prior - Centro Studi Giuseppe Federici

Centro studi Giuseppe Federici - Per una nuova insorgenza
Comunicato n. 22/05 del 19 febbraio 2005, San Gabino
La Costituzione europea contro l’Europa
Riceviamo e pubblichiamo un articolo sulla cosiddetta costituzione europea, a firma di Geremia. La
costituzione europea e il mandato di cattura europeo rappresentano due tappe fondamentali del
Mondialismo per completare l’aggressione massonica all’Europa cattolica.
LA COSTITUZIONE EUROPEA: MORIRE D’EUROPA
Tra la generale inconsapevolezza, indifferenza e apatia si sta realizzando in questi giorni un fatto
storico di immensa portata: la abrogazione della Costituzione Italiana, unitamente a quella di
tutte le Costituzioni degli altri 24 Paesi membri della U.E.. Tale abrogazione è implicita
nella ratifica della Costituzione europea.
Per rendersene conto, senza profondersi in spiegazioni più diffuse, è sufficiente ricordare che
l’articolo 6 di detta Costituzione afferma lapidariamente il principio secondo cui “La Costituzione e
il diritto adottati dalle istituzioni dell’Unione nell’esercizio delle competenze a questa
attribuite prevalgono sul diritto degli Stati membri”, e mettere questo articolo in correlazione
con le competenze di cui i detti Stati si spogliano senza concrete possibilità di ritorno ratificando la
Costituzione unionista.
A questo riguardo, compulsando gli articoli da 11 a 18, è agevole rilevare che l’ambito di questa
devoluzione di poteri, tra “competenze esclusive”, “competenze concorrenti”, e “azioni di sostegno
coordinamento e complemento”, ha una latitudine così vasta che si stenta a trovare qualche campo
dell’attività umana, qualche settore del diritto, che non vi rientri. Tanto più che i termini usati sono
spesso talmente generici che è assai difficile, per non dire impossibile, individuarne i confini.
Si pensi ad espressioni come “politica sociale”, “coesione economica sociale e territoriale”,
“ambiente”, “cultura”, “istruzione”, “industria”, “cooperazione amministrativa”, “tutela della salute
umana” ecc.. Anche l’espressione con cui si attribuiscono all’U.E. poteri di “sostegno coordinamento
e complemento” non dice nulla e dice tutto.
Quando poi si passa alla parte III della Costituzione, dove dette espressioni dovrebbero essere
definite, le incertezze sui limiti dei poteri degli organi dell’U.E. non svaniscono ma crescono. Un
esempio per tutti: nel settore della “cultura” chi potrà dire dove comincia e dove finisce il potere
dell’Unione di “incoraggiare sostenere e completare” l’azione degli Stati in materia di “creazione
artistica e letteraria compreso (guarda, guarda!) il settore audiovisivo”? (articolo 280, paragrafo 2,
lettera d).
In questo clima di nebulosa, onnicomprensiva competenza, in caso di contrasto fra Stati membri e
U.E., è quest’ultima che decide, judex in causa propria, attraverso un proprio organo, la Corte di
Giustizia, che ha già dato in passato ampia ed eloquente prova di essere uno degli strumenti più
efficaci di compressione e progressiva erosione delle autonomie degli Stati.
Nell’indagine sulle competenze trasferite all’U.E., occorre tener ben presente una delle caratteristiche
fondamentali della relativa Costituzione, e cioè il linguaggio eufemistico che la contraddistingue per
rendere meno traumatiche abdicazioni di sovranità di sconcertante latitudine. Ad esempio,
l’espressione “competenza concorrente” fa pensare ad una parità di poteri – nei vasti e
importantissimi settori cui si riferisce – a una situazione, cioè, di parità fra Stati e organi dell’Unione.
Sennonché l’articolo 12 viene a spiegarci che “quando la Costituzione attribuisce all’Unione una
competenza concorrente con quella degli Stati membri” questi “esercitano la loro competenza nella
misura in cui l’Unione non ha esercitato la propria o ha deciso di cessare di esercitarla”. Nulla,
insomma, è loro garantito. Essi si trovano, ci sia consentita l’immagine, nella posizione del cagnetto
che ai piedi della tavola aspetta che il padrone gli butti benevolmente qualche osso o qualche
masticaticcio.
Quella degli eufemismi o addirittura degli interi articoli privi di concreto contenuto normativo con
funzione, per così dire, meramente anestetica è una tecnica cui il costituente europeista ha fatto
ampio ricorso, specialmente laddove vengono coinvolte le libertà fondamentali dei cittadini. Spiccano
a questo riguardo gli articoli 112, paragrafi 4 e 6, 113, 114, 257 paragrafo 1. Spicca, soprattutto,
l’illusionistico concetto di “sussidiarietà” enunciato con grande solennità sin dall’inizio, all’articolo
11, e per mezzo del quale, ribaltando la realtà, si vuole presentare la competenza dell’Unione come,
appunto, meramente “sussidiaria” rispetto a quella degli Stati membri. Questa prospettazione, come
si è visto, è chiaramente smentita fin dall’articolo immediatamente successivo, nel quale si spiega
cosa in realtà intenda l’U.E. quando parla di “competenza concorrente”.
