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Tito Marci
Il circolo della gratuità
Il paradosso del dono e la reciprocità sociale
Collana “Orizzonti”
19
Tito Marci, Il circolo della gratuità
Copyright © 2012 Tangram Edizioni Scientifiche
Gruppo Editoriale Tangram Srl – Via Verdi, 9/A – 38122 Trento
www.edizioni-tangram.it – [email protected]
Collana “Orizzonti” – NIC 19
Prima edizione: dicembre 2012, Printed in Italy
ISBN 978-88-6458-072-2
In copertina: holding puzzle in sky © 2jenn – Fotolia.com
Stampa su carta ecologica proveniente da zone in silvicoltura, totalmente priva di cloro.
Non contiene sbiancanti ottici, è acid free con riserva alcalina.
Sommario
Capitolo I
L’ordine del dono
1. Il rinato interesse per il dono
2. Il rapporto dono-diritto
3. Il momento procedurale del dono
4. Conclusione
Capitolo II
La cultura dei doni
1. Introduzione
2. La ricostruzione antropologica
3. La comunità paradossale
4. L’inganno dei doni moderni
5. Oltre l’immanenza del dono
6. Conclusione
Capitolo III
La politica del dono
1. Introduzione
2. Il “contratto primitivo”
3. La ‘pharmacia’ del dono
4. La comunicazione paradossale degli ‘amici-nemici’
5. Il legame mimetico
6. Conclusioni morali
Capitolo IV
La comunicazione del dono
1. Introduzione
2. Munus
3. Le teorie della comunicazione
4. Comunicazione come istituzione
5. Una prospettiva per l’etica
6. L’ospitalità come esempio di comunicazione istituzionale
Bibliografia
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Il circolo della gratuità
Il paradosso del dono e la reciprocità sociale
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Capitolo I: L’ordine del dono
Capitolo I
L’ordine del dono
1. Il rinato interesse per il dono
L’idea del dono, idea antica e complessa, continua a occupare il nostro
secolo e la sua filosofia. È ancora di manifesta attualità in questi tempi
di crisi e incertezza che, in mancanza di migliori rimedi, sono segnati
dal ritorno dei buoni sentimenti, dei cosiddetti sentimenti umanitari.
Non è pertanto un caso che il dibattito filosofico, sociologico e politologico di questi ultimi anni si sia concentrato sul tema del dono. Sia
pure in un mondo caratterizzato dall’alto livello di consolidazione raggiunto dall’economia monetaria e dalle relazioni impersonali del denaro, la progressiva capitolazione del paradigma utilitaristico di fronte
agli effetti perversi del sistema di integrazione mercantile e del crescente fenomeno di ‘globalizzazione’ economica e culturale, ha aperto
la strada a rinnovate considerazioni teoriche circa il fondamento del
legame sociale e la dimensione complessa, tutt’altro che esclusivamente economica, dello scambio simbolico1. Di qui il rinato interesse per
Indicativi a tal riguardo sono il crescente rinvigorimento del dibattito intorno alla
sociologia di G. Simmel (specialmente alla sua Philosophie des Geldes), e la riconsiderazione critica degli scritti giovanili di Marx (quali, soprattutto, i Manoscritti economico-filosofici del 1844).
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1. Il rinato interesse per il dono
quell’antropologia ‘antiutilitaristica’ che fa capo al lavoro di Marcel
Mauss, e per quegli argomenti etici e politici della filosofia classica e
cristiana (si pensi ai concetti di philia, di amicitia o all’idea di caritas)
che il moderno individualismo teorico e metodologico sembrava non
aver mai preso effettivamente sul serio2. Malgrado in sede scientifica
abbia fin ora dominato l’interesse per la ragione egoistica ‘calcolante’,
sul piano propriamente etico, e per l’individualismo, in campo sociale
– per cui le motivazioni stesse dell’altruismo non potevano che apparire ‘non naturali’ e irrilevanti – non mancano oggi, in un ambito non
esclusivamente limitato alle riflessioni sul ‘solidarismo’ alla Durkheim
o sul ‘comunitarismo’ alla Tönnies, riformulazioni originali di uno
dei nodi classici del pensiero sociale, il rapporto individuo-società e la
formazione del legame sociale3.
