SETTIMANA 38-2012 v88:Layout 1 16/10/2012 14.16 Pagina 3 vita ecclesiale UN GIUSTO EQUILIBRIO TRA TRADIZIONE E INNOVAZIONE P arlare dell’ermeneutica del concilio Vaticano II è ormai una moda, come negli anni 80 è stata una moda parlare dell’ecclesiologia di comunione del concilio o della sua ricezione. Ma non si deve pensare che l’opera di interpretazione (o ermeneutica) del Vaticano II sia iniziata solo ora: già dalla sua conclusione, nella Chiesa cattolica come nella altre confessioni, ci si è interrogati sulla sua portata. La domanda vera è: quale sarà il posto che il concilio occuperà nella storia della Chiesa? Nella successione dei documenti della Chiesa, assai più che la sua ermeneutica, si tratta di comprendere quale posto assegnargli e che importanza da conferire ai suoi insegnamenti in confronto con il magistero che l’ha preceduto. Leggere e interpretare significa, in ultima analisi, prendere posizione e attribuire un posto e un significato alle cose. È sull’idea di tradizione che si deve lavorare teologicamente. La preoccupazione per l’ermeneutica del concilio sorge nel momento in cui stanno scomparendo i suoi protagonisti: una volta che essi abbandonano la scena, gli eredi devono appropriarsene e capire se vogliono o meno viverla. Routhier1 ha quindi presentato il giudizio che i papi del concilio o del post-concilio ne hanno dato. Giovanni XXIII – Il concilio come aggiornamento della Chiesa nella «svolta di una nuova era». Angelo Giuseppe Roncalli aveva insegnato storia della Chiesa al seminario di Bergamo; aveva avuto un percorso eccezionale che gli aveva dato uno sguardo sulla situazione del mondo e della Chiesa in questo mondo. È l’unico papa della storia contemporanea ad aver vissuto da cattolico in situazioni di minoranza. Nato in cristianità, nel nord Italia, si ritrova cattolico in altri universi (Bulgaria, Turchia e Grecia, prima della Francia). Lì maturò la convinzione di dover servire l’uomo in quanto tale e non solo i cattolici, come scriveva nel suo Giornale dell’anima, e di dover comprendere meglio il Vangelo. Ed era animato dalla speranza, nonostante fossero in atto cambiamenti epocali che spaventavano tanti. La stessa fondamentale fiducia si ritrova nel discorso di apertura del concilio: «Nello stato presente degli eventi, nel quale l’umanità sembra essere ad una svolta, sono piuttosto da riconoscere i misteriosi piani della Divina Provvidenza». In questo tempo di mutamento e di cambiamento epocale «è necessario prima di tutto che la Chiesa non distolga mai gli occhi dal sacro patrimonio della verità ricevuto dagli antichi; ed insieme ha bisogno di guardare anche al presente, che ha comportato nuove situazioni e nuovi modi di vivere». Non si tratta di scegliere l’uno o l’altro, perché la fedeltà può essere creativa e l’attaccamento al passato non deve distoglierci dal presente. Tale è il posto che Giovanni XXIII assegna al concilio Vaticano II nella storia del cattolicesimo: accompagnare il mutamento epocale del mondo e permettere alla Chiesa di mettere in atto nuove forme di vita e una nuova espressione della dottrina in questo nuovo mondo rinnovato. Paolo VI – Un nuovo incontro della Chiesa con il mondo moderno. Per Paolo VI erano quattro gli obiettivi principali del concilio: 1) formulare in una dottrina più precisa la coscienza di se stessa che la Chiesa ha acquisito nel corso dei secoli; 2) consacrarsi al rinnovamento della Chiesa; 3) lavorare «per lanciare un ponte verso il mondo contemporaneo»; 4) lavorare per l’unità dei cristiani. Nel discorso di chiusura, Paolo VI indica ciò che il concilio ha realizzato in questo preciso momento della storia: ha ripreso il dialogo con il mondo contemporaneo e ridefinito la relazione dell’uomo e dell’universo con il suo centro, Dio. La Chiesa si è raccolta in se stessa come per ritornare alla sua fonte: «La Parola del Cristo, viva e operante nello Spirito Santo, per scrutare più a fondo il mistero, ovvero il disegno e la presenza di Dio al di sopra e dentro di sé». Il papa voleva dimostrare che, ricostruendo i ponti con il mondo moderno, il concilio non si era affatto allontanato dalla dimensione religiosa. Ma, al contempo, il concilio si stacca dal resto della storia della Chiesa e appare in tutta la sua originalità quando lo si colloca in un orizzonte storico preciso, cioè l’atteggiamento della Chiesa verso il mondo nel secolo e mezzo che l’ha preceduto. Giovanni Paolo II – Il concilio come bussola per il nostro presente. Le proposte di Giovanni Paolo II in riferimento al concilio sono così numerose che diventa impossibile coglierle nella loro totalità. Routhier si è soffermato su due testi. Il primo risale all’inizio del suo pon- tificato, quando, aprendo il concistoro del 1979 e dopo aver ricevuto in udienza mons. Lefebvre, ricordava che il programma del suo pontificato consisteva nella «realizzazione coerente dell’insegnamento e delle direttive del concilio Vaticano II». Metteva in guardia contro due eccessi, il «ritorno al passato» e la «fuga in avanti» verso forme di vita cristiana: esse erano da «interpretare alla luce di tutta la Tradizione». Mons. Lefebvre, sospeso a divinis, non tardò a citare il pontefice in una sua lettera, in cui rilanciava la parola «interpretare». Certamente, la fedeltà alla Tradizione era un elemento che si ritrovava sia in Giovanni XXIII che in Paolo VI, ma scompare il riferimento al mondo contemporaneo, determinante nei due predecessori. Restano in ombra il rinnovamento della Chiesa, inteso come darsi nuove forme di vita e di apostolato, esprimere la dottrina «in una forma che risponda alle esigenze della nostra epoca», favorire il «dialogo della Chiesa con gli uomini di oggi». Allo stesso tempo, l’interpretazione del concilio come discorso puramente ripetitivo del passato non coincide con la scelta di Giovanni Paolo II, ma con quella strumentalizzante di mons. Lefebvre. Il secondo gruppo di testi di Giovanni Paolo II sono le lettere apostoliche Tertio millennio adveniente (1994) e Novo millennio ineunte (2001). Il riferimento principale di questi testi è il Vaticano II: «Un concilio simile ai precedenti e tuttavia molto diverso […], centrato sul mistero di Cristo e della sua Chiesa e, al contempo, aperto al mondo». Seguono le novità: una maggiore attenzione alla parola di Dio, la riforma della liturgia, la promozione delle diverse vocazioni cristiane, la riscoperta della collegialità episcopale, l’apertura ai cristiani di altre confessioni, ai membri di altre religioni e a tutti gli uomini del nostro tempo. A queste novità tematiche, il papa ne aggiunge un’ultima: «il nuovo tono, prima sconosciuto, nella presentazione conciliare di questi contenuti, costituisce quasi un annuncio di tempi nuovi. I Padri conciliari hanno parlato con il linguaggio del Vangelo, con il linguaggio del Discorso della montagna e delle Beatitudini». cupa dunque un posto originale in relazione al XIX secolo cattolico e non ne è semplicemente il prolungamento, la continuazione o la ripetizione. Il suo insegnamento appare di opposizione su un doppio livello: nel contenuto, poiché «ridefinisce un nuovo rapporto tra la Chiesa e l’epoca moderna», e nella forma (nel senso forte del termine) o nel tono, poiché non sviluppa un discorso di confronto, opposizione o condanna. In definitiva, Benedetto XVI produce una sintesi originale dell’insegnamento dei suoi predecessori, secondo il suo genio e un modo dialettico di pensare: come Giovanni XXIII, Paolo VI e Giovanni Paolo II, egli ritiene che dobbiamo leggere e interpretare il Vaticano II prendendo in considerazione la nuova situazione del mondo ai tempi del concilio e definire quest’ultimo come uno sforzo per la Chiesa cattolica di trovare un modo rinnovato di essere presente e di agire nel mondo moderno. Questa novità può sembrare una rottura con la tradizione, soprattutto in confronto con le posizioni dei papi del XIX secolo. Ma è in questo frangente che egli risolve la contraddizione tra continuità e rottura, avanzando il concetto di riforma che integra le rotture nelle forme storiche e la continuità dei principi. Si tratta sempre dello stesso soggetto-Chiesa, ma il concilio inaugura una nuova pagina della sua storia, l’ingresso della Chiesa in una nuova epoca del suo rapporto con il mondo moderno. Mantenendo integra la continuità dei princìpi, il Vaticano II ha permesso nuove espressioni della dottrina e autorizzato lo sviluppo di nuove forme di vita cristiana, come auspicava Giovanni XXIII. Secondo Routhier, il Vaticano II deve essere collocato nell’orizzonte di incontro della Chiesa con il mondo contemporaneo, superando l’atteggiamento assunto nel corso del XIX secolo. Tutti i papi, da Giovanni XXIII a Benedetto XVI, hanno mantenuto in equilibro la fedeltà al patrimonio degli antichi e la necessità di un’espressione nuova della dottrina e delle forme di vita e di apostolato. Benedetto XVI – Un’ermeneutica della riforma. «Il concilio doveva definire in modo nuovo il rapporto tra la Chiesa e l’epoca moderna». Il concilio Vaticano II oc- 1 Gilles Routhier è un presbitero e teologo canadese, specializzato nella ricezione del concilio Vaticano II. Questa è la sintesi del suo discorso tenuto in occasione dell’inaugurazione dell’Anno accademico all’ISSR di Modena (2 ottobre 2012). a cura di Luca Balugani settimana 21 ottobre 2012 | n° 38 Quattro papi “interpretano” il concilio Vaticano II 3