Il tempo dei cavalli ubriachi Bahman Ghobadi I Curdi I Curdi sono un gruppo etnico medio orientale di ceppo iranico che abita la parte settentrionale e nord-orientale della Mesopotamia, che comprende parti degli attuali stati di Iran, Iraq, Siria e Turchia (la regione è a volte indicata col termine Kurdistan). Piccole comunità curde sono presenti anche in Libano, Armenia ed Azerbaijan. Si stima che i Curdi siano fra 25 e 30 milioni e che quindi costituiscano uno dei più grandi gruppi etnici privi di uno stato nazionale proprio. Per oltre un secolo molti Curdi hanno cercato di ottenere la creazione di un "Kurdistan" indipendente o perlomeno autonomo, con mezzi sia politici che militari. Tuttavia i governi degli stati che ospitano un numero significativo di Curdi si sono sempre opposti attivamente all'idea di uno stato curdo, ritenendo che la nascita di un tale stato li costringerebbe a cedere parte dei propri territori. I Curdi parlano numerosi dialetti (generalmente mutuamente comprensibili) della lingua curda, che fa parte del ramo Iranico dei linguaggi Indo-Europei. Si ritiene che i Curdi moderni discendano dagli abitanti dell'antico Regno di Corduene, noti anche come Carduchi. Essi sarebbero etnicamente vicini a diverse altre popolazioni che abitano gli altopiani dell'Iran. La repressione dei Curdi I Curdi in Iran Dalla rivoluzione islamica a oggi i Curdi iraniani hanno subito la dura repressione esercitata dal governo di Teheran nei confronti di tutti gli oppositori (il 14 settembre 1981 18 operai curdi furono uccisi in una fabbrica di mattoni nel villaggio di Sarougliamish). I Curdi iraniani hanno subito esecuzioni sommarie, torture e processi iniqui. Le torture vengono inflitte sia come pene dettate dal Corano (fustigazioni, lapidazioni, amputazioni) sia come forma di pressione verso i prigionieri per farli confessare o spingerli a ritirare in pubblico le affermazioni fatte in precedenza. I Curdi in Iraq In Iraq si sono verificate e continuano a verificarsi le repressioni di più ampia portata nei confronti dei Curdi iracheni: essi hanno infatti sempre rappresentato la resistenza più matura e organizzata, subendo così deportazioni di massa in Iran, bombardamenti di villaggi e attacchi con armi chimiche. Allo scoppio della guerra fra Iran e Iraq, le autorità irachene ordinarono le deportazioni di migliaia di Curdi in Iran. I deportati erano in maggioranza donne, vecchi e bambini, mentre i maschi vennero arrestati e imprigionati senza alcuna accusa. Parecchie migliaia di Curdi iracheni, negli anni sessanta, sono stati arrestati, uccisi, fatti sparire dalle forze di sicurezza o dai servizi segreti iracheni (ad es. 8.000 Curdi “sparirono” nel 1983 da Arbil e tutt'oggi di loro non si sa più nulla). Nel 1985 altri 3.000 ragazzi curdi sono stati arrestati e torturati dalle forze di sicurezza irachene: sembra fossero stati catturati come ostaggi per obbligare i loro parenti “a consegnarsi alle autorità”. Nel biennio 1987-1988 è stata fatta la più grande repressione nei confronti dei Curdi: le circostanze in cui le autorità irachene usarono armi chimiche con migliaia di morti indicano un preciso disegno politico teso all'eliminazione dei curdi iracheni. Nel 1988 furono uccisi 5.000 curdi in soli due giorni a seguito di un attacco chimico; dieci giorni dopo nel Qaradash è stato lanciato un altro attacco chimico: 400 sopravvissuti sono stati arrestati e giustiziati poi mentre cercavano di raggiungere un luogo di cura. Gli attacchi delle forze irachene sono continuati su tutta la zona abitati da Curdi, che sono scappati in massa verso i confini turco e iraniano: nel 