fare necessaria menzione nel verbale ispettivo, sia per la
eventuale segnalazione ai competenti uffici disciplinari (per le ispezioni interne su pubblici dipendenti), sia
per trarne (per qualsiasi controllo ispettivo, interno o esterno) eventuali argomenti di prova circa i fatti da
accertare, così come previsto analogamente dall’art. 116, co. 2, c.p.c.
Il silenzio serbato dall’ispezionato a fronte delle domande o delle richieste formulate dall’ispettore
può assumere, in base a settoriali previsioni di legge, ulteriore valenza giuridica.
In particolare, in materia tributaria, è notevole l’effetto del rifiuto di esibire documenti da parte del
contribuente all’ispettore (ipotesi a cui è equiparata la dichiarazione di non possedere i documenti
richiesti): tali documenti non potranno essere presi in considerazione a favore del contribuente nel corso
del giudizio tributario (art. 52, co. 6, d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 633 sull’IVA applicabile anche per le imposte
dirette in virtù del richiamo contenuto nell’art. 33, d.P.R. 29 settembre 1973 n. 600).
La possibilità di impartire ordini da parte dell’ispettore non è tuttavia incondizionata, come meglio
si vedrà al successivo punto 3. In particolare va richiamato il diritto-dovere di "rimostranza" spettante al
subordinato destinatario dell’ordine (anche ispettivo) illecito, originariamente sancito dall’art. 17, d.P.R. n.
3 del 1957 (t.u. imp. civ. St.), ed oggi ribadito dalla contrattazione collettiva (v. l’art. 23, lett. h del c.c.n.l.
comparto ministeri, norma rinvenibile anche in altri contratti collettivi). In base alle predette disposizioni,
ove l’ordine sia palesemente illegittimo, il subordinato ha il dovere di esercitare il diritto di rimostranza. Se
l’ordine viene ribadito per iscritto, lo stesso va eseguito - con accollo di responsabilità in capo al superiore
gerarchico - salvo che la condotta non configuri un illecito penale o amministrativo (previsione,
quest’ultima, che costituisce una novità rispetto all’originaria formulazione dell’istituto contenuta nell’art.
17, d.P.R. n .3 del 1957, che limitava il divieto di ottemperanza alla sola commissione di illeciti penali). Non
esercitando tale diritto-dovere di rimostranza, il subordinato incorre in responsabilità amministrativa
qualora porti ad esecuzione un ordine illegittimo foriero di danno erariale .
Deve ritenersi, in assenza di espressi divieti sul punto, che l’ispezionato possa farsi assistere nel
corso dell’indagine da consulenti e difensori, purché l’esercizio di tale facoltà non comporti intralci o
addirittura la sospensione dell’ispezione (ad es. in attesa dell’arrivo del consulente) e a condizione che
l’intervento di tali soggetti non aggravi l’iter procedimentale (in violazione dell’art. 1, co. 2, 1. n. 241 del
1990). Tuttavia trattandosi di un diritto non riconosciuto dalla legge, nulla impedisce che l’ispettore possa
legittimamente non acconsentire a tale assistenza.
11
Al contrario non riteniamo che l’ispettore, di per sé tecnico della materia oggetto di controllo,
possa valersi di consulenti esterni per chiarire aspetti dell’accertamento in corso, salvo espressa previsione
normativa legittimante.
Tra le attività istruttorie dell’ispettore va poi ricordata la possibile richiesta ad altri organi di controllo di
relazioni o delibere redatte all’esito della rispettiva indagine. Specularmente anche le risultanze ispettive
possono essere oggetto di richiesta da parte di altri organi di controllo (es. Corte dei conti, ex art. 3, co. 8, 1.
14 gennaio 1994 n. 20).
Nel corso dell’istruttoria procedimentale l’ispettore procedente gode, al pari di un qualsiasi
responsabile del procedimento, di ampia autonomia nella gestione dell’iter ispettivo. In particolare
riteniamo condivisibile quell’indirizzo dottrinale che ritiene che eventuali ordini del superiore gerarchico
(es. capo del servizio ispettivo) rivolti al responsabile del procedimento proprio subordinato (es. ispettore
procedente) durante gli accertamenti istruttori abbiano valenza giuridica non già di ordini, ma di meri
consigli, non vincolanti e disattendibili . In caso di forti contrasti permane in ogni caso in capo al titolare
dell’ufficio ispettivo il generale potere di motivata avocazione del procedimento (es. per inerzia del proprio
subordinato) inizialmente assegnato ad un ispettore appartenente alla propria unità operativa.
Va da ultimo segnalato che i soggetti coinvolti nel procedimento ispettivo, quali destinatari
dell’obbligo di comunicazione di avvio del procedimento, possono in fase istruttoria esercitare i diritti
partecipativi prescritti dall’art. 10 della 1. n. 241 del 1990. In particolare riteniamo che possano fare inserire
proprie dichiarazioni nel verbale ispettivo, possano prendere visione degli atti del procedimento (nei limiti
che saranno indicati al successivo punto 3) e possano presentare memorie scritte e documenti che
l’amministrazione ha l’obbligo di valutare ove siano pertinenti all’oggetto del procedimento. L’omessa
valutazione ditali osservazioni si può tradurre in una violazione di legge, o, quanto meno, un eccesso di
potere, azionabile in giudizio.
Nel corso dell’istruttoria procedimentale l’ispettore può esercitare, ove ne sussistano i presupposti, poteri
cautelari e d’urgenza per far cessare situazioni di grave pericolo o danno riscontrate. Trattasi di potere
inerente all’attività ispettiva, nonostante opinioni in senso contrario, in quanto pertinente all’attività svolta,
anche se è innegabile che dal suo esercizio un organo di regola preposto a funzioni di controllo verrebbe ad
essere investito di compiti di amministrazione attiva.
Tali poteri risultano attribuiti ad ogni responsabile del procedimento da una previsione generale,
costituita dall’art. 7, co. 2, 1. n. 241 del 1990, che risulta ribadita settorialmente, proprio in materia
ispettiva, dall’art. 12, d.P.R. 30 giugno 1972 n. 748, norma formalmente applicabile alle sole ispezioni
interne e difficilmente estensibile in via interpretativa o analogica anche alle ispezioni esterne alla luce del
principio di tipicità e legalità dell’azione amministrativa. Non mancano poi norme che settorialmente (si
pensi alle "diffide" ex art. 9, d.P.R. 19 marzo 1955 n. 520 ed ex art. 21, 1. 23 dicembre 1978 n. 883 in
materia di ispezioni sulla sicurezza ed igiene del lavoro) attribuiscono poteri cautelari agli organi di
controllo.
In ordine al potere cautelare riconosciuto dall’art. 7, co. 2, 1. n. 241 cit., esercitabile anche prima
della comunicazione di avvio di procedimento, secondo parte della dottrina lo stesso potrebbe essere
esercitato solo ove vi sia una espressa previsione di legge che settorialmente attribuisca tale potere
all’amministrazione, violandosi, in caso contrario, il principio di tipicità degli atti amministrativi. Dunque la
previsione de qua sarebbe una mera norma di richiamo priva di autonomia funzionale come invece avviene
per il similare potere cautelare atipico conferito al giudice (es. art. 700 c.p.c.).
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In senso contrario si è espresso qualche altro autore, qualificando tale potere come "generale",
rispondente ad esigenze efficientistiche valorizzate dal legislatore del 1990. Ovviamente l’esercizio di tale
potere non potrà essere libero ed indiscriminato, ma ancorato ad una attenta valutazione dei presupposti
legali (esigenze di celerità, presenza di un grave pregiudizio), la cui insussistenza sarà valutabile dal giudice.
Riteniamo che in materia ispettiva il sunteggiato contrasto dottrinale non ha ragion d’essere,
operando comunque una norma specifica (il cennato art. 12, d.P.R. n. 748 del 1972) che legittima, quanto
meno per le ispezioni interne, l’esercizio del suddetto potere cautelare.
Non mancano comunque previsioni settoriali che conferiscono tali poteri d’urgenza ai corpi ispettivi. La
giurisprudenza ha assai raramente vagliato controversie relative al legittimo esercizio di tali poteri cautelari
.
Questi ultimi assumono, di solito, natura di "ordini amministrativi" (es. ordine di distruggere certa merce in
decomposizione, di cessare una certa condotta che sta provocando gravi danni all’erario, di sospendere i
lavori illeciti, di eliminare una situazione di pericolo per la sicurezza del lavoro).
L’adottabilità di poteri cautelari in sede di accertamento ispettivo ha dei risvolti assai rilevanti sul piano
giustiziale, in quanto, gli ordini a tal fine impartiti dall’ispettore sono di regola immediatamente impugnabili
innanzi al competente giudice.
Per concludere sul punto, può comunque ritenersi che. quand’anche l’ispettore non godesse del
suddetto potere cautelare, innanzi ad un grave pericolo o danno riscontrato in sede ispettiva potrebbe
notiziare con la massima urgenza il dirigente dell’ufficio (o il titolare del bene) ispezionato, chiedendo un
immediato intervento di quest’ultimo.
c) La relazione ispettiva.
Il procedimento ispettivo si conclude con la redazione da parte dell’ispettore (o del collegio
ispettivo) di un "verbale d’ispezione" o di una "relazione d’ispezione", con cui si esternano al titolare
dell’unità operativa da cui si dipende (o all’organo di vertice dell’amministrazione) i risultati acquisiti,
integrati da eventuali proposte. Non mancano settorialmente dei sinonimi: ad es., per le ispezioni
tributarie, il verbale viene definito "processo verbale di constatazione".
Tale atto conclusivo del sub-procedimento ispettivo viene inviato all’organo che ha disposto
l’ispezione e alle competenti autorità giudiziarie in caso di riscontro di fatti rilevanti penaImente o dannosi
per l’erario. Inoltre le risultanze ispettive possono essere utilizzate anche per arricchire e completare
l’istruttoria di procedimenti diversi da quello che ha originato lo specifico accertamento o, come già
ricordato, possono essere recepite (d’ufficio o su produzione di parte, a seconda dei casi) dalla magistratura
per istruttorie giurisdizionali di propria competenza.
Alcuni autori distinguono le ispezioni da esternare dalle ispezioni da non esternare, venendo con ciò a
scindere l’atto nel quale si dichiarano i risultati dell’acquisizione di scienza conseguiti con l’ispezione (che,
secondo tale tesi, potrebbe anche mancare nell’ipotesi che l’accertamento ispettivo non abbia seguito
alcuno) dall’atto ispettivo in sé, il quale può essere considerato isolatamente come momento di
acquisizione di scienza, non necessariamente seguito dal momento dichiarativo e quindi senza che possa
dar luogo a certezze qualificate.
13
Tale tesi non ci sembra condivisibile in considerazione del fatto che il procedimento ispettivo, al
pari di qualsiasi procedimento amministrativo, è destinato necessariamente a concludersi con un atto
espresso, la relazione (o verbale) ispettiva, con cui si attesta l’esistenza o l’inesistenza di un fatto verificato
dall’organo di controllo nel corso dell’ispezione (contenuto necessario), e con la quale si propongono
rimedi a fronte di disfunzioni riscontrate (contenuto eventuale).
Il verbale fa prova, fino a querela di falso, circa le operazioni avvenute innanzi all’ispettore.
Ovviamente nessun valore vincolante assumono la parte logico-critica del verbale stesso e le eventuali
proposte (o suggerimenti) formulate dall’organo inquirente, liberamente valutabili dalla p.a. o dal giudice.
Come si è più volte sottolineato, sia il verbale, che costituisce, secondo alcuni, un atto più solenne
della relazione e che può avere una rilevanza anche esterna (attivando interventi sanzionatori o
ripristinatori) ed è finalizzato a dare particolare rilevanza giuridica agli elementi rilevati, sia la stessa
relazione d’ispezione (atto interno d’ufficio), si configurano, di regola, o come atti conclusivi del subprocedimento ispettivo, o come atti istruttori (e talvolta propulsivi, e cioè di input) di un più ampio
procedimento di controllo, in cui l’ispezione rappresenta uno dei momenti della fase acquisitiva.
Pertanto, come meglio si evidenzierà al successivo punto 4, tali atti conclusivi dell’iter ispettivo, così
come i già analizzati "ordini" istruttori dell’organo inquirente, non sono idonei, di regola, a ledere
direttamente posizioni soggettive rilevanti di terzi, risultando insuscettibili di autonoma impugnativa in
sede amministrativa o giurisdizionale per mancanza di "attualità" dell’interesse del ricorrente.
Potrà dunque essere impugnato innanzi al giudice amministrativo, talvolta congiuntamente al verbale (o
relazione) d’ispezione, l’atto finale (avente rilevanza esterna) del procedimento di controllo (ad es. un
provvedimento disciplinare, un provvedimento di revoca di un beneficio, un avviso di accertamento), che
ne recepisca i contenuti eventualmente viziati (c.d. "invalidità derivata"), essenzialmente sotto il profilo
della violazione di legge (es. per inosservanza dei precetti della 1. n. 241 del 1990) o dell’eccesso di potere,
nelle forme dell’errore, del travisamento dei fatti e della contraddittorietà.
Ove tuttavia il verbale, consegnato in copia all’ispezionato, risulti eccezionalmente di per sé
immediatamente lesivo di situazioni soggettive facenti capo al soggetto controllato, costui potrà impugnare
direttamente l’atto, secondo i consueti principi generali.
In questa ipotesi andranno poi valutati i riflessi caducanti o, più correttamente, invalidanti sull’atto
conseguenziale (es. sanzione disciplinare etc.) derivanti dall’annullamento del verbale ispettivo.
Spesso quest’ultimo viene recepito, sotto altro profilo, dall’atto finale, costituendone per relationem la
motivazione, purché del verbale (o relazione) si faccia espressa menzione e lo stesso sia reso disponibile a
favore degli interessati (art. 3, co. 3, 1. n. 241 del 1990).
La relazione ispettiva non ha natura di provvedimento amministrativo, in quanto risulta priva di
autoritatività. Si configura pertanto come mero atto amministrativo con funzioni conoscitive per
l’amministrazione, ed è quindi, di regola, un atto interno.
Una autonoma ed ulteriore rilevanza giuridica poteva in passato assumere il processo verbale
ispettivo in alcuni settoriali materie, quale quella tributaria: difatti, prima della declaratoria di illegittimità
della norma operata da C. cost., 15 ottobre 1987 n. 364, entro trenta giorni dalla notifica del verbale
ispettivo (rectius "di contestazione") era possibile estinguere talune violazioni contestate, versando una
somma pari ad un sesto del massimo della pena pecuniaria applicabile (art. 55. co. 3, d.P.R. 29 settembre
14
1973 n. 600). Inoltre il verbale di ispezione consente ancora oggi alla direzione regionale delle entrate, su
autorizzazione del Presidente del Tribunale, di iscrivere ipoteca sui beni del debitore (art. 26, 1. 7 gennaio
1929 n. 4).
Notevole è anche la valenza probatoria del verbale dell’ispettore del lavoro: esso costituisce prova
scritta per l’ingiunzione di pagamento dei contributi omessi ex art. 635 c.p.c., mentre nel successivo
giudizio di opposizione i fatti attestati nel verbale possono essere contraddetti dalla prova contraria
dell’interessato.
La forma della relazione è doverosamente scritta (art. 2, co. 1, 1. n. 241 cit.), e non sembra dunque
corretta la prassi, talvolta riscontrabile all’esito di ispezioni di minore importanza, di far confluire le
risultanze istruttorie in relazioni orali. La forma scritta è infatti indispensabile in quanto è proprio dai
risultati dell’indagine che emergono rilievi e considerazioni (di cui occorre lasciare traccia documentaria)
necessari, al pari di altre risultanze istruttorie, per l’adozione di eventuali provvedimenti di amministrazione
attiva. Va ricordato che l’art. 18, d.P.R. 10 novembre 1997 n. 513 avalla anche la possibilità della
formulazione "informatica" della relazione.
Il contenuto, tendenzialmente non legato a schemi o regole predeterminate, deve evidenziare gli
estremi della lettera d’incarico, la data di inizio e la durata degli accertamenti, gli adempimenti effettuati e
le risultanze cui si è pervenuti. Esso viene di solito integrato da processi verbali, dichiarazioni rese, copie di
documenti acquisiti, ecc.
Disposizioni particolari conferiscono all’ispettore la facoltà di formulare proposte e suggerimenti
all’amministrazione attiva circa le misure da adottare, anche se, a nostro avviso, si tratta di un potere
legittimamente esercitabile dall’ispettore a prescindere da una previsione normativa, trattandosi di un
ausilio molto utile per l’amministrazione attiva e che non pregiudica la libera valutazione da parte di
quest’ultima, mai vincolata dai suggerimenti dell’inquirente (es. circa la tipologia delle sanzioni da
comminare) che può sempre disattendere.
Maggiormente legate a schemi-tipo e a regole precise sono le ispezioni e le relazioni finali di carattere
tecnico o contabile (si pensi ai rapporti ispettivi della Banca d’Italia).
Il verbale viene poi sottoscritto dall' ispettore e di regola dal soggetto ispezionato (tra le varie settoriali
previsioni confermative ditale regola generale, v. art. 52, co. 7, d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 633; art. 25, d.P.R.
10 luglio 1991 n. 231 sui controlli ispettivi del Garante per la radiodiffusione e l’editoria; art. 10, d.lg. 17
marzo 1995 n. 230, sui controlli ispettivi dell’agenzia nazionale per la protezione dell’ambiente sulla
sicurezza degli impianti e la protezione sanitaria contro i pericoli delle radiazioni ionizzanti derivanti
dall’impiego pacifico dell’energia nucleare). Se l’ispezionato, soprattutto per le ispezioni "esterne", sia una
persona giuridica, la sottoscrizione dovrà essere apposta dal legale rappresentante dell’ente.
Se il soggetto "controllato" rifiuti di apporre la firma, l’ispettore dovrà farne menzione nella
relazione indicandone i motivi, se dichiarati.
Qualora l’ispezione non sia effettuata da un singolo ma da un collegio, si pone il rilevante quesito
circa la possibilità di non sottoscrivere il verbale da parte di uno dei componenti in disaccordo sul
contenuto. Sul punto va premesso che, secondo la giurisprudenza, il collegio ispettivo non è un collegio
perfetto che richiede la contestuale presenza di tutti i componenti nel corso delle varie operazioni di
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acquisizione di dati: è solo necessario che le conclusioni dell’ispezione siano adottate collegialmente e
sottoscritte all’unanimità.
Troverà comunque applicazione la generale disciplina circa le modalità di espressione del dissenso
negli organi collegiali, sancita dall’art. 24, d.P.R. n. 3 del 1957 cit., che prevede la formalizzazione per
iscritto di tale dissenting opinion.
Tale previsione, da un lato consente di comprovare l’avvenuto valido espletamento dell’ispezione
da parte dell’intero collegio, dall’altro rispetta il "diritto al dissenso" di uno dei suoi componenti. Va
comunque anticipato già in questa sede che, dopo l’entrata in vigore della legge 14 gennaio 1990 n. 205, la
formalizzazione del dissenso scritto non è più necessaria per escludere la propria responsabilità
amministrativa collegiale (in passato solidale in assenza di dissenting opinion scritta) derivante
dall’adozione di un atto illecito, essendo sufficiente la mera astensione (art. 1-ter, 1. n. 20 cit.).
La consegna di copia del verbale all’ufficio (o persona fisica, o ente) ispezionato, affinché questo
recepisca i rilievi contestati e vi ponga rimedio per il futuro, pur costituendo un generale principio di buona
amministrazione, è testualmente prevista solo per alcune ispezioni (es. art. 52, co. 7, d.P.R. 26 ottobre 1972
n. 633, per le ispezioni tributarie; art. 71, r.d. 26 aprile 1928 n. 1297 per le ispezioni scolastiche, art. 10,
d.lvo. 17 marzo 1995 n. 230, sui controlli ispettivi dell’A.N.P.A.).
La giurisprudenza ha comunque evidenziato la diversa funzione assolta dalla consegna del verbale ispettivo
rispetto alla successiva contestazione degli addebiti (ai fini disciplinari o per l’esercizio di poteri di
autotutela o sanzionatori).
Ulteriore finalità della consegna è quella di instaurare una sorta di contraddittorio con l’ispezionato, a cui è
consentito replicare agli addebiti mossigli, per evitare l’applicazione delle sanzioni conseguenti ad un
verbale ispettivo a sé sfavorevole. Le osservazioni di quest’ultimo a confutazione delle risultanze ispettive
potrebbero ragionevolmente indurre l’amministrazione attiva a disattendere le conclusioni dell’ispettore,
prevenendo un eventuale contenzioso giudiziario fondato su risultanze istruttorie non pienamente
convincenti (o, talvolta, addirittura inconsistenti o palesemente illegittime) .
In ogni caso la quasi totalità dei procedimenti di amministrazione attiva successivi al subprocedimento ispettivo prevedono forme espresse di contraddittorio prima di comminare sanzioni o prima
di adottare provvedimenti restrittivi nei confronti dell’ispezionato (emblematico in tal senso è il
procedimento disciplinare).
In passato, prima dell’entrata in vigore della legge n. 241 del 1990, l’omessa instaurazione del
contraddittorio fu censurata, in un isolato precedente giurisprudenziale, sotto il profilo dell’eccesso di
potere del provvedimento di amministrazione attiva assunto senza aver sentito le controdeduzioni
dell’ispezionato.
Alcune disposizioni, soprattutto nel campo delle ispezioni esterne (intersoggettive), prevedono tra il
momento della consegna della relazione e l’adozione dei provvedimenti conseguenziali (sanzioni
disciplinari, revoca di autorizzazioni, denunce penali) una approfondita revisione della relazione stessa ad
opera di appositi organi, per valutare la completezza dell’analisi e i rilievi effettuati (è il caso dei rapporti
ispettivi della Banca d’Italia e dell’ISVAP).
5
Sul tema TENORE, La nuova Corte dei conti: responsabilità, pensioni, controlli, Milano 2008 Giuffrè, II ed.
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Per quanto riguarda, in generale, gli esiti della relazione, non riteniamo che l’amministrazione attiva
sia obbligata a provvedere sulla base delle risultanze dell’ispezione, ma abbia piena facoltà di disattendere
le conclusioni dell’indagine, o, addirittura, di rimanere assolutamente inerte. Restano ovviamente
impregiudicati i risvolti civili, penali ed amministrativo-contabili di tale inerzia serbata dalla p.a. qualora i
fatti accertati in sede di inchiesta avessero richiesto un doveroso intervento da parte dei competenti
organi.
Va infine rilevata la mancanza, nel nostro ordinamento, di una norma di portata generale che
obblighi l’amministrazione ad informare l’ufficio ispettivo dei provvedimenti esterni adottati all’esito degli
accertamenti effettuati nel corso del procedimento di controllo e soprattutto delle eventuali contestazioni
mosse dagli ispezionati al personale ispettivo. Trattasi di censurabile carenza organizzativa e normativa, che
non consente al personale ispettivo di rilevare eventuali errori compiuti al fine di evitarne il ripetersi in
successivi controlli.
Occorre farsi carico del problema relativo alla possibilità di esercitare il diritto di accesso da parte
dell’ispezionato nei confronti degli atti ispettivi.
3. L’ACCESSO AGLI ATTI ISPETTIVI DOPO LE LEGGI N. 241 DEL 1990 E N. 675 DEL 1996 (OGGI TU 196
del 2003).
La tutela dell’ispezionato non va limitata ai soli (limitati) rimedi giurisdizionali, ma va estesa anche ai
mezzi di tutela infraprocedimentali, assai valorizzati dalla più recente normativa (1. 7 agosto 1990 n. 241; 1.
11 luglio 1995 n. 273).
Tra tali strumenti un ruolo essenziale assume l’istituto del diritto di accesso (art. 10 e 22 ss., 1. n. 241
cit.).
La questione relativa alla accessibilità da parte dell’ispezionato alle relazioni ispettive si è spesso posta
in giurisprudenza, soprattutto in relazione a fattispecie in cui il "controllato" ha tentato con tale mezzo di
individuare, con verosimili finalità vendicative, l’autore dell’esposto che aveva dato origine all’indagine
amministrativa confluita in sanzioni in capo all’ispezionato stesso .
Occorre a tal proposito premettere che non si pone alcuna limitazione all’accesso, se non quella della
pertinenza dell’atto e della legittimazione del richiedente, a fronte di richieste pervenute ad organi ispettivi
da parte di altre amministrazioni che abbiano necessità di acquisire le risultanze ispettive per
l’espletamento dei propri compiti istituzionali (es. Corte dei conti, ex art. 3, co. 8, 1. 14 gennaio 1994 n. 20).
Al di fuori di questa peculiare richiesta di accesso, unico presupposto ex lege perché l’ispezionato possa
esercitare il c.d. "accesso interno" agli atti ispettivi (lettera d’incarico, relazione ispettiva) è dato dall’essere
destinatario della comunicazione di avvio di procedimento (art. 10, lett. a, 1. n. 241 del 1990 cit.). Trattasi di
un tipico strumento di partecipazione volto al riscontro di eventuali carenze o illegittimità poste in essere
dall’ispettore, avverso le quali l’interessato può presentare memorie scritte e documenti che la p.a. (e
dunque sia l’ispettore procedente che l’amministrazione attiva destinataria della relazione ispettiva) ha
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l’obbligo di valutare, sempre che si tratti di atti pertinenti all’indagine, anche se poi successivamente se ne
discosti motivatamente (art. 3, 1. 241 cit.).
Tale accesso interno agli atti ispettivi, con la connessa facoltà di produzione documentale, è
consentito anche agli altri eventuali destinatari della comunicazione di avvio di procedimento diversi
dall’ispezionato e cioè ai soggetti diversi dai destinatari del provvedimento, nei cui confronti il
provvedimento stesso possa cagionare un pregiudizio (art. 7, co. 1, 1. cit.).
Distinto da tale accesso interno, ma pur sempre rispondente a principi di buona amministrazione,
trasparenza ed imparzialità, è il c.d. accesso esterno, previsto dagli art. 22 ss., 1. n. 241 (novellata nel 2005),
a favore non già dell’ispezionato destinatario del provvedimento finale (o degli altri soggetti previsti
dall’art. 7, 1. n. 241 cit.), ma di "chiunque vi abbia interesse per la tutela di situazioni giuridicamente
rilevanti".
Tale situazione legittimante, come ha più volte sottolineato la giurisprudenza, non coincide con la
legittimazione ad impugnare il provvedimento finale, essendo il diritto di accesso sorretto anche da una
finalità partecipativa e di controllo sulla trasparenza e sulla imparzialità dell’azione amministrativa.
Ne consegue che l’istante non deve possedere necessariamente tutti i requisiti che
legittimerebbero il ricorso al giudice amministrativo avverso un atto lesivo della posizione soggettiva
vantata. L’istanza può quindi prescindere anche dall’attualità ad agire in giudizio e in tal caso l’accesso agli
atti potrebbe prevenire un successivo giudizio, ove il cittadino si renda conto della correttezza degli
accertamenti effettuati dalla p.a.
Tale situazione legittimante è stata da taluni autori ricondotta alla nozione di diritto soggettivo, da
altri a quella di interesse legittimo. Tale seconda tesi è stata oggi recepita dal Consiglio di Stato in Adunanza
plenaria.
È appena il caso di ricordare che l’accesso agli atti ispettivi non subisce alcuna limitazione dalla
funzione meramente preparatoria ed endoprocedimentale assolta dal peculiare controllo. Come ha
opportunamente rimarcato la giurisprudenza, la funzione preparatoria e strumentale dell’ispezione non
contrasta con la sua natura di attività tipicamente amministrativa, nel corso della quale vengono formati o
utilizzati documenti amministrativi al cui accesso può essere legittimato il portatore di un interesse
giuridicamente rilevante correlato a detta attività. Ed è parimenti irrilevante l’esito dello sviluppo
dell’indagine in provvedimenti restrittivi o meno della posizione soggettiva dell’ispezionato (es. sanzioni
disciplinari).
Una volta individuati i titolari del diritto di accesso, occorre vagliare il centrale problema relativo
alla sussistenza di limiti all’esercizio di tale diritto procedimentale.
Va ribadito, in via generale, che l’art. 2, co. 2, 1. n. 241 del 1990, consente espressamente l’accesso
anche agli atti "interni" formati o utilizzati dall’amministrazione, nozione a cui sono certamente
riconducibili gli atti del sub-procedimento ispettivo.
Tuttavia l’attuale disciplina del diritto di accesso, sia esso interno (art. 10, 1. 241), sia esso esterno
(art. 22, 1. cit.), prevede puntuali limitazioni legali e regolamentari al suo esercizio. In particolare, sono
espressamente segretati (art. 24, 1. n. 241) i documenti coperti da segreto di Stato, quelli la cui
divulgazione è vietata dall’ordinamento (cioè da norme specifiche diverse dalla 1. n. 241 del 1990), quelli
esclusi dall’accesso da appositi regolamenti governativi (d.P.R. 27 giugno 1992 n. 352, d.P.R. n.184 del
18
2006) e ministeriali (per motivi di sicurezza e difesa nazionale, di politica monetaria e valutaria, di ordine
pubblico e prevenzione di reati, di tutela della riservatezza di terzi, di tutela della contrattazione collettiva
in corso: art. 22, co.6, 1. cit.), quelli preparatori di atti normativi generali, di pianificazione e di
programmazione, quelli afferenti procedimenti tributari (art. 24, co. 1, 1. cit.).
In base a tale quadro normativo, possono trarsi, in relazione al peculiare procedimento ispettivo, le
seguenti conclusioni:
a) in assenza di una espressa norma primaria o di una puntuale indicazione in sede regolamentare (ex art.
