Discussione sulle forze come interazioni. Tommaso Chiarusi, 22/10/2007 1. Definizione di Forza Nel programma di III sono state introdotte le forze in vari modi: 1. la forza è quell’entità che deforma le molle. 2. un corpo permane nel suo stato quiete o moto rettilineo uniforme a patto che nessuna forza risulti applicata su di esso. 3. se si verifica una variazione della velocità v di un corpo di massa m, allora siamo in presenza dell’azione di una forza 4. la forza F applicata al corpo di massa m è direttamente proporzionale all’accelerazione a acquisita dal corpo stesso. In realtà potremmo trovare molte altre definizioni del concetto di forza, ma come già avviene per queste quattro sopra elencate, otterremo l’effetto di dire sempre la stessa cosa in modo leggermente diverso. Infatti, già per le quattro definizioni elencate, si può osservare che una implica tutte le altre (ma questo è ovvio, visto che tutte e quattro le definizioni si riferiscono allo stesso concetto di forza); vediamo come: La definizione 1. prevede una variazione della “forma” di una molla, ad esempio l’allungamento di questa. Pensate: senza che nessuno tocchi molla, essa rimane della stessa lunghezza. Consideriamo quindi una molla fissata per un estremo ad un chiodo e osserviamo l’altro suo estremo libero. Senza che niente accada, senza che nessuno faccia nulla, l’estremo libero della molla non si muoverà di un millimetro rispetto al chiodo ( attenzione: il chiodo rappresenterà il nostro punto di osservazione della molla, sarà cioè il fulcro del nostro sistema di riferimento). Chiamiamo l’estremo libero della molla Punto E (E come estremo). Nelle condizioni di nessuna azione sul punto E, questo starà dunque fermo rispetto al chiodo, ovvero avrà, rispetto al nostro sistema di riferimento una velocità nulla, ovvero v = 01. Appena cominciamo ad applicare una forza F alla molla, ovvero cominciamo a tirarla con una mano per il suo estremo libero, il punto E comincerà a muoversi, ovvero acquisirà una velocità v diversa da zero. Supponiamo che il punto E si porti a |v| = 1 m/s dopo un certo intervallo di tempo t, supponiamo pari ad 1 s. A questo punto della nostra discussione, in base al verificarsi della definizione 1., vediamo se le altre definizioni sono contemporaneamente soddisfatte. E’ immediato accorgersi che la definizione 2. (che altro non è che l’enunciato del primo principio della dinamica) è verificata: infatti il punto E non avrebbe mai lasciato il suo stato di quiete (v=0) rispetto al chiodo senza il sopraggiungere di una forza. Ovviamente, l’applicazione della forza sul punto E lo fa spostare, e quindi, dovendo muoversi, esso cambia velocità rispetto al chiodo: passa, in base ai dati forniti, da |v| = 0 m/s a |v| = 1 m/s. Questa osservazione giustifica la definizione 3. Osserviamo a questo punto che la definizione di accelerazione a media si basa proprio sulla variazione della velocità: a = v /t. Il nostro caso particolare ci permette di calcolare un’accelerazione pari a |a | = 1 m/s2. E’ compito della sperimentazione in laboratorio verificare la definizione 4 (che altro non è che l’enunciato del secondo principio della dinamica). Ovvero occorre verificare che, come la molla si allunga di 1 m quando il punto E risente di un’accelerazione |a | = 1 m/s2 per un tempo di 1 s (ovvero E passa da |v| = 0 m/s a |v| = 1 m/s in 1 Indichiamo con u il generico vettore il cui modulo vale |u |. Nel caso di vettore nullo (identicamente in modulo, direzione e verso) scriveremo u = 0. 1s), allora la molla si allunga di 2 m allorché il punto E risenta di un’accelerazione |a|=2 m/s2 sempre nel tempo di 1 s (ovvero il punto E passa da |v|=0 m/s a |v|=2 m/s sempre nel tempo di 1s). 2. Forza come Interazione e Sistema di Riferimento Inerziale Contraddicendo la nostra iniziale intenzione di non trovare altre definizioni di forza, oltre le 4 sopra elencate, vogliamo aggiungerne un’ultima, la più importante per la discussione che stiamo affrontando: 5. Siamo in presenza di una forza quando avviene un’interazione tra almeno 2 corpi (attori dell’interazione). Anche la quinta definizione viene soddisfatta dall’allungamento di una molla, identificando i due corpi che stanno interagendo tra loro nella molla attaccata al chiodo e nella mano che tira la molla stessa. Senza la molla attaccata al chiodo o senza la mano che tira la molla non ci sarebbe nessun allungamento della molla. Quanto abbiamo appena scritto è un modo abbastanza evidente per descrivere il terzo principio della dinamica: la forza che la mano applica alla molla appesa al chiodo (mano = attore che causa la forza; molla appesa al chiodo= attore che subisce la forza) è accompagnata da una forza uguale e contraria che la molla esercita sulla mano. Si noti bene che le forze di azione e reazione previste dal terzo principio della dinamica sono da considerarsi applicate a corpi diversi, ovvero a quegli attori in gioco che stanno interagendo tra loro. Le forze di azione e reazione fanno entrambe parte della stessa interazione: non ci sarebbe una senza l’altra, ed entrambe non ci sarebbero senza gli