Cristo Redentore dell`uomo e la sua Chiesa. Sulla Redemptor hominis

CRISTO REDENTORE DELL'UOMO E LA SUA CHIESA
Rileggendo la «Redemptor hominis»
STEFANO MOSCHETTI S.I.
Più di due anni fa Giovanni Paolo II ci donava la sua prima enciclica, un pensiero
esposto con intensa partecipazione personale, il cui contenuto è una professione
di fede in Cristo Redentore dell'uomo, nella sua Chiesa, perché viva di lui, per la
salvezza dell'intera umanità (1). La verità su Cristo, sulla sua Chiesa e sull'uomo,
da difendere, promuovere, realizzare: questo è apparso sin dall'inizio l'impegno
fondamentale del Santo Padre (2), di cui la Redemptor hominis rappresenta il
documento più autorevole e completo (3). Data la evidente validità dimostrata da
questo pensiero programmatico nel corso dei tre anni dell'attività pastorale di
Giovanni Paolo II, crediamo utile in questo scritto sviluppare breve- mente alcune
riflessioni sui legami vitali che, secondo questa enciclica, uniscono tra di loro
Cristo, la sua Chiesa e l'uomo (4).
Il vero fascino, la forza trascinatrice ed anche la difficoltà intrinseca ai contenuti
sta proprio in questo, che Giovanni Paolo II ha voluto strettamente unire queste
tre realtà. Ne viene che si può leggere l'enciclica nella prospettiva delle esigenze
dell'uomo di oggi, o di Cristo redentore, o della sua Chiesa; tutte letture che
possono risultare valide. L'intenzione vera del documento ci appare quella di
approfondire, vitalizzare, fare penetrare ulteriormente negli stretti ed inscindibili
legami che uniscono il Redentore, la sua Chiesa e l'uomo: l'umanità di oggi, nelle
sue conquiste e nelle sue angosce, ha urgenza del Redentore, attraverso tutta la
coscienza e l'impegno della Chiesa.
Si tratta di un'enciclica che possiamo definire veramente antropologica perché
veramente cristologica ed ecclesiologica. Infatti, pur presentando nelle sue varie
parti accentuazioni e particolari concentrazioni su temi via via ecclesiologici (I e
IV parte), cristologici (II parte) ed antropologici (III parte), la loro stretta e vitale
relazione è sempre tenuta presente; di qui l'ampiezza e la profondità forse unica di
una sintesi-dogmatica ed esistenziale, e la sua innegabile necessità per
l'orientamento del pensiero e dell'azione.
Per raggiungere lo scopo desiderato rimanendo fedeli alla dottrina inculcata dal
Santo Padre, e così evitare letture che proiettino nell'enciclica le proprie visuali, si
dà una sola via, obbligatoria: quella di individuare e sviluppare alquanto,
esattamente quelle tematiche e quei principi ecclesiologici, cristologici ed
antropologici su cui è costruita la Redemptor hominis; considerare cioè i rapporti
tra Cristo, Chiesa ed uomo non in modo astratto e generico, ma concretamente in
alcuni dei temi scelti da Giovanni Paolo II. Comportandoci così, accogliamo
inoltre il suo invito a valorizzare la preziosa eredità del Vaticano II (5); la
Redemptor hominis unisce infatti in una forte sintesi il cristocentrismo di tutti i
documenti dell'ultimo Concilio con i temi ecclesiologici della collegialità (6) e
della partecipazione al «triplice ufficio» di Cristo (7), e con le analisi esistenziali
caratteristiche della Gaudium et spes.
Collegialità e partecipazione al «triplice ufficio» di Cristo
Quelli della collegialità e della partecipazione al «triplice ufficio» di Cristo sono i
due principi che Giovanni Paolo II pone come fondamento del suo insegnamento
più direttamente ecclesiale, ma ben intesi in tutta la ricchezza della dottrina
cattolica, vedremo quanto ci aprono a Cristo, quanto lo avvicinino ad ogni uomo.
1
Collegialità in senso stretto è il principio «[ ...] che Cristo stesso innestò nel
collegio dei Dodici con Pietro a capo, e che rinnova continuamente nel collegio
dei vescovi, il quale sempre più cresce su tutta la terra, rimanendo unito col
Successore di san Pietro e sotto la sua guida» (RH, n. 5); viene così posto in
primo piano l'aspetto dogmatico-giuridico della collegialità (Lumen gentium, n.
2.2. e Nota explicativa praevia) , strettamente connesso con la sacramentalità dell'episcopato (Lumen gentium, n. 2.1) ed il suo esercizio (Lumen gentium nn. 2427). L'aspetto dogmatico-giuridico della collegialità è il fondamento di
quell'altra dimensione che il n. 2.3 della Lumen gentium chiama collegialis
affectus, cioè il «vincolo di pace, di amore, di unità» «con Pietro e sotto Pietro»
(8), che in vista del bene della Chiesa universale e delle Chiese particolari unisce
tra loro i vescovi ed anima i sinodi, le conferenze continentali, nazionali,
regionali volute dalla Santa Sede negli ultimi decenni.