24, co. 4, 1. n. 241) che escluda gli atti del procedimento ispettivo dall’accesso, quest’ultimo è pienamente
esercitabile sia da parte dell’ispezionato, sia da chiunque vi abbia un interesse giuridicamente rilevante.
b) In coerenza con quanto affermato al punto a), l’amministrazione può negare l’accesso agli atti ispettivi se
vi osta una tassativa previsione normativa. È il caso, ad esempio, degli atti degli ispettori tributari, rientranti
nella nozione di "procedimento tributario", e, come tali, sottratti all’accesso in base al combinato disposto
degli art. 13, co. 2 e 24. co. 1, 1. n. 241 del 1990. oppure degli atti degli ispettori della Banca d’Italia,
segretati in base all’art. 7, d.lg. 1 settembre 1993 o. 385 o della Consob, segretati ex art. 1, co. 11, 1. 7
giugno 1974 n. 216.
c) Parimenti sottratti all’accesso saranno gli atti ispettivi inclusi tra gli atti segretati dei regolamenti che
ciascuna pubblica amministrazione abbia adottato in attuazione dell’art. 24, co. 2, 1. n. 241. Qualora ciò
non fosse avvenuto (per mancata adozione dei regolamenti ministeriali o per mancata inclusione in tali
decreti degli atti ispettivi), la segretazione degli atti ispettivi potrebbe essere opposta, ex art. 13, d.P.R. 27
giugno 1992 n. 352 (oggi d.P.R. n.196 del 2003), con provvedimento analiticamente motivato con
riferimento alle materie sottratte all’accesso ex art. 8, d.P.R. n. 352 cit.. In particolare, in base a
quest’ultima previsione regolamentare, potrebbe essere motivatamente negato l’accesso agli atti ispettivi
qualora possa derivare un pregiudizio alla sicurezza e alla difesa nazionale (es. ispezioni del Ministero
dell’interno), ai processi di formazione, determinazione e attuazione della politica monetaria e valutaria (es.
ispezioni della Banca d’Italia, dell’U.I.C.), alla tutela dell’ordine pubblico, alla prevenzione e repressione
della criminalità, all’attività della polizia giudiziaria, alla vita privata o alla riservatezza di persone fisiche o
giuridiche.
d) L’accesso agli atti ispettivi potrebbe essere inoltre escluso in base all’art.24, co.5, l. n.241, qualora gli
stessi contengano "informazioni connesse" agli interessi indicati dall’art. 24, co. 1 e 6, 1. n. 241. In tal caso
la segretazione sarà opponibile "nell’ambito e nei limiti di tale connessione".
e) L’accesso agli atti ispettivi può altresì essere oggetto di "differimento" (art.24, co.4 e 6, l. n.241), che, in
base alla vigente disciplina, può essere obbligatorio o facoltativo. Il primo caso si configura nelle tassative
ipotesi previste dall’art.24 co.6, l..n.241 e i valori ivi salvaguardati. Le singole amministrazioni individuano
dunque negli stessi regolamenti che annoverano gli atti definitivamente sottratti all’accesso anche quelli
temporaneamente non visionabili.
La seconda ipotesi (differimento facoltativo ex art. 24, co. 4, 1. n. 241) è sottratta al principio di tassatività,
in quanto è espressione di una scelta discrezionale della p.a., esercitabile quando la conoscenza dei
documenti richiesti "possa impedire o gravemente ostacolare lo svolgimento dell’azione amministrativa".
19
La presenza delle sunteggiate limitazioni, soprattutto di quelle statuite a livello regolamentare ed in
particolare il limite della "riservatezza di persone fisiche o giuridiche", pone dei rilevanti problemi per un
adeguato esercizio del diritto di accesso, soprattutto in materia ispettiva.
Dei limiti alla comprimibilità del diritto alla conoscenza procedimentale si è in tempi recenti
interessata la magistratura amministrativa, che ha dovuto necessariamente graduare i due fondamentali
valori costituzionali che si contrappongono in sede di accesso: da un lato il diritto alla tutela della privacy
del terzo ed alla segretazione in generale, come delimitata dall’art. 24, 1. 241 (e relativi regolamenti
attuativi), dall’altro il diritto alla difesa di proprie situazioni soggettive da parte del destinatario dell’atto
lesivo.
In particolare, l’adunanza plenaria del Consiglio di Stato, con sentenza 4 febbraio 1997 n. 5, poi confermata
da successive decisioni, talune delle quali proprio in materia ispettiva, ha risolto il contrasto dando
espressamente prevalenza al diritto di accesso sulla riservatezza, ove il primo sia "necessario per la cura o
difesa di interessi giuridici". Le conclusioni si fondano sia su argomenti sistematici, sia sul contenuto
testuale dell’art. 24, co. 2, lett. d), 1. n. 241 cit., dell’art. 8, lett. d), d.P.R. n. 352 del 1992 e delle identiche
previsioni contenute nei regolamenti adottati ex art. 24, co. 4, 1. n. 241.
Tuttavia il supremo giudice amministrativo ha contemperato gli interessi contrapposti, chiarendo che tale
accesso sarà limitato alla mera visione degli atti necessari, senza prenderne copia (limitazione c.d. modale o
procedimentale all’accesso) e poterli trascrivere (questa seconda limitazione non sembra tuttavia avere un
avvallo normativo). Tale limite è da ritenere oggi superato dagli art.24, co.7, l. n.241 e dagli art.59 e 60,
d.lgs. n.196 del 2003 che prevedono la possibilità di accesso-consegna dell’atto, ancorchè contenente dati
sensibili del terzo, se necessario per curare o difendere propri interessi giuridici. Sul punto è sufficiente
rinviare a studi specifici6.
Può quindi concludersi, completando il sintetico prospetto riassuntivo di cui ai punti a)-d), che la
segretazione degli atti, anche ispettivi, individuati dall’art. 24, co. 1 e 6, 1. n. 241 del 1990 (nonché, in sua
attuazione, dai vari d.m. adottati ex art. 24, co. 4, 1. n. 241) può essere superata attraverso la la visione o
consegna degli stessi, qualora l’accesso sia necessario alla conoscenza di dati indispensabili per la tutela
giuridica, anche giudiziaria, di diritti essenziali. Evenienza, questa, sulla cui sussistenza in concreto
l’amministrazione destinataria della richiesta, secondo la giurisprudenza, non ha alcun sindacato.
Parte della dottrina, nel prendere atto della scelta operata dalla giurisprudenza, ha assai
opportunamente tentato di mitigare la "vittoria" dell’accesso sulla privacy, affermando che la prevalenza
del primo valore va limitata alle sole ipotesi in cui l’accesso risulti finalizzato alla cura di un diritto
fondamentale (es. salute, lavoro) di valenza costituzionale. Qualora, invece, l’accesso sia teso alla cura di un
interesse legittimo o di un diritto soggettivo non fondamentale, dovrebbe prevalere la privacy, espressione
anch’essa di valori costituzionali (art. 2 cost.). Tale indirizzo, pienamente adattabile alla peculiare materia
ispettiva, appare pienamente condivisibile, rappresentando alla luce degli art.59 e 60 del t.u. n.196 del
2003 e dell’art.24, co.7, l. n.241 una corretta applicazione della gerarchizzazione dei valori costituzionali e
delle connesse situazioni soggettive.
Le conclusioni cui è addivenuta la richiamata giurisprudenza consentono di affermare che è dunque
consentito un accesso agli atti ispettivi, ancorché segretati in base ad apposito regolamento (ad es. perché
6
TENORE, L’incidenza della nuova legge n.241 del 1990 sulle pubbliche amministrazioni, Cedam Padova, 2006, 282
ss.
20
incidenti sulla riservatezza di terzi), qualora l’ispezionato, o un soggetto terzo legittimato ex art. 22, 1. n.
241, ne faccia richiesta per la tutela giuridica, anche giudiziaria, di diritti essenziali di cui dovrà dare
adeguata contezza in sede di formulazione dell’istanza di accesso.
21
PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI DIPARTIMENTO DELLA FUNZIONE PUBBLICA ,
DIRETTIVA 2 luglio 2002 (in Gazz. Uff., 31 luglio, n. 178). - Direttiva sull'attività d'ispezione.
IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI
A tutte le Pubbliche Amministrazioni
Vista la legge 23 agosto 1988, n. 400, recante la disciplina dell'attività di Governo e ordinamento della
Presidenza del Consiglio dei Ministri;
Visto il decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 303, recante l'ordinamento della Presidenza del Consiglio dei
Ministri, a norma dell'art. 11 della legge 15 marzo 1997, n. 59;
Visto il decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, recante norme generali sull'ordinamento del lavoro alle
dipendenze delle amministrazioni pubbliche;
Ritenuto di individuare le linee-guida per l'ispettore attraverso una rivisitazione sistematica dei criteri e dei
modi delle attività verificatorie in ambito pubblico;
Visto il decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 9 agosto 2001, recante la delega di funzioni al
Ministro senza portafoglio on. dott. Franco Frattini, in materia di funzione pubblica e di coordinamento dei
servizi di informazione e sicurezza;
emana la seguente:
Direttiva sulle attività d'ispezione
Articolo 1
r>Premessa.
Il Ministro per la funzione pubblica intende contribuire alla definizione dei principi che regolano le attività
di ispezione, diretto strumento conoscitivo delle diverse realtà delle amministrazioni, particolarmente utile
per promuovere politiche orientate ad aggiornare e migliorare il servizio ai cittadini ed alle imprese.
Le ispezioni, finora, si sono basate principalmente su regole non scritte, facendo affidamento alla
professionalità ed alla competenza degli ispettori. é opportuno, quindi, definire sistematicamente criteri e
modi con cui questa attività deve svolgersi.
I contatti da tempo instaurati tra gli uffici d'ispezione dei Ministeri degli affari esteri, dell'interno, della
difesa, dell'economia e delle finanze, del lavoro e delle politiche sociali e l'Ispettorato della funzione
pubblica hanno evidenziato la sostanziale omogeneità dei problemi e quesiti sorti sull'argomento. La
collaborazione si è sviluppata anche con il supporto di docenti universitari e della scuola superiore della
pubblica amministrazione ed ha fatto emergere l'esigenza di un riesame sistematico dei criteri e delle
modalità di svolgimento delle ispezioni, con riferimento alla nuova realtà della pubblica amministrazione.
Le indicazioni che seguono non ledono l'autonomia degli ispettori, ma hanno lo scopo di rendere esplicite
quelle regole - di carattere etico e procedurale - che hanno la funzione di indirizzare sia l'operato degli
ispettori stessi, sia, specularmente, quello dell'amministrazione o dell'ente verificato. Esse, con il carattere
dell'universalità, valgono qualunque sia la ragione e l'ampiezza dell'accertamento attuato.
Se l'opera dell'ispettore è adeguata, la verifica risulta una utile occasione di stimolo, di coordinamento e di
indirizzo ed indurrà le amministrazioni ad adottare i metodi innovativi suggeriti per semplificare e
migliorare il lavoro ed i servizi.
Per queste ragioni, l'ispettore svolgerà funzioni che non sono più di solo controllo, ma anche di ausilio e
stimolo all'amministrazione verificata.
Le linee-guida per l'ispettore.
Prima di enunciare le regole cui deve uniformarsi l'ispettore nel suo agire, si ricorda che, come ogni
22
pubblico dipendente, deve osservare il "Codice di comportamento dei dipendenti delle pubbliche
amministrazioni" (cfr. decreto del Ministro della funzione pubblica 28 novembre 2000 e la circolare 12
luglio 2001, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 183 dell'8 agosto 2001), le cui norme garantiscono che
l'ispezione sia ispirata ai principi di imparzialità e di buona conduzione dell'attività esercitata, sanciti dalla
Costituzione.
Le regole proposte in questa direttiva sono:
A) tutte le iniziative dell'ispettore devono basarsi su imparzialità e autonomia di giudizio.
L'attività di ispezione presuppone l'imparzialità e l'autonomia di giudizio. La funzione di soggetto estraneo e
neutrale (terzietà), che deve caratterizzare l'attività dell'ispettore, gli permette di avanzare proposte adatte
a risolvere le inefficienze che incontra; mentre l'autonomia di giudizio ne qualifica la professionalità e
garantisce l'imparzialità che deve caratterizzare il lavoro di ogni dipendente della pubblica amministrazione.
Se l'incaricato non è in grado di assicurare l'imparzialità e l'estraneità personale, deve rinunciare ad
effettuare la verifica.
B) la formazione, la professionalità e la competenza sono un diritto e un dovere dell'ispettore. La sua
preparazione deve essere costantemente aggiornata per iniziativa personale ovvero partecipando a corsi
specifici.
Formazione e competenza sono i presupposti con cui l'ispettore deve assolvere i propri obblighi di pubblico
dipendente.
La formazione dell'ispettore è obbligatoria e si realizza con la partecipazione ai corsi proposti
dall'amministrazione di appartenenza, ovvero con l'approfondimento e l'iniziativa personale.
Per quanto riguarda la formazione, non c'è distinzione tra chi assolve le mansioni d'ispettore con continuità
e chi l'assolve per periodi di tempo circoscritti, in quanto tutte le esperienze di amministrazione attiva
contribuiscono ad accrescere il bagaglio culturale necessario per lo svolgimento di una proficua attività
ispettiva.
La professionalità, che presuppone sensibilità ed equilibrio, si traduce, fondamentalmente, nella capacità di
prestare ascolto, di dialogare e di saper convincere chi lavora nella struttura ispezionata, per evitare il
ripetersi degli errori riscontrati e migliorare la qualità delle prestazioni.
C) la conoscenza e l'analisi dell'attività e della normativa dell'ente o dell'ufficio sottoposto ad ispezione
sono presupposti necessari allo svolgimento proficuo delle verifiche.
L'attività ispettiva presuppone una preparazione idonea e si effettua in modo adeguato se si conoscono
preventivamente l'attività dell'ente o dell'ufficio da ispezionare; la sua organizzazione; i nominativi dei
funzionari responsabili, le caratteristiche della gestione e dei servizi erogati; la normativa relativa e i suoi
aspetti specifici; le finalità istituzionali e i modi con cui sono perseguite; le eventuali interazioni con altre
amministrazioni; i risultati di precedenti ispezioni.
D) l'intera ispezione è coperta da rigorosa riservatezza. Sono riservati i dati e le informazioni raccolte
durante l'ispezione. Non sono ammissibili dichiarazioni in ambienti privati o pubblici, né ad organi
d'informazione.
Tutti i dipendenti hanno l'obbligo di non servirsi delle informazioni d'ufficio per scopi personali. Nell'attività
ispettiva la riservatezza assume importanza determinante, perché il venir meno a quest'obbligo può
produrre un ingiusto danno all'ispezionato; può ripercuotersi negativamente sull'immagine
dell'amministrazione; può ingenerare strumentalizzazioni da parte di altri soggetti.
Inoltre, fino al termine del lavoro, possono essere raccolti elementi nuovi si può arrivare ad esiti conclusivi
non prevedibili.
L'ispettore, quindi, non rilascia dichiarazioni pubbliche: parla nelle sedi dovute con i superiori o con gli
organi competenti; si esprime con verbali, referti, rilievi accessibili soltanto nel rispetto delle norme sulla
trasparenza degli atti amministrativi.
23
E) l'ispettore è assertivo, ma disponibile. Questo comportamento deve essere sempre orientato alla
soluzione dei problemi emersi.
Momenti sanzionatori e consultivi costituiscono una contrapposizione fisiologica dell'attività ispettiva; va
comunque evitato che emergano conflitti ed incomprensioni con chi è sottoposto ad ispezione o
valutazione e che tende ad assumere atteggiamenti difensivi. é necessario che l'ispettore faccia valere i
propri principi ed eserciti i propri poteri senza prevaricazioni, nel rispetto dei diritti e delle opinioni di chi è
ispezionato.
Nel contempo la disponibilità, che si manifesta con un atteggiamento di ascolto e di indirizzo, non deve
svuotare i contenuti dell'attività ispettiva o ingenerare l'impressione di benevolenza, poiché essa ha
unicamente lo scopo di contribuire alla soluzione dei problemi emersi e di ripristinare un funzionamento
regolare nell'amministrazione.
L'obiettivo da conseguire è sempre quello di generare nell'interlocutore tutta la collaborazione necessaria
per analizzare le ragioni che hanno causato un determinato disservizio.
F) l'obiettività metodologica, la significatività e la rilevanza degli elementi considerati sono alla base delle
osservazioni e delle eventuali proposte di orientamento avanzate dall'ispettore.
Procedendo con metodo basato su elementi probanti, tali da rendere condivisibili le osservazioni mosse,
l'ispettore può mostrare l'obiettività dei suoi accertamenti, il valore significativo delle proposte, la rilevanza
dei risultati.
Solo la validità della metodologia d'indagine porta, nell'ambito dell'ufficio ispezionato, un contributo che si
concretizza in una amministrazione più forte nelle decisioni e più efficace nei servizi prestati.
G) l'ispettore turberà il meno possibile il regolare funzionamento della struttura ispezionata.
L'ispettore, intervenendo su una struttura che svolge servizi per la collettività, potrà provocare delle
alterazioni rispetto al normale svolgimento dell'attività istituzionale, ma sarà sua cura limitare al massimo
disfunzioni o ostacoli al regolare funzionamento degli uffici onde evitare, anche parzialmente, la paralisi
dell'ente o dell'ufficio ispezionato, fatta salva la necessità di evitare danni ulteriori.
Per contro, l'amministrazione ispezionata deve mettere l'ispettore nella condizione di svolgere al meglio il
proprio compito, fornendo tutte le informazioni richieste ed i mezzi necessari, senza, per questo, andare
incontro ad un innalzamento dei costi.
H) rilievi e referti si fonderanno su elementi probanti e circostanziati.
Nei rilievi e nei referti da inviare agli uffici preposti ed alle competenti magistrature, le relazioni
dell'ispettore saranno sempre circostanziate, fondate su elementi evidenti e inconfutabili e, se necessario,
verificate con i vertici della struttura ispezionata.
Questa regola differisce dalla precedente del punto F per due aspetti: a) fa riferimento agli atti ispettivi in
senso stretto e alle sanzioni, non ai consigli e agli stimoli che l'ispettore può dare; b) si riferisce ai fatti, che
danno oggettività agli elementi probanti, non al metodo seguito nell'indagine.
I) l'ispezione sarà dimostrabile in ogni suo atto. Questa condizione sarà garantita dai verbali, dalle relazioni,
dagli estratti della documentazione e di ogni altro elemento utile.
L'ispezione, oltre ad essere oggettiva sia per il metodo sia per gli elementi probanti, sarà dimostrabile e
documentabile in ogni sua parte dalle problematiche incontrate ai risultati finali.
Con il termine "dimostrabile" si fa riferimento alle raccolte, agli elenchi e ai verbali in cui sono riportati
circostanze, documenti, elaborazioni, relazioni, testimonianze, dichiarazioni. Elementi questi che
permetteranno di ricostruire l'intera ispezione senza ricorrere a nuove indagini e verifiche.
L) i risultati dell'ispezione saranno comunicati al soggetto o alla struttura ispezionata. Questa condizione è
necessaria per garantire interventi di correzione e di tutela da parte dei soggetti titolari degli organi
coinvolti nell'ispezione.
L'attività ispettiva fine a se stessa non serve a nulla. Ad essa dovranno seguire processi correttivi o di
24
autotutela degli organi che sono abilitati ad intervenire. La comunicazione dei risultati dell'ispezione dà
valore aggiunto al buon andamento della pubblica amministrazione, e rispetta i principi enunciati nel codice
di comportamento dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni.
Inoltre comunicare i risultati di un'ispezione, condotta rispettando le regole descritte in questa direttiva,
contribuisce a diffondere la trasparenza delle attività della pubblica amministrazione.
25
Giurisprudenza in materia ispettiva
TAR LOMBARDIA - BRESCIA, SEZ. I - sentenza 29 ottobre 2008 n. 1469 - Pres. Petruzzelli, Est.
Morri - Pessina ed altro (Avv.ti Cattaneo e Melzani) c. Comune di Almenno San Salvatore (n.c.) - (accoglie).
Atto amministrativo - Diritto di accesso - Istanza tendente a conoscere il nome dell’autore di
un esposto - Dal quale è scaturita una indagine amministrativa - Diniego - Motivazione che fa
riferimento alla tutela della riservatezza - Illegittimità - Fattispecie.
Il diritto alla riservatezza non può essere invocato quando la richiesta di accesso ha per
oggetto il nome di coloro che hanno reso segnalazioni, denunce o rapporti informativi
nell’ambito di un procedimento ispettivo (1). Nell'ordinamento delineato dalla L. n. 241/1990,
ispirato ai principi della trasparenza, del diritto di difesa e della dialettica democratica, ogni
soggetto deve, infatti, poter conoscere con precisione i contenuti e gli autori di segnalazioni,
esposti o denunce che, fondatamente o meno, possano costituire le basi per l'avvio di un
procedimento ispettivo o sanzionatorio, non potendo la P.A. procedente opporre
all'interessato esigenze di riservatezza.
----------------------------------(1) Cfr. Cons. Stato, Sez. V, 27 maggio 2008 n. 2511, in LexItalia.it, pag.
http://www.lexitalia.it/p/81/cds5_2008-05-27-3.htm; Sez. VI, 23 ottobre 2007 n. 5569, ivi, pag.
http://www.lexitalia.it/p/72/cds6_2007-10-23-5.htm; Sez. VI, 25 giugno 2007 n. 3601; Sez. VI, 12 aprile
2007, n. 1699; Sez. V, 22 giugno 1998 n. 923; Ad. Plen., 4 febbraio 1997 n. 5.
Alla stregua del principio nella specie è stato ritenuto illegittimo il provvedimento con il quale, adducendo
ragioni di tutela delle riservatezza, era stata respinta una istanza di accesso, presentata da un genitore,
tendente ad acquisire copia di una segnalazione pervenuta al Servizio Emergenza Infanzia 114 al fine di
conoscere le generalità di chi aveva inoltrato una segnalazione da cui fu avviata una successiva indagine circa
pretesi maltrattamenti, perpetrati in ambito familiare, nei confronti dei figli; indagine rivelatasi poi negativa.
Ha osservato in proposito il T.A.R. Lombardia che la denuncia o l’esposto, invero, non può considerarsi un
fatto circoscritto al solo autore, all’Amministrazione competente al suo esame e all’apertura dell’eventuale
procedimento, ma riguarda direttamente anche i soggetti "denunciati", i quali ne risultano comunque incisi.
Ciò vale a maggior ragione quando tali denunce hanno sviluppi così penetranti come quelli che coinvolgono
la sfera personale e familiare.
D’altra parte, la tolleranza verso denunce segrete e/o anonime è un valore estraneo al nostro ordinamento
giuridico. Emblematico, in tal senso, è l’art. 111 Cost. che, nel sancire (come elemento essenziale del giusto
processo) il diritto dell’accusato di interrogare o far interrogare le persone che rendono dichiarazioni a suo
carico, inevitabilmente presuppone che l’accusato abbia anche il diritto di conoscere il nome dell’autore di
tali dichiarazioni.
----------------------------------Documenti correlati:
CONSIGLIO DI STATO - ADUNANZA PLENARIA, sentenza 20-4-2006, n. 7, pag.
http://www.lexitalia.it/p/61/cdsadplen_2006-04-20.htm (sulla legittimazione dell'autore di un esposto ad
accedere agli atti del procedimento avviato a seguito dell'esposto stesso).
26
CONSIGLIO DI STATO SEZ. IV, sentenza 5-12-2006, n. 7111, pag. http://www.lexitalia.it/p/62/cds4_200612-05.htm (sul diritto di un cliente di accedere agli atti del procedimento disciplinare iniziato dal Consiglio
dell’Ordine degli Avvocati nei confronti del suo difensore, ove tale procedimento tragga origine da un esposto
presentato dal cliente stesso).
TAR ABRUZZO - PESCARA, sentenza 8-4-2004, n. 389, pag.
http://www.lexitalia.it/p/tar/tarabruzzopesc_2004-04-08.htm (sulla impossibilità di accedere agli atti nel
corso del procedimento e di accedere invece al provvedimento finale adottato dall’ISVAP nei confronti delle
imprese assicuratrici a seguito di esposto-denuncia presentato da un danneggiato che non è stato
tempestivamente risarcito)
TAR VENETO SEZ. II, sentenza 4-4-2004, n. 934, pag. http://www.lexitalia.it/p/tar/tarveneto2_2004-0404.htm (sussiste il diritto di accedere all'esposto presentato da un privato sulla base del quale è iniziato un
procedimento amministrativo, ma è necessario tutelare la privacy dell'autore dell’esposto con l’omissione del
suo nome per evitare possibili ritorsioni).
TAR LOMBARDIA - MILANO SEZ. IV, sentenza 8-11-2004, n. 5716, pag.
http://www.lexitalia.it/p/tar/tarlommi4_2004-11-08.htm (sul diritto di un libero professionista di accedere
ad un esposto presentato al Consiglio dell’Ordine nei suoi confronti e sulla tutela della riservatezza degli
autori dell'esposto).
TAR PUGLIA-BARI, SEZ. II, sentenza 12-4-2001, n. 1171, pag.
http://www.lexitalia.it/private/tar/tarpugliaba2_2001-1171.htm (sussiste il diritto di accedere ad un esposto
firmato da dipendenti sulla scorta del quale è stato adottato un provvedimento amministrativo).
N. 01469/2008 REG.SEN.
N. 00811/2008 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia
sezione staccata di Brescia (Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
Sul ricorso numero di registro generale 811 del 2008, proposto da:
Marco Pessina, Mara Bonandrini, rappresentati e difesi dagli avv. Maria Giovanna Cattaneo, Enrico Melzani,
con domicilio eletto presso T.A.R. Segreteria in Brescia, via Malta, 12;
contro
Comune di Almenno San Salvatore;
per l'annullamento
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del diniego prot. 5709 in data 1.7.2008 sull'istanza di accesso agli atti del 30.4.2008 e successivo sollecito del
26.6.2008 e per la conseguente emissione dell’ordine di esibizione di cui all’art. 25 u.c. della Legge 7.8.1990
n. 241.
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 15/10/2008 il dott. Gianluca Morri e uditi per le parti i difensori
come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:
FATTO e DIRITTO
Con nota in data 30.4.2008 i ricorrenti inoltravano, tramite il proprio difensore, istanza di accesso per
acquisire copia della segnalazione pervenuta al Servizio Emergenza Infanzia 114 al fine di conoscere le
generalità di chi inoltrava detta segnalazione da cui fu avviata una successiva indagine circa pretesi
maltrattamenti, perpetrati in ambito familiare, nei confronti dei figli Elisa e Federico; indagine rivelatasi poi
negativa.
Il competente Responsabile di Servizio del Comune di Almenno San Salvatore forniva tuttavia riscontro
negativo a detta richiesta, evidenziando che il diritto alla riservatezza del terzo e la tutela del segreto d'ufficio
dovevano considerarsi prevalenti rispetto al diritto all'accesso ai documenti amministrativi (in questo caso
finalizzato alla tutela di interessi lesi da una segnalazione rivelatasi poi infondata).
Con l'odierno gravame i ricorrenti chiedono l'accertamento del proprio diritto all'accesso e l'emissione del
conseguente ordine di esibizione di cui all'art. 25 ultimo comma della citata Legge n. 241 del 1990.
Il Comune di Almenno San Salvatore non si è costituito in giudizio ma ha prodotto relazione sui fatti di causa
in ottemperanza all'ordinanza istruttoria 29.8.2008 n. 154.
Il ricorso è fondato e merita accoglimento.
1. Va esaminato, in primo luogo, il rapporto tra il diritto di accesso e il diritto alla riservatezza richiamato
dall'Amministrazione comunale a sostegno del proprio diniego.
Il Collegio aderisce a quell'orientamento giurisprudenziale secondo cui il diritto alla riservatezza non può
essere invocato quando la richiesta di accesso ha per oggetto, come nella presente fattispecie, il nome di
coloro che hanno reso segnalazioni, denunce o rapporti informativi nell’ambito di un procedimento ispettivo
(cfr., Cons. Stato Sez. V, 27.5.2008 n. 2511; Sez. VI, 23.10.2007 n. 5569; Sez. VI, 25.6.2007 n. 3601; Sez. VI,
12.4.2007, n. 1699; Sez. V, 22.6.1998 n. 923; Ad. Plen. 4.2.1997 n. 5).
In linea generale va premesso che il rapporto tra diritto di accesso e diritto alla riservatezza è stato risolto
direttamente dal legislatore grazie al vasto intervento riformatore operato dal Codice dei dati personali
(D.Lgs. n. 196/2003), dalla Legge n. 15/2005 (recante la novella alla Legge n. 241/1990) e dal D.P.R. n.
184/2006, che hanno, nella sostanza ed in estrema sintesi, cristallizzato gli approdi cui era giunta la
giurisprudenza del Consiglio di Stato (in particolare Ad. Plen. n. 5 del 1997), avanzando in ogni caso la soglia
di tutela dell'accesso.
In particolare l'art. 59, del Codice dati personali, fatta salva l'applicazione della disciplina derogatoria sancita
dal successivo art. 60 per i dati idonei a rivelare lo stato di salute e la vita sessuale, ha demandato
interamente alla Legge n. 241 del 1990 la regolamentazione del rapporto accesso-privacy anche per ciò che
concerne i dati sensibili e giudiziari.
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L'art. 24 della Legge n. 241 del 1990, nel testo novellato, al comma 7 recita che "deve comunque essere
garantito ai richiedenti l'accesso ai documenti amministrativi la cui conoscenza sia necessaria per curare o
per difendere i propri interessi giuridici. Nel caso di documenti contenenti dati sensibili e giudiziari, l'accesso
è consentito nei limiti in sia strettamente indispensabile e nei termini previsti dall'art. 60 del decreto
legislativo 30 giugno 2003, n. 196, in caso di dati idonei a rivelare lo stato di salute e la vita sessuale".
Nel caso in esame i ricorrenti avanzano istanza di accesso al fine di conoscere le generalità di chi ha effettuato
la segnalazione al Servizio Emergenza Infanzia 114; segnalazione da cui scaturì la successiva l'indagine da
parte dei competenti uffici comunali. Non vengono quindi in rilievo dati sensibili o supersensibili di cui al
menzionato art. 60.
Al riguardo va osservato, come già messo in luce dalla giurisprudenza amministrativa, che la denuncia o
l’esposto, invero, non può considerarsi un fatto circoscritto al solo autore, all’Amministrazione competente al
suo esame e all’apertura dell’eventuale procedimento, ma riguarda direttamente anche i soggetti
"denunciati", i quali ne risultano comunque incisi. Ciò vale a maggior ragione quando tali denunce hanno
sviluppi così penetranti come quelli che hanno coinvolto, nel caso di specie, la sfera personale e familiare dei
ricorrenti.
Nell'ordinamento delineato dalla L. n. 241/1990, ispirato ai principi della trasparenza, del diritto di difesa e
della dialettica democratica, ogni soggetto deve, pertanto, poter conoscere con precisione i contenuti e gli
autori di segnalazioni, esposti o denunce che, fondatamente o meno, possano costituire le basi per l'avvio di
un procedimento ispettivo o sanzionatorio, non potendo la p.a. procedente opporre all'interessato esigenze di
riservatezza.
La tolleranza verso denunce segrete e/o anonime è un valore estraneo al nostro ordinamento giuridico.
Emblematico, in tal senso, è l’art. 111 Cost. che, nel sancire (come elemento essenziale del giusto processo) il
diritto dell’accusato di interrogare o far interrogare le persone che rendono dichiarazioni a suo carico,
inevitabilmente presuppone che l’accusato abbia anche il diritto di conoscere il nome dell’autore di tali
dichiarazioni.
Tale sfavore verso le denunce e le dichiarazioni anonime emerge poi, a più riprese, dal codice di procedura
penale: si pensi, ad esempio, all’art. 240 C.p.p. in forza del quale i documenti che contengono dichiarazioni
anonime non possono essere acquisti né in alcun modo utilizzati, salvo che costituiscano il corpo del reato o
provengano comunque dall’imputato; all’art. 195, comma 7, C.p.p. che sancisce l’inutilizzabilità della
testimonianza di chi si rifiuta o non è in grado di indicare la persona o la fonte da cui appreso la notizia dei
fatti oggetto dell’esame; all’art. 203 C.p.p. che pure prevede l’inutilizzabilità delle informazioni rese dagli
informatori alla polizia giudiziaria quando il nome di tali informatori non venga svelato.
Da questa cornice emerge chiaramente che al diritto alla riservatezza, pure costituzionalmente rilevante, non
può certo riconoscersi ampiezza tale da includere il "diritto all’anonimato" di colui che rende una
dichiarazione a carico di terzi nell’ambito di un procedimento ispettivo o sanzionatorio.
L’anonimato sulle denunce o sulle dichiarazioni accusatorie è, al contrario, come si è visto, guardato con
particolare sospetto dall’ordinamento: da qui l’evanescenza e l’infondatezza di ogni tentativo volto a
qualificare tale inesistente diritto all’anonimato come una prerogativa del diritto alla riservatezza.
2. Va ora esaminato il rapporto tra diritto di accesso e segreto professionale anch'esso richiamato
dall'Amministrazione comunale a sostegno del proprio diniego.
In particolare l'Amministrazione evidenzia che, nel caso in esame, trova applicazione l’obbligo di segreto di
cui dell'art. 1 della Legge n. 119/2001, secondo cui: "Gli assistenti sociali iscritti all'albo professionale istituito
con legge 23 marzo 1993, n. 84, hanno l'obbligo del segreto professionale su quanto hanno conosciuto per
ragione della loro professione esercitata sia in regime di lavoro dipendente, pubblico o privato, sia in regime
di lavoro autonomo libero-professionale".
In linea di principio va affermato che il segreto professionale rientra nell'ambito delle ipotesi, previste
dall'art. 24 della Legge n. 241/90, che prevalgono sul diritto all'accesso.
29
Questo non significa comunque che tutti gli atti formati o detenuti dal soggetto su cui incombe il segreto
professionale siano automaticamente sottratti all'accesso, poiché si tratta di applicare una deroga, pur
prevista dall'ordinamento, al principio generale, previsto dallo stesso ordinamento, dell'accessibilità a tutti
gli atti dell'Amministrazione. Trattandosi quindi di una deroga, essa va applicata secondo il principio di
stretta interpretazione.
In alcuni casi è lo stesso ordinamento che delinea con chiarezza il rapporto tra accesso e segreto
professionale.
Può, al riguardo, essere ricordato l’art. 2 del DPCM n. 200/1996 recante norme per la disciplina di categorie
di documenti formati o comunque rientranti nell'ambito delle attribuzioni dell'Avvocatura dello Stato
sottratti al diritto di accesso. Il predetto art. 2 individua le categorie di documenti inaccessibili, ai sensi
dell'art. 24, comma 1, della Legge n. 241/90 , in virtù del segreto professionale, al fine di salvaguardare la
riservatezza nei rapporti fra difensore e difeso. Per garantire dette esigenze vengono sottratti all'accesso i
seguenti documenti: a) pareri resi in relazione a lite in potenza o in atto e la inerente corrispondenza; b) atti
defensionali; c) corrispondenza inerente agli affari di cui ai punti a) e b). Come emerge chiaramente dalla
norma, in questo caso l'ordinamento non si limita ad individuare i documenti sottratti all'accesso in forza del
superiore segreto professionale, ma ne indica anche le concrete ragioni (salvaguardare la riservatezza nei
rapporti fra difensore e difeso).
Nel caso in esame deve quindi essere verificato se all’istanza di accesso formulata dai ricorrenti può essere
legittimamente opposto il segreto professionale che incombe sull'assistente sociale del Comune convenuto.
A giudizio del Collegio la risposta deve essere negativa.
Va, al riguardo, osservato:
- che la segnalazione di pretesi maltrattamenti in famiglia (recante il nominativo di colui che ha effettuato
della segnalazione) non è pervenuta all'assistente sociale da un proprio informatore confidenziale, ma
attraverso un servizio di pubblica utilità gestito da un ente terzo;
- che si tratta, pertanto, di un documento formatosi all'esterno dell'ambito di competenza propria
dell'assistente sociale; documento detenuto dall'Amministrazione comunale in quanto ente preposto ai
relativi controlli;
- che la circostanza secondo cui il documento contenente detta segnalazione sia pervenuto all'assistente
sociale del Comune di Almenno San Salvatore riguarda un semplice aspetto dell'organizzazione interna del
Comune stesso, in cui può esistere una partizione organizzativa (ad esempio l'area o settore servizi sociali)
all'interno della quale l'assistente sociale costituisce una sotto articolazione operativa;
- che, di conseguenza, è il Comune che deve garantire il diritto d'accesso non potendosi trincerare dietro uno
specifico segreto professionale che non può trovare applicazione nel caso in esame.
Il ricorso deve quindi essere accolto con annullamento del provvedimento impugnato ed emissione
dell'ordine di esibizione di cui all'art. 25 ultimo comma della Legge n. 241/90.
Le spese di giudizio possono essere tuttavia compensate stante la complessità giuridica della vicenda.
P.Q.M.
il T.A.R. per la Lombardia - Sezione staccata di Brescia – definitivamente pronunciando accoglie il ricorso in
epigrafe e, per l’effetto, annulla il provvedimento impugnato.
Ordina al Comune di Almenno San Salvatore di esibire, a favore dei ricorrenti, gli atti e i documenti indicati
nell’istanza di accesso datata 30.4.2008.
DEPOSITATA IN SEGRETERIA il 29/10/2008
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Autorità: Consiglio Stato sez. VI
Data: 03 settembre 2009
Numero: n. 5199
Parti: Min. lav. ed altro C. L.S. s.n.c.
Fonti: Foro amm. CDS 2009, 9, 2067 (s.m.)
Pubblica amministrazione (p.a.) - Accesso ai documenti amministrativi - Commissione per
l'accesso ai documenti - Differimento, limitazioni, rifiuto - Sottrazione al diritto di accesso
della documentazione acquisita dagli ispettori del lavoro nell'ambito dell'attività di controllo
loro affidata - Ragioni.
Deve essere sottratta al diritto di accesso la documentazione acquisita dagli ispettori del lavoro
nell'ambito dell'attività di controllo loro affidata. Detta sottrazione si giustifica con la prevalenza
dell'interesse pubblico all'acquisizione di ogni possibile informazione, a tutela della sicurezza e della
regolarità dei rapporti di lavoro, rispetto al diritto di difesa delle società o imprese sottoposte ad ispezione
. Il primo, infatti, non potrebbe non essere compromesso dalla comprensibile reticenza dei lavoratori, cui
non si accordasse la tutela in questione, mentre il secondo risulta comunque garantito dall'obbligo di
motivazione per eventuali contestazioni e dalla documentazione che ogni datore di lavoro è tenuto a
possedere.
(Riforma Tar Campania, Salerno, n. 1290 del 2008
TESTO (omissis)
Come è noto, in subiecta delicata materia si sono fronteggiate due tesi estreme, sia in giurisprudenza che in dottrina.
In particolare, si è in passato affermato che "vanno disapplicate le norme regolamentari che sottraggono al diritto di
accesso le dichiarazioni rese dai lavoratori lavoratori in occasione di indagini ispettive a carico del loro datore di lavoro
fino a quando non sia cessato il rapporto, rientrando tra i casi di segreto previsti dall'ordinamento quello istruttorio in
sede penale, delineato dall'art. 329 c.p.p., a tenore del quale gli atti di indagine compiuti dal pubblico ministero e dalla
polizia giudiziaria sono coperti dal segreto fino a quando l'imputato non ne possa avere conoscenza e, comunque, non
oltre la chiusura delle indagini preliminari.". (Consiglio Stato , sez. VI, 13 dicembre 2006, n. 7389, ma anche Cons.
Stato, VI, n. 1923/2006).
In tali occasioni ,è stato disapplicato l'art. 2 comma 1 lett. c), d.m. 4 novembre 1994 n. 757, che sottrae al diritto di
accesso le dichiarazioni rese dai lavoratori in occasione di indagini ispettive a carico del loro datore di lavoro fino a
quando non sia cessato il rapporto, ritenendolo in palese contrasto con l'art. 24 l. 7 agosto 1990 n. 241.
Più di recente, si è ritenuto, invece, che deve essere sottratta al diritto di accesso la documentazione acquisita dagli
ispettori del lavoro nell'ambito dell'attività di controllo loro affidata.(Consiglio Stato , sez. VI, 22 aprile 2008, n. 1842).
Come è dato rinvenire nella decisione da ultimo citata, detta sottrazione si giustifica con la prevalenza dell'interesse
pubblico all'acquisizione di ogni possibile informazione, a tutela della sicurezza e della regolarità dei rapporti di lavoro,
rispetto al diritto di difesa delle società o imprese sottoposte ad ispezione: il primo, infatti, non potrebbe non essere
compromesso dalla comprensibile reticenza di lavoratori, cui non si accordasse la tutela di cui si discute, mentre il
secondo risulta comunque garantito dall'obbligo di motivazione per eventuali contestazioni e dalla documentazione che
ogni datore di lavoro è tenuto a possedere.
Tale ultima tesi è stata sostenuta dall'appellante difesa erariale nel proprio atto di impugnazione.
Rileva il Collegio tuttavia, che, a monte, v'è un altro e più rilevante profilo che rende accoglibile l'impugnazione e
meritevole di riforma l'appellata decisione.
Invero, anche nelle più risalenti pronunce che ammettevano la praticabilità piena (seppur nella forma della visione)
dell'accesso alle dichiarazioni dei lavoratori rese in occasione delle verifiche ispettive è stato sottolineato che, a
cagione della delicatezza della problematica, potenzialmente foriera di conflitto tra contrapposte posizioni attive
costituzionalmente protette (diritto di difesa; diritto della persona alla riservatezza; esigenza specialpreventiva di
difesa sociale) dovesse penetrantemente indagarsi in ordine all'interesse della parte richiedente l'accesso, all'attualità
ed indispensabilità dell'esercizio di tale facoltà: ovviamente - come avviene per qualsiasi altro presupposto processuale
- in ordine alla sussistenza di tale elemento la cui particolarità nel caso di specie riposa nella circostanza che esso si
riverberi sulla stessa fondatezza della pretesa all'actio ad exibendum fatta valere, è doveroso che il Giudice adìto si
interroghi anche ex officio (arg. ai sensi di Consiglio Stato , sez. IV, 07 settembre 2004, n. 5795, secondo cui
"derogando alla regola generale di cui all'art. 22 l. 7 agosto 1990 n. 241, l'art. 3 d.lg. 24 febbraio 1997 n. 39, prevede
che l'accesso alle informazioni ambientali spetti a chiunque le richieda prescindendo dalla dimostrazione di un suo
particolare e qualificato interesse.")
I primi Giudici, nell'accogliere il ricorso di primo grado, non hanno tenuto conto della circostanza che l'odierna
appellata non aveva dimostrato (il ricorso introduttivo del giudizio di primo grado è totalmente carente sul punto) in
base a quali argomentazioni/elementi le fosse indispensabile accedere a detti atti (dichiarazioni dei lavoratori)
considerato lo stato in cui si trovava il procedimento.
Né risulta effettuata nella decisione appellata alcuna comparazione degli interessi in conflitto, ovvero alcun riferimento
alla problematica concernente l'avvio di un procedimento penale conseguente alla ispezione disposta
dall'amministrazione.
La difesa erariale dell'odierna appellante, (si veda pag. 2 della memoria di primo grado del 18.3.2008) fece presente
sia la circostanza dell'inoltro delle resultanze ispettive al Giudice penale, sia quella relativa al fatto che il procedimento
amministrativo versava in fase istruttoria.
Tali elementi (entrambi potenzialmente ostativi all'accoglimento della richiesta di accesso agli atti) non sono stati né
valutati, né tenuti in considerazione nella appellata decisione.
Tale carenza motivazionale, incidente su un profilo nodale del vantato diritto di accesso, consente di ritenere fondata
l'impugnazione ed inesatta la decisione appellata.
31
L'appello dell'amministrazione deve pertanto essere accolto, con conseguente riforma dell'appellata decisione e
reiezione del ricorso di primo grado.
Autorità: Consiglio Stato sez. V
Data: 16 giugno 2009
Numero: n. 3911
Parti: Usl Roma C C. F.
Fonti: Foro amm. CDS 2009, 6, 1504 (s.m.)
Impiegati dello Stato - Riammissione in servizio - Dipendente sospeso a seguito di condanna
per concussione - Riammissione nella stessa qualifica ma con diverse mansioni - Fattispecie Legittimità.
È legittimo il provvedimento con il quale l'Amministrazione, nel disporre la riammissione in servizio del
dipendente già sospeso in conseguenza di condanna penale per reati di concussione perpetrati
nell'esercizio dell'attività di ispezione nei luoghi di lavoro, gli conferma la qualifica già posseduta ma
contestualmente gli inibisce l'esercizio dell'attività ispettiva, trattandosi di misura del tutto adeguata al
caso di specie e che costituisce corretta applicazione del principio che riconosce alla Pubblica
amministrazione ampio potere discrezionale nell'assegnare il dipendente allo svolgimento di funzioni che
siano adeguate alla necessità di assicurare il buon andamento dell'ufficio.
(Annulla Tar Lazio, Roma, 19 ottobre 2005 n. 9080).
Autorità: Consiglio Stato sez. VI
Data: 18 dicembre 2007
Numero: n. 6534
Parti: P. C. Univ. La Sapienza Roma
Fonti: Ragiusan 2008, 293-294, 23
Il promovimento di un' ispezione disposta da un pubblico ufficio, inerendo alla fase delle indagini
preliminari ufficiose, non è subordinato ad alcuna necessaria comunicazione agli interessati, in quanto la
verificazione ispettiva non è un procedimento finalizzato all'irrogazione della sanzione, bensì un mero
strumento di conoscenza, utile alla p.a. per decidere se attivare o meno l'azione disciplinare, per cui deve
ritenersi che prima del formale avvio del procedimento la p.a. non sia tenuta, per principio, a dar notizia
all'interessato dello svolgimento di atti a carattere meramente preliminare, che potrebbero pure sfociare
in un'archiviazione.
TESTO )- Inoltre, nella specie l'Università aveva correttamente proceduto ad un'attività di indagine pre-istruttoria,
vòlta a compiere un primo accertamento sulle notizie, pervenute da parte di terzi, riguardanti la posizione del dott.
Pascali.
Normalmente, l'apertura dei procedimenti d'ufficio può essere preceduta da una fase prodromica, intesa ad acquisire le
notizie necessarie a decidere se dar seguito formalmente ad esposti, denunce e simili, poiché l'astratto obbligo di
procedere può diventare concreto solo in presenza (almeno) di un minimum di giuridica attendibilità della fattispecie
ed a tal fine non sempre basta una delibazione del funzionario responsabile, potendo invece essere necessari pure
complicati accertamenti preventivi, nel rispetto di un semplice criterio di buon andamento ed economicità dell'azione
amministrativa.
Conseguentemente, il promovimento di un'ispezione disposta da un pubblico ufficio, inerendo alla fase delle indagini
preliminari ufficiose, non è subordinata ad alcuna necessaria comunicazione agli interessati, in quanto la verificazione
ispettiva non è un procedimento finalizzato all'irrogazione della sanzione, bensì un mero strumento di conoscenza, utile
alla p.a. per decidere se attivare o meno l'azione disciplinare, per cui deve ritenersi che prima del formale avvio del
procedimento la p.a. non sia tenuta, per principio, a dar notizia all'interessato dello svolgimento di atti a carattere
meramente preliminare, che potrebbero pure sfociare in un'archiviazione.
Autorità: T.A.R. Milano Lombardia sez. I
Data: 27 novembre 2009
Numero: n. 5199
Parti: Sirna C. Min. dell'Istruzione, Univ. e Ricerca
Fonti: Red. amm. TAR 2009, 11
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Impiegati dello Stato - Sanzioni disciplinari - in genere - avvio di indagine ispettiva - obbligo di
comunicazione agli interessati - insussistenza - ragioni
L'avvio di un' ispezione disposta da un pubblico ufficio, inerendo alla fase delle indagini preliminari
ufficiose, non é subordinato ad alcuna necessaria comunicazione agli interessati, in quanto la
verificazione ispettiva non è (ancora) un procedimento finalizzato all'irrogazione della sanzione, bensì un
mero strumento di conoscenza, utile alla p.a. per decidere se attivare o meno l'azione disciplinare, per cui
deve ritenersi che prima del formale avvio del procedimento la p.a. non sia tenuta, per principio, a dar
notizia all'interessato dello svolgimento di atti a carattere meramente preliminare, che potrebbero pure
sfociare in un'archiviazione.
Autorità: T.A.R. Genova Liguria sez. II
Data: 17 marzo 2009
Numero: n. 322
Parti: T.V. e altro C. Min. lav.
Fonti: Foro amm. TAR 2009, 3, 677 (s.m.)
Procedimento amministrativo - Partecipazione al procedimento - Comunicazioni - Avvio Attività ispettiva - Atti conseguenti - Necessità.
Se è ragionevole che la fase strettamente ispettiva dell'attività amministrativa non sia preceduta da un
formale preavviso, non risulta viceversa conforme i disposti dell'art. 7 l. n. 241 del 1990, che assurgono
ormai a principio ordinamentale, che l'interessato non debba essere adeguatamente notiziato dei
successivi ed autonomi provvedimenti che l'amministrazione intende assumere nei suoi confronti, sulla
base delle risultanze della intervenuta ispezione .
Autorità: T.A.R. L'Aquila Abruzzo sez. I
Data: 23 ottobre 2008
Numero: n. 1160
Parti: C. e altro C. Com. L'Aquila
Fonti: Riv. giur. edilizia 2009, 1, 309
Accesso ai documenti amministrativi commissione per l'accesso ai documenti esercizio del
diritto Abusi edilizi - Reati - Attività ispettiva - Proprietari di immobile oggetto di ispezione Legittimazione all'accesso - Esposti e segnalazioni dei privati - Sussiste.
Ai fini del riconoscimento della legittimazione all'accesso in capo ai proprietari di un immobile oggetto di
attività ispettive da parte dell'amministrazione comunale, non può revocarsi in dubbio la sussistenza di un
interesse giuridicamente rilevante alla conoscenza dell'esatto contenuto degli esposti e delle denunce
provenienti da privati e nella disponibilità dell'amministrazione, posti a base delle contestazioni mosse
all'effettuato intervento edilizio.
Autorità: T.A.R. Milano Lombardia sez. III
Data: 04 aprile 2008
Numero: n. 809
Parti: R. C. Asl prov. Varese
Fonti: Rass. dir. farmaceutico 2008, 4, 798
In sede di ispezione la descrizione dei fatti addebitati, ancorché sommaria, non può mai essere generica,
dovendo evidenziare fin dal primo momento quali siano le circostanze che secondo l'Amministrazione
integrano gli estremi dell'illecito in modo da garantire all'incolpato l'esercizio del diritto di difesa
33
CONSIGLIO DI STATO, SEZ. VI - sentenza 31 luglio 2013 n. 4035 - Pres. Baccarini, Est. De Michele
- Sda Express Courier Spa (Avv.ti A. e V. Vallefuoco) c. Istituto Nazionale della Previdenza Sociale (INPS)
(Avv.ti Sgroi, Maritato, D'Aloisio e De Rose) e Ditta Roma Service ed altro (n.c.) - (conferma T.A.R. Lazio Roma, Sez. III, n. 168/2013).
1. Atto amministrativo - Diritto di accesso - Necessità di bilanciare le esigenze di trasparenza
della P.A. e di tutela del diritto di informazione e di tutela giurisdizionale con il diritto alla
riservatezza dei soggetti eventualmente coinvolti - Necessità - Sussiste.
2. Atto amministrativo - Diritto di accesso - Ai verbali degli ispettori del lavoro - Contenenti
dichiarazioni dei lavoratori - Valutazione caso per caso - Necessità.
3. Atto amministrativo - Diritto di accesso - Ai verbali degli ispettori del lavoro - Contenenti
dichiarazioni dei lavoratori - Diniego - Notifica del ricorso ai lavoratori che hanno reso le
dichiarazioni riportate nei verbali - Necessità - Mancanza - Inammissibilità del ricorso.
1. Le disposizioni in materia di diritto di accesso agli atti della P.A. mirano a coniugare la
ratio dell’istituto, quale fattore di trasparenza e garanzia di imparzialità
dell’Amministrazione - nei termini di cui all’art. 22 della legge n. 241/1990 - con il
bilanciamento da effettuare rispetto ad interessi contrapposti e fra questi - specificamente quelli dei soggetti "individuati o facilmente individuabili"…che dall’esercizio dell’accesso
vedrebbero compromesso il loro diritto alla riservatezza" (art. 22 cit., comma 1, lettera c); il
successivo articolo 24 della medesima legge, che disciplina i casi di esclusione dal diritto in
questione, prevede al sesto comma casi di possibile sottrazione all’accesso in via
regolamentare e fra questi - al punto d) - quelli relativi a "documenti che riguardino la vita
privata o la riservatezza di persone fisiche, persone giuridiche, gruppi, imprese e
associazioni, con particolare riferimento agli interessi epistolare, sanitario, professionale,
finanziario, industriale di cui siano in concreto titolari, ancorché i relativi dati siano forniti
all’Amministrazione dagli stessi soggetti a cui si riferiscono".
2. Il D.M. 4 novembre 1994, n. 757 (regolamento concernente le categorie di documenti,
formati o stabilmente detenuti dal Ministero del lavoro e della previdenza sociale sottratti al
diritto di accesso) inserisce fra le categorie dei documenti riguardanti la riservatezza di
persone fisiche - all’art. 2, lettere b) e c) - "i documenti contenenti le richieste di intervento
dell’Ispettorato del Lavoro", nonché "i documenti contenenti notizie acquisite nel corso delle
attività ispettive, quando dalla loro divulgazione possano derivare azioni discriminatorie o
indebite pressioni o pregiudizi a carico di lavoratori o di terzi". In relazione a tale
disposizione, deve ritenersi che debba operarsi in materia una valutazione "caso per caso",
che potrebbe talvolta consentire di ritenere prevalenti le esigenze difensive del datore di
lavoro in ordine alle dichiarazioni rilasciate dai dipendenti agli Ispettori del lavoro (1).
3. E’ inammissibile un ricorso proposto da una società avverso il rigetto di un’istanza di
accesso, finalizzata ad ottenere l’esibizione degli atti relativi al procedimento, concluso con
verbale unico di accertamento per violazione degli obblighi contributivi e presupposto di una
sanzione pecuniaria, nel caso in cui sia stata omessa la notifica del ricorso ad almeno uno dei
lavoratori nominativamente indicati (e dunque facilmente individuabili) nel testo del verbale
ispettivo, da ritenere controinteressati rispetto non solo alla società datrice di lavoro, ma
anche ad eventuali soggetti che fossero chiamati a rispondere in solido con quest’ultima delle
sanzioni pecuniarie comminate.
--------------------------------------------(1) Cfr. Cons. Stato, sez. VI, 29 luglio 2008, n. 3798, che ammette l’accesso al contenuto delle dichiarazioni di
lavoratori agli ispettori del lavoro, ma "con modalità che escludano l’identificazione degli autori delle
medesime".
Ha aggiunto la sentenza in rassegna che non può affermarsi in modo aprioristico una generalizzata
recessività dell’interesse pubblico all’acquisizione di ogni possibile informazione, per finalità di controllo
della regolare gestione dei rapporti di lavoro (a cui sono connessi valori, a loro volta, costituzionalmente
garantiti), rispetto al diritto di difesa delle società o imprese sottoposte ad ispezione: il primo di tali interessi,
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infatti, non potrebbe non risultare compromesso dalla comprensibile reticenza di lavoratori, cui non si
accordasse la tutela di cui si discute, mentre il secondo risulta comunque garantito dall’obbligo di
motivazione per eventuali contestazioni, dalla documentazione che ogni datore di lavoro è tenuto a
possedere, nonché dalla possibilità di ottenere accertamenti istruttori in sede giudiziaria.
--------------------------------------------Documenti correlati:
CONSIGLIO DI STATO SEZ. VI, sentenza 23-2-2011, pag. http://www.lexitalia.it/p/11/cds6_2011-0223.htm (sulla illegittimità del diniego di accesso agli atti ispettivi dell’INPS nel caso in cui i documenti
richiesti non siano specificamente attinenti alle dichiarazioni spontanee dei dipendenti dell’azienda rese in
sede di verifica ispettiva).
CONSIGLIO DI STATO SEZ. VI, sentenza 7-12-2009, pag. http://www.lexitalia.it/p/92/cds6_2009-1207.htm (sull’accoglibilità o meno dell’istanza di accesso presentata dal datore di lavoro alla Direzione
provinciale del lavoro, tendente ad ottenere copia della documentazione acquisita dagli ispettori del lavoro
nell'ambito dell'attività di controllo loro affidata ed in particolare delle dichiarazioni rese dai dipendenti).
CONSIGLIO DI STATO SEZ. VI, sentenza 3-9-2009, pag. http://www.lexitalia.it/p/92/cds6_2009-09-032.htm (sull’accoglibilità o meno dell’istanza di accesso presentata dal datore di lavoro alla Direzione
provinciale del lavoro, tendente ad ottenere copia della documentazione acquisita dagli ispettori del lavoro
nell'ambito dell'attività di controllo loro affidata ed in particolare delle dichiarazioni rese dai dipendenti).
TAR LAZIO - ROMA SEZ. III QUATER, sentenza 10-3-2011, pag.
http://www.lexitalia.it/p/11/tarlazio3_2011-03-10-1.htm (sulla necessità o meno che la domanda di accesso
indichi gli esatti estremi identificativi dei documenti richiesti e sulla legittimità o meno del diniego opposto
dall’INPS ad un datore di lavoro che chiedeva i verbali delle visite ispettive, motivato con la necessità di
tutelare la riservatezza dei lavoratori).
TAR MARCHE - ANCONA SEZ. I, sentenza 18-4-2013, pag. http://www.lexitalia.it/p/13/tarmarche_201304-18.htm (sulla legittimità o meno del diniego di accesso alle dichiarazioni rilasciate dai dipendenti agli
ispettori del lavoro, ove il rapporto di lavoro sia cessato oltre un anno prima del verbale ispettivo e della
presentazione dell’istanza ostensiva).
TAR LIGURIA - GENOVA SEZ. I, sentenza 19-10-2011, pag. http://www.lexitalia.it/p/11/tarliguria_2011-1019.htm (sulla legittimità o meno del diniego di accesso agli atti degli ispettori del lavoro che sia privo di
motivazione in ordine ragioni del possibile pregiudizio per i lavoratori derivante dalla divulgazione degli atti
richiesti in ostensione).
TAR BASILICATA - POTENZA, sentenza 14-11-2002, pag.
http://www.lexitalia.it/private/tar/tarbasilicata_2002-11-14.htm (sul diritto del datore di lavoro di accedere
alle dichiarazioni rese dai dipendenti in sede di accertamenti compiuti dall’INPS; disapplica l’art. 17 del
regolamento adottato dall’INPS per la disciplina del diritto di accesso).