Del resto è sotto gli occhi di tutti il dato di fatto che gli organi unionisti, lungi dal limitarsi a meri
interventi sussidiari e di sostegno, sembrano posseduti da una vera e propria frenesia normativa che
li spinge ad intervenire, con una mole senza precedenti di minuziosissime prescrizioni, là dove
nessun altro aveva mai pensato di farlo, in tal modo cancellando elementari libertà che nessuno
prima si era sognato di contestare. Basti ricordare le famigerate quote latte e la pretesa, giustificata
adducendo pretesti di ordine igienico, di chiudere i laboratori artigianali di pasta fresca. Per non
parlare della regolamentazione delle forme e delle dimensioni dei cetrioli e dei pomodori. Cose che
fanno sorridere i superficiali, ma fanno, e più ancora faranno piangere intere categorie di produttori,
incidendo pesantemente sull’occupazione, ma che, in compenso, favoriscono i grandi complessi
produttivi e commerciali a danno delle piccole aziende.
Lo spazio europeo di “libertà”, “sicurezza” e “giustizia”
Ma il settore in cui la Costituzione europeista si presenta più minacciosa è laddove, all’articolo 14,
attribuisce agli organi unionisti una “competenza concorrente” – peraltro nel senso già illustrato – in
materia di “spazio di libertà, sicurezza e giustizia”.
Ora, è precisamente richiamandosi a questa competenza, introdotta dal Trattato di Amsterdam del 2
ottobre 1997, che la Commissione e il Consiglio dell’U.E. hanno varato la famigerata “decisione
quadro” sul mandato d’arresto europeo. Non è questo il luogo per illustrare con specifici richiami
normativi la portata liberticida di quel testo di legge che ha destato tante e così accese discussioni e
a tutt’oggi, nonostante le enormi pressioni delle potenti lobbies unioniste, non è ancora stato
recepito dal Parlamento italiano perché in stridente contrasto con la nostra Costituzione.
Basti qui accennare, in estrema sintesi - rinviando chi volesse saperne di più all’ormai noto
“Manifesto” sottoscritto da una schiera di giuristi, giornalisti, docenti e scrittori reperibile in svariati
siti Internet - alle principali fra le molte novità eversive della nostra civiltà giuridica che quella
“decisione quadro” contiene.
Sul piano procedurale esse sono:
1) l’abrogazione dei limiti di competenza territoriale dei giudici penali e dei pubblici ministeri di
tutta l’Unione (articolo 4, incipit e nr. 7 lettere a e b);
2) l’abrogazione del principio di doppia punibilità, sin qui caposaldo di tutte le normative del mondo
in materia di estradizione (articolo 2, paragrafo 2);
3) la soppressione dell’obbligo di motivazione dei provvedimenti restrittivi della libertà personale
(articolo 8 e modulistica allegata al testo).
La allucinante conseguenza di queste novità europeiste è che un cittadino italiano potrà essere
arrestato e deportato nelle carceri di uno qualsiasi degli altri 24 Paesi dell’Unione su ordine di un
qualsiasi giudice o pubblico ministero della medesima, perché accusato o condannato per un fatto
che si afferma avvenuto in Italia e che per la legge italiana non costituisce reato, ma lo costituisce
invece per quella dello Stato cui appartiene il magistrato richiedente. Il tutto, comunque, e tanto già
basterebbe, senza motivazione e senza alcuna possibilità di controllo da parte dell’autorità
giudiziaria italiana. Ciò che vale per il cittadino italiano vale, ovviamente, anche per quello di un
qualsiasi altro Stato europeo.
A ben vedere, anche a prescindere dalla Costituzione europea, queste sgomentevoli innovazioni
procedurali non solo annichiliscono tutte le garanzie di libertà previste dalla Costituzione italiana (in
particolare, articoli 13, 24, 25, 26, 27 e 111), ma abbattono il pilastro portante della stessa, e cioè
l’articolo 1 laddove afferma che “la sovranità appartiene al popolo”.
E invero se coi nuovi meccanismi europeisti vengono a vigere in Italia le ignote e mutevoli
legislazioni penali di ben 24 Paesi – in attesa dell’ingresso della Turchia e di altri stati candidati –
non si può evidentemente più dire che il potere legislativo, che della sovranità costituisce l’essenza,
appartiene al popolo italiano.
Le innovazioni della decisione quadro sul mandato d’arresto europeo non si fermano al diritto penale
processuale ma, correlate ad altre decisioni quadro unioniste, investono anche quello sostanziale. Vi
si contemplano, infatti, ben 32 categorie di “reato”, molte delle quali di una così sconfinata
genericità che nessuno può sentirsi sicuro di non incappare nelle maglie di qualcuna di esse.