Inoltre il collegialis affectus proprio dei vescovi, in quanto essi col Papa
rappresentano tutto il corpo ecclesiale (Lumen gentium, no 2.3); diviene un
principio di carità, unità, collaborazione, che deve estendersi a tutti i livelli del
popolo di Dio; la collegialità episcopale rappresenta infatti un modello, un segno
ed uno stimolo per la corresponsabile comunione di tutte le membra del Corpo di
Cristo. Questa responsabile comunione di cristiani, da viversi secondo la fedeltà
di ciascuno alla propria vocazione, viene poi precisata nella IV parte dell'enciclica
per mezzo di un altro principio ecclesiale, la partecipazione al «triplice ufficio» di
Cristo. La comunione nella Chiesa, le relazioni delle singole membra tra di loro
per formare ed animare il Corpo di Cristo, non esprimono una generica
appartenenza sociale, ma procedono dalla vocazione dei singoli, dal modo proprio
con cui ciascuno, corrispondendo alla chiamata di Cristo, partecipa al suo
«triplice ufficio»: in quanto è papa, vescovo, sacerdote, religioso, laico, nel
matrimonio e negli impegnI professionali (RH, n. 21).
Ora, ambedue questi principi, nella reciproca luce che si offrono, sono
fondamentali per comprendere quanto la Chiesa viva di Cristo, della sua
Redenzione, e quanto, proprio per questo, sia tutta orientata pure essa alla
missione in favore dell'uomo. Il principio della collegialità dei vescovi ci conduce
infatti nel cuore della struttura sacramentale della Chiesa: la sacramentalità
dell'episcopato, esercitata nel collegio unito a Pietro e sotto Pietro, è il segno
efficace della comune, radicale dipendenza della Chiesa intera dal suo Capo e
Pastore. La sua parola viene così autorevolmente e, nelle debite forme, anche
infallibilmente annunciata; nei sacramenti la croce e la risurrezione del Signore
rinnovano la vita umana, la purificano ed elevano allo stato soprannaturale (9);
nell'Eucaristia in particolare «partecipiamo a quell'unica ed irreversibile
restituzione dell'uomo e del mondo . Padre, ch,e egli, Figlio eterno ed insieme
vero uomo, fece una volta per sempre» (RH, n. 20), e siamo introdotti al
«sacerdozio regale», quella maturità spirituale ed etica, quel dominio su se stessi
e le proprie azioni indispensabile per un sincero servizio dell'uomo (RH, n.21).
Il sacramento dell'ordine, la cui pienezza consiste nell'episcopato esercitato in
comunione collegiale, sta in mezzo al popolo di Dio per ricordarci che tutto il
Corpo viene continuamente animato dalla pienezza del suo unico Capo, Cristo; e
non solo ricorda, ma efficacemente comunica o autorevolmente autentica questa
pienezza. Ogni cristiano, in virtù dei sacramenti che fondano ed alimentano le
specifiche vocazioni, può estendere la verità di Cristo e la carità dello Spirito
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Santo ad ogni situazione di vita, ad ogni campo dell'esistenza personale e sociale
(10).
L'umanità non possiede altro mezzo per avvicinare Cristo in tutta la sua
dimensione salvifica divina ed umana se non attraverso la pienezza della verità e
carità annunciata e vissuta dalla Chiesa (RH,, n. 4); ne segue l'esigenza per i
singoli cristiani di corrispondere alla propria vocazione, cioè di esercitare
fedelmente, nella comunione del Corpo di Cristo, il proprio grado di
partecipazione al suo «triplice ufficio: profetico, sacerdotale e regale». Il
principio della collegialità e della piena corrispondenza alla propria vocazione,
mentre sempre più radica la Chiesa nel suo Signore, la costituisce parimente suo
sacramento, «segno e strumento dell'intima unione con Dio e dell'unità di tutto il
genere umano» (11).
La Chiesa non possiede altra vita ed altra missione se non quella che le proviene
da Cristo; le è quindi del tutto indispensabile penetrare il più possibile nel mistero
del Redentore di tutti gli uomini, del cosmo e della storia: il tema del cristocentrismo, annunciato nella I parte, è sviluppato specialmente nella II, ma rimane
l'orizzonte di tutta l'enciclica.
Cristo centro del cosmo e della storia
«Attraverso la coscienza della Chiesa, tanto sviluppata dal Concilio, attraverso tutti i gradi di
questa coscienza, attraverso tutti i campi di attività in cui la Chiesa si esprime, si ritrova e si
conferma, dobbiamo costantemente tendere a colui "che è il Capo", a colui "in virtù del quale
esistono tutte le cose e noi siamo per lui", a colui il quale è insieme "la via, la verità" e "la
risurrezione e la vita", a colui vedendo il quale vediamo il Padre, a colui che doveva partirsene
da noi [...] affinché il Consolatore venisse a noi e continuamente venga come Spirito di verità.
In lui sono "tutti i tesori della sapienza e della scienza", e la Chiesa è il suo Corpo. La Chiesa è
"in Cristo come un sacramento o segno e strumento dell'intima unione con Dio e dell'unità di
tutto il genere umano", e di ciò è lui la sorgente! Lui stesso! Lui, il Redentore!» (RH, n. 7).