N. 04035/2013REG.PROV.COLL.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
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SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 2854 del 2013, proposto dalla società Sda Express Courier Spa,
rappresentata e difesa dagli avvocati Angelo Vallefuoco e Valerio Vallefuoco, con domicilio eletto presso il
primo in Roma, viale Regina Margherita, 294;
contro
Istituto Nazionale della Previdenza Sociale (INPS), rappresentato e difeso dagli avvocati Antonino Sgroi,
Lelio Maritato, Carla D'Aloisio ed Emanuele De Rose e presso l’ufficio dei medesimi domiciliato in Roma, via
della Frezza, 17; Istituto Nazionale della Previdenza Sociale, sede di Lucca;
nei confronti di
Ditta Roma Service, Ditta Nonni Luca;
per la riforma della sentenza del T.A.R. LAZIO - ROMA, SEZIONE III, n. 00168/2013, resa tra
le parti, concernente diniego di accesso ai documenti per l’irrogazione di sanzione
pecuniaria;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio dell’Istituto Nazionale della Previdenza Sociale;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 11 giugno 2013 il Cons. Gabriella De Michele e uditi per le parti
gli avvocati Loria per delega dell’avv. Angelo Vallefuoco, Valerio Vallefuoco e Maritato;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:
FATTO e DIRITTO
Attraverso l’atto di appello in esame (n. 2854/13, notificato il 4.4.2013) si contesta la sentenza del Tribunale
Amministrativo Regionale per il Lazio, Roma, sez. III, n. 168/13 del 9.1.2013, che non risulta notificata, con
la quale veniva dichiarato inammissibile il ricorso proposto dalla società SDA Express Courier s.p.a. avverso
il rigetto di un’istanza di accesso, finalizzata ad ottenere l’esibizione degli atti relativi al procedimento,
concluso con verbale unico di accertamento n. 000237640 del 18.5.2012, redatto nei confronti della Società
Cooperativa Roma Service s.r.l. per violazione degli obblighi contributivi e presupposto di una sanzione
pecuniaria, posta a carico anche dell’odierna appellante come obbligata solidale.
Nella citata sentenza si rilevava come causa di inammissibilità l’omessa notifica del gravame ai lavoratori cui
si riferivano gli omessi versamenti previdenziali, dovendo attribuirsi agli stessi la qualità di soggetti
controinteressati, poichè titolari di un diritto alla riservatezza, inciso dall’istanza di accesso di cui trattasi.
In sede di appello la citata società SDA Express Courier sottolineava l’indirizzo giurisprudenziale, secondo
cui le esigenze di difesa, sottostanti all’istanza di accesso, sarebbero state prevalenti rispetto alle esigenze di
riservatezza di eventuali soggetti terzi; nella situazione in esame, inoltre, sarebbe stata rilevante solo la
posizione della società coobbligata in solido, cui il ricorso era stato regolarmente notificato, con irrilevanza al
riguardo delle posizioni dei dipendenti di quest’ultima (alla quale soltanto, in ipotesi, avrebbero potuto
riferirsi eventuali esigenze, connesse a rischi di ritorsioni o comportamenti discriminatori nei confronti dei
propri dipendenti).
Premesso quanto sopra, il Collegio ritiene che le ragioni difensive dell’appellante non siano condivisibili.
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Sembra opportuno premettere, infatti, che le disposizioni in materia di diritto di accesso mirano a coniugare
la ratio dell’istituto, quale fattore di trasparenza e garanzia di imparzialità dell’Amministrazione - nei termini
di cui all’art. 22 della citata legge n. 241/90 - con il bilanciamento da effettuare rispetto ad interessi
contrapposti e fra questi - specificamente - quelli dei soggetti "individuati o facilmente individuabili"…che
dall’esercizio dell’accesso vedrebbero compromesso il loro diritto alla riservatezza" ( art. 22 cit., comma 1,
lettera c); il successivo articolo 24 della medesima legge, che disciplina i casi di esclusione dal diritto in
questione, prevede al sesto comma casi di possibile sottrazione all’accesso in via regolamentare e fra questi al punto d) - quelli relativi a "documenti che riguardino la vita privata o la riservatezza di persone fisiche,
persone giuridiche, gruppi, imprese e associazioni, con particolare riferimento agli interessi epistolare,
sanitario, professionale, finanziario, industriale di cui siano in concreto titolari, ancorché i relativi dati siano
forniti all’Amministrazione dagli stessi soggetti a cui si riferiscono". In via attuativa, il D.M. 4.11.1994, n. 757
(regolamento concernente le categorie di documenti, formati o stabilmente detenuti dal Ministero del lavoro
e della previdenza sociale sottratti al diritto di accesso) inserisce fra tali categorie - all’art. 2, lettere b) e c) - "i
documenti contenenti le richieste di intervento dell’Ispettorato del Lavoro", nonché "i documenti contenenti
notizie acquisite nel corso delle attività ispettive, quando dalla loro divulgazione possano derivare azioni
discriminatorie o indebite pressioni o pregiudizi a carico di lavoratori o di terzi".
In rapporto a tale quadro normativo, anche la giurisprudenza - benchè con indirizzo non univoco, ma
comunque da rapportare di volta in volta alle specifiche vicende contenziose - ha più volte confermato la
sottrazione al diritto di accesso della documentazione, acquisita dagli ispettori del lavoro nell’ambito
dell’attività di controllo loro affidata (cfr. Cons. St., sez. VI, 27.1.1999, n. 65, 19.11.1996, n. 1604, 22.4.2008,
n. 1842 e 9.2.2009, n. 736).
E’ vero d’altra parte che, in via generale, le necessità difensive - riconducibili ai principi tutelati dall’art. 24
della Costituzione - sono ritenute prioritarie rispetto alla riservatezza di soggetti terzi (cfr. in tal senso Cons.
St., Ad Plen. 4.2.1997, n. 5) ed in tal senso il dettato normativo richiede che l’accesso sia garantito
"comunque" a chi debba acquisire la conoscenza di determinati atti per la cura dei propri interessi
giuridicamente protetti (art. 20, comma 7, L. n. 241/90 Cit.); la medesima norma tuttavia - come
successivamente modificata tra il 2001 e il 2005 (art. 22 L. n. 45/01, art. 176, c. 1, D.Lgs. n. 196/03 e art. 16 L.
n. 15/05) - specifica con molta chiarezza come non bastino esigenze di difesa genericamente enunciate per
garantire l’accesso, dovendo quest’ultimo corrispondere ad una effettiva necessità di tutela di interessi che si
assumano lesi ed ammettendosi solo nei limiti in cui sia "strettamente indispensabile" la conoscenza di
documenti, contenenti "dati sensibili e giudiziari".
Ferma restando, dunque, una possibilità di valutazione "caso per caso", che potrebbe talvolta consentire di
ritenere prevalenti le esigenze difensive in questione (cfr. Cons. St., sez. VI, n. 3798/08 del 29.7.2008, che
ammette l’accesso al contenuto delle dichiarazioni di lavoratori agli ispettori del lavoro, ma "con modalità
che escludano l’identificazione degli autori delle medesime"), non può però affermarsi in modo aprioristico
una generalizzata recessività dell’interesse pubblico all’acquisizione di ogni possibile informazione, per
finalità di controllo della regolare gestione dei rapporti di lavoro (a cui sono connessi valori, a loro volta,
costituzionalmente garantiti), rispetto al diritto di difesa delle società o imprese sottoposte ad ispezione: il
primo di tali interessi, infatti, non potrebbe non risultare compromesso dalla comprensibile reticenza di
lavoratori, cui non si accordasse la tutela di cui si discute, mentre il secondo risulta comunque garantito
dall’obbligo di motivazione per eventuali contestazioni, dalla documentazione che ogni datore di lavoro è
tenuto a possedere, nonché dalla possibilità di ottenere accertamenti istruttori in sede giudiziaria.
Nel caso di specie, la questione del bilanciamento tra diritto di difesa e diritto alla riservatezza, che è
questione di merito, non assorbe la questione processuale pregiudiziale, e cioè la mancata notificazione del
ricorso di primo grado, prescritta dall’art. 116 comma 1 cpa, ai soggetti realmente controinteressati: i
lavoratori.
Detto ricorso risulta infatti notificato, oltre che all’INPS, alla ditte Roma Service e Nonni Luca, da ritenere in ordine alle esigenze difensive giustificatrici dell’accesso - titolari di una posizione non contrapposta, ma di
cointeresse rispetto a quella della medesima appellante, che ha agito nella qualità di coobbligata in solido con
i responsabili dell’omesso assolvimento degli oneri contributivi, nei confronti di lavoratori occupati presso le
ditte subappaltatrici.
Detti lavoratori risultavano, in parte, nominativamente indicati (e dunque facilmente individuabili) nel testo
del verbale ispettivo, che li segnalava come "lavoratori in nero occupati dalla Roma Service Soc. Coop.", con
ulteriore segnalazione, nel medesimo verbale, della presenza di "altri lavoratori ascoltati, individuati tra
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collaboratori autonomi occasionali, soci e associati in partecipazione", che avrebbero rilasciato "dettagliate
notizie in merito al rapporto di lavoro intercorso con la Cooperativa", rilevanti ai fini delle conseguenze
sanzionatorie contestate.
Appare indubbio, in base a quanto sopra esposto, come i lavoratori - cui si riferivano le omissioni
contributive contestate - venissero a trovarsi in posizione contrapposta, rispetto non solo alle società datrici
di lavoro, ma anche ad eventuali soggetti che, come l’attuale appellante, fossero chiamati a rispondere in
solido con queste ultime delle sanzioni pecuniarie comminate.
La contestazione di dette sanzioni, in effetti, non avrebbe potuto non incidere sui diritti dei lavoratori
interessati, le cui esigenze di riservatezza - da ritenere sussistenti, nei termini già in precedenza illustrati entravano immediatamente in discussione in rapporto ad esigenze difensive, che non potevano non
coinvolgere tutti i soggetti, a vario titolo obbligati, con conseguente omogeneità della posizione del
coobbligato solidale rispetto a quella del datore di lavoro.
Correttamente pertanto, ad avviso del Collegio, il ricorso di primo grado è stato dichiarato inammissibile, per
omessa notifica ad almeno un soggetto controinteressato.
Per le ragioni esposte, in conclusione, si ritiene che il ricorso debba essere respinto; quanto alle spese
giudiziali, tuttavia, il Collegio stesso ne ritiene equa la compensazione, tenuto conto della non univocità dei
precedenti giurisprudenziali nella materia controversa.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando, respinge l’appello
specificato in epigrafe; compensa le spese giudiziali.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 11 giugno 2013 con l'intervento dei magistrati:
Stefano Baccarini, Presidente
Maurizio Meschino, Consigliere
Claudio Contessa, Consigliere
Gabriella De Michele, Consigliere, Estensore
Claudio Boccia, Consigliere
DEPOSITATA IN SEGRETERIA il 31/07/2013.
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n. 11/2013 - per il testo della circolare in formato .pdf, clicca qui.
MINISTERO DEL LAVORO E DELLE POLITICHE SOCIALI - circolare 8 novembre 2013 n. 43 Oggetto: sentenza del Consiglio di Stato, sez. VI, n. 4035/2013 del 31/7/2013 in materia di diritto di
accesso alle dichiarazioni rilasciate dai lavoratori in sede ispettiva. Istruzioni operative.
Partenza - Roma, 08/11/2013.
Agli indirizzi in allegato
Oggetto: sentenza del Consiglio di Stato, sez. VI, n. 4035/2013 del 31/7/2013 in materia di diritto di accesso
alle dichiarazioni rilasciate dai lavoratori in sede ispettiva. Istruzioni operative.
La sentenza in oggetto, di conferma della sentenza TAR Lazio, sez. III, n. 168/2013, prima di decidere il
rigetto del ricorso per una questione pregiudiziale, affronta, incidenter tantum, la tematica della legittimità
del provvedimento di diniego inerente ad una richiesta di accesso alle dichiarazioni rese dai lavoratori, sentiti
nel corso della verifica ispettiva, richiesta avanzata, nel caso di specie, da un coobbligato in solido del datore
di lavoro.
La vicenda processuale si inserisce in un quadro giurisprudenziale connotato da orientamenti
contrastanti ed oscillanti nel tempo che, a seconda degli anni ed in relazione alla tematica dell’accesso sopra
richiamata, hanno visto ora l'affermazione della prevalenza del diritto di difesa sancito dall’art. 24 della
Costituzione, ora il riconoscimento della legittimità dei dinieghi di accesso agli atti motivati dalle esigenze di
tutela della riservatezza dei lavoratori unitamente a quella di preservazione della pubblica funzione di
vigilanza.
In effetti, nel recente passato, si sono succedute diverse pronunce che ritenevano ammissibile l’accesso
alle dichiarazioni rese dai lavoratori in sede di verifica ispettiva sul presupposto che l'esigenza di riservatezza
e di protezione dei lavoratori intervistati fosse recessiva di fronte al diritto esercitato dal richiedente per la
difesa di un interesse giuridico, nei limiti in cui esso risultasse necessario alla difesa di quell’interesse (ex
multis Cons. St., sez. VI, n. 3798/2008 del 29.7.2008).
Le predette sentenze, in alcuni casi, fondavano le decisioni di accoglimento anche in base alla
possibilità, evidentemente non esercitata, da parte dell’Amministrazione di intervenire con opportuni
accorgimenti (cancellature o omissis attraverso cui ottenere l'espunzione dei nominativi di dipendenti
interessati), in modo da consentire il giusto contemperamento tra gli opposti interessi in gioco.
Il citato orientamento contrasta con altre pronunce (Cons. St., sez. VI, n. 1842/2008) che, in materia di
accesso alle dichiarazioni rese dai lavoratori in sede di verifica ispettiva, hanno ritenuto legittimo il diniego
opposto dall’Amministrazione sulla scorta degli arti. 2 e 3 del D.M. n. 757/1994 "a motivo della salvaguardia
di possibili azioni pregiudizievoli, recriminatorie o di pressione nei confronti dei lavoratori e collaboratori
della società". In tali decisioni il Consiglio di Stato, al fine di coniugare l’esigenza di trasparenza ed
imparzialità dell’Amministrazione, esplicitata dall’art. 22 L. n. 241/1990, rispetto ad altri interessi
contrapposti, fra cui quelli dei soggetti "individuati o facilmente individuabili (...)" che dall’esercizio
dell’accesso vedrebbero compromesso il loro diritto alla riservatezza (art. 22 rii., comma 1 lett. c), prende in
esame anche il successivo art, 24 della medesima Legge che disciplina i casi di esclusione al diritto in
questione. Quest’ultimo, al comma 6, tra i casi di possibile sottrazione all’accesso da stabilirsi in via
regolamentare, prevede al punto d), quelli relativi "a documenti che riguardano la vita privata o la
riservatezza di persone fisiche, persone giuridiche, gruppi, imprese e associazioni con particolare
riferimento agli interessi epistolare, sanitario, professionale, finanziario, industriale di cui siano in
concreto titolari, ancorché i relativi dati siano forniti all'Amministrazione dagli stessi soggetti a cui si
riferiscono".
In tale ottica, osserva il Consiglio di Stato che "correttamente il D.M. n. 757/1994 inserisce fra tali
categorie all ‘art. 2 lett. b) e c) i documenti contenenti richieste di intervento dell'Ispettorato del Lavoro
nonché i documenti contenenti notizie acquisite nel corso delle attività ispettive, quando dalla loro
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divulgazione possano derivare azioni discriminatorie o indebite pressioni o pregiudizi a carico di
lavoratori o di terzi''.
Il Supremo Organo di Giustizia Amministrativa rileva che la giurisprudenza ha più volte confermato la
sottrazione ai diritto di accesso di documentazione acquisita dagli ispettori del lavoro nell'ambito dell’attività
di controllo loro affidala (cfr., fra le tante. Cons. St., sez VI, n. 65 del 27.1.1999, n. 1604 del 19.1.1996, n. 1842
del 22.4.2008), essendo necessario salvaguardare l’esigenza di riservatezza di chi abbia reso dichiarazioni,
riguardanti se stessi o altri soggetti, senza autorizzarne la divulgazione, non attendendo la sfera di interessi in
questione alla sola tutela delle posizioni de! lavoratore ed essendo queste ultime, comunque, rilevanti "anche
in rapporto all 'ambiente professionale di appartenenza, più largamente inteso".
In tali statuizioni dello Organo sottolinea la prevalenza dell’interesse pubblico all’acquisizione di ogni
possibile informazione, a tutela della sicurezza e regolarità dei rapporti di lavori rispetto al diritto di difesa
delle società o imprese sottoposte ad ispezione; il primo infatti non potrebbe non essere compromesso dalla
comprensibile reticenza di lavoratori, cui non si accordasse la tutela di cui si discute, mentre il secondo
risulta comunque garantito dall’obbligo di motivazione per eventuali contestazioni e dalia documentazione
che ogni datore di lavoro è tenuto a possedere.
In merito poi agli eventuali accorgimenti (cancellature, omissis) che, in sede di ostensione dei dati,
l’Amministrazione potrebbe adottare, si deve osservare come tali cautele risultino del tutto
insufficienti a tutelare la riservatezza dei dichiaranti laddove, soprattutto in ipotesi di imprese
di piccole dimensioni, il semplice contenuto delle dichiarazioni possa far risalire alla persona
che le ha rilasciate, facilmente individuabile attraverso, per esempio, l’individuazione delle mansioni
ricoperte oppure la puntuale indicazione dell’orario di lavoro osservato, ovvero l’indicazione degli altri
colleghi appartenenti al medesimo reparto.
In questa stessa direzione, conformemente alle sentenze appena citate, si è mossa anche la decisione n.
736/09 del Consiglio di Stato che, in situazione del tutto simili, evidenzia come l’accesso richiesto, per
esempio, in rapporto alle dichiarazioni di un singolo lavoratore non consentirebbe di garantire in nessun
caso allo stesso l’anonimato, con chiaro pregiudizio sia dell’esigenza di riservatezza che della funzione di
controllo esercitata dagli organi di vigilanza.
A supporto della interpretazione operata dal Consiglio di Stato sembra muoversi anche la Corte di
Cassazione che, in alcune pronunce, ribadisce come, ai fini dell’esigenza di tutela del destinatario di
provvedimenti ispettivi, è sufficiente la possibilità per lo stesso di proporre davanti al Giudice le censure o
contestazioni in merito alla documentazione che l’Amministrazione, in quella sede, è tenuta ad esibire ai fini
processuali. Pertanto, in tale sede, sarà sempre possibile al datore di lavoro azionare le proprie difese anche
in relazione a tali fonti di prova esibite in giudizio.
Da ultimo la sentenza del Cons. St. n. 4035/2013 del 31.7.2013 che, in controtendenza rispetto
all’ultimo orientamento appena esaminato, interviene dopo un biennio di giurisprudenza favorevole
all’accesso, riafferma, pur entro certi limiti e previa valutazione motivata caso per caso, la legittimità per le
Direzioni territoriali di questo Ministero di sottrarre all’accesso le dichiarazioni dei lavorator rese durante
l’accesso ispettivo.
In particolare la sentenza in questione, oltre a richiamare alcune valutazioni già espresse nelle
menzionate pronunce, chiarisce con nettezza che "ferma restando, dunque, una possibilità di valutazione
caso per caso, che potrebbe talvolta consentire dì ritenere prevalenti le esigenze difensive in questione (cfr.
Cons. St., sez. VI. n 3798/08 del 29.7.08, che ammette l'accesso al contenuto delle dichiarazioni di
lavoratori agli ispettori del lavoro, ma con modalità che escludano l'identificazione degli autori delle
medesime), non può però affermarsi in modo apriorìstico una generalizzata recessività
dell’interesse pubblico all’acquisizione dì ogni possibile informazione, per finalità di
controllo della regolare gestione dei rapporti di lavoro (a cui sono connessi valori, a loro
volta, costituzionalmente garantiti), rispetto al diritto di difesa delle società o imprese
sottoposte ad ispezione
La sentenza in parola risolve, inoltre, anche la vexata quaestio della posizione dei
lavoratori in ordine alle richieste di accesso alle dichiarazioni dagli stessi rilasciale in sede
ispettiva, chiarendo come vada loro attribuita la qualifica di "controinteressati" con il
conseguente riconoscimento, anche dal punto di vista del procedimento amministrativo, di
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tutti i diritti inerenti a tale qualificazione, spettanti anche nei confronti di eventuali obbligati
solidali diversi dal datore dì lavoro.
Alla luce della richiamata giurisprudenza si invitano gli uffici in indirizzo, nella istruttoria e decisione
delle predette richieste di accesso, a voler tener conto dell’orientamento in parola.
Per delega
Il Segretario Generale
Allegati: sentenza del Consiglio di Stato, sez. VI, n. 4035/2013 del 31/7/2033.
41
INCONTRO DI STUDI
Seconda giornata sull’ordinamento
giudiziario:
incarichi direttivi, illecito disciplinare
Sala Conferenze della Corte d’Appello di Roma
5 maggio 2008
Gli accertamenti ispettivi
Prologo introduttivo
L’Ispettorato Generale del Ministero della Giustizia, per esercitare nel modo più efficace i delicati compiti di
istituto affidatigli, si è fatta carico di uno sforzo di elaborazione culturale finalizzato alla formazione
permanente del proprio Corpo Ispettivo (Magistrati, Dirigenti e Funzionari Ispettori), per promuovere un
percorso che, partendo da approfondimenti di tematiche attuali, dibattute o controverse, anche per
uniformare le prassi e gli interventi, potrà culminare in una presa di contatto ed un futuro confronto con
analoghe strutture esistenti in altri Stati Europei comunitari o fuori dall’area UE, per incontri, dibattiti e nuovi
approfondimenti (già avviati con la Turchia, paesi balcanici, ed una delegazione dell’Iran).
Le materie ed i temi individuati, quali argomenti di precipuo interesse dell’Ispettorato, sono legati alla
specificità delle funzioni ed al contesto istituzionale di appartenenza. Esse costituiscono occasione preziosa
per implementare nuove conoscenze, valorizzare il patrimonio professionale ed esperienziale già acquisito,
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favorendo la sistematizzazione e la rimodulazione delle competenze possedute, nonchè rafforzare
l’impostazione di una funzione ispettiva orientata alla responsabilità degli obiettivi.
L’Ispettorato dunque ha deciso di istituire degli spazi di formazione, quali luoghi elettivi di riflessione ed
aggiornamento, a contenuto tecnico-informativo dove maturare rinnovate scelte organizzative ed
applicazioni pratiche, affrontare e risolvere problematiche condivise, dotare gli operatori di un bagaglio più
consapevole mediante incontri di aggiornamento sulle innovazioni legislative, incontri “interattivi”, incontri
seminariali, incontri conferenza, iniziative “mirate” su specifiche tematiche giudiziarie, gruppi di studio,
ricerca e riflessione, interventi e dibattiti programmati, incontri comuni con altre Istituzioni (anche in
sinergia con le strutture della locale formazione decentrata o le Università o altri centri di
organizzazione e di ricerca, anche con il contributo di studiosi, di esperti e personalità del
mondo accademico).
Incontri già svolti:
- l’11 e 12 settembre 2007 presso la Scuola di Polizia Tributaria della Guardia di Finanza di Ostia, si è svolto
un incontro con tutto il personale ispettivo sul tema: “OBIETTIVI, FINALITÀ E CRITICITÀ DELL’ATTIVITÀ
ISPETTIVA”.
- altro incontro si è tenuto i giorni 6-7-8 novembre 2007 sul tema “LA RESPONSABILITÀ AMMINISTRATIVA
PER DANNO ERARIALE DEGLI OPERATORI GIUDIZIARI” presso la Scuola di Polizia Tributaria della Guardia di
Finanza – Lido di Ostia.
- ulteriore incontro sul tema: “LA TUTELA DELLA PRIVACY NEGLI UFFICI GIUDIZIARI ED IL TRATTAMENTO
DEI DATI SENSIBILI. 18 E 19 DICEMBRE 2007 “ si è tenuto presso la sede dell’Istituto Superiore di Studi
Penitenziari in Via G. Barellai, 140 Roma.
- recente incontro formativo sul tema “LA PENA E L’ESECUZIONE PENALE: DALLA EFFETTIVITÀ E CERTEZZA
DELLA PENA” si è svolto nei giorni 14 e 15 marzo 2008, presso l’UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DEL MOLISE Facoltà di Giurisprudenza - Dipartimento di Scienze Giuridico-Sociali e dell’Amministrazione (S.G.S.A.),. Viale
Manzoni – Campobasso.
Le problematiche di interesse si possono, grosso modo, raggruppare in tre settori:
- area economico-finanziaria (T.U. spese di giustizia, danno erariale, responsabilità contabile, recupero
spese processuali, e pene pecuniarie, tempestività pene detentive e pecuniarie);
- area giuridico-normativa (nuova normativa in tema di legge fallimentare, procedure esecutive,
ordinamento giudiziario, responsabilità della P.A., sicurezza sui luoghi di lavoro, trattamento dei dati sensibili
e protezione dei darti personali ecc.);
- area organizzativo-funzionale dei servizi, innovazioni e modelli organizzativi a confronto (ufficio per il
processo, processo telematico, centri di intercettazioni telefoniche, utilizzazione di italgiureweb, efficienza
degli uffici, software applicativi locali).
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L’invito odierno da parte della Formazione Decentrata di Roma che abbiamo accettato
con onore e rispetto, si inquadra nel contesto sopra descritto e anticipiamo che sarà
avviato quanto prima un accordo per ricambiare l’incontro, auspicando la presenza di
una rappresentanza dei magistrati romani in occasione di un nostro incontro di studi o
seminario che sarà programmato prossimamente.
°°°°°°°°°°°°°°°°°°°
Fondamento e ruolo del controllo ispettivo
Il controllo ispettivo (inspicere in alienum) conserva un suo irrinunciabile ruolo nell’attuale configurazione
della Pubblica Amministrazione come strumento di conoscenza e di riscontro sul campo che nessun controllo
cartolare od informatico, formale o gestionale riuscirebbe ad evidenziare.
L’ispezione si inserisce nel sistema dei controlli, conservando una attualissima funzione di conoscenza
delle situazioni reali per indirizzare ed autocorreggere le scelte di direzione amministrativa. Le finalità
istituzionali di controllo imposte dalle leggi istitutive comprendono oggi anche il perseguimento di specifici
obiettivi annualmente predeterminati d’intesa con il singolo ministro.
Nello stesso tempo, l’ispezione si rivela uno strumento collaborativo di ausilio e di stimolo volto al
miglioramento dell’azione amministrativa ed alla autocorrezione, in funzione del raggiungimento degli
obiettivi programmati, nel rispetto del principio del buon andamento della P.A. codificato dall’art. 97 della
Costituzione e deli suoi corollari di:
- economicità (disponibilità delle risorse al minor costo),
- efficacia (conseguimento degli obiettivi prefissati),
- efficienza (ottimizzazione dei risultati in relazione alle procedure ed ai mezzi utilizzati).
Il fondamento della potestà ispettiva, atteso il peculiare carattere autoritativo della stessa, risiede
ontologicamente nel potere conoscitivo autonomo della attività pubblica, in funzione di controllo, quale
garanzia di legalità che deve improntare l’azione amministrativa, finalizzata all’eliminazione di fattori
patologici o distorsivi interni o esterni al sistema amministrativo.
Le norme attributive di potestà ispettiva hanno la funzione di tutela di specifici interessi pubblici rilevanti per
la comunità sociale e direttamente riconducibili a valori costituzionali (efficienza dell’azione amministrativa,
tutela del lavoro, tutela del risparmio, della salute pubblica ecc.).
La titolarità della potestà ispettiva compete ad uffici od articolazioni delle PP.AA. denominate
normativamente “ispettorati” anche se l’attività è sempre imputabile, nei suoi riflessi amministrativi, ad un
ufficio e mai a persone fisiche: l’ispettore nella sua individualità è il titolare o addetto all’ufficio.
Validità ed efficacia delle relazioni ispettive
In ordine alla valenza ed efficacia giuridica dell’accertamento ispettivo, va citata la sentenza espressa dalla
Adunanza del Consiglio di Stato del 19/12/2006 n. 4536, secondo cui la “relazione ministeriale riveste
natura di atto dovuto ma non assume, al di là della sua funzione tipica, i caratteri di provvedimento in
senso proprio, tant’è che è destinata agli organi competenti dell’Amministrazione, investiti di poteri
decisionali e, quindi , della facoltà di adottare misure ed interventi idonei.
Conseguentemente, solo alle autorità gerarchicamente sovraordinate (nel caso in esame Ministro di Giustizia
e Procuratore generale) compete di provvedere in ordine alle situazioni che il dirigente ispettore ha ritenuto
di segnalare.
Ne consegue che la relazione ispettiva non è idonea autonomamente a determinare conseguenze giuridiche
nella sfera dell’interessato…”
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Nello stesso ordine di idee, la dottrina sostiene che le operazioni e gli atti ispettivi non hanno una loro
autonomia funzionale; essi vanno visti, nella loro unitarietà, come elementi della complessiva attività
accertativa. Le operazioni consistono generalmente nell’esame, verificazione, ricerca e rilevazione di
documenti, ricognizione dei luoghi, accertamenti capaci di fornire dati ed elementi utili ai fini dell’indagine.
Il procedimento ispettivo si conclude con la redazione di un verbale o una relazione con cui si esternano al
titolare di una unità operativa, i risultati acquisiti ed eventuali proposte.
E’ da precisare che nessun valore vincolante assumono la parte logico-critica del verbale e le eventuali
proposte liberamente valutabili dalla P.A. e dal Giudice.
Tali atti conclusivi dell’iter ispettivo non sono idonei di regola a ledere direttamente posizioni soggettive
rilevanti per i terzi, risultando insuscettibili di autonoma impugnativa in sede amministrativa o giurisdizionale
per mancanza di “attualità” dell’interesse del ricorrente (cfr. “L’ispezione amministrativa ed il suo
procedimento, Vito Tenore – Giuffrè editore 1999).
Potrà essere impugnato congiuntamente al verbale o relazione, l’atto finale avente rilevanza esterna del
procedimento di controllo che ne recepisca i contenuti eventualmente viziati sotto il profilo della violazione di
legge o di eccesso di potere.
