Dopo aver analizzato i principi generali posti dal legislatore ri

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Le spese nel condominio
6.1. Introduzione
Dopo aver analizzato i principi generali posti dal legislatore riguardo alla ripartizione delle spese di esercizio e di conservazione
dei beni facenti parte di un edificio condominiale (art. 1123 c.c.) e la
particolare disciplina prevista espressamente per alcune specifiche
fattispecie (art. 1124 c.c. per le scale, art. 1125 c.c. per il solaio, art.
1126 c.c. per il lastrico solare esclusivo), appare, a questo punto, necessario effettuare un approfondimento sulla regolamentazione di
alcune tipologie di spesa che, con maggiore frequenza, si presentano
in sede di gestione dei beni comuni.
Si tratta, com’è intuibile, di un argomento assai articolato, la cui
complessità deriva direttamente dalla notevole vastità ed eterogeneità delle possibili ipotesi: forse in nessun caso, come nella fattispecie
condominiale, le circostanze di fatto possono essere non solo così
numerose, ma anche tanto diverse tra loro.
Acquisito, pertanto, il dato di tale inevitabile difficoltà, non rimane che affrontare la trattazione dei singoli casi (riportati in ordine alfabetico), che – non essendo materialmente possibile analizzare tutte
le variabili astrattamente concebili – sarà effettuata con particolare
attenzione a quelli considerati nelle pronunce edite della giurisprudenza.
In ogni caso, tuttavia, non potrà rinunciarsi ad un costante riferimento ai principi generali di ripartizione delle spese, posti dall’art.
1123 c.c., e meglio illustrati nei precedenti Capitoli 1 e 2, ai quali direttamente si rimanda.
Sia, tuttavia, consentita un’ultima precisazione di carattere generale.
La complessità e la vastità della casistica sulla ripartizione delle
spese condominiali, non deve ingannare in ordine agli strumenti
(giuridici) utilizzabili per l’individuazione della (corretta) disciplina
applicabile al caso concreto.
In realtà, ogni fattispecie considerata – per quanto peculiare essa
possa essere – dovrà essere disciplinata applicando uno dei due criteri previsti dall’art. 1123 c.c., vale a dire: 1) ripartizione «in misura
proporzionale della proprietà di ciascuno» (1° comma); o 2) in «proporzione dell’uso che ciascuno può farne» (2° comma).
Sarà necessario, pertanto, individuare a quale delle due categorie
la singola particolare spesa appartenga, e, conseguentemente, operare una corrispondente ripartizione.
Testimone di tale impostazione, è una recente, e pregevole, sen-
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tenza della Suprema Corte, la quale così chiarisce la portata e le implicazioni di tale dicotomia:
Giurisprudenza
... (omissis) ...
Peraltro, una attenta lettura rivela che il codice distingue le spese avuto riguardo
al fine, che l’obbligazione di contribuire alle spese persegue, ed al fondamento da
cui l’obbligazione medesima ha origine.
La differenza tra il valore capitale di un bene ed il costo del suo uso è evidente.
La funzione ed il fondamento delle spese occorrenti per la conservazione del valore capitale, vale a dire per tutela o per il ripristino della sua integrità, sono diversi rispetto alla funzione ed al fondamento delle spese necessarie per il godimento. Orbene, la diversità oggettiva della funzione e del fondamento si riverbera sui
soggetti, ai quali i contributi vengono imputati, perché alla conservazione sono interessati i proprietari; all’uso, chiunque lo eserciti. Siffatta diversità si rinviene nell’art. 1104
c.c., il quale distingue con chiarezza due specie di spese comprensive di tutte le altre: le
spese per la conservazione e quelle per il godimento (ovverosia per l’uso). Da questa
disposizione si ricava il principio, che regola il regime della imputazione e della suddivisione delle spese tanto in materia di comunione in generale, quanto nella specifica materia del condominio negli edifici.
2.2. La distinzione delle spese per le cose, gli impianti ed i servizi comuni secondo il criterio della funzione e del fondamento, accolto dall’art. 1104 c.c., riguarda
anche il condominio negli edifici, in quanto anche nel condominio dall’art. 1123
c.c. tutte le spese vengono imputate e ripartite avuto riguardo al fondamento ed
alla funzione. I contributi per la conservazione si ascrivono sempre in ragione
della appartenenza e si dividono in proporzione alle quote: vale a dire, della funzione e del fondamento immediati e indipendentemente dal vantaggio soggettivo
espresso dalla destinazione delle parti a servire in misura diversa; le spese per
l’uso, le quali hanno origine dal godimento soggettivo e personale, tenuto conto
appunto della funzione e del fondamento si suddividono in proporzione all’uso e,
quindi, della misura di esso
(Cass. 19 giugno 2000, n. 8292).
Richiamati tali fondamentali principi, non resta che analizzare
partitamente le ipotesi più rilevanti.
6.2. Abbaino
L’abbaino è costituito da un’apertura posta sul tetto dell’edificio.
Dal punto di vista strutturale, esso può essere realizzato sia a raso
rispetto alla superficie del tetto, sia dotandolo di una struttura sopraelevata con fianchi in muratura. In quest’ultimo caso appare leggermente sopraelevato rispetto al piano del tetto.
Il disegno riportato in appresso, rappresenta, schematicamente in
sezione, la struttura di un abbaino sopraelevato:
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L’abbaino può anche essere realizzato, dal singolo condomino, in
un momento successivo alla costruzione dell’edificio. In tal caso, la
realizzazione dovrà rispettare i limiti posti dai principi generali in
materia (artt. 1102 e 1120 c.c.).
Tale principio è confermato dalla giurisprudenza della Suprema
Corte, in appresso riportata, la quale, inoltre, esplicitamente individua la funzione precipua del bene.
Si dice che,
Giurisprudenza
Il condomino proprietario del piano sottostante al tetto comune può aprire su esso abbaini e finestre – non incompatibili con la sua destinazione naturale – per dare aria e
luce alla sua proprietà, purché le opere siano a regola d’arte e non ne pregiudichino la
funzione di copertura, né ledano i diritti degli altri condomini sul medesimo
(Cass. 12 febbraio 1998, n. 1498).
Le spese di manutenzione e conservazione dell’abbaino seguono
la relativa proprietà, per determinare la quale occorre rifarsi – secondo i principi generali – all’utilità che il medesimo fornisce (che,
nello specifico, consiste nel fornire aria e luce ai locali sottostanti).
Nel caso, quindi che l’abbaino fornisca aria e luce a locali di proprietà esclusiva, le spese andranno sostenute dal relativo titolare, nel
caso, invece, che tale funzione sia esplicata a favore di locali condominiali, le relative spese di manutenzione saranno sostenute da tutti i
condomini, secondo la quota millesimale di spettanza.
A corollario di quanto sopra, può aggiungersi che la giurisprudenza afferma che i locali sottotetto devono ritenersi, normalmente,
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pertinenza del piano sottostante, in ragione del fatto che è a favore
di questo che svolgono la loro (predetta) funzione.
In tal senso l’orientamento del Supremo Collegio, per il quale
Giurisprudenza
Il sottotetto di un edificio in condominio, non essendo incluso tra le parti comuni indicate
nell’art. 1117 c.c., non costituisce – in difetto di elementi contrari desumibili dal titolo –
oggetto di comunione, e poiché esso assolve, di regola, una funzione isolante, protettiva del piano più elevato, di questo costituisce normalmente una pertinenza, qualora
non ne sia dimostrata una destinazione diversa
(Cass. 16 novembre 1988, n. 6206).
6.3. Acqua
La ripartizione delle spese per il servizio di acqua potabile avviene, nella maggior parte dei casi, attraverso l’ausilio di apparecchi misuratori (contatori) i quali consentono la determinazione dell’effettivo consumo.
Più precisamente, l’impianto di adduzione dell’acqua è dotato di
un contatore generale (apparecchio ufficiale, attraverso il quale l’ente erogatore calcola il costo del servizio) e di sub-contatori individuali i quali, ultimi, consentono una ripartizione in base all’uso effettuato dalla singola unità immobiliare esclusiva.
In tale caso, sarà necessario effettuare una doppia “lettura” dei
dati rilevati dai contatori (principale ed individuali), nonché una
conseguente ripartizione dei costi.
Può accadere, tuttavia, che lo stabile condominiale sia privo dei
contatori individuali e che sia possibile la sola lettura del contatore
generale, il quale rileva il consumo totale, ma non i consumi singoli.
Occorrerà, quindi, determinare un criterio per ripartire la spesa
per il consumo dell’acqua tra le singole proprietà esclusive.