1988 le autorità turche confermarono di aver dato rifugio a 57.000 Curdi iracheni. Tra la fine del 1988 e il 1990 centinaia di Curdi sono stati uccisi sommariamente dopo essere stati convinti dalle autorità irachene a rientrare nel paese. In Iraq la questione dei curdi si inserisce nel quadro delle rivendicazioni delle numerose componenti etnico-religiose del Paese nel dopo-Saddam: in questo momento le tre provincie curde del nord del Paese sono probabilmente la maggiori beneficiarie dell'abbattimento del regime e godono di uno status che di fatto è molto prossimo all'indipendenza. I Curdi in Turchia Amnesty International è preoccupata per la negazione dei diritti delle popolazioni curde: ai turchi curdi non è legalmente riconosciuto il diritto di usare la propria lingua e sono negati altri diritti a causa della loro origine etnica. In Turchia nell'ultimo decennio più di 250.000 persone sono state arrestate e torturate per ragioni politiche. Molte delle più efferate torture sono state subite dai Curdi che abitano nella regione sud-orientale della Turchia. Nonostante la Turchia abbia approvato le due Convenzioni dell'Onu e del Consiglio d'Europa contro la tortura, Amnesty International ritiene che la tortura in Turchia sia assai diffusa verso gli oppositori politici e gli esponenti della comunità curda. Guerra tra Iran e Iraq La guerra Iran-Iraq, conosciuta anche come la Guerra Imposta in Iran e come la Qādisiyya di Saddām in Iraq, fu una guerra combattuta tra i due Paesi dal settembre 1980 all'agosto 1988. Ai tempi del conflitto gli storiografi chiamavano il conflitto Guerra del Golfo (Persico), notazione sopravvissuta fino all'invasione irachena del Kuwait (2 agosto 1990). Il casus belli fu l'invasione irachena dell'Iran, avvenuta il 22 settembre 1980 dopo una lunga storia di dispute sul confine, attriti tra i regimi in causa (dittatoriale quello iracheno, teocratico quello iraniano) e tensioni internazionali tra i blocchi delle superpotenze, che appoggiavano le parti avverse convogliando armi e finanziamenti. Dopo i primi, brucianti successi da parte dell'esercito iracheno, la guerra si trasformò in un'estenuante guerra di posizione e in un reciproco bagno di sangue. Il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite richiamò all'ordine più volte entrambi i governi, ma il cessate-il-fuoco non fu decretato prima del 20 agosto 1988, e lo scambio dei prigionieri di guerra non fu possibile fino al 2003. Il conflitto sconvolse irrimediabilmente gli equilibri nell'area, i cui effetti si fecero sentire pesantemente nell'immediato dopoguerra: due anni dopo l'armistizio, infatti, l'Iraq invase il Kuwait nel tentativo di ottenere un riscatto economico e politico dallo stallo che ne era derivato. Antefatto La guerra del 1980-88 per l'egemonia nella regione del Golfo Persico affonda le proprie radici nella millenaria rivalità tra le regioni della Mesopotamia e della Persia. Prima della nascita dell'Impero Ottomano, l'odierno Iraq era parte dell'impero persiano sotto una quantità di dinastie, e vi rimase fino a che il sultano Murad IV strappò la regione al controllo dei Safavidi nel 1638. Le dispute sui confini proseguirono fino al termine della Prima guerra mondiale nel 1918, anno in cui l'impero ottomano si disciolse e la regione entrò nella sfera britannica, che ereditò, oltre ai territori, tutte le tensioni tra Turchia e Persia. Nel 1979 la rivoluzione iraniana sovvertì il potere dello Shāh e invertì il ruolo della classe dirigente; l'Iraq, che aveva negoziato con l'imperatore persiano la fine del sostegno di Teheran alle attività indipendentiste dei Curdi iracheni, e