In effetti, critiche all’utilitarismo sembrano ormai provenire da più
parti. La filosofia politica, l’antropologia e le scienze sociali in genere,
su diversi fronti, ne mettono in discussione i fondamenti teorici. Ed
è proprio in relazione a questa tendenza che dobbiamo registrare, in
qualche modo, la riscoperta e la riabilitazione paradigmatica, in campo etico come in campo politico e sociale, del concetto di dono, sia
in ordine ai problemi sollevati dall’antropologia, dalla teoria morale e
Per quanto riguarda M. Mauss mi riferisco essenzialmente all’Essai sur le don. Forme
et raison de l’échange dans les sociétés arcaiques, in “Année sociologique”, 1, 1923-24
(trad. it. in Teoria generale della magia e altri saggi, Torino 1965, pp. 153-292). Per
ciò che invece attiene al pensiero dei classici greci e latini mi limito in questa sede a
indicare, tra gli altri, L’etica nicomachea di Aristotele, il De beneficii di Seneca e il De
officii di Cicerone. In ultimo, per il pensiero cristiano, mi soffermo solo a ricordare
l’importanza del De Civitate Dei di Agostino per una riconsiderazione in chiave
etica dei rapporti sociali.
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È il caso qui di ricordare, in ordine all’eredità del pensiero durkheimiano in
campo antropologico, il lavoro svolto da M. Douglas sui processi cognitivi nella
formazione del legame sociale, dove il rapporto individuo-società viene originalmente riletto nella versione, marcatamente antiutilitaristica, del rapporto menteistituzioni (vedi specialmente How Institutions Think, Syracuse, N. Y., Syracuse
University Press, 1986; trad. it. Come pensano le istituzioni, Bologna, Il Mulino,
1990).
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Capitolo I: L’ordine del dono
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religiosa, che in ordine alle questioni poste dalla fenomenologia esistenzialista e dall’ontologia metafisica4.
È possibile solo in parte menzionare in modo esauriente i principali lavori che più
di altri hanno contribuito in maniera significativa, in questi ultimi anni, a riscoprire,
in chiave antiutilitaristica, il valore paradigmatico del dono. In campo filosofico si
può ricordare, per esempio, sulla scia di una tradizione che abbraccia l’opera di M.
Heidegger, J-P. Sartre, M. Merlo-Ponty, G. Bataille, E. Levinas e M. Blanchot, il lavoro di J. Derrida (Donner le temps, Paris, Galilée, 1991; trad. it. Donare il tempo,
Milano, Cortina, 1996; Donner la mort. L’étique du don. J. Derrida et la pensée du
don, Paris, Transition, 1992), di J. L. Marion (Ètant donné. Essai d’une phénoménologie de la donation, Paris, Puf, 1997) e, nel campo più specifico della filosofia politica, di R. Esposito (Communitas. Origine e destino della comunità, Torino, Einaudi,
1998). Per l’antropologia, oltre agli ormai classici lavori di M. Mauss e B. Malinowski, si possono ricordare i lavori di R. Firth (specialmente Symbols Public and
Private, London, Allen & Unwin, 1973; trad. it. I simboli e le mode, Bari, Laterza,
1977), di M. Sahlins (in particolar modo Stone Age Economics, Chicago e New York,
Aldine-Atherton, 1972; trad. it. L’economia all’età della pietra, Milano, Bompiani,
1980), di A. Testart (Des dons et des dieux. Anthropologie religieuse et sociologie comparative, Paris, Armand Colin, 1993) e di M. Godelier (L’énigme du don, Paris, Fayard,
1996). Notevole, anche per gli spunti filosofici il libro di B. Karsenti (Marcel Mauss.
Le fait social total, Paris, Presses Universitaires de France, 1994). Per quanto riguarda
le scienze sociali si possono menzionare l’importane lavoro di P. Veyne sul dono
collettivo ‘evergetico’ (Le Pain et le Cirque, Paris, Seuil, 1976; trad. it. Il pane e il
circo, Bologna, Il Mulino, 1984) e il più recente lavoro sulla largesse di J. Starobinski
(Largesse, Paris, Ed. de la Réunion des musées nationaux, 1994; trad. it. A piene
mani. Dono fastoso e dono perverso, Torino, Einaudi, 1995). Si pensi poi ai numerosi
articoli comparsi nella “Revue du MAUSS” (rivista ‘manifesto’ del Movimento antiutilitarista francese) nonché ai testi di alcuni suoi esponenti quali A. Caillé (specialmente Splendeurs et miséres des sciences sociales, Ginevra, Doz, 1986; trad. it. Mitologia delle scienze sociali, Torino, Boringhieri, 1988; Critique de la raison utilitaire,
Paris, La Découverte, 1988; trad. it. Critica della ragione utilitaria, Torino, Boringhieri, 1991; La démission des clercs. La crise des sciences sociales et l’oubli du politique,
Paris, La Découverte, 1993; trad. it. Il tramonto del politico, Bari, Dedalo, 1995), J.
T. Godbout (L’Esprit du don, Paris, La Découvert, 1992; trad. it. Lo spirito del dono,
Torino, Boringhieri, 1993; Le langage du don, Québec, Fides, 1996; trad. it. Il linguaggio del dono, Torino, Boringhieri, 1998) e S. Latouche (specialmente La Planète
des naufragés. Essai sur l’après-développement, Paris, La Découverte, 1991; trad. it. Il
pianeta dei naufraghi, Torino, Boringhieri, 1993). Si può far riferimento anche
all’importante lavoro di R. Titmuss sulla donazione di organi (The Gift Relationship.
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1. Il rinato interesse per il dono
Ecco dunque ricomparire, liberato finalmente dal sospetto economicistico, il tema antropologico del dono e della gratuità, del disinteresse
e della generosità, della liberalità e dell’altruismo, della benevolenza
e della solidarietà. Tema richiamato in principal modo dagli antiutilitaristi ma che non esaurisce, nella prospettiva dei loro studi, tutta la
sua potenzialità semantica, gnoseologica e critica. Anzi, vi è di nuovo
il sospetto che proprio in quel sistema il dono acquisti un ruolo meramente oppositivo (in un uno schema dicotomico che lo vuole in
costante contrapposizione ai paradigmi cognitivi e normativi dell’utilitarismo) o, tutt’al più, assuma, nella prospettiva della socialità, una
funzione di pura mediazione, di ‘giusto mezzo’ (una “terza via”) fra la
sfera di azione dello Stato e quella del libero mercato (così come, in
una prospettiva paradigmatica, fra olismo e individualismo)5.
Certo, il merito dei migliori interpreti dell’antiutilitarismo socioantropologico è stato indubbiamente quello di aver riscoperto il dono
– sulla scia dell’antropologia maussiana e dell’economia sostanzialista
di Karl Polany – nella dimensione del legame sociale, in quell’obbligazione attraverso cui la libertà del donare si associa all’esercizio della
‘riconoscenza’ reciproca. Il ‘donare’ vi appariva non più identificato
nel ‘donato’ (nella cosa donata) e, allo stesso tempo, il dono non era
più esclusivamente riconducibile a una idea astratta, e quanto mai idealistica, di disinteresse altruistico6. Ma, a ben vedere, i limiti di questo
From human blood to social policy, London, Allen & Unwin, 1970). Per il notevole
interesse nel campo delle scienze sociali vale la pena menzionare anche il lavoro
dell’economista K. Polanyi (specialmente i libri: The Great Transformation, New
York, Reinehart & Winston, 1944; trad. it. La grande trasformazione, Torino, Einaudi, 1974. Primitive, Archaic and Modern Economies, New York, Doubleday & Company, 1968; trad. it. Economie primitive, arcaiche e moderne, Torino, Einaudi, 1980.
The livelihood of Man, New York, Academic Press; trad. it. La sussistenza dell’uomo,
Torino, Einaudi, 1983. E con C. Arensberg e H. W. Pearson, Trade and Market in
the Early Empires, New York, The Free Press, 1957; trad. it. Traffici e mercati negli
antichi imperi, Torino, Einaudi, 1974).
5
In questo senso si veda specialmente A. Caillé, Il tramonto del politico, cit. p. 136.