George Orwell: 1984
Fra tali categorie ne richiamiamo qui una sola, la 17ª: “razzismo e xenofobia”. La distinta proposta
di decisione quadro, di data 28 novembre 2001, dedicata esplicitamente a questa inedita “figura
criminosa”, lungi dal precisarne i già estremamente evanescenti confini, li abbatte tutti dilatandola a
proporzioni sconvolgenti. (1)
Al suo articolo 3, comma 1, lettera a), essa stabilisce infatti che “per razzismo e xenofobia” deve
intendersi “il convincimento che la razza, il colore, la discendenza, la religione o i
convincimenti, l’origine nazionale o l’origine etnica siano fattori determinanti per nutrire
avversione nei confronti di singoli o di gruppi”. In questo articolo, che meriterebbe un lungo
commento, sgomenta anzitutto l’introduzione dello psicodelitto di orwelliana memoria. L’U.E., invero,
punisce severamente non azioni, e neppure discorsi, ma semplici pensieri (“convincimenti”). In tal
modo essa criminalizza, fra il resto, tutta la lotta politica fondata appunto sul “convincimento” che i
“convincimenti” che contrastano con quello del partito in cui si milita vadano avversati e quindi
meritino “avversione”. Altrettanto dicasi per le religioni: il semplice tentativo di convertire qualcuno
alla propria religione dimostra che si considera la religione professata dall’interlocutore falsa, e
quindi la si “avversa” come “gruppo”. Nello “spazio di libertà, sicurezza e giustizia” istituito dall’U.E.,
dunque, la libertà morale è bandita come delitto e quella fisica è estremamente precaria, sospesa
com’è al tenue filo della “convinzione” che un giudice o un poliziotto possono avere circa “i
convincimenti” che ciascuno può nutrire nella sua mente.
Di certo l’opposizione all’U.E. e alle sue istituzioni, e pertanto a “gruppi”, sarà perseguita con la
massima determinazione.
La Costituzione europea non solo non torna indietro rispetto a queste novità ma, facendole proprie,
le eleva al rango di principi fondamentali. L’articolo 270, invero, enuncia l’obiettivo di “definire
norme e procedure per assicurare il riconoscimento in tutta l’Unione di tutte le forme di sentenza e
di decisione giudiziaria”, dove fra le decisioni che non assumono forma di sentenza rientrano anche,
ovviamente, i mandati di arresto. Viene così costituzionalizzato quel principio della competenza
territoriale universale che rende operante in Italia, così come in ogni altro Paese dell’U.E., i diritti
penali e le decisioni dei giudici di tutti gli altri Stati dell’Unione.
Lo psicodelitto orwelliano, poi, per quanto la cosa possa sembrare sbalorditiva, nella Costituzione
europea riesce a fare ulteriori progressi. L’articolo 81, infatti, significativamente collocato nella parte
intitolata “Carta dei diritti fondamentali dell’Unione”, al suo 1° comma così dispone: “È vietata
qualsiasi forma di discriminazione fondata, in particolare, sul sesso, la razza, il colore della
pelle, o l’origine etnica o sociale, le caratteristiche genetiche, la lingua, la religione o le
convinzioni personali, le opinioni politiche o di qualsiasi altra natura, l’appartenenza ad
una minoranza nazionale, il patrimonio, la nascita, la disabilità, l’età o l’orientamento
sessuale” (2).
Posto che, al di là di ogni assonanza con la parola “crimine” – assonanza peraltro, astutamente
sfruttata dal costituente europeista – il verbo “discriminare” nulla ha che fare con essa, ma significa
semplicemente “distinguere”, il principio qui presentato come “diritto fondamentale” è ancora più
universalmente repressivo di quello enunciato al citato articolo 3 della decisione quadro sulla lotta
contro il razzismo e la xenofobia.
La Costituzione dell’U.E. vieta infatti (chiamare un divieto diritto, e per giunta “diritto fondamentale”
è una “finezza” giuridica tutta europeista) non solo la “avversione” ma anche la semplice distinzione,
attuata in “qualsiasi forma”, e quindi tanto nei fatti quanto nelle parole. In questo paradossale
ordine di idee, costituire una associazione di italiani all’estero, ovvero un gruppo di “bolognesi a
Roma” è già violare un divieto di rilevanza costituzionale. La discriminazione nei fatti apre poi
illimitati processi alle intenzioni, e quindi al pensiero: hai assunto nella tua azienda o hai dato in
locazione il tuo appartamento a un italiano anziché a un extracomunitario, a un cristiano anziché a
un islamico o a un induista, a un bianco anziché a un nero, e via discorrendo…(3)
Vietando, e quindi criminalizzando, esplicitamente le distinzioni fondate sulle “opinioni politiche” il
costituente europeista ha messo fuori legge tutti i partiti, dissipando così qualsiasi dubbio che
potesse esser rimasto sulla base della più generica enunciazione della decisione quadro sul razzismo
e la xenofobia. Confermate invero la condanna delle religioni e la giustificazione di ogni
“orientamento sessuale”, e quindi anche della pedofilia, due chiodi fissi del legislatore unionista (4) si
arriva al parossismo di erigere a delitto persino le “convinzioni personali” e con esse - evidentemente
e paradossalmente - le scelte (sono pur sempre “discriminazioni”) nelle amicizie e nelle compagnie.
Nel dubbio che qualcosa potesse esserle sfuggita, la Convenzione europeista ha stabilito che quelli
elencati sono solo casi particolari (“È vietata qualsiasi forma di discriminazione fondata in
particolare …”).
Lo scopo di questo “principio” è sin troppo evidente: gli eurocrati vogliono garantirsi la possibilità di
togliere di mezzo in qualunque momento qualunque individuo o organizzazione possano dar loro un
minimo d’ombra. Questa loro frenesia di potere li spinge sino al delirio e alla follia. Una simile
normativa, infatti, se di normativa, e cioè di un complesso di regole di comportamento, si può
parlare di fronte a questo monumento dell’assurdo cui nessuno mai potrà, neppure volendo,
obbedire, non può definirsi che folle e delirante. Il pensiero umano, l’attività umana del pensare,
infatti, consiste tutta appunto nel distinguere o, se si preferisce, nel discriminare il vero dal falso, il
giusto dall’ingiusto, la ragione dal torto, il bene dal male, il bello dal brutto, l’utile dall’inutile e dal
dannoso, il gradito dallo sgradito, e via discorrendo.