una gestione moderata della questione sciita (che in Iraq generava aspre dissidenze tra la maggioranza seguace dello sciismo e la minoranza dominante sunnita) divenne oggetto di una quantità di provocazioni di frontiera. Alcuni colloqui con lo Shāh portarono allo studio di un piano iracheno per invadere fulmineamente il Paese vicino approfittando della semi-smobilitazione delle forze armate, e strappare la ricca regione del Khuzestan e la città di Susa, storicamente passata di mano più volte tra Mesopotamici e Persiani nel corso del II millennio a. C. La propaganda del partito Ba'th cominciò dunque a lavorare attraverso i mass media iracheni, mostrando immagini di un Khuzestan presentandolo come la nuova provincia irredenta, e annunciando la sostituzione del nome del capoluogo in Nāsiriyya, secondo la filosofia per la quale tutte le città iraniane passate sotto il controllo iracheno avrebbero preso nomi arabi. Un altro fattore che contribuì alle ostilità tra le due nazioni fu il pieno controllo dei corsi d'acqua dello Shatt al-‘Arab all'estremo nord del Golfo Persico, che costituivano un fondamentale canale di trasporto del petrolio per entrambe le economie. Nel 1975, il Segretario di Stato Henry Kissinger ammonì di mettere un freno agli attacchi verbali all'Iraq da parte di Mohammad Rezā' Pahlavī, Shāh iraniano, sulla disputa del corso d'acqua conteso. Poco tempo dopo Iran e Iraq siglarono gli Accordi di Algeri, in cui l'Iraq accettò come linea di confine dello Shatt al-‘Arab la linea di massima portata del corso d'acqua, in cambio di una normalizzazione dei rapporti diplomatici. 1981: Il ruolo di Israele È ancora da metter a fuoco con precisione quale sia stato nell'intera vicenda il ruolo di Israele che, all'epoca dello Shāh, aveva avuto ufficiosamente rapporti sostanzialmente amichevoli con l'Iran, forse nel quadro di possibili azioni geostrategiche di sorveglianza dell'area vicino-orientale e del Golfo Persico. Nel corso del conflitto Iraq-Iran, peraltro, l'aviazione dello Stato ebraico attaccò il 7 giugno 1981 - con una manovra di altissimo significato tecnologico e strategico - l'impianto nucleare iracheno di Osirak, fornito a Baghdad dai Francesi nel 1972. Attorno a questo impianto si erano sviluppate pubblicamente polemiche e preoccupazioni, provocate dalla volontà proclamata dallo stesso Saddam Husayn di dotarsi di armamenti nucleari. 1982: Sostanziale equilibrio Nonostante tutto questo, nel 1982 l'esercito iraniano riconquistò la città di Khorramshahr e questo indusse l'Iraq - che cominciava a perdere l'originario vantaggio fornitogli dalla rapidità del suo attacco di sorpresa - a proporre la pace all'Iran, mentre l'Arabia Saudita si disse disposta a risarcire il Paese per i disastri del conflitto. Il governo iraniano però si oppose, rifiutando una pace che non restaurava la situazione anteriore allo scoppio delle ostilità e la guerra riprese più feroce di prima, tanto che per le strade della capitale comparvero slogan bellici, come ad esempio quello che affermava: Morire da martire, significa iniettare sangue nelle vene della società. Numerosi casi di tale "martirio" non fecero allentare la morsa della repressione interna. Proseguirono frequenti le esecuzioni degli oppositori del regime e quando ad essere imputate e condannate erano giovani donne illibate, per evitare il divieto coranico di uccidere donne vergini, si dice (senza sostanziali prove) che queste venissero allora forzate a sposarsi con ufficiali dell'esercito disposti a tale espediente legale puramente formale e le famiglie venivano rimborsate con una dote di 55 tumani, ognuno pari