Kim Kashkashian viola Robert Levin pianoforte 2

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STAGIONE 2007-2008
DELIRI
E ARMONIE
Martedi
23 ottobre 2007
ore 20.30
Sala Verdi
del Conservatorio
Kim Kashkashian viola
Robert Levin pianoforte
2
Consiglieri di turno
Dott. Maria Majno
Prof. Carlo Sini
Con il patrocinio di
Con il contributo di
Con il patrocinio
e il contributo di
Con il contributo di
Sponsor istituzionali
Sponsor “Grandi Interpreti”
Con la partecipazione di
Per assicurare agli artisti la migliore accoglienza e concentrazione
e al pubblico il clima più favorevole all’ascolto, si prega di:
• spegnere i telefoni cellulari e altri apparecchi con dispositivi acustici;
• limitare qualsiasi rumore, anche involontario (fruscio di programmi, tosse ...);
• non lasciare la sala prima del congedo dell’artista.
Si ricorda inoltre che registrazioni e fotografie non sono consentite, e che
l’ingresso in sala a concerto iniziato è possibile solo durante gli applausi, salvo
eccezioni consentite dagli artisti.
Kim Kashkashian viola
Robert Levin pianoforte
Johann Sebastian Bach
(Eisenach 1685 – Lipsia 1750)
Sonata in sol minore BWV 1029
per cembalo e viola da gamba
Vivace
Adagio
Allegro
Benjamin Britten
(Lowestoft, Suffolk 1913 – Aldeburgh 1976)
Lachrymae (Reflections on a song by John Dowland) op. 48
Carlos Guastavino
(Santa Fé 1912 – 2000)
Se equivocó la paloma
Abismo de sed
Pampamapa
Bonita rama de sauce
La rosa y el sauce
Intervallo
Alberto Ginastera
(Buenos Aires 1916 – Ginevra 1983)
Triste
Cancion a la Luna Lunanca
Carlos López Buchardo
(Buenos Aires 1881 – 1948)
Oye me llanto
Prendiditos de la mano
Johannes Brahms
(Amburgo 1833 – Vienna 1897)
Sonata in fa minore op. 120 n. 1
Allegro appassionato
Andante, un poco adagio
Allegretto grazioso
Vivace
Per come si è sviluppato il linguaggio della musica occidentale, uno strumento
mediano come la viola ha finito per rimanere penalizzato da un repertorio
solistico meno vasto e interessante di quello di altri strumenti. Il predominio
delle parti esterne, ovvero il registro più acuto e quello più grave, hanno un po’
relegato le voci intermedie a una funzione per così dire di servizio, come ripieno
dell’armonia e ingrediente dell’impasto timbrico. Un segno eloquente della
natura più ambigua della viola rispetto agli altri strumenti della sua famiglia
consiste per esempio nell’indeterminatezza della sua stessa forma fisica. Mentre
le misure della liuteria classica del violino e del violoncello sono state codificate
ben presto e non sono state mai più alterate, le dimensioni della viola rimangono
ancor oggi variabili, a seconda del colore del suono che s’intende ottenere e del
gusto del costruttore. Alcuni musicisti di grande personalità, come l’americana
di origine armena Kim Kashkashian, hanno tuttavia poco a poco creato uno
spazio nell’ambiente concertistico anche per questo strumento, sebbene la viola
esalti le sue qualità soprattutto nell’ambito della musica da camera e
dell’orchestra. Com’è accaduto nel caso di altri solisti di strumenti meno
considerati dagli autori classici, come Segovia per la chitarra o Zabaleta per
l’arpa, la Kashkashian s’è rivolta all’antica e nobile prassi della trascrizione, per
allargare i confini del repertorio a opere di maggior spessore poetico.
Trascrivere musica da uno strumento a un altro del resto non è mai
un’operazione innocente, ma implica un desiderio di entrare in dialogo con
qualcosa che rimane altro da sé, pur se trasformato e inglobato nel proprio
mondo. Val la pena di ricordare come proprio Johann Sebastian Bach sia stato
un formidabile trascrittore di musiche altrui, così come lo furono quasi tutti i
musicisti più attenti a interrogare attraverso gli altri la propria opera. Luciano
Berio, fecondo trascrittore di Boccherini, Brahms, Schubert e altri ancora, può
essere considerato l’ultimo esempio di questa grande tradizione dell’ars
musica.
Naturalmente si può agire sulla scrittura altrui in vari modi. Nel caso della
Sonata in sol minore di Bach e della Sonata in fa minore di Brahms sarebbe
forse più corretto parlare di versioni, anziché trascrizioni, dal momento che l’intervento si limita a trasportare la musica così com’è da uno strumento all’altro,
adattandola semplicemente alla diverse esigenze tecniche.
La Sonata di Bach risale al periodo di servizio come Kapellmeister del principe Leopold di Anhalt-Köthen, tra il 1717 e il 1723. La maggior parte della musica strumentale di Bach di carattere concertante appartiene agli anni di Köthen,
dove il principe Leopold aveva radunato un Collegium musicum di particolare
qualità. Della cospicua produzione di musica da camera di quest’epoca sono
giunte fino a noi tre Sonate destinate a uno strumento a tastiera e alla viola da
gamba, lo strumento prediletto dal principe Leopold, virtuoso dilettante di buon
livello. La viola da gamba è uno strumento che appartiene alla famiglia della
viola da braccio rinascimentale e ha una storia distinta da quella del violoncello,
che discende invece dal ramo del violino. Agli albori del XVIII secolo la parabola artistica della viola da gamba, strumento dalla storia gloriosa, era quasi giunta al termine, ma manteneva ancora un ruolo attivo nel concerto strumentale, in
particolare come parte di ripieno del basso continuo. La voce della viola da
gamba era morbida e delicata, con l’accordatura delle sei corde intonate per
quarte anziché per quinte, come avviene invece nel violoncello. Delle tre Sonate
rimaste per questo strumento, quella che si definisce Terza per convenzione,
non conoscendo in quale rapporto compositivo stiano l’una con l’altra, cioè la
Sonata in sol minore BWV 1029, costituisce un autentico capolavoro. Lo stile
concertante di stampo italiano genera lo straripante profluvio di energia ritmica e d’invenzione tematica, che scuotono la convenzionale forma della sonata da
chiesa, portando il dialogo tra i due strumenti verso esiti di sconvolgente forza
espressiva, in particolare nel bellissimo movimento “Allegro” conclusivo.
Verso la fine della vita, nel 1894, Brahms scrisse durante l’estate tanto amata,
ospite nella confortevole casetta di Frau Grüber a Bad Ischl, una coppia di
Sonate per clarinetto e pianoforte, l’estrema parola che sentiva di dover pronunciare ancora nell’ambito della musica da camera. Le due Sonate sono legate in
modo indissolubile alla figura di Richard Mühlfeld, primo clarinetto dell’orchestra di Meiningen. Grazie al suo talento fuori dal comune la musica da camera
di Brahms godette di una tarda primavera, con capolavori quali il Trio in la
minore, il Quintetto in si minore e appunto le due Sonate op. 120. Malgrado
l’indiscutibile rapporto con il suono umbratile del clarinetto, le Sonate furono
ben presto adottate anche nel repertorio della viola, grazie all’estensione analoga dello strumento e a un carattere per certi versi simile del timbro. La versio-
ne per viola, prevista per altro dallo stesso autore, rappresenta una versione
alternativa, piuttosto che una trascrizione vera e propria. Quel che colpisce in
modo particolare in questa coppia di opere, ma in particolare nella Sonata in fa
minore, è l’infinita libertà spirituale con cui l’autore tratta la materia musicale,
come se Brahms avesse ormai lasciato alle spalle ogni sorta di preoccupazione o
fatica mentale nel maneggiare la forma.
