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Quella luce in fondo al mare
Martedì, 29 Gennaio 2013, ore 16:10
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Quella luce in fondo al mare
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Quella luce in fondo al mare
Scritto da Pierpaolo Saracino
Scritto da Pierpaolo Saracino
La luce, energia fondamentale per il nostro pianeta, ci permette di
vedere e apprezzare tutto quel che ci circonda, anche sotto la superficie
marina.
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Di giorno, e nei primi metri di acqua, i raggi del sole illuminano tutti i
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colori e forme del mare, innescando anche fondamentali processi per la
vita degli ecosistemi marini.
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Il mare, essendo un fluido più denso dell’aria, assorbe le radiazioni
luminose che arrivano sempre più deboli nelle profondità marine, sino a
scomparire nel buio degli abissi.
Le
acque
meno
profonde,
invece,
sono
interessate
dal
buio
esclusivamente nella notte.
Lì nel buio la vita continua grazie a particolari adattamenti e condizioni di vita, come l’incomparabile capacità di produrre luce,
caratteristica adoperata da alcuni organismi.
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chiaramente una velata scia luminosa attorno alla barca.
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In questo caso si tratta di un comune elemento planctonico luminescente “Noctiluca” (Noctiluca miliaris o Noctiluca scintillans),
organismo unicellulare flagellato capace di emettere luce bioluminescente.
La bioluminescenza possiamo definirla un fenomeno con cui alcuni organismi viventi emettono luce sfruttando particolari reazioni
chimiche, in cui si ha la conversione di energia chimica in energia luminosa.
Questo fenomeno è diffuso soprattutto in diversi organismi marini, seppur utilizzato anche da animali terrestri, funghi e batteri.
Un classico esempio di batterio marino bioluminescente è Vibrio harveyi, la cui presenza conferisce al mare un’intensa luminescenza
tale da farlo apparire color bianco latte. Questo effetto è chiamato “milky sea” (mare di latte) e si manifesta prettamente nell’Oceano
Indiano.
Alla base del processo di bioluminescenza c’è una reazione chimica di
alcune molecole che, reagendo, emettono una parte di energia sotto
forma di radiazione luminosa (fotoni).
Tale reazione sfrutta l’azione di due composti chimici, il sistema
luciferina-luciferasi. La “luciferina”, substrato organico (molecola sulla
quale agisce la reazione) che emette la luce, e la “luciferasi”, enzima
catalizzatore (molecola che facilita e aumenta la velocità di reazione non
alterando la stessa). L’interazione tra i due composti e altri elementi
essenziali per la reazione, porta alla cessione di elettroni (particelle
cariche di energia), e quindi alla liberazione di energia sotto forma di
luce.
La luce che tipicamente vediamo, cioè luce “calda” (prodotta da incandescenza a temperature molto elevate), è diversa dalla luce da
bioluminescenza definita “fredda”. Questo perché con la bioluminescenza, la maggior parte dell’energia viene impiegata in luce e non
in calore; infatti la cellula, durante la bioluminescenza, rilascia meno dell’1% della sua energia come calore.
Così, con la sua piccola perdita d’energia termica, la bioluminescenza è il più efficiente metodo conosciuto di produzione di luce.
La capacità di emettere energia luminosa è molto diffusa seppur non sempre sia chiaro il suo utilizzo, e nella maggior parte dei casi,
non risulta essenziale per la fisiologia dell’animale.
Infatti, fino ad ora si conoscono solo alcuni degli scopi cui è finalizzata: predazione, difesa, comunicazione ecc.
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Nel caso della sopracitata “Noctiluca”, la bioluminescenza ha una
funzione difensiva: quando un predatore gli si avvicina, il movimento
dell’acqua viene recepito dalla Noctiluca che emette luce. Il predatore è
così spinto ad allontanarsi velocemente per non cadere vittima di altri
predatori attratti dalla luce.
La bioluminescenza è diffusa soprattutto nei pesci che trascorrono la
loro intera esistenza nel buio degli abissi marini. Questi sono dotati di
speciali organi produttori di luce bioluminescente, i fotofori.
La caratteristica disposizione dei fotofori, differente in specie diverse,
risulta fondamentale per la loro classificazione; è il caso della famiglia di
pesci “Myctophidae”, noti come pesci lanterna (tipici pesci abissali), i quali si possono classificare e determinare esclusivamente dalla
disposizione e dai gruppi di fotofori.
Un altro esempio di utilizzo della bioluminescenza come strumento difensivo, è il calamaro vampiro (Vampyroteuthis infernalis),
coperto interamente di questi organi luminosi che emettendo singoli lampi di luce disorientano i predatori.
Interessante è anche il caso del pesce pigna (Monocentris japonica), diffuso negli oceani Indiano e Pacifico, che utilizza un punto
bioluminescente sulla punta del suo labbro inferiore per attirare la preda. Il punto luminoso è determinato da un gruppo di batteri
bioluminescenti simbionti (vivono cioè in rapporto con un organismo vivente con vantaggi reciproci).
Infatti, alcuni organismi innescano la reazione di bioluminescenza intrinseca (associata a fenomeni biochimici interni) mentre, in
genere, il fenomeno è prodotto da batteri bioluminescenti simbionti.
Questa curiosa capacità di cui sono dotati determinati organismi marini ci permette di capire come l’adattamento evolutivo abbia
permesso la vita anche in condizioni “scomode” e a volte estreme, modellando una caratteristica per più scopi, e a più livelli evolutivi
(da organismi unicellulari ad organismi evoluti come i pesci).
Quasi un adattamento per la vita, che ci regala anche sensazionali e spettacolari scenari notturni.
Pierpaolo Saracino
29 gennaio 2013
Aggiunto in: Biodiversità, Biologia
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Tema a cura di Scienze Naturali.
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