Siamo di fronte alla negazione della ragione e del pensiero. A ben vedere, insomma, si è
criminalizzato l’uomo in quanto tale: l’uomo in quanto essere pensante e raziocinante. Si incrimina
l’intera umanità per spogliarla di tutti i suoi diritti.
A questo punto viene spontaneo ricordare che il preambolo della Costituzione europea approvato dal
“Praesidum” e poi a malincuore modificato di fronte alle reazioni dell’opinione pubblica cattolica, ne
indicava la matrice ultima e culminante nelle “correnti filosofiche dei Lumi” (si noti la maiuscola) e
cioè nell’illuminismo, che fu poi la dottrina ispiratrice della Rivoluzione francese. Orbene, è
incontestabile che il principale “maître à penser” di quella sanguinosa rivoluzione fu Jean Jacques
Rousseau, la cui concezione dell’uomo è efficacemente sintetizzata nella famosa frase contenuta
nella prima parte del suo “Discorso sull’origine della disuguaglianza”: “oserei quasi assicurare che lo
stato di riflessione è uno stato contro natura e che l’uomo che medita è un animale depravato”.
Sono parole che offrono ansa a molte e istruttive considerazioni sull’illuminismo e sul suo cosiddetto
“razionalismo”, ma questo discorso ci porterebbe troppo lontano. Quello che qui ci preme
sottolineare è che attraverso la criminalizzazione universale si vuole stabilire un regime terroristico,
in cui nessuno abbia neppure il coraggio di aprir bocca, un regime in tutto simile, anche se più
radicale, a quello che caratterizzò il periodo della Rivoluzione francese noto appunto sotto il nome di
“Terrore”. A tale riguardo giova ricordare che quel regime era fondato su due leggi, quella
famigerata detta “dei sospetti” e quella del 24 pratile dell’anno II, improntate ad analoghi principi di
criminalizzazione illimitata.
L’importanza preminente che il costituente europeo attribuisce al principio di non discriminazione è
rivelato anche dal fatto che esso è enunciato sin dall’articolo 2 e ripetuto, con insistenza
sorprendente, agli articoli 118 e 124. Il bello è che all’articolo 70 lo stesso costituente ha proclamato
“la libertà di pensiero, di coscienza e di religione, (e quella) di manifestare la propria religione o la
propria convinzione, individualmente o collettivamente in pubblico o in privato” e all’articolo 71, con
atecnica, rudimentale prolissità, è tornato sul tema parlando di “libertà di espressione”, “di opinione”
e di comunicazione di “idee”, quasi che la manifestazione del pensiero e quella delle opinioni fossero
cose distinte.
Ci si domanda: come è possibile coordinare norme così contraddittorie? Ovviamente ricorrendo al
noto principio di ermeneutica giuridica secondo cui la norma speciale deroga a quella generale. Dove
la norma generale è quella che pone la libertà di pensiero, parola ecc., e la norma speciale quella
che la vieta ogniqualvolta essa si risolva in una discriminazione. In altre parole, il cittadino europeo
può professare e proclamare tutto quello che vuole, a condizione però che eviti qualsiasi forma di
distinzione per religione, opinioni personali, opinioni politiche e di qualsiasi altra natura. In breve:
mai! Altrettanto, è ovvio, deve dirsi per il diritto di associazione, parvenzialmente enunciato
all’articolo 72.
Queste contraddizioni ci aiutano a comprendere almeno in parte il perché dell’elefantiaca mole della
Costituzione europea: la contraddizione, il dire e il negare quel che si è detto, riveste in essa una
duplice funzione. La prima è quella anestetico-manipolatoria o, se si preferisce, mimeticoillusionistica di cui si è detto all’inizio di questo studio: si deve far credere che le libertà fondamentali
non sono state cancellate: un inedito silenzio su di esse avrebbe richiamato l’attenzione degli
osservatori più distratti. La seconda funzione è, ovviamente, quella di garantire agli eurocrati quel
potere illimitato sui sudditi di cui già si è detto. Dove regna la contraddizione l’arbitrio gode di spazi
illimitati.
A questo punto riteniamo di avere sufficientemente illustrato quanto si è detto in apertura,
e cioè che la Costituzione europea abroga quella italiana, e la abroga non perché la
assorba, ma perché ne contraddice tutti e quattro i principi cardine, e cioè la sovranità
popolare, la libertà di manifestare liberamente e con ogni mezzo il proprio pensiero, la
libertà di associazione, l’inviolabilità della libertà personale. Sono innovazioni palesemente
funzionali alla legittimazione e all’esercizio dell’anonimo ed antidemocratico potere degli
eurocrati.
Il costituzionalismo eurocratico e la fine del diritto
Per individuare l’humus in cui questo potere afferma le proprie radici, ci pare molto significativo
accennare brevemente al fatto che, novità assoluta rispetto almeno alle Costituzioni a noi note,
quella europea prende in considerazione la banca, contemplando in una trentina circa di articoli
sparsi un po’ ovunque la Banca Centrale Europea (oltreché le Banche centrali nazionali),
riconoscendo in essa una istituzione, con propria personalità giuridica, addirittura sovrana in quanto
“indipendente nell’esercizio dei suoi poteri e nella gestione delle sue finanze” (art. 30). È un
argomento su cui ci sarebbe molto da dire, ma che qui possiamo solo accennare di sfuggita. Basta
soffermarsi a pensare fino a che punto la politica dipende dal danaro per rendersi conto dell’enorme
importanza di questo innovativo aspetto della Costituzione europea.
