Discorso congresso della magistratura

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ASSOCIAZIONE NAZIONALE MAGISTRATI
XXX Congresso Nazionale
Roma, 26-28 novembre 2010
Quale Presidente della Giunta distrettuale romana dell’associazione nazionale magistrati,
a nome dei colleghi del distretto della corte di appello di Roma e di tutti i magistrati qui
presenti, porgo un deferente saluto al Presidente della Repubblica, che ci onora della
Sua presenza, per la terza volta, ad un congresso dell’Associazione Nazionale
Magistrati.
La Sua presenza, Signor Presidente, è il segno della considerazione del ruolo
istituzionale che la magistratura svolge, e di questo Le siamo profondamente grati.
Saluto e ringrazio della loro presenza il Presidente del Senato, il rappresentante della
Camera dei deputati, il Vicepresidente del Consiglio Superiore della Magistratura, il
rappresentante del Ministro della Giustizia, il Presidente della Regione Lazio, il
Presidente della Provincia di Roma e il Sindaco di Roma, i presidenti emeriti della
Corte costituzionale, i rappresentanti delle Forze dell’Ordine e dei Sindacati, tutte le
Autorità che hanno accolto il nostro invito.
Saluto e ringrazio i rappresentanti dell’avvocatura.
Un caloroso benvenuto rivolgo a tutti i colleghi magistrati. Un incoraggiamento
particolare ai moltissimi magistrati in tirocinio presenti.
Nella certezza di interpretare il sentimento comune, rivolgo ai colleghi di Reggio
Calabria un affettuoso messaggio di sostegno, solidarietà e vicinanza per i gravissimi
tentativi di intimidazione subìti in questo ultimo anno.
La presenza oggi di tanti rappresentanti del Parlamento deve essere salutata come un
motivo di speranza per l’avvio di una rinnovata fase di attenzione su quelli che sono i
reali problemi della giustizia.
L’eccessiva durata del processo è il principale dei problemi della giustizia italiana.
Emblematica della crisi di risorse che affligge il sistema è la attuale situazione
dell’ufficio della Corte di appello di Roma dove - a partire dal primo dicembre
prossimo, anche a seguito dei numerosi pensionamenti recenti - saranno in servizio
solamente n. 122 magistrati, su un organico di 171 unità.
I 61 magistrati addetti al settore civile sono chiamati a fronteggiare un carico di lavoro
pari a 58.704 cause, pendenti alla data del 31 ottobre 2010.
Attualmente, vengono assunti in decisione gli appelli presentati nel 2004.
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Per estinguere l’intero arretrato, con le forze oggi disponibili, occorrerebbero quasi
sette anni.
La lentezza dei processi risente enormemente, come è noto, anche della carenza del
personale amministrativo: ad esempio, quanto oggi accade nel settore penale del
tribunale di Roma sembra certificare come la macchina giudiziaria non sia in grado di
tenere il passo della produttività dei magistrati.
Dal 1 gennaio 2009 al 30 giugno 2010 presso le sezioni dibattimentali sono state emesse
42.329 sentenze. Eppure a causa dell’esiguità degli organici delle cancellerie, gli
adempimenti successivi alla pronuncia della sentenza di primo grado sono in grave
ritardo, fermi all’inizio dell’anno 2009: ciò significa che i reati per i quali è intervenuta
condanna, si prescriveranno in larga parte già negli scaffali del tribunale.
E’ un fenomeno che si verifica in moltissimi uffici giudiziari del paese.
Tutto questo accade, malgrado gli encomiabili sforzi del personale amministrativo
superstite, che fra tagli e vuoti di organico è allo stremo e che giornalmente, fra mille
difficoltà, si adopera per fronteggiare la marea crescente dei servizi da svolgere.
A loro va la nostra gratitudine e solidarietà.
I magistrati, insieme all’avvocatura, hanno tentato di elaborare prassi di giustizia
virtuose e modelli di organizzazione alternativi. Ovunque, hanno moltiplicato la loro
produttività. Certamente, molto può ancora essere fatto, ma appare ormai a tutti chiaro
che la eccessiva durata del processo ha radici strutturali e che se la legislazione rimane
invariata sarà pressoché impossibile conseguire effetti risolutivi.
Di ciò ampiamente si parlerà in questo congresso.
Tema congressuale è anche quello della questione morale.
Nell’anno travagliato che sta finendo, numerosi sono stati i fatti di cronaca che hanno
visto coinvolti magistrati e che hanno arrecato a tutti noi, amarezza, rabbia e
sconcerto.
Su questo, vorrei soltanto leggere ciò che ventisei anni fa’, scriveva Rosario Livatino,
magistrato ucciso dalla mafia all’età di 38 anni:
“L'indipendenza del giudice non è solo nella propria coscienza, nella incessante
libertà morale, nella fedeltà ai principi, nella sua capacità di sacrificio, nella sua
conoscenza tecnica, nella chiarezza e linearità delle sue decisioni, ma è anche nella
sua moralità, nella trasparenza della sua condotta anche fuori delle mura del suo
ufficio, nella normalità delle sue relazioni e delle sue manifestazioni nella vita
sociale, nella scelta delle sue amicizie, nella indisponibilità ad iniziative e ad affari,
nella rinunzia ad ogni desiderio di incarichi e prebende, specie in settori che, per
loro natura o per le implicazioni che comportano, possono produrre il germe della
contaminazione ed il pericolo della interferenza”.
Queste limpide parole, di straordinaria attualità, disegnano, anche oggi, il modello
professionale di magistrato in cui ci riconosciamo.
Ed esse, appartengono a tutti noi.
Marco Mancinetti
(Presidente giunta distrettuale ANM – Roma)
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