a 4,57 euro. Nella primavera del 1982 la situazione militare sul fronte orientale iracheno (occidentale iraniano) si stabilizzò al termine di due poderose offensive e controffensive nella regione di Dezful e di Khorramshahr. La situazione di sostanziale equilibrio rientrava nei desiderata di tutte le cancellerie occidentali, che vedevano da una parte con grande preoccupazione l'esperienza iraniana e ne temevano il contagio in tutto il medio oriente, e dall'altra temevano l'eccessivo rafforzamento nell'area dell'Iraq del regime ba'thista di Saddam Husayn. 1983: Iraq in difficoltà Dopo la primavera del 1982 l'Iraq cominciò seriamente a considerare l'opportunità di rientrare nei suoi precedenti confini nazionali, sgomberando il territorio iraniano occupato nel corso della prima veemente offensiva del 1980. Nel suo tentativo di mediazione incontrò però un netto rifiuto da parte del regime iraniano, che era riuscito a risvegliare nel paese un sentimento patriottico e a sopire in tal modo non pochi contrasti interni. Nell'ottobre 1983 l'Iran riusciva a passare alla controffensiva generale, cogliendo successi che sarebbero sembrati impossibili fino ad alcuni mesi prima, tanto da penetrare nello stesso territorio nazionale iracheno. La reazione irachena fu quella di tentare di strangolare economicamente l'Iran impedendo l'ingresso e l'uscita delle navi petroliere dirette ai terminali petroliferi iraniani, facendo venir meno il flusso di valuta pregiata indispensabile a procurarsi armi sul mercato illegale internazionale. Nel febbraio 1984 l'Iran attaccò le isole Majnūn, al largo dello Shatt al-'Arab, il braccio congiunto dei fiumi Tigri ed Eufrate, poco prima dello sbocco in mare all'altezza pressappoco di Basra. L'Iraq respingeva l'offensiva facendo largo uso di armi chimiche. 1984: Il sostegno internazionale all'Iraq Lo sviluppo dei rapporti con l'Unione Sovietica, con la quale l'Iraq era legata fin dal 1972 da un trattato "di amicizia e cooperazione", e della cui "sfera di influenza" faceva parte, dette un ulteriore aiuto all'Iraq, così come l'acquisto di armi dalla Cina; dall'Egitto; dalla Francia (Caccia Super-Etendard e missili ariaterra Exocet nel 1983); dall'Italia (Navi militari); dalla Germania; dalla Gran Bretagna. Ottenne infine dagli USA, dopo il 1984, aiuti consistenti fondamentalemente in consiglieri militari, supporto di intelligence e in qualche misura in materiali "a doppio uso" (militare e civile) da parte di aziende USA che riuscirono ad evadere l'embargo delle armi decretato dal Congresso, e mai rimosso. Con gli USA Baghdad riallacciò regolari relazioni diplomatiche nel novembre del 1984, dopo una lunga interruzione risalente al 1967, epoca della guerra dei sei giorni, e alla successiva costituzione del "fronte del rifiuto" (gruppo di paesi arabi e di fazioni palestinesi che rifiutavano l'esistenza di Israele, con il quale si consideravano intransigentemente in stato di guerra) del quale faceva parte assieme all'Iraq anche la Libia. Tuttavia già da uno-due anni prima l'Amministrazione USA di Ronald Reagan, contravvenendo in segreto agli "emendamenti Boland" che lo vietavano, aveva iniziato a dare qualche supporto di intelligence al regime iracheno. In realtà, contrariamente a quanto si è cercato di affermare dall'invasione del Kuwait (1990) in poi, il contributo dato dagli USA all'Iraq ba'athista nella guerra contro l'Iran fu minimo: in realtà gli USA armarono sottobanco in maniera molto più massiccia il regime teocratico iraniano ufficialmente presentato da Washington come il nemico pubblico numero uno; la fornitura di armi, convenzionali e non, e