Sul punto, la giurisprudenza, dopo aver escluso, in una pronuncia
risalente, che possa essere utilizzato il criterio della quota millesimale
di spettanza la quale, ovviamente, nulla ha a che fare con il reale consumo (App. Roma, 2 maggio 1959), ha ritenuto valida la ripartizione
effettuata in base agli abitanti delle proprietà esclusive (Trib. Milano, 9 novembre 1992).
Tale criterio si basa sul presupposto che quanto maggiore è il
numero di persone che vivono in un appartamento, tanto maggiore
sarà il consumo di acqua.
Si tratta, ovviamente, di un criterio presuntivo, utilizzabile solo
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nel caso non si possa pervenire alla misurazione dell’effettivo consumo.
Sul punto, infine, può aggiungersi che il calcolo degli abitanti delle unità immobiliari deve essere effettuato considerando solo le persone che sono stabilmente residenti nei locali privati e non coloro
che vi accedono occasionalmente.
Di conseguenza, non saranno lecite maggiorazioni di spesa dipendenti da un supposto maggior utilizzo concreto, quale, ad esempio, quello dipendente dall’accesso, alla proprietà esclusiva, di pubblico e/o clientela. In altri termini, anche in questo caso, secondo i
principi generali, il godimento del bene dev’essere considerato in
maniera “potenziale ed astratta”.
Lo stesso principio è stato affermato per le spese di manutenzione
delle scale (v. par. 3.3.4) dalle pronunce del Trib. Genova dell’8
maggio 1992 e dell’App. Napoli del 13 maggio 1965.
In tal senso, la giurisprudenza di merito di seguito riportata:
Giurisprudenza
È annullabile la delibera condominiale con la quale si dispone che gli studi professionali o le sedi di attività commerciali paghino il servizio di acqua potabile comune in misura superiore a quello delle unità abitative. Infatti, la destinazione del servizio comune
relativo all’acqua potabile non varia a seconda del tipo di godimento posto in essere
nella singola unità abitativa ed è manifestamente irrazionale il criterio di ancorare
l’onere di contribuzione alle spese in questione alla concreta presenza di un numero più o meno elevato di persone
(Trib. Monza, 26 marzo 2001).
Alla luce di quanto sopra, inoltre, al fine della ripartizione della
spesa dell’acqua potabile, non sarà parimenti rilevante il comportamento concreto del singolo condomino. Quello che conta, si ribadisce, è il numero delle persone che – in astratto – risiedono stabilmente nell’unità immobiliare esclusiva, e non altro.
La decisione della Corte toscana in appresso, aderisce a tale impostazione:
Giurisprudenza
Nell’individuazione del sistema di ripartizione delle spese per l’erogazione dell’acqua
calda vige il principio della maggioranza non rientrando la ripartizione di dette spese tra
le norme imperative inderogabili e non apparendo corretto sotto il profilo non solo giuridico ma anche etico, sottrarsi al pagamento della quota proporzionale di un servizio
che viene offerto a tutti solo perché non lo si utilizza in tutto o in parte per motivi
propri
(Trib. Massa, 19 ottobre 1982).
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Per la particolarità della fattispecie, si segnala la pronuncia di merito che segue, nella quale si è escluso dal computo degli abitanti delle unità immobili, rilevanti al fine della ripartizione del consumo
d’acqua, un animale domestico, nella specie, un cane.
Giurisprudenza
In materia di ripartizione delle spese per consumo d’acqua – in assenza di una disposizione del regolamento in tal senso o di una delibera adottata dall’assemblea – è arbitrario equiparare il consumo di acqua di un cane da appartamento a quello di una
persona
(Trib. Monza, 14 agosto 1993).
Altrettanto interessante è la fattispecie affrontata dalla Suprema
Corte nella decisione in appresso riportata, nella quale si sostiene
che, di eventuali riduzioni tariffarie, applicate dall’ente erogatore
sulla base del raggiungimento di una certa quantità (elevata) di consumo, beneficiano tutti i condomini (anche coloro i quali, singolarmente considerati, non abbiano dato luogo ad un consumo sufficiente all’ottenimento delle suddette agevolazioni).
L’affermazione del Supremo Collegio si rivela particolarmente
importante, soprattutto per le sue possibili implicazioni nei confronti, anche, di altri servizi forniti al condominio.
Si dice, infatti, che
Giurisprudenza
In tema di ripartizione di spese condominiali relative all’erogazione di acqua, l’amministratore che abbia stipulato con l’ente erogatore un contratto avente ad oggetto il
consumo complessivo del fabbricato onde beneficiare dell’applicazione di una tariffa
agevolata, può, poi, del tutto legittimamente, calcolare la ripartizione interna delle spese pro quota in considerazione dei singoli ed effettivi consumi di ciascuno dei condomini, a prescindere dalla circostanza che questi, singolarmente considerati nel loro consumo, non avrebbero consentito l’applicazione della suddetta tariffa agevolata
(Cass. 13 marzo 2003, n. 3712).
6.4. Andito
L’espressione “andito” significa “ambiente di passaggio” ed è,
comunemente, utilizzata come sinonimo di “corridoio”.
Nel concreto, si tratta di un locale accessorio del fabbricato, destinato alla fruibilità comune ed annesso all’ingresso principale o al
vano-scale, il quale è, espressamente, presunto comune dall’art. 1117
c.c. (n. 1).
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Le relative spese di manutenzione dovranno essere, quindi, ripartite tra tutti i condomini, in ragione della quota millesimale di spettanza.
Rimane salva ed efficace, ovviamente, un’eventuale “diversa convenzione” che stabilisca una peculiare ripartizione delle spese.
Anche qui, possono essere riproposte le considerazioni in merito
alla partecipazione alla spesa dei proprietari delle unità immobiliari
aventi accesso autonomo (v. Cap. 3, par. 3.6.2).
Nel caso di “condominio parziale” la ripartizione si restringerà al
“gruppo di condomini che ne trae utilità” in applicazione del 3°
comma dell’art. 1123 c.c.
6.5. Androne
L’androne – quale locale ad uso corridoio annesso al portone
principale di accesso al fabbricato – svolge la sua funzione a favore
dell’intero fabbricato.
Tale locale comune può essere rappresentato graficamente come
segue:
In applicazione dei principi generali, pertanto, le spese per la relativa manutenzione dovranno essere sostenute dall’intera compagine condominiale.
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Si ripropongono, per l’androne, le stesse considerazioni svolte per
l’andito (v. par. 6.4).
In particolare, per quanto riguarda la partecipazione dei locali
aventi accesso autonomo, si riporta la sentenza che segue, nella quale viene valorizzata la circostanza che il bene comune “androne” fornisce un’utilità a tutti i condomini sia quale accesso alle proprietà esclusive, sia quale strumento indispensabile per la fruizione degli altri beni comuni (tetto, lastrico, ecc.).
Sul punto, si veda anche il par. 3.6.2.
Giurisprudenza
Ove nell’edificio condominiale siano compresi locali forniti di accesso diverso dall’androne, anche i proprietari di detti locali sono tenuti, in difetto di difformi clausole del regolamento di condominio, a concorrere alle spese di manutenzione dell’androne in rapporto e in proporzione all’utilità che possano in ipotesi trarne quali condomini; e ciò avuto riguardo tanto all’uso, ancorché ridotto, che possono fare dell’androne, ed alla comproprietà del tetto o lastrico solare
(Trib. Palermo, 9 aprile 1990).
6.6. Antenna
L’impianto di ricezione del segnale televisivo deve intendersi
comune a tutti i condomini in applicazione della disciplina dell’art.
1117 c.c. secondo cui «sono oggetto di proprietà comune... le opere, le
installazioni, i manufatti di qualunque genere che servono all’uso e al
godimento comune... fino al punto di diramazione degli impianti ai locali di proprietà esclusiva dei singoli condomini».
Tale impianto – detto, comunemente, “antenna centralizzata” –
fornisce un’utilità comune astrattamente paritaria e, di conseguenza,
comporta una ripartizione dei relativi costi di conservazione in misura proporzionale al valore della proprietà esclusiva, come prescritto
dal 1° comma dell’art. 1123 c.c. (vale a dire, in base alla c.d. tabella
“A” di proprietà).
Nel caso che l’impianto venga realizzato in un momento successivo alla costruzione dell’edificio sarà applicabile la disciplina delle innovazioni (artt. 1120 e 1121 c.c.), con conseguente necessità di una
deliberazione assembleare a maggioranza “qualificata” (cioè, con i
quorum più alti previsti dal 5° comma dell’art. 1136 c.c.), e con la ripartizione delle spese a carico dell’intera compagine condominiale.
Sul punto, vale la pena di precisare che una recente legge speciale
– 13° comma dell’art. 2 bis, legge n. 66/2001 – ha agevolato l’in-