attori che stanno interagendo. Alla fine di questa discussione possiamo tirare un po’ di somme sulla definizione delle forze: per chiarire in modo completo e non ambiguo cosa sia una forza occorre necessariamente considerare tutti e tre i principi della dinamica. Il terzo principio, cioè considerare le forze come interazioni tra corpi, mette in evidenza un altro concetto assolutamente importante: quando siamo in presenza di una forza reale, devono essere presenti SEMPRE entrambi gli attori dell’interazione. In altre parole: per non essere classificata come apparente, una forza deve presentare sempre chi ne sia la causa, oltre a rendere manifesto chi la stia subendo. Pensiamo al caso di quando giriamo su una giostra (e consideriamo il nostro sistema di riferimento/punto di osservazione in modo che sia rotante lui stesso, solidale con la giostra): se teniamo una pallina stretta in mano questa girerà con noi (ovvero, rispetto a noi, e al sistema di riferimento, sarà ferma). Appena apriamo la mano, la pallina scapperà via in direzione centrifuga (ovvero, via da noi in direzione opposta al centro attorno cui noi giriamo). Da ferma che era (sempre rispetto a noi), la pallina dunque si muoverà lontano da noi, ovvero cambierà il suo stato cinematico, ovvero varierà la sua velocità: questo è segno che la pallina ha risentito di un’accelerazione. Per la definizione 4. è possibile dire che siamo in presenza di una forza. Ma chi applica questa forza? La risposta a questa domanda è : nessuno. Rivediamo quanto abbiamo detto alla luce della definizione n.5: ci accorgiamo subito che dei 2 attori necessari al verificarsi di una forza, nell’esempio della giostra ce n’è soltanto uno: la pallina, che tra l’altro è l’attore che subisce l’interazione. Manca proprio l’attore che esercita la forza. E’ per questo motivo che una forza di questo tipo si dice apparente. La sua caratteristica di apparenza è dovuta al fatto che il punto di osservazione del problema, ovvero il sistema di riferimento in cui si sta studiando il moto, non è un sistema di riferimento inerziale. Ovvero, un riferimento che gira insieme ad una giostra non è un sistema di riferimento inerziale. A questo punto della nostra discussione conviene dare una definizione di sistema di riferimento inerziale: Dicesi sistema di riferimento inerziale quel sistema di riferimento in cui tutte le forze che si verificano hanno sempre palese chi sia l’attore che le compie. Insomma, il sistema di riferimento inerziale è quel sistema in cui il concetto di forza è perfettamente sinonimo del concetto di interazione: ovvero quando si conoscono senza dubbi chi sono gli interlocutori che si parlano attraverso la forza. 3. Interazione come colloquio tra 2 attori grazie al lavoro dell’intermediario Quando due persone interagiscono, ovviamente comunicano in qualche modo tale da modificare il loro reciproco stato. Si può dire che tra loro agisce quindi una forza di persuasione. Mi rendo conto che l’esempio è un po’ naive, ma torniamo alla Fisica! Le forze che si studiano vanno comunque intese in quest’ottica: quando queste si manifestano tra i due attori dell’interazione, questi necessariamente modificano il proprio stato cinematico. Facciamoci adesso la seguente domanda: grazie a che cosa la comunicazione tra due persone può effettivamente avvenire ? la risposta è il mezzo di comunicazione. Se si parla, il mezzo può essere il suono che si propaga da una bocca all’orecchio (magari attraverso l’aria di una stanza, il telefono, un computer). Insomma appare evidente che, perché due persone possano interagire, c’è bisogno di un intermediario che trasporti l’informazione scambiata nell’interazione da un attore all’altro. Andiamo avanti in questa discussione con un ulteriore esempio in cui si introduce ancora il concetto di intermediario dell’interazione, detto anche mediatore. Consideriamo l’interazione che c’è tra due tennisti. La racchetta del tennista A comunica con quella del tennista B tramite la pallina da tennis. In sostanza la pallina da tennis funge da mediatore tra le due racchette. Facciamo subito un’altra considerazione: è ovvio a tutti che se tra due attori interagenti viene scambiata una pallina da tennis, l’interazione in questione è il gioco del tennis. Se viene scambiata una palla da basket, l’interazione è la pallacanestro, e così via. E’ proprio il tipo di mediatore di un’interazione che svela la natura della stessa interazione. In sostanza, dimmi che mediatore sei e ti dirò che di che interazione si tratta. A questo punto, il lettore potrebbe porsi alcune domande, dopo tutte queste parole spese in favore del mediatore: quali interazioni, e quindi quali forze, tra quelle studiate finora hanno bisogno di un mediatore per verificarsi? Senza perdere altro tempo si può affermare con tranquillità che tutte le forze in natura funzionano grazie alla presenza di un proprio specifico mediatore. Questo vuol dire, ad esempio, che la forza di gravità , ovvero l’attrazione tra due masse, funziona perché tra queste due masse c’è uno scambio di uno specifico mediatore (vedremo più avanti come si