di tecnologia a Theran da parte degli USA attravesro canali occulti è innegabile e ben documentata (vedi affare Iran/Contras): lo scopo degli USA e di Israele era quello di liberarsi contemporaneamente, logorandoli in una guerra fratricida totale in cui si sarebbero autoannullati, due fra i più acerrimi nemici (suoi e di Israele, oltre che del capitalismo e del colonalismo in generale) nel teatro mediorientale e cioè dell'Iraq socialista, progressista e antimperialista di Saddam Hussein da una parte e dell'Iran rivoluzionario, popolare e islamico di Kohmeini dall'altra. E' pertanto falsa e completamente da rigettare la teoria, generalmente accreditata, di un Saddam "amico degli americani": possiamo dire semmai che gli americani, mentre fingevano di aiutare l'Iraq supportavano sotterraneamente l'Iran e questo anche con l'aiuto di Tel Aviv molto più preoccupata, oggi come ieri, del panarabismo ba'athista iracheno che non del clero sciita iraniano sostanzialmente aduso a bizantinismi e compromessi d'ogni risma a dispetto dell'immagine integralista che intende dare. 1985: Iniziative di pace ONU Una missione di pacificazione del Segretario Generale delle Nazioni Unite, Pérez de Cuéllar, fallì nell'aprile 1985 a causa dell'intransigenza di Teheran che esigeva la condanna dell'Iraq come aggressore, il pagamento dei danni di guerra e l'allontanamento di Saddam Husayn. Subito dopo la notizia irachena della riconquista delle isole Majnūn nel 1986, ilo 9 febbraio di quell'anno l'Iran lanciava l'offensiva Val Fajr-8 che mandava in rotta le difese irachene che perdevano il controllo del porto di Fāw: risultato rafforzato dalla successiva offensiva iraniana denominata Val Fajr-9. Le successive operazioni iraniane, definite Kerbelā (4, 5 e 6), portarono l'Iran nella zona di Basra, impegnando le forze irachene nell'area di Qasr-e Shirin. 1986: Lo scandalo "Irangate" o "Iran-Contras" Nel gennaio 1986 membri della Amministrazione Reagan assicuravano segretamente la vendita a Teheran di importanti forniture militari (cosiddetto scandalo Irangate o Iran-Contras) di cui massimo artefce fu quel John Negroponte che oggi gli USA hanno messo a dirigere le forze d'occupazione statunitensi in Iraq e che all'epoca fungeva da curatore della repressione antisandinista in Nicaragua e da organizzatore della strategia del terrore e dei terribili squadroni della morte controrivoluzionari: tecnica che oggi viene rispolverata in grande stile da Negroponte in Iraq in funzione anti-ba'atista e antisunnita. L'operazione, che utilizzava i fondi neri procacciati con la vendita di armi all'Iran per finanziare i "contras" (guerriglieri antisandinisti) nella guerra civile in Nicaragua, era in aperta violazione di deliberati congressuali, che vietavano alle amministrazioni di intervenire nella guerra civile nicaraguense e di fornire armi ai contendenti del conflitto Iran-Iraq. 1987-1988: Il ruolo dell'ONU. La Risoluzione n. 598 e la fine del conflitto Nel 1987 (20 luglio) il Consiglio di Sicurezza dell'ONU chiedeva un cessate il fuoco ma la pretesa iraniana che si condannasse l'aggressione irachena fece fallire il possibile avvio di una tregua armata. Nell'agosto del 1988, a 8 anni dallo scoppio delle ostilità e dopo la morte di oltre 1 milione di uomini e donne, la risoluzione n. 598 dell'ONU con la sua proposta di cessazione delle ostilità, fu inaspettatamente accettata dai due paesi ormai ridotti in realtà allo stremo e il 9 agosto 1988 il Consiglio di Sicurezza poté votare la creazione dell'UNIIMOG (United Nations Iran-Iraq Military Observer Group), incaricato di sovraintendere al rispetto della tregua.