Tornando alla sorte che attende a breve la Costituzione italiana, non è chi non veda che
parlare di una Costituzione, e cioè di una Carta fondamentale di uno stato, che, a norma
degli articoli 5 e 6, valutati in connessione con le innumerevoli competenze unioniste
stabilite dalla stessa Costituzione europea, può venire derogata anche nei suoi principi
fondamentali persino da semplici atti esecutivi (regolamenti e decisioni) di un altro
soggetto giuridico, oltrechè da qualsiasi sentenza della Corte di Giustizia e addirittura da
qualsiasi giudice e pubblico ministero di un Paese straniero, è una contraddizione in
termini. E altrettanto dicasi delle Costituzioni degli altri 24 Stati membri dell’U.E..
Ma vi è di più: la dottrina giuridica moderna riconosce l’essenza del costituzionalismo, correlato al
concetto di Stato di diritto, nella determinazione di un sistema di regole che assicurano la
partecipazione del popolo al governo dello Stato, e soprattutto garantiscono di fronte a quest’ultimo i
diritti dei cittadini; non si può quindi che concludere, in base a quanto si è illustrato, che quella
europea in realtà non è una Costituzione, ma lo strumento che, sotto tale ingannevole nome,
sopprime la figura stessa di Costituzione. E con essa anche quella di Stato di diritto, cui pure si
richiama nel suo “Preambolo”.
Qualcuno osserverà forse che la fragilità dello Stato costituzionale è connaturata alla sua
fondamentale premessa secondo cui la legge sarebbe l’espressione mutevole, e pertanto
manipolabile, della volontà popolare. Indubbiamente possiamo oggi constatare che essa poggiava su
più solide basi quando la si riteneva legata a un’idea di giustizia, e quindi di diritto, trascendente
l’uomo, e pertanto intangibile tanto dai governanti quanto dai governati. Questa però è una
questione di filosofia del diritto che sul piano concreto non toglie affatto il radicale contrasto fra la
Costituzione italiana, e in genere le Costituzioni nazionali, e quella “Costituzione” europea che
abbiamo visto essere tale solo di nome.
Del resto anche sul piano storico concreto essa nulla ha che vedere con la volontà popolare, ma è
stata lungamente incubata e preparata all’insaputa dei popoli e persino dei Parlamenti europei,
attraverso tappe di cui giungeva loro solo qualche generica eco, circonfusa da un coro di orchestrate
esaltazioni mass mediatiche. Solo un esame approfondito avrebbe potuto svelare le insidie di un
processo portato avanti, a parole, in nome della pace, ma in realtà preordinato all’instaurazione di
un potere così assoluto da non avere precedenti nella storia.
Non per nulla la nota antropologa Ida Magli nel suo profetico libro “Contro l’Europa”, sin dal 1997,
considerando da un osservatorio più culturale e, appunto, antropologico che non giuridico,
l’arrogante dilatarsi dei poteri e delle pretese europeiste, e ragionando sulla scorta del Trattato di
Maastricht, formulava questa lungimirante previsione: “Con l’Unione Europea si sta preparando la
più forte delle dittature imperialistiche che i popoli abbiano mai sperimentato” (5)
Quell’autrice, invero, individuando sin da allora “l’operazione fondamentale dell’Unione Europea”
nella “eliminazione delle differenze con la omologazione dei popoli”, prevedeva che ciò avrebbe
portato “con assoluta certezza al baratro del non senso” (6) La ricetta di pace proposta, o meglio,
imposta, dagli eurocrati, era infatti semplicissima: “rinunciare a esprimere qualsiasi giudizio. Tutto è
ugualmente bello e giusto. Una religione vale l’altra, un’intelligenza vale l’altra, un costume vale
l’altro” (7)
Ma questa negazione delle differenze, e quindi delle distinzioni, rilevava acutamente quella studiosa,
è contro natura. Negando la specificità della persona umana si nega la persona in quanto tale: morte
della persona e morte dell’uomo: “nel momento stesso in cui qualcuno afferma che sei uguale, ti
uccide come esistente, ti cancella” (8)
Per nere che fossero le sue previsioni, si può star certi che la Magli non si sarebbe aspettata che di lì
a pochi mesi, il 2 ottobre di quel medesimo anno 1997, il Trattato di Amsterdam al suo articolo 6A
avrebbe formulato il principio di non discriminazione, non più dunque combattendo indirettamente le
distinzioni, ma ponendo le premesse in base a cui, col mandato d’arresto europeo, si sarebbe
criminalizzato addirittura l’atto stesso del distinguere, e dunque del pensare.
Se quanto sin qui detto è esatto, è giocoforza concludere che la Costituzione europea, col
suo “spazio di libertà, sicurezza e giustizia” – di cui le decisioni quadro sul mandato
d’arresto europeo e sulla lotta contro il razzismo e la xenofobia sono le più eloquenti
manifestazioni – ben al di là della fine dello Stato costituzionale e di diritto, segna quella
dei diritti soggettivi e quindi del diritto tout court. E con la fine del diritto anche quella
della civiltà, che dal diritto è inscindibile.
