La precostituzione di una leadership

La precostituzione di una leadership
Tratto da “Cesare: lezioni di strategia”
Autore Mauro Pasquini ©
Edizione digitale Area51 Publishing ©
Edizioni audio Audible ©
Gaio Giulio Cesare si affermò sulla scena politica piuttosto tardi rispetto alla
media del tempo. Celebre è l’episodio riportato da Svetonio, secondo il quale a
Cadice, una cittadina della Betica, in Spagna Ulteriore, il futuro dittatore pianse
di disperazione contemplando una statua di Alessandro Magno. Era la primavera
del 68 a.C., e Cesare, ormai trentatreenne, si sentì schiacciato dalla figura del
grande generale macedone, che a soli vent’anni si era ricoperto di gloria con le
sue conquiste, mentre lui era solo uno dei venti questori annuali della
repubblica.
L’aneddotica è certamente un terreno sdrucciolevole, si rischia facilmente di
scivolare nel compiacimento o nell’invettiva da salotto. Ma questo racconto, al
di là della sua veridicità, esemplifica perfettamente tanto la smisurata ambizione
del personaggio quanto l’innata teatralità che Cesare non mancò mai di esibire.
L’ambizione fu ereditata o quantomeno coltivata come una pianta da sua madre,
Aurelia Cotta. Quest’ultima proveniva per parte paterna dalla gens Aurelia, e per
parte materna dalla gens Rutilia; entrambe nobili e molto influenti. Il nonno e il
padre di Aurelia, omonimi, entrambi con il nome di Lucio Aurelio Cotta, furono
consoli rispettivamente nel 144 a.C. e nel 119 a.C. Altri tre membri della sua
famiglia, probabilmente cugini di primo grado di Aurelia, si alternarono alla
suprema magistratura nel 75, nel 74 e nel 65 a.C.
Aurelia Cotta, com’era in uso fra le nobili matrone romane, si occupava
attivamente di politica. Fin dalla prima infanzia di Gaio si adoperò strenuamente
per garantire al figlio tutto quello che serviva per prepararlo a una futura,
brillante carriera politica. E lo stesso fece negli anni a seguire.
Il marito di Aurelia, Gaio Giulio Cesare padre, morì all’improvviso durante un
soggiorno a Pisa. Aurelia rimase vedova con tre figli: Gaio, quindicenne, Giulia
maggiore e Giulia minore; entrambi più piccole del fratello. Giulia maggiore
sarà la nonna del primo imperatore di Roma: Gaio Giulio Cesare Ottaviano
Augusto.
Ma la gens Iulia era decaduta sul piano economico, e la morte prematura di
Giulio Cesare padre non fece che aggravare la situazione. Probabilmente,
l’estrema perseveranza con cui Aurelia si curò di guidare ogni passo del giovane
Gaio, era dovuta alla sua volontà di trovare nell’avvenire del figlio una sorta di
riscatto per la condizione di marginalità nella quale la mancanza di sostanze
aveva confinato la sua famiglia, nel contesto crudo e feroce della nobiltà
romana. E in questo non si risparmiò. A Cesare venne sempre garantita la
possibilità di studiare con i migliori maestri dell’epoca che si trovavano in
Roma.
In seguito, quando con il ritorno di Silla dalla campagna militare nel Ponto, la
permanenza a Roma era diventata per Cesare un pericolo, i suoi studi
proseguirono a Rodi, dove si recò in fretta e furia per sfuggire alla rappresaglia
del dittatore contro gli oppositori politici.
Ma ancora all’inizio degli anni ’60, le energiche manovre di Aurelia per
garantire al giovane Cesare matrimoni e alleanze da cui ricavare doti finanziarie
e prestigio politico, tardavano a dare i loro risultati.
A trentatre anni, Cesare era ancora impantanato in un cursus honorum lento e
anonimo, rispetto alle aspettative che l’ambizione di Aurelia avevano creato nel
giovane patrizio.