Infatti, la quasi totalità dei procedimenti di amministrazione attiva, successivi al procedimento ispettivo,
(procedimento disciplinare, revoca di un beneficio, etc….) prevede forme espresse di contraddittorio prima di
comminare sanzioni o prima di adottare provvedimenti nei confronti dell’ispezionato.
L’attività ispettiva si inserisce, con finalità accertative in un più ampio procedimento amministrativo, destinato
a concludersi con un atto di amministrazione attiva, avente rilevanza esterna ed incidente sulla sfera
soggettiva dell’ispezionato. Costui gode di una tutela c.d. differita (sanzione disciplinare, avviso di
acccertamento, etc.), sulla base di una illegittima acquisizione ispettiva o facendo valere in tale sede vizi o
inutilizzabilità delle risultanze (Sandulli, Manuale di diritto amministrativo; Cassarino, Manuale; Caianiello,
Diritto Processuale Amministrativo, Torino 1990, etc.).
Sulla non immediata impugnabilità degli atti ispettivi è orientata anche la giurisprudenza in coerente
applicazione dei principi sulla non impugnabilità degli atti endo- procedimentali.
L’ipotizzabilità di un interesse “attuale” alla immediata impugnativa dell’atto ispettivo è residuale, essendo
di regola censurabile il solo atto conclusivo di amministrazione attiva che ne recepisca il contenuto viziato.
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Oltretutto, l’Amministrazione attiva non è obbligata a provvedere sulla base delle risultanze ispettive ma
ha piena facoltà di disattendere le conclusioni dell’indagine o addirittura rimanere inerte.
L’Ispettorato del Ministero della Giustizia
Le norme istitutive dell’Ispettorato del Ministero della Giustizia disciplinano gli strumenti diretti ad effettuare
specifiche verifiche ordinarie o straordinarie della funzionalità degli Uffici, per consentire la focalizzazione di
possibili problematiche locali, di patologie operative, ma anche di necessità contingenti, di suggerimenti di
tipo organizzativo, ripristino di funzionalità, correzione e normalizzazione di servizi.
Oggi la struttura ed i compiti degli Uffici dell’Ispettorato vanno inquadrati anche alla stregua di un supporto
di strumento tecnico degli uffici sottoposti a controllo per la razionalizzazione della loro
organizzazione in funzione della migliore efficienza ed efficacia, pur mantenendo in coerenza con la sua
originaria natura i tradizionali compiti di controllo di legalità.
Inoltre, la finalità collaborativa per il superamento dei problemi organizzativi e funzionali degli uffici giudiziari,
deve precedere o perlomeno affiancare la finalità censoria, ovvero la ricerca di eventuali responsabilità dei
disservizi e delle irregolarità.
In sintesi, le finalità essenziali dell’attività cui è preposto un Ispettorato si possono sinteticamente individuare
in:
- verifica della legalità dell’attività degli uffici, per l’accertamento di fatti e comportamenti del personale, di
valenza disciplinare;
- controllo sull’organizzazione e sulla funzionalità dei servizi, atteso che scopo primario dell’azione
amministrativo-ispettiva deve essere quello di fornire agli uffici che presentino problemi organizzativi e/o
funzionali un supporto altamente qualificato per attuare un programma di regolarizzazione che consenta di
rientrare negli ordinari parametri di normalità di funzionamento.
L’Ispettorato Generale, opera, infatti, non solo per individuare responsabilità di tipo
amministrativo, ma anche per assicurare l’efficienza e la qualità dei servizi rappresentando,
attraverso gli elaborati ispettivi, le efficienze, le inefficienze e le criticità in cui operano gli Uffici
Giudiziari.
Tali avvertite esigenze si pongono nel solco di una nuova concezione istituzionale, finalizzata a delineare
l’Ispettorato non più e soltanto come espressione di apparato, bensì come organismo sensibile alle garanzie
a tutela di valori, rispetto di principi, certezza dei diritti.
LE PROBLEMATICHE comuni ad ogni attivita’ ispettiva
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LE ISPEZIONI
il modello di accertamento ispettivo
l’attività preparatoria delle ispezioni
modalità di svolgimento e tecniche ispettive
codice comportamentale
il coordinamento del capo equipe
le finalita’ del controllo ispettivo
le disfunzioni, le irregolarita’, i disservizi riscontrati: analisi dell’inefficienza
finalita’ ed obiettivi delle prescrizioni e delle raccomandazioni
moduli organizzativi di miglioramento della qualità ed efficienza del servizio ispezionato
nuove tecnologie di informatizzazione e comunicazione
accertamenti ispettivi e responsabilità disciplinare.
LE INCHIESTE AMMINISTRATIVE
i poteri di inchiesta
la struttura della relazione
le proposte
poteri di confine
i destinatari della relazione d’inchiesta: strutture del ministero.
gli esiti e la sorte dell’accertamento d’inchiesta.
Fondamento costituzionale degli accertamenti ispettivi
Nell’architettura normativa del vigente codice, si delinea un sistema processuale nel quale si connettono i
quattro tratti del giudizio accusatorio: oralità, immediatezza e contraddittorio, in cui l’ultimo presuppone
la partecipazione contestuale dell’accusa e della difesa su un piano di parità, gli altri evidenziano il rapporto
diretto, spaziale e temporale, tra il giudice e le fonti di prova che egli deve valutare.
Speditezza, celerità, concentrazione economia processuale non sono connotati ma tendenziali finalità
volte alla ragionevole durata del processo, che ha avuto riconoscimento costituzionale.
Nel prisma delle norme costituzionali ricevono copertura, ex art.111, i principi:
del contraddittorio quale carattere essenziale della giurisdizione;
del metodo dialogico di formazione della prova;
della terzietà e imparzialità del giudice;
della ragionevolezza dei tempi processuali;
della motivazione del provvedimento.
Lo Statuto del giudice costituzionale si innerva nel tessuto delle norme
101 : giudice soggetto soltanto alla legge,
104 autonomia ed indipendenza della magistratura
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111: terzietà ed imparzialità del giudice
105: CSM
108: ordinamento giudiziario
107 e 110: attribuzione al Ministro del promuovimento dell’azione disciplinare e
responsabilità dell’andamento dei servizi giustizia rilevandone eventuali disfunzioni.
Ma è importante ricordare che la tempestività delle decisioni, la loro esecuzione, l’organizzazione degli uffici
giudiziari e il rapporto con gli utenti possono incidere sul tasso di fiducia della collettività e dunque sulla
legittimazione democratica del sistema, poichè la corretta amministrazione della giustizia è esercitata
(come consacrato all’art.101 Cost.) in nome del popolo.
Se, da un lato, spetta al Ministro della Giustizia l’organizzazione ed il funzionamento dei servizi relativi alla
giustizia (art.110 Cost.), anche i singoli operatori giudiziari, dall’altro, possono contribuire ad una
accelerazione ed un potenziamento dei tempi e dei modi del servizio-giustizia.
L’art.110 citato, a sua volta, non può andare disgiunto dall’art. 97 Cost. (che stabilisce i canoni del buon
andamento ed imparzialità dell’amministrazione). Assurgono così ad oggetto di rilevante tutela le esigenze di
efficienza, buon andamento, regolare e corretto svolgimento delle funzioni giudiziarie, che è una delle facce del
prisma dell’applicazione imparziale ed indipendente della legge da parte dei magistrati.
Il processo - nel quadro degli artt. 3, 24, 111 Cost. - è infatti una funzione pubblica dello Stato, l’attività
processuale implica un ruolo di impulso e coordinamento individuato nella figura del giudice. La nuova
formulazione del citato art. 111 ha elevato a rango costituzionale il principio di celerità ed efficienza, la
ragionevolezza dei tempi processuali, in favore della generalità dei consociati, intesi come utenti del servizio
giustizia, alla luce della sentenza n.497 del 2000 della Corte Costituzionale, titolari dell’interesse pubblico al
regolare e corretto svolgimento delle funzioni giudiziarie; al Ministro della Giustizia, poi, compete
l’organizzazione ed il funzionamento dei servizi relativi alla giustizia.
Attualmente l’assetto dell’ufficio giudiziario si presenta a struttura centralistica e funzionale: un modello di
struttura organizzativa a valenza professionale individuale.
Tradizionalmente, invero, il modello di giustizia che è stato attuato, è stato più di “funzione” (salvaguardia di
diritti individuali, tutela degli interessi deboli, ecc.) che di “servizio”, ignorando o trascurando i criteri - propri
della Pubblica Amministrazione - di <<efficacia, efficienza ed economicità>>, con scarsa sensibilità ai canoni di
<<previsione di obiettivi, controllo di gestione, verifica dei risultati>>, per esempio nell’abbattimento
dell’arretrato, nel risparmio di costi, nell’accertamento della produttività.
Nell’organizzazione dei servizi in ambito giudiziario, occorre invece maturare la cultura dell’efficienza, la capacità
di gestione delle risorse, l’attenzione al raggiungimento degli obiettivi prefissati e dei risultati raggiunti (c.d.
cultura dell’obiettivo e del risultato).
La moderna teoria dell’organizzazione insegna che l’efficienza è il rapporto tra i risultati e le risorse.
La nozione di efficienza ha riferimento alla razionalizzazione ed ottimizzazione delle risorse disponibili in un
dato momento storico; questa nozione va poi scissa in due profili: un profilo di efficienza
amministrativa di tipo organizzativo (che investe gli uffici giudiziari nel loro complesso e ciascuno di essi
partitamente), ed uno di efficienza processuale (prassi processuali virtuose);
L’efficacia, a sua volta, ha riferimento alla valutazione dei risultati finali che l’esercizio della funzione
produce di fatto, risultati da esaminarsi e valutarsi in relazione agli obiettivi specifici, alla “mission” affidata a
quella specifica funzione).
L’economicità è un concetto relativo all’esigenza di individuare, eliminando ogni spreco e subottimizzazione
delle risorse, il miglior equilibrio possibile tra le risorse disponibili, i costi del servizio e i risultati dell’attività
nell’ottica della buona amministrazione richiesta dall’art. 97 Cost.
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Rimangono da citare due norme.
Da un lato, l’art.105 Cost. attribuisce al CSM tutti i compiti ed i poteri che attengono alla amministrazione
della giustizia; dall’altro lato, al Ministro compete assicurare – ai sensi dell’art. 110 Cost. e ferme le
competenze del C.S.M. – l’organizzazione ed il funzionamento dei servizi relativi alla giustizia. La legge
istitutiva del CSM precisa le attribuzioni del Ministro: egli ha facoltà di promuovere l’azione disciplinare; ha
facoltà di chiedere ai capi di Corte informazioni circa il funzionamento della giustizia; esercita tutte le
attribuzioni demandategli dalla legge sull’ordinamento giudiziario.
La Costituzione Repubblicana, nel disciplinare l’ordine della magistratura, individua due poli gravitazionali: il
Consiglio Superiore della Magistratura ed il Ministero della giustizia. Il primo ha la funzione di garantire
l’autonomia e l’indipendenza della magistratura da ogni altro potere interno ed esterno (funzione cui concorre
anche l’enunciazione dei principi per cui i giudici sono soggetti soltanto alla legge (101) e i magistrati si
distinguono tra loro soltanto per funzioni – 107 -); per questo, l’art. 105 Cost. attribuisce al CSM tutti i
compiti ed i poteri che attengono alla amministrazione della giustizia – assunzioni, assegnazioni, trasferimenti,
promozioni, provvedimenti disciplinari – che sono esercitati secondo i principi costituzionali e le norme
dell’ordinamento giudiziario. Al secondo spettano l’organizzazione ed il funzionamento dei servizi relativi alla
giurisdizione: al ministro compete assicurare – ai sensi dell’art. 110 Cost. e ferme le competenze del C.S.M. –
l’organizzazione ed il funzionamento dei servizi relativi alla giustizia.
Sulla base di tale distinzione di poteri e competenze, deve ritenersi che la formazione iniziale e permanente
dei magistrati – in quanto incidente sul modello di giudice, sull’organizzazione del lavoro giudiziale sugli
strumenti per l’interpretazione della legge sull’autonomia e l’indipendenza del magistrato – debba essere
materia riservata dalla Costituzione al CSM, spettando al Ministero l’organizzazione ed il funzionamento del
relativo servizio. Al ministro compete tuttora la fissazione del termine per assumere possesso, l’indizione dei
concorsi per l’ammissione in magistratura, il concerto per la nomina degli incarichi direttivi di competenza del
CSM.
Per l’esercizio dell’azione disciplinare, per l’organizzazione del funzionamento dei servizi relativi alla giustizia,
per l’esercizio di ogni altra attribuzione riservatagli dalla legge, il Ministro esercita la sorveglianza su tutti gli
uffici giudiziari e può richiedere ai capi di corte informazioni sul conto dei singoli magistrati.
Ancorché la recente riforma abbia individuato nel solo Procuratore Generale presso la Corte di Cassazione il
soggetto istituzionale onerato del potere/dovere di esercizio dell'azione disciplinare che, da facoltativa diventa
obbligatoria (ai sensi dell'art.14 comma 3 del Decreto Legislativo 109/2006), limitatamente al caso in cui la
predetta Autorità Inquirente conosca di una denunzia che sia "circostanziata" (così come statuito dall'art.15
comma 1 dello stesso Decreto N.109/2006, e cioè che contenga "gli elementi costitutivi" dell'illecito
disciplinare), sicuramente di non minore importanza appare l'iniziativa disciplinare di competenza del Ministro
della Giustizia (benché non oggetto di regolamentazione da parte del nuovo Decreto) che, a differenza del
potere d'impulso del Procuratore Generale, riceve addirittura un'espressa copertura costituzionale (art.107
comma 2 della Costituzione).
I riferimenti normativi delle competenze del Ministro si rintracciano nelle seguenti disposizioni:
All’art.110 Cost. è sancita la sussidiarietà delle funzioni del ministro rispetto a quelle del CSM e la loro
limitazione ai profili organizzativi e di funzionamento.
L’art.14 L.24 marzo 1958 n.195 (istitutiva del CSM) precisa le attribuzioni del Ministro: ha facoltà di
promuovere mediante richiesta l’azione disciplinare; ha facoltà di chiedere ai capi di corte informazioni circa il
funzionamento della giustizia; esercita tutte le attribuzioni demandategli dalla legge sull’ordinamento
giudiziario e in genere riguardanti l’organizzazione ed il funzionamento dei servizi relativi alla giustizia.
L’art.56 D.P.R. n.916/58 (attuativo della legge citata): specifica i poteri di sorveglianza del ministro: << per
l’esercizio dell’azione disciplinare, per l’organizzazione del funzionamento dei servizi relativi alla giustizia, per
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l’esercizio di ogni altra attribuzione riservatagli dalla legge, il ministro esercita la sorveglianza su tutti gli uffici
giudiziari e può richiedere ai capi di corte informazioni sul conto dei singoli magistrati >>.
Oggi stabilisce la norma che il Ministro esercita l'azione disciplinare (art.14 co.2) mediante richiesta di
indagini al P.G., con contestuale comunicazione al C.S.M..
La richiesta deve contenere la indicazione sommaria dei fatti. Ciò sta a significare che tale richiesta, a meno
che non consegua ad una denunzia circostanziata o alle risultanze di una ispezione ordinaria, dovrà essere
normalmente preceduta dagli opportuni accertamenti, eventualmente, se necessario, da una ispezione mirata
o da una inchiesta amministrativa, secondo le modalità di cui agli artt.7, 8 e 12 della legge n.1311/62,
istitutiva dell'Ispettorato Generale, non modificata dalla nuova normativa.
Deve sul puntò rilevarsi che la indicazione sommaria dei fatti rappresenta il contenuto minimo che la
richiesta deve avere perché questa possa valere come promuovimento dell'azione disciplinare ed inizio del
procedimento, ex art. 15 co.3. In assenza di tale requisito la richiesta del Ministro avrà eventualmente il
valore di una semplice segnalazione, rilevante ex art. 15 co.l.
Per quanto riguarda il P.G., questi adempie all'obbligo di esercitare l'azione disciplinare con comunicazione da
darsi al Ministro ed al C.S.M., nella quale dovranno essere sommariamente indicati i fatti (art.l4 co.3).
La legge 12.8.1962 n.1311, istitutiva dell’Ispettorato Generale, all’art.7, prevede le verifiche ispettive sui
servizi con cadenza (ora) quinquennale. In ogni tempo il ministro può disporre ispezioni negli uffici giudiziari,
o ispezioni parziali al fine di accertare la produttività degli stessi, nonché l’entità e la tempestività del lavoro
dei singoli magistrati. Ex art.9, al termine della verifica viene redatta una relazione nella quale si menzionano
le irregolarità e le lacune riscontrate nei servizi.
Secondo l’art.12, il ministro può avvalersi dell’ispettorato generale per l’esecuzione di inchieste sul personale
appartenente all’ordine giudiziario e su qualsiasi altra categoria di personale dipendente dal ministero.
Il magistrato ispettore incaricato dell’inchiesta nei riguardi di un magistrato deve al termine dell’indagine
chiedere informazioni al capo dell’ufficio e chiarimenti all’inquisito e poi riferire in merito al servizio prestato
da quest’ultimo, alle attitudini ed alla capacità da lui dimostrate nell’esercizio delle funzioni giudiziarie nonché
su ogni altro fatto o elemento suscettibile di valutazione in sede disciplinare.
Inoltre, l'Autorità Ministeriale è titolare di ulteriori poteri, collaterali a quello propriamente di iniziativa
disciplinare, ed il cui esercizio spesso sfocia (anche) nell'apertura di veri e propri procedimenti disciplinari.
Infatti, l'art.14 della legge n.195/1958 (istitutiva del CSM), l'art.56 del D.P.R. 916/1958, e gli
artt.7 e 12 della legge 1311/1962 prevedono degli specifici ed aggiuntivi poteri di controllo del
Ministro della Giustizia, esercitabili attraverso l'articolazione dell'Ispettorato Generale del Ministero.
Queste ulteriori norme disciplinano gli istituti della "ispezione e dell'inchiesta amministrativa", strumenti con i
quali abitualmente opera l'Ispettorato del Ministero della Giustizia; essi, come detto, sono previsti dalla legge
(n.1311/1962) e sono diretti ad effettuare specifiche verifiche ordinarie o straordinarie della funzionalità degli
Uffici Giudiziari, proprio per consentire la focalizzazione di possibili problematiche locali, di patologie
operative, ma anche di necessità contingenti, di suggerimenti di tipo organizzativo, ripristino di funzionalità,
correzione e normalizzazione di servizi, ecc.
Tant'è vero che l'Ispettorato del Ministero è un organismo del quale, oltre al Ministro della Giustizia,
si può (per legge: art. 8 della legge n.195/1958) avvalere (e di fatto, nelle fattispecie più delicate, si
avvale) anche il Consiglio Superiore della Magistratura.
Costituisce, inoltre, fatto notorio che le ispezioni mirate e le inchieste amministrative assumono i connotati
di iniziative prodromiche ed eventuali azioni di carattere disciplinare, essendo ovvio che tali iniziative
prodromiche impingono la loro valutazione su quegli aspetti concernenti proprio quella "funzionalità"
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dell'Ufficio diretto dal magistrato che, ontologicamente e concettualmente non sembra potersi separarsi
dalla valutazione propriamente disciplinare, intesa come trasgressione ai doveri d'ufficio.
La legge 12.8.1962 n.1311, istitutiva dell’Ispettorato Generale, prevede dunque le tradizionali verifiche
ispettive sui servizi con cadenza periodica. Esse consistono nell’accertamento della conformità delle attività
svolte dagli uffici giudiziari alle disposizioni delle leggi, dei regolamenti e delle istruzioni vigenti ed ai principi
della corretta amministrazione, nonché nella verifica della produttività – sotto i profili dell’entità e della
tempestività del lavoro svolto – degli uffici stessi e dei magistrati addetti.
La finalità primaria delle ispezioni è quella di contribuire a risolvere i problemi organizzativi e funzionali degli
uffici giudiziari sottoposti a verifica.
Le verifiche ispettive sono ordinarie o straordinarie. Queste ultime possono essere generali o parziali, se
limitate a singoli uffici o servizi.
Le ispezioni ordinarie sono disposte dal Capo dell’Ispettorato generale in tutti gli uffici giudiziari, con
frequenza tendenzialmente quadriennale, tranne che negli uffici del Giudice di Pace, ove hanno cadenza
triennale. In qualsiasi momento il Capo dell’Ispettorato Generale, ove sussistano giustificati motivi, può
disporre verifiche straordinarie.
Al termine della verifica, il magistrato ispettore incaricato redige, sulla base degli schemi predisposti
dall’Ispettorato generale, una relazione sintetica, alla quale allega le relazioni degli ispettori sui singoli servizi
da loro ispezionati, ove deve:
- menzionare le anomalie e le lacune riscontrate nei servizi e nella gestione degli uffici ed illustrare i
relativi interventi ispettivi ed i primi concreti risultati;
- riferire sulla produttività degli uffici, specificando i dati relativi all’entità ed alla tempestività del lavoro dei
magistrati addetti e valutando la capacità, operosità e condotta del personale amministrativo; nei casi di
ritardi, negligenze od altre irregolarità o scorrettezze, formula con-siderazioni sulla rilevanza disciplinare di
fatti e comportamenti;
- esprimere articolati giudizi, anche con riferimento alla qualità degli affari e dei reati trattati, sulla congruità
degli organici dei magistrati e del personale amministrativo e sull’adeguatezza delle strutture e dei mezzi a
disposizione, nonché sulla equità della ripartizione delle risorse e sulle modalità della loro utilizzazione.
Come cennato, il Ministro della giustizia può in ogni tempo disporre verifiche, generali o parziali, presso tutti
gli uffici giudiziari.
Il Ministro, inoltre, può avvalersi dell’Ispettorato Generale per l’esecuzione di inchieste sul personale
appartenente all’ordine giudiziario e su qualsiasi altra categoria di personale dipendente dal ministero.
Il Ministro della Giustizia ed il Procuratore generale presso la Corte di Cassazione incaricano l’Ispettorato
generale di eseguire inchieste sul personale appartenente all’ordine giudiziario. Il Ministro può richiedere
accertamenti con lo strumento dell’inchiesta amministrativa anche nei confronti di qualsiasi altro dipendente,
pur se incaricato a tempo determinato.
Dell’incarico conferito viene data notizia al capo dell’ufficio presso il quale è disposta l’inchiesta ed al
Presidente della Corte di appello, in caso di ufficio giudicante, o al Procuratore Generale, se si tratta di ufficio
di pubblico ministero.
L’inchiesta si conclude con la redazione da parte del magistrato ispettore di una sintetica relazione, che
contiene:
a) l’illustrazione dei fatti che hanno dato origine all’inchiesta; b) l’esposizione degli accertamenti compiuti e
delle relative risultanze; c) le osservazioni del soggetto sottoposto ad indagini e del capo dell’ufficio di
appartenenza; d) le conclusioni in merito alla sussistenza di responsabilità disciplinare, di elementi di
eventuale responsabilità contabile, di profili sintomatici di incompatibilità con l’esercizio delle funzioni svolte o
con l’ambiente, ovvero con la direzione dell’ufficio; e) un breve profilo professionale del soggetto sottoposto
ad indagini, con precisazione di eventuali precedenti disciplinari o altre iniziative che lo hanno riguardato ed
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indicazioni sulle attitudini e la capacità dimostrate nell’esercizio delle funzioni giudiziarie o amministrative; f)
le proposte conseguenti.
Nel caso di inchiesta riguardante magistrati, il Capo dell’Ispettorato generale trasmette al Ministro della
Giustizia ed al Procuratore generale presso la Corte di Cassazione la relazione di cui al comma che precede.
La relazione è trasmessa al solo Ministro negli altri casi.
A seguito del promuovimento dell’azione disciplinare, la Procura generale presso la Corte di Cassazione
richiede all’Ispettorato generale gli atti dell’inchiesta e provvede a depositarli per dieci giorni, avvisando
l’interessato, che ha facoltà di estrarne copia; procede, altresì, nelle forme di rito, alla contestazione
dell’incolpazione ed ai successivi incombenti.
Ma, per dettato normativo, l’Ispettorato oltre che Ufficio di collaborazione con il Ministro della Giustizia, è
anche in diretto rapporto di collaborazione con il CSM che se ne avvale “per le esigenze relative
all’esercizio delle funzioni ad esso attribuite” (art.8 L.n.195/58 istitutiva del C.S.M.).
Tale duplice rapporto funzionale attribuisce una fisionomia ed un ruolo istituzionale all’organo e
determina la posizione di autonomia dell’Ispettorato che ne sottolinea il carattere di “organo polivalente,
neutro ed esclusivamente tecnico”.
Sono note le osservazioni rese sul punto dal Consiglio Superiore della Magistratura, che nella risposta ad un
quesito del 28 aprile1998 (dal titolo <<Modalità di esercizio delle funzioni ispettive e compatibilità con le
stesse della formulazione di direttive da parte del Capo di Gabinetto>>) sottolineava il carattere di organo
neutro” dell’Ispettorato, evidenziando che se l’Ufficio centrale è costituito ‘alle dirette dipendenze del Ministro
Guardasigilli” (come recita la norma) è normativamente previsto anche un diretto rapporto di collaborazione
con il Consiglio Superiore della Magistratura (che se ne avvale per le esigenze relative all’esercizio delle
funzioni ad esso attribuite ex articolo 8 legge 24 marzo 1958, n.195). Secondo l’organo di autogoverno della
magistratura, anche un elemento testuale suffragherebbe l’autonomia dell’Ispettorato: la denominazione
<<Ispettorato presso il Ministero della giustizia>>, usata dal legislatore sia nell’intestazione che nel testo
della legge n. 131/62. Deve, tuttavia, rilevarsi che nel D.P.R. 25 luglio 2001, n.315, recante disposizioni
relative al regolamento di organizzazione degli uffici di diretta collaborazione del Ministro della giustizia, è
previsto (art.3, comma I, lettera e) che l’ispettorato generale è ufficio di diretta collaborazione del Ministro
Guardasigilli, e che (articolo 8) “dell’esito dei controlli deve riferire direttamente al Ministro ovvero al Consiglio
superiore della magistratura, quando abbia operato su richiesta dello stesso”.
Oggi la struttura dell’Ispettorato va inquadrata come supporto di strumento tecnico degli uffici
giudiziari per la razionalizzazione della loro organizzazione in funzione della migliore efficienza ed efficacia,
pur mantenendo in coerenza con la sua originaria natura i tradizionali compiti di controllo di legalità.
La finalità collaborativa per il superamento dei problemi organizzativi e funzionali degli uffici giudiziari, deve
precedere la finalità censoria, ovvero la ricerca di eventuali responsabilità individuali dei disservizi e delle
irregolarità.
In definitiva, le finalità essenziali dell’attività cui è preposto l’Ispettorato si possono sinteticamente
individuare in:
- verifica della legalità dell’attività degli uffici giudiziari in conformità con l’originaria natura di attività
predisciplinare del servizio ispettivo, con l’accertamento di fatti e comportamenti dei magistrati ordinari e del
personale amministrativo di valenza disciplinare;
- controllo sull’organizzazione e sulla funzionalità del servizio giustizia gestito dai singoli uffici
giudiziari, atteso che scopo primario dell’azione amministrativo-ispettiva deve essere quello di fornire agli
uffici giudiziari che presentino problemi organizzativi e/o funzionali un supporto altamente qualificato per
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attuare un programma di regolarizzazione che consenta di rientrare negli ordinari parametri di normalità di
funzionamento;
- accertamento di situazioni, avvenimenti, comportamenti di magistrati rilevanti quali indicatori
di svolgimento non indipendente o imparziale dell’attività giudiziaria. Oggi, invero, il decreto l.gvo
23 febbraio 2006 n.109, all’art.26 co.1°, ha sostituito il precedente testo dell’art. 2 co.2 del R.D. Lgs. n.
511/46 con il seguente contenuto: “quando per qualsiasi causa indipendente da loro colpa, (i magistrati) non
possono, nella sede occupata, svolgere le proprie funzioni con piena indipendenza e con imparzialità” : si nota
l’abbandono del richiamo al prestigio dell’ordine giudiziario in favore della formula “ con piena indipendenza e
con imparzialità”.
Il presupposto applicativo del trasferimento officioso ex art. 2 legge guarentigie, consiste, come è noto,
nella <<causa indipendente da colpa>>, ed ha un’area di operatività più ridotta rispetto al passato, perché
ricorre quando: a) la criticità non risulti sussumibile in alcuna delle fattispecie disciplinari delineate dal decreto
legislativo n.109/2006; b) non risulti riconducibile a comportamento del magistrato, c) sia impossibile (non
amministrare giustizia), ma svolgere funzioni giudiziarie con piena indipendenza e imparzialità.
Tra le varie cause non può essere presa in considerazione l’attività giurisdizionale come originariamente
previsto dall’art. 2 l. guar. nemmeno nei casi derogatori di “dolo o errore determinato da colpa grave”, perché
detti casi sono oggi suscettibili di acquisire rilevanza disciplinare con il regime sanzionatorio relativo.
In coincidenza con la competenza delle pratiche assegnate alla Prima Commissione si tratterà di
<<rapporti, esposti, ricorsi doglianze concernenti magistrati>> (cfr. tabella A all. Regol. interno CSM) e
dunque relazioni personali di incompatibilità non codificate, conoscenze nel luogo di esercizio delle funzioni,
rapporti contrattuali leciti, vicende morali o giudiziarie personali ecc., di cui alla delib. CSM del 6.12.06, nella
quale viene, tra l’altro, richiamato l’art. 40 D.P.R. n.916 del 1958, che attribuisce al CSM il potere di rivolgere
richieste di accertamenti all’Ispettorato generale presso il Ministero della Giustizia: la norma, non modificata
dalla legge n.150 del 2005, è espressiva della perdurante titolarità in capo al Consiglio di un <<potere
strumentale di inchiesta>>, secondo l’espressione utilizzata dalla circolare n.510 del 15 gennaio 1994.