La dimensione di Cristo, di cui la Chiesa ha anzitutto coscienza, è quella della
Redenzione: «La Chiesa rimane nella sfera del mistero della Redenzione, che è
appunto diventato il principio fondamentale della sua vita e della sua missione»
(RH, n. 7); ma contemporanea- mente, come possiamo notare nel passo citato, che
segna il passaggio da considerazioni più strettamente ecclesiologiche a
considerazioni più direttamente cristologiche, il Redentore viene contemplato nel
suo rapporto col Padre, con lo Spirito Santo, nella prospettiva uni- versale della
creazione del mondo e dell'uomo: Cristo è colui «in virtù del quale esistono tutte
le cose e noi siamo per lui» (I Cor 8,6), «per il quale e dal quale sono tutte le
cose» (Ebr 2, 10).
La Redenzione è descritta nella Redemptor hominis e nella Dives in misericordia
come quel «tremendo mistero di amore» in cui si mani- festa la benevolenza del
Padre, che fin dal giorno della creazione ha in progetto dei figli che comprendano
e rispondano nella verità al suo amore. Cristo è il Figlio eterno che conosce, vive
e svela questo amore benigno del Padre:
«La Redenzione del mondo, questo tremendo mistero dell'amore, in cui la creazione viene
rinnovata è, nella sua più profonda radice, la pienezza della giustizia in \in Cuore umano: nel
Cuore del Figlio primogenito, perché essa possa diventare giustizia dei cuori di molti uomini, i
quali proprio nel Figlio primogenito sono stati, fin dall'eternità, predestinati a divenire figli di
Dio, e chiamati alla grazia, chiamati all'amore» (RH, n. 9).
«Attraverso l'Incarnazione Dio ha dato alla vita umana quella dimensione che intendeva dare
all'uomo fin dall'inizio [...]» (RH, n. 1).
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Tutta l'opera di Dio, nella creazione e nella Redenzione, ha come sua finalità,
tende a questo bene di valore incalcolabile, che ogni uomo partecipi alla vita del
Figlio eterno, il Verbo incarnato: «In lui tutte le cose furono create, [...] per
mezzo di lui, in vista di lui» (12); per il peccato dell'uomo questo Figlio
primogenito, così al centro del cosmo e della storia, sarà il Crocifisso glorioso; la
croce gloriosa del Figlio è stata valuta
«per rivelare l'amore che è sempre più grande di tutto il creato [...]. Soprattutto l'amore è più
grande del peccato, della debolezza, della caducità del creato, più forte della morte; è amore
sempre pronto a sollevare e a perdonare, sempre pronto ad andare incontro al figliol prodigo,
sempre nella ricerca della "rivelazione dei figli di Dio" che sono chiamati alla gloria futura»
(RH, n. 9).
La croce ci fa penetrare ancora più profondamente in ciò che da sempre Dio
Padre ha voluto fare dell'uomo:
«Cristo, che è il nuovo Adamo, proprio rivelando il mistero del Padre e del suo amore svela
anche pienamente l'uomo all'uomo e gli fa nota la sua altissima vocazione [...]. Egli è
"l'immagine dell'invisibile Iddio". Egli è l'immagine dell'uomo perfetto, che ha restituito ai figli
di Adamo la somiglianza con Dio, resa deforme già subito agli inizi a causa del peccato. Poiché
in lui la natura umana è stata assunta, senza per questo venire annientata, pèr ciò stesso essa è
stata anche per conto di noi innalzata ad una dignità sublime. Con l'Incarnazione il Figlio di
Dio si è unito in certo modo ad ogni uomo» (13).
Sul fondamento di queste realtà dogmatiche, appaiono per nulla esagerate le
conseguenze tratte da Giovanni Paolo II, sul piano esistenziale, per l'uomo:
«Egli deve, per così dire, entrare in lui con tutto se stesso, deve appropriarsi ed assimilare tutta
la realtà dell'Incarnazione e della Redenzione per ritrovare se stesso» (RH, n.10).
Ritrovare se stesso in tutta la sua vita concreta, nella sua esperienza quotidiana,
personale e sociale, nel suo rapporto col mondo.
Nella cristologia della Redemptor hominis, che è la cristologia del Vaticano II, del
Nuovo Testamento, il rapporto del Redentore con ogni uomo non lascia alcun
dubbio: è già fondato nella stessa creazione. Ma per quali vie storiche Cristo
incontra pienamente ogni uomo? Quale è in concreto il rapporto di Cristo con la
Chiesa, il suo rapporto con gli uomini che ancora vivono fuori dello spazio
visibile-sacramentale della Chiesa?
Cristo Capo della Chiesa, Il suo Corpo
Giovanni Paolo II ci aiuta ad orientarci nella risposta a questi interrogativi, che
hanno molto inquietato alcuni settori della teologia (14). La riflessione del Papa si
muove sempre da quel centro sacra- mentale che è la Chiesa, strutturata secondo i
principi della collegialità e partecipazione al «triplice ufficio» di Cristo. La
Chiesa è conscia di essere il Corpo di Cristo, la sua sposa a lui indissolubilmente
unita (15); ogni cristiano che corrisponde alla grazia della propria vocazione nella
comunione ecclesiale, può accogliere tutta la pienezza di verità e di carità che dal
suo Capo vuole irradiarsi per riempire tutte le sue membra (RH, nn. 4; 21).