chiama) che dice all’una e all’altra massa che devono attrarsi l’una verso l’altra con una certa intensità. Questa affermazione può sorprendere un po’, anche considerando che il concetto di mediatore, pensateci bene, implica la richiesta di un tempo di interazione: il verificarsi di un’interazione richiede quel tempo necessario perché il mediatore se ne vada da un’attore all’altro. Eppure, quando con una mano si spinge un libro che giace su un tavolo questo sembra spostarsi immediatamente, al tocco del libro. Sembra… in realtà il libro non si sposta subito: occorre che accadano un po’ di cose prima che si sposti. Il fatto è che queste cose accadono così rapidamente che a noi esseri umani sembra che non passi neanche un attimo tra quando spingiamo il libro e quando questo si sposta. Quando il libro viene spinto da una mano succede che gli elettroni e i nuclei degli atomi della mano interagiscono con le rispettive controparti degli atomi del libro. Come nel caso della forza di gravità, l’interazione tra elettroni e nuclei avviene tramite lo scambio di un mediatore opportuno, tipico della forza elettromagnetica. Occorre approfondire un po’ quanto detto finora. 4. Le interazioni elettromagnetica e gravitazionale ed i rispettivi mediatori A questo punto abbiamo citato esplicitamente due interazioni ben precise: la forza di elettromagnetica e la forza di gravità. Cominciamo allora a conoscere i mediatori di queste due forze. La forza elettromagnetica, che agisce tra corpi che possiedono la carica elettrica, ha come mediatore una particella di massa nulla, neutra, chiamata fotone. L’idea che si deve avere, quindi, è che appena due corpi carichi si confrontano, questi cominciano a scambiarsi fotoni il cui compito è comunicare ai suddetti corpi cosa devono fare: se sono di carica uguale dovranno respingersi, altrimenti attrarsi. E’ doveroso avvertire che questa interpretazione della forza elettromagnetica mediata da fotoni, come del resto di tutte le altre interazioni e dei relativi mediatori, fa parte della schematizzazione dei fenomeni fisici tipica della Meccanica Quantistica. L’idea di quanto nel nome della Meccanica Quantistica, ovvero l’un po’, l’un tot, o anche il pacchetto di qualcosa, si traduce proprio anche nel dare un’identità precisa al tramite per cui avvengono le interazioni, ovvero al mediatore, cui si dà un nome proprio, ed un’attitudine specifica a seconda del tipo di interazione. La Scienza non può accontentarsi di dire che due corpi carichi si influenzano l’un l’altro, come sono soliti affermare gli astrologi quando parlano delle influenze delle stelle sulle scelte ed i comportamenti delle persone. La domanda che si dovrebbe fare subito agli astrologi è che ci spieghino in che modo le stelle, distanti anni luce da noi, ci possano raggiungere e influenzare. Qual è il mezzo che permette quest’influenza? E come si misura2! Influenza! Un po’ polemicamente, quando si parla così superficialmente di influenza, viene in mente che per ammalarci d’influenza, il mezzo c’è e si chiama virus. Ma non divaghiamo. Due corpi aventi massa sono soggetti alla forza di gravità. Il mediatore di questa interazione si chiama gravitone, e anch’esso non ha né carica elettrica né massa. 2 Nonostante i cartomanti parlino spesso di energia, essi non danno mai un valore espresso in Joule! Forse allora usano il termine energia in modo improprio. Il mediatore è sicuramente magico, e l’unità di misura dovrebbe essere il Potter. Il fatto di avere massa nulla permette al fotone e al gravitone di propagarsi alla massima velocità consentita in Natura, ovvero alla velocità della luce nel vuoto (circa 3x108 m/s). Per il fotone questo è scontato: il fotone non è altro che luce!!!! Sta di fatto quindi che le interazioni elettromagnetiche e gravitazionali avvengono secondo tempi che sono quelli che impiegano i fotoni o i gravitoni per passare da un’attore dell’interazione all’altro. Ritorniamo per un momento alla mano che spingeva il libro: gli elettroni e i nuclei della mano e del libro si trovano a distanze così ravvicinate che quando interagiscono tra sé i fotoni impiegano un’inezia di tempo per permettere la comunicazione elettromagnetica. Ecco perché il libro sembra spostarsi all’istante! Provate a calcolare il tempo che occorre alla luce a fare 10 -10 m, ovvero la distanza media tra due atomi. Volendo ancora paragonare l’interazione con la comunicazione, si pensi ad un tipo particolare di interazione come ad un linguaggio specifico. Il linguaggio dell’interazione elettromagnetica è parlato da coloro che possiedono carica elettrica. Il linguaggio dell’interazione gravitazionale è parlato da coloro che hanno massa (talvolta la massa è chiamata anche carica gravitazionale !!). Un elettrone ha sia una massa, pari a me=9x10-31 kg, che una carica elettrica, pari a Qe= -1.67x10-19 C. L’elettrone è quindi poliglotta: in presenza di un altro elettrone (stessa carica e massa), ad esempio, questi interagiscono contemporaneamente respingendosi per mezzo della forza elettromagnetica e attraendosi tramite quella gravitazionale. Quindi i due