6
L’impulso esercitato dall’antropologia di M. Mauss sulle teorie sociologiche dei
moderni antiutilitaristi è senza dubbio di fondamentale importanza. Le misure so-
Capitolo I: L’ordine del dono
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stesso approccio si sono presto rivelati quelli di una teoria che pretendeva di comprendere il dono entro un preciso schema o sfera d’azione.
In altri termini, dopo aver svelato l’ambiguo gioco dello scambio
sociale, gratuito e obbligatorio, libero e vincolante nello stesso tempo e dopo aver riscoperto l’aspetto paradossale del dono in quanto
rapporto attraverso cui interesse e disinteresse, spontaneità e costrizione non si contraddicono né si sovrappongono, ma si accordano
reciprocamente, i teorici dell’odierno antiutilitarismo hanno di nuovo
sacrificato la dimensione paradossale costitutiva del legame di dono
per fare di esso un nuovo paradigma esplicativo (valido sia dal punto
di vista cognitivo che normativo) fondato su un rinnovato modello interazionista nuovamente orientato a una ‘metafisica’ dell’integrazione
e della coesione7. Ma ancor di più, una volta individuata l’ambivalente reciprocità del dono, l’entità del rapporto tra vincolo e libertà, tra
spontaneità e obbligazione che ne caratterizza la costituzione rimane
ancora, alla luce di questa teoria, tutto da spiegare.
La ricerca si fa così più impegnativa e va restituita a quell’antropologia complessa, più che politica, economica, giuridica o, genericamente, culturale, che ci riconduce trasversalmente alla dimensione
paradossale e indistinta del legame sociale. Quel legame vincolante e
gratuito attraverso cui si intrecciano non solo egoismo e altruismo,
interesse e disinteresse, generosità e inganno ma anche solidarietà e
conflitto, consenso e sovversione, ospitalità e sfida, ricompensa e rifiuto, ostilità e amicizia, uguaglianza e distanza, riconoscenza e disprezzo.
ciali di cui parla l’antropologo nel suo Saggio sul dono tendono infatti a disciplinare
la società mercantile mediante il pieno impiego e la redistribuzione dei redditi, e non
a ritrovare le ‘rivalità generose’ delle società arcaiche premercantili o a ricercare lo
spirito del dono caritatevole come imperativo dell’amore per il prossimo (secondo
una coscienza sviluppata nel corso dei secoli che, facendo appello alla compassione,
prevede il dovere dell’elemosina destinata personalmente al povero). È proprio a
partire da questo tema maussiano che si alimentano, in fin dei conti, i più importanti contributi teorici degli antiutilitaristi circa l’impiego di politiche sociali.
7
È chiaro che mi riferisco ancora al lavoro già citato di A. Caillé e di J. T. Godbout.
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1. Il rinato interesse per il dono
Strano legame, dunque, il dono. Di quella ‘solidarietà insolidale’,
ostile e sacrificale, che ci consegnano i miti e la storia (da Prometeo,
Pandora e il Cavallo di Troia ai rimedi delle tecniche, dalle pubbliche
elargizioni ‘evergetiche’ – l’antica sparsio degli imperatori romani – alle
moderne politiche assistenziali, dai sistemi di retribuzione solidale alla
beneficenza privata) vi sono tracce evidenti nelle lingue indoeuropee:
doron-dolon, dosis e anti-dosis, munus e immunis, gift-gift, sono termini
attraversati dall’ambigua semantica dei dispositivi pharmaceutici propri del dono-veleno, del regalo-tranello, del rimedio-inganno che gli
usi linguistici, anche i più sofisticati, non riescono a cancellare8. Dietro
il circuito ‘grazioso’ del dare, ricevere e ricambiare, come dietro la generosità manifesta del gesto altruistico che non chiede nulla in restituzione, si ripresenta la logica ambivalente e perversa del ‘vincolo gratuito’,
del legame che asserve; quella stessa logica che la storia delle istituzioni
ha capitalizzato nelle diverse forme dell’amicizia inimicale’, dell’ospitalità inospitale’, della ‘carità incaritatevole’ e che gli scambi mediati
dai rapporti contrattuali non sono riusciti a eliminare riproducendola
in parte nelle relative sfere dell’agire politico, economico e giuridico.