La Chiesa è parimente conscia che il suo Capo è «il Redentore dell'uomo, [...]
centro del cosmo e della storia» (RH, n. 1), che in lui, per lui, verso di lui tutto è
stato creato e redento, tutto deve «ricapitolarsi», come ci ricorda san Paolo; ma di
questa realtà che ancora vive al di fuori dello spazio sacramentale della Chiesa,
non si può dire che sia già ugualmente unita a colui nel quale tutto dovrà
«ricapitolarsi». È molto significativo, infatti, che quando san Paolo ci parla della
centralità di Cristo, della ricapitolazione in lui di tutte le cose, non afferma mai
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che Cristo sia attualmente capo del mondo, ancora tanto sottomesso alla folla
caotica e ribelle delle «potenze»; invece, nello stesso contesto afferma che Cristo
è Capo della Chiesa, a tutti gli effetti, poiché essa non vive né esiste staccata da
lui (16). Non certo perché la Chiesa sia sotto ogni aspetto perfetta, ma Cristo non
cessa per questo di essere il suo Capo, lo Sposo di lei, il suo Corpo, che
continuamente vivifica con la sua parola. ed i suoi sacramenti pasquali.
Con quali atteggiamenti la Chiesa avvicinerà gli uomini che ancora sono al di
fuori dei suoi confini visibili? Con la certezza che anche essi hanno urgenza del
Redentore, con la predisposizione a riconoscere con gioia ogni traccia già
presente in essi dell'irradiazione del Creatore e Redentore, dei frutti del suo Santo
Spirito.
«Germi del Verbo» e valori spirituali
L'enciclica ci fornisce al riguardo alcuni orientamenti, che scaturiscono dal
cristocentrismo limpidamente affermato e dalla coscienza della Chiesa di essere
Corpo di Cristo, per incoraggiare gli uomini ad entrare con tutti se stessi e con
piena fiducia nel mistero dell'Incarnazione e Redenzione, per guidare la Chiesa in
questa sua delicata missione. Il n. 11 accenna alla dottrina patristica dei «germi
del Verbo», cioè i riflessi dell'unica Verità divina che possiamo intravedere nelle
diverse religioni. Anche in chi non riconosce esplicitamente il Cristo di cui vive
la Chiesa, può agire, se non è rinnegata, la comune orientazione di tutti a lui, il
Figlio di Dio fatto uomo perché sia «il primogenito tra molti fratelli» (Rom 8, 29).
L'uomo che vive moralmente nella tensione verso Dio può accogliere le
«vestigia» del Verbo divino, l'impronta che Dio creatore e salvatore lascia in ogni
realtà umana mai del tutto deturpata dal peccato.
Le stesse considerazioni si possono fare nella prospettiva dello Spirito Santo, che
il Risorto dona con abbondanza alla sua Chiesa, senza per questo escluderne ogni
uomo (17); ecco come si esprime il Papa:
«L'atteggiamento missionario inizia sempre con un sentimento di profonda stima di fronte a ciò
che "c'è in ogni uomo", per ciò che egli stesso, nell'intimo del suo spirito, ha elaborato riguardo
ai problemi più profondi ed importanti; si tratta di rispetto per tutto ciò che in lui ha operato lo
Spirito, che soffia dove vuole» (RH, n. 12).
Dobbiamo parimente avere, come insegna il Vaticano II, «[...] profonda stima per i grandi
valori spirituali, anzi per il primato di ciò che è spirituale e trova nella vita dell'umanità la sua
espressione nella religione e, inoltre, nella moralità, con diretti riflessi su tutta la cultura» (RH,
n. 11).
La Chiesa, il cui compito è unire il più possibile ogni uomo con il :Verbo creatore
e redentore, perché ciascuno sia vivificato e purificato dal suo Spirito, deve
riconoscere e accogliere questi segni già presenti di Cristo e del suo Spirito: una
delicata operazione, che richiede conversione, che costituisce lo stato permanente
del cristiano (18).
Non si tratta per la Chiesa solamente di ricercare al di fuori di essa le «vestigia»
del Verbo ed i frutti dello Spirito. Essendo la Chiesa il Corpo di Cristo, che il suo
Capo sempre ricolma della sua vita e del ,suo Spirito perché ne vivano tutti gli
uomini, ed appunto perché la Chiesa non ha altra vita ed altra missione se non
quella universale del suo Signore, quando essa si rivolge all'uomo, ai suoi
problemi, alle «sue speranze, conquiste, sofferenze, cadute», essa «come corpo,
come organismo, come unità sociale, percepisce gli stessi impulsi divini, i lumi e
le forze dello Spirito che vengono da .Cristo crocifisso e risorto, ed è proprio per
questo che essa vive la sua vita» (RH, n. 18).
5
Nel mistero della Redenzione è iscritta, con particolare forza, tutta la vita
dell'uomo; la Chiesa, saldamente unita ad ogni uomo come lo è Cristo, deve
interessarsi e conoscere ogni aspetto dell'esistenza umana, per porgere a tutti la
luce e la medicina della Redenzione.
Le analisi esistenziali, l' affermazione dei valori etici e spirituali
Nella terza parte dell'enciclica il Papa ci offre un saggio di questa attenzione e
sollecitudine per la situazione dell'uomo oggi, le sue conquiste, ma anche le sue
paure e le sue necessità. L'analisi si direbbe condotta da un osservatore non ignaro
dei metodi della «fenomenologia» (19), ma l'esame del fenomeno umano, colto
nei suoi aspetti i più concreti, scende sino al suo «cuore»; questa radiografia del
concreto esistere dell'uomo può essere così completa e profonda, perché compiuta
sempre con la coscienza che Cristo è già sceso nel «cuore» dell'uomo, sa che cosa
in esso si nasconde (RH, n. 8). Si può così aiutare l'uomo a formulare più
chiaramente le sue domande, ad individuare con più luce la causa nascosta dei
suoi mali.