Ma a questo punto si verificò una svolta, che le fonti concordano nel riportare
come improvvisa, guidata più da un’ispirazione divina che non da una ponderata
strategia, tesa a sfruttare le opportunità politiche del momento.
La vita di Gaio Giulio Cesare, letteralmente dall’oggi al domani, sembrò essere
avvolta dall’aurea della predestinazione a qualcosa di grande, a un futuro di
gloria e di potere, tanto da surclassare il suo stesso idolo e punto di riferimento,
Alessandro Magno.
La realtà era ovviamente ben diversa. Ma andiamo per gradi.
Si trovava ancora a Cadice quando sentì improvvisamente l’impulso di lasciare
la Spagna Ulteriore, dove era impegnato come questore. Congedarsi subito da
quell’incarico infruttuoso per tornare immediatamente a Roma era il nuovo
imperativo. Bisognava essere fisicamente presenti nell’Urbe. Solo lì era
possibile cogliere le occasioni per scalare velocemente il cursus honorum e
ottenere il vero potere tanto agognato.
Si adoperò freneticamente per prepararsi al lungo viaggio. Altrettanto
rapidamente dette disposizioni ai suoi sodali in loco, affinché si occupassero
delle questioni giudiziarie e amministrative rimaste in sospeso.
Ma ecco che la notte prima della partenza, Cesare fece un sogno che lo turbò
profondamente. Il futuro dittatore di Roma sognò di unirsi carnalmente alla
madre Aurelia. La visione di quel rapporto incestuoso lo riempì di raccapriccio,
cosicché, la mattina seguente, prima di mettersi in viaggio si recò dai sacerdoti
indovini del tempio di Ercole, situato nella remota cittadella della Betica. Cesare
intendeva sottoporre al loro giudizio il suo incubo, allo scopo di comprenderne il
significato.
I sacerdoti, con zelante prontezza, interpretarono quell’unione carnale violenta e
innaturale, rilasciando a Cesare un responso sconvolgente e al contempo gradito
dal giovane e ambizioso patrizio. Dissero di vedere nella madre di Cesare la
raffigurazione della Terra. Il sogno era dunque una premonizione: Cesare
avrebbe posseduto la Terra. Gli predissero pertanto un futuro da conquistatore e
da dominatore, in una misura ben superiore a quella di Alessandro Magno.
Tutto ciò era esattamente quello che Cesare agognava ardentemente, e che
soprattutto voleva sentirsi dire.
A questo punto della storia gli artifici della narrazione epica, le ragioni della
politica, e soprattutto le necessità della propaganda, si incontrarono; trovando
una sintesi perfetta nella plasticità di quella fuga precipitosa da una terra remota,
messa in atto per rincorrere il destino e aggredirlo, laddove si decidevano i
destini di gran parte del mondo allora conosciuto: a Roma.
Il messaggio era il seguente: Cesare si stava faticosamente destando dal torpore
che lo affliggeva, quando una premonizione lo aveva svegliato bruscamente,
indicandogli con chiarezza il suo cammino, il compito gravido di onore e di
oneri che lo attendeva, il suo futuro di predestinato alla grandezza.
La notizia della premonizione giunse a Roma molto prima dell’interessato,
cosicché la curiosità verso il personaggio ebbe tempo di accrescersi prima
ancora che lo stesso facesse il suo rientro ufficiale. Fu così che intorno a quel
giovane patrizio, elegante e libertino, già noto per la sua istrionica e seducente
alterigia, si creò un’aurea di fascino quasi mistico, alimentata dall’attesa.
Niente di più propizio per chi coltiva ambizioni politiche.
Non è difficile scorgere in questi eventi il primo vagito di quella che in realtà fu
una pianificazione a tavolino, sicuramente caldeggiata dalla madre Aurelia e
favorita di buon grado dall’ambiente politico dei populares.
Questi rappresentavano la fazione alla quale la gens Iulia, come molte altre gens
e famiglie nobili decadute economicamente, si appoggiavano in cerca riscatto.