Non sbaglia pertanto Starobinski quando sottolinea quel lato oscuro
e perverso che contraddice una morale spesso ipocrita, la quale ha voluto attribuire al dono la patente di buon sentimento, caricandolo di
un valore etico che la storia non sempre gli ha riconosciuto9.
Questo ci insegna, in effetti, la storia del dono: che non possiamo
comprendere correttamente la solidarietà se non entro lo schema di
un conflitto, così come non possiamo comprendere il gratuito se non
entro lo schema di una obbligazione. E vale anche il contrario.
D’altro canto, dopo il Saggio sul dono di Mauss occorre certo includere il dono in una storia generale del dispendio. Ma già filosofi, teoPer la ricostruzione etimologica dei termini elencati vedi specialmente E. Benveniste,
Le vocabulaire des institutions indo-européennes, vol. I, Paris, Minuit, 1969 (trad. it. Il
vocabolario delle istituzioni indoeuropee, vol. I, Torino, Einaudi, 1976, pp. 47-75).
9
Si rilegga a tal proposito di J. Starobinski il già citato A piene mani. Dono fastoso e
dono perverso.
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Capitolo I: L’ordine del dono
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logi e storici della società ne avevano preso in considerazione, in modo
esaustivo, gli aspetti più rilevanti e paradossali (si pensi, tra gli altri, al
De beneficiis di Seneca). Nella ricostruzione dell’orizzonte complesso e
indistinto del dono l’antropologia ha svolto comunque un ruolo fondamentale: ci ha mostrato come in istituzioni sociali arcaiche quali il
potlach nord-americano e il kula trobriandese si confondono obbligo
e spontaneità, generosità e violenza, sfida e consenso, competizione e
aggregazione, rivalità e unione. Ci ha svelato il carattere originario e
paradossale del dono, nonché la sua ineliminabile ambivalenza, nello
scambio e oltre lo scambio. Poiché se da un lato il dono eccede comunque lo scambio, dall’altro ne costituisce una necessaria condizione. E
proprio questa doppiezza, che già era inscritta nell’ordine arcaico dello
scambio sociale “totale” quando esso avveniva ancora esclusivamente
attraverso la reciprocità del dono, la ritroviamo nei sistemi politici antichi come nella sfera delle politiche pubbliche moderne (il dono degli
organi e del sangue, il volontariato, i gruppi di aiuto reciproco, la solidarietà tra estranei). La rincontriamo poi all’origine di quegli orientamenti solidaristici e comunitaristici che proprio nell’idea di communitas, in quanto reiterazione e condivisione del munus, del dovere di
donazione reciproca, trovano il proprio terreno di elaborazione10.
Ma questa originaria ambivalenza non si limita alla questione di una
specificità e contiguità del dono rispetto allo scambio. Essa va ben
oltre lo stretto ambito di interesse economico e politico (che sempre
di più sembra oggi appassionare le scienze sociali) e abbraccia, al suo
fondamento, quella stessa nozione di obbligazione che anche un’attenta teoria del diritto non può certo ignorare.
Malgrado l’ambivalenza che lo marca e le possibili perversioni che da
sempre l’attendono, il dono si manifesta allora, proprio adesso, come
uno di quei ‘classici’ temi che costituiscono ancora una valida sfida
per il nostro presente e una fondata scommessa per il nostro avvenire.
E non si tratta più di sciogliere l’antica opposizione fra dono fastoso
Si veda per questo l’interessante ricostruzione di R. Esposito, Communitas, cit. pp.
IX-XXXII.
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2. Il rapporto dono-diritto
e dono caritatevole, fra dono perverso e dono amicale, fra un atto di
potere (di dominio e asservimento) e l’imperativo dell’amore per il
prossimo, fra un agire spontaneo e la costrizione imposta dal sociale.
Si tratta di accogliere il livello di riflessività che ci offre ancora la complessità del paradosso, nella misura in cui la nostra stessa riflessione si
espone alla necessaria indeterminatezza dei possibili.
2. Il rapporto dono-diritto
Il dono, in quanto fenomeno sociale, è indubbiamente un tema classico dell’antropologia, e specialmente di quell’antropologia che interessandosi dei fatti e dei comportamenti che hanno rilievo per il diritto
può definirsi giuridica.