L'analisi può sembrare di natura fenomenologica, ma è portata . avanti con la
fiducia che la ragione è in grado di penetrare ciò che è specificamente umano, i
valori etici, spirituali e religiosi, il cui ultimo fondamento sta in Cristo; ed in
questa delicata operazione è proprio lo stesso Cristo che
«[ ...] diventa, in certo modo, novamente presente, malgrado tutte le apparenti sue assenze,
malgrado tutte le limitazioni della presenza e delle attività istituzionali della Chiesa. Gesù
Cristo diventa presente con la potenza di quella verità e di quell'amore, che si sono espressi in
lui come pienezza unica e irrepetibile [... ]» (RH, n. 13).
Le analisi esistenziali del Santo Padre non si bloccano mai a metà strada nella
radiografia del fenomeno umano; esso viene esaminato in tutta la sua consistenza
e concretezza, con attenzione al bene temporale ed eterno, indicando la carenza di
quei valori personali, etici e spirituali che squilibrano e rendono pericoloso il
progresso scientifico e tecnico, ma sempre tenendo presente che questo uomo è in
Cristo chiamato a divenire Figlio del Padre, destinato «alla grazia e alla gloria»
(RH, n. 18).
L'esame della situazione dell'uomo può svilupparsi su tematiche sociali,
economiche, politiche nell'ottica dei valori etici, spirituali e religiosi che sono la
competenza specifica della Chiesa, per il fatto che la Chiesa stessa considera tutta
la realtà umana restando ben radicata nel mistero della Redenzione; la contempla
cioè dall'alto della croce gloriosa di Cristo, perché sa che da questo punto
eminentemente panoramico possono essere lanciati a tutti gli uomini di buona
volontà gli avvisi, le parole autorevoli e chiarificatrici (20). Proprio per questo,
pur rimanendo in contatto con una umanità «affamata di giustizia, di pace, di
amore, di bontà, di fortezza, di responsabilità, di dignità umana», la Chiesa deve
concentrarsi nel mistero della Redenzione, ritrovare in esso luce e forza per la sua
missione; proprio per questo la Chiesa, che vive in una umanità aggredita dai vari
materialismi, deve insistere nella supplica dello Spirito Santo, il prezioso dono
che il Signore risorto elargisce all'umanità, ben sapendo che in questa invocazione
dello Spirito non è sola, perché l'urgenza di ciò che è spirituale viene sentita da
tanti uomini, anche al di fuori dei suoi confini visibili (RH, n. 18).
6
Libertà e «(sacerdozio regale»
Il richiamo ai valori etici e spirituali porta necessariamente al discorso sulla
libertà
umana ed il suo retto esercizio:
'
«Su questa difficile strada, sulla strada dell'indispensabile trasformazione delle strutture della
vita economica non sarà facile avanzare se non interverrà una vera conversione della mente,
della volontà e del cuore. Il compito richiede l'impegno risoluto di uomini e popoli liberi e
solidali».
Giovanni Paolo II desidera subito precisare che cosa intende per libertà:
«Troppo spesso si confonde la libertà con l'istinto dell'interesse individuale o collettivo o,
ancora, con l'istinto di lotta e di dominio, qualunque siano i colori ideologici con cui essi sono
dipinti. È ovvio che tali istinti esistono ed operano, ma non sarà possibile alcuna economia
veramente umana, se essi non vengono assunti, orientati e dominati dalle forze più profonde,
che si trovano nell'uomo e che decidono della vera cultura dei popoli» (RH, n. 16).
«Ai nostri tempi si ritiene talvolta erroneamente che la libertà sia fine a se stessa, che ogni
uomo sia libero quando ne usa come vuole, che a questo sia necessario tendere nella vita degli
individui e delle società. La libertà, invece, è un grande dono soltanto quando sappiamo usarla
per tutto ciò che è il vero bene. Cristo ci insegna che il miglior uso della libertà è la carità che si
realizza nel dono e nel servizio» (RH, n. 21).
Anche per quanto riguarda l'esercizio della libertà le analisi esistenziali di
Giovanni Paolo II si sviluppano senza perdere mai di vista il Redentore: Cristo si
presenta a noi, anche oggi, come colui che ci permette il retto esercizio della
libertà, eliminando la durezza del «cuore» che menoma e quasi spezza alle radici
stesse questa libertà, indicando i valori umani degni di essere ricercati e vissuti
(RH, n. 12).