Per quanto riguarda gli incarichi di accertamenti delegati direttamente dal C.S.M. all’Ispettorato Generale ai
sensi dell’art. 8 della legge n.195/1958, trovano applicazione le norme relative alla fattispecie di inchiesta
amministrativa e le relative modalità di espletamento.
A questo punto può procedersi all’indicazione della morfologia delle iniziative ispettive.
VERIFICA ISPETTIVA PERIODICA (c.d. “ORDINARIA”) :
a. è prevista dall'art. 7, comma 1°, L. n. 1311/1962;
b. è disposta dal Capo dell’Ispettorato;
c. ha cadenza triennale (apparentemente inderogabile);
d. ha la funzione di accertare se i servizi procedono secondo le Leggi, i regola-menti e le istruzioni vigenti;
e. ha carattere fondamentalmente esplorativo essendo finalizzata ad accertare la conformità ad un determinato
modello di regolarità, dell'organizzazione e dell'andamento di un ufficio, nonché dei termini quantitativi e
temporali del lavoro dei Magistrati (cfr.provvedimento del C.S.M. - Risposta a quesito - del 28 aprile 1998).
VERIFICA ISPETTIVA STRAORDINARIA:
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a. è prevista dall'art. 7, comma 2°, L. n. 1311/1962;
b. è disposta, motivatamente, dal Capo dell’Ispettorato prima del termine di tre anni;
c. è condizionata dall'accertamento preventivo della sussistenza "di deficienze ed irregolarità" riscontrate in
precedenti verifiche ispettive o segnalate da altri organi o uffici;
d. ha la funzione di accertare se i servizi procedono secondo le Leggi, i regola-menti e le istruzioni vigenti
ovvero se sussistano ancora o siano, dopo la pre-cedente ispezione, intervenute deficienze ed irregolarità;
e. ha carattere fondamentalmente esplorativo essendo finalizzata ad accertare la conformità ad un determinato
modello di regolarità, dell'organizzazione e dell'andamento di un ufficio, nonché dei termini quantitativi e
temporali del lavoro dei Magistrati (cfr.provvedimento del C.S.M. - Risposta a quesito - del 28 aprile 1998).
VERIFICA ISPETTIVA OCCASIONALE:
a. è prevista dall'art. 7, comma 3°, L. n. 1311/1962;
b. è disposta dal Ministro della Giustizia in ogni tempo;
c. ha la funzione di accertare se i servizi procedono secondo le Leggi, i regola-menti e le istruzioni vigenti;
d. ha carattere fondamentalmente esplorativo essendo finalizzata ad accertare la conformità ad un determinato
modello di regolarità, dell'organizzazione e dell'andamento di un ufficio, nonché dei termini quantitativi e
temporali del lavoro dei Magistrati (cfr. provvedimento del C.S.M. - Risposta a quesito - del 28 aprile 1998).
VERIFICA ISPETTIVA PARZIALE (o MIRATA):
a. è prevista dall'art. 7, comma 3°, L. n. 1311/1962;
b. è disposta dal Ministro della Giustizia in ogni tempo;
c. ha la funzione di accertare la qualità di specifici servizi ed eventuali problemi di la produttività dell’ufficio
giudiziario ispezionato ed anche l'entità e la tempestività del lavoro di singoli Magistrati;
d. ha carattere fondamentalmente esplorativo, essendo finalizzata ad accertare la conformità ad un determinato
modello di regolarità del funzionamento di singoli uffici e/o servizi (cfr. provvedimento del C.S.M. - Risposta a
quesito - del 28 aprile 1998).
INCHIESTA AMMINISTRATIVA:
a. è prevista dall'art. 12, L. n. 1311/1962;
b. è disposta dal Ministro della Giustizia, in ogni tempo, “sul personale appartenente all'ordine giudiziario e su
qualsiasi altra categoria di personale dipendente dal Ministero di Grazia e Giustizia”;
c. ha la funzione di verificare fatti e condotte concreti già individuati, mediante l’accertamento della sussistenza
effettiva e i caratteri specifici di una presunta violazione, già come tale denunziata (cfr. provvedimento del
C.S.M. - Risposta a quesito - del 28 aprile 1998).
LE VERIFICHE ISPETTIVE E LE INCHIESTE AMMINISTRATIVE: ELEMENTI COMUNI E CARATTERI
DIFFERENZIALI.
54
E’ possibile affermare che tanto le verifiche ispettive quanto le inchieste amministrative possono dar luogo a
procedimenti per l’accertamento di responsabilità disciplinare, contabile, patrimoniale, civile e penale nonché di
eventuale sussistenza di cause di incompatibilità ambientale e/o funzionale.
Per ciò che attiene alle prime esse, genericamente finalizzate alla scoperta di ogni eventuale carenza ed
irregolarità, si concludono con una relazione del Magistrato Ispettore e, per i soli Uffici del Giudice di Pace, del
Dirigente Ispettore.
L’Ispettore redigente nella relazione conclusiva menziona succintamente (ex art. 9 L. 1311/1962):
a) le irregolarità e le lacune eventualmente riscontrate nei servizi;
b) le proposte atte ad eliminarle;
c) l’entità e tempestività del lavoro eseguito dai Magistrati;
d) la capacità, l’operosità e la condotta dei funzionari addetti all’ufficio ispezionato;
e) l’eventuale permanenza delle deficienze o irregolarità precedentemente riscontrate.
L’Ispettore, inoltre, ai sensi dell’art. 10 L. 1311/1962, denuncia con immediata segnalazione preliminare al Capo
dell’Ispettorato ogni abuso o grave irregolarità eventualmente riscontrati in corso di verifica ispettiva.
Indica, in tale sede, i rilievi e le prescrizioni e raccomandazioni già tempestivamente im-partite, in presenza di
ritenuto periculum in mora, al fine di eliminare gli inconvenienti dal cui protrarsi potrebbe derivare pregiudizio
per il regolare buon andamento dell’Ufficio, formulando altresì le proprie eventuali ulteriori proposte circa i
provvedimenti da adottare.
A norma dell’art. 11 L. 1311/1962, all’esito dell’ispezione, tutti gli altri provvedimenti conseguenti ai rilievi
formulati sono devoluti alla competenza delle singole articolazioni centrali, destinatarie di copia della relazione
conclusiva.
L'inchiesta amministrativa, a differenza delle verifiche ispettive, come si è già detto, è tendenzialmente rivolta
alla verifica di fatti e condotte concreti già individuati, accertando la sussistenza effettiva e i caratteri specifici di
una presunta violazione, già come tale denunziata (cfr. provvedimento del C.S.M. - Risposta a quesito - del 28
aprile 1998).
Va rammentato che, “ove l'attività conoscitiva del Ministro, finalizzata all'esercizio delle sue competenze, non
abbia ad oggetto i Magistrati e la loro attività, la stessa è tendenzialmente libera e non ha bisogno di alcuna
previsione legislativa per essere legittimata, mentre, nel caso in cui sia relativa a Magistrati e alla loro attività, la
ricerca di informazioni da parte del Ministro deve necessariamente muoversi secondo i casi, i modi, i fini stabiliti
dalla legge e comunque compatibili con il principio fondamentale del rispetto dell'autonomia della funzione
giudiziaria e della sua immunità da interferenze esterne ” (cfr. Risposta a quesito CSM 28 aprile 1998).
A norma dell’art. 12 L. 1311/1962, nel corso dell’indagine nei riguardi di un Magistrato o funzionario, il
Magistrato Ispettore delegato deve, senza l’osservanza di particolari formalità, chiedere informazioni al capo
dell’Ufficio e chiarimenti all’inquisito e riferire circa ogni elemento o fatto suscettibile di valutazione disciplinare.
All’esito dell’inchiesta, la relazione, a differenza di quella redatta a conclusione delle verifiche ispettive, deve
essere dettagliata e corredata di tutti gli atti e documenti acquisiti per l’accertamento della responsabilità
disciplinare e/o dell’incompatibilità ambientale o funzionale.
Quadro normativo attuale
L’analisi storico-ricostruttiva, in chiave di sinossi espositiva, prende le mosse dall’ordinamento Grandi, di cui al
R.D. N.12/30.01.1941: all’ordinamento giudiziario era allegata la relazione che prende il nome del ministro
55
guardasigilli: essa disegnava un modello di sistema ordinamentale e di giudice ispirato ai principi ed alle
esigenze di quel periodo storico.
Il R.D. LGS. N. 511/31.05.46 (LEGGE SULLE GUARENTIGIE) prevedeva all’art. 18 la responsabilità disciplinare
dei magistrati: <<il magistrato che manchi ai suoi doveri o tenga in ufficio o fuori una condotta tale che lo
renda immeritevole della fiducia e della considerazione di cui deve godere, o che comprometta il prestigio
dell’ordine giudiziario, è soggetto a sanzioni disciplinari secondo le disposizioni degli articoli seguenti >>, ora
brogato da D.LVO N.109 DEL 2006 sulla responsabilità disciplinare
Questo testo toglieva al ministro il potere di direzione del PM conservando solo il
potere di alta sorveglianza su tutti gli uffici giudiziari su tutti i giudici ed i magistrati del
PM.
L. n.195/58 (Legge istitutiva del CSM) è il testo costitutivo e di funzionamento del CSM, modificato con la
Legge 28/3/02 n. 44 che riduce la composizione del CSM a 16 membri togati e non più 20 e 8 laici non più
10.
La legge n.1311/12.08.1962 prevede l’organizzazione ed il funzionamento dell’ISPETTORATO GENERALE, alla
dipendenza diretta del Ministro guardasigilli.
Per completezza espositiva non si può non richiamare:
- la legge 13/4/88 n.117, sulla responsabilità civile dei magistrati, che prevede il risarcimento dei danni
cagionati nell’esercizio delle funzioni giudiziarie,
- la legge 24/3/01 n.89, sulla ragionevole durata del processo che prevede il diritto all’equa riparazione per
l’eccessiva durata dei processi, la norma processuale di riferimento è l’art. 314 c.p.p.
- il codice etico dei magistrati del 1994;
- i principi costituzionalizzati del nuovo art.111;
- la legge delega 25/7/05 n.150 che traccia il nuovo sistema di ordinamento giudiziario, approvata dal
Parlamento il 20 luglio 2005 promulgata il 26 luglio 2005 e del conseguente intervento di normazione primaria
attuativa dei principi e criteri direttivi indicati.
- D.LGS.5 APRILE 2006 N.160 INTEGRATO CON L.30 LUGLIO 2007 N.111 sullo status del
magistrato (ordinamento giudiziario riformato).
L’Ispettorato Generale e le tendenze normative in materia di “audit”
Trattandosi di un particolarissimo Ufficio regolato per legge e caratterizzato dalla duplice dipendenza funzionale
dal CSM e dal Guardasigilli, l’Ispettorato generale presso il Ministero della Giustizia ha, per così dire, anticipato e
realizzato di fatto i principi del più recente “AUDIT INTERNO”.
A differenza di tutti gli altri “servizi ispettivi” della P.A., infatti, il solo Ispettorato generale presso il Ministero
della Giustizia ha operato non solo (e non principalmente) per individuare responsabilità nell’ambito di una
specifica branca della P.A. ma ha garantito (in particolare attraverso le ispezioni periodiche c.d. “ordinarie”) il
costante controllo della qualità del “servizio Giustizia”.
Può, con fondate ragioni, affermarsi che l’Ispettorato generale presso il Ministero della Giustizia è stato, in
Italia, l’antesignano del c.d. “SERVIZIO AUDIT INTERNO”.
56
Oggi, la tendenza comunitaria e, con il decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 286, anche nazionale è quella di
rivisitare, proprio in tal senso, il modello dei controlli di regolarità amministrativa e contabile mediante la
progressiva riforma del sistema complessivo dei controlli interni delle pubbliche amministrazioni.
Detta tendenza prende le mosse dalla ritenuta opportunità di implementare funzioni di internal auditing nelle
pubbliche amministrazioni al fine di avviare un percorso strategico per il miglioramento e consolidamento dei
processi di risk governance e controllo interno nelle amministrazioni pubbliche. In tale ottica appare
consequenziale l’introduzione di un concetto di sistema di controllo interno evoluto che faccia riferimento alle
best practice internazionali e, in particolare, ai modelli sviluppati dal Committee of Sponsoring Organizations of
the Treadway Commission.
Va qui segnalato che, negli ultimi 8 anni, diversi dicasteri hanno già proceduto alla riorganizzazione dei propri
servizi ispettivi in coerente ossequio ai principi contenuti nel prefato D.L.vo 286/99.
Lo stesso Ministero della Giustizia si è dotato di un Servizio Controllo Interno, come Ufficio di diretta
collaborazione, che però non copre -nè lo potrebbe- l’intero alveo del possibile “auditing”, data la complessità e
la particolarità del “servizio Giustizia”, in senso lato, nel quale convivono ed operano in sinergia due diversi
Poteri dello Stato: l’Esecutivo ed il Giudiziario.
Da tale specialissima particolarità discende il ruolo centrale dell’Ispettorato Generale che, per legge, può e deve
realizzare la funzione di controllo sul buon andamento amministrativo e di accertamento della regolarità
amministrativa e contabile dell’attività giudiziaria negli Uffici Giudiziari.
Appare, quindi, verosimile che presto si debba procedere ad un aggiornamento anche della struttura e dei
protocolli operativi dell’Ispettorato generale presso il Ministero della Giustizia.
Composto prevalentemente da magistrati (di grado non inferiore a quello d’appello – ora III valutazione di
professionalità), da dirigenti amministrativi e funzionari delle qualifiche più elevate, apparirebbe, in vero,
naturale che una proposta di riforma -coerente con quanto contenuto dall’art.2 del citato D.L.vo- provenga dallo
stesso Ispettorato Generale.
Per un rinnovato Ispettorato Generale
Preliminarmente appare opportuno effettuare una sorta di riscontro di compatibilità della tradizionale “funzione
ispettiva” dell’Ufficio con quella della “revisione interna” (internal audit), per poi procedere alle necessarie
modifiche della struttura organizzativa (per altro non sostanziali).
A tal fine occorre rammentare che il c.d. “internal auditing” dovrebbe supportare la governance del “servizio
Giustizia” attraverso la sistematica verifica dell’adeguatezza del sistema, al fine di garantire la gestione della
componente “rischio” che si frappone al raggiungimento degli obiettivi normativi, strategici e operativi
prefissati.
Il nuovo modello dell'internal auditing, infatti, ha come focus non più (o non solo) i procedimenti amministrativi
e giudiziari e i relativi atti, bensì i processi legati alle missioni istituzionali del Ministero della Giustizia e, in
diversa misura, del CSM (servizio giustizia in senso stretto e autogoverno della Magistratura), nonché quelli
relativi alla gestione del personale e al comparto amministrativo-contabile.
Per “processo” deve, qui, intendersi un insieme di attività poste in sequenza, da un punto di vista logico e
temporale, in quanto finalizzate al raggiungimento di un determinato obiettivo, con apporto di risorse umane e
materiali.
Apparirebbe, a tale stregua, opportuno (sentiti anche il Gabinetto del Ministro e il CSM) elaborare una
mappatura completa di tutti i “processi”, con l’obiettivo di ottenere la standardizzazione delle modalità di analisi
e di rappresentazione dei processi e la costituzione di una base informativa unica e condivisa per tutte le unità
organizzative. La mappa potrebbe essere articolata in quattro aree strategiche:
57
• governo degli Uffici (magistrati e personale civile)
• servizi di giustizia in senso stretto (c.d. servizi amministrativi)
• regolarità della produzione di giustizia (c.d. servizi civili e penali)
• supporto alle strutture giudiziarie.
Il tutto tenendo conto della generalizzata situazione di collasso degli Uffici in conseguenza delle gravi carenze
degli organici del personale amministrativo, in particolare nelle qualifiche apicali, che comporta la presenza di
diffuse situazioni patologiche idonee ad interferire sulla concreta praticabilità di controlli standardizzati.
Al di là delle possibili denominazioni e mappature, tenuto conto il primo obiettivo della funzione di audit interno
è, quindi, rappresentato dalla individuazione preventiva dei rischi di disfunzioni o irregolarità e dei meccanismi
di controllo messi in atto dai responsabili dei singoli processi per evitare che le disfunzioni o irregolarità si
verifichino in concreto.
Questa attività viene comunemente definita “risk assessment”.
Per “rischio” dovrebbe intendersi un evento potenziale suscettibile di generare disfunzioni o irregolarità e, di
conseguenza, influenzare negativamente il perseguimento degli obiettivi istituzionali.
Nell’ambito dell'Amministrazione della Giustizia, anche in relazione ai processi gestiti e alla diffusione territoriale
degli uffici, potrebbe essere definito un framework di riferimento per la classificazione dei rischi finalizzato a:
• sviluppare un linguaggio comune da utilizzare nell’analisi dei rischi,
• assicurare comportamenti e valutazioni sostanzialmente uniformi e omogenei,
• ottenere un sistema di classificazione e valutazione dei rischi coerente con gli obiettivi istituzionali.
In un primo momento, ovviamente, per attuare l’internal audit, potrebbe essere svolto in modo sistematico il
risk assessment sui processi del servizio giustizia ritenuti prioritari per la loro criticità (gli attuali “obbiettivi” ne
sono un esempio), arrivando progressivamente a disegnare una completa mappa del rischio e formulando
prescrizioni e raccomandazioni (con successivi controlli) che consentirebbero notevoli benefici in termini di
riduzione del rischio e di recupero di funzionalità.
L’Ispettorato, quindi, potrebbe sin d’ora (e senza alcuna modifica normativa) attrezzarsi di una organizzazione
che, in pieno ossequio delle norme vigenti in materia (per tutte la legge istitutiva), svolga le funzioni di:
• Sviluppo e manutenzione delle metodologie di auditing;
• Controllo di regolarità amministrativa e contabile presso gli uffici giudiziari (periodico o straordinario);
• Controllo di gestione presso gli uffici giudiziari (periodico o straordinario);
• Inchiesta ed indagine amministrativa (nei casi previsti dalla legge).
La descritta organizzazione, in realtà, non differisce da quella attuale sennonché diverso è l’approccio
metodologico che da un’impostazione di tipo veteroispettivo si indirizza verso un’impostazione consulenziale
preventiva secondo i principi della revisione aziendale.
A ben vedere, specie negli ultimi tempi, l’Ispettorato Generale ha già orientato la propria attività passando da
una visione di controllo esclusivamente ex post, incentrato su singole questioni, ad un approccio metodologico
orientato a valutare e garantire, per quanto possibile, l’affidabilità del sistema giustizia negli uffici giudiziari e
58
finalizzando prioritariamente le stesse ispezioni ordinarie al miglioramento della prevenzione e della gestione
del rischio dei processi del servizio stesso (cfr. Circolari organizzative a firma Miller).
Basterebbe, ora, meglio definire l’impronta che già caratterizza l’attuale Ispettorato Generale individuando
preventivamente i possibili rischi di disfunzioni o irregolarità dei servizi per evitare che le disfunzioni o
irregolarità si verifichino in concreto o che, ove verificate, non vengano poi rilevate ed eliminate.
Quanto detto potrebbe realizzarsi mediante (come più sopra già accennato) una progressiva mappatura di tutti
i processi del servizio Giustizia (in senso ampio).
Al fine di agevolare la concreta attuazione del nuovo modello di revisione interna e di garantirne una
applicazione omogenea, potrebbe essere messa a punto una apposita metodologia articolata su tre diverse
tipologie di intervento:
� Audit di processo:
- studio preliminare e mappatura dei processi con identificazione e valutazione dei rischi (la valutazione della
rilevanza dei rischi sulla base della loro probabilità e del loro impatto);
- predisposizione degli schemi dei controlli;
- individuazione degli obbiettivi annuali e generali;
� Ispezione (ordinaria, mirata o straordinaria) presso gli Uffici Giudiziari:
- gap analysis (confronto tra i modelli normativi e la loro concreta applicazione);
- identificazione dei rilievi e dei suggerimenti (Prescrizioni e Raccomandazioni) in loco;
- elaborazione dei Piani di Azione (a cura del responsabile della struttura auditata).
� Followup e Audit di conformità (procedimento di normalizzazione):
- Verifica dell’adeguatezza, efficacia e tempestività delle azioni correttive (definite nei Piani di Azione)
intraprese dalla struttura auditata per rimuovere le criticità individuate nella Ispezione;
- Verifica dell’effettiva esistenza e correttezza delle attività di normalizzazione .
Come si sarà notato, l’insieme delle proposte sopra formulate non rivoluziona l’attuale organizzazione
dell’Ispettorato ma attiene solo ad alcune (neppure sostanziali) caratterizzanti modifiche.
Si tenga, ancora, presente che di fatto il c.d. risk assessment è già di massima ora rappresentato dagli schemi e
dai prospetti ispettivi già in uso.
Il maggiore “maquillage” riguarda, in vero, la modulazione temporale delle ispezioni, le modalità pratiche delle
medesime e le relazioni finali. Un nuovo vestito, insomma, per un organismo ispettivo che già dà ottima prova
di sè.
In dettaglio:
Audit di processo

dei
studio preliminare e mappatura a) predisposizione dei prospetti finalizzati al
processi con identificazione e controllo dei servizi di giustizia in senso stretto
59
valutazione dei rischi (la valutazione (c.d. servizi amministrativi e contabili),
della rilevanza dei rischi sulla base della eliminando la pletora di rilevazioni meramente
loro probabilità e del loro impatto);
statistiche e focalizzando l’attenzione solo sugli
aspetti realmente significativi;
b) predisposizione dei prospetti finalizzati al
controllo della regolarità della produzione di
giustizia (c.d. servizi civili e penali), eliminando
la pletora di rilevazioni meramente statistiche e
focalizzando l’attenzione solo sugli aspetti
realmente significativi.
annuale delle Ispezioni

predisposizione degli schemi dei Programmazione
controlli
Ordinarie e aggiornamento degli schemi di
relazione, adeguandoli alle eventuali novelle
normative e rendendoli sintetici e realmente
idonei a sostenere le valutazioni finali.

individuazione
generali e annuali.
degli
obbiettivi Elencazione degli obbiettivi generali (quelli fissi)
e annuali (quelli su cui il controllo deve essere
maggiormente intenso).
Ispezione (ordinaria, mirata o straordinaria) presso gli Uffici
Giudiziari

gap analysis (confronto tra i Svolgimento dell’ispezione secondo le modalità
modelli normativi e la loro concreta indicate sub E) mediante l’utilizzo dei nuovi
applicazione)
prospetti e schemi.

identificazione dei rilievi e dei Redazione, presso la struttura auditata, delle
suggerimenti
(Prescrizioni
e eventuali
prescrizioni
e
raccomandazioni
Raccomandazioni) in loco.
impartite sul presupposto della necessità ed
urgenza.

elaborazione del Piano di Azione
Urgente (a cura del responsabile della
struttura
auditata)
relativo
alle
prescrizioni e raccomandazioni impartite
in loco.
Predisposizione, entro giorni 15 dalla chiusura
dell’Ispezione, da parte del responsabile
dell’Ufficio presso cui sono emerse le criticità,
del Piano di Azione Urgente per normalizzare i
servizi ed immediato invio del Piano stesso al
Magistrato referente interno dell’Ispettorato
Generale.

redazione,
assemblaggio
e La relazione conclusiva (redatta nei modi di cui
collazione della Relazione conclusiva e al punto E) conterrà, tra l’altro, la valutazione
trasmissione
della
medesima
alla provvisoria espressa dal capo équipe, sentiti gli
struttura auditata.
Ispettori delegati per l’ispezione.
60
entro
giorni
15
dal

elaborazione del Piano di Azione Predisposizione,
Generale (a cura del responsabile della pervenimento della relazione conclusiva, da
struttura auditata) relativo alle criticità parte del responsabile dell’Ufficio presso cui
segnalate nella relazione conclusiva.
sono emerse le criticità, del Piano di Azione
Generale per normalizzare i servizi ed immediato
invio del Piano stesso al Magistrato referente
interno dell’Ispettorato Generale.
Followup e Audit di conformità (procedimento di normalizzazione)

Verifica dell’adeguatezza, efficacia
e tempestività delle azioni correttive
(definite nei Piani di Azione) intraprese
dalla struttura auditata per rimuovere le
criticità
individuate nella
Ispezione.
Attività a cura del Magistrato referente interno
che, unitamente all’Ufficio Studi ed al Reparto
Ispezioni,senza ritardo, valuta l’idoneità dei Piani
d’Azione segnalando al dirigente dell’Ufficio
auditato le eventuali carenze, inadeguatezze o
lacune dei Piani stessi.

Verifica dell’effettiva esistenza e Attività a cura del Magistrato referente interno
correttezza
delle
attività
di che, unitamente all’Ufficio Studi, al Reparto
normalizzazione
Ispezioni ed allo Statistico delegato, accerta, ove
necessario anche effettuando un breve
sopralluogo, l’effettiva avvenuta normalizzazione
ed esprime la valutazione finale:
•
favorevole
•
in prevalenza favorevole
•
parzialmente favorevole
•
in prevalenza non favorevole
•
non favorevole.
Le ricadute dell’attività ispettiva sull’ordinamento giudiziario riformato
Oggi la verifica della carriera e della produttività del magistrato è molto più penetrante.
Si riporta in sintesi la Circolare in materia di “NUOVI CRITERI PER LA VALUTAZIONE DI
PROFESSIONALITA’ DEI MAGISTRATI A SEGUITO DELLA LEGGE 30 LUGLIO 2007, N. 111,
RECANTE “MODIFICHE ALLE NORME SULL’ORDINAMENTO GIUDIZIARIO”
PREMESSA
La presente circolare disciplina tutti i casi in cui la legge o altre disposizioni normative richiedono valutazioni
della professionalità dei magistrati; disciplina in particolare gli elementi, i parametri, la documentazione ed il
procedimento per le valutazioni di professionalità.
61
PARTE I
CAPO I
I PARERI E LE VALUTAZIONI DI PROFESSIONALITA’
1. I pareri dei Consigli giudiziari e del Consiglio direttivo della Corte di Cassazione e le valutazioni di
professionalità del Consiglio superiore della magistratura devono essere formulati secondo le disposizioni
seguenti.
CAPO II
DISPOSIZIONI GENERALI
1. Il Consiglio superiore procede alla valutazione di professionalità acquisiti il parere del
Consiglio giudiziario o del Consiglio direttivo della Corte di Cassazione e la relativa
documentazione, le risultanze delle ispezioni ordinarie e tutti gli elementi di conoscenza ulteriori
che ritenga di assumere.
2. Il parere deve ricostruire con completezza le qualità del magistrato, al fine di consentire al Consiglio
superiore la conoscenza dettagliata delle caratteristiche professionali, del tipo di lavoro effettivamente svolto
e delle reali attitudini del magistrato medesimo, anche ai fini delle valutazioni per il tramutamento di funzioni,
per il conferimento delle funzioni semidirettive e direttive – salvo quanto previsto dal capo XXI, punto 1 -,
nonché per il conferimento delle funzioni di legittimità.
3. Il parere deve sempre indicare in modo analitico gli elementi di fatto positivi e negativi sui quali fonda le
proprie valutazioni.
4. Ciascun parere deve avvalersi di tutti i parametri che ai sensi delle vigenti disposizioni sono comunque
significativi in ordine alla ricostruzione delle qualità professionali del magistrato.
5. Nelle valutazioni di professionalità successive deve essere verificata la permanenza di elementi significativi
già individuati in quelle precedenti.
1. I parametri normativi, cui occorre avere riguardo ai fini delle valutazioni di professionalità,
sono individuati nella capacità, nella laboriosità, nella diligenza e nell’impegno.
2. La capacità si desume:
- dalla preparazione giuridica e dal grado di aggiornamento;
- dal possesso delle tecniche di argomentazione e di indagine, anche in relazione all’esito degli affari nelle
successive fasi e nei gradi del procedimento;
- dalla conduzione delle udienze da parte di chi le dirige o le presiede;
- dall’idoneità a utilizzare e dirigere i collaboratori e gli ausiliari, nonché a controllarne l’apporto;
- dall’attitudine a cooperare secondo criteri di opportuno coordinamento con altri uffici giudiziari aventi
competenze connesse o collegate.
3. La laboriosità si desume:
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- dalla produttività, intesa come numero e qualità degli affari trattati, in rapporto alla tipologia ed alla
condizione organizzativa e strutturale degli uffici;
- dai tempi di smaltimento del lavoro;
- dall’attività di collaborazione svolta nell’ufficio.
4. La diligenza si desume:
- dall’assiduità e dalla puntualità nella presenza in ufficio, nelle udienze e nei giorni stabiliti;
- dal rispetto dei termini per la redazione e il deposito dei provvedimenti, o comunque per il compimento di
attività giudiziarie;
- dalla partecipazione alle riunioni previste dall’ordinamento giudiziario per la discussione e l’approfondimento
delle innovazioni legislative, nonché per la conoscenza dell’evoluzione della giurisprudenza o, nell’ipotesi di
presidenti di sezione e di coordinatori di gruppi di lavoro, dalla periodica convocazione di tali riunioni.
5. L’impegno si desume:
- dalla disponibilità alle sostituzioni di magistrati assenti;
- dalla frequenza della partecipazione o nella disponibilità a partecipare ai corsi di aggiornamento organizzati
dalla Scuola superiore della magistratura, salvo quanto previsto dalla disposizione transitoria;
- dalla collaborazione alla soluzione dei problemi di tipo organizzativo e giuridico.