Non è un caso, infatti, che le categorie che hanno accompagnato il
rinato interesse per il dono nell’ambito delle scienze giuridiche e sociali siano state per la maggior parte fornite dagli studi antropologici.
Non stupisce però più di tanto lo scarso rilievo che i giuristi hanno
accordato al sistema del dono, specialmente in relazione allo studio
delle obbligazioni11. Una ragione infatti c’è ed è forse riconducibile
Solo sporadicamente i giuristi si sono interessati al fenomeno del dono e se ciò è
avvenuto si è trattato spesso di attenzioni marginali oggetto di opere che per lo più
esulano dal campo propriamente giuridico. A parte gli studiosi che occupandosi di
storia, teoria e filosofia del diritto, di diritto canonico o di diritto positivo in generale si sono rivolti all’istituto giuridico della donazione, al concetto di gratuito, di carità, di perdono e di grazia, al “contrat de bienfaisance” del Code civil francese, o ai
problemi sollevati dall’attuale regolazione della donazione di organi e di sangue,
dobbiamo, per esempio, soltanto all’interesse antropologico di un H. Kelsen (Society
and Nature, Chicago, The University of Chicago Press, 1943; trad. it. Società e natura, Torino, Boringhieri, 1992) una breve attenzione dedicata al potlach e ai fenomeni
che riguardano il dono come sistema di prestazioni reciproche, o alla curiosità di un
R. Von Jhering (Das Trinkgeld, 1882, tradotto di recente in Italia con il titolo La
mancia, Bologna, Nuova Editoriale Grasso, 1998) l’interessamento per un fenomeno
rilevante di “costume” (o, come egli dice, di “malcostume”) come quello della man11
Capitolo I: L’ordine del dono
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al fatto che i teorici del diritto riconoscono generalmente il valore del
dono soltanto nella fattispecie della donazione giuridica, ovvero, in
quanto contratto formalizzato. Niente di più lontano dall’immagine
che ne hanno restituito antropologi, filosofi, sociologi e storici della
società. Il dono vi appare, da un lato, come un sistema di obbligazioni reciproche e, dall’altro, come un fenomeno irriducibile a una dimensione puramente contrattuale e sempre eccedente la misura dello
scambio.
Un primo sguardo – lo sguardo privilegiato – va dunque indirizzato
a quell’insieme di prestazioni sociali arcaiche, effettuate con doni e
regali, che costituiscono, secondo le parole di Marcel Mauss, “il più
antico sistema economico e giuridico che sia dato di constatare e di
concepire”12.
A partire dal celebre Saggio sul dono di Mauss, possiamo infatti includere senz’altro il dono in una storia del diritto e delle istituzioni: per
comprendere il fenomeno bisogna comunque averlo inscritto, in ogni
cultura, nel contesto della circolazione generale dei beni. Ma una prospettiva esclusivamente economicista sarebbe in ogni caso insufficiente
se non fosse contemporaneamente sostenuta da una analisi dello statuto delle credenze implicate continuamente dal dono. Alcune credenze
si sono manifestate variamente nel corso del tempo, si sono modificate
secondo i valori loro attribuiti e si sono diversamente coltivate o represse. Così è accaduto per le differenti manifestazioni del dono, come
lo scambio gratuito, l’evergetismo, l’emulazione dispendiosa, la carità,
che sono state oggetto di diverse valutazioni. Come, del resto, è avvenuto per ciò che riguarda la funzione del dono nel quadro della storia
giuridica e per ciò che attiene la dimensione del diritto nell’ambito di
una storia sociale del dono.
cia. A tale situazione fanno eccezione pochi lavori, e tra questi va senz’altro ricordata
l’opera del romanista J. Michel (Gratuité en droit romain, Université Libre du Bruxelles, Istitute de Sociologie, Bruxelles, 1962) che non si limita soltanto allo studio
delle donazioni, degli acquisti a titolo gratuito e del munus, ma considera analiticamente il dono, e la gratuità in generale, come fatto sociale rilevante per il diritto.
12
M. Mauss, Saggio sul dono, cit. p. 275.