L'esercizio maturo della libertà per realizzare la verità, ideale a cui dev'essere
guidato ogni uomo (21), rappresenta per il cristiano una conscia partecipazione
del «sacerdozio regale» di Cristo. Il senso essenziale di questa regalità è
tratteggiato in più luoghi dell'enciclica: al n. 16 è indicato come «dominio
dell'uomo sul mondo visibile, a lui assegnato come compito dallo stesso Creatore,
consistente nella priorità dell'etica sulla tecnica, nel primato della persona sulle
cose, nella superiorità dello spirito sulla materia». Al n. 21 viene descritto come
«disponibilità a servire, secondo l'esempio di Cristo, che non è venuto per essere
servito ma per servire». Ma per potere efficacemente e degnamente servire gli
altri si richiede una tale maturità spirituale, un tale dominio di se stessi, unito alle
virtù che rendono possibile tale dominio, che un simile servizio corrisponde ad un
autentico «regnare»: «La nostra partecipazione alla missione regale di Cristo proprio al suo "ufficio regale" (munus) - è strettamente legata ad ogni sfera della
morale, cristiana ed insieme umana».
L'esercizio del «sacerdozio regale» trova la sua fonte ed il suo. vertice
nell'Eucaristia: «In essa partecipiamo a quell'unica ed irreversibile restituzione
dell'uomo e del mondo al Padre che egli, Figlio eterno ed insieme vero uomo,
fece una volta per sempre» (RH, n. 20), ed attraverso la fedele corrispondenza di
ciascuno alla propria vocazione mira ad unire concretamente le vie dell'uomo alla
via di Cristo; ne risulta una categoria chiave per comprendere la convergenza
degli aspetti cristologici, ecclesiologici ed antropologici della Redemptor hominis.
7
La verità su Cristo e sulla Chiesa per un vero umanesimo
Una prima conclusione che possiamo trarre da queste riflessioni riguarda
quell'inesauribile tesoro di umanesimo autentico racchiuso nella dottrina cattolica
su Cristo e la sua Chiesa, quando questa dottrina viene custodita e vissuta nella
sua piena integrità, ed insieme viene messa a contatto delle necessità umane;
riteniamo che l'insegnamento più valido della Redemptor hominis consista
proprio in questo. È cosa infatti ben nota dalla storia del dogma che le difficoltà,
gli errori in campo cristo logico hanno sempre una risonanza anche in campo
ecclesiologico e sono determinanti nello stabilite il contributo che la comunità dei
credenti può offrire nella prospettiva di un umanesimo autentico; vale la pena
qualche breve accenno.
Chi ha la tendenza dei monofisiti ad assorbire totalmente l'umanità di Cristo nella
sua divinità, in concreto ad attenuarne la vera consistenza umana, tenerla il più
possibile «in cielo», avrà parimente una visione della Chiesa molto distaccata
dalle presenti necessità umane, cioè anche la Chiesa sarà «tenuta in cielo», e
questo per finalità varie, perché non si contamini, forse anche perché non disturbi;
mancherà così alla vita personale e sociale dell'uomo la pienezza della luce e
della forza di Cristo, vero uomo perché vero Dio. Simili risonanze sulla vita della
Chiesa e dell'uomo provengono dai legami incerti, vaghi, molto distanti tra la
Persona divina del Verbo e la sua umanità; ne risultano un Cristo e una Chiesa
che influiscono poco su una personalità umana già pienamente costituita in modo
del tutto autonomo, la cristologia non è più decisiva per l'antropologia, la Chiesa
può tacere. È la nota tendenza della scuola di Nestorio.
Del tutto disastrosa appare infine la prospettiva di Ario, che trascura la divinità di
Cristo e quindi la sua trascendente centralità sul cosmo e nella storia: il Cristo e la
Chiesa vengono talmente immersi nelle vicende umane da esserne travolti,
mondanizzati. La cristologia della Redemptor hominis e la sua conseguente
ecclesiologia non perdono mai di vista la Persona divina del Verbo che si unisce
«ipostaticamente» e si esprime nell'umanità di Cristo, l'umanità tipica per ogni
uomo, a cui ogni uomo deve unirsi per essere salvo. «Senza separazioni, senza
confusioni» - come dice il Concilio di Calcedonia -: senza confondere o ridurre la
Persona divina alla sua espressione umana, senza separare questa; espressione
autenticamente umana dalla personalità divina che in essa si rivela (22). Una
Chiesa, quindi, che anima un umanesimo autentico, che fornisce un orientamento
al pensiero, che può anche costituire una «forza sociale» (23), ma una Chiesa che
non si riduce mai ad una generica dimensione umana, la cui finalità propria
rimane sempre di portare l'uomo a vivere la dimensione dei figli di Dio, alla
grazia e alla gloria.
A questi brevi accenni conclusivi sull'identità del Redeniore, tanto necessaria per
fondare un umanesimo autentico, è bene aggiungere qualche considerazione sulla
centralità della Chiesa in quest'opera di redenzione: anche in questo campo si
può essere tentati, sia di esagerazioni, sia anche, ed oggi forse ancor più, di
indebite riduzioni. Si può, per esempio, propugnare un ecclesiocentrismo forzato,
quando si volessero sottoporre le istituzioni della vita civile ad una dipendenza
immediata alla Chiesa, al collegio apostolico: che Cristo sia Capo dell'Universo,
che ogni realtà creata dovrà sottomettersi, ricapitolarsi in lui, divenire suo regno,
è fuor di dubbio; ma di questo regno la Chiesa rappresenta solo l'inizio, vero,
vitale, autentico, non ne è ancora la piena escatologica realizzazione. Parimente,
il collegio apostolico è il segno sacramentale di Cristo Capo e pastore universale,
8
è quindi efficace nel trasmettere luce e forze autentiche per la promozione e
santificazione dell'uomo nella prospettiva della ricapitolazione universale sotto
l'unico Signore; ma l'identità sacramentale non significa identità sotto ogni
aspetto (24).