Di fronte a questi ultimi lavori, intrisi di un sentimento senile di distacco dalle
cose, coltivato quasi con voluttà da un uomo di appena sessantun’anni, si rimane impressionati dalla trasparenza e dalla leggerezza con le quali fluisce il
discorso musicale. Per trovare un sentimento poetico della forma altrettanto
libero e commovente, forse bisognerebbe mettere a confronto queste musiche
con il ciclo delle Ninfee dell’ultimo Monet, il quale, ormai quasi cieco, aveva
ripreso a sviluppare con grande vigore questo tema persistente nella sua pittura. «Tutto questo è al di là delle mie forze di vecchio – scriveva il pittore in una
lettera – ma voglio rappresentare ciò che provo». Il primo movimento della
Sonata, “Allegro appassionato”, rispetta l’architettura classica, ma la svolge con
una tale ricchezza tematica (si contano ben sei temi nell’esposizione) e una tale
maestria nel padroneggiare l’arte della variazione (tutta l’elaborazione dello sviluppo è basata su un’unica idea, tratta dall’introduzione), che la forma sembra
svanire nel puro sentimento espressivo.
La medesima libertà interiore si coglie nel successivo “Andante, un poco adagio”, una sorta di meditazione melanconica del tutto priva di rigidi vincoli tematici, bensì lasciata scivolare sulle ali di un flusso melodico traboccante, quasi
un’improvvisazione. Anche l’“Allegretto grazioso” è connotato da uno struggente lirismo, tanto più toccante quanto più somigliante nello stile a uno dei
Deutsche Volkslieder che Brahms aveva tanto amato fin dai tempi della gioventù. Questo sentimento di nostalgia, trasfigurata in forme semplici e pure,
sembra la chiave di lettura della Sonata, che si chiude su un tradizionale rondò,
nel quale però affiorano all’improvviso dei frammenti di melodie infantili persi
nel tempo, squarci di memoria che manifestano quanto fosse viva e per niente
accademica la musica di Brahms.
In teoria, l’unico brano del programma scritto in origine per viola e pianoforte
sarebbe Lachrymae di Benjamin Britten, che lo compose nel 1950 per il celebre virtuoso William Primrose. Ma in questo caso l’idea di trascrizione rientra
comunque dalla finestra, non solo perché negli ultimi anni di vita Britten trasformò Lachrymae in un magnifico pezzo per orchestra d’archi, ma anche perché la musica stessa consiste in una serie di dieci variazioni, o meglio riflessioni,
come volle definirle l’autore, senza soluzione di continuità su un song di John
Dowland del 1597, “If my complaints could passions move”. L’intelligenza sotti-
le di Britten ha concepito il lavoro con criteri estremamente raffinati e un’eccezionale economia di mezzi. Ciascuna “riflessione” è invitata a meditare su un
motto di tre note, ricavato dalla prima parte del song, che viene suonato in
modo estremamente discreto all’inizio dal pianoforte. Solo alla fine del brano
la struttura armonica originale della musica di Dowland sarà riconoscibile. Un
indizio del rapporto poetico intenso che Britten ha sentito con la musica di
Dowland è nascosto nella sesta variazione, “Appassionato”, nella quale si trova
la citazione di un altro song “Flow my tears”. L’aspra melanconia del mondo di
Dowland si ripercuote nelle drammatiche fattezze della musica di Britten, il
quale non a caso scelse proprio questa sua vecchia composizione come suo
testamento spirituale, trasformandola poco prima di morire in una sorta di
musica funebre per se stesso.
Al regno della trascrizione in senso proprio appartiene invece il variegato
canzoniere di autori argentini, che la Kashkashian e Levin hanno raccolto in
parecchi anni di lavoro. I due musicisti hanno sottratto le canzoni al mondo
della parola, per donar loro una sorta di testo invisibile, più eloquente forse
dell’originale in termini di emozione e di gestualità espressiva. Le trascrizioni riflettono, giusta l’affermazione del pianista, «un processo di sperimentazione e di rischio. Esse introducono numerosi cambiamenti rispetto alla linea
vocale originale, ampliandone l’estensione attraverso cambi di registro, l’aggiunta di musica per la viola e un’ampia gamma di mezzi espressivi, incluso le
doppie corde e i pizzicati».
