Malattie allergiche

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CAPITOLO
30
Malattie allergiche
M. Duse, P. Pansa, A.G. Ugazio
Le malattie allergiche sono l’espressione di disordini immunologici caratterizzati dalla risposta IgE mediata ad antigeni
ubiquitari che rientra nella classificazione di Gell e Coombs
come reazione da ipersensibilità immediata di tipo I. Il
soggetto atopico, geneticamente predisposto e in presenza
di condizioni ambientali favorenti, produce anticorpi di
tipo IgE nei confronti di antigeni, definiti allergeni, privi
di patogenicità intrinseca, ma coinvolti nell’innesco della
reazione mediata da mastociti e basofili. La degranulazione
e la liberazione di sostanze vasoattive e infiammatorie da
parte delle cellule effettrici sono responsabili della cascata
di eventi che portanto al manifestarsi di asma, rinocongiuntivite, dermatite atopica e anafilassi di natura allergica.
La prevalenza nella popolazione generale è andata aumentando in misura statisticamente significativa: 200 anni
fa le malattie allergiche erano virtualmente sconosciute,
mentre oggi si calcola che la loro frequenza globale si
aggiri intorno al 10-15%. Il calcolo comunque è molto
grossolano, esistendo ampie variazioni di frequenza a seconda delle regioni studiate, dal 4 al 40% circa per l’asma,
dall’1,4 a oltre il 39% per la rinocongiuntivite e dallo 0,3
al 20% per la dermatite. Va sottolineato che in alcune aree
geografiche, per esempio in Africa o nella Russia dell’est, le
malattie allergiche hanno una prevalenza inferiore rispetto
ad altre aree geografiche. Più precisamente, seguono un
gradiente Nord-Sud – con massima prevalenza al Nord,
progressivamente decrescente verso il Sud – e, in Europa,
Ovest-Est. Peraltro, questo andamento correla con il livello
di sviluppo economico e con il livello igienico dei diversi
Stati, tanto che anche nei Paesi in via di sviluppo le malattie
allergiche tendono ad aumentare con l’aumento del reddito pro capite, segno indiretto del miglioramento dello stile
di vita. Anche se i fattori di predisposizione genetica sono
indubbiamente importanti, la diversa distribuzione dei casi
di allergia e il significativo aumento delle malattie allergiche nella popolazione generale non possono trovare come
unica giustificazione la genetica o le mutate e diverse condizioni ambientali, ma dipendono semmai dall’interazione
tra substrato genetico e ambiente; in questo senso gli studi
di epigenetica sono molto promettenti e forse, in un futuro
non lontano, ci daranno risposte esaurienti.
Basi genetiche
Le allergie sono espressione di un’ereditarietà poligenica,
quindi estremamente difficile da identificare; per il momento, il più rilevante fattore associato allo sviluppo di
allergia in misura statisticamente significativa rimane la
presenza, nella famiglia, di membri affetti: un bambino
senza familiarità atopica ha un rischio di sviluppare malattie allergiche all’incirca del 9-18%, mentre il rischio
aumenta al 50% se un genitore è allergico e al 70-80%
se lo sono entrambi i genitori.
Tra i geni implicati o studiati nell’atopia grande rilievo
viene dato a quelli che condizionano la tendenza a produrre IgE, base fisiopatologica della condizione atopica, e a
quelli che regolano l’infiammazione. La regolazione della
produzione di IgE è certamente fondamentale, tanto è vero
che vi è una differenza significativa nella produzione di IgE
tra soggetti atopici e individui normali: i primi producono
grandi quantità di IgE in risposta ad antigeni ubiquitari
(allergeni), mentre gli individui non allergici rispondono
con la produzione di anticorpi appartenenti ad altri isotipi
di immunoglobuline.
Differenti regioni cromosomiche sono state identificate e
sono in studio; le più note sono le regioni 5q31-33 e 11q13.
Il gruppo di geni identificati sul cromosoma 5q31-33
codifica per numerose citochine di profilo Th2: IL-3,
IL-4, IL-5, IL-9, IL-13 sono ben note, altre sono in studio.
L’altro locus genico molto studiato si trova sul cromosoma
11, in sede 11q13, ed è collegato al gene che codifica per
le catene ␤ del recettore ad alta affinità per le IgE: ne è
stata identificata una variante, che induce un aumento di
eccitabilità dei mastociti con conseguente incremento della
produzione di IgE. Per questi geni il legame con l’atopia
compete soprattutto agli alleli presenti sul cromosoma
11 materno e questo potrebbe spiegare perché i bambini
con madre atopica abbiano più probabilità di sviluppare
malattie allergiche rispetto a quelli con padre allergico.
Un’altra associazione con alti livelli di IgE totali e specifiche per determinati allergeni è stata dimostrata con i geni
che codificano per la catena ␣ (forse anche per la catena ␦)
del TCR (T Cell Receptor) sul cromosoma 14q.
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È invece assodato che la costituzione atopica si lega in
modo altamente suggestivo a determinati aplotipi HLA:
tra questi merita menzione soprattutto HLA-DR2/Dw2,
trovato in oltre il 95% dei soggetti con alti livelli di IgE
specifiche nei confronti di un determinante antigenico
dell’ambrosia.
Pertanto, geni HLA di classe II localizzati sul cromosoma 6p21-3, in qualche modo partecipano alla – o influenzano la – regolazione della produzione di IgE specifiche,
per lo meno nei soggetti monosensibilizzati.
Produzione di IgE
Le IgE sono prodotte dai linfociti B sotto lo stretto controllo dei linfociti T; si comportano come immunoglobuline citofile, in grado cioè di legarsi ai mastociti e ai
basofili, cellule che esprimono recettori ad alta affinità
per le IgE. I linfociti B con IgE di membrana vengono
attivati e si differenziano in plasmacellule secernenti IgE.
La loro attivazione è sotto lo stretto controllo dei linfociti
T con attività facilitatoria o soppressiva, nonché di un
gran numero di citochine prodotte dagli stessi linfociti
T e da altre cellule implicate nella risposta immunitaria.
Tra queste, l’IL-4 ha un ruolo chiave, in quanto induce
nei linfociti B l’iniziale ricombinazione genica, premessa
della differenziazione che porta alla produzione di IgE;
altre citochine ad attività facilitatoria sono IL-2, IL-5,
IL-6 e IL-13, nonché i recettori solubili a bassa affinità
per le IgE (riconosciuti dal monoclonale CD23). Vi sono
poi citochine che esercitano, al contrario, un’influenza
inibitoria sulla produzione di IgE: sono soprattutto la
PGE2, l’IFN-␣ e l’IFN-␥. Come è noto, i linfociti T helper
CD4+ possono differenziarsi in sottopopolazioni a diversa
attività funzionale, analoghe alle Th1 e Th2 murine. I
linfociti Th1 producono preferenzialmente IFN-␥ e IL-2,
mentre i Th2 producono preferenzialmente IL-4, IL-5,
IL-9, IL-25, IL-31, IL-33 e GM-CSF, con netto effetto facilitatorio sulla produzione di IgE: questa sottopopolazione
è decisamente prevalente nei soggetti atopici, che hanno
infatti alti livelli di IgE totali o specifiche nei confronti di
allergeni respiratori (o di origine alimentare).
Flogosi allergica
L’atopia, ovvero la tendenza a produrre IgE, sottende
i sintomi delle malattie non solo in conseguenza delle
reazioni “immediate”, causate dalla degranulazione dei
basofili a opera del legame tra IgE e allergene (manifestazioni pronte o di anafilassi), ma anche e soprattutto in
quanto a queste reazioni segue una condizione di flogosi
tissutale, che ne costituisce il vero comune denominatore,
sebbene con diversa valenza clinica.
Vediamone i principali momenti patogenetici sia per
quanto concerne l’acquisizione dello stato atopico sia
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per quanto riguarda lo sviluppo di infiammazione vera
e propria.
Il sistema immunitario ha la funzione principale di
difenderci dai patogeni mantenendo nel contempo uno
stato di tolleranza verso antigeni innocui, sia del self sia
del non self (ambiente). La tolleranza, tuttavia, è un fenomeno dinamico, in precario equilibrio, e può essere persa
(e riacquistata) in ogni momento della vita.
La condizione di allergia scaturisce dalla perdita dei
meccanismi di regolazione e quindi della tolleranza nei
confronti di antigeni ambientali normalmente tollerati
con innesco dei meccanismi immunologici che portano
alla flogosi allergica.
Se ne distinguono due momenti fondamentali: l’acquisizione della predisposizione atopica (stato atopico) che
identifica la fase di prima sensibilizzazione – premessa necessaria ma non sufficiente a innescare la flogosi allergicamalattia vera e propria – e la fase effettrice che si verifica al
reincontro con l’allergene. In questa seconda fase si scatena
la flogosi vara e propria nel tessuto target. Lo confermano
gli studi istologici e immunoistochimici di biopsie cutanee
(eczema), di secreti nasali (rinite allergica) e di liquido
di lavaggio broncoalveolare (BAL), che hanno mostrato
quadri del tutto sovrapponibili, pur nel diverso contesto
tissutale, e hanno perciò confermato che la flogosi allergica
sottesa ai diversi sintomi è sostanzialmente identica.
Le cellule specializzate nella presentazione dell’antigene (Antigen Presenting Cells, APC), ovvero macrofagi,
cellule dendritiche e cellule di Langerhans, esprimono
in membrana i recettori per numerose molecole chiave
della risposta immune; per esempio, hanno recettori per il
complemento (C3), per il frammento Fc delle IgG e per
l’IL-2 e, nei soggetti divenuti atopici, esprimono anche
recettori ad alta affinità per le IgE (FceRI) e per i complessi molecolari IgE-allergene, assumendo così un ruolo di
particolare rilievo nella presentazione dell’antigene. Quando le cellule dendritiche e i macrofagi alveolari vengono
attivati, producono IL-1 (che attiva a cascata i monociti),
fattori chemiotattici per gli eosinofili e potenti mediatori
dell’infiammazione (LT, PAF); ma soprattutto presentano
l’allergene direttamente ai linfociti T in forma altamente
immunogena, favorendo la selezione della risposta Th2 e
inducendo Th2 di memoria
Attivati dalla presentazione dell’allergene, i linfociti
CD4+ Th2 producono grandi quantità di IL-4 e IL-13
che attivano lo switch isotipico nei linfociti B. In altre
parole, inducono la produzione di catene pesanti ε che
permettono di “montare” IgE e di esprimerle in membrana: questi linfociti B espandono il proprio clone e
matureranno in plasmacellule secernenti IgE specifiche
(sIgE) per quell’allergene (Figura 30.1 A). Le sIgE vanno
a legarsi ai recettori FceRI ad alta affinità espressi sulla
membrana di mastociti e basofili, armandoli: lo stato
atopico si è instaurato (fase di sensibilizzazione). Basofili
e mastociti, a un successivo incontro con l’allergene, saranno suscettibili alla degranulazione e liberazione di
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IL-13
Class switching
IL-4
IL-13
Y sIgE
A
IL-13
VLA-4
EPC, EPO. EDN, MBP
IL-4
IL-13
sIgE
ECF
IL-4, IL-5, IL-9
TNF
IL-13
IL-25, IL-31, IL-33
Infiammazione tessuti
Produzione muco
IL-3, IL-9, IL-4, IL-31, IL-33
B
IL-4
PG
IL-4
IL-5
LT4
IL-13
IL-13
PAF
VCAM-1
FIGURA 30.1 - A. Prima fase di sensibilizzazione: stato atopico. B. Riesposizione: seconda fase effettrice nell’infiammazione allergica
(spiegazioni nel testo).
potenti mediatori dell’infiammazione, dando inizio alla
fase effettrice.
Nel soggetto sensibilizzato, gli allergeni, giunti a contatto delle mucose respiratorie o della cute (o ancora
portati per via ematica) si possono legare alle sIgE già
presenti sulle mastcellule, dando inizio alla fase pronta
della reazione infiammatoria, che sarà seguita, a distanza
di qualche ora, dalla fase tardiva (Figura 30.1 B). Nella
fase precoce o pronta, a seguito del legame con l’allergene,
le mastcellule rilasciano istamina e mediatori dell’infiammazione, in particolare leucotrieni C4, D4, E4, chinine
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e prostaglandine che causano contrazione del muscolo
liscio, vasodilatazione, aumento della permeabilità vascolare e ipersecrezione di muco; l’equivalente clinico
è rappresentato da bronco-ostruzione con spasmo muscolare, edema e formazione di muco nelle vie respiratorie
e dal pomfo nella cute. Ma i mastociti liberano anche
citochine (IL-4, TNF-␣, ECF [Eosinophil Chemotactic
Factor]) ad azione chemiotattica per linfociti, eosinofili
e PMN (polimorfonucleati) che arrivano a popolare il
sito infiammatorio alcune ore (4-8) dopo l’incontro con
l’allergene (vedi Figura 30.1 B).
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Peraltro l’allergene reincontra anche le APC (cellule
dendritiche o macrofagi alveolari), dotate a questo punto
di recettori ad alta affinità per le IgE: l’allergene in parte
aderisce alla superficie delle APC, in parte viene rielaborato all’interno della cellula e presentato sulla superficie
come antigene, in associazione alle molecole HLA di classe
II. Perciò, in questa fase, l’allergene può essere presentato
come tale direttamente ai linfociti B (ormai memory) e ai
linfociti T (anch’essi memory). I linfociti Th2 si espandono ulteriormente e producono fattori chemiotattici
per gli eosinofili che sinergizzano l’azione delle citochine
linfocitarie.
I linfociti Th2, comunque stimolati (dai mastociti o
dalle APC), liberano infatti IL-5, IL-9 e IL-13, che richiamano e attivano gli eosinofili, e IL-4. L’IL-4, oltre a indurre
i linfociti B a differenziarsi in plasmacellule produttrici
di IgE, induce anche l’espressione dei recettori a bassa
affinità per le IgE sui macrofagi e ad alta affinità sui mastociti, abbassandone la soglia di degranulazione. Inoltre,
i linfociti Th2 rilasciano altre citochine che agiscono da
autentici attivatori dei mastociti (HRA, Histamine Releasing Activity), che a loro volta rilasciano IL-4 e IL-13 con
effetti attivatori di feedback sugli stessi linfociti T (vedi
Figura 30.1 B).
Gli eosinofili liberano grandi quantità di citochine e
di mediatori dell’infiammazione che sinergizzano e amplificano l’azione di quelle rilasciate dalle altre componenti cellulari. In particolare, liberano IL-3, che stimola
la crescita e l’attivazione dei mastociti, e IL-1 e TNF che,
insieme all’IL-4, inducono l’espressione delle integrine e
delle selectine da parte delle cellule endoteliali e dei loro
ligandi, e delle molecole di adesione da parte dei leucociti. L’interazione tra proteine di adesione e ligandi causa
il fenomeno del rolling, cioè il rallentamento del flusso
dei leucociti, l’adesione alla parete vasale e la successiva diapedesi con arrivo nel sito di infiammazione. La
degranulazione dei basofili, quindi, provoca il rilascio
nei tessuti di consistenti quantità di proteine a potente
azione tossica cellulare, che causano infine il danno tissutale. L’infiammazione allergica è clinicamente evidenziabile come iperreattività bronchiale nell’asma e come
infiammazione cronica nella dermatite. L’iperreattività si
mantiene e si amplifica in un circolo vizioso, perché, nei
soggetti predisposti, può venire innescata anche da fattori
non allergici (immunocomplessi, stress, agenti microbici,
variazioni di umidità e osmolarità, irritanti) e mediati da
altre sottopopolazioni come i Th17 e i Th22, che svolgono
azioni di regolazione in sinergia ai T linfociti regolatori
(vedi oltre).
Gli stessi mastociti possono essere attivate da un gran
numero di stimoli non allergenici, come i componenti
della membrana batterica, le proteine virali, le citochine,
i neuropeptidi (VIP e SP) rilasciati dalle fibre non adrenergiche e non colinergiche del vago o le anafilotossine
(per esempio il C3a) generate dagli immunocomplessi
per attivazione della cascata del complemento. Que-
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sti stimoli aggravano ulteriormente l’infiammazione
allergica innescata dalle IgE, ma possono agire anche
isolatamente e indipendentemente dall’intervento delle
reagine.
Le mucose respiratorie del soggetto asmatico, danneggiate dall’infiammazione allergica, divengono particolarmente suscettibili a sovrainfezioni virali o batteriche:
vengono allora attivati linfociti T e macrofagi con ulteriore
produzione di citochine proinfiammatorie, quali l’IL-1 e
il TNF-␣. Inoltre, alcuni virus (virus respiratorio sinciziale, parainfluenzale e influenzale, adenovirus) e alcuni
batteri (Mycoplasma pneumoniae) possono comportarsi
anche come veri e propri allergeni e indurre una risposta
anticorpale prevalentemente di classe IgE. L’insieme di
questi fattori contribuisce ulteriormente allo sviluppo
dell’infiammazione allergica e i meccanismi d’innesco e
di amplificazione sono talmente ridondanti da giustificare
ampiamente la difficoltà di trovare un approccio terapeutico semplice.
In questa cascata di eventi, il fattore cruciale che consente il verificarsi, l’ampliarsi e l’automantenersi della
flogosi allergica è dato dalla perdita funzionale dell’attività
regolatoria mediata dai linfociti T regolatori. È ormai
ampiamente dimostrato che nel soggetto allergico le cellule regolatorie, con differenti fenotipi immunologici a
seconda dei tessuti target, sono carenti o funzionalmente
difettive. I linfociti T regolatori possono avere diversa
espressione fenotipica (Figura 30.2): la più studiata e rappresentativa è costituita dalle cellule CD4+, CD25+ e
Phoxp3+. Sono cellule di derivazione timica selezionate
per affinità intermedia rispetto all’HLA ed esercitano
un’importante funzione regolatoria e tollerigena a livello
periferico bloccando le cellule T effettrici (sia Th1 sia Th2)
per interazione diretta e contatto cellulare. Le cellule Tr1 e
Th3 agiscono mediante secrezione di citochine tollerigene,
rispettivamente IL-10 e TGF-␤, che regolano l’attività dei
T effettori legandosi a specifici recettori di membrana. Le
prime sono di derivazione timica, mentre le seconde sono
generate in periferia in ambiente ricco di IL-10 e TGF-␤
(vedi Figura 30.2)
Nei soggetti atopici, la funzionalità di queste cellule è
fortemente compromessa e queste conoscenze hanno portato allo sviluppo di terapie tese a ripristinare la tolleranza
ad antigeni ubiquitari proprio stimolando la funzione di
queste sottopopolazioni deficitarie.
Eziologia e patogenesi
L’incremento della frequenza di sensibilizzazione allergica ha il
suo fulcro nel cambio del rapporto tra genetica e ambiente.
L’adattamento all’ambiente ostile è sempre stato, per
l’uomo, il prerequisito per la sopravvivenza e ha portato
nei millenni alla selezione dei soggetti che noi oggi definiamo sani o popolazione normale. Tuttavia, l’ambiente
cambia in continuazione e probabilmente la rapidità del
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DC2
Th0
CD4+
DC1
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IL-10, TGF-b
Th1
Th2
Thr
Thr 1
Th3
CD25
IL-10
IL-2, TNF-a, IFN-g
IL-4, IL-5, IL-13
DC3
FIGURA 30.2 - I linfociti T regolatori nella dinamica dell’infiammazione allergica (spiegazioni nel testo).
progresso e dei profondi mutamenti ambientali indotti
(si pensi alla completa scomparsa di malattie infettive
mortali indotta dalla vaccinazione) ha portato (forse)
da un lato alla scomparsa di fattori “protettivi” per
l’allergia e dall’altro alla comparsa di elementi nuovi,
potenzialmente favorenti le malattie allergiche. Le evidenze che sottolineano come questi mutamenti possano
influire sull’espressività genetica individuale confermano
il sospetto e aprono nuove frontiere di ricerca in ambito
epigenetico.
Allergeni
L’allergenicità di un antigene (e tutti gli antigeni sono
potenzialmente allergeni) dipende dalla natura dell’allergene, dalla via e dall’entità dell’esposizione. Gli acari della
polvere, per esempio, posseggono nella loro struttura
proteasi in grado di alterare le giunzioni intercellulari
delle cellule della mucosa, favorendone la penetrazione
e il contatto con il sistema immunitario; i diversi antigeni
pollinici posseggono variabile solubilità che può favorirne
o meno il contatto e la penetrazione tissutale. La via di
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penetrazione è parimenti importante: di gran lunga più
pericoloso è il contatto con le mucose, soprattutto delle
vie respiratorie, e probabilmente anche alcune forme di
allergia alimentare vengono indotte più dall’inalazione
dei cibi che non dalla loro ingestione. L’elemento più
influente sulla possibile sensibilizzazione è comunque
l’entità dell’esposizione, anche se è impossibile stabilire
“soglie critiche”.
Infatti, il rischio di sensibilizzazione può variare molto
a seconda della predisposizione individuale, come è stato
recentemente segnalato per gli acari: si è riscontrato il 3%
di sensibilizzati tra gli esposti a concentrazioni di acaro pari
a 25.000 ng/mg di polvere nella popolazione di soggetti
senza familiarità per allergia; in quelli con familiarità positiva il 3% di sensibilizzazioni viene raggiunto per concentrazioni critiche assai inferiori, pari a 750 ng/mg di polvere.
Più controversi gli studi sul ruolo protettivo o offensivo
della precoce esposizione a cariche allergeniche: secondo
alcuni studi bassissime cariche allergeniche possono essere
protettive nei confronti dello sviluppo di allergie, secondo
altri, invece, è più protettiva l’esposizione a cariche allergeniche più consistenti.
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Inquinamento
L’inquinamento è considerato globalmente uno dei maggiori fattori che contribuiscono allo sviluppo di allergia.
Il ruolo attribuito all’inquinamento può essere considerato ambivalente, primario da una parte e quindi capace
di indurre ex novo la malattia allergica, e secondario
dall’altra, favorente l’esacerbazione di una condizione
preesistente.
Per quanto riguarda le particelle aerodisperse – il
particolato – i gas di scarico dei diesel sembrano essere
i maggiori imputati, costituendo in alcune città oltre il
90% del componente corpuscolato dell’inquinamento. Le
più pericolose sono le particelle di diametro <0,2 ␮m, di
cui oltre il 90% con diametro <1 ␮m, che raggiungono
facilmente le più basse vie aeree. Inoltre, alcuni inquinanti possono adsorbire sulla loro superficie gli allergeni
aerodispersi – i pollini – aumentandone l’allergenicità.
Con questi meccanismi, il particolato aumenta l’iperreattività bronchiale e induce infiammazione allergica,
documentata dall’aumento di eosinofili e dall’espressione
di citochine Th2 nei secreti bronchiali. Sono pertanto
importanti trigger di allergia, ma non è documentato
che siano in grado di causare “di per sé” un incremento di nuovi casi. Anche il tasso degli altri componenti
dell’inquinamento ambientale (NO2, diossido sulfuro,
monossido di carbonio, benzene e ozono) è correlato con
il sintomo tosse e con lo sviluppo di infezioni respiratorie
ricorrenti (bronchite), ma non con lo sviluppo di malattie
allergiche.
Solo per l’ozono è stato dimostrato un ruolo nello
scatenamento di crisi asmatiche (in soggetti già allergici)
se presente in alte concentrazioni e in caso di importanti
sforzi fisici, ma il suo ruolo è probabilmente imperniato
sull’iperreattività bronchiale più che sull’allergia.
Il fumo di tabacco è l’unico fattore inquinante ambientale collegato in misura statisticamente significativa
allo sviluppo di asma; tuttavia, una recente revisione di
36 studi, che hanno analizzato il fumo nello sviluppo
delle altre malattie allergiche, non ne ha dimostrato un
ruolo significativo, se non per l’asma.
asili nido, induce nei primi anni di vita un aumento
di infezioni respiratorie e di wheezing, ma nel tempo
protegge in misura significativa dallo sviluppo di asma.
Numerosissimi studi di popolazione hanno evidenziato
un rapporto inverso tra marcatori di pregresse infezioni
– soprattutto orofecali – e allergia, confermando il ruolo
in qualche misura protettivo delle infezioni. Tuttavia,
sono altrettanto numerosi gli studi che hanno dimostrato anche come le infezioni respiratorie, in particolare
quelle delle basse vie, predispongano allo sviluppo di
asma e allergie in genere. Per questo l’ipotesi igienica
ha sostituito alle infezioni cliniche il concetto di mera
“esposizione” agli agenti infettivi e alle endotossine
batteriche. Pertanto, oltre ad agenti microbici endogeni
(flora batterica intestinale e infezioni), sono chiamate in
causa le endotossine ambientali (stalle, campagna) nella
protezione dallo sviluppo di allergia: indipendentemente
dalle infezioni nei primi anni di vita, i bambini che vivono in ambienti rurali sviluppano meno allergie e meno
sensibilizzazioni ad allergeni ambientali. Di fatto si può
osservare che al significativo declino nella frequenza di
malattie infettive ha fatto riscontro un netto incremento
di malattie allergiche.
Peraltro, anche le infestazioni parassitarie, pur essendo
mediate da un’immunità tipicamente Th2, hanno una
correlazione inversa con le allergie, esercitando in qualche
modo una funzione protettiva, probabilmente mediata
dall’IL-10 rilasciata in corso di infestazioni parassitarie,
con azione di stimolo nei confronti dei Th ad attività
regolatoria e conseguente soppressione della flogosi allergica.
Certamente l’interazione tra ambiente microbico –
esogeno o endogeno – e allergie è assai complessa e la
stessa presenza della sottopopolazione regolatoria (Thr),
così come la produzione di IL-10 e di altri fattori inibitori
dell’infiammazione, può essere l’epifenomeno di interazioni ancora in gran parte oscure.
Parametri di normalità
e metodi di studio
Ipotesi igienica
Eosinofili nasali
Dai primi studi storici di Strachan, si è accumulata
un’importante mole di dati a dimostrazione che la
frequenza di asma, wheezing , dermatite atopica e rinocongiuntivite allergica, tanto nei bambini quanto
negli adulti, è inversamente proporzionale al numero di
fratelli, all’ordinogenitura e alle condizioni economiche
della famiglia. Questi parametri sono stati considerati
indici indiretti di esposizione alle infezioni e si è coniato
il paradigma: “più infezioni uguale a meno asma”, che
costituisce il nucleo dell’ipotesi igienica. Si è poi osservato che anche la precoce frequentazione di ambienti
esterni alla casa, in particolare la scuola materna o gli
L’analisi morfologica del secreto nasale, sia in condizioni
normali sia dopo stimolazione con allergeni, può dare
informazioni sul tipo e sulla quantità di cellule presenti e
consente soprattutto di contare gli eosinofili. La secrezione
nasale si ottiene preferibilmente facendo soffiare il naso in
carta da filtro o in parafilm; solo nei bambini più piccoli si
può prelevare il muco con un bastoncino sormontato da
un batuffolo di cotone, in quanto il test è meno preciso. Il
campione viene quindi strisciato su un vetrino, essiccato e
colorato con il colorante di Wright o Hansel. Si considera
aumentata la quantità di eosinofili quando questa supera
il 3% delle cellule presenti.
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Malattie allergiche
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IgE totali
La concentrazione di IgE nel siero viene misurata in genere
con metodiche immunoenzimatiche: i livelli sierici crescono con l’età, ma non è possibile stabilire valori medi
in quanto la distribuzione nella popolazione generale non
è di tipo gaussiano; inoltre, i livelli di IgE possono venire
influenzati da etnie particolari o dalla concomitanza di
infestazioni, infezioni virali, neoplasie, immunodeficienze
e connettiviti. I valori indicativi di norma sono riportati
nella Tabella 30.1 e sono suscettibili di variazioni da laboratorio a laboratorio.
IgE specifiche
La ricerca di IgE specifiche è indicata quando non è chiara
la relazione causa-effetto tra esposizione all’allergene e
scatenamento dei sintomi o quando si vuole confermare
il forte sospetto clinico. La ricerca di IgE specifiche può
essere fatta con test in vivo e in vitro.
Il test in vivo più pratico, sicuro ed economico, per lo
meno nei bambini al di sopra dell’anno di età, è il prick test;
nei più piccoli è poco utile a causa della ridotta reattività
cutanea. Gocce di estratto allergenico vengono poste sulla
faccia volare dell’avambraccio (o sul dorso) a distanza di
almeno 5 cm l’una dall’altra e con una lancetta pungidito
viene eseguita una puntura epicutanea esattamente in
corrispondenza di ciascuna goccia; ovviamente la lancetta
deve essere rinnovata a ogni puntura successiva, onde
evitare contaminazioni tra i diversi allergeni (Figura 30.3).
Dopo un minuto di contatto diretto dell’estratto sulla
cute, con diversi lembi di garza (uno per ogni goccia) si
asporta l’allergene e si attendono 10 minuti prima della
lettura della reazione: il diametro del pomfo, la presenza
di eritema, digitazioni, edema e intenso prurito vengono
valutati misurando la grandezza del pomfo in millimetri
in due dimensioni ortogonali e confrontati alle dimensioni
del pomfo di controllo (istamina), che non può essere
tralasciato perché l’entità della sua reazione dà la misura
della reattività cutanea (Tabella 30.2). In caso di negatività
nei confronti di allergeni fortemente sospettati di essere la
causa scatenante l’allergia, al prick test può seguire l’in-
TAB EL L A 30 .1
Valori approssimativi delle IgE
sieriche totali alle diverse età
Età
IgE totali (UI/mL)
<2 anni
2-5 anni
6-13 anni
14-20 anni
21-40 anni
41-60 anni
>60 anni
<20
<80
<100
<120
<260
<250
<240
C0150.indd 579
FIGURA 30.3 - I risultati del prick test 10 minuti dopo
l’applicazione degli allergeni. È importante che le gocciole
di allergene vengano poste a distanza opportuna, in modo
che la lettura sia agevole e non si verifichi la confluenza di reazioni
eritemato-pomfoidi tra due allergeni attigui.
tradermoreazione con l’estratto allergenico: il test è assai
più sensibile, ma non esente da rischi di reazioni allergiche
anche importanti.
È opportuno che in ciascuna realtà climatica vengano
scelti gli allergeni da testare a seconda della loro frequenza
e preponderanza nell’aria, mentre ovunque sono presenti
DPG, funghi e forfora di animali. Le cause di falsa positività e negatività dei test sono elencate nella Tabella 30.3 e
devono essere considerate nell’interpretazione del test.
Meno sensibili sono le metodiche che dosano le IgE
specifiche (IgEs) in vitro.
La diagnostica tradizionale si basa su metodiche immunologiche che sono andate modificandosi continuamente
negli ultimi anni, a partire dal Radio Allergo Sorbent Test
o RAST, introdotto per primo nella diagnostica clinica. Il
siero in esame viene cimentato con un estratto allergenico
coniugato in modo covalente a una fase solida (disco di
carta, polimero insolubile, microsfere ecc.) in modo che
le IgEs eventualmente presenti si leghino all’allergene.
Vengono aggiunti anticorpi anti-IgE marcati con 125I per
formare un complesso “a sandwich” costituito dal disco
con allergene + IgEs del paziente + anti-IgE marcate con
125
I. Mediante un gamma-counter si misura la radioattività
emessa dal complesso, che sarà direttamente proporzionale alla quantità di IgEs presenti nel campione in esame.
TA BELLA 30.2
Pomfo da 1/4 a 1/2 cm
Pomfo da 1/2 a 1 cm
Pomfo da 1 a 2 cm
Pomfo >2 cm
Lettura e interpretazione
dei prick test
+
++
+++
++++
5/14/13 8:56:13 AM
580
CAPITOLO 30 Malattie allergiche
TAB EL L A 30 .3
I limiti dei prick test: cause
di falsa positività e di falsa
negatività
Cause di falsi positivi
• Inquinanti negli estratti
• Dermografismo per iperreattività cutanea
• Eccessiva concentrazione degli estratti
• Riflesso assonico per eccessiva vicinanza tra i pomfi
• Trasporto accidentale di allergeni durante l’esecuzione
Cause di falsi negativi
• Estratti inattivi
• Iporeattività cutanea da:
• età
• malattie cutanee
• farmaci (antistaminici)
• refrattarietà cutanea da precedenti reazioni (24-48 ore)
Al RAST hanno fatto seguito numerosi altri immunoassay RIA (Phadebas RAST, CAP System ecc.) e metodiche
che non fanno uso di marcatori radioattivi (RIA, ELISA,
agglutinazione, precipitazione o radioimmunodiffusione).
Qualunque sia la metodica di misurazione, la valutazione
quantitativa delle IgEs (in kU/L) viene fatta per confronto
con una preparazione standard di IgE (le cosiddette “curve di
riferimento” per la calibrazione versus siero standard 75/502
indicato dalla World Health Organization) ed espressa in
classi di positività per ciascun allergene. Le classi 2, 3 e
4 sono indicative di sensibilizzazione, la classe 1 è fortemente
dubbia, la classe 0 indica l’assenza di IgEs dosabili.
La diagnostica molecolare differisce sostanzialmente da
quella tradizionale non solo per la metodica utilizzata ma,
in particolare, per la sostituzione del precedente estratto
allergenico con la corrispondente molecola ottenuta da
tecnologia ricombinante (prefisso “r”) o purificata dalla
forma nativa (prefisso “n”). I test a oggi disponibili sono di
tipo semiquantitativo, Immuno Cap ISAC e quantitativo,
ImmunoCap Specific IgE e IgG.
Il test ISAC consiste in una piattaforma sulla cui fase
solida a struttura porosa sono fissati multipli allergeni
ricombinanti o nativi (112 nell’ultima versione del 2012),
esaminabili contemporaneamente con soli 20 ␮L di siero,
anche ottenuto da sangue capillare. Nel pannello descritto sono presenti allergeni alimentari, inalanti e veleni di
imenotteri. Il risultato del test è espresso come unità ISU
(ISAC Standardized Units) e come classi ISAC (titolo assente, basso, medio, alto).
Il test ImmunoCap Specific IgE sfrutta come fase solida
un polimero idrofilico di cellulosa attivato con bromuro di
cianogeno che consente di mantenere intatta la struttura
nativa dell’allergene e legare gli specifici anticorpi con
elevata affinità. Le IgE non allergene-specifiche presenti
nel siero del paziente vengono quindi lavate e quelle rimanenti, allergene-specifiche, incubate con anticorpi anti-IgE
C0150.indd 580
marcati con fluorescenza, la cui misura fornisce il risultato
in termini quantitativi.
Tutte le diverse tecniche di ricerca delle IgEs condividono problemi di carattere tecnico e metodologico che
espongono al rischio di false positività e false negatività.
False positività possono essere indotte da:
• presenza di alti livelli di IgE totali: le IgE sieriche del
paziente si possono legare specificamente agli allergeni
saggiati;
• legame aspecifico alle lectine vegetali, per esempio di
soia, grano, riso ecc., come accade con allergeni poco
purificati;
• cross-reazione in vitro (ma non in vivo) tra alimenti
di una stessa famiglia o tra alimenti e inalanti (per
esempio graminacee con grano o pomodoro).
False negatività possono essere secondarie a:
• livelli estremamente bassi di IgE totali;
• interferenza di anticorpi specifici non-IgE, come per
esempio le IgG specifiche (“anticorpi bloccanti”) che
competono con le IgE specifiche;
• in caso di allergeni estremamente labili oppure quando il paziente è sensibilizzato non all’allergene nativo
ma ai metaboliti intermedi che si sviluppano durate il
processo digestivo. Per cui anche la ricerca in vitro delle
IgEs, così come gli SPT, dà risultati di scarsa affidabilità per gli allergeni alimentari e presenta variazioni di
sensibilità a seconda dell’alimento considerato.
Nel sospetto di sensibilizzazione, i test in vitro sono indicati nelle seguenti condizioni:
• bambini con gravi dermatiti o con spiccato dermografismo;
• bambini che non possono sospendere la terapia antistaminica o con altri farmaci ad attività interferente;
• soggetti con storia di gravi anafilassi, per i quali va
evitata l’esposizione diretta all’allergene;
• bambini che si rifiutano di eseguire i test in vivo.
Va ricordato e sottolineato che la presenza di IgE specifiche stabilisce solamente la condizione di sensibilizzazione
dell’individuo verso quel determinato allergene (stato
atopico) e non indica che sia quello realmente responsabile
della sintomatologia. Il 5% della popolazione ha prick test
positivo in assenza di manifestazioni allergiche.
Spirometria
L’esame è indicato nei bambini collaboranti sopra i 6
anni di età. La determinazione dei volumi e dei flussi polmonari consente di individuare e misurare le alterazioni
di tipo sia ostruttivo sia restrittivo e trova indicazione
sia nelle broncopneumopatie croniche del bambino con
difetto immunitario sia nella valutazione della presenza
e gravità dell’asma. Caratteristiche della bronco-ostruzione sono la diminuzione della VC (capacità vitale) e
5/14/13 8:56:13 AM
CAPITOLO 30
Malattie allergiche
581
Test di provocazione (o scatenamento)
Sono utili nella diagnostica più fine e diventano dirimenti
quando, di fronte a polisensibilizzazioni, si vuole mettere in
evidenza l’allergene o gli allergeni direttamente responsabili
dei sintomi. I test di scatenamento possono essere, a seconda
delle mucose esposte, di provocazione nasale, congiuntivale
o bronchiale e possono essere specifici o aspecifici.
Test di provocazione nasale
FIGURA 30.4 - Curva flusso/volume di un’espirazione normale.
Il FEV1 esprime il volume di aria espirata nel primo secondo
di un’espirazione forzata (Forced Expiratory Volume): correla
con il grado di ostruzione, diminuendo significativamente
nelle forme ostruttive, mentre non varia significativamente
nelle malattie restrittive. È anche uno dei parametri più riproducibili,
pur con una non ottimale collaborazione del paziente, e per questo
è quello di gran lunga più usato per la valutazione della gravità
dell’asma. Viene espresso come percentuale dei valori normali
per l’età. Il picco di flusso espiratorio (PEF) misura la velocità massima
con la quale l’aria esce dal polmone all’inizio dell’espirazione;
richiede una minima collaborazione e quindi può essere valido
anche nei bambini poco collaboranti. Inoltre, può essere rilevato
anche con piccole apparecchiature portatili (misuratori di picco)
che consentono di monitorare a domicilio il livello di ostruzione.
Le misurazioni sono espresse come percentuale rispetto ai valori
medi normali per l’età, ma con un ampio margine di variabilità
individuale e nell’arco della stessa giornata. È il parametro
più sensibile all’ostruzione delle prime vie aeree.
del VRE (volume di riserva espiratoria), mentre aumenta
la capacità funzionale residua; la capacità polmonare
totale è aumentata per aumento del volume residuo. La
misurazione dell’entità del difetto ostruttivo è data dal
valore del FEV1 in percentuale del predetto (Figura 30.4):
quando è basso (<80%), è utile ripetere l’esame dopo
somministrazione di un broncodilatatore per valutare la
responsività alla terapia. I limiti di norma inferiori dei
parametri utili di funzionalità respiratoria sono riportati
nella Tabella 30.4.
TAB EL L A 30 .4
Il test deve essere effettuato in pazienti relativamente liberi
da sintomi e che non abbiano assunto antistaminici nelle
ultime 48 ore; è indicato quando la ricerca di IgE specifiche
dà risultati dubbi o positivi nei confronti di allergeni la cui
esposizione non correla con la storia clinica. È impiegato
anche per il monitoraggio dell’efficacia dell’immunoterapia specifica, che si misura come quantità di allergene
necessaria a determinare la provocazione: nei soggetti
desensibilizzati la quantità aumenta in misura significativa.
Le limitazioni all’applicazione estensiva del test di provocazione sono rappresentate dalla lunghezza del tempo di
esecuzione (si può saggiare, infatti, un allergene per volta)
e dalla possibilità di insorgenza di reazioni generali.
Il test viene effettuato applicando la soluzione di controllo in una narice e il preparato allergenico presente in
commercio direttamente sulla mucosa nasale della narice
controlaterale, osservando i sintomi e i segni provocati.
La positività del test è indicata dalla comparsa di starnuti,
prurito e scolo sieroso; alla rinoscopia si evidenzia mucosa
pallida e carica di essudato sieromucoso. È opportuno,
poi, tenere il bambino in osservazione per qualche ora
per controllare l’insorgere di eventuali, e fortunatamente
rare, reazioni generali.
Test di provocazione congiuntivale
È un test economico, di facile lettura e sufficientemente
standardizzato. Si instilla una goccia dell’estratto allergenico nel sacco congiuntivale, utilizzando soluzioni progressivamente concentrate con applicazioni a distanza
di 15 minuti l’una dall’altra. Si inizia con una diluizione
1/10.000 degli estratti allergenici utilizzati per il prick test
per arrivare a 1/10 o anche 1/1. Lacrimazione, bruciore ed
eritema della congiuntiva segnalano la positività del test.
Significato e interpretazione dei parametri di funzionalità respiratoria
Parametro
Significato funzionale
Funzione normale
Significato clinico dell’alterazione
FVC
FEV1 (VEMS)
FEF25-75
Capacità vitale forzata
Volume espiratorio forzato al secondo
Flusso espiratorio forzato compreso tra il 25
e il 75% del FCV
Indice di Tiffeneau
Picco di flusso espiratorio forzato
>80% del predetto
>80% del predetto
>65% del predetto
Ridotta pervietà delle via aeree
Ostruzione vie aeree centrali
Ostruzione vie aeree centrali e periferiche
≥80% del predetto
>80% del predetto
Ostruzione vie aeree centrali e periferiche
Ostruzione vie aeree centrali
FEV1/FVC
PEF
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582
CAPITOLO 30 Malattie allergiche
Test di provocazione bronchiale
Viene somministrata per via aerosolica una
quantità nota di allergene (utilizzando il dosimetro) partendo da dosi molto basse e progressivamente crescenti.
Si valuta quindi la variazione del FEV1, parametro che
presenta il minor grado di variabilità intrinseca ed è quindi
più riproducibile. Il test è considerato positivo quando
l’esposizione all’allergene causa una variazione del FEV1
superiore al 15% del basale. Ogni test può riguardare non
più di una sostanza e devono intercorrere almeno 7 giorni
perché si possa ripeterlo con un altro allergene. Per eseguire
il test senza interferenze farmacologiche è bene che il bambino abbia sospeso i farmaci elencati nella Tabella 30.5.
Specifico.
Aspecifico. La risposta ai test di broncostimolazione aspecifi-
ca si esprime come PC20, corrispondente alla concentrazione
che determina una caduta del FEV1 del 20% rispetto al basale. Minore è la PC20, maggiore è la reattività bronchiale.
Negli adulti si considera normale una PC20 >8 mg/mL (zona
“grigia” 4-16 mg/mL); in età pediatrica la soglia di normalità
è >10-25 mg/mL. Gli stimoli che si possono utilizzare si possono dividere in stimoli diretti, che agiscono direttamente sulla muscolatura bronchiale, come la metacolina, il carbacolo
o l’istamina, e stimoli indiretti, come lo sforzo fisico, l’aria
fredda, la nebbia ultrasonica con acqua distillata, che evocano
una risposta bronco-ostruttiva di tipo infiammatorio. Il test
con stimoli indiretti è molto specifico per asma, ma meno
sensibile rispetto ai test con stimoli diretti.
Il challenge da sforzo fisico nei bambini asmatici è positivo nel 70-80% dei casi e, specificamente, nel 40% dei
casi asintomatici, in cui la spirometria a riposo è normale,
perciò è un test altamente specifico. Negli asmatici si assiste solitamente a broncocostrizione 3-5 minuti dopo lo
sforzo. I bambini con iperreattività bronchiale rispondono
a questi stimoli con una bronco-ostruzione reversibile che
viene considerata significativa se si verifica una caduta del
FEV1 pari o superiore al 15-20%.
TAB EL L A 30 .5
Farmaci che debbono essere
sospesi prima del test
di provocazione per
non falsarne il risultato
Via
Farmaco
di somministrazione
Topica
ev, per os
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␤2-stimolanti
short acting
␤2-stimolanti
long acting
Cromoni
Steroidi
Teofillina
Antistaminici
Steroidi
Tempo
di sospensione
4 ore
12 ore
48 ore
48 ore
48 ore
Almeno 7-10 gg
10 giorni-1 mese
Test di scatenamento alimentare (o challenge)
e dieta di eliminazione
Le linee guida DRACMA (Diagnosis and Rationale for
Action against Cow’s Milk Allergy), sancite nel 2010 a
opera della World Allergy Organization (WAO), definiscono in tutte le sue parti il percorso diagnostico dell’allergia alimentare e, nel caso specifico, nei confronti delle
proteine del latte vaccino. La dieta di eliminazione mirata,
di durata prestabilita, seguita dal test di provocazione orale, è descritta come tappa indispensabile per raggiungere
la diagnosi definitiva. Lo scopo della dieta di eliminazione, in presenza di un fondato sospetto basato su dati
anamnestici, consiste nel verificare se la rimozione dalla
dieta dell’allergene incriminato conduca alla regressione
della sintomatologia precedentemente presente, quale
asma, rinite, orticaria, anafilassi o – più spesso – dermatite
atopica. Non esiste accordo unanime sulla durata della
dieta di eliminazione, che convenzionalmente è di circa
2 settimane per le forme di allergia IgE-mediata e di 3-4
settimane per quelle non IgE-mediate, al termine delle
quali l’alimento deve essere reintrodotto gradualmente,
iniziando con piccole dosi progressivamente crescenti fino
a raggiungere la quantità normalmente assunta quotidianamente o per settimana.
Gli scopi del test di scatenamento alimentare includono:
• la conferma di allergia alimentare come gold standard
diagnostico nei pazienti con sintomatologia clinica
e in quelli con SPT o IgE specifiche positive che non
abbiano mai introdotto l’alimento nella dieta;
• la verifica dell’eventuale acquisizione naturale della tolleranza in soggetti precedentemente risultati positivi al
test che stiano conducendo una dieta di eliminazione;
• la valutazione della dose massima tollerata, con conseguenti indicazioni sulla necessità di intraprendere una
più o meno rigorosa dieta di eliminazione, nel primo
caso, priva di alcuna contaminazione.
Nel caso in cui un solo alimento sia fortemente sospettato
(o sia stata dimostrata la presenza di IgE specifiche e se ne
voglia dimostrare la patogenicità), la dieta consiste nell’allontanamento dell’alimento e di tutti i derivati o cibi che
possono contenerlo; diviene complessa qualora non esistano elementi specifici di sospetto, ma la storia clinica sia
comunque suggestiva di allergia alimentare. In questi casi
può essere necessario eliminare diversi alimenti, con importanti ripercussioni sull’equilibrio nutrizionale del bambino,
ed è importantissimo limitarne al minimo indispensabile la
durata, con reintroduzione graduale degli alimenti singolarmente, al fine di osservare l’eventuale comparsa di sintomi
immediati o tardivi. La grande variabilità nel lasso di tempo
compreso tra l’assunzione dell’alimento incriminato e la
comparsa dei sintomi è uno degli elementi maggiormente
confondenti. Quanto alle modalità di esecuzione della dieta,
va ricordato che prima dell’esecuzione deve essere sospesa
5/14/13 8:56:14 AM
CAPITOLO 30
la somministrazione di farmaci che possono influenzarne
l’esito, elencati nella Tabella 30.5.
La procedura di esecuzione del challenge non è definita
da uno specifico protocollo, per cui è facile osservare variabilità nelle dosi da somministrare, la modalità in aperto,
singolo cieco e doppio cieco contro placebo (DBPFC,
Double-Blind Placebo-Controlled Food Challenge) e i
criteri per la sospensione del test. In linea di massima,
il test viene considerato positivo in presenza di sintomi
oggettivi, localizzati o sistemici, da monitorare anche
dopo il termine della prova per almeno 6 ore complessive. Al fine di escludere reazioni ritardate, è necessario
accertare l’assenza di sintomi a 24-48 ore di distanza. In
presenza di challenge positivo, si elimina l’alimento dalla
dieta e si testa periodicamente (ogni 8-12 mesi) per verificarne l’acquisita tolleranza. Gli alimenti eliminati dopo
test di provocazione definiscono la dieta di esclusione
terapeutica.
Il test di scatenamento deve essere eseguito sotto stretto
controllo medico in ambiente ospedaliero, in quanto possono verificarsi reazioni anafilattiche gravi e imprevedibili
(shock, angioedema ecc.) per reintroduzione dell’alimento
eliminato anche nei pazienti con anamnesi muta per anafilassi; particolare attenzione deve essere riservata ai bambini con prick test e/o IgE specifiche sieriche fortemente
positivi. Nei bambini con anamnesi di pregresse reazioni
anafilattiche correlabili con l’ingestione dell’alimento sospetto, il test deve essere eseguito a distanza di molti anni
dall’ultima reazione severa.
Asma bronchiale
Si tratta di una malattia infiammatoria cronica delle vie
aeree, di eziologia multifattoriale, scatenata da numerose situazioni: allergeni, infezioni, inquinanti atmosferici, esercizio
fisico, farmaci o alimenti. Dal punto di vista fisiopatologico
è caratterizzato dalla triade di contrazione della muscolatura
liscia bronchiale, edema della mucosa e aumentata secrezione di essudato, tali da determinare, nelle forme non trattate,
un rimodellamento della parete bronchiale. Gli elementi
descritti sono causa diretta della bronco-ostruzione diffusa
e reversibile, tipica dell’asma, che si manifesta clinicamente
con tosse, dispnea e respiro sibilante.
Eziologia
La gravità della bronco-ostruzione dipende dall’intensità
e dalla durata dell’esposizione allo stimolo causale, ma
non è proporzionale a essa, in quanto può essere esaltata da una condizione infiammatoria preesistente (IRB,
iperreattività bronchiale), da una particolare sensibilità
individuale o dalla presenza di altri irritanti. Gli agenti
irritanti più spesso in gioco sono il fumo di sigaretta, gli
inquinanti atmosferici, i profumi intensi, l’aria fredda e la
nebbia. In particolare, il fumo è stato additato come uno
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Malattie allergiche
583
dei cofattori più importanti ed è stato inequivocabilmente
dimostrato che i figli di genitori che fumano presentano
con frequenza maggiore malattie respiratorie e asma, con
alterazioni polmonari a volte irreversibili.
Altri importantissimi trigger di asma sono i virus e
tra questi, in particolare, il virus respiratorio sinciziale
(VRS), il parainfluenzale, i rinovirus, i virus influenzali e
il micoplasma; tra i batteri è noto l’effetto asmigeno della
Bordetella pertussis. Gli agenti eziologici per eccellenza
sono comunque rappresentati sia dagli allergeni a diffusione aerea sia da quelli alimentari.
Tra i primi si distinguono gli stagionali e i perenni,
che causano sintomi perduranti per tutto l’anno (acari
della polvere, spore fungine o epiteli di animali). Tra gli
allergeni usualmente stagionali, in climi particolarmente
temperati, le graminacee e la parietaria possono essere a
fioritura pressoché perenne e debbono quindi essere presi
in considerazione anche nelle forme di asma non stagionale. Benché di rado, anche gli allergeni alimentari possono
indurre asma: in questi casi la prognosi è più severa.
Tra i più frequenti fattori che possono indurre, peggiorare
o aggravare l’attacco asmatico sono da ricordare lo sforzo
e lo stress. L’asma da sforzo è relativamente frequente: è
caratterizzato da broncospasmo associato a tosse, respiro
corto, mancanza di respiro o eccessivo affaticamento che
si manifesta 5 minuti dopo un esercizio fisico o quando la
frequenza cardiaca superi i 170 battiti al minuto. Nella patogenesi giocano un ruolo importante sia il raffreddamento sia
l’aumento dell’osmolarità delle secrezioni. Lo stress psichico,
a sua volta, può scatenare o peggiorare la gravità dell’accesso asmatico attraverso la liberazione di neuropeptidi;
tuttavia, non bisogna sottovalutare l’impatto emotivo che lo
stesso attacco asmatico esercita sul paziente e sui familiari,
e a volte si può correre il rischio di scambiare l’ansia e lo
stress conseguenti all’asma per la causa scatenante.
Negli ultimi 10 anni è stato ampiamente indagato il
ruolo della carenza di vitamina D nel determinare un aumentato rischio di sviluppare asma e patologie allergiche.
Secondo le ipotesi emerse dagli studi condotti, il deficit di
vitamina D avrebbe, da una parte, un ruolo diretto, caratterizzato dal potenziamento dell’iperreattività bronchiale
basale o da sforzo, dall’aumento della conta eosinofila e
dei livelli di IgE sieriche e, dall’altro, un ruolo indiretto,
favorente una maggiore morbilità polmonare, che agisce
da trigger nel favorire le esacerbazioni asmatiche. Inoltre, i
livelli di vitamina D sarebbero inversamente correlati con
il consumo di glucocorticoidi per via inalatoria utilizzati
in terapia e, dunque, con le forme asmatiche più severe
e i quadri spirometrici di asma intermittente con ridotta
capacità vitale forzata.
Manifestazioni cliniche
Gli attacchi di asma possono insorgere in modo repentino,
acutamente o essere preceduti da sintomi insidiosi; in
genere gli episodi acuti seguono l’esposizione diretta a
5/14/13 8:56:14 AM
584
CAPITOLO 30 Malattie allergiche
TAB EL L A 30 .6
Criteri clinici/laboratoristici di gravità dell’attacco asmatico acuto
Segno/sintomo
Asma lieve
Asma moderato
Asma grave
Asma molto grave
Tosse
Capacità di parola
Frequenza respiratoria
Colorito
Sensorio
Wheezing
Uso dei muscoli accessori
PEF-FEV1%
SaO2 (% in aria)
PaCO2 (mmHg)
+
Discorsi
Normale
Normale
Normale
Fine espirazione
No
60-70
>95%
<42
++
Frasi
Aumentata
Pallore
Agitazione
Espirazione
Modesto
40-70
90-95%
<42
+++
Poche parole
Aumentata
Pallore/cianosi
Agitazione intensa
Inspirazione/Espirazione
Notevole
40
<90%
>42
Spesso assente
Gasping
Aumentata
Cianosi
Confusione/sopore
Assente
Movimenti toracoaddominali paradossi
<25
<90%
>42
(Da: Criteri SIP 2007 e ICON 2012; modificata.)
irritanti (aria fredda, fumo) o agli allergeni in causa e sono
sostenuti essenzialmente dallo spasmo della muscolatura
bronchiale. Gli attacchi insidiosi, invece, sono spesso scatenati da concomitanti affezioni virali e preceduti da scolo
nasale e tosse per qualche giorno.
Nella forma conclamata di asma, il sintomo cardine
è la tosse, generalmente secca e ostinata, accompagnata o seguita da tachipnea e dispnea prevalentemente o
totalmente espiratoria, caratteristicamente con respiro
sibilante. Tuttavia, questi segni di accompagnamento non
sono sempre presenti e può a volte mancare il sibilo espiratorio, sia negli attacchi gravi, perché il flusso d’aria è
così scarso da non provocare il sintomo, sia nelle forme
più modeste, perché l’interessamento dei piccoli bronchi può essere poco sintomatico: i criteri di gravità che
consentono di giudicare l’attacco acuto di asma sono stati
recentemente rivisti nelle linee guida ICON e sono riportati nella Tabella 30.6.
La tosse e il prolungamento della fase espiratoria, al
contrario, non mancano mai e rimangono comunque e
sempre i sintomi cardine.
Talvolta la tosse, sia diurna sia prevalentemente notturna,
può costituire l’unico sintomo: di fatto è un segno molto sensibile di asma, ma non specifico, per cui la diagnosi in questi
casi va posta solo dopo la dimostrazione della reversibilità in
TAB EL L A 30 .7
seguito all’uso di broncodilatatori; mantiene tuttavia il significato indicativo forte qualora coesistano altre manifestazioni
di atopia, come la dermatite atopica o la rinocongiuntivite.
Nelle forme più gravi possono comparire cianosi, tachicardia e polso paradosso; il bambino assume allora la posizione
accovacciata e non riesce nemmeno a camminare. Quando
la difficoltà respiratoria è particolarmente intensa, il coinvolgimento dei muscoli respiratori accessori e soprattutto del
diaframma causa dolori addominali: fegato e milza possono
divenire palpabili per abbassamento della cupola diaframmatica da sovradistensione polmonare. Spesso il bambino presenta
intensa sudorazione, stato di agitazione e lieve rialzo febbrile, e
lamenta senso di oppressione toracica (vedi Tabella 30.6).
L’asma cronico è stato classificato in diversi stadi di
gravità, in base alle caratteristiche cliniche in assenza di
terapia, elencati nella Tabella 30.7.
Diagnosi e diagnosi differenziale
Nelle forme a espressione tipica, la diagnosi è facile: l’esame ispettivo evidenzia atteggiamento inspiratorio della
gabbia toracica con appianamento degli spazi intercostali;
la percussione dà un suono alto a timbro timpanico e
all’auscultazione si percepiscono respiri prolungati, fischi,
sibili e rumori secchi diffusi. La somministrazione dei ␤2
Classificazione di gravità dell’asma in base alle caratteristiche cliniche in assenza
di terapia
Step di gravità
Sintomi
Sintomi notturni
Funzionalità polmonare
Step 1
Intermittente
Step 2
Lieve persistente
Step 3
Moderato persistente
Step 4
Grave persistente
≤1/settimana
≤2 volte al mese
>1/settimana
ma <1 volta al giorno
Sintomi giornalieri
che limitano l’attività
Sintomi continui
Attività fisica limitata
>2 volte al mese
FEV1 80% predetto
Variabilità PEF <20%
FEV1 80% predetto
Variabilità PEF 20-30%
FEV1 60-80% predetto
Variabilità PEF >30%
FEV1 <60% predetto
Variabilità PEF >30%
>1 volta alla settimana
Frequenti
(Da: Progetto Mondiale ASMA 2011; modificata.)
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CAPITOLO 30
TAB EL L A 30 .8
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Diagnosi differenziale delle condizioni bronco-ostruttive
Condizione
Laringo-tracheomalacia
Displasia broncopolmonare
Fibrosi cistica
Corpo estraneo
Pertosse
Bronchiolite
Epiglottite
Reflusso gastroesofageo
Anomalie congenite
Bronchiectasie
Prolasso valvola mitrale
Sindromi da aspirazione
Sindrome da iperventilazione
Bronchite cronica
Tumori (extra- o intraluminali)
Frequenza relativa di incidenza
Lattante
Bambino
Adolescente
Adulto
++
±
–
–
+++
++
+++
+++
+++
+++
+++
+
–
+
–
–
–
++
+++
+
–
+
+
+
+
–
±
+
–
–
±
±
–
–
–
+
–
+
+
±
++
–
–
±
±
–
–
–
+
–
+
+
+
++
++
+
agonisti e il miglioramento/risoluzione del quadro sono
infine dirimenti; tuttavia, nei bambini più piccoli, la diagnosi diviene certa solo dopo aver escluso le altre cause di
wheezing, con una meticolosa valutazione epidemiologica,
clinica e, se del caso, strumentale (Tabella 30.8).
Nel contesto dell’attacco asmatico acuto, nella gestione dell’emergenza, è necessario escludere la presenza
di eventuali complicazioni, per cui è utile ricorrere ad
alcuni accertamenti: la radiografia del torace consente di
verificare la presenza di atelectasie, pneumomediastino
e pneumotorace e di valutare l’entità dell’enfisema; la
valutazione dell’equilibrio acido-base è indispensabile:
se il disturbo meccanico respiratorio è importante, il pH
generalmente alcalino nell’asma, come conseguenza dell’iperventilazione, diviene progressivamente acido per il
costante incremento della pCO2, costituendo un segno
significativo di grave insufficienza respiratoria. In questi
casi il pH deve essere monitorato nel tempo.
Nella gestione in elezione del paziente asmatico sia a
breve sia a lungo termine, i test di funzionalità respiratoria
sono indispensabili e consentono non solo di determinare
il grado dell’ostruzione e la risposta al trattamento, ma
anche e soprattutto di individuare i casi di ostruzione più
lieve, clinicamente poco apprezzabili. I parametri dinamici
(FEV1) sono più informativi di quelli statici e gli schemi
interpretativi e il significato dei parametri di funzionalità
respiratoria sono riportati nella Tabella 30.9. Gli esami
più complessi, come la pletismografia o la diffusibilità
dei gas – che rilevano appunto i parametri statici come il
volume residuo, i volumi di riserva e la capacità vitale –
sono da riservare ai casi più complessi in cui può essere
presente un difetto restrittivo.
I test cutanei in vivo (prick) o in vitro (RAST) consentono di stabilire l’eziologia; i test di provocazione (esercizio
fisico: corsa o cyclette) o di stimolazione (metacolina)
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Malattie allergiche
TA BELLA 30.9
Parametri di funzionalità
respiratoria nel bambino
con asma
Test
Parametri
Spirometria
Riduzione di FEV1, FVC, FEF25-75,
FEV1/FVC
Incremento del FEV1 del 15%
rispetto al basale
Caduta del FEV1 dopo 3-5 min
di esercizio
Caduta del FEV1 del 20% rispetto
al basale
Test di reversibilità
al ␤2-stimolante
Test di broncolabilità da sforzo
Test di provocazione bronchiale
(test con metacolina)
potranno mettere in evidenza una condizione di iperreattività bronchiale, dettando così le linee guida per un
corretto approccio terapeutico.
Meno facile è la diagnosi di asma quando la sintomatologia non è tipica: tosse, bronchite, sinusite e in genere
quadri di infezioni ricorrenti delle vie aeree superiori possono essere sottesi da una condizione allergica, soprattutto
nel bambino piccolo.
In questi casi vanno valorizzate la storia familiare di
collaterali con manifestazioni allergiche e l’eventuale presenza di altre manifestazioni allergiche, come dermatite,
rinite e orticaria. Gli esami di laboratorio possono essere di qualche ausilio: l’emocromo è in genere normale e
anche l’eventuale presenza di eosinofilia è da interpretare
con cautela, in quanto si tratta di un parametro comunque
aspecifico. Più utile e specifica è la ricerca di eosinofili nel
secreto nasale o nell’escreato (se il piccolo è in grado di
espettorare): gli eosinofili abbondano nei secreti dei soggetti asmatici, mentre in caso di infezione si evidenziano
neutrofili e batteri.
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CAPITOLO 30 Malattie allergiche
Da un punto di vista diagnostico, le prove di stimolazione bronchiale non sono dirimenti, perché un’iperreattività bronchiale aspecifica può concomitare e residuare agli
episodi infettivi in molti individui in realtà non allergici;
ha più significato, in questi casi, l’esecuzione del test spirometrico in condizioni basali e dopo broncodilatazione, con
il quale si osserva che gli indici funzionali non migliorano
(vedi Tabella 30.9). Una radiografia o una RM dei seni
paranasali può dimostrarsi utile nell’evidenziare la possibile (e probabile) concomitanza di sinusite, che spesso
peggiora o cronicizza l’attacco asmatico.
Sono molte le malattie che possono causare broncoostruzione e a volte la diagnosi differenziale non è così facile
(vedi Tabella 30.8). Per la maggior parte dei casi, tuttavia,
semplici esami radiografici consentono di differenziarle. A
volte si impone l’esecuzione di indagini più complesse: la
broncoscopia per il rilevamento di eventuali corpi estranei,
la pH-metria esofagea per evidenziare un eventuale reflusso
gastroesofageo, la scintigrafia polmonare per le alterazioni
vascolari, la biopsia delle ciglia e la TC polmonare per le
forme con sospetto di bronchiectasie e la sarcoidosi.
Prognosi e trattamento
La prognosi dell’asma è stata definita sulla base dei dati
epidemiologici raccolti da Martinez e dal suo gruppo, che
hanno identificato, in base all’età di insorgenza e alla presenza o meno di atopia, tre differenti tipologie di bambini
con respiro sibilante con differente prognosi.
Un gruppo (denominato early wheezer) raccoglie i
bambini che hanno wheezing nei primi anni di vita e dimostrano sostanziale negatività dei test allergologici: si tratta
di bambini che presentano sintomi asmatici in conseguenza
del piccolo calibro delle vie aeree. Ogni infezione anche
banale causa un restringimento ulteriore delle vie aeree per
TAB EL L A 30 .1 0
la presenza di muco o edema e, superata l’età caratterizzata
dal ripetersi di infezioni delle alte vie respiratorie – quindi
entro il 5-6° anno di età –, i bambini non resteranno asmatici ma diverranno per lo più asintomatici.
Diverso è il destino dei soggetti che dimostrano un substrato atopico: in questi casi (definiti persistent wheezer) è
assai probabile che l’asma perduri oltre il primo quinquennio di vita, essendo causata da una vera broncocostrizione,
oltre che dal piccolo calibro delle vie aeree. La prognosi, in
questi casi, è analoga a quella dei soggetti del terzo gruppo
(late wheezer), che non presentano respiro sibilante nei
primi anni di vita (il calibro delle vie aeree è normale), ma
divengono atopici; l’atopia esordisce oltre i 5 anni di età,
in età scolare, con asma conclamato. Di questi, non più
del 50% rimane asmatico anche in età adulta.
Sono stati elaborati protocolli clinico-terapeutici che,
basandosi sulla frequenza notturna e diurna dei sintomi,
eventualmente integrata dalla variabilità del picco di flusso
espiratorio (PEF), delineano uno schema comportamentale a
seconda dei livelli di gravità, che sono stati graduati secondo
i criteri riportati nella Tabella 30.10. Il protocollo internazionale prevede, per ciascun livello, l’indicazione all’uso di
particolari presidi terapeutici che dovrebbero essere in grado
di controllare l’asma. La conduzione della terapia è quindi
dinamica e si modula sul livello di controllo dell’asma: se
non debitamente controllato, l’asma richiede modifiche della
terapia considerando il livello successivo di gravità. In caso
invece di buon controllo, si passa allo schema previsto per
lo step inferiore, come illustrato nella Tabella 30.10.
Negli stadi più lievi (step 1) non è previsto un trattamento di fondo continuativo, ma si fronteggiano i singoli
attacchi con l’impiego dei ␤2- agonisti e si riserva l’impiego
di steroidi a basse dosi all’intervento nelle forme più gravi
(step 2), in alternativa all’impiego di antileucotrieni o, laddove se ne ravvisi l’utilità, di teofillina. Nelle forme mode-
Terapia dell’asma graduata secondo il livello di controllo dei sintomi di asma
Riduzione terapia ← + livello di controllo – → Aumento terapia
Step 1
Step 2
Step 3
Step 4
Step 5
Somministrazione
di ␤2-agonisti a rapida
insorgenza d’azione
Somministrazione
di ␤2-agonisti a rapida
insorgenza d’azione
Scegliere uno tra:
a) Bassa dose di CSI*
Somministrazione
di ␤2-agonisti a rapida
insorgenza d’azione
Scegliere uno tra:
a) Bassa dose di CSI*
più ␤2-agonisti a lunga
azione**
b) Media o alta dose di CSI
c) Bassa dose di CSI
più antileucotrienico
d) Bassa dose di CSI
più teofillina ritardo
Somministrazione
di ␤2-agonisti a rapida
insorgenza d’azione
Aggiungere uno o più:
a) Media dose di CSI**
più ␤2-agonisti a lunga
azione**
b) Antileucotrienico
c) Teofillina ritardo
Somministrazione
di ␤2-agonisti a rapida
insorgenza d’azione
Aggiungere uno o entrambi:
a) Glucocortico-steroidi orali
b) Antileucotrienico
b) Trattamento con anti-IgE
*Corticosteroidi inalatori
**Salmeterolo >4 anni, Formeterolo >6 anni
(Da: Progetto Mondiale Asma 2011; modificata.)
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CAPITOLO 30
rate o gravi persistenti (step 3-4), si esclude la possibilità
di una monoterapia e agli steroidi topici vanno aggiunti i
␤2-stimolanti a lunga durata di azione ed eventualmente
antileucotrieni o teofillina ritardo, mantenendo la concentrazione sierica tra 5 e 15 ␮g/mL. In caso di scarsa risposta
terapeutica, si deve aumentare il dosaggio degli steroidi
topici o, nell’asma refrattario o “difficile” (step 5), che
fortunatamente è piuttosto raro, agli steroidi topici ad alto
dosaggio e ai ␤2-stimolanti va aggiunto lo steroide per os (o
per via parenterale) al dosaggio di 2 mg/kg, non superando
il dosaggio massimo di 60 mg/die. Nelle forme di accertata
natura IgE-mediata si possono ottenere buoni risultati
aggiungendo l’omalizumab (Xolair), anticorpo monoclonale umanizzato anti-IgE. Il trattamento è autorizzato
per i pazienti di età superiore ai 6 anni e consiste in una
Malattie allergiche
587
somministrazione per via sottocutanea ogni 2-4 settimane
per almeno 12-16 settimane.
Per quanto riguarda il trattamento dell’attacco acuto, anch’esso va modulato a seconda della gravità, che viene valutata
in tre gradi secondo lo schema proposto nella Figura 30.5.
Nell’attacco lieve è utile somministrare salbutamolo
per via inalatoria, sia con aerosol sia con distanziatore
(aerochamber), ambedue ugualmente efficaci: la somministrazione può essere ripetuta ogni 20 minuti per
3 dosi; a miglioramento ottenuto, il salbutamolo può essere
proseguito ogni 4-6 ore, diminuendone progressivamente la
frequenza di somministrazione fino alla sospensione nell’arco di 7 giorni; se il bambino era già in trattamento
continuativo con steroidi, il loro dosaggio deve essere
raddoppiato (vedi Figura 30.5).
Attacco lieve
Attacco moderato
Attacco grave
SALBUTAMOLO
spray con distanziatore o nebulizzatore,
ripetibile se necessario ogni 20 min fino
a un massimo di 3 dosi
RISPOSTA
insoddisfacente
soddisfacente
e stabile per la 1a h o ricaduta nella 1a h
SALBUTAMOLO + IPATROPIUM
spray con distanziatore o
nebulizzatore ogni 20 min per 3 dosi
+ STEROIDE per os
RISPOSTA
insoddisfacente
soddisfacente
e stabile per la 1a h o ricaduta nella 1a h
RICOVERO
SALBUTAMOLO + IPATROPIUM
aerosol o spray con distanziatore ogni 20
min per 3 dosi + STEROIDE per os o
per via parenterale + O2
RISPOSTA
insoddisfacente
soddisfacente
e stabile per la 1a h o ricaduta nella 1a h
NO RICOVERO
Il paziente
può continuare
SALBUTAMOLO
ogni 4-6 h, poi con
frequenza minore
per 7 giorni
Per i pazienti
in trattamento con
STEROIDI INALATORI
(CSI) continuare a
utilizzarli alle loro
dosi abituali
Ripetere
SALBUTAMOLO
(ogni 20 min
per 3 dosi)
+ STEROIDE
per os (CSO)
Migliora
Non
migliora
Continuare
SALBUTAMOLO
e CSO
Trattare come
attacco
moderato
Ridurre
progressivamente
la frequenza di
somministrazione
di
SALBUTAMOLO +
IPATROPIUM
Continuare CSO
Ridurre
la frequenza di
somministrazione
del SALBUTAMOLO
+ IPATROPIUM
(inizialmente
ogni ora per 3 dosi)
Eventualmente
Continuare CSO e
O2 se SaO2 <95%
Continuare solo
SALBUTAMOLO
e CSO
RICOVERO
Ripetere:
SALBUTAMOLO +
IPATROPIUM
(ogni 20 min
per 3 dosi)
Ripetere:
SALBUTAMOLO
+ IPATROPIUM
(ogni 20 min per
3 dosi)
Continuare
CSO e O2
Se non migliora
considerare
AMINOFILLINA
SALBUTAMOLO ev
RICOVERO IN TIP
Continuare CSO
Somministrare O2
Migliora
Non migliora
Ridurre in base
alla risposta
clinica
Trattare come
attacco
grave
FIGURA 30.5 - Terapia dell’attacco acuto di asma. (Da: Documento SIP, 2007; modificata.)
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CAPITOLO 30 Malattie allergiche
Nei casi più impegnativi, se non si ottiene la stabilizzazione, la nebulizzazione può essere continuata e va
aggiunto un breve ciclo di steroide per os (2-3 giorni).
Se anche questo intervento fallisce o se già all’esordio
le caratteristiche sono invece di moderata gravità, viene
aggiunto immediatamente lo steroide per os o comunque
per via parenterale, insieme alla somministrazione di O2.
Se la risposta è soddisfacente, si procede come nell’attacco
lieve, altrimenti si ripetono le tre inalazioni di salbutamolo
con aggiunta dell’ipatropium bromuro (vedi Figura 30.5).
Nell’attacco grave, oltre a quanto previsto per l’attacco di
moderata gravità, è indicata anche la somministrazione
di liquidi (e degli stessi steroidi) per via endovenosa e, in
caso di scarsa risposta, si procede al ricovero in terapia intensiva. In quella sede, oltre all’O2 verranno somministrati
salbutamolo (o aminofillina) per via endovenosa, metilprednisolone ev (Urbason da 20 e da 40 mg: 1 mg/kg)
o idrocortisone (4 mg/kg). Nelle forme meno gravi, lo
steroide può essere somministrato semplicemente per via
aerosolica, in associazione al ␤2-stimolante con analoga
frequenza. Questo comportamento “di prima linea” in
genere è sufficiente a controllare l’attacco acuto. L’epinefrina (Adrenalina, fiala da 1 mg) è indicata solo se la
bronco-ostruzione si sviluppa nel contesto di uno shock
anafilattico, mentre, come si è detto, ancora spazio ha la
teofillina (Aminomal elisir), per lo meno in alcuni casi
particolari, quando per esempio sia accertata la scarsa
compliance alla terapia inalatoria e si sia dimostrato
insufficiente l’apporto di farmaci di associazione assai
più maneggevoli come gli antileucotrieni. Anche se è
ormai acquisito che l’aggiunta di teofillina alla terapia
di prima linea non porta ulteriori vantaggi terapeutici, la
sua efficacia come broncodilatatore non è minimamente
messa in dubbio e trova quindi indicazioni in alcuni casi
particolari:
• nei bambini piccoli o in quelli in cui vi sia obiettiva
difficoltà a ottenere una buona collaborazione per la
terapia inalatoria;
• nei bambini che mostrino una scarsa risposta ai
␤2-stimolanti e allo steroide;
• anche nella terapia di mantenimento, per quei soggetti
che dimostrino o dichiarino di accettare più volentieri
una terapia per os piuttosto che topica.
Importante quanto la terapia broncodilatatrice risulta
la terapia di supporto, che deve tenere monitorati ed
equilibrati, oltre all’ossigenazione e all’equilibrio acidobase, l’equilibrio idrosalino e la condizione di ansia. È
perciò essenziale mantenere un’adeguata ossigenazione,
senza temere di somministrare un eccessivo flusso di ossigeno, controllabile facilmente con misurazioni seriate
dell’equilibrio acido-base; altrettanto indispensabile è
la somministrazione di liquidi per via parenterale: tutti i
pazienti in crisi acuta moderata-grave sono parzialmente
disidratati; inoltre è opportuno tenere sotto controllo la
potassiemia, perché la somministrazione di ␤2-stimolanti
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può facilitare l’insorgenza di un’ipopotassiemia. Vanno
evitati i sedativi per attenuare lo stato di agitazione e di
ansia, secondario alla difficoltà respiratoria e che recede
dominando i sintomi asmatici.
In seguito, una volta superata la fase acuta, i ␤2-stimolanti
devono essere somministrati ogni 4-6 ore, se a breve
durata d’azione; qualora si intenda iniziare una terapia
prolungata, trovano utile applicazione i ␤2-stimolanti a
lunga durata, che devono essere somministrati ogni 12 ore.
La prescrizione dei farmaci deve essere preceduta da
un’accurata informazione della famiglia e del bambino, e
la terapia va sostenuta con supporti psicologici adeguati,
perché non si crei un circolo vizioso di ansia e stress che
mantiene la condizione asmatica: proprio per questo ha
assunto grande importanza l’aspetto educazionale del
paziente asmatico.
Gran parte dei fallimenti terapeutici dell’asma è dovuta
a scarsa compliance delle famiglie o dei pazienti, che non
si attengono alle prescrizioni terapeutiche o, molto spesso,
non sanno seguirle correttamente. È molto importante
che sia compresa appieno l’importanza di una corretta
esecuzione della terapia topica, o per via aerosolica o
con l’impiego dei distanziatori, che sono decisamente
altrettanto, se non maggiormente, efficaci.
Pertanto, il bambino asmatico deve essere adeguatamente informato sull’asma, sulle condizioni che ne scatenano l’attacco (e che vanno quindi evitate) e sugli strumenti minimi di controllo della crisi che egli deve avere
sempre a disposizione. Deve inoltre essere incoraggiato
allo svolgimento delle attività fisiche e sportive, prediligendo gli sport non o poco asmigeni (in genere gli sport
d’acqua, in particolare il nuoto), assecondando comunque
la propensione del bambino, che deve trovare nell’attività
sportiva motivazioni anche di gioco e di divertimento.
Qualora si renda necessaria una terapia prolungata
di fondo, è indispensabile, inoltre, mantenere un attento
monitoraggio della crescita, in quanto, ad alti dosaggi,
gli steroidi potrebbero influire sulla velocità di crescita:
per questo è necessario mantenere in terapia inalatoria
gli steroidi al dosaggio minimo utile, che può variare nel
tempo. Inoltre, è indispensabile controllare che il bambino
mantenga una buona aderenza alla terapia: la regolare
assunzione dei farmaci, la correttezza nell’uso dei distanziatori e l’esecuzione periodica delle prove di funzionalità
respiratoria (che dovrebbero essere eseguite almeno due
volte l’anno). Importante anche il rigoroso controllo della
profilassi ambientale: evitare il fumo attivo e passivo, gli
ambienti sovraffollati, polverosi, gli sforzi improvvisi,
non preceduti da un buon “riscaldamento” muscolare.
È infine molto importante che il bambino sappia riconoscere da sé i sintomi pericolosi, che segnalano un attacco
di estrema gravità, potenzialmente pericoloso per la vita.
Per questo le linee guida internazionali insistono sull’opportunità di svolgere intensivi programmi educazionali,
anche suggerendone le strategie, che si possono riassumere
in alcuni punti fondamentali:
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CAPITOLO 30
Malattie allergiche
589
del Nord), ma la sua frequenza è in costante aumento in
parallelo con le altre malattie allergiche.
Eziopatogenesi
FIGURA 30.6 - Il misuratore di picco di flusso.
•
•
•
•
il pediatra deve fornire esaurienti informazioni riguardanti l’asma e il suo trattamento, cercando di coinvolgere nel programma tutte le figure rilevanti nella vita
del bambino, dai genitori agli insegnanti, agli amici;
discutere il programma terapeutico direttamente con
il bambino, ascoltandone le difficoltà, aiutandolo a
superarle, costruendo così un rapporto di fiducia;
adattare dosaggi e frequenza delle somministrazioni alle
richieste del bambino, negoziando l’aderenza massima
alla terapia e scrivendone i dettagli in un protocollo da
consegnare al bambino;
mantenere estrema disponibilità a controlli periodici
frequenti e programmati e a controlli “a richiesta”,
anche solo telefonici, coinvolgendo altri membri della
famiglia e, in caso di particolari difficoltà, la figura
dello psicologo.
È utile sollecitare bambino e famiglia a tenere il diario clinico,
che rappresenta uno strumento utile per verificare l’efficacia
della terapia, il ricorso a steroidi e la frequenza di impiego
dei ␤2-stimolanti nel caso di forme infrequenti; nelle prime
fasi della terapia a lungo termine, oltre al diario clinico,
può essere utile indicare anche il monitoraggio del picco
di flusso (PEFR, Peak Expiratory Flow Rate) (Figura 30.6)
che, seppure di valore diagnostico limitato, ha il vantaggio
di coinvolgere e responsabilizzare sia il bambino sia la famiglia. Il PEFR è meno sensibile della curva flusso/volume
ed è meno sensibile nel predire la ricaduta, ma si è rivelato
utile soprattutto nei ragazzi/adolescenti che tendono a sottostimare la gravità dei sintomi.
Rinocongiuntivite allergica
Se ne distinguono una forma stagionale e una perenne, in
base alla durata della sintomatologia nel corso dell’anno.
La rinite allergica colpisce circa il 10-20% della popolazione generale (il 10-15% in Europa e il 20% in America
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Gli allergeni più frequentemente responsabili di rinite
sono quelli a diffusione aerea, come i pollini, le polveri,
gli acari o le muffe. Nell’ambito dei pollini sono in gioco
soprattutto quelli costituiti da particelle leggere, in quanto
quelli di maggior peso (per esempio la mimosa) riescono a
rimanere sospesi con difficoltà e raramente vengono inalati
attraverso il naso provocando sintomatologia nasale. La
rinite allergica, tuttavia, soprattutto nella prima infanzia,
può essere causata anche dall’esposizione ad allergeni
alimentari contenuti in alcuni cibi (specialmente latte e
uovo) o coloranti e conservanti. Inoltre, in analogia con
quanto si verifica per l’asma bronchiale, anche la mucosa
nasale dei soggetti con rinite allergica ha una maggiore
reattività a stimoli esogeni aspecifici, quali fumo, umidità,
esposizione ai raggi solari, che possono inserirsi nel mantenimento della flogosi allergica. Spesso la storia familiare è
positiva per atopia e valgono per la rinite le stesse ipotesi
comuni a tutte le malattie allergiche.
Quando il soggetto atopico si è sensibilizzato, alla successiva esposizione la mucosa nasale reagisce con diminuzione della motilità ciliare, edema, infiltrazione leucocitaria,
specialmente di eosinofili: l’entità delle modificazioni della
mucosa è proporzionale alla durata e alla gravità della reazione allergica. La continua esposizione all’allergene porta a
ipertrofia della sottomucosa con assottigliamento della membrana basale e formazione di cellule schiumose. Tra le cellule
infiammatorie prevalgono i mononucleati con proliferazione
connettivale e iperplasia dell’adiacente periostio.
Gli antigeni solubili contenuti nei pollini (o nella polvere) entrano in contatto con la mucosa nasale e reagiscono
con le IgE fissate ai mastociti, dando inizio alla reazione
a cascata caratteristica della flogosi allergica. A seguito
della continua esposizione all’allergene, la sintomatologia clinica viene scatenata sempre più facilmente, con
quantità sempre minori di allergene (effetto priming).
Questo spiega perché, alla fine della stagione di fioritura
dell’allergene in causa, i soggetti sensibilizzati possono
presentare sintomi sempre più importanti anche se la
conta dei pollini nell’aria è diminuita. L’effetto priming,
inoltre, aumenta la reattività della mucosa nasale a stimoli
aspecifici, tra cui caratteristico è il cambio di posizione
della testa. La posizione supina, infatti, aumenta la resistenza nasale al passaggio dell’aria per perdita del tono
vascolare nasale con conseguenti vasodilatazione ed essudazione. Lo stesso si verifica anche nella rinite perenne
che, con fasi altalenanti, perdura per tutto l’arco dell’anno.
In questa forma anche stimoli aspecifici (fumo di tabacco,
profumi, spray, talco) possono innescare una ripresa dei
sintomi. Curiosamente, l’esercizio fisico, unica differenza
rispetto all’asma, rende le fosse nasali pervie e giova ai
soggetti con rinite perenne.
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CAPITOLO 30 Malattie allergiche
TAB EL L A 30 .1 1
Tipologia clinica della rinite (ARIA)
Sneezers e runners
Blockers
Starnutazione
Rinorrea
Prurito
Ostruzione nasale
Andamento giornaliero della sintomatologia
Prevalentemente parossistica
Sierosa anteriore e posteriore
Presente
Variabile
Peggiora di giorno, migliora di notte
Lieve o assente
Mucosa densa prevalentemente posteriore
Assente
Spesso severa
Costante durante giorno e notte, con possibile
peggioramento notturno
Congiuntivite
Spesso presente
(Da: Bachert C, et al. Allergic rhinitis and its impact on asthma. In collaboration with the World Health Organization. Executive summary of the workshop report.
7-10 December 1999, Geneva, Switzerland. In Allergy 2002; 57(9):841-55.)
Manifestazioni cliniche
Generalmente la malattia insorge in età scolare. Il gruppo di
studio ARIA (Allergic Rhinitis and Its Impact on Asthma)
ha classificato i pazienti affetti da rinite, in relazione alla
sintomatologia riferita, in due categorie: “sneezers/runners”
e “blockers” (Tabella 30.11). Nel primo caso i sintomi prevalenti sono caratterizzati da marcato prurito nasale (a volte
esteso a gola e palato molle), starnuti, spesso a ripetizione
e rinorrea sierosa. Nei pazienti blockers l’ostruzione nasale
rappresenta il sintomo cardine e le secrezioni nasali sono
più dense, con scolo prevalentemente posteriore (post nasal
drip). Il quadro, più frequentemente osservato nelle forme di
rinite perenne, può o meno essere complicato da respirazione
orale, ipertrofia delle tonsille e adenoidi con la tipica facies
adenoidea, cefalea ed epistassi. Nel bambino piccolo sono
in genere presenti tosse parossistica notturna e vomito, che
causano frequenti risvegli notturni: il bambino, al mattino,
è quindi stanco e lamenta gola secca. Spesso si osservano
iperemia congiuntivale e un alone violaceo sotto gli occhi
(occhiaie) causato dal rallentato scarico venoso delle orbitarie, in conseguenza dell’edema della mucosa del naso
e dei seni paranasali. La rinite viene classificata a seconda
della frequenza e della gravità (Figura 30.7) e in base alla
valutazione viene modulato l’intervento terapeutico. La classificazione è stata validata anche nella popolazione pediatrica
di età compresa tra 6 e 12 anni. Nelle forme che durano
da qualche anno può comparire la tipica piega nasale trasversale dovuta ai continui manipolazione e sollevamento
della punta del naso per contrastare il prurito e lo scolo
sieroso. In questi casi il bambino assume anche la tipica
facies adenoidea con malocclusione dentale e lingua a carta
geografica. Molto frequentemente si accompagnano sintomi
riferibili a congiuntivite allergica: si manifestano spesso in
maniera improvvisa con edema congiuntivale, iperemia,
cheratite superficiale, lacrimazione profusa e prurito insopportabile, tanto da provocare insonnia. La presenza di
fotofobia e insonnia fa pensare all’interessamento di altre
strutture dell’occhio (cornea, sclera e uvea). Nella forma
cronica prevalgono secchezza, fotofobia, prurito e offuscamento della vista. Le congiuntive possono apparire pallide
con lieve edema e iperplasia delle papille, che conferisce un
aspetto finemente granulare.
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Intermittente
• <4 giorni/settimana
• o <4 settimane
Persistente
• >4 giorni/settimana
• e >4 settimane
Lieve
• sonno conservato
• nessuna limitazione
nelle attività
quotidiane
• normale attività
lavorativa o scolastica
• sintomi non fastidiosi
Moderata-grave
uno o più dei seguenti
• alterazioni del sonno
• limitazioni delle attività
quotidiane
• riduzione delle prestazioni lavorative/scolastiche
• sintomi gravi
Nei pazienti non trattati
FIGURA 30.7 - Classificazione della rinite allergica. (Da: Documento
ARIA; modificata.)
Nelle forme più ostinate e gravi si può avere come complicazione la perdita del gusto e dell’olfatto: questi segni
vanno ricercati, poiché il bambino può non rendersi conto
della perdita e quindi non segnalarla, mentre è quanto mai
importante esserne a conoscenza, in quanto la perdita di
gusto e olfatto in età adolescenziale può sottendere una
condizione di anoressia.
L’esame obiettivo della mucosa nasale mostra una colorazione biancastra o bianco-grigiastra con presenza di
essudato chiaro sieroso e a volte grigiastro, con marcata
ipertrofia dei turbinati. Poiché la mucosa delle vie aeree
superiori è un continuo con quelle dell’orecchio medio
e dei seni paranasali, con estrema frequenza la rinite si
complica con sinusiti e otiti.
Diagnosi e diagnosi differenziale
La diagnosi di rinite allergica è relativamente semplice:
nel 50% dei casi, nell’anamnesi risulta una familiarità per
atopia e la storia clinica spesso dimostra la concomitanza
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CAPITOLO 30
o la pregressa presenza di altre manifestazioni come la
dermatite atopica o l’asma. Sono frequenti anche le infezioni respiratorie ricorrenti. La storia clinica deve essere
poi integrata dall’esame obiettivo con il quadro clinico e
rinoscopico tipico e possono essere utili alla diagnosi la
dimostrazione della presenza di IgE specifiche per qualche
allergene e la positività delle prove di scatenamento. Tuttavia, quand’anche tutti gli elementi concordino, possono
sussistere dubbi sulla reale natura dello specifico episodio
ed entrano allora in diagnosi differenziale soprattutto la
rinite vasomotoria e le riniti infettive. In questi casi lo
striscio dell’essudato nasale può essere dirimente: se gli
eosinofili sono superiori al 10% dei globuli bianchi la
natura allergica è probabile, se sono superiori all’80-90%
delle cellule dello striscio l’allergia è assolutamente certa.
Va comunque ricordato che anche nella rinite allergica
lo striscio nasale può essere negativo. Di qualche utilità
può essere anche la ricerca degli eosinofili circolanti nel
sangue periferico: se questi sono più di 70/mm3 la natura
allergica è probabile, ma conte inferiori non la escludono.
Il dosaggio delle IgE totali è, come per tutte le forme di
allergia, un test di corredo e non sicuramente diagnostico.
Nei soggetti con forme perenni è opportuno verificare
se vi siano concomitanti fattori predisponenti, come la
deviazione del setto nasale o la formazione di polipi.
La diagnosi differenziale si pone con le altre riniti di
natura infettiva, in particolare con alcune forme di rinosinusite o con le forme di rinite vasomotoria o medicamentosa.
Certamente le infezioni respiratorie ricorrenti sono sempre
costituite anche dalla rinite, ma la durata, le caratteristiche
delle secrezioni e la presenza di alterazioni sistemiche e
foci infettivi consentono in genere di chiarirne la causa.
Nel bambino piccolo un’ostruzione nasale persistente può
essere riconducibile ad atresia delle coane o a presenza di
un corpo estraneo – in questo caso, però, è tipicamente
monolaterale – o, molto spesso, a ipertrofia adenoidea. In
questi casi una rinoscopia posteriore in fibroscopia consente
una valutazione precisa dell’entità dell’ostruzione. La rinite
vasomotoria è molto rara in età pediatrica ed è caratterizzata da profusa secrezione sierosa in assenza di qualunque
sensibilizzazione allergica. In caso di presenza di poliposi,
è opportuno approfondire gli accertamenti, valutando sia
la fibrosi cistica sia un’immunodeficienza di base.
La complicazione più frequente della rinite è costituita
dalla sinusite, che causa cefalea e scolo mucopurulento in
retrofaringe con tosse, prevalentemente notturna, e dalle
otiti, che sono presenti in oltre il 20% dei casi e che possono esitare in ipoacusia.
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591
l’associazione diviene assai più frequente in casi di allergia
al dermatofagoide (oltre il 50% dei casi).
Una volta identificati gli allergeni responsabili, è certamente determinante cercare di evitare l’esposizione ad
essi: soprattutto nelle forme stagionali è utile il condizionamento con filtri totali degli ambienti o la dotazione
di una mascherina, quando si possa ragionevolmente
prevedere un’intensa esposizione. Nei casi di allergia o
intolleranza a cibi, la dieta di eliminazione è efficace e
porta a miglioramento della sintomatologia. In ogni caso
è opportuno mantenere rigorose misure di profilassi ambientale, soprattutto nelle forme di rinite perenne, quali
il controllo della polvere e l’evitare il fumo di sigaretta e
gli ambienti inquinati.
La terapia farmacologica prevede l’impiego di farmaci
diversi, a seconda della gravità (Figura 30.8). Gli antistaminici sono il farmaco di elezione, previsto in ogni stadio
di gravità. Cromoni e steroidi topici sono invece indicati
nelle forme medio-gravi; raramente è necessario ricorrere
alla terapia sistemica. L’immunoterapia specifica non ha
una precisa collocazione nell’ambito delle riniti, ma pare
avere un effetto protettivo sullo sviluppo di asma, per cui
nei soggetti preferibilmente monosensibilizzati può avere
indicazione.
I farmaci di prima scelta sono rappresentati dagli antistaminici, somministrabili sia localmente sia per via generale. Esistono a oggi evidenze molto forti che indicano, in
realtà, una maggiore efficacia degli steroidi rispetto agli
antistaminici nel controllo dei sintomi di rinite, ma questi
ultimi vengono comunque preferiti per ottenere alla fine un
certo risparmio di steroidi che spesso – in circa il 50% dei
casi – devono essere usati anche per il controllo dell’asma.
Gli antistaminici dovrebbero essere somministrati preferibilmente in modo continuativo, subito a partire dall’inizio
e per tutta la durata della stagione di fioritura dei pollini
ModerataLieve
grave
persistente
intermittente
Moderatagrave
persistente
Lieve
intermittente
Steroide nasale
Cromone nasale
Antistaminico non sedativo orale o locale
Allontanamento di allergeni e irritanti
Prognosi e trattamento
La prognosi è generalmente buona, nei casi ben curati. La
sintomatologia, in genere, si attenua alla pubertà e ricompare intorno alla 3a o 4a decade di vita. L’allergia
nasale stagionale o perenne si accompagna abbastanza
frequentemente ad asma bronchiale (3-10% dei casi), ma
Malattie allergiche
Immunoterapia
FIGURA 30.8 - Terapia della rinite allergica a seconda dei criteri
di gravità.
5/14/13 8:56:15 AM
592
CAPITOLO 30 Malattie allergiche
in causa. A questo scopo sono preferibili quindi gli antistaminici di nuova generazione (cetirizina, levocetirizina o
loratadina, mentre la terfenadina è stata di recente ritirata
dal commercio), dal momento che garantiscono minori
effetti collaterali, quali sonnolenza, cefalea, secchezza delle
mucose, insonnia, palpitazioni o incoordinazione motoria.
La risposta clinica è molto variabile e non esistono criteri
predittivi dell’efficacia farmacologica dei diversi preparati;
per questo un preparato deve essere rapidamente sostituito con un altro, possibilmente di diversa classe, a ogni
insuccesso terapeutico.
Di qualche utilità nella profilassi può essere il ricorso
ai cromoni, come il disodiocromoglicato (DSCG) o il più
recente sodio nedocromile: la funzione stabilizzatrice di
membrana è discretamente efficace. I limiti della terapia
sono il dover iniziare prima della stagione di fioritura e
la schedula di somministrazione, che prevede uno spray
endonasale fino a 6 volte al giorno e presuppone un livello
di compliance difficile da ottenere. I cromoni sono invece
indicati nel trattamento della congiuntivite allergica, ove
sembrano avere un’efficacia superiore.
In ogni caso, sia gli antistaminici sia i cromoni trovano
indicazione di elezione nelle forme cosiddette secretive,
caratterizzate cioè da starnutazione, abbondante secrezione e prurito.
Nelle riniti perenni prevalgono invece quadri clinici
dominati dall’ostruzione, che sono efficacemente controllati dagli steroidi.
Tra gli steroidi topici, beclometasone (Clenil jet 50 e
spray), flunisolide (Lunibron A) e budesonide sono quelli
maggiormente impiegati; budesonide e fluticasone sembrano essere i più efficaci e hanno il vantaggio della monosomministrazione giornaliera: la terapia deve essere protratta da almeno 2 settimane a periodi anche più lunghi,
tenendo conto che le evidenze finora raccolte sono molto
rassicuranti e non si registrano effetti collaterali di rilievo
né sistemici né locali, anche per trattamenti prolungati;
raramente vengono riportate secchezza della mucosa, epistassi e irritazione (bruciore).
Il ricorso agli steroidi per via orale o parenterale è
davvero eccezionale in età pediatrica, mentre l’uso combinato di antileucotrieni e antistaminici pare promettente
e sembra avere efficacia molto maggiore sul controllo dei
sintomi rinitici rispetto all’impiego degli antistaminici da
soli, evitando così il ricorso agli steroidi per via locale.
Tuttavia, i dati sono preliminari e l’impiego di questa
combinazione è del tutto sperimentale, in attesa di risultati definitivi sia in termini di efficacia sia in termini di
sicurezza e tossicità.
Trovano impiego solo occasionale (e comunque vanno
preferibilmente evitati) i vasocostrittori topici in gocce
o spray che contengono agonisti ␣-adrenergici: il loro
effetto è temporaneo e alla vasocostrizione segue una
vasodilatazione che aumenta l’edema della mucosa e la
congestione nasale, spingendo il paziente a ulteriori e
troppo frequenti applicazioni, con il possibile sviluppo di
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una rinite medicamentosa. Al contrario, è indicata, soprattutto nelle riniti perenni, la terapia decongestionante con
lavaggi e irrigazioni a base di soluzioni saline (soluzione
fisiologica e ipertonica).
Il ricorso all’immunoterapia specifica è indicato quando
la forma di rinite sia particolarmente grave e resistente
al trattamento, tenendo sempre presenti le condizioni
generali permissive:
• dimostrata allergia a quel determinato allergene;
• dimostrato rapporto causa-effetto tra esposizione e
comparsa dei sintomi;
• presenza di sensibilizzazione (o di scatenamento positivo) nei confronti di un solo allergene.
A queste condizioni la desensibilizzazione si è dimostrata
efficace in una considerevole percentuale di pazienti con
rinite stagionale, mentre nella forma perenne i risultati sono stati assai deludenti. In questi casi, inoltre, va
esclusa la coesistenza di fattori predisponenti e nel caso,
relativamente frequente, in cui si riscontri la deviazione
del setto nasale, qualche vantaggio si può ottenere con il
trattamento chirurgico, da riservare comunque ai casi più
gravi e nell’adolescenza avanzata.
La rinite allergica va in remissione entro 5 anni dall’esordio nel 10% dei casi e migliora sensibilmente nel
30%: la prognosi è dunque buona e il follow-up non
presenta problemi particolari. Va tenuto presente che il
50-90% dei rinitici ha una condizione più o meno espressa
di iperreattività bronchiale che va accuratamente monitorata e, se del caso, curata; viene indicata pertanto l’esecuzione periodica di spirometria almeno una volta all’anno
e, possibilmente, nel periodo di massima esposizione agli
allergeni in causa.
Qualora si associ un’evidente congiuntivite allergica,
alla terapia già delineata per la rinite si deve aggiungere un
trattamento topico per la congiuntiva: gli steroidi devono
essere usati con cautela per il pericolo di infezioni corneali,
glaucoma, assottigliamento della cornea e della sclera,
mentre possono essere indicati i vasocostrittori topici per
uso oftalmico e lavaggi degli occhi con soluzioni sterili,
utili per rimuovere sia inquinanti ambientali sia mediatori
chimici flogogeni.
Dermatite atopica
La dermatite atopica è una malattia infiammatoria cronica
della cute che si manifesta con lesioni pruriginose, alla cui
patogenesi partecipano la sensibilizzazione IgE-mediata,
l’alterazione della barriera epiteliale e uno stato locale di
immunodisregolazione. Fino ad alcuni anni fa la dermatite
atopica veniva identificata con la malattia allergica e considerata la manifestazione di esordio della marcia atopica
(inside-outside theory). Attualmente il connubio dermatiteatopia in senso stretto è stato ampiamente rivalutato: sono
state identificate, infatti, mutazioni del gene codificante
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CAPITOLO 30
Malattie allergiche
593
FIGURA 30.9 - La filaggrina
Cute integra
Allergene
Prototipo di cute
eczematosa
Fissurazioni
sulla superficie
Cute sana
Allergene
mantiene l’integrità
della barriera epiteliale. Quando
è difettiva, perde la capacità
di trattenere acqua, si fissura
ed è facilmente aggredibile
anche dagli allergeni (da batteri
e agenti irritanti).
Cellula dendritica
Profilaggrina
Nucleo
Molecole di filaggrina
Nucleo
Stato
infiammatorio
per la filaggrina, proteina strutturale dello strato corneo
dell’epidermide, che ne provocano la perdita di funzione o
la mancata produzione (Figura 30.9). Questa alterazione
è responsabile di alterata funzione della barriera epiteliale
e predispone quindi allo sviluppo di atopia (outside-inside theory) favorendo il contatto diretto con alte cariche
allergeniche. Questa alterazione, peraltro, favorisce lo
sviluppo di sovrainfezioni batteriche e di infiammazione
cronica, indipendentemente anche dallo sviluppo di atopia
(dermatite atopica non allergica, due terzi dei casi).
Nelle forme di dermatite atopica di verosimile natura
allergica, gli agenti chiamati in causa nei primi anni di
vita sono prevalentemente alimentari e in questi casi le
diete di eliminazione hanno discreto successo, mentre
in età più avanzate prevalgono le sensibilizzazioni ad
aeroallergeni.
FIGURA 30.10 - Grave dermatite atopica con lesioni
da grattamento e impetiginizzazione.
Manifestazioni cliniche
La sintomatologia esordisce in oltre il 50% dei casi dopo
il 3° mese di vita e nei restanti tra il 1° e il 5° anno. È
caratterizzata da un eritema roseo e pruriginoso che assume progressivamente un aspetto eczematoso. La cute
diviene fissurata e si possono formare papule e croste,
escoriazioni e fissurazioni con intensa essudazione. Nella
forma subacuta o cronica si osservano ipercheratosi, lichenificazione e desquamazione della cute con papule
fibrotiche; tuttavia, le diverse lesioni possono coesistere
conferendo alla cute eczematosa un aspetto estremamente
polimorfo. Le sedi iniziali tipiche sono il cuoio capelluto
e il viso, localizzandosi preferenzialmente alle guance,
per estendersi poi alle pieghe del collo, in zona retroauricolare, palpebrale, perioculare, periorale e sulle superfici
estensorie degli arti (Figura 30.10). Nelle età successive
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(o nelle forme cronicizzate) le lesioni interessano invece
le pieghe flessorie del polso, del gomito e del ginocchio.
Molto frequente è l’interessamento della regione genitale
e delle aree coperte dal pannolino.
Il sintomo cardine è rappresentato dal prurito, che perdura in modo intermittente nell’arco della giornata e che
peggiora durante la notte, causando disturbi del sonno.
L’evoluzione è caratterizzata da fasi alterne di remissione e recrudescenza: la cute è in genere secca e finemente
desquamante. Un elenco dei sintomi maggiori e minori che
caratterizzano l’eczema è riportato nella Tabella 30.12.
Spesso la dermatite atopica si complica con sovrainfezioni
di natura batterica (stafilococco) o virale (herpes simplex,
mollusco), che rimangono tuttavia confinate agli strati più
superficiali; frequenti sono pure le infezioni fungine.
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594
CAPITOLO 30 Malattie allergiche
Caratteristiche cliniche
della dermatite atopica
TAB EL L A 30 .1 2
Sintomi maggiori
Sintomi minori
Prurito
Distribuzione delle lesioni:
• nell’infanzia: faccia e superfici estensorie
• nell’adolescenza: superfici flessorie
con lichenificazione
Cronicità
Storia familiare di atopia
Infezioni cutanee da stafilococco
Prick test positivo
Alti livelli sierici di IgE
Secchezza della cute
Esordio nei primi mesi/anni di vita
Ittiosi, cheratosi palmare
Dermatite aspecifica di mani e piedi
Diagnosi e diagnosi differenziale
Per formulare la diagnosi di dermatite atopica devono essere
presenti almeno tre criteri maggiori e tre minori tra quelli
elencati nella Tabella 30.12. I livelli sierici di IgE totali sono
elevati in oltre l’85% dei casi e nella stessa percentuale
sono dimostrabili in vivo o in vitro IgE specifiche nei
confronti di allergeni inalanti o alimentari, anche se
non sempre è evidente la reazione di causa-effetto tra
l’esposizione all’allergene e la comparsa di dermatite. Per
questo anche le diete di eliminazione hanno un significato diagnostico modesto e gli stessi test di scatenamento
vanno opportunamente interpretati sulla base della storia
personale e clinica. Altre affezioni cutanee che possono
entrare in diagnosi differenziale con la dermatite atopica
sono indicate nella Tabella 30.13.
TAB EL L A 30 .1 3
Altre patologie cutanee
Infezioni
Deficit metabolici
e nutrizionali
Sindromi da
immunodeficienza
con manifestazioni
cutanee
Neoplasie
Diagnosi differenziale
di dermatite atopica
Dermatite da contatto
Dermatite seborroica
Psoriasi
Scabbia
Impetigine
Fenilchetonuria
Deficienza di zinco
Sindrome di Wiskott-Aldrich
Immunodeficienza grave combinata
e sindrome di Omenn
IPEX
GVHD
Dermatite erpetiforme
Linfoma a cellule T
(Da: Watson W, Kapur S. Atopic dermatitis. In Allergy, Asthma & Clinical
Immunology 2011; 7 (suppl.1): S4.)
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Prognosi e trattamento
La prognosi è quanto mai imprevedibile: si possono verificare remissioni anche spontanee o, al contrario, esacerbazioni apparentemente senza causa scatenante identificabile.
Tuttavia, anche se la dermatite atopica tende ad attenuarsi
(in caso di allergia alimentare può addirittura risolversi)
con il tempo, circa l’80% dei bambini con dermatite atopica sviluppa rinite allergica o asma nelle età successive. Il
trattamento si basa su tre cardini terapeutici: ambientali,
antinfiammatori e sintomatici. L’eliminazione dell’allergene
o degli allergeni responsabili della sensibilizzazione deve
essere perseguita sia con misure ambientali rigorose sia attraverso diete prive degli alimenti incriminati. In alcuni casi
sono stati ottenuti successi terapeutici con l’impiego delle
diete di rotazione, in cui a diete contenenti determinati
alimenti vengono sostituiti, dopo poche settimane, regimi
contenenti gli alimenti precedentemente esclusi e così in
rotazione continua, onde evitare la sensibilizzazione grave
a sostanze necessarie per un’equilibrata alimentazione. In
alternativa si può ricorre alla dieta elementare, che peraltro
non può essere protratta per più di un mese, o alle diete
con alimenti usualmente non utilizzati (cibi, carni e frutta
esotiche). Qualche giovamento può derivare comunque
dalle diete prive di additivi e coloranti.
Spesso, peraltro, anche in casi dimostratamente riferibili
ad alimenti facilmente eliminabili, la dermatite atopica si
limita a migliorare con la dieta e non guarisce totalmente.
È necessario allora ricorrere comunque a misure ambientali, tese in particolare alla riduzione della carica di Dermatophagoides (D. pteronyssimus e D. farinae), che sono
molto frequentemente in causa, o in prima battuta o come
importanti cofattori: per ottenere questo obiettivo si deve
mantenere l’ambiente costantemente pulito, non umido,
senza polvere e possibilmente senza animali domestici.
Nelle forme più impegnative può rendersi necessario il ricorso agli steroidi topici a differente potenza (Tabella 30.14),
che possono essere calibrati a seconda dell’intensità, dell’estensione e della cronicità delle lesioni. Va ricordato che
è opportuno utilizzare creme o pomate a seconda che le
lesioni siano secche o essudative e spesso può essere di aiuto
eseguire medicazioni occlusive, con bendaggio, in modo da
garantire il massimo assorbimento e la non interferenza
del grattamento. Inoltre lo steroide dovrebbe essere usato
nelle zone a basso assorbimento (Figura 30.11 A), mentre
altri preparati andrebbero impiegati nelle aree ad alto assorbimento (Figura 30.11 B). In alternativa agli steroidi
possono essere impiegati gli inibitori della calcioneurina, che
svolgono un’azione immunosoppressiva e antinfiammatoria
locale, con scarsi effetti sistemici della calcioneurina.
Il prurito è spesso importante e l’impiego di sintomatici
è parte integrante della terapia: vengono usati antistaminici
orali, con preferenza, nelle forme più gravi, per i preparati di
vecchia generazione dotati di un blando effetto sedativo.
Nei momenti di maggiore acuzie, se le lesioni sono
molto diffuse, può essere necessario ricorrere alla terapia
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CAPITOLO 30
TAB EL L A 30 .1 4
Potenza
molto
elevata
Potenza
elevata
Potenza
moderata
Potenza
media
595
Potenza dei corticosteroidi
topici comunemente
utilizzati nella terapia
della dermatite atopica
Betametasone dipropionato (Diprolene)
Clobetasol propionato 0,05% (Dermovate)
Alobetasolo proprionato (Ultravate)*
Alcinonide 0,1% (Halog)
Amcinonide 0,1% (Cyclocort)*
Betametasone valerato 0,1% (Betaderm,
Celestoderm, Prevex)
Desossimetasone 0,25% (Desoxi, Topicort)
Diflucortolone valerato 0,1% (Nerisone)
Fluocinolone acetonide 0,25% (Derma, Fluoderm,
Synalar)
Fluocinonide 0,05% (Lidemol, Lidex, Tiamol,
Topsyn)
Fluticasone propionato (Cutivate)
Mometasone furoato 0,1% (Elocom)
Betametasone valerato 0,05% (Betnovate)
Betametasone valerato 0,05% (Celestoderm)
Clobetasone butirato 0,05% (Eumovate)
Idrocortisone acetato 1,0% (Cortef, Hyderm)
Idrocortisone valerato 0,2% (Westcort, HydroVal)*
Prednicarbato 0,1% (Dermatop)
Triamcinolone acetonide 0,1% (Kenalog, Traiderm)
Desonide (Desocort)
Idrocortisone 0,5% (Cortate, Claritin,
Cortoderm)
Idrocortisone acetato 0,5% (Cortef, Hyderm)
*Non in commercio in Italia
steroidea per os: in questi casi la risposta clinica è eccellente, ma diviene difficile sospendere lo steroide senza che
immediatamente ricompaia la dermatite: l’alternanza con
gli inibitori della calcioneurina può essere di grande utilità.
Fototerapia e farmaci immunosoppressori per os hanno al
momento impiego limitato in età pediatrica.
Nelle fasi di remissione è di fondamentale importanza
mantenere la pelle idratata con pomate emollienti o con
vaselina, evitare i saponi a pH acido e i profumi di qualunque tipo. Gli antisettici non trovano indicazione e quando
si verifica una sovrainfezione batterica è necessario ricorrere
alla terapia antibiotica per via sistemica (in genere per os).
Anafilassi
L’anafilassi è una reazione sistemica di ipersensibilità
immediata a sostanze o proteine a basso peso molecolare
di tipo IgE-mediato; quando non è IgE-mediata, ma è
causata direttamente dall’agente scatenante, viene definita
più propriamente reazione anafilattoide. Da un punto
di vista clinico, per anafilassi si intende una reazione sistemica grave, un’emergenza medica, in cui le manife-
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Malattie allergiche
A
B
FIGURA 30.11 - Zone cutanee ad alto e basso assorbimento
di farmaci tossici. A. Zone a basso assorbimento. B. Zone ad alto
assorbimento. Nelle lesioni eczematose a localizzazione
A è preferibile l’impiego di steroidi, in quelle a localizzazione
B è preferibile l’impiego degli inibitori.
stazioni cliniche hanno un esito fatale o potenzialmente
tale (edema della glottide e/o collasso cardiocircolatorio)
senza un trattamento tempestivo e urgente. L’incidenza
dell’anafilassi non è conosciuta: si stima che si aggiri tra
4/10.000 e 4/10 milioni di persone.
Eziopatogenesi
Le reazioni anafilattiche e anafilattoidi sono causate dalla
degranulazione di mastociti e basofili IgE-mediata (anafilassi) o per attivazione diretta (reazioni anafilattoidi); più
raramente sono causate da abnorme attivazione del metabolismo dell’acido arachidonico o del complemento da parte di
aggregati o complessi antigene-anticorpo. L’attivazione dei
mastociti e dei granulociti basofili porta alla liberazione di
leucotrieni, PAF (Platelet Activating Factor) e istamina, responsabili della contrazione delle cellule muscolari lisce, della
stimolazione delle fibre nervose, dell’aumento di frequenza e
forza contrattile cardiaca e della riduzione dell’irrorazione
cardiaca per vasospasmo coronarico e vasodilatazione periferica. Le reazioni anafilattoidi, invece, riconoscono diversa
patogenesi: possono essere in gioco alterazioni della cascata
del complemento, il sistema di inattivazione del plasminogeno, l’attivazione delle callicreine (fattore XII, chininogeno)
che porta alla produzione di bradichinina (un nonapeptide
con potente azione vasodilatante e vasopermeabilizzante)
o, infine, alterazioni della coagulazione con coagulazione
intravascolare disseminata.
5/14/13 8:56:16 AM
596
CAPITOLO 30 Malattie allergiche
La maggior parte delle reazioni anafilattiche è scatenata
da alimenti (cibo e additivi alimentari), punture o morsi
di insetti, farmaci e prodotti farmaceutici (sieri, estratti
allergenici, derivati del sangue).
Alimenti. Si stima che circa l’8% dei bambini al di sotto dei
3 anni presenti reazioni avverse a cibo, ma tra queste non
si conosce l’esatta proporzione di reazioni anafilattiche.
Gli alimenti più frequentemente in causa sono: arachidi,
noci, crostacei, molluschi, latte vaccino, soia e uova. Un
problema rilevante è dato dai cosiddetti cibi nascosti, cioè
alimenti o additivi non segnalati o ignorati dal paziente
nei prodotti confezionati. È possibile, infatti, che l’etichetta
del prodotto alimentare sia incompleta o che menzioni sostanze che il paziente non riconosce come derivati del cibo
offensivo, che si siano verificate contaminazioni involontarie durante la preparazione o con l’alimento pericoloso o
con microrganismi viventi (per esempio l’Anisakis simplex,
parassita di molte specie di pesci) e, infine, che i cibi nascosti (soprattutto spezie e semi vari) facciano parte di salse e
condimenti ampiamente usati in ristoranti e fast-food.
di esercizio fisico, anche se tendono a recidivare. Sembra
che possano influire variazioni climatiche (molto caldo
o freddo o alti tassi di umidità), fattori ormonali (ciclo
mestruale), alte cariche allergeniche o l’assunzione di cibo
nelle 4 ore precedenti lo sforzo. A volte si riesce a stabilire
un preciso nesso causale con un particolare alimento o
farmaco (uova, pesce, alcuni tipi di verdura e frutta secca
e fresca, acido acetilsalicilico, FANS e antibiotici) che,
somministrato senza l’esercizio fisico, non scatena alcuna
reazione avversa.
Di fronte a una sospetta anafilassi da sforzo l’iter diagnostico prevede un’attenta anamnesi e l’esecuzione di
prove allergologiche nei confronti anche degli allergeni
alimentari suggeriti dall’anamnesi per poter fare diagnosi
differenziale, in particolare, con l’orticaria e l’asma da
sforzo. Le prove da sforzo con e senza assunzione dell’alimento sospetto devono essere riservate solo a casi
accuratamente selezionati e comunque devono sempre
essere eseguite in presenza di un’équipe di rianimazione e
interrotte al primo apparire dei sintomi specifici.
L’anafilassi in corso di esecuzione dei test cutanei e dell’immunoterapia allergenespecifica (ITS) è un evento abbastanza raro: si stima che
la prevalenza di morte per anafilassi in corso di ITS sia di
1 caso ogni 2-3 milioni di iniezioni; i principali fattori di
rischio sono elencati nella Tabella 30.15.
I provvedimenti più urgenti e salvavita consistono nella
somministrazione di adrenalina e di ossigeno, garantendo
un’adeguata ventilazione con un Ambu o eventualmente
mediante intubazione orotracheale.
Immunoterapia e prick test.
Additivi. Coloranti, conservanti o aromatizzanti possono
essere causa di reazioni avverse; il ruolo patogenetico
può essere dimostrato con il test di provocazione. I solfiti
si trovano nella gelatina, nella frutta secca, nel vino, nei
succhi di frutta, in salsicce e molluschi: dopo l’ingestione di
questi alimenti molti pazienti presentano eritema, broncospasmo e ipotensione. Il monosodioglutamato (MSG) è il
responsabile della “sindrome da ristorante cinese”, cioè
di dolore toracico, calore al volto, eritema, parestesie, sudorazione, vertigini, cefalea, palpitazioni, nausea, vomito.
Nei bambini possono essere presenti brividi e tremito,
irritabilità, delirio. I sintomi, generalmente, insorgono
dopo 1 ora dal pasto, ma possono essere anche ritardati
(fino a 14 ore). Il 15-20% della popolazione sembra sia
sensibile a piccole dosi di MSG. Nella sindrome da sgombroidi si manifestano soprattutto eritema, orticaria, prurito, cefalea, nausea e vomito dopo l’assunzione di pesce
avariato. Sono stati accusati di causare questa sindrome la
Klebsiella pneumoniae e il Proteus morgani, che avrebbero
la capacità di decarbossilare l’istidina in saurina, una molecola con un’attività istamino-simile. Chi assume isoniazide
è particolarmente predisposto a questa reazione.
Una particolare causa di
anafilassi è quella indotta dall’esercizio fisico (sforzo o
sport): è caratterizzata da una fase prodromica (astenia,
prurito, calore ed eritema generalizzato) seguita dalla
comparsa di orticaria anche gigante e, spesso, angioedema
e infine da una fase conclamata, caratterizzata dalla comparsa di tosse, stridore laringeo, broncospasmo o nausea,
dolori crampiformi, vomito, diarrea, che possono esitare
in ipotensione e collasso.
Generalmente i sintomi sono fugaci (scompaiono in minuti o poche ore) e non si ripresentano in tutte le occasioni
Anafilassi dopo esercizio fisico.
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Veleno di insetti. L’anafilassi da veleno di insetti è causata
soprattutto dalle punture degli imenotteri, di cui fanno
parte le api, i polistes e le vespe. Al momento non esistono
criteri certi per definire il rischio nella popolazione generale
e anche l’atopia non sembra giocare un ruolo rilevante.
TA BELLA 30.15
Principali fattori di rischio
di anafilassi in pazienti
sottoposti a ITS
• Asma con precedenti ricoveri ospedalieri o accessi al pronto
soccorso o asma in atto
• Malattie concomitanti: diabete, malattie cardiovascolari,
ostruzione broncopolmonare
• ITS nella stagione di massima esposizione all’allergene in causa
• Alto grado di sensibilizzazione cutanea
• Dose di allergene somministrato
• Impiego di estratti non standardizzati
• Precedenti reazioni avverse all’ITS
• Errori umani
• Mancata sorveglianza medica nei primi minuti dopo
l’insorgenza dei sintomi o presenza di medici non esperti
e non adeguatamente attrezzati
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CAPITOLO 30
In caso di reazioni importanti e sistemiche da puntura
di insetto, è necessario stabilire se esse siano IgE-mediate
o meno; si procede quindi al dosaggio delle IgE specifiche
e, se positivo, all’esecuzione dei test cutanei per scarificazione prima e per via intradermica poi. Se si identifica
così l’imenottero responsabile, l’immunoterapia è l’unico
mezzo efficace per prevenire eventuali recidive.
Farmaci. Le reazioni anafilattiche da farmaci possono es-
sere immuno- o non immunomediate. Nelle forme immunomediate il periodo di latenza tra la somministrazione e
lo sviluppo di ipersensibilità è di circa 10-20 giorni; una
volta sensibilizzato, il paziente può presentare anafilassi alla
successiva somministrazione del farmaco, immediatamente
se per via parenterale o fino a 6 ore se per via orale. Potenzialmente tutti i farmaci sono capaci di indurre anafilassi;
quelli più spesso in causa sono la penicillina e gli antibiotici,
gli antisieri, le gammaglobuline e gli altri emoderivati, i
preparati ormonali (ACTH, TSH, insulina) e i mezzi di contrasto. La diagnosi di allergia ai farmaci è spesso difficile,
perché frequentemente impossibile da documentare: i test
cutanei per identificare l’ipersensibilità immediata ai farmaci hanno un valore riconosciuto solo per alcuni ␤-lattamici,
per l’insulina e per alcuni anestetici locali.
In caso di reazioni gravi va evitata la prova da carico,
perché troppo pericolosa, ed è indicato invece il test di
tolleranza con farmaci dotati della stessa attività farmacologica ma con struttura molecolare diversa da quella
incriminata. Nel caso si debbano impiegare mezzi di contrasto in pazienti con pregresse reazioni anafilattoidi, è
indicato eseguire un pretrattamento con prednisone per
os e difenedramina prima della somministrazione.
Si sono registrati, infine, anche anafilassi da vaccini,
in particolare da vaccino contro il morbillo, che come è
noto viene coltivato su embrione di pollo: in bambini con
ipersensibilità all’uovo esiste la preoccupazione di reazioni
anafilattiche che in realtà sono un evento estremamente
raro, con frequenza sovrapponibile a quella nella popolazione generale. Nei soggetti con precedenti di anafilassi
all’uovo è comunque consigliabile eseguire la vaccinazione
in ambiente protetto (ospedale).
Manifestazioni cliniche
I sintomi dell’anafilassi compaiono nell’arco di pochi minuti
– entro 2 ore se l’antigene viene ingerito – e progrediscono
velocemente con il coinvolgimento di più organi: la rapidità
dell’insorgenza dei sintomi è proporzionale alla loro gravità.
Altrettanto rapida è, in genere, la risoluzione dei sintomi, ma nei casi più gravi questi possono persistere anche
per giorni. Clinicamente l’anafilassi può manifestarsi con
sintomi preminentemente cutanei, respiratori, gastrointestinali, cardiovascolari o, più raramente, neurologici.
Orticaria e angioedema esordiscono con prurito, senso
di calore ed eritema diffuso che evolve con la comparsa di
pomfi in sedi preferenziali, quali le palpebre, le labbra, la
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Malattie allergiche
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lingua, il faringe e il laringe, mentre le mucose congiuntivali,
della bocca e del naso possono essere eritematose e gonfie.
A queste manifestazioni possono accompagnarsi sintomi
gastrointestinali, quali nausea, vomito, crampi, tenesmo,
diarrea con sangue vivo nelle feci. In caso di interessamento
prevalentemente dell’apparato respiratorio, il quadro clinico diviene drammatico: l’edema laringeo, preceduto da
prurito o sensazione di nodo in gola, evolve rapidamente
in disfagia, stridore e dispnea inspiratoria, con rientramenti
costali. In caso di ostruzione bronchiale può delinearsi
il quadro di una gravissima crisi bronco-ostruttiva con
dispnea espiratoria, fischi, tosse produttiva, emissione di
escreato acquoso e, nei casi più impegnativi, dolore toracico
per impegno dei muscoli respiratori e cianosi. L’evoluzione
verso la crisi di ipotensione e il collasso con stato di shock
e pericolo imminente di danni ipossici è possibile e va contrastata con infusione di abbondanti liquidi, ventilazione
assistita e controllo della contrattilità miocardica.
Diagnosi e diagnosi differenziale
La diagnosi, relativamente semplice quando i sintomi di
anafilassi iniziano poco dopo la puntura di un insetto, l’assunzione di un farmaco o di un cibo, diviene problematica
se i sintomi sono atipici o ritardati. I criteri clinici per la
diagnosi di anafilassi, recentemente identificati nelle linee
guida sancite dalla WAO, sono indicati nella Tabella 30.16.
Pochi sono gli accertamenti utili a stabilire l’esatta natura
dell’episodio e difficili da realizzare, perché devono essere
eseguiti nell’immediatezza della crisi per avere qualche
valore diagnostico: il dosaggio plasmatico dell’istamina
è indicativo solo nell’ora che segue l’inizio dell’episodio
di anafilassi, il dosaggio della triptasi mastocitaria entro
6 ore, il dosaggio urinario dell’istamina entro le 12-24 ore
dall’episodio. Altri accertamenti possono essere di qualche
aiuto ai fini della diagnosi differenziale: le IgE totali danno
indicazioni sulla condizione di atopia; l’elettroforesi delle
immunoglobuline porta ad accertare un’eventuale, seppur
eccezionale nell’infanzia, gammapatia monoclonale; il dosaggio degli enzimi cardiaci e l’ECG accertano le condizioni
del miocardio; la sindrome carcinoide e il feocromocitoma
vengono accertati con il dosaggio della serotonina plasmatica, dell’acido vanilmandelico e delle catecolamine urinarie.
Va esclusa anche la possibile coesistenza di un’infestazione
intestinale con un esame parassitologico delle feci e va
analizzato in tossicologia l’eventuale materiale vomitato
per escludere un’intossicazione o un avvelenamento.
La condizione che più frequentemente può essere
confusa con lo shock anafilattico è la reazione vagale
caratterizzata da ipotensione, vomito, pallore, nausea,
astenia, sudorazione profusa e scatenata da traumi emotivi. A differenza dello shock anafilattico, nella reazione
vasomotoria mancano la tachicardia e le reazioni cutanee
(orticaria, angioedema, eritema).
Vanno infine escluse alcune forme di epilessia che si manifestano con sbalzi pressori, tachicardia, eritema e sincope,
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CAPITOLO 30 Malattie allergiche
TAB EL L A 30 .1 6
Criteri clinici per la diagnosi di anafilassi
La diagnosi di anafilassi è altamente probabile quando è soddisfatto almeno uno dei tre seguenti criteri:
A. Compromissione respiratoria (per esempio, dispnea, respiro sibilante,
1. Insorgenza acuta (da pochi minuti a diverse ore) di manifestazioni
broncospasmo, stridore, riduzione del PEF, ipossiemia)
cliniche con coinvolgimento di cute, mucose o entrambi
(per esempio, orticaria generalizzata, prurito o rossore, edema
B. Riduzione della pressione sanguigna o sintomi associati di
di labbra-lingua-uvula),
disfunzione d’organo (per esempio, ipotonia, sincope, incontinenza)
e almeno uno dei seguenti:
2. Due o più dei seguenti sintomi che insorgono rapidamente
A. Coinvolgimento di cute e mucose (per esempio, orticaria
(da pochi minuti a diverse ore) dopo l’esposizione a un allergene
generalizzata, prurito, edema di labbra-lingua-uvula)
sospetto per il paziente
B. Compromissione respiratoria (per esempio, dispnea, respiro sibilante,
broncospasmo, stridore, riduzione del PEF, ipossiemia)
C. Riduzione della pressione sanguigna o sintomi associati (per esempio,
ipotonia, sincope, incontinenza)
D. Sintomi gastrointestinali persistenti (per esempio, dolori addominali
crampiformi, vomito)
3. Ipotensione insorta (da pochi minuti a diverse ore) dopo
A. Neonati e bambini: ipotensione sistolica (età-specifica) o riduzione
esposizione a un allergene noto per pregresse reazioni
della pressione sistolica >30%
anafilattiche per il paziente
B. Adulti: pressione arteriosa sistolica <90 mmHg o riduzione della
pressione sistolica >30% rispetto al valore in condizioni basali
e tutte le patologie caratterizzate da abbondante produzione
di istamina, come la mastocitosi, alcune forme di leucemia
(leucemia acuta promielocitica) e l’echinococcosi.
Trattamento
La terapia dell’anafilassi è, per definizione, un intervento di
estrema urgenza: è prioritario assicurare la pervietà delle
vie aeree, valutare polso e pressione arteriosa e lo stato di
coscienza e porre il paziente in posizione di Trendelenburg
(Figura 30.12). Se l’antigene è stato iniettato, bisogna stringere prossimalmente alla sede di inoculazione un laccio
emostatico e somministrare adrenalina (0,01 mg/kg alla
concentrazione 1/1.000) sottocute, per via intramuscolare
o, nei casi più gravi, per via endovenosa (da somministrare
in concentrazione 1/10.000, ottenuta diluendo la fiala da
1 mg con 9 mL di soluzione fisiologica), ripetibile – se
necessario – a distanza di 10-15 minuti. Si può associare
un antistaminico come la difenidramina (12,5-25 mg), per
via intramuscolare, seguito dalla somministrazione per
via orale ogni 6 ore per prevenire le recidive di orticaria e
angioedema nelle successive 48 ore. La somministrazione
di ossigeno deve essere sempre effettuata con mascherina
o catetere nasale, dopo avere accertato che non vi sia patologia ostruttiva cronica preesistente, a flussi da moderati
a elevati (5-10 L/min).
È molto utile anche l’impiego di idrocortisone alle dosi
di 4 mg/kg o metilprendnisolone o, nei casi meno gravi,
prednisone per os. Oltre alla somministrazione di ossigeno, in caso di broncospasmo possono essere usati
␤2-agonisti per aerosol e teofillina alle dosi classiche. Per
combattere l’ipotensione vanno somministrati abbondanti
liquidi, possibilmente plasma expander, eventualmente
associando vasopressori come la dopamina.
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Per quanto riguarda le possibili strategie di prevenzione,
vanno diversificate a seconda della causa scatenante: nelle
anafilassi da veleno di imenotteri si deve procedere alla
desensibilizzazione specifica; nelle anafilassi da farmaci
devono essere evitati i farmaci anafilattogeni e i correlati,
devono essere invece assunti solo quelli ben tollerati con
test di tolleranza controllati. Se è indispensabile la somministrazione di farmaci responsabili di pregressi episodi
di anafilassi, è necessario tentare la desensibilizzazione
specifica in ambiente specialistico; nell’anafilassi indotta
da alimenti, il cibo incriminato deve essere totalmente
bandito dalla dieta e per ottenerlo sarà fondamentale
fornire un’accurata educazione al paziente e alla sua famiglia; nell’anafilassi da sforzo si dovrà evitare di praticare
attività sportiva nelle 4 ore successive al pasto, soprattutto
se contenente cibi verso cui il paziente ha dimostrato positività ai prick test e/o IgE specifiche nel sangue.
A tutti coloro che hanno avuto esperienza di anafilassi
deve essere prescritta l’adrenalina pronta autoiniettabile
al dosaggio di 165 ␮g per peso <30 kg e 330 ␮g per peso
≥30 kg, da portare sempre con sé in ogni circostanza.
Immunoterapia specifica
L’immunoterapia allergene-specifica (ITS) si configura come unico trattamento ipo-/desensibilizzante, il cui bersaglio
d’azione non si limita alla remissione della sintomatologia
clinica, ma agisce direttamente sui meccanismi patogenetici
di fondo per modificare la storia naturale della malattia.
Trova indicazione primaria nelle allergopatie respiratorie
da pollini e acari associate a sintomatologia clinica di rinite
persistente moderata-grave e asma bronchiale controllato o
parzialmente controllato. La principale controindicazione
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1
Avere un protocollo scritto delle emergenze per il riconoscimento e il trattamento dell’anafilassi da attuare regolarmente
2
Rimuovere l’esposizione all’agente scatenante se possibile
3
Verificare funzionalità circolatoria, pervietà delle vie aeree,
ventilazione, stato mentale, cute e peso corporeo del paziente
4
Contattare i soccorsi
Somministrare adrenalina per via im sulla faccia medio-antero-laterale
della coscia, 0,01 mg/kg della soluzione 1:1.000 (1 mg/mL), fino a un
massimo di 0,5 mg (per adulti) o 0,3 mg (per bambini);
ricordare l’orario di somministrazione della dose e ripeterla
dopo 5-15 minuti se necessario
5
Posizionare il paziente sul dorso o in una posizione confortevole
in presenza di distress respiratorio e/o vomito; sollevare gli arti
inferiori; un evento fatale può insorgere in pochi secondi se il paziente
si alza o si siede troppo velocemente
6
7
O2
Quando indicato, somministrare ossigeno a flusso elevato (6-8 L/min),
con maschera facciale o intubazione orofaringea
8
Reperire un accesso venoso usando ago o ago-cannula con cannula
ampia (14-16 gauge). Se indicato, infondere rapidamente 1-2 L
di soluzione salina isotonica (0,9%) (per esempio: 5-10 mL/kg nei primi
5-10 minuti nell’adulto, 10 mL/kg nei bambini)
9
Quando indicato, in ogni momento, eseguire rianimazione
cardiopolmonare con compressioni toraciche continue
10
A intervalli frequenti e regolari, monitorare la pressione
arteriosa, la frequenza cardiaca, la ventilazione e la saturazione
(monitorare continuativamente, se possibile)
FIGURA 30.12 - Gestione primaria della reazione anafilattica. (Da: Estelle F, et al: World Allergy Organization anaphylaxis guidelines:
Summary, J Allergy Clin Immunol 127:587-593, 2011; modificata.)
è data dalla presenza di affezioni immunologiche gravi
concomitanti. Il principio alla base della ITS prevede la
somministrazione per via sublinguale (SLIT) o sottocutanea (SCIT) in dosi scalari, progressivamente crescenti, del
medesimo allergene responsabile della patologia, al fine
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di modulare la risposta T-cellulare prima, attraverso la
soppressione della sottopopolazione Th2 e B-cellulare e,
successivamente, favorendo lo switch isotipico anticorpale
da IgE a IgG. L’effetto immediato coinvolge le cellule effettrici, con modulazione della degranulazione di mastociti e
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CAPITOLO 30 Malattie allergiche
basofili, e ridotta immissione in circolo di mediatori dell’infiammazione. La tolleranza immunologica indotta modifica
quindi il decorso naturale della patologia allergica, con
efficacia a lungo termine, osservabile anche dopo sospensione del trattamento, ed effetti preventivi nei confronti del
potenziale sviluppo di ulteriori sensibilizzazioni. I preparati
per ITS attualmente disponibili si ottengono per estrazione
allergenica dalla sorgente naturale e presentano il limite
della mancata standardizzazione quantitativa delle singole
componenti. Per ovviare a questo problema si ricorre al parametro standard di riferimento IHR (In-House Reference
Standard), che misura la potenza o capacità dell’allergene
di indurre la risposta IgE-mediata.
Negli ultimi anni, l’applicazione del principio di base
dell’ITS nell’ambito delle allergie alimentari ha stimolato
l’interesse scientifico, approdando così al concetto di Specific Oral Tolerance Induced (SOTI), con obiettivo primario
l’acquisizione della tolleranza – non responsività – nei confronti di allergeni responsabili della risposta immunitaria
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IgE-mediata. Al pari dell’ITS, anche la SOTI prevede la
somministrazione di quantità crescenti di alimento, per
via orale, a partire da dosi infinitesimali, fino al raggiungimento di una dose target, da cui proseguire con una fase
di mantenimento. Al termine del trattamento il paziente
potrà raggiungere una condizione di tolleranza completa,
dose-indipendente e permanentemente acquisita; di tolleranza parziale, dose-dipendente; di desensibilizzazione,
ovvero tolleranza di una quantità di alimento inferiore
rispetto a quella indicata come target e, infine, di non
tolleranza nei confronti dell’alimento. Ai benefici clinici
determinati dalla SOTI, come unica alternativa terapeutica
alla dieta di eliminazione, si affiancano tuttavia le numerose e potenzialmente gravi reazioni avverse osservabili
durante il trattamento. Proprio in considerazione dei rischi intrinseci, attualmente la SOTI trova applicazione
esclusiva in ambito sperimentale, in attesa di linee guida
e raccomandazioni internazionali che ne consentano l’applicazione a più largo spettro.
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