Oggi però si direbbe più marcata la tendenza a misconoscere e ridurre la portata
salvifica della Chiesa: talvolta si ha quasi l'impressione che si invertano le parti
tra i «germi del Verbo», i valori spirituali che devono riconoscersi anche al di
fuori dello spazio sacramentale della Chiesa, e la pienezza sostanziale della
verità, il Cristo vivo che si può ritrovare solo nella Chiesa. Essa è molto più di un
semplice strumento che ricerca ed elabora valori umani e compie un servizio di
unità verso l'umanità intera. La Chiesa, santa e santificante perché Cristo non le
lascia mai mancare la sua parola di verità e la vita nuova della Risurrezione
attraverso magistero e sacramenti, si pone già ora, nei battezzati che
corrispondono alla propria vocazione, come inizio di umanità redenta, rinnovata,
pur rimanendo, certamente, una realtà iniziale, in crescita, in stato di conversione.
Ci sembra che proprio a questo livello si debba situare l'appello di Giovanni
Paolo II al «servizio regale», «che impone a ciascuno di noi, seguendo l'esempio
di Cristo, il dovere di esigere da se stessi esattamente quello a cui siamo chiamati,
a cui - per rispondere alla vocazione - ci siamo personalmente obbligati con la
grazia di Dio» (RH, n. 21). Attraverso la fedeltà alle singole vocazioni, i vari
aspetti della trascendente dimensione di Cristo diventano già operanti, anche
storicamente, nella vita degli uomini.
La Chiesa non deve mai ripiegarsi su se stessa: ben fondata nel principio della
collegialità e della partecipazione al «triplice ufficio» . di Cristo, sa di esistere per
una missione universale, per congiungere il più possibile le vie dell'uomo alla via
maestra del suo Signore. La Chiesa, che vive della. vita del suo Redentore, del
suo mistero pasquale, quindi della sua Eucaristia (RH, n. 7), non dimentica che la
stessa Eucaristia rimane permanentemente il vertice, la meta di ogni sua attività:
«Così la Chiesa prega insieme e lavora, affinché l'intera pienezza del cosmo si
trasformi in popolo di Dio, corpo del Signore e tempio dello Spirito Santo, e in
Cristo, Capo di tutte le cose, sia reso ogni onore e gloria al Creatore e Padre
dell'Universo» (Lumen gentium, n. 17).
(1) L’enciclica porta la data del 4 marzo 1979, prima domenica di quaresima, ed è stata
presentata alla stampa il 15 marzo. Citata nel testo e note con la sigla: RH.
(2) Cfr Allocuzione del 17 ottobre 1978, in AAS LXX (1978), 919-917; Puebla, Discorso
inaugurale, in AAS LXXI (1979), 187-205j; per gli altri discorsi una utile sintesi i (1)
L'enciclica porta la data del 4 marzo 1979, prima domenica di Quaresima, ed n M. SERRA, Il
«progetto-uomo, oggi,» nel pensiero di Giovanni Paolo Il, in Teologia e progetto uomo in
Italia. Atti dell'VIII Cong. naz. ATI, Assisi, Cittadella, 1980, 253- 267.
(3) La seconda enciclica: Dives in misericordia costituisce un ampio sviluppo di alcuni temi
già presenti nella Redemptor homiins, specialmente quello dell'amore misericordioso del Padre
svelato nel Cristo: solamente accogliendo tale amore benigno, convertendosi ad esso, usando
misericordia, l'uomo può ritrovare se stesso, esercitare la giustizia.
(4) Gli studi finora comparsi sulla Redemptor hominis sono rappresentati, sia da ampi
commentari, sia da sviluppi analitici di qualcuno dei molti temi che entrano nell'enciclica: cfr
J.- J. De SANT()- TOMAS, Bulletins, L' Encyclique «Redemptor hominis», in Revue Tomiste
LXXX (1980), 498-505.
(5) Cfr, per esempio, Allocuzione del 17 ottobre 1978, cit., 921 s.; RH, n.5.
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(6) Costituzione dogmatica Lumen gentium, nn. 22-27 e la Nota explicativa praevia;
ritroviamo la stessa dottrina sul collegio episcopale nell'orizzonte di altri documenti del
Vaticano II, come i decreti Christus Dominus, nn. 4-7; Presbyterorum ordinis, nn. 1-2.
(7) Costituzione dogmatica Lumen gentium, nn. 10-11; 25-27; 34-36; Decreto Apostolicam
actuositatem, nn. 7-14. Cfr gli studi di E. J. DE SMEDT, Il sacerdozio dei fedeli, in La Chiesa
del Vaticano II, a cura di G. BARAUNA, Firenze, Vallecchi, 1965, 453-464, e di B. VAN
LEEUWEN, La partecipazione comune del popolo di Dio all'ufficio profetico di Cristo, ivi,
464-490.
(8) L'espressione cum Petro et sub Petro per specificare la natura del collegio dei vescovi si
trova nel Vaticano II, nel decreto sulle missioni Ad gentes, n. 38, ed è usata volentieri dal Papa,
sin dalla sua prima allocuzione già citata.
(9) Cfr PAOLO VI, Esortazione apostolica Evangelii nuntiandi, nn. 18, 19, 47.
(10) Oltre ai documenti del Vaticano Il prima citati a riguardo della partecipazione al
«triplice ufficio» di Cristo, vedi PAOIO VI, Esort. apost. Evangelii nuntiandi, nn. 67-72, ed il
documento della CEI, Seminari e vocazioni sacerdotali, nn. 17- 32.
(11) Costituzione dogmatica Lumen gentium, nn. 1,8. Cfr P. SMULDERS, La Chiesa
sacramento della salvezza, in La Chiesa del Vaticano II, cit., 363-386.
(12) Specialmente gli inni cristologici di Paolo e Giovanni condensano in modo esplicito
l'insegnamento del Nuovo Testamento sulla partecipazione di Cristo alla creazione: Col I, 1520; Ef prologo; Ebr prologo; Gv prologo.
(13) Costituzione pastorale Gaudium et spes, n. 22, cit. in RH, n. 8: l'amore del Padre che
Cristo rivela è l'oggetto del n. 9 della RH e dell'intera enciclica Dives in misericordia.
(14) Un evidente segno di tale inquietudine poteva già indicarsi qualche anno fa nel
Congresso mondiale su L'avvenire della Chiesa organizzato dalla rivista Concilium, tenutosi a
Bruxelles, 12-17 settembre 1970; nell'orizzonte di questi problemi si possono situare anche le
teologie della liberazione.
(15) Cfr Puebla, Discorso inaugurale, cit., n. 6; Costituzione dogmatica Lumen gentium, n.
7; RH, n. 7 e le citazioni dalla Sacra Scrittura della nota 33, RH, n. 21; PIO XlI, Lett. encicl.
Mystici Corporis, in AAS XXXV (1943),193-248.
(16) Col I, 20; Ef I, 22-23. Cfr S. DIANICH, voce Ecclesiologia, in Dizionario Teologico
Interdisciplinare, Torino, Marietti, 1977, vol. II, 17-31, in modo particolare le acute
osservazioni di p. 19.
(17) Costituzione pastorale Gaudium et spes, n. 22 e n. 10; riguardo alla necessità della
Chiesa cattolica per la salvezza cfr la costituzione dogmatica Lumen gentium, n. 14.
(18) RH, n. 12. I1 tema della conversione-penitenza è più sviluppato nel n. 20, ove si legge,
a proposito della Paenitemini di Paolo VI: «Uno dei compiti della Chiesa è di mettere in
pratica l'insegnamento in essa contenuto; si tratta di argomento che dovrà essere di certo da noi
approfondito ancora nella riflessione comune, e fatto oggetto di molte ulteriori decisioni [...] »;
la Dives in misericordia fa parte di questo progetto, vedi specialmente il n. 13.
(19) Cfr P. HEBBLETHWAITE, Pope John Paul II as philosopher and poet, in The
Heythrop Joulrnal XXI (1980), 123-136, in relazione a K. WOJTYLA, The Acting Person,
Analecta Husserliana I X, Dordrecht, 1979; G. KALINOWSKI, K. Wojtyla face a Max Sheler
au l'origine de «Osoba i czyn», in Revue Thomiste LXXX (198o), 456-465; F. BEDNARSKI,
Les implications axiologiques et normatives de l'analyse de l'expérience morale d'après le
card. K. Wojtyla, in Angelicum 57(1979), 245-272; E. KACZYNSKI, Il «momento della
verità» nella riflessione di K. Wojtyla, ivi, 273-296; H. NOWACKI, La teologia nella Chiesa
postconciliare, ivi, 387-408.
(20) Cfr I. SANNA, voce Incarnazione, in Dizionario Teologico Interdisciplinare, cit., vol.
II, 279-299, specie p. 185: «esperienza pasquale, luogo ermeneutico fondamentale per capire il
mistero dell'Incarnazione»; Id., voce Redenzione, I, Il gesto pasquale del Redentore, ivi, vol.
III,21-32.
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(21) È molto significativo che tutte le parti della RH (nn. 6, 12, 17, 21) contengono nella
loro conclusione un richiamo al retto esercizio della libertà, secondo i principi della morale; la
libertà religiosa (RH, nn, 12.e 17) costituisce la salvaguardia di ogni autentica libertà.
(22) Concilium Chalcedonense, DENZ-SCHÖN. 300-302 COMISSIONE TEOLOGICA
INTERNAZIONALE, Alcune questioni riguardanti la cristologia, in Civ. Catt. 1980 IV 259278. Anche tutto il caso di H. Küng mostra evidentemente i rapporti tra Cristo, Chiesa e
antropologia. Giovanni Paolo II ha più volte ricordato nei suoi discorsi l'importanza della verità
su Cristo in rapporto alla Chiesa e all'uomo; qualche esempio, oltre quelli già menzionati:
Allocuzione ai vescovi del Brasile, in AAS LXXII (1980), 954; Allocuzione ai vescovi francesi,
ivi, 727.
(23) Allocuzione alla CEl, in AAS LXXII (198q), 414; Allocuzione ai vescovi del Brasile,
ivi, 957.
(24) Cfr Y. CONGAR, Un popolo messianico, Brescia, Queriniana, 1976, 29-42; 137-145; 161169. J. RATZINGER, 11 nuovo popolo di Dio, cit., 320-325.
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