Il progetto, sfociato in un disco di recente pubblicazione, comprende anche
musiche di maestri spagnoli come Falla, Granados e il catalano Montsalvatge,
ma il programma del concerto questa sera prevede soltanto canzoni di autori argentini, tutti e tre legati in un modo o nell’altro al processo di rinnovamento musicale del loro paese avvenuto nel primo Novecento. Le canzoni di
Alberto Ginastera, per esempio, appartengono al novero delle opere giovanili, il cosiddetto periodo del “nazionalismo oggettivo”, quando il compositore perseguiva il fine di trovare nella cultura popolare della sua terra il fondamento per una nuova musica argentina. Cancion a la Luna Lunanca è
tratta da Dos canciones op. 3 del 1937, mentre Triste proviene dalla prima
importante raccolta vocale di Ginastera, Cinco canciones populares argentinas op. 10 del 1943, composta in rivolta al regime autoritario di Juan
Perón, un’opposizione che gli costò il posto da insegnante e la censura della
sua musica. Triste non si riferisce tanto a uno stato d’animo, quanto a un
tipo specifico di canto popolare diffuso nella regione andina, basato su una
melodia caratteristica della scala musicale inca che combina elementi diatonici e modali. Com’è evidente, la ricerca di un’identità specifica della musica
argentina s’inquadrava in un processo di formazione della cultura nazionale, analogo a quello europeo sperimentato qualche decennio prima da autori
come Bartók e Janáček.
Del tutto diverso invece era l’approccio alla musica popolare di Carlos
Guastavino, cresciuto musicalmente come brillante pianista nella più tradizionale città di Santa Fé. A differenza di Ginastera, Guastavino era indifferente a
un programma ideologico e a un atteggiamento intellettuale verso la musica,
preferendo seguire la propria vena melodica feconda e la sensibilità innata per
la poesia dei grandi autori di lingua spagnola. Tra i poeti musicati da Guastavino
si trovano Rafael Alberti, Pablo Neruda, Leon Benaros, Hamlet Lima Quintana,
Atahualpa Yupanqui, Jorge Luis Borges e molti altri. Il colore melanconico della
sua melodia e la scrittura intima e delicata del pianoforte hanno in larga misura
contribuito al grande successo della sua musica presso gli interpreti, tra cui si
trovano molti nomi di spicco della scena concertistica d’oggi.
Alla generazione dei pionieri della musica argentina appartiene infine Carlos
López Buchardo, fondatore del Conservatorio Nazionale e figura autorevole
della scena teatrale di Buenos Aires, tra l’altro come sovrintendente del Teatro
Colón. Le sue Cinco Canciones argentinas al estilo popular risalgono al 1935,
gli ultimi anni della sua carriera d’autore. Le liriche di Miguel A. Camino raffigurano con garbo e leggera ironia dei bozzetti di vita borghese, venati di lieve
melanconia, che la musica piacevole di López Buchardo esalta con la graziosa
verve tipica delle sue commedie musicali di successo.
Oreste Bossini
KIM KASHKASHIAN viola
Nata a Detroit da una famiglia di origine armena, Kim Kashkashian ha compiuto gli studi al Conservatorio Peabody di Baltimora sotto la guida di Walter
Trampler e Karen Tuttle. Vincitrice di numerosi concorsi internazionali, tra
cui la Lionel Tertis Competition e il concorso ARD di Monaco di Baviera,
prima di trasferirsi in Germania ha insegnato per diversi anni al Mannes
College of Music di New York e all’Indiana University di Bloomington. Nel
1989 le è stata affidata la cattedra di viola alla Musikhochschule di Friburgo e
dal 1996 è docente presso la Hanns Eisler Hochschule di Berlino. Dal settembre 2000 insegna viola e musica da camera al New England Conservatory di
Boston. Come solista si è esibita con le più importanti orchestre a New York,
Berlino, Vienna, Londra, Milano, Monaco e Tokyo con direttori quali
Riccardo Chailly, Christoph Eschenbach e Riccardo Muti. Ha tenuto recital al
Metropolitan Museum e al 92nd Street “Y” di New York, a Boston,
Washington, Filadelfia, Pittsburgh, San Francisco, Cleveland, Los Angeles e,
in Europa, a Parigi, Londra, Amsterdam, Berlino e Milano.
La ricerca di nuove forme ed espressioni artistiche l’ha portata a collaborare
con importanti compositori contemporanei quali Gubaidulina, Penderecki,
Kancheli, Kurtág, Mansurian, Pärt e Eötvös; un lavoro che ha condotto ad un
considerevole ampliamento del repertorio per viola.
Il suo impegno nel campo della musica da camera è iniziato al Festival di
Marlboro e continua ancora ospite di festival quali Salisburgo, Brema, Bergen,
Lockenhaus, Rheingau, Santa Fé e Stavanger. Collabora con musicisti quali
Robert Levin, Robyn Schulkowsky (percussioni), Robert Hill, i Quartetti di
Tokyo, Guarneri e Galimir, ed è stata in tournée in quartetto con Gidon
Kremer, Daniel Phillips e Yo-Yo Ma.
Nell’estate 2007 è stata ospite di numerosi festival quali il Festival Bartók in
Ungheria, Verbier, Salisburgo e il Festival di Musica da Camera di Oslo. Nel
2008 ha in programma la prima esecuzione tedesca del Concerto per viola di
Betty Olivero con l’Orchestra da Camera di Monaco e concerti con l’Orchestra
sinfonica di Cleveland diretta da Welser-Möst al Festival di Salisburgo.
L’ampia discografia testimonia la varietà e l’accuratezza delle sue scelte artistiche e comprende l’integrale delle Sonate di Hindemith, la Sonata op. 147 di
Šostakovič con Robert Levin, i Concerti di Britten, Penderecki, Kancheli e
Schnittke oltre alle composizioni di Linda Bouchard e Paul Chihara per viola
e percussioni con Robyn Schulkowsky, le Sonate di Bach per viola da gamba e
clavicembalo con Keith Jarrett, la colonna sonora del film Ulysses’ Gaze di
Theo Angelopolus composta da Eleni Karaindrou e un CD di musica da camera con brani di Kurtág e Schumann con Eduard Brunner al clarinetto e Rober
Levin al piano. La registrazione delle Sonate di Brahms con Rober Levin ha
vinto l’Edison Prize nel 1999. Il CD dedicato ai Concerti di Bartók, Eötvös e
Kurtág ha vinto, nel 2001, il Cannes Classical Award. Nel 2002, ECM New
Series ha pubblicato Voci che comprende musiche di Luciano Berio per viola e
orchestra e Naturale per viola e percussioni di Robyn Schulkowsky. Hayren e
Monodia pubblicati nel 2003 e 2004 testimoniano la collaborazione di Kim
Kashkashian con il compositore armeno Tigran Mansurian.
È stata ospite della nostra Società nel 2000.
ROBERT LEVIN pianoforte
Robert Levin, nato a Brooklyn nel 1947, ha studiato a New York pianoforte con
Louis Martin e composizione con Stefan Wolpe. Ha poi proseguito gli studi a
Parigi con Nadia Boulanger per poi tornare a studiare a Harvard negli Stati
Uniti. Con un repertorio che spazia dal sedicesimo secolo ai giorni nostri, è stato
ospite delle maggiori istituzioni musicali del mondo e ha collaborato con le orchestre sinfoniche di Boston, Chicago, Montreal e Melbourne, Berliner e Wiener
Philharmoniker, Los Angeles Philharmonic e BBC Symphony in collaborazione
con direttori quali Rattle, Marriner e Haitink. Si dedica inoltre con uguale passione alle esecuzioni su strumenti originali e, in veste di fortepianista, si esibisce
regolarmente con orchestre e direttori quali l’Orchestra del Settecento, English
Baroque Soloists, Händel & Haydn Society, Academy of Ancient Music, London
Classical Players, Orchestra of the Age of Enlightenment, Orchestre
Révolutionnaire et Romantique, Christopher Hogwood, Sir John Eliot Gardiner,
Frans Brüggen, Sir Roger Norrington e Sir Charles Mackerras ospite dei maggiori festival in Europa e negli Stati Uniti.
Dopo il diploma è stato invitato da Rudolf Serkin al Curtis Institute of Music di
Philadelphia dove ha insegnato per cinque anni. Dal 1979 al 1983 ha diretto il
Conservatoire Américain di Fontainebleau. Ha poi insegnato alla Staatliche
Hochschule für Musik di Friburgo. Attualmente è docente all’Università di
Harvard e presidente del Concorso Bach di Lipsia.
Considerato uno dei massimi esperti su Mozart, è autore di moltissimi articoli e
saggi e ha curato edizioni per Breitkopf & Härtel, Bärenreiter, Hänssler e Peters.
Particolarmente interessanti sono le cadenze composte per i Concerti per violino
incise da Gidon Kremer, la ricostruzione della Sinfonia Concertante K 297b eseguita per la prima volta a Salisburgo dai Wiener Philharmoniker, una nuova versione del Requiem presentato nel 1991 da Helmuth Rilling a Stoccarda e le cadenze
improvvisate nelle sue esecuzioni dei Concerti per pianoforte. Con la collaborazione di Cliff Eisen, sta attualmente redigendo una nuova edizione dei concerti per
pianoforte di Mozart per Breitkopf & Härtel.
Tra le numerose incisioni di Levin ricordiamo l’integrale dei Concerti per pianoforte di Beethoven con Sir John Eliot Gardiner e di Mozart con Christopher
Hogwood, le Sonate di Schubert incise su un pianoforte viennese del 1825 e gli ultimi quattro Trii con pianoforte di Haydn con Vera Beths e Anner Bylsma.
È stato ospite della nostra Società nel 2003 con l’Ensemble di fiati dell’Academy of
Ancient Music.
Prossimi concerti:
martedì 30 ottobre 2007, ore 20.30
Sala Verdi del Conservatorio
Dmitri Alexeev pianoforte
Uno dei maggiori musicisti della scena concertistica d’oggi, il moscovita Dmitri
Alexeev, suona per la prima volta al Quartetto, esordendo con un programma
perfettamente in linea con le caratteristiche più autentiche della grande tradizione
del pianoforte russo. Di Schumann ascolteremo il bruciante romanticismo della
Kreisleriana op. 16, temperato dal clima sognante del Blumenstück op. 19, due
brani composti nel momento più acceso della passione per Clara. Un piccolo
ciclo della prima maniera neoclassica di Prokof’ev introduce una punta di
modernità nel programma, prima di passare a una personale passeggiata
nell’opera di Chopin. Si parte dal precoce Rondò op. 1 per arrivare alla
grandezza eroica della Polacca in la bemolle op. 53, attraversando pagine
idiomatiche del mondo di Chopin come il Notturno op. 32 n. 2 e
le Mazurche op. 17 n. 2, op. 7 n. 3, op. 50 n. 2 e op. 63 n. 3.
Programma (Discografia minima)
R. Schumann
8 Fantasie, Kreisleriana op. 16
(Horowitz, CBS MK42409)
F. Chopin
Notturni
(Rubinstein, Bmg Rca 60822)
S. Prokof’ev
Quattro pezzi op. 32
“Richter - The Master” vol. 3
(Richter, Decca B0007949)
Mazurkas
(Ashkenazy, Decca 448086)
Polonaise in la bemolle maggiore op. 53
“Emil Gilels Live Recital 27th December 1977”
(Gilels, Melodiya - MELCD1001131)
martedì 6 novembre 2007, ore 20.30
Sala Verdi del Conservatorio
London Baroque
J.S. Bach, J.C.F. Bach, C.P.E. Bach
Società del Quartetto di Milano, via Durini 24 - 20122 Milano
tel. 02.795.393 – fax 02.7601.4281
www.quartettomilano.it – e-mail: [email protected]
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