LE OTTICHE FOTOGRAFICHE

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LE OTTICHE FOTOGRAFICHE
A cura di Roberto Musso
QUESTO OPUSCOLO PUÒ ESSERE UTILIZZATO LIBERAMENTE
PURCHÉ IN FORMA INTEGRALE E SENZA SCOPO DI LUCRO
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sommario:
PREMESSA ........................................................................................................................................3
LA CAMERA OSCURA......................................................................................................................4
NORMALE, GRANDANGOLARE, TELEOBIETTIVO… ..............................................................5
LA LUNGHEZZA FOCALE DELLE OTTICHE......................................................................................... 5
LA LUNGHEZZA FOCALE DELLE OTTICHE......................................................................................... 6
L’OTTICA “NORMALE”............................................................................................................................. 6
LE OTTICHE GRANDANGOLARI ............................................................................................................ 6
I TELEOBIETTIVI........................................................................................................................................ 7
GLI OBIETTIVI ZOOM ............................................................................................................................... 7
IL GRANDE FORMATO ............................................................................................................................. 8
I NUOVI FORMATI DI RIPRESA............................................................................................................... 8
IL FATTORE DI CONVERSIONE DELLE OTTICHE ..................................................................9
DIAFRAMMA E OTTURATORE ...................................................................................................12
IL VALORE DI DIAFRAMMA ................................................................................................................. 12
L’AUTOMATISMO DEL DIAFRAMMA ................................................................................................. 13
L’OTTURATORE ....................................................................................................................................... 14
MISCELLANEA ...............................................................................................................................15
LA MESSA A FUOCO ............................................................................................................................... 15
I FILTRI....................................................................................................................................................... 15
ALTRI AGGIUNTIVI OTTICI................................................................................................................... 16
CURA DELLE OTTICHE........................................................................................................................... 17
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PREMESSA
La tecnica è alla base della pratica: impariamo a conoscere i mezzi di cui disponiamo e li sfrutteremo meglio.
In questo articolo parleremo di una parte critica della nostra fotocamera: il suo sistema ottico. Evitando di addentrarci in complicate trattazioni di fisica ottica esamineremo gli aspetti salienti di
questa componente e i problemi che ha comportato l’avvento dei nuovi formati digitali.
Buona lettura
Roberto_M
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LA CAMERA OSCURA
La fotocamera è, in pratica, una camera oscura: attraverso una piccola apertura l’immagine viene
proiettata, capovolta, sulla parete di fondo (sul sensore, sulla pellicola).
Dato però che per ottenere un’immagine nitida il foro doveva essere piccolissimo (foro molto piccolo = poca luce = tempi di esposizione lunghissimi), si iniziò fin dagli inizi della storia della fotografia a praticare un’apertura più grande e ad inserirvi una lente; poi, per correggere le aberrazioni
della lente singola, un sistema di lenti sempre più complesso, fino a giungere alle ottiche moderