Albert Einstein: la nascita di un mito

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Albert Einstein: la nascita di un mito
Eva Filoramo
Il momento in cui il nome di Albert Einstein cominciò a essere sulla bocca di tutti, e non soltanto degli
addetti ai lavori, fu quando i giornali cominciarono a
dedicare fior di titoloni al “risultato di uno dei successi
più importanti del pensiero umano”. Tali furono infatti
le parole usate per descrivere la teoria della relatività
generale da J.J. Thomson, premio Nobel per la fisica
per aver scoperto l’elettrone e presidente della Royal
Society quando, il 6 novembre 1919, Arthur Eddington
presentò pubblicamente i risultati da lui ottenuti qualche mese prima, durante l’eclissi totale di sole del 29
maggio di quello stesso anno. Astronomo e matematico,
Eddington era stato inviato in missione sull’isola di
Príncipe, nel golfo di Guinea, per condurre osservazioni
che dimostrassero se una specifi ca previsione della
teoria della relatività generale, pubblicata da Einstein
nel 1916, fosse o meno corretta (un’altra previsione che
si distaccava da quelle della teoria newtoniana, quella
sulla precessione del perielio di Mercurio, era già stata
confermata dai dati). Secondo la relatività generale, il
Sole, con la sua massa, deforma lo spazio in modo tale
che la luce di una stella lontana giunge fino a noi lungo
una traiettoria diversa da quella che percorrerebbe in
uno spazio vuoto; tipicamente, in uno spazio deformato
da una grossa massa, la luce viaggia lungo una linea
curva anziché retta. Un’eclissi totale di sole è un’ottima
occasione per verificare o confutare una tesi del genere, perché consente di effettuare fotografie del disco
solare oscurato insieme alle stelle che compaiono sullo
sfondo – solitamente invisibili proprio a causa della
luce emessa dalla nostra stella. Delle sedici fotografie
scattate durante l’eclissi del maggio 1919, soltanto sei
mostravano, lungo il bordo di cielo, le stelle che interessavano agli scienziati; fra queste sei, soltanto in
due le stelle presenti erano almeno cinque – il numero
minimo per ottenere risultati apprezzabili delle misure
dello scarto rispetto alla teoria newtoniana (la quale
prevede che la luce viaggi lungo una linea retta). Dopo
aver elaborato i dati ottenuti, il verdetto fu tuttavia
positivo: il risultato di 1.61” ± 0.3” (in altre parole,
un intervallo compreso fra 1.31 e 1.91 secondi di arco)
era compatibile con la teoria della relatività generale
(1.75”). La luce delle stelle era deviata dalla presenza
del Sole, e lo era proprio come Einstein aveva previsto.
Quella che il suo biografo Abraham Pais ha definito
“la canonizzazione di Einstein” iniziò poco dopo la
presentazione alla Royal Society; il giorno successivo,
il Time riportò, seguito poi dal New York Times, che
era stata formulata una “nuova teoria dell’Universo”
che “detronizzava le idee di Newton”. Non è difficile
immaginare quanto sia costato, ai sudditi di Sua Maestà, dover ammettere che uno dei più personaggi più
insigni della storia britannica non soltanto aveva commesso degli errori, ma che tali errori erano stati corretti da qualcuno che portava un cognome dall’aspetto
inequivocabilmente tedesco! A tal proposito Einstein,
nelle settimane successive invitato dal Time a scrivere
un articolo in cui, di suo pugno, spiegasse i contenuti
della propria teoria e l’importanza dei risultati ottenuti
da Eddington e colleghi, scelse di concluderlo con la
seguente battuta: “Ecco un’altra applicazione del principio di relatività, per il piacere dei lettori: oggi in Germania mi definiscono “un erudito tedesco” e in Inghilterra “un ebreo svizzero”. Se dovesse mai succedermi
di cadere in disgrazia, sono sicuro che diventerei “un
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ebreo svizzero” per i tedeschi e “un erudito tedesco”
per gli inglesi.” Questa citazione mostra come il mito
di Einstein nacque dal fatto che egli era, molto semplicemente, il sogno di ogni giornalista: aveva dimostrato
una insuperata comprensione del funzionamento del
cosmo e, al contempo, era acuto e carismatico.
Nel 1921, Einstein partì alla volta degli Stati Uniti per
quella che si rivelò essere una vera e propria tournée:
ovunque andasse, parlava in teatri affollatissimi di persone che probabilmente capivano soltanto una minima
percentuale di quanto udivano; durante un incontro
all’American Museum of Natural History di New York,
addirittura, come racconta un giornale dell’epoca il portiere “dovette chiamare la polizia, e dopo pochi minuti
ecco arrivare nella sede di una delle principali istituzioni
scientifiche del Paese uomini in uniforme impegnati in
una missione fino ad allora sconosciuta al dipartimento
di polizia: sedare una sommossa scientifica.”
Molti commentatori hanno provato, nel corso del
tempo, a cercare di spiegare i motivi per cui Einstein sia
diventato una vera e propria leggenda. Secondo Pais,
che lo conobbe ed ebbe modo di osservarlo da vicino
come amico e come “addetto ai lavori”, essendo anche
lui un fisico, il suo nome divenne sinonimo di scienza
grazie alle immagini visuali e verbali create dai mezzi
di comunicazione di massa, da lui definiti “la nuova
potenza del ventesimo secolo”. Lo dimostra il fatto
che, un’ottantina di anni dopo, nel 1999, il Time scelse
ancora lui, Albert Einstein, come “persona del secolo”
da mettere in prima pagina sulla copertina dell’ultimo
numero del secondo millennio.
Pais sostiene che il mito di Einstein sia scaturito dalla
combinazione di due forme di potere: quello delle
stelle, da sempre per l’uomo fonte di fascinazione, e
quello del linguaggio. In aggiunta, anche se secondo
Pais questo è secondario, tali poteri si sono trovati combinati in un momento in cui il mondo, essendo ancora
troppo vicini gli orrori di una guerra devastante, aveva
un gran bisogno di rassicurazioni. Con le sue stesse parole: “Ecco che un uomo compare dal nulla: l’improvvisamente famoso dottor Einstein. Porta il messaggio
di un nuovo ordine nell’Universo; è un novello Mosè
sceso dalla montagna per portare la legge e un novello
Giosuè che controlla il movimento degli astri. Parla
una lingua strana, ma i saggi confermano che dice il
vero. […] Il suo linguaggio matematico è sacro, eppure
trascrivibile in qualcosa di comprensibile ai profani: la
quarta dimensione, le stelle non sono dove pensavamo
fossero ma non c’è da preoccuparsi, la luce ha un peso,
lo spazio è curvo. [Einstein] colma due bisogni profondi, ben radicati nell’uomo: il bisogno di conoscere
e il bisogno non di conoscere, ma di credere.”
Positivo e negativo dell’eclisse solare del 29 maggio 1919. Durante l’eclisse solare totale, Sir Arthur Eddington esegue la
prima prova sperimentale della teoria generale della relatività di Einstein
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