Così facendo, questi nobili che si dicevano passati dalla parte del popolo, si
ponevano in contrapposizione agli ottimati, la fazione espressione della nobiltà
senatoriale conservatrice. Quest’ultima, già nella prima metà del secolo a.C., era
un’aristocrazia chiusa e decadente, sempre meno padrona della repubblica.
Era in corso infatti un’accelerazione dell’indebolimento dell’egemonia che fino
a quel momento la nobilitas era riuscita a mantenere sul senato, e attraverso di
esso, sulle magistrature.
I ripetuti incarichi straordinari a Mario, poi a Silla, e infine a Pompeo, assegnati
malvolentieri dai Patres, dimostravano da alcuni decenni come il senato avesse
perso centralità. Una centralità che fino a un passato relativamente recente aveva
fatto del glorioso senato di Roma il più importante degli organi collegiali di tutta
l’antichità.
Il venire meno dell’autorevolezza di un tale centro gravitazionale si rifletteva in
una grave e generalizzata instabilità politica. Il continuo succedersi al potere di
figure fortemente accentratrici e sostenute dalla forza di armate più fedeli al
proprio capo che non alla repubblica, certificava questo stato di caos e di
profonda debolezza delle istituzioni.
In una situazione così fluida, l’ascesa di leadership politiche imperniate sulla
personalizzazione e sul sensazionalismo, era sicuramente favorita. Le antiche
certezze vacillavano, e gli uomini avevano bisogno di aggrapparsi a chi
nell’incertezza generale riusciva a farsi forte.
Molto probabilmente fu proprio questa l’improvvisa urgenza che spronò Cesare
a lasciare la Spagna Ulteriore, per precipitarsi a Roma. L’instabilità politica da
un lato affliggeva la repubblica, ma dall’altro apriva nuove e inaspettate
possibilità a chi avesse la forza, la prontezza e l’intelligenza di approfittarne.
Ed ecco che la reale natura di quel presunto sogno incestuoso, la repentina
partenza da Cadice, nonché la velocità con cui venne riferito a Roma il responso
dei sacerdoti indovini, appare oggi molto più chiara.
A Roma la situazione stava evolvendo in modo favorevole alle ambizioni di
riscatto dei popolari. Dunque, si trattò molto probabilmente di un copione scritto
dai popolari stessi.
Lo scopo era cucire addosso a Cesare la veste di riformista vendicatore del
popolo che, sospinto da una volontà divina, rientrava a Roma per combattere
contro le angherie degli ottimati, obiettivamente ultraconservatori e corrotti.
Cesare, per quanto decaduto economicamente, era comunque un patrizio, e per
di più di antichissimo lignaggio. Pertanto, proveniva da un contesto sociale che
ancora deteneva una forte predominanza negli ambienti religiosi. Ma la sua
famiglia militava da tempo nelle fila dei popolari. Lui stesso era nipote di primo
grado del grande Gaio Mario, che dei popolari fu l’indimenticato capo politico e
militare.
La forza politica e paramilitare dei popolari e le potenti aderenze religiose di
quei patrizi che ai popolari si erano uniti, costituirono gli ingredienti mediante i
quali fu creata dal nulla una prima candidatura di Cesare alla scalata del potere.
Da un lato, sfruttando l’insuperata capacità del patriziato più antico di
manipolare la religione a fini propagandistici, e dall’altro, assecondando il
generalizzato malcontento contro la nobiltà senatoriale, che i popolari, da
sempre, utilizzavano come collante della loro variegata base politica.
Nella
persona
di
Cesare
iniziavano
a
mescolarsi
una
sorta
di
spettacolarizzazione a sfondo religioso della politica, e l’offerta di riscatto delle
masse, venata di clamore populistico. Come vedremo, il massiccio appoggio
finanziario di importanti esponenti del ceto equestre e l’inaspettato genio
militare e soprattutto politico dello stesso Giulio Cesare, chiuderanno il cerchio.