Nessun dorma
Chi consideri senza prevenzioni ideologiche o paraocchi partitici l’approssimarsi al traguardo del
progetto europeista, non può non restare sbigottito scorgendovi il segno di un universale
accecamento delle classi politiche degli Stati. Esse infatti stanno sottoscrivendo senza reazione
alcuna e anzi spesso, come è il caso dell’Italia, con precipitoso entusiasmo, il proprio annichilimento.
Per rendersi conto che si tratta di un annichilimento e non di un semplice, per quanto drastico,
ridimensionamento non basta compulsare la pur impressionante serie delle competenze dell’U.E.
prevista dagli articoli da 13 a 18 della Costituzione europea. Altre, invero, ne vengono trasferite
sotto altri titoli: agli articoli 265 e seguenti l’U.E. si arroga in sostanza illimitati poteri nel
delicatissimo tema della immigrazione e all’art. 269, paragrafo 3, in una sedes materiae in cui
nessuno se lo aspetterebbe, mette saldo piede nel diritto di famiglia.
Ma tutto questo, per quanto grave possa apparire, non rende ancora l’idea della onnipervasività dei
suoi organi, della larghezza con cui giorno per giorno, regolamento per regolamento, decisione per
decisione, sentenza per sentenza, l’Unione dilata ed approfondisce il suo potere, ingerendosi in tutte
le minuzie.
Argo dai cento occhi, Briareo dalle cento mani, Idra dalle molte teste, essa si introduce dappertutto,
disciplina tutto, impedisce tutto, controlla tutto. C’è da chiedersi se un Presidente del Consiglio dei
ministri di un Paese membro conterà fra breve più di quanto conti oggi il Sindaco di Pizzighettone.
Forse ancor meno, visto che per ora quel sindaco nessuno lo può ancora deportare, neppure dopo la
scadenza dell’incarico, con un mandato d’arresto immotivato.
E che ci starà a fare la Corte costituzionale italiana, che ha già abdicato a favore dell’U.E. su tutte le
materie che non concernono i diritti fondamentali, quando anche quei diritti - divenuti in gran parte
delitti in forza del principio di non discriminazione e della lotta contro il razzismo e la xenofobia saranno stati cancellati dalla Costituzione europea? (9)
A ben vedere stiamo assistendo ad una commedia in cui non si capisce chi inganna e chi è
ingannato: i giornali recano in prima pagina, come se fossero di somma importanza, le vicende
politiche di un Governo e di un Parlamento moribondi che perdono competenze e autonomia giorno
per giorno, e le cronache delle lotte accanite per un potere sempre più evanescente, ispirato da una
brama gnostica di autoannientamento, al quale di concreto rischiano di restare solo gli stipendi.
Che valore hanno – ci si domanda – in questo clima di liquidazione dello Stato le rivendicazioni
autonomistiche che le Regioni portano avanti nei suoi confronti? Di più: quali poteri resteranno, in
concreto, a quelle Regioni? E come riconoscere un senso alle proteste dei magistrati che sfilano
agitando una Carta costituzionale già gravemente ferita e di cui, fra il loro generale disinteresse, è
imminente l’abrogazione?
“Gli Stati nazionali – scrive sempre la Magli – debbono morire (anche se è bene che i popoli se ne
accorgano il più tardi possibile), per far posto all’Impero Europeo, ma rimarranno formazioni “di
provincia”, prive di contenuto politico, che potranno dilettarsi con le loro tradizioni folkloristiche, le
loro feste paesane, i loro dialetti, i loro Santi patroni e così via”. (10)
E anche questo residuo oggi non è più tanto sicuro, perché ci si deve chiedere se la conservazione
delle tradizioni e dei dialetti locali e il culto dei Santi patroni non possano essere considerati, in base
all’articolo 81 della Costituzione unionista, indiretta discriminazione per ragioni etniche o religiose.
Non è forse invocando questo principio che si stanno bandendo i Presepi e i Crocefissi dai nostri asili
e dalle nostre scuole?
Questa smania di abdicazione e di autoannientamento, in Italia è giunta al punto che, benché, come
si è visto, l’approvazione della Costituzione europea comporti con tutta evidenza la abrogazione di
quella italiana, nondimeno si vuol procedere a un passo così grande scavalcando le rigorose forme
che quest’ultima prevede all’articolo 138 per una sua semplice, anche marginale, modifica.
Stiamo così assistendo al paradosso di una Carta fondamentale “rigida” che, ancora nella sua
vigenza, viene abrogata e sostituita con le forme che essa richiede per modificare un solo articolo del
codice stradale.
Lo scollamento istituzionale (e mentale) è giunto al punto che si parla di apportare riforme a quella
stessa Costituzione di cui sta per decretare la morte.
In questo quadro dominato dalla contraddizione, e quindi dalla irrazionalità, una menzione tutta a
parte merita la questione del recepimento della decisione quadro sul mandato d’arresto europeo.
Posta di fronte ad un testo di legge di cui abbiamo illustrato il carattere liberticida e il flagrante
contrasto coi principi basilari della Costituzione italiana, la Camera dei deputati vi ha apportato
molte e sostanziali modifiche, decidendo di recepirlo solo “nei limiti” in cui le sue “disposizioni non
sono incompatibili con i principi supremi dell’ordinamento costituzionale (ovviamente italiano) in
tema di diritti fondamentali” (art. 1). Dunque: il baluardo che è stato eretto per tutelare il
cittadino italiano dalla frenesia criminalizzatrice dell’U.E. (in particolare della Commissione Prodi),
poggia tutto sul fondamento della nostra Costituzione. È evidente pertanto che se essa verrà
sostituita da quella europea - che come si è visto pone principi “supremi” contrari ai suoi e del tutto
conformi alla decisione quadro unionista - quel baluardo (sulla cui fragilità, peraltro, non è qui il
luogo per soffermarsi) crollerà miseramente.
L’aspetto più sconcertante della vicenda consiste nel fatto che lo stesso giorno in cui il
Senato votava ulteriori modifiche alla legge di recepimento sull’euromandato ritenendo
non sufficienti le pur importanti garanzie volute dalla Camera dei deputati, quest’ultima
ratificava la Costituzione europea che vanifica tanto le cautele predisposte da lei stessa,
quanto quelle ulteriori votate dal Senato.
Se non vi sarà un salutare ripensamento il paradosso arriverà al culmine, con un Senato
che ratificherà a sua volta la Costituzione europea, abrogando così quella italiana, e una
Camera dei deputati che approverà le ulteriori garanzie deliberate dal Senato, fondate su
quella Costituzione di cui essa stessa ha votato l’implicita abrogazione.
Fare e disfare – dice il proverbio – è tutto un lavorare.
Quello che comunque resta più misterioso è perché Governo e Parlamento abbiano tanta
fretta di far entrare in vigore quella Costituzione europea, la cui ratifica, oltre a togliere di
mezzo la sovranità del popolo italiano, costituisce il loro suicidio politico e, quel che più
conta, spoglia i loro esponenti, al pari degli altri cittadini, dei più elementari diritti di
libertà. È questo un atto di strana sconsigliatezza, anche perché, come la storia delle
rivoluzioni univocamente insegna, gli uomini politici, essendo più in vista, sono i più
esposti a venir travolti dai marchingegni sovversivi da loro stessi escogitati, o comunque
approvati.
Colpisce infine, dopo tante esaltazioni retoriche, il disprezzo per la sovranità popolare e la
democrazia, che gli esponenti della classe politica italiana manifestano con la loro pretesa
di sovvertire l’intero assetto istituzionale, cancellare l’Italia come Stato e consegnare il
popolo a un potere anonimo e remoto, violando l’art. 138 della Costituzione nazionale ed
addirittura senza neppure ricorrere ad una consultazione referendaria. È un fatto, questo,
che la storia non potrà dimenticare e ascriverà a loro perpetua infamia. Invero, oltre a
quanto si è detto, il fallimento anche economico dell’U.E., già preannunciato dal clamoroso
fiasco dell’euro – introdotto con mille sacrifici carpiti con l’assicurazione che avrebbe
portato stabilità e benessere – è iscritto nel suo DNA. (11)
La sua formula economica, infatti, è un “mix” di dirigismo sovietico, portato al parossismo,
e di “deregulation” liberista non meno esagerata. Di tale “mix” già si cominciano a
raccogliere i primi amarissimi frutti. E il peggio è di là da venire. È difficile infatti
immaginare un regime peggiore di quello dei banchieri.
NOTE
(1) Quello della “definizione” che invece di delimitare dilata a dismisura è un altro dei trucchi abituali
del legislatore europeo. Anche la figura del terrorismo, invero, nella proposta di decisione quadro
sulla lotta contro tale forma di criminalità di data 19 settembre 2001, considerava delitto terroristico,
ad esempio, la semplice “minaccia” di danneggiare “mezzi di trasporto pubblico” qualsiasi, di
effettuare una “occupazione abusiva di infrastrutture statali o pubbliche”, o di commettere
genericamente un “furto”. Era richiesto, è ben vero, un doppio dolo specifico costituito dallo “scopo
intimidatorio” e dal “fine di sovvertire o distruggere le strutture politiche, economiche o sociali di un
paese” (articolo 3, paragrafo 1, lettere e) ed f)). Ma ci si domanda: “Quando mai il danneggiamento
o addirittura la minaccia di un danneggiamento di mezzi di trasporto pubblico, o l’occupazione, o la
minaccia di occupazione di infrastrutture pubbliche (poniamo una scuola, una stazione ferroviaria)
può sovvertire le strutture politiche, economiche o sociali di una paese”? La sproporzione tra il fatto
e il fine è tale da slargare il concetto di terrorismo a dimensioni smisurate, offrendo ai giudici spazi
sconfinati di arbitrio.
(2) L’operatore del diritto non può non notare l’atecnica ridondanza di questo articolo: l’espressione
“qualsiasi forma” è già onnicomprensiva, quella “in particolare” rinforza tale onnicomprensività. A
questo punto le parole “qualsiasi altra” sono davvero di troppo, stonatissime in un testo di legge, il
cui linguaggio dovrebbe essere sobrio ed essenziale. La verità è che, a prescindere da ogni
deprimente considerazione sulla competenza dei Soloni della Convenzione, come meglio vedremo in
seguito, la Costituzione europea non ha carattere giuridico, ma, al contrario, squisitamente
antigiuridico.
(3) Purtroppo il principio, o meglio l’antiprincipio liberticida del divieto di discriminazione è penetrato
anche nella legislazione italiana. Ci riferiamo in particolare a due leggi: quella del 25 giugno 1993,
nr. 205, portante “misure in materia di discriminazione razziale, etnica e religiosa” più nota come
“Legge Mancino” e quella del 25 luglio 1998 nr. 286, in materia di “immigrazione e norme sulla
condizione dello straniero”, più nota sotto il nome di “legge Turco-Napolitano”. In quest’ultima,
all’articolo 43, 1° comma, il legislatore getta la peraltro inconsistente maschera nominalistica
costituita dalla parola “discriminazione” e dalla sua assonanza con la parola “crimine” ed afferma
chiaro e tondo che tale vocabolo è sinonimo di “distinzione”. Tale articolo, infatti, così esordisce: “Ai
fini del presente capo, costituisce discriminazione ogni comportamento che direttamente o
indirettamente comporti una distinzione, esclusione, restrizione o preferenza basata sulla razza, il
colore, l’ascendenza o l’origine nazionale ed etnica, le convinzioni e le pratiche religiose”. “In
Italia, però, queste leggi hanno per fortuna sin qui trovato solo sporadica applicazione, anzitutto per
la loro palese assurdità che crea un senso di disagio in chiunque voglia metterle in pratica, poi per il
loro radicale contrasto coi principi di libertà di associazione e di parola enunciati dagli articoli 18 e 21
della nostra Costituzione, e cioè coi presupposti indispensabili di ogni sistema democratico moderno.
(4) In un’intervista a “La Padania” del 4 gennaio 2002 (pag. 5), il Ministro Castelli, invitato a
illustrare la sua posizione in sede di Consiglio dell’U.E. in materia di pornografia pedofila, così si
espresse: “Nel testo proposto sul tema della pedo-pornografia c’era un articolo che conteneva una
deroga consentendo di detenere in casa propria quella che potremmo chiamare una “modica
quantità” di immagini pedo-pornografiche, purché gli attori fossero nell’età del “consenso sessuale”.
Abbiamo chiesto più volte di chiarire cosa volesse dire questa clausola dell’età del “consenso
sessuale”, ma nessuno ha voluto definirla con precisione. Quindi noi, ancora una volta a costo
dell’isolamento, abbiamo detto di no. E non ci importa se gli altri non ci hanno seguito in questa
strada”. Dunque, in sede europea solo il Ministro Castelli si è opposto all’avanzare della pedofilia.
Tutti i suoi colleghi ne erano così entusiasti da predisporre addirittura una proposta di legge
rompighiaccio per legalizzarla. È una vicenda che, accanto per il vero a molte altre, getta gran luce
sugli uomini che guidano l’Unione Europea e sui principi che li ispirano.
(5) Ida Magli. “Contro l’Europa. Tutto quello che non vi hanno detto di Maastricht”, Bompiani, Ed.
2001, 8ª ediz.., pag. 98.
(6)Id., pag. 159.
(7)Id., pag. 62.
(8)Id., pag. 62.
(9) Pur di fronte all’inequivocabile disposto, a tacer di tutto il resto, degli articoli 5, paragrafo 2, e 6
della Costituzione europea e all’ancor più inequivocabile decisione quadro sul mandato d’arresto
europeo, nonché alle massicce improvvide abdicazioni della nostra Corte costituzionale, qualche gran
baccalare del diritto ha osato sostenere – non possiamo sapere se per autoilludersi o per illudere –
che il diritto comunitario non prevale sulle norme costituzionali interne e che comunque non incide
sui diritti fondamentali riconosciuti dalla nostra Costituzione. Questa tesi è così infondata che già ben
prima di poter invocare l’inconfutabile sostegno di un testo costituzionale, la Corte di Giustizia
comunitaria ha sostenuto l’esatto contrario. Nella sua sentenza a Sezioni Unite n. 94 del 22 ottobre
2002, esprimendo un principio già illustrato in altre occasioni, essa infatti ha affermato che: “i diritti
fondamentali fanno parte integrante dei principi generali dei quali la Corte garantisce
l’osservanza”, onde tale Corte “può fornire al giudice del rinvio tutti (sic!) gli elementi
interpretativi necessari per la valutazione della conformità con il diritto comunitario della
disciplina nazionale” (Rep. Giust. Civ. 2002, voce “Unione Europea” nr. 204). È la stessa tesi
sostenuta dal professor La Pergola, giudice della Corte di Giustizia e già presidente della Corte
costituzionale italiana, in un’intervista apparsa sul periodico “Guida al diritto” dell’11 gennaio 2003.
È evidente che questa tesi, sin qui portata avanti con grande cautela, dopo l’approvazione del
“Trattato che adotta una Costituzione per l’Europa”, acquista una forza che nessuna Corte nazionale
oserà mai contestare.
(10) Ida Magli “Contro l’Europa”, cit., pag. 64.
(11)In un’intervista al canale televisivo olandese Rtl.Z, Win Duisenberg, allora presidente della
Banca Centrale Europea, parlando dell’impatto dell’euro sull’inflazione ammise: “avremmo dovuto
essere più onesti”. Subito dopo, però, si affannò a spiegare che quell’impatto era stato “limitato”
(Avvenire del 27 dicembre 2002, pag. 17). È noto infatti che l’onestà dei banchieri resta sempre
molto “limitata”.
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