MICRO News U.O. di Microbiologia, Policlinico S.Orsola-Malpighi, Università di Bologna Direttore: Prof. Maria Paola Landini Vol. 5 n. 6, Settembre 2012, a cura di Maria Paola Landini e Antonella Marangoni _____________________________________________________________________________ La diagnosi di laboratorio di infezione da Treponema pallidum Nell’ ultimo quinquennio circa mille nuovi casi di sifilide vengono notificati annualmente all’Istituto Superiore di Sanità, ma le infezioni da Treponema pallidum in Italia sono sicuramente molte di più. Basti pensare che nel 2011 presso il solo centro Malattie Sessualmente Trasmesse del nostro Policlinico sono stati diagnosticati 207 nuovi casi di sifilide, su 1849 pazienti visitati. Una sifilide non diagnosticata e, quindi, non trattata in una donna gravida può portare a sifilide congenita se trasmessa per via transplacentare o perinatale. Le madri con sifilide primaria o secondaria non trattata e quelle con infezione latente precoce hanno il più alto rischio di trasmissione (30-50% di neonati affetti alla nascita), mentre solo il 6-14% dei nati da madri con infezione latente tardiva mostra un quadro di sifilide congenita alla nascita. Se la trasmissione si verifica nel I e II trimestre si hanno i danni maggiori, con un elevato tasso di mortalità pre e perinatale e di morbilità neonatale. Dal 2000 presso il Policlinico S.Orsola è attiva una rete di sorveglianza per sifilide congenita, che vede coinvolte figure professionali diverse: ginecologi, neonatologi, microbiologi e dermatologi. La diagnosi di sifilide si basa principalmente sull’utilizzo di test sierologici che si dividono in due categorie: test non treponemici e test treponemici. L’algoritmo classico di laboratorio prevedeva l’utilizzo dei test non treponemici come screening, a cui facevano seguito, in caso di positività, test treponemici. Da vari anni, ormai, sempre più laboratori seguono il cosiddetto “algoritmo inverso”, che prevede l’utilizzo di test treponemici come screening, per la possibilità di automazione (es. CMIA) e per la loro maggiore specificità e sensibilità. La positività a questi test, però, si mantiene per molti anni e, quindi, essi non sono in grado di indicare l’efficacia del trattamento terapeutico, né di identificare una possibile reinfezione. Al contrario, dopo terapia, la positività ai test non treponemici (es. RPR) cala e arriva anche a negatizzarsi (entro 6 mesi, ma può variare a seconda dello stadio della lue). Pertanto tali test possono essere utilizzati per monitorare l’efficacia del trattamento antibiotico ed identificare le reinfezioni. * * * * Presso la UO di Microbiologia si esegue lo screening per la ricerca degli anticorpi anti-T.pallidum (test treponemico-metodo CMIA) su provetta di sangue a tappo rosa, con refertazione in giornata. Nei casi di positività o di reattività dubbia, la richiesta viene modificata aggiungendo analisi di conferma; queste (test treponemico-TPHA e test non treponemico-RPR) vengono eseguite il giorno successivo, utilizzando la medesima provetta a tappo rosa inviata per lo screening. Qualora vi sia discrepanza tra i risultati di CMIA e TPHA, è cura del laboratorio eseguire il test di conferma Western Blot IgG. Se non è possibile viene suggerito al reparto di inviare un ulteriore campione, dopo aver valutato il dato anamnestico e clinico del paziente. Infine, nei casi di sospetto coinvolgimento in corso del SNC, si può inviare, insieme al prelievo di sangue, anche un campione di liquor per la ricerca di anticorpi anti-cardiolipina (test non treponemico-VDRL) e per la ricerca di anticorpi specifici anti-T. pallidum con le metodiche di TPHA e Western Blot. ______________________________________________________________________________________ Per ogni chiarimento in merito si faccia riferimento ai seguenti recapiti: Dott. ssa Antonella Marangoni Tel. 051 6364513/6364516 e-mail: [email protected]