elettroni sono soggette a forze opposte. Cosa succederà quindi a questi due elettroni? Si respingeranno (ovvero la forza elettromagnetica supera in intensità quella gravitazionale)? si attrarranno (cioè la forza di gravità prevale su quella elettromagnetica)? Rimarranno in equilibrio (ovvero le due forze si bilanciano)? Otteniamo la risposta confrontando i moduli delle forze in questione: Modulo della forza elettromagnetica: Modulo della forza gravitazionale: Fem = k Q1 Q2 / d2 Fgrav = G m1 m2 / d2 (k = 8.99 109 N m2/C2); (G = 6.67 10-11 N m2/kg2); Si calcola che Fem / Fgrav = 6 x 1042 !!!!! Ovvero, tra i due elettroni, la forza elettromagnetica supera di ben 42 ordini di grandezza la forza gravitazionale. Potete verificare che se invece di affacciare due elettroni mettete a confronto un elettrone ed un protone (mp=1.7x10-27 kg, e carica opposta di un elettrone, ovvero Qp=1.67x10-19 C), la forza elettromagnetica vince più o meno allo stesso modo sulla forza gravitazionale (anche se questa volta entrambe le forze sono attrattive!). In sostanza, quando si parla di atomi, e delle interazioni elettromagnetiche tra gli elettroni ed il nucleo, possiamo tranquillamente dimenticarci della forza di gravità. Facciamo quest’ultima osservazione: noi tutti siamo fatti di protoni ed elettroni. La forza di Coulomb è tale da agire anche a grandi distanze (nonostante diminuisca la sua intensità in ragione dell’inverso del quadrato della distanza). Perché allora, generalmente tra esseri umani non risentiamo di forze attrattive o repulsive di tipo elettromagnetico? La risposta sta nel fatto che dal nostro punto di vista macroscopico, ovvero a distanze molto maggiori delle dimensioni di un singolo atomo (che valgono all’incirca 10-10m ) la materia è neutra. In definitiva, le interazioni elettromagnetiche risultanti tra gli atomi del corpo di una persona e quelli di un’altra sono generalmente nulle. Pensiamo ad un atomo, con gli elettroni che orbitano3 attorno al nucleo. Gli elettroni sono legati al nucleo mediante forze attrattive di tipo elettromagnetico. La stabilità stessa di un atomo è vincolata alla composizione del nucleo e del numero dei propri elettroni. Nei corpi sia solidi che fluidi reali, poi, gli atomi sono ulteriormente legati tra loro ancora tramite l’interazione elettromagnetica, che sfrutta eventuali asimmetrie tra la distribuzione degli elettroni rispetto alla posizione del nuclei (si veda ad esempio il moto browniano tra le molecole di acqua o la struttura dei reticoli cristallini nei metalli); in sostanza, il modo in cui si organizzano gli atomi tra loro è garanzia della stabilità e coesione di un corpo. Quando due corpi separati si toccano, a livello microscopico essi contrappongono i legami elettromagnetici di un corpo contro quelli dell’altro. Il libro viene spinto dalla mano perché la mano non riesce a penetrare dentro il libro grazie al fatto che la nuvola degli elettroni che circondano i nuclei degli atomi del libro respingono la nuvola di elettroni degli atomi della mano… È intuitivo che, se si applica una spinta molto molto forte di un corpo contro l’altro, può succedere che alcuni legami elettromagnetici si rompano, permettendo la compenetrazione tra solidi (ad esempio, la mano si rompe a forza di sbatterla forte contro il libro!). A questo punto abbiamo capito che due corpi macroscopici come due esseri umani, messi uno di fronte all’altro, non si attirano tramite la forza elettromagnetica. Essi sono elettricamente neutri. Di contro essi hanno massa (sono cioè gravitazionalmente carichi), quindi sicuramente risentono di una reciproca attrazione gravitazionale. Pensiamo allora ad un caso reale: due persone in piedi sul pavimento di una stanza in un palazzo sul pianeta Terra, uno di fronte all’altro, inizialmente fermi. Cosa pensate che succederà? È sensato aspettarsi che nessuno di entrambi risentirà sensibilmente della reciproca interazione gravitazionale! No, se essi cadranno uno tra le braccia dell’altro, non sarà per merito della forza di gravità che ciascuno esercita sull’altro! Infatti, nonostante un’effettiva forza di gravità che tenderebbe a farli muovere uno verso l’altro, essi sono frenati dall’attrito delle scarpe sul pavimento. Il fatto di avere massa fa sì che ciascuno di essi, indipendentemente l’uno dall’altro, venga attratto contemporaneamente anche dal Pianeta Terra. Questo implica che gli elettroni delle loro scarpe vengano schiacciati contro il pavimento (con una forza molto maggiore di quella che i due si esercitano reciprocamente, visto che la massa del Pianeta è di gran lunga maggiore delle masse dei due esseri umani!). Microscopicamente, il pavimento non è una superficie così liscia come sembra dal nostro punto di vista macroscopico. Esso presenta frastagliature e disomogeneità che ricordano la costa della Scandinavia. Similmente per le suole delle nostre scarpe. Lo schiacciamento delle suole contro il pavimento fa attanagliare gli atomi delle scarpe contro le asperità del pavimento, che tendono a legarsi assieme: infatti un po’ di elettroni delle scarpe si legano ai nuclei del pavimento, e viceversa. Anzi: tanto più i due pesano, tanto più le suole vengono schiacciate contro il pavimento, e tanto maggiore è l’attrito. Tanto più vale quest’attrito e tanto più difficilmente la reciproca e debole attrazione di gravità riuscirà a spostare i due esseri umani attraverso la stanza (come invece riusciva a fare il mitico raggio traente di dell’Incrociatore Stellare di Darth Vader a scapito del Millennium Falcon in Star Wars!). È importante osservare che proprio la forza di attrito, tra le più comuni forze con cui si ha a che fare tutti i giorni (serve per camminare, per prendere gli oggetti ecc.) viene ricondotta alla mera interazione elettromagnetica tra corpi. Come lei, tantissime altre forze hanno origine nell’interazione elettromagnetica: la forza elastica di una molla, la forza di contrazione/distensione muscolare, la forza traente di uno ski-lift ecc. Si conclude che per quanto riguarda la vita di tutti i giorni, la forza elettromagnetica è all’origine di tutte le forze con cui abbiamo a che fare, eccetto la forza di gravità. 3 Manteniamo il termine orbitano, anche se avremmo dovuto coniare il neologismo orbitaleggiano, visto che la Meccanica Quantistica ci insegna che il luogo geometrico preposto a contenere gli elettroni attorno al nucleo, l’orbitale, non è definibile se non in senso probabilistico. Oltretutto esso è una superficie di posizioni probabili che avvolge il nucleo avente varie forme (sferica, a goccia ecc.), mentre l’orbita kepleriana è una ben precisa linea chiusa, l’ellisse. 5. Digressione Storica, gli sconvolgimenti dei primi 50 anni del 1900 In Natura, le interazioni sono solo quattro. Le prime due, la forza gravitazionale e quella elettromagnetica, sono state discusse nel paragrafo precedente. Per molto tempo, fino ai primi anni del secolo scorso, esse sono state le uniche due interazioni con cui l’uomo si potesse confrontare: la forza peso per sollevare pietre per costruire le Piramidi, l’elettromagnetismo per accendere il fuoco, entrambe per costruire ferrovie, ponti, ecc… La tecnologia e la conoscenza scientifica nei secoli si sono rincorse in un gioco di spinte reciproche. Ed è solamente nei primi anni del secolo scorso che si è potuto capire come fosse fatto un atomo ( la misura della carica elettrica dell’elettrone è del 1911, ad opera del Fisico H. Millikan). Il Neutrone venne scoperto negli anni ’30. Risalgono ai primi decenni del 1900 i primi passi nel campo della radioattivià, e in tutte quelle esperienze che portarono a rompere non solo l’atomo, ma anche i suoi costituenti, come i protoni e i neutroni. Proprio durante il primo lustro del 1900, Hess condusse esperimenti su mongolfiera per lo studio della carica elettrostatica e la sua eventuale dipendenza dall’altitudine. Tali studi portarono alla scoperta involontaria dei Raggi Cosmici4. L’inizio del secolo scorso fu dunque ricco di nuove scoperte che riguardavano il campo della Fisica. Ma le scoperte non furono solamente sperimentali. Vennero sviluppati nuovi modelli teorici per la descrizione della realtà. Basti pensare all’anno 1905, quando Einstein scrisse ben 4 articoli tutti d’inportanza fondamentale per la Fisica moderna, ognuno dei quali gli avrebbe potuto valere un premio Nobel. Sorprende la varietà degli campi in cui Einstein contribuì in modo innovativo e dirompente. Gli articoli concernevano: 1) la prima enunciazione della Relatività Ristretta, dove postula la costanza della velocità della luce in ciascun sistema di riferimento, e che rivoluzione il concetto di simultaneità nello spazio-tempo; 2) la formalizzazione della luce come particelle, ratificando la Meccanica Quantistica per spiegare l’effetto Fotoelettrico ( cioè il fenomeno di estrazione degli elettroni dai corpi conduttori quando questi vengono illuminati da una radiazione molto intensa e di una data lunghezza d’onda – questo lavoro gli valse il premio Nobel nel 1921); 3) l’interpretazione del moto Browniano, imputando alle interazioni tra molecole il movimento casuale di piccoli oggetti; 4) la deduzione della famosa fomula E = m c2 , come diretta conseguenza dei postulati della Relatività Ristretta, osservando che essa indica che è possibile trasformare la materia in grandi quantità di energia e viceversa. Inoltre va menzionato il fatto che nel 1915 Einstein modificò la sua teoria della Relatività allargando il suo potere descrittivo agli effetti della gravitazione, teoria della Relatività Generale (grazie alla fondamentale collaborazione con matematici del calibro Grossmann e Levi-Civita che gli aprirono la strada al calcolo tensoriale5, e alle visioni non euclidee della geometria sviluppate nel secolo XIX da Rienmann 6 ). L’innovazione delle nuove teorie portò all’attenzione degli studiosi 4 I Raggi Cosmici non sono che altre particelle, simili all’elettrone, come il muone o simili al protone, come il pione, che si formano negli alti strati dell’atmosfera terrestre che fa da bersaglio a protoni, nuclei o fotoni che giungono sulla Terra dallo Spazio. 