CAPO V
INDICATORI DEI PARAMETRI DI VALUTAZIONE
1. Gli indicatori dei parametri di valutazione hanno la funzione di consentire un giudizio analitico e completo,
ancorato a criteri predeterminati, in ordine a ciascun parametro.
2. In particolare:
a) gli indicatori della capacità sono costituiti:
- dalla chiarezza, completezza espositiva e capacità di sintesi nella redazione dei provvedimenti giudiziari, in
relazione ai presupposti di fatto e di diritto, nonché dalla loro congruità rispetto ai problemi processuali o
investigativi affrontati, come accertati dall’esame degli atti acquisiti a campione nonché di quelli,
eventualmente, prodotti dell’interessato; per i magistrati con funzione inquirente, inoltre, dall’impiego di
corrette tecniche di indagine, desumibili dai suindicati atti nonché dal rapporto informativo del capo
dell’ufficio relativamente alla generalità degli affari trattati; per i magistrati requirenti con funzioni di
coordinamento nazionale, anche dalla capacità di rapportarsi in maniera efficace, autorevole e collaborativa
con gli uffici giudiziari e i magistrati destinatari del coordinamento, desunta dal rapporto informativo del
Procuratore Nazionale Antimafia;
- dalla complessità dei procedimenti e dei processi trattati, in ragione del numero delle parti e delle questioni
giuridiche affrontate, come indicata dai dirigenti degli uffici o dai magistrati in valutazione;
dall’esito, nelle successive fasi e nei gradi del procedimento, dei provvedimenti giudiziari emessi o richiesti,
relativi alla definizione di fasi procedimentali o processuali o all’adozione di misure cautelari, accertato
attraverso la comunicazione dei dirigenti degli uffici e da valutarsi, ove presenti caratteri di significativa
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anomalia, anche alla luce del rapporto esistente tra provvedimenti emessi o richiesti e provvedimenti non
confermati o rigettati, rapporto da valutarsi altresì avuto riguardo alla tipologia ed alla natura degli affari
trattati ed alla evoluzione giurisprudenziale;
- dalle modalità di gestione dell’udienza in termini di corretta conduzione o partecipazione, nel rispetto dei
diritti delle parti, accertata dall’esame dei verbali acquisiti a campione nonché prodotti dell’interessato, dal
rapporto dei dirigenti degli uffici o da eventuali segnalazioni del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati;
- dal livello dei contributi in camera di consiglio;
- dall’attitudine del magistrato ad organizzare il proprio lavoro;
- dalle conoscenze informatiche applicate alla redazione dei provvedimenti ed all’efficace
gestione dell’attività giudiziaria;
- dall’aggiornamento dottrinale e giurisprudenziale dimostrato anche attraverso le pubblicazioni
di provvedimenti giudiziari o di altri contributi aventi rilievo scientifico e le relazioni a convegni
giuridici, inserite o comunque inseribili nel fascicolo personale del magistrato, e che abbiano
comportato un arricchimento del lavoro giudiziario;
b) gli indicatori della laboriosità sono costituiti:
dal numero di procedimenti e processi definiti per ciascun anno in relazione alle pendenze del ruolo, ai flussi
in entrata degli affari, e alla complessità dei procedimenti assegnati e trattati, verificati sulla base delle
statistiche e dei dati forniti dai capi degli uffici ed eventualmente dai magistrati in valutazione;
dal rispetto degli standard medi di definizione dei procedimenti, individuati, salvo quanto previsto dalle
disposizioni finali della presente circolare, dalla media statistica della produzione dei magistrati
dell’ufficio di cui il magistrato sottoposto a valutazione fa parte ed assegnati a funzioni, sezioni,
gruppi di lavoro omogenei a quest’ultimo, come desunta dalle statistiche ufficiali calcolate al 31
dicembre di ciascuno dei due anni precedenti rispetto ad ognuno degli anni in valutazione. Tali
standard medi vanno, comunque, valutati unitamente ed alla luce: della complessiva situazione organizzativa
e strutturale degli uffici; dei flussi in entrata degli affari; della qualità degli affari trattati, determinata in
ragione del numero delle parti o della complessità delle questione giuridiche affrontate; dell’attività di
collaborazione alla gestione dell’ufficio ed all’espletamento di attività istituzionali; dello svolgimento di
incarichi giudiziari ed extragiudiziari di natura obbligatoria; di eventuali esoneri dal lavoro giudiziario; di
eventuali assenze legittime dal lavoro diverse dal congedo ordinario;
dal rispetto di tempi di trattazione dei procedimenti e dei processi, accertato attraverso i
rapporti dei dirigenti degli uffici, le segnalazioni eventualmente pervenute dal Consiglio
dell’Ordine degli Avvocati competente per territorio, le informazioni esistenti presso la Prima
Commissione e presso la Segreteria della Sezione Disciplinare del Consiglio superiore, quelle
inserite nel fascicolo personale del magistrato, nonché mediante la verifica della insussistenza di
eventuali rilievi di natura contabile o di giudizi di responsabilità civile;
dalla collaborazione prestata per il buon andamento dell’ufficio, anche su richiesta del dirigente o del
coordinatore della posizione tabellare o del gruppo di lavoro, e da questi segnalata;
c) gli indicatori della diligenza sono costituiti:
- dal rispetto degli impegni prefissati e dal numero di udienze tenute, in relazione a quanto stabilito dagli
organi competenti, verificati sulla base dei dati forniti dai dirigenti degli uffici ed eventualmente dai magistrati
in valutazione;
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- dal rispetto dei termini per la redazione e il deposito dei provvedimenti, o comunque per il
compimento di attività giudiziarie, accertato mediante l’esame dei prospetti statistici comparati
o attraverso le indicazioni dei dirigenti degli uffici, da valutarsi alla luce della complessiva
situazione degli uffici;
dalla costante partecipazione alle riunioni previste dall’ordinamento giudiziario per la discussione e
l’approfondimento delle innovazioni legislative, nonché per la conoscenza dell’evoluzione della giurisprudenza;
d) gli indicatori dell’impegno sono costituiti:
dalla disponibilità alle sostituzioni, in quanto riconducibili alle applicazioni e supplenze, previste dalle norme di
legge e dalle direttive del Consiglio superiore;
dal numero di corsi di aggiornamento organizzati dalla Scuola superiore della magistratura, salvo quanto
previsto dalla norma transitoria, per i quali il magistrato abbia dato la disponibilità a partecipare o ai quali
abbia effettivamente partecipato;
dalla consistenza della collaborazione prestata su richiesta del dirigente dell’ufficio o del coordinatore della
posizione tabellare o del gruppo di lavoro, in ordine alla soluzione dei problemi di tipo organizzativo e
giuridico, segnalata dai dirigenti degli uffici.
DOCUMENTAZIONE
CONOSCENZA.
RELATIVA
ALLA
VALUTAZIONE
DI
PROFESSIONALITA’.
FONTI
DI
1. La documentazione acquisibile ed utilizzabile ai fini della valutazione di professionalità è
costituita:
dai rapporti dei dirigenti degli uffici;
dal rapporto informativo annuale del capo dell’ufficio relativamente all’andamento generale
dell’ufficio;
dalle segnalazioni pervenute al Consiglio Giudiziario o ai dirigenti degli uffici dal Consiglio
dell’ordine degli avvocati competente per territorio;
dalle informazioni inserite nel fascicolo personale del magistrato;
dai verbali di audizione del magistrato;
dai verbali di seduta del Consiglio Giudiziario;
da eventuali atti che si trovino nella fase pubblica di uno dei processi trattati dal magistrato in
valutazione, acquisiti su specifica richiesta di un componente del Consiglio Giudiziario;
dalla relazione del magistrato interessato illustrativa del lavoro svolto;
dalle informazioni esistenti presso la Prima Commissione del Consiglio Superiore della
Magistratura;
dalle informazioni disponibili presso la Segreteria della Sezione Disciplinare del Consiglio
Superiore della Magistratura;
dalle informazioni disponibili presso il Ministero della Giustizia e contenute nelle relazioni
ispettive.
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E’ altresì consentita l’utilizzazione di ogni altro atto o documento che fornisca dati obiettivi e rilevanti relativi
all’attività professionale e ai comportamenti incidenti sulla professionalità del magistrato.
2. Fatte salve le specifiche previsioni contenute nel Capo V in tema di indicatori, sono altresì utilizzabili:
2.1. Ai fini della valutazione del parametro della capacità, in particolare:
gli atti acquisiti a campione secondo le indicazioni della Circolare P – 2084 del 1° febbraio 2005,
assumendo come periodo di riferimento quello quadriennale, nonché eventualmente prodotti dall’interessato.
Per periodi di valutazione inferiori al quadriennio, resta ferma la previsione dei quattro bimestri, che andranno
individuati dai Consigli Giudiziari nell'ambito del diverso arco temporale di riferimento;
la segnalazione dei dirigenti degli uffici, ed eventualmente dei magistrati in valutazione, sulla complessità dei
procedimenti e dei processi trattati in ragione del numero delle parti e delle questioni giuridiche affrontate;
la comunicazione dei dirigenti degli uffici circa l’eventuale riforma o non accoglimento, nelle successive fasi e
gradi del procedimento, dei provvedimenti giudiziari emessi o richiesti, relativi all’adozione di misure cautelari
o alla definizione di fasi procedimentali o processuali, da redigersi esclusivamente nel caso in cui risulti
significativo il rapporto tra provvedimenti adottati e quelli non confermati;
i verbali di udienza acquisiti a campione, secondo le modalità indicate nella Circolare P – 2084 del 1° febbraio
2005 e modifiche che saranno successivamente approvate;
la segnalazione del dirigente dell’ufficio relativamente al livello dei contributi in camera di consiglio;
la segnalazione del dirigente dell’ufficio in merito all’attitudine del magistrato ad organizzare il
proprio lavoro;
la segnalazione del dirigente dell’ufficio in merito alle conoscenze informatiche;
le pubblicazioni scientifiche e le relazioni a convegni giuridici, ove inserite o comunque inseribili
nel fascicolo personale del magistrato;
la segnalazione del Procuratore Nazionale Antimafia, per i magistrati requirenti con funzioni di coordinamento
nazionale, in ordine alla capacità di rapportarsi in maniera efficace, autorevole e collaborativa con gli uffici
giudiziari ed i magistrati destinatari del coordinamento.
2.2. Ai fini della valutazione del parametro della laboriosità, in particolare:
il prospetto statistico relativo al numero di procedimenti e processi definiti per ciascun anno del
quadriennio dal magistrato in valutazione e dagli altri magistrati dell’ufficio assegnati a funzioni,
sezioni, gruppi di lavoro omogenei;
il prospetto statistico relativo al numero di procedimenti e processi definiti dal magistrato in
valutazione e dagli altri magistrati dell’ufficio assegnati a funzioni, sezioni, gruppi di lavoro
omogenei per ciascuno dei due anni precedenti ad ognuno degli anni in valutazione;
l’indicazione dei dirigenti degli uffici sulla complessità dei procedimenti e dei processi trattati dal magistrato in
valutazione in ragione del numero delle parti o delle questioni giuridiche affrontate, sull’attività di
collaborazione alla gestione dell’ufficio, sull’espletamento di attività istituzionale o degli incarichi giudiziari ed
extragiudiziari di natura obbligatoria svolti dal magistrato in valutazione;
l’indicazione dei dirigenti degli uffici in ordine alla collaborazione prestata su richiesta dal dirigente medesimo
o del coordinatore della posizione tabellare o del gruppo di lavoro.
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2.3. Ai fini della valutazione del parametro della diligenza, in particolare:
il prospetto relativo al numero di udienze tenute, inerente al magistrato in valutazione ed agli altri magistrati
del medesimo ufficio assegnati a funzioni omogenee;
l’indicazione dei dirigenti degli uffici sul rispetto degli impegni prefissati;
il prospetto comparato relativo ad eventuali ritardi nella redazione e nel deposito dei provvedimenti, o
comunque nel compimento di attività giudiziarie;
l’indicazione dei dirigenti degli uffici in ordine alla partecipazione alle riunioni previste dall’ordinamento
giudiziario per la discussione e l’approfondimento delle innovazioni legislative, nonché per la conoscenza
dell’evoluzione della giurisprudenza.
2.4. Ai fini della valutazione del parametro dell’impegno, in particolare:
l’indicazione dei dirigenti degli uffici in ordine alla disponibilità alle sostituzioni, in quanto riconducibili alle
applicazioni e supplenze previste da norme di legge e dalle direttive del Consiglio superiore;
l’indicazione dei dirigenti degli uffici in ordine alla consistenza delle collaborazioni prestate per la soluzione dei
problemi di tipo organizzativo e giuridico con contestuale segnalazione di quelle richieste dal dirigente
dell’ufficio o dal coordinatore della posizione tabellare o del gruppo di lavoro;
le domande di partecipazione agli incontri di studio di cui al Capo V della presente circolare o l’attestazione
relativa all’effettiva partecipazione ai medesimi.
2. Il parametro della capacità può essere ‘positivo’, ‘carente’, ‘gravemente carente’.
2.1. É ‘positivo’ quando sussistono le seguenti condizioni:
sono accertate, nei provvedimenti esaminati, la chiarezza, la completezza espositiva e la capacità di sintesi in
relazione ai presupposti di fatto e di diritto e la loro congruità in relazione ai problemi processuali o
investigativi affrontati, nonché, per i magistrati inquirenti, anche l’utilizzazione di corrette tecniche di
indagine;
sono accertate le conoscenze informatiche dirette alla redazione dei provvedimenti ed al miglioramento
dell’efficacia dell’attività giudiziaria;
è accertata la qualità dei contributi in camera di consiglio;
è accertata l’attitudine del magistrato ad organizzare il proprio lavoro;
non risulta che una parte significativa dei provvedimenti giudiziari emessi o richiesti, e relativi all’adozione di
misure cautelari o alla definizione di fasi procedimentali o processuali, ha ricevuto un esito negativo nelle
successive fasi o nei gradi del procedimento, per ragioni addebitabili al magistrato in valutazione;
non risultano violazioni di norme giuridiche e errori di fatto rilevanti in sede disciplinare o di responsabilità
civile dei magistrati;
sono accertati, nei verbali esaminati, modalità di corretta gestione dell’udienza improntate al rispetto dei diritti
delle parti;
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per i magistrati requirenti con funzioni di coordinamento nazionale è accertata la capacità di rapportarsi in
maniera efficace, autorevole e collaborativa con gli uffici giudiziari e i magistrati destinatari del
coordinamento.
2.2 E’ ‘carente’ quando difetta significativamente, senza mancare del tutto, una delle condizioni di cui sopra.
2.3. E’ ‘gravemente carente’ quando manca del tutto una delle condizioni di cui sopra o quando difettano
significativamente almeno due delle condizioni di cui sopra.
3. Il parametro della laboriosità può essere ‘positivo’, ‘carente’, ‘gravemente carente’.
3.1. É ‘positivo’ quando sussistono le seguenti condizioni:
sono rispettati gli standard medi di definizione dei procedimenti, individuati, salvo quanto previsto
dalle disposizioni finali della presente circolare, dalla media statistica della produzione dei magistrati
dell’ufficio di cui il magistrato sottoposto a valutazione fa parte ed assegnati a funzioni, sezioni, gruppi di
lavoro omogenei a quest’ultimo, come desunta dalle statistiche ufficiali calcolate al 31 dicembre di ciascuno
dei due anni precedenti rispetto ad ognuno degli anni in valutazione. Tali standard medi vanno, comunque,
valutati unitamente ed alla luce: della complessiva situazione organizzativa e strutturale degli uffici; dei flussi
in entrata degli affari; della qualità degli affari trattati, determinata in ragione del numero delle parti o della
complessità delle questione giuridiche affrontate; dell’attività di collaborazione alla gestione dell’ufficio ed
all’espletamento di attività istituzionali; dello svolgimento di incarichi di natura obbligatoria ; di eventuali
esoneri dal lavoro giudiziario;
non sussistono rilievi di natura disciplinare o contabile in relazione ai tempi di trattazione dei
procedimenti e dei processi;
risulta adeguata la collaborazione fornita all’interno dell’ufficio, su richiesta del dirigente o del
coordinatore della posizione tabellare o del gruppo di lavoro, salva l’esistenza di ragioni obiettivamente
giustificabili.
3.2. È “carente” quando difetta significativamente, senza mancare del tutto, una delle condizioni di cui sopra.
3.3. E’ ‘gravemente carente’ quando manca del tutto una delle condizioni di cui sopra o quando difettano
significativamente almeno due delle condizioni di cui sopra.
4. Il parametro della diligenza può essere ‘positivo’, ‘carente’, ‘gravemente carente’.
4.1. E’ ‘positivo’ quando sussistono le seguenti condizioni:
si registra un apprezzabile rispetto del calendario delle udienze e degli impegni prefissati, salva l’esistenza di
ragioni obiettivamente giustificabili;
i termini generalmente osservati per la redazione e il deposito dei provvedimenti, o comunque per il
compimento di attività giudiziarie, sono conformi alle prescrizioni di legge o sono comunque accettabili in
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considerazione dei carichi di lavoro e degli standard degli altri magistrati dello stesso ufficio addetti alla
medesima tipologia di provvedimenti, salvo che sussistano ragioni obiettivamente giustificabili;
risulta l’assidua partecipazione alle riunioni previste dall’ordinamento giudiziario per la discussione e
l’approfondimento delle innovazioni legislative, nonché per la conoscenza dell’evoluzione della giurisprudenza,
salva l’esistenza di ragioni obiettivamente giustificabili.
4.2. E’ ‘carente’ quando difetta significativamente, senza mancare del tutto, una delle condizioni di cui sopra.
4.3. E’ ‘gravemente carente’ quando manca del tutto una delle condizioni di cui sopra o quando difettano
significativamente almeno due delle condizioni di cui sopra.
5. Il parametro dell’impegno può essere ‘positivo’, ‘carente’, ‘gravemente carente’.
5.1. E’ ‘positivo’ quando sussistono le seguenti condizioni:
è stata fornita adeguata disponibilità alle sostituzioni, applicazioni e supplenze, necessarie al funzionamento
dell’ufficio;
è stata presentata almeno una domanda di partecipazione all’anno ai corsi di aggiornamento organizzati dalla
Scuola superiore della magistratura, salvo quanto previsto dalla normativa transitoria, e si è registrata la
partecipazione ai corsi in ordine ai quali è intervenuto provvedimento di ammissione, sempre che non
sussistano ragioni ostative obiettivamente giustificabili;
è stata fornita adeguata collaborazione alle richieste del dirigente dell’ufficio o del coordinatore della posizione
tabellare o del gruppo di lavoro, in ordine alla soluzione dei problemi di tipo organizzativo e giuridico, salva
l’esistenza di ragioni obiettivamente giustificabili.
5.2. E’ ‘carente’ quando difetta significativamente, senza mancare del tutto, una delle condizioni di cui sopra.
5.3. E’ ‘gravemente carente’ quando manca del tutto una delle condizioni di cui sopra o quando difettano
significativamente almeno due delle condizioni di cui sopra.
INDICATORI DELL’ATTITUDINE DIRETTIVA
A. Parametro: capacità di organizzare e programmare l’attività.
Indicatori:
1. Esperienze di direzione ed organizzazione, desunte dallo svolgimento, effettivo o vicario, di funzioni
direttive, semidirettive o di coordinamento di posizioni tabellari o gruppi di lavoro. Assumono rilievo:
1.1 Attività di indirizzo nei confronti del dirigente amministrativo e/o di diretta gestione degli
uffici.
1.2 Predisposizione ed osservanza delle tabelle degli uffici giudicanti e dei programmi
organizzativi degli uffici requirenti.
1.3 Gestione dei flussi e tempi di definizione dei procedimenti, anche alla stregua delle
indicazioni contenute nelle tabelle, nel programma organizzativo e nel rapporto informativo
annuale sull’andamento dell’ufficio.
1.4 Promozione dell’innovazione tecnologica.
1.5 Vigilanza, nei casi previsti dall’ordinamento giudiziario, nei confronti dei magistrati ordinari
ed onorari, degli Uffici del Giudice di Pace e degli Uffici NEP.
2. Esperienze di collaborazione nell’attività di direzione e/o organizzazione . Assumono rilievo:
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2.1. Deleghe organizzative ricevute dal dirigente dell’ufficio, in conformità alla normativa sull’organizzazione
degli uffici giudiziari;
2.2.Attività di ausilio ed assistenza anche nella redazione dei progetti tabellari o dei programmi organizzativi e
nella gestione degli uffici giudiziari.
3. Esperienze di organizzazione del lavoro giudiziario. Assumono rilievo:
3.1.Organizzazione del lavoro in relazione alla gestione degli affari, tenuto conto della loro
complessità e dei carichi di lavoro.
3.2.Organizzazione del ruolo di udienza.
3.3.Organizzazione e direzione di collaboratori ed ausiliari.
4. Esperienze di coordinamento investigativo. Assumono rilievo:
4.1.Attività di coordinamento o collaborazione con altri uffici svolta all’interno della DNA o con magistrati
appartenenti alla DNA;
4.2.Attività di coordinamento o collaborazione investigativa a livello infradistrettuale, interdistrettuale,
nazionale ovvero internazionale, svolta anche in posizione di fuori ruolo, a diretto supporto della funzione
giudiziaria.
5. Relazioni rilevanti per l’organizzazione e l’esercizio della funzione giudiziaria:
5.1 Rapporti dei magistrati direttivi e semidirettivi:
a) con magistrati, dirigenti e personale amministrativo; b) con i sindacati del personale amministrativo nel
settore dell’organizzazione del lavoro; c) con le autorità amministrative in materia di gestione delle dotazioni
dell’ufficio e in materia di sicurezza; d) con la classe forense ed i suoi organismi di rappresentanza; e) con le
altre categorie professionali e con l’utenza in relazione alla predisposizione e gestione dei servizi.
5.2. Rapporti dei magistrati senza funzioni direttive o semidirettive:
a) con gli altri magistrati, con i dirigenti ed il personale amministrativo, con la classe forense, le altre
categorie professionali e con coloro che si avvalgono dei servizi della giustizia; b) con autorità esterne (forze
di polizia, servizi sociali minorili, strutture sanitarie e penitenziarie, etc.), nello svolgimento delle funzioni
giudiziarie.
6.Valorizzazione delle attitudini dei magistrati e funzionari. Assumono rilievo:
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6.1. Programmazione e gestione di riunioni organizzative funzionali alla trattazione degli affari
ed alla risoluzione di problemi organizzativi.
6.2. Programmazione e gestione di riunioni funzionali alla discussione e all’approfondimento di
innovazioni legislative ed orientamenti giurisprudenziali.
6.3. Promozione ed utilizzo dell’innovazione tecnologica.
6.4. Sviluppo e promozione delle attitudini organizzative dei collaboratori.
6.5 Rispetto e valorizzazione delle pari opportunità.
7. Rispetto della sfera di autonomia professionale del giudice o del sostituto procuratore .
8. Formazione (anche precedente l’ingresso in magistratura) in materia organizzativa e gestionale.
Assumono rilievo:
8.1 Corsi di formazione frequentati in qualità di partecipante, relatore, coordinatore.
8.2 Attività di progettazione ed organizzazione della formazione professionale e del tirocinio.
9. Esperienze di direzione, organizzazione e collaborazione maturate in ambito non giudiziario :
9.1. Partecipazione all’attività di direzione, organizzazione e collaborazione svolta presso gli organi elettivi
previsti dall’ordinamento giudiziario (C.S.M. e Consigli giudiziari); partecipazione all’attività di direzione e di
organizzazione svolta in posizione di fuori ruolo o previa autorizzazione del CSM presso organi costituzionali e
di rilevanza costituzionale, organi amministrativi (tra i quali Ministeri, Authority, Scuola Superiore della
Magistratura), organizzazioni internazionali.
9.2. Attività di direzione, organizzazione, collaborazione svolte per effetto di incarichi previsti da disposizioni
legislative.
9.3. Esercizio, prima dell’ingresso in magistratura, di funzioni di direzione ed organizzazione significative e
rilevanti per l’organizzazione giudiziaria.
B. Parametro: capacità di gestire le risorse.
Indicatori:
1.Controllo sull’andamento generale dell’ufficio. Assumono rilievo:
1.1 Raggiungimento di standard di efficienza nel lavoro giudiziario ed amministrativo, in relazione al
programma organizzativo dell’ufficio o alla risoluzione di particolari profili problematici;
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1.2 Ideazione e realizzazione di metodi operativi e di gestione dei servizi anche nell’esercizio di funzioni non
dirigenziali.
1.3.Ideazione, programmazione e realizzazione tempestiva di adattamenti organizzativi e gestionali.
2.Propensione all’uso di tecnologie avanzate. Assumono rilievo:
2.1.Utilizzazione e valorizzazione dei programmi informatici per la gestione degli affari o del
personale, desumibile anche dall’attività di referente informatico o collaborazione con lo stesso
nell’ambito del proprio ufficio.
2.2.Rapporti con le autorità ministeriali deputate alla gestione delle risorse informatiche per la
predisposizione, l’applicazione o lo sviluppo dei suddetti programmi;
3. Attuazione del progetto di organizzazione tabellare o del programma organizzativo . Assumono rilievo:
3.1. Approvazione dei progetti da parte del CSM;
3.2. Approvazione delle successive variazioni tabellari;
3.3.Valutazione dei progetti di organizzazione degli uffici requirenti;
3.4. Provvedimenti di applicazione e supplenza;
3.5. Raggiungimento degli obiettivi prefissati nel progetto organizzativo;
3.6. Utilizzazione dei magistrati onorari.
Gli indicatori di cui ai precedenti parametri (ad eccezione dei punti A.7, A.8 – quando riferiti all’attività svolta
precedentemente all’ingresso in magistratura – e A.9) devono essere valutati tendendo conto dei risultati
conseguiti in rapporto all’attività, alla tipologia di ufficio in cui l’attività viene svolta (in relazione alla
grandezza, al bacino di utenza, ai flussi di affari, al contesto geografico e sociale che connota il bacino di
utenza) ed alla situazione organizzativa e strutturale dell’ufficio stesso.
Per quanto concerne l’indicatore di cui al parametro A.7, il giudizio sulla sua sussistenza, quando non
emergano dati di segno contrario, dovrà essere espresso con la formula “nulla da rilevare”.
Ricadute delle ispezioni nel catalogo delle infrazioni disciplinari
1. Doveri del magistrato.
1. Il magistrato esercita le funzioni attribuitegli con imparzialità, correttezza, diligenza, laboriosità, riserbo e
equilibrio e rispetta la dignità della persona nell'esercizio delle funzioni.
2. Illeciti disciplinari nell'esercizio delle funzioni.
1. Costituiscono illeciti disciplinari nell'esercizio delle funzioni:
a) fatto salvo quanto previsto dalle lettere b) e c), i comportamenti che, violando i doveri di cui all'articolo 1,
arrecano ingiusto danno o indebito vantaggio ad una delle parti;
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b) l'omissione della comunicazione, al Consiglio superiore della magistratura, della sussistenza di una delle
situazioni di incompatibilità di cui agli articoli 18 e 19 dell'ordinamento giudiziario, di cui al regio decreto
30 gennaio 1941, n. 12, e successive modificazioni, come modificati dall'articolo 29 del presente decreto;
c) la consapevole inosservanza dell'obbligo di astensione nei casi previsti dalla legge;
d) i comportamenti abitualmente o gravemente scorretti nei confronti delle parti, dei loro difensori, dei
testimoni o di chiunque abbia rapporti con il magistrato nell'ambito dell'ufficio giudiziario, ovvero nei confronti
di altri magistrati o di collaboratori;
e) l'ingiustificata interferenza nell'attività giudiziaria di altro magistrato;
f) l'omessa comunicazione al capo dell'ufficio, da parte del magistrato destinatario, delle avvenute
interferenze;
g) la grave violazione di legge determinata da ignoranza o negligenza inescusabile;
h) il travisamento dei fatti determinato da negligenza inescusabile;
l) l'emissione di provvedimenti privi di motivazione, ovvero la cui motivazione consiste nella sola affermazione
della sussistenza dei presupposti di legge senza indicazione degli elementi di fatto dai quali tale sussistenza
risulti, quando la motivazione è richiesta dalla legge;
m) l'adozione di provvedimenti adottati nei casi non consentiti dalla legge, per negligenza grave
e inescusabile, che abbiano leso diritti personali o, in modo rilevante, diritti patrimoniali;
n) la reiterata o grave inosservanza delle norme regolamentari o delle disposizioni sul servizio
giudiziario adottate dagli organi competenti;
o) l'indebito affidamento ad altri di attività rientranti nei propri compiti;
p) l'inosservanza dell'obbligo di risiedere nel comune in cui ha sede l'ufficio in assenza dell'autorizzazione
prevista dalla normativa vigente se ne è derivato concreto pregiudizio all'adempimento dei doveri di diligenza
e laboriosità;
q) il reiterato, grave e ingiustificato ritardo nel compimento degli atti relativi all'esercizio delle
funzioni; si presume non grave, salvo che non sia diversamente dimostrato, il ritardo che non
eccede il triplo dei termini previsti dalla legge per il compimento dell'atto;
r) il sottrarsi in modo abituale e ingiustificato all'attività di servizio;
s) per il dirigente dell'ufficio o il presidente di una sezione o il presidente di un collegio,
l'omettere di assegnarsi affari e di redigere i relativi provvedimenti;
t) l'inosservanza dell'obbligo di rendersi reperibile per esigenze di ufficio quando esso sia imposto dalla legge
o da disposizione legittima dell'organo competente;
u) la divulgazione, anche dipendente da negligenza, di atti del procedimento coperti dal segreto o di cui sia
previsto il divieto di pubblicazione, nonchè la violazione del dovere di riservatezza sugli affari in corso di
trattazione, o sugli affari definiti, quando è idonea a ledere indebitamente diritti altrui;
v) pubbliche dichiarazioni o interviste che riguardino i soggetti coinvolti negli affari in corso di trattazione,
ovvero trattati e non definiti con provvedimento non soggetto a impugnazione ordinaria, quando sono dirette
a ledere indebitamente diritti altrui nonchè la violazione del divieto di cui all' articolo 5, comma 2, del decreto
legislativo 20 febbraio 2006, n. 106 (5).
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aa) il sollecitare la pubblicità di notizie attinenti alla propria attività di ufficio ovvero il costituire e l'utilizzare
canali informativi personali riservati o privilegiati;
cc) l'adozione intenzionale di provvedimenti affetti da palese incompatibilità tra la parte dispositiva e la
motivazione, tali da manifestare una precostituita e inequivocabile contraddizione sul piano logico,
contenutistico o argomentativo;
dd) l'omissione, da parte del dirigente l'ufficio o del presidente di una sezione o di un collegio, della
comunicazione agli organi competenti di fatti a lui noti che possono costituire illeciti disciplinari compiuti da
magistrati dell'ufficio, della sezione o del collegio;
ee) l'omissione, da parte del dirigente l'ufficio ovvero da parte del magistrato cui compete il potere di
sorveglianza, della comunicazione al Consiglio superiore della magistratura della sussistenza di una delle
situazioni di incompatibilità previste dagli articoli 18 e 19 dell'ordinamento giudiziario, di cui al regio decreto
30 gennaio 1941, n. 12, come da ultimo modificati dall'articolo 29 del presente decreto, ovvero delle
situazioni che possono dare luogo all'adozione dei provvedimenti di cui agli articoli 2 e 3 del regio decreto
legislativo 31 maggio 1946, n. 511, come modificati dagli articoli 26, comma 1 e 27 del presente decreto;
ff) l'adozione di provvedimenti non previsti da norme vigenti ovvero sulla base di un errore macroscopico o di
grave e inescusabile negligenza
(8)
;
gg) l'emissione di un provvedimento restrittivo della libertà personale fuori dei casi consentiti
dalla legge, determinata da negligenza grave ed inescusabile.
2. Fermo quanto previsto dal comma 1, lettere g), h), i), l), m), n), o), p), cc) e ff), l'attività di interpretazione
di norme di diritto e quella di valutazione del fatto e delle prove non danno luogo a responsabilità disciplinare
(9)
;
(5) Lettera così sostituita dall'art. 1, comma 3, lettera b), numero 2), L. 24 ottobre 2006, n. 269.
(8) Lettera così sostituita dall'art. 1, comma 3, lettera b), numero 5), L. 24 ottobre 2006, n. 269.
(9) Comma così sostituito dall'art. 1, comma 3, lettera c), L. 24 ottobre 2006, n. 269.
Aree di controllo ispettivo presso gli uffici giudiziari di primo grado
Nel corso degli accertamenti ispettivi si individuano preventivamente:
i criteri per la individuazione del campione dei fascicoli e dei provvedimenti da sottoporre a controllo
estrinseco , per valutare la correttezza delle annotazioni e degli adempimenti di cancelleria e
segreteria nei diversi servizi sottoposti a verifica;
la campionatura, nell’ambito dei periodi “statistici”, dovrà avere come riferimento tendenziale cronologico un
trimestre per anno: salvo che ragioni peculiari del settore ispezionato suggeriscano un periodo diverso;
nell’ambito del suddetto trimestre dovranno esser esaminati, con riferimento alla reale consistenza numerica
dei procedimenti in carico ai diversi settori e/o servizi, da un minimo di 10 fascicoli e 10 provvedimenti ad un
massimo del 10% dei fascicoli e provvedimenti;
in ogni caso, nella esposizione in relazione si indicheranno il trimestre per ogni anno e la entità numerica dei
fascicoli e dei provvedimenti sottoposti a controllo estrinseco con riguardo al numero degli affari in carico
all’ufficio e/o al servizio.
Si effettua quindi:
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breve descrizione della sede, dell’immobile, locali, attrezzature, dotazioni (precisando anche se lo stabile è
sede di Ufficiali Giudiziari e G.d.P.); eventuali misure adottate per la sicurezza esterna, adempimenti della
Legge 626/94, rispetto della privacy nei confronti dell’utenza in generale;
si redige sintetica relazione sullo stato di informatizzazione degli uffici e sulle problematiche connesse
all’utilizzo di programmi informatici, anche applicativi locali se in uso (indicando se è stata richiesta, ottenuta
o negata l’autorizzazione ministeriale);
si accerta:
composizione attuale dell’ufficio (togati, GOT e relativi compiti)
organigramma amministrativo e organizzazione dei servizi; eventuali incompatibilità ai sensi della L. 662/94;
situazioni critiche eventualmente emergenti e proposte correttive, previa analisi delle risultanze dei prospetti;
Si predispongono nel Settore Civile
- elenchi numerici dei procedimenti di contenzioso civile ordinario da oltre 10, 15 anni, delle procedure di
esecuzione immobiliare da oltre 10, 15 anni, delle procedure fallimentari pendenti da oltre 10, 15 anni, con
indicazione del numero di R.G., dei magistrati alternatisi nella titolarità dei procedimenti, delle ragioni della
anomala durata ed acquisizione delle eventuali disposizioni impartite dai capi degli uffici e/o dai
dirigenti delle sezioni in relazione alle anomalie di durata dei procedimenti; elenchi delle istanze di
fallimento da oltre 1 anno; elenchi dei procedimenti in materia di lavoro da oltre 1, 3, 5 anni;
- elenchi delle sentenze depositate in minuta oltre i 120 gg. dalla scadenza del termine per il deposito di
memorie di replica (o dalla assegnazione a sentenza per il vecchio rito) con indicazione dei giorni di ritardo,
del magistrato estensore e delle eventuali segnalazioni e sollecitazioni dei capi degli uffici in relazione alla
detta anomalia (tenuto conto delle indicazioni di cui alla nota n. 280/37/05 – 6736 in data 7.11.05 e succ. del
Capo dell’Ispettorato);
- elenchi delle sentenze non ancora depositate, benché siano trascorsi oltre 120 gg. dalla scadenza del
termine per il deposito di memorie di replica (o dalla assegnazione a sentenza per il vecchio rito) con
indicazione dei giorni di ritardo, del magistrato estensore e delle eventuali segnalazioni e sollecitazioni dei
capi degli uffici in relazione alla detta anomalia;
si indicano:
- tempi medi di fissazione dell’udienza di discussione nelle controversie di lavoro (escluse le controversie
previdenziali) rilevati mediante verifica a campione di 10 fascicoli a semestre nel periodo ispettivo;
- tempi medi di emissione – calcolati dalla data di instaurazione del relativo procedimento – di: a) decreti
ingiuntivi, b) ordinanze cautelari e paracautelari; c) ordinanze ex art 186 quater c.p.c., ex art.186 bis e ter
c.p.c.;
- elenchi delle ordinanze riservate depositate oltre i 60 gg. dalla riserva o dalla scadenza del termine
eventualmente assegnato alle parti per il deposito di memorie, con indicazione dei giorni di ritardo, del
magistrato estensore e delle eventuali segnalazioni e sollecitazioni dei capi degli uffici in relazione alla detta
anomalia;
- elenchi delle ordinanze riservate non ancora depositate benché siano trascorsi oltre 60 gg. dalla data della
riserva o dal termine eventualmente assegnato alle parti per il deposito di memorie, con indicazione dei giorni
di ritardo, del magistrato estensore e delle eventuali segnalazioni e sollecitazioni dei capi degli uffici in
relazione alla detta anomalia;
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- elenchi delle cause civili già assegnate a sentenza e poi rimesse sul ruolo, con indicazione del G.I.
estensore e delle date dei relativi provvedimenti di assegnazione a sentenza e successiva rimessione sul
ruolo;
- scheda dei movimenti degli affari civili (sopravvenienze, definizioni e pendenze) per settori sulla base dei
prospetti statistici periodici trasmessi dall’ufficio a partire dal 2° trimestre 2001;
- consistenza del ruolo di ciascun magistrato addetto al settore, alla data di inizio dell’ispezione.
Nel Settore Penale si predispongono:
- sintetica relazione sullo stato di informatizzazione degli uffici e sulle problematiche connesse all’utilizzo di
programmi informatici;
- elenchi dei procedimenti pendenti da oltre tre anni in fase dibattimentale (Collegio, Giudice Monocratico)
con indicazione del numero degli imputati e dei titoli dei reati ed acquisizione delle eventuali disposizioni
impartite dai capi degli uffici in relazione alle anomalie di durata dei procedimenti;
- elenchi delle sentenze emesse dal giudice del dibattimento (Collegio, Giudice Monocratico) e dal GIP/GUP
depositate oltre i 90 gg.;
- elenchi delle declaratorie di estinzione del reato per prescrizione pronunciate dal giudice del dibattimento
(Collegio, Giudice Monocratico) e dal GIP/GUP con evidenziazione del titolo del reato, del tempo di iscrizione
della notizia di reato nel R.G.P.M, del pervenimento del procedimento al giudice e della data della sentenza
dichiarativa della prescrizione;
- elenchi delle scarcerazioni per decorrenza dei termini massimi di custodia cautelare disposte dal giudice del
dibattimento (Collegio, Giudice Monocratico) e dal GIP/GUP con indicazione del titolo del reato, del
pervenimento della richiesta di definizione del P.M. al GIP, della data di fissazione della udienza preliminare e
della eventuale decisione di 1° grado;
- elenco numerico delle richieste di misure cautelari pendenti, per magistrato, presso l’ufficio GIP alla data di
inizio della ispezione ordinaria, con indicazione del numero di R.G. GIP, della data di pervenimento della
richiesta, della data (eventualmente diversa) di effettivo arrivo degli atti a sostegno della medesima, del titolo
di reato per il quale è richiesta la misura e della eventuale data di definizione;
- elenco dei provvedimenti cautelari emessi dopo 90 giorni dal pervenimento della richiesta con le indicazioni
di cui al punto precedente;
- elenco degli eventuali procedimenti pendenti da oltre un anno avanti al giudice del dibattimento (Collegio,
Giudice Monocratico) ed al GIP/GUP a carico di persone in stato di custodia cautelare o sottoposte a misura di
sicurezza con indicazione del titolo di reato, tipologia di misura e data della prossima udienza;
- tempi di fissazione dell’udienza preliminare e dell’udienza per il giudizio rispetto al pervenimento degli atti
in cancelleria, rilevati mediante verifica a campione di un numero congruo di fascicoli a semestre nel periodo
ispettivo;
- scheda dei movimenti degli affari del dibattimento penale (sopravvenienze, definizioni e pendenze) sulla
base dei prospetti statistici periodici trasmessi dall’ufficio.
- consistenza del ruolo di ciascun magistrato addetto al settore, alla data di inizio dell’ispezione.
Con riguardo alla verifica ispettiva presso la Procura della Repubblica l’ispettore addetto rileva e
trasmettere mediante schede sintetiche, i seguenti dati informativi:
- Elenco numerico dei procedimenti nell’ambito dei quali sono state disposte d’urgenza attività di
intercettazione telefonica ovvero richieste autorizzazioni al GIP per intercettazioni telefoniche ed ambientali
con indicazione dei titoli di reato, evidenziando eventuali ipotesi di mancata convalida delle intercettazioni
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disposte in via d’urgenza dal P.M.;
- elenco numerico dei processi PENDENTI iscritti a carico di “autore da identificare”;
- elenco numerico dei processi DEFINITI iscritti a carico di “autore da identificare”;
- elenco dei procedimenti con persone in stato di custodia cautelare o sottoposte a misura di sicurezza
personale con indicazione del Magistrato assegnatario, degli indagati, delle imputazioni, del tipo di custodia o
di misura, della data di inizio della custodia, della scadenza dei termini di fase;
- elenco delle procedure di esecuzione nelle quali l’ordine di esecuzione è stato emesso oltre il 90° giorno,
con indicazione del nominativo del condannato, della data di esecutività della sentenza, della data di arrivo
della stessa all’ufficio, della data di emissione dell’ordine di esecuzione e dei giorni di ritardo oltre il 90°;
- elenco delle eventuali avocazioni disposte dal P.G. ex art.412 CPP con indicazione del titolo di reato, del
termine delle indagini preliminari e del decreto di avocazione;
- elenco dei procedimenti pendenti, per i quali è scaduto il termine di durata delle indagini preliminari, in
totale e per ciascun magistrato ;
- elenco procedimenti definiti con richiesta di archiviazione per prescrizione;
- elenco procedimenti iscritti da epoca più remota, in ogni caso da oltre 3 e 5 anni;
- elenco ritardi nelle iscrizioni registri mod.21 e 45.
- consistenza attuale del ruolo di ciascun magistrato addetto al settore, alla data di inizio dell’ispezione.
- elenco atti di appello e ricorsi per cassazione dei singoli sostituti.
Gli ispettori curano di verificare, per i settori di competenza, i tempi medi di definizione dei procedimenti,
tenuto conto del ruolo in carico ai magistrati e selezionando - con criteri uniformi e trasparenti e per un
periodo temporale definito che concorderanno con il magistrato coordinatore – i momenti topici che vanno
dalla iscrizione del procedimento, al primo provvedimento o al primo atto istruttorio, al primo provvedimento
definitorio o quello conclusivo.
A completamento della attività di verifica, almeno 8 giorni prima della presumibile chiusura dell’ispezione,
ciascun ispettore trasmette, anche su supporto magnetico, sintetica nota contenente i principali rilievi e le
prescrizioni che si ritengono necessari per la normalizzazione dei servizi di cancelleria e segreteria e per la
gestione degli Uffici UNEP.
Viene particolarmente curata, in materia di spese di giustizia, la verifica riguardante le indennità agli ausiliari
del giudice, le indennità di custodia, demolizione opere abusive, indennità ai magistrati onorari, restituzione e
vendita di beni sequestrati e confiscati, recupero delle spese e titoli di pagamento.
Si pone attenzione alle:
spese di patrocinio erariale, spese di stenotipia, intercettazioni, retribuzione giudici di pace, custodie onerose,
pagamento interpreti, trascrittori di bobine, periti tossicologici ed esperti in generale.
Si accerta se si sono verificati ipotesi di:
equa riparazione da irragionevole durata del processo (L.n.89/01),
risarcimento per ingiusta detenzione
che hanno interessato magistrati del circondario in verifica.
Profilo organizzatorio-amministrativo
Con l’istituendo ufficio per il processo si delinea un nuovo disegno dei servizi giudiziari che vede come unità
strutturale e organizzativa la sezione (punto di riferimento unitario con le sue competenze specializzate, i
suoi meccanismi operativi, le sue prassi, le sue culture, i linguaggi specifici che la caratterizzano) per la quale
sono da ricercare prassi operative e modalità di gestione e smaltimento del ruolo della sezione utilizzando lo
strumento delle statistiche gestionali per la misurazione della produzione periodica e sistematica della
produttività.
Va ricordato ancora che un protocollo d’intesa è stato stipulato tra il Ministero della Giustizia (con il
contributo del D.O.G.) ed il movimento di CITTADINANZATTIVA con l’obiettivo di migliorare la qualità
dell’organizzazione del sistema giudiziario <<facendo in modo che il punto di vista dei cittadini fruitori del
servizio sia sempre presente in materia di organizzazione tempi, accessibilità, informazione>>. In concreto, i
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volontari segnalati dal Servizio civile e selezionati dagli esperti di Cittadinanzattiva svolgeranno controlli
presso i tribunali di Roma, Catanzaro, Milano, Bologna, Potenza ed altre sedi disagiate per verificare la
presenza o meno degli uffici-informazione destinati al pubblico, al rispetto delle regole per la tutela della
privacy, della misurazione dei tempi medi necessari per la definizione di discussioni e decisioni, dei criteri di
scelta dei consulenti tecnici d’ufficio.
Viviamo in terrazza, ovvero in un palazzo di vetro, o presso la casa del “grande fratello”.
In questa prima fase del lavoro, si stanno predisponendo i metodi di rilevazione dei dati e della loro
valutazione, attraverso la scelta degli indicatori rispetto ai sette <<diritti fondamentali >> enunciati in una
Carta stilata nel 2001: diritto all’informazione, al rispetto, all’accesso, ad usufruire di strutture adeguate, alla
partecipazione, al processo celere ed alla qualità del servizio.
Le notizie raccolte ed elaborate saranno poi trasmesse ai responsabili interessati dai Presidenti dei tribunali
agli ordini degli avvocati o di altre professioni, a seconda delle carenze, della criticità, delle disfunzioni e
ritardi segnalati.
La filosofia è che il Ministero della giustizia ha scelto di delegare questo sistema di controllo alla società civile
attraverso il ricorso ai volontari del servizio civile, nel quadro della finalità di <<aprire i tribunali al controllo
sociale>> e sottoporsi al giudizio degli utenti.
Anche senza incidere sulle normative di sistema - e quindi “a legislazione esistente” - è possibile ottenere
miglioramenti sul piano organizzatorio e processuale per consentire risparmi anche considerevoli sui tempi
globali per pervenire ad una pronuncia definitiva: in tale prospettiva, il lavoro del giudice si presenta come
un’attività non solo di approfondimento teorico e di ricerca scientifica ma anche come disciplina organizzativa.
Numerose possono essere le iniziative adottabili dagli uffici per migliorare l’efficienza dei servizi, per la
velocizzazione della trattazione dei procedimenti, per l’assistenza alle udienze, per le corsie preferenziali, le
udienze per materia nel caso di carattere seriale e scarsa complessità dei procedimenti, ecc.
L’ufficio giudiziario è uno spazio fisico, ma è anche una struttura in cui diversi operatori, a vario
titolo, svolgono il loro compito: magistrati, personale amministrativo, polizia giudiziaria, personale
penitenziario, esponenti del foro, i periti, i componenti della magistratura onoraria, personale statistico,
informatico e contabile. Esso ricomprende, nel suo perimetro, varie fenomenologie, quali l’autonomia
organizzativa dei dirigenti, il riconoscimento del potere diffuso tra i vari organi giudiziari che incidono sui
segmenti di organizzazione/produzione del servizio e i tempi di resa
Il monitoraggio ed il controllo circa l’andamento dei servizi (per prevenire o contenere criticità e disfunzioni)
fanno capo ai Dirigenti degli uffici, cui spettano i poteri di direttiva e controllo sulla organizzazione dei beni e
servizi (oltre ai tradizionali compiti di amministrazione della giurisdizione). Spetta invece ai dirigenti
amministrativi la diretta responsabilità della gestione dei detti beni, dei servizi e del personale. In altre parole,
al dirigente magistrato fanno prevalentemente capo le questioni dell’efficacia e al dirigente amministrativo le
questioni dell’efficienza: occorre combinare insieme diversi meccanismi: le norme, le procedure, le tecnologie,
i valori professionali, le strategie (Stefano Zan “Il sistema organizzativo della giustizia civile in Italia, 2006”).
Appare sempre più pressante l’esigenza di rivedere l’apparato giudiziario nelle sue dimensioni strutturali e
nelle dinamiche di risposta, emarginando le sacche di inefficienza e di inoperosità, a fronte di una
sensibilizzazione socio-istituzionale della giurisdizione all’efficienza ed alla produttività che non
sempre è stata colta dagli ambienti della magistratura, del mondo forense e dalla cultura universitaria.
Il nuovo cammino verso l’efficienza
Con i suoi primi interventi – la circolare del 9 aprile 1999, funzionale ad assicurare la prima organizzazione
degli uffici unificati, e, soprattutto, la circolare sulle formazione delle tabelle per il biennio 2000-2001 – il
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C.S.M. prefigurò un assetto normativo ed organizzativo, idoneo a delineare una cornice di principi e moduli
organizzativi per i singoli uffici giudiziari.
Contestualmente venne creato un programma per la gestione informatica delle proposte tabellari ed
organizzative, il c.d. programma Valeri@ (anagramma di rileva + @), il quale, nella concezione originaria,
avrebbe dovuto assolvere solo ad una valenza conoscitiva (dell’assetto organizzativo degli uffici), ma su
cui subito venne innestato e costruito un sistema per la predisposizione delle proposte e delle variazioni
tabellari.
L’esperienza di 4 bienni (dal 2000 al 2007) con le nuove modalità informatiche ha, sicuramente, innalzato il
grado di diffusione della necessità di una buona organizzazione, nonché della validità delle regole tabellari per
l’apprestamento di una equa e razionale organizzazione quale espressione dei principi del giudice naturale.
Recentemente, una qualche influenza, sia pure indiretta, consegue, attualmente, all’adozione del d.lgs.
240/2007 (emanato in attuazione della legge delega n.150/2005) che, oltre ad introdurre la c.d. doppia
dirigenza per gli uffici giudiziari, ha previsto (art.4) l’adozione del “Programma delle attività annuali” che
prevede che “il magistrato capo dell’ufficio giudiziario ed il dirigente amministrativo ad esso preposto
redigono, tenendo conto delle risorse disponibili ed indicando le priorità, il programma delle attività da
svolgersi nel corso dell’anno”, programma che può essere modificato per sopravvenute esigenze dell’ufficio
giudiziario.
È poi previsto in caso di mancata predisposizione od esecuzione del programma ovvero di mancata adozione
di modifiche divenute indispensabili un intervento surrogatorio del Ministro della Giustizia che, in prima
istanza, incarica il Presidente della Corte d’Appello e, in caso di ulteriore inerzia, provvede direttamente.
Il previsto allungamento dell’attuale termine di vigenza tabellare di due anni a tre anni, inoltre,
rafforza l’esigenza di una valutazione attenta e articolata delle scelte organizzative, destinate, in via di
principio, a regolare la funzionalità del servizio giudiziario sul medio periodo, ed enfatizza l’importanza di
momenti di verifica intermedia e il ruolo delle variazioni tabellari quale modalità di adattamento e
regolamentazione dell’assetto dell’ufficio.
2) Altra espressione di un recente e diffuso fenomeno di vera e propria concertazione tra gli attori in
senso lato del processo, è costituito dai protocolli di udienza, che contemplano comportamenti di tipo
organizzativo idonei ad accelerare e migliorare i singoli momenti processuali in chiave di collaborazione e
buona amministrazione, allorquando dette regole vengano poi concretamente osservate dai soggetti che
hanno sottoscritto i singoli accordi.
La natura delle regole protocollari, che possono essere ricognitive o istitutive di prassi, è piuttosto varia ma
ha sempre finalità di efficienza processuale e possono essere di tipo organizzativo, di tipo comportamentale o
di composizione uniforme di contrasti interpretativi su norme processuali.
L’ottimizzazione presso l’ufficio giudiziario è evidente in termini di corresponsabilizzazione di tutti gli operatori,
recupero di efficienza processuale, uniforme applicazione delle norme, conoscenza preventiva da parte del
foro delle interpretazioni accolte dall’ufficio, razionalizzazione acceleratoria del processo nelle sue singole fasi.
Il campo privilegiato di applicazione dei protocolli riguarda le prassi virtuose relative all’udienza, sempre che
esse vengano uniformemente osservate e costantemente monitorate sulla base del metodo del confronto.
DOTT.SSA MIRELLA AGLIASTRO
ISPETTORE GENERALE
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Attività ispettiva
aggiornamento: 13 marzo 2009
Nell’azione di controllo dell’Ispettorato generale possono essere individuate quattro tipologie di intervento ispettivo:




Ispezione ordinaria: costituisce una verifica disposta dal Capo dell’Ispettorato allo scopo di accertare se i
servizi procedano secondo le leggi, i regolamenti e le istruzioni vigenti. Le ispezioni di norma hanno luogo ogni
triennio;
Ispezione straordinaria: è ordinata dal Capo dell’Ispettorato prima dello scadere del termine triennale negli
uffici in cui sono state riscontrate o vengono segnalate deficienze o irregolarità;
Ispezione mirata: il Ministro può in ogni tempo, quando lo ritenga opportuno, disporre ispezioni parziali negli
uffici giudiziari, al fine di accertare la produttività degli stessi nonché l’entità e la tempestività del lavoro
svolto dai singoli magistrati;
Inchiesta amministrativa: il Ministro si avvale dell’Ispettorato generale per l’esecuzione di inchieste sul
personale appartenente all’ordine giudiziario e su qualsiasi altra categoria di personale dipendente dal Ministero
della giustizia.
Il lavoro ispettivo è orientato alla verifica di tutte le condizioni necessarie al corretto esercizio della funzione
giudiziaria. L’attività ispettiva è affidata a gruppi di Ispettori che costituiscono la cosiddetta “equipe ispettiva”,
composta da magistrati, dirigenti e ufficiali giudiziari. Il capo-equipe deve coordinare gli ambiti di intervento dei
singoli ispettori, assicurando lo scambio informativo e la circolazione di notizie tra di essi.
Nel rispetto delle direttive fissate dal Capo dell’Ispettorato, l’attività preparatoria alle verifiche ispettive, coordinata
dal Vice Capo dell’Ispettorato, è assicurata dai magistrati interni con funzioni amministrative. Costoro si avvalgono
dell’attività di supporto e di consulenza degli altri uffici dell’Ispettorato, quali: le segreterie del Capo e del Vice
Capo, l’ufficio Studi, i reparti “Ispezioni”, “Informatica”, “Statistiche” e “Tabelle”.
Attività interna:
Le pratiche interne riguardanti esposti, segnalazioni, interrogazioni parlamentari e quant’altro, non direttamente
riferite ad ispezioni in corso e ad inchieste amministrative, sono trattate dal Capo, dal Vice Capo e dai magistrati
interni all’Ispettorato generale.
Attività pre-ispettiva:
All’esito dell’individuazione delle sedi da sottoporre ad ispezione ordinaria, fatta dal Capo dell’Ispettorato, si
provvede alla formazione delle equipe ispettive, la cui composizione viene decisa dal Capo e dal Vice Capo
dell’Ispettorato.
Il capo-equipe acquisisce, per ciascuna sede da ispezionare, la documentazione necessaria alla conoscenza delle
problematiche degli uffici, alla cui raccolta è preposta la segreteria del Capo dell’Ispettorato. Tale documentazione si
compone di:




relazione conclusiva della precedente ispezione, con particolare riguardo a tutte le segnalazioni e le
prescrizioni eventualmente emanate all’esito della stessa;
relazioni sulla adeguatezza degli organici;
relazioni conclusive di inchieste e di ispezioni mirate svolte, per quella sede, nell’ultimo quinquennio;
azioni disciplinari esercitate, nell’ultimo quinquennio, nei confronti dei magistrati della sede.
La ripartizione del carico di lavoro e l’attribuzione degli incarichi, concordate con i componenti dell’equipe alla luce
della documentazione acquisita e delle informazioni ricevute, sono comunicate dal capo equipe al magistrato interno,
con un congruo anticipo rispetto alla data di inizio dell’ispezione.
Attività ispettiva:
La struttura organizzativa dell’Ispettorato cura i primi contatti con gli uffici da ispezionare, inviando moduli, prospetti
e materiale utile all’attività degli ispettori.
Al termine della verifica, l’Ispettore redige una relazione nella quale indica le irregolarità e le lacune riscontrate nei
servizi e formula le proposte atte ad eliminarle (art. 9 co. 1 legge 12 agosto 1962, n. 1311).
I dirigenti ed i funzionari ispettori, durante l’attività ispettiva, devono assicurare il rispetto assoluto della funzione
giurisdizionale e procedere ad accertamenti incisivi e completi, in uno spirito di collaborazione con gli uffici
ispezionati.
Nel caso in cui venga riscontrato il perdurare di deficienze o di irregolarità già evidenziate in precedenza, il Capo
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dell’Ispettorato generale informa il Ministro per gli eventuali provvedimenti, anche di carattere disciplinare (art. 9 co.
4 legge 12 agosto 1962, n. 1311).
Qualora nel corso delle ispezioni vengano accertati abusi o irregolarità gravi, l’Ispettore informa immediatamente il
Capo dell’Ispettorato generale, formulando le proposte sui provvedimenti da adottare. Nei casi in cui il ritardo possa
determinare un danno, l’Ispettore impartisce le disposizioni volte ad eliminare gli inconvenienti.
Nell’ipotesi in cui sia disposta un’inchiesta nei confronti di un magistrato, al termine dell’indagine il magistrato
ispettore deve chiedere informazioni al Capo dell’ufficio giudiziario e chiarimenti al magistrato sottoposto ad
inchiesta. Il magistrato ispettore dovrà, poi, riferire al Capo dell’Ispettorato generale in merito al servizio prestato
dal magistrato interessato dall’inchiesta, con particolare riguardo alle qualità professionali dimostrate nell’esercizio
delle funzioni giudiziarie e degli eventuali elementi che possono avere rilevanza in sede disciplinare (art. 12 co. 3
legge 12 agosto 1962, n. 1311).
Gli stessi criteri sono adottati per le inchieste da eseguire nei confronti dei Funzionari (art. 12 co. 4 legge 12 agosto
1962, n. 1311).
Al termine dell’inchiesta il magistrato ispettore redige una dettagliata relazione alla quale allega gli atti e i
documenti acquisiti al fine di accertare la responsabilità disciplinare dell’inquisito (art. 12 co. 5 legge 12 agosto 1962,
n. 1311).
Il Capo dell’Ispettorato generale trasmette al Ministro la relazione d’inchiesta, formulando, se del caso, le proposte
circa i provvedimenti da adottare (art. 12 co. 6 legge 12 agosto 1962, n. 1311).
Al Direttore generale competente viene trasmessa copia della relazione (art. 12 co. 7 legge 12 agosto 1962, n. 1311).
Schemi ispettivi:
L’attività ispettiva è svolta con l’ausilio di schemi ispettivi predefiniti che costituiscono un vero e proprio manuale
operativo, ad uso esclusivo degli ispettori, volto a rendere omogenee le modalità degli interventi ispettivi.
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