Mascia Musy
Semplicemente se stessa, nell’intensità della scena.
di Antonella Iozzo
Dialogare con l’attrice Mascia Musy attualmente in tournee in Italia con il meraviglioso
“Anna Karenina” il capolavoro di Lev Tolstoj nella regia di Eimuntas Nekrosius, è un
continuo scoprire il filtro emozionale che cadenza le sue interpretazione. L’intensità
scultorea, dispiegata sulle note della passione per il suo lavoro, ci conferma
quell’inesauribile energia fisica contrapposta alle ombreggiature emotive che trionfa
sulla scena.
Questo spettacolo è molto impegnativo, faticoso, sia per il pubblico che per gli
attori, eppure per cinque ore sentimenti, situazioni, visi, ci scavano dentro, ci
cadono addosso senza tregua. Secondo Lei, è uno spettacolo che risveglia lo
specchio dell’anima nella cornice di una società fatta di convenzioni?
Sicuramente, premetto che Anna Karenina è il romanzo più letto al mondo, l’ho
scoperto qualche mese prima d’iniziare le prove leggendo un sondaggio su un
quotidiano, la notizia triste era che fra i primi venti romanzi non compariva nessun
titolo italiano, ma quello che mi ha colpito è che questo romanzo è il più letto al
mondo. Di capolavori letterari ce ne sono tanti, evidentemente se questo sta al primo
posto ha qualcosa in più, qualcosa di misterioso in sé. Lo spettacolo cerca di raccontare
questa magnifica storia scritta da Tolstoj che è già di per se uno specchio dell’anima,
penso, infatti, che Tolstoj sia stato straordinario nel raccontare ogni personaggio con
una profondità , con una lucidità, con una ricchezza d’immagini, di particolari e
d’emozioni, che si determinano durante la lettura. Il desiderio dello spettacolo, il nostro
desiderio, era quello di raccontare storie di più personaggi partendo dal romanzo per
arrivare alla “reinvenzione” teatrale. Purtroppo quando si porta un romanzo al teatro o al
cinema, è chiaro che bisogna un po’ rienventare, se non altro la dimensione. Dalla
nostra lettura alla messa in scena vi è un cambiamento, un adattamento anche tecnico,
che fa rivivere la storia in modo diverso da come l’abbiamo immaginata in lettura.
Insomma è una sfida affascinante.
In questo caso perfettamente riuscita
Si, in questo caso siamo nella mani di un genio assoluto, Nekrosius, che ha affrontato
sempre testi per il teatro da Shakespeare a Cechov.
Cosa vuol dire lavorare con Nekrosius?
È stata un’esperienza e un’avventura affascinante su più fronti, sia perchè non lavorava
con la sua compagnia ma con un gruppo di attori italiani, sia per il fatto che mettere in
scena un Cechov e uno Shakespeare, o magari anche lo stesso spettacolo con il quale era
venuto in Italia un paio di anni fa, “Le quattro stagioni” tratto da alcune liriche lituane,
un testo in lituano quindi, che apparteneva alla sua terra, è completamente diverso che
lavorare su un romanzo famosissimo, qui c’era Tolstoj, e un gruppo di attori italiani,
un esperienza diversa per tutti.
Quando è entrato nella sua vita artistica?
Nell’estate del 2001 attraverso la partecipazione ad un laboratorio organizzato dallo
Stabile di Calabria. Avevo visto il suo Amleto, ero rimasta colpitissima e venendo a
sapere che c’era questa possibilità, mi dissi che dieci giorni nella città di Crotone
sarebbero stati sicuramente una grande esperienza, e così è stato, mi sono subito
appassionata al suo approccio con la materia. Allora non sapevo che il maestro sarebbe
dovuto tornare in Italia per allestire Ivanov, ma dopo il laboratorio fui chiamata, insieme
ad un altro gruppo di attori che aveva partecipato al laboratorio, e mi sono ritrovata fra
gli interpreti di questo spettacolo prodotto dal Teatro di Roma e debuttato nel 2002.
Nei gesti l’essenza dei sentimenti, nei movimenti l’espressività del testo. Potremmo
definire la regia di Nekrosius una regia scritta per il corpo in cui si respira la
fisicità della parola?
Perchè no, mi viene in mente una frase del maestro, che rilascia poche interviste, è
molto schivo, ma ogni tanto accade, probabilmente anche per sostenere che << i suoi
spettacoli vanno visti e parlano da soli >>, quando, poi, gli rivolgono domande più
tecniche e più specifiche, per esempio sul tipo di valore del suo teatro, ribadisce che il
suo è un teatro che va guardato, non è solo un teatro che si ascolta ma che si guarda.
Sicuramente il corpo è importante, perché è l’energia di un attore, è tutto quello che
porta sul palcoscenico dal punto di vista di calore e di vitalità. Il suo teatro ha grande
rispetto del testo, e della bravura con la quale ognuno di noi racconta il testo, ed in
questo sicuramente il corpo mente di meno.
Dall’Anna Petrovna dell’Ivanov di Cechov all’Anna Karenina di Tolstoj, le due
derive dell’amore?
Sono stati due personaggi affascinantissimi per me e per il maestro che li ha amati,
trasmettendomi l’essenza e dandomi la possibilità di lavorare su di essi. Anna Petrovna
era una non protagonista e quindi la sua responsabilità - rispetto allo spettacolo - era
diversa come lo era di conseguenza la mia, dalla responsabilità di Anna Karenina che è
un titolo, il più famoso in tutto il mondo. La Karenina è un personaggio da protagonista,
in questo senso l’approccio e la costruzione di entrambi i personaggi è stata molto
diversa. Hanno in comune la tragicità, la morte, mi sono, infatti, ritrovata a vivere in
palcoscenico la morte di Anna Petrovna e la morte di Anna Karenina, ma dall’altra
parte hanno in comune una grandissima vitalità. Il personaggio di Anna Petrovna era
stato costruito con una grandissima energia, nonostante la sua malattia, Anna era una
donna che amava molto la vita. A Anna Karenina la vita stava stretta fin dalla nascita. In
questo senso, a mio avviso, la Petrovna e la Karenina hanno molto in comune .
In Anna è rappresentata la colpa come ostacolo al raggiungimento della felicità.
Colpa di aver infranto le regole del mondo aristocratico, al quale Anna e Vronskij
appartenevano, per seguire una verità forgiata con il loro amore. La realtà è
l’unica verità che non ha colpe?
No, la sensazione che ho avuto affrontando questa esperienza e quindi leggendo il
romanzo più volte è che comunque la forza di questa storia va oltre il tempo in cui è
stata scritta, nel senso che il libro supera le problematiche dell’epoca e racconta
qualcosa di ben più importante, racconta i sentimenti, e i sentimenti fanno parte
dell’uomo, hanno sempre fatto parte dell’uomo, e così continuerà ad essere, è la cosa
più preziosa che abbiamo.
Il problema della colpa quindi, è relativo, è un tema dell’uomo che ritroveremo sempre,
non credo sia giusto incolpare la società della storia di Anna, ma piuttosto credo che sia
più coretto pensare ad Anna come un essere umano che vive un’esperienza attraverso le
sue problematiche e questa esperienza la condurrà al suicidio.
Quanto c’è di Lei in Anna e quanto di Anna in Lei?
Tutto e niente, la totalità che non annulla il suo contrario. Il maestro incitava noi attori a
portare in palcoscenico sempre qualcosa di proprio, qualcosa che appartenesse alla
propria storia, alla propria fantasia, al proprio vissuto, quindi potrei risponderle tutto,
perchè ho cercato di lavorare in questa direzione, portando il più possibile qualcosa di
mio, ma quando siamo li sopra siamo degli interpreti, siamo noi che raccontiamo la
storia di qualcun altro, siamo noi nell’altro.
Possiamo dire che le interpretazioni della Musy sembrano pensate con il cuore e
sentite con la mente?
E’ un bellissimo complimento, mi auguro che sia così. Per una attrice della mia
generazione interpretare Anna Karenina con il regista Nekrosius, il maestro, il genio
della parola teatrale, è il sogno che si avvera, un sogno che vale un’esistenza, è qualcosa
di magico, devo ancora metabolizzare la realtà che sa di favola. Ringrazio il destino di
questo regalo, oltre a ringraziare il maestro, la produzione, e tutto ciò che rientra
nell’organizzazione pratica dello spettacolo. Io ho cercato di portare sul palcoscenico
ogni sfaccettatura del personaggio anche perché il ruolo è così ricco che permette di
lavorare sulle tante variazioni dell’animo di Anna. Il corpo , la mente, il cuore,
l’energia, il vissuto, la fantasia , la creatività , ho portato tutto il possibile, sicuramente
ci sarà ancora da lavorare, lo spettacolo è sempre in movimento e l’evoluzione di noi
stessi sempre in atto.
E cosa ha lasciato dentro di Lei ?
Ha lasciato Anna.
Come definirebbe Mascia Musy?
Mascia Musy…, semplicemente così. Lascio a lei .
Allora a Mascia Musy, intensa, elegante, discreta, raffinata e magnetica come un
arcangelo di Piero della Francesca, chiediamo, facendo questo lavoro c’è tempo
per una vita personale?
Si, c’è ed è anche importante che ci sia. Ci vuole un po’ di organizzazione, perché stare
molti mesi lontani dalla propria casa vuol dire stare lontani dai propri affetti. Lo spirito
d’adattamento, l’elasticità, la flessibilità nel gestire i rapporti, sono necessari per un
buon equilibrio psico – fisico, sottoposto ad un ritmo di vita non regolare. Non è facile
ma è possibile e soprattutto fondamentale per la propria esistenza.
La notte scolpisce il giorno, il giorno dipinge il suono della notte, le emozioni di
Mascia Musy danzano al chiaro di luna o alla luce del sole?
Sono una persona che ama profondamente la vita. L’energia che ci arriva dai pianeti,
dall’universo è qualcosa che mi affascina moltissimo. Riscoprire ogni mattina il sole e
al suo tramonto la luna è un miracolo che si rinnova ogni giorno, è il miracolo della vita.
Non saprei scegliere quali delle due situazioni sia, per me, più affascinante,
probabilmente, dato che il teatro in questo paese, a parte le pomeridiane, si svolge molto
spesso la sera, voglio sperare che io sia molto in comunicazione con la luna.
Lunedì 12 maggio 2008 di Antonella Iozzo – www.bluarte.it