5 i tensori sono una specie di mix tra vettori e matrici, ovvero sono multi-componenti in multi-dimensioni [nota: il vettore ha una sola componente per ciascuna dimensione]. 6 La geomtria euclidea, ovvero l’unica che si studia a scuola, prevede che lo spazio sia piatto, ovvero che una linea retta non siano curva e che non abbia mai fine né inizio. In uno spazio curvo invece una retta è curva ed può avere un inizio ed una fine (si pensi ai meridiani sulla superficie di un mappamondo). fenomeni che non avvengono normalmente nella vita quotidiana di tutti i giorni. Si parla di fenomeni che avvengono a velocità vicino a quella della luce, che adesso è nota come velocità massima, limite per tutte le velocità. Oppure si parla di fenomeni che avvengono su scale delle dimensioni ben più piccole di un atomo, confrontabili con le dimensioni del nucleo (10-15m), se non inferiori. Scienza e Tecnica per andare a braccetto dunque si avvicendarono in una gara di rinnovamento sempre più spinto. Si doveva poter misurare l’estremamente veloce e l’estremamente piccolo. Quello che successe fu che i nuovi esperimenti sembrarono contraddire la realtà comune. Sembrò che le leggi della Fisica, quelle dettate da Newton e Galileo che per quasi 300 anni erano rimaste incontradette, dovessero essere buttate tutte. Eccellenti scienziati come Hisemberg, Plank, Rutherford, Bohr, Pauli, Curie ecc. accettarono la sfida lanciata dalle nuove incognite del sapere per creare nuove teorie e nuovi esperimenti per verificarle. Di pari passo alla Relatività, che si specializzò nello studio del Cosmo, ovvero dell’infinitamente grande, naque la Meccanica Quantistica per lo studio delle particelle, cioè dell’infinitamente piccolo. Negli anni successivi al 1950, Relatività e Meccanica Quantistica si fusero grazie a P.A.M. Dirac nella Quanto-Elettro dinamica, disciplina utilissima per studiare il comportamento di particelle come gli elettroni o i protoni che interagiscono tra loro ad altissime energie, cercando di capire i processi di formazione della materia che la Cosmologia moderna implica nei pochi secondi dopo lo scoppio del BigBang. 6. L’ interazione debole i bosoni mediatori E’ proprio seguendo questa catena di nuove deduzioni ed intuizioni, di nuove misure sperimentali e di teorie che vennero scoperti altri due nuovi modi di interazione per la materia. Due nuove forze differenti da quella di gravità e dall’elettromagnetismo. La prima di cui parleremo, la forza debole, è ancora un’ulteriore interazione che gli elettroni possono utilizzare. Utilizzo qui l’accezione possono e non sanno, perché mi preme sottolineare che per due elettroni non è così scontato parlare il linguaggio dell’interazione debole al contrario di quanto succede per l’elettromagnetismo o la gravità. L’interazione debole ha luogo quando gli elettroni possono scambiarsi il mediatore debole. Differentemente dalle due precedenti interazioni esaminate, la forza debole ha non uno, bensì tre mediatori: W+, W- , carichi elettricamente, e Z0, neutro. Ma non sta nel numero dei mediatori la difficoltà di verificarsi per l’interazione deboli. Essa consiste nel fatto che tutti e tre i mediatori deboli, detti anche bosoni deboli7, hanno massa! E che massa: approssimativamente la massa dei W+ W- e Z0 vale circa 2 105 volte la massa dell’elettrone. Questo fatto mette delle pesanti condizioni sulla possibilità di scambiarsi questi mediatori. Pensiamo ancora una volta all’esempio dei tennisti: tutto va come se una racchetta, per interagire debolmente con l’altra, debba generare una pallina da tennis 200000 volte più massiva di sé. Ricordiamo che è proprio la massa dei mediatori a far sì che i fotoni ed i gravitoni possano essere scambiati in qualsiasi condizione siano gli elettroni. In sostanza, per poter parlare il linguaggio debole, gli elettroni devono trovare della massa in più da convertire in mediatori W+ W- e Z0. Le conoscenze della Fisica di una scuola superiore non sono generalmente sufficienti per dare una descrizione rigorosa di queste nuove interazioni, perché occorre conoscere molto bene la Meccanica Quantistica Relativistica. Essa richiede degli strumenti matematici complessi che si apprendono soltanto nei corsi Universitari. Possiamo comunque tentare una spiegazione qualitativa, approfittando proprio di quella equazione E = m c2 7 La dicitura bosoni indica che tali particelle, così come i fotoni ed i gravitoni, e come vedremo anche i mediatori dell’interazione forte, soddisfano una particolare teoria statistica sviluppata da Einstein e Bose. In sostanza tutti i mediatori delle quattro interazioni sono particelle classificate come bosoni. Grazie al fatto che, nel bene o nel male, essendo Einstein assurto a Star Scientifica Mondiale, tale equazione risulta arcinota e spregiudicatamente diffusa ( tanto da trovarsi scritta anche sui muri di un bagno di questa stessa scuola!). Essa afferma che è possibile trasformare energia E in materia di massa m (e viceversa) rispettando la relazione di diretta proporzionalità secondo la costante c2, che indica il quadrato della velocità della luce nel vuoto (c ~ 3 108 m/s). Secondo i concetti della Relatività Ristretta, soltanto per il fatto di avere massa, un corpo possiede un’energia. Ovvero, se si osserva un corpo da un sistema di riferimento in quiete con il corpo stesso, ovvero da un sistema di riferimento solidale con il corpo, misurando la massa m0 del corpo, si dice che questo possiede un’energia di riposo E0 = m0 c2 (cioè quell’energia che il corpo ha senza che questo possieda nessuna energia cinetica; pensatela tale energia come l’energia di costituzione del corpo). Quando il corpo inizia a muoversi rispetto al nostro sistema di riferimento, esso acquista energia cinetica ECin, e quindi la sua energia totale vale ET = E0 + ECin = m0 c2 + mCin c2 = (m0 + mCin) c2 = mT c2 Un’interpretazione classica di questo ragionamento ci spinge a dire che all’aumentare della velocità del corpo, e quindi della sua energia cinetica ECin, la massa totale del corpo mT aumenta (ovvero la massa del corpo, oltre alla massa di riposo m0, acquisice anche una massa cinematica mCin). Tirando le somme: per far aumentare la massa del corpo occorre dargli energia cinetica. Questo potrebbe indicare la soluzione al nostro problema: se diamo molta energia ad un elettrone, potremmo fargli aumentare la sua massa fino a permettergli di investirne una parte per interagire debolmente con un altro elettrone, utilizzando un po’ della massa acquistata a favore dei bosoni deboli. Ma quanto costa, in termini di energia, comunicare debolmente? Einstein matematica che lega la massa cinematica alla velocità del corpo trovò la relazione (m0 + mCin) = m0 / [1- v2/c2]1/2 dove v è la velocità del corpo. Pssiamo riscrivere allora ET = mT c2, ed ottenere la relazione fondamentale dell’energia: E = ( m0 c2 ) / [1- v2/c2]1/2 Facciamo allora un po’ di ragionamenti: se l’elettrone va piano ( cioè v<<c) allora il denominatore [1- v2/c2]1/2 vale circa 1 e quindi si ottiene nuovamente la relazione nel caso di riposo, ovvero: E0 = m0 c2 La Relatività comanda che non si può andare più veloci della luce, quindi la massima velocità cui il nostro elettrone può aspirare è proprio c. Se si sostituisce quindi v con c nella relazione fondamentale dell’energia, otteniamo che il denominatore [1- v2/c2]1/2 = [1- c2/c2]1/2 = [1- 1]1/2 = 0. Di conseguenza avremmo che E = 1/0 = ∞ , cioè infinito! Ovvero è necessaria una energia infinita per portare una particella con massa m0 alla velocità della luce, cioè non è possibile che un corpo avente massa viaggi alla velocità della luce. Solo i fotoni ed i gravitoni viaggiano alla velocità della luce, perché non hanno massa. Quindi i bosoni W± e Z0 vanno in genere piu’ lentamente dei fotoni e dei gravitoni. Si potrebbe essere tentati di dire allora che l’interazione debole avviene più lentamente delle altre due. Invece non scordiamo che l’interazione debole avviene solamente quando i due elettroni sono estremamente vicini tra loro. In maniera alquanto naive, si può dire che i bosoni deboli sono pesanti ed impacciati come elefanti rispetto a quanto snelli e rapidi sono i fotoni ed i gravitoni. Quindi se si devono scomodare, lo fanno solo per brevi distanze! In genere il campo di azione dell’interazione debole è limitato a molto meno di un femtometro ( << 10-15 m) che è la dimensione di un nucleo. Osserviamo poi che a queste piccolissime distanze, gran parte dell’energia cinetica che viene comunicata a due elettroni, serve per vincere la repulsione elettrica che va, lo abbiamo già detto, inversamente al quadrato della distanza tra i due elettroni. Questa tende ad aumentare paurosamente via via che gli elettroni si avvicinano. Alla fine della discussione si deve quindi ricordare che, perché due elettroni interagiscano in modo debole, occorre che abbiano una grossa spinta energetica (quindi una grossa velocità) sia per avvicinarsi che per generare i bosoni deboli. Nell’esperienza che abbiamo nella vita di tutti i giorni, come esseri umani non sperimentiamo mai casi in cui gli elettroni debbano interagire debolmente. Gli elettroni degli atomi che ci compongono, e che compongono anche la materia con cui abbiamo a che fare quitidianamente, sono ben lontani tra loro e non abbastanza veloci per produrre bosoni deboli. Dov’è che allora avvengono queste interazioni oggigiorno? O anche: dovè che sono avvenute nel passato? La risposta è nel cuore delle stelle, dove avvengono le reazioni di fusione nucleare, oppure al momento dello scoppio delle supernovae, o infine in prossimità di buchi neri. Inoltre le interazioni deboli interessarono la materia pochi istanti dopo il Big Bang, quando la materia stessa veniva generata, trasformando l’energia dell’Universo che si trovava concentrata, all’origine della grande esplosione, tutta in un punto solo, detto per questo Singolarità Cosmica. Pensate quanto sia estremamente difficile compiere misure sperimentali, in questo senso. Occorrerebbe ricreare in laboratorio delle stelle, dei buchi neri, dei piccoli Big Bang. La tecnologia attuale non ci permette tanto, ma ci spinge molto molto vicino. Gli acceleratori di particelle, come quello presso i laboratori del CERN8 di Ginevra, permettono di studiare cosa succede facendo collidere (scontrare) particelle tra loro, accelerandole ad energie molto elevate e avvicinandole a distanze estremamente ridotte. Tutto questo costa energia, ed il costo energetico si traduce in pratica in un costo economico così elevato che per poter alimentare gli apparati sperimetali, al CERN, si è costretti a utilizzare gli acceleratori soltanto d’estate! Infatti, i consumi elettrici richiesti dagli esperimenti sono tali da confrontarsi con la potenza elettrica richiesta dall’intera città di Ginevra per il riscaldamento e l’utilizzo domestico dell’elettricità. 7. L’interazione forte ed i mediatori super-attack L’ultima interazione della Natura che rimane da trattare, la forza forte, non riguarda più gli elettroni. Essi non possono parlarla. La forza forte è conosciuta da altre particelle che, come gli elettroni, sono (per le conoscenze attuali) indivisibili, cioè si dicono particelle elementari: i cosiddetti quark (pronuncia quork). I quark sono i mattoncini con cui sono fatti i protoni ed i neutroni (e tante altre particelle che qui non citeremo). La struttura composita del protone o del neutrone non è un fatto da poco. La sua scoperta è avvenuta negli anni ’60 del secolo scorso, dopo i 8 L’acronimo CERN sta per Centro Europeo per la Ricerca sul Nucleare. Il centro fu fondato nei primi anni ’50 del secolo scorso grazie alla collaborazione di scienziati europei come N. Bohr e E. Amaldi. Oltre a unire gli sforzi economici e scientifici, il CERN fu voluto anche per rilanciare la collaborazione pacifica internazionale tra Stati che fino ad allora si erano combattuti durante la Seconda Guerra Mondiale. primi esperimenti al CERN ed al FermiLab, un simile centro di ricerche costruito presso Chicago, negli Stati Uniti. Se i protoni fossero particelle indivisibili come gli elettroni, l’effetto di una collisione tra protoni sarebbe più o meno lo stesso che quello tra elettroni. Pittoricamente immaginiamoci uno scontro tra due biglie da biliardo. La sruttura composta dei protoni fu rivelata grazie ad una collisione tra un protone ed un elettrone9. Quello che venne fuori era più simile allo scontro tra la biglia bianca contro il raggruppamento iniziale di forma triangolare delle altre biglie colorate (tipico dell’inizio del gioco del biliardo denominato palla 8, o 125). Sperimentalmente fu trovato che i protoni sono composti da 3 quark, due di tipo up e uno di tipo down. La differenziazione di questi quark sta nella loro carica elettrica. L’insieme dei tre quark deve ovviamente dare la carica del protone. Il quark up porta una carica pari a 2/3 quella del protone, mentre il quark down pari a –1/3. Il neutrone è formato da due quark down ed uno up (controllate da voi se le cariche tornano, dovendo essere il netrone non carico). Uno studio approfondito dei quark non li ha mai trovati da soli. Al contrario degli elettroni, che possono starsene liberamente ed indefinitamente lontani uno dall’altro, sembra che i quark non possano stare separati da altri quark (tale comportamento si chiama ipotesi di confinamento dei quark). Questo fatto ha lasciato supporre ai fisici che tra i quark ci sia una interazione molto forte che li incolla assieme! Pensiamo poi che interazione forte è alla base della coesione dei protoni in un nucleo: in barba alla repulsione elettromagnetica che uno si aspetterebbe per il fatto che i protoni hanno la stessa carica elettrica, questi invece se ne stanno uniti, insieme entro lo stesso nucleo a distanze ravvicinatissime (minori del femtometro). Questo fatto rende la forza forte meritevole di tale nome, ed ispira il nome del proprio mediatore: gluone, dall’inglese glue, che vuol dire proprio colla! I gluoni hanno massa nulla come i fotoni, e sono neutri elettricamente. La forza forte è ancora più ricca di mediatori della forza debole: ci sono ben 8 tipi di gluoni. Immaginate ora quanto possa essere complicata una collisione tra due protoni: ognuno dei protoni è composto da 3 quark, e ognuno di questi, oltre ad interagire con i quark del proprio protone iniziano ad interagire indipendentemente con gli altri quark dell’altro protone. Nella similitudine col gioco del biliardo, due protoni che si scontrano vanno visti come due gruppi di tre biglie ciascuno che si scontrano e si mischiano tra loro, dando origine, dopo l’impatto, a nuovi raggruppamenti di biglie, ovvero si creano nuove particelle composte da quark che non necessariamente sono ancora protoni. C’e’ da aggiungere infine che i quark sono le particelle più poliglotte: esse possono parlare tutte le quattro interazioni: gravitazionale (anche se conta sempre poco), elettromagnetica, debole e forte!! Uno scontro tra protoni, con la libertà dei quark di parlare tutti i linguaggi è veramente lo scontro più complicato che ci sia!!!!!!! 9 Occhio: la collisione tra protone ed elettrone può avvenire solo tramite la forza elettromagnetica o quella debole, visto che gli elettroni non possono interagire in modo forte. Vedete come va avanti la Scienza: proprio grazie a queste due forze si iniziò a capire come fosse fatto un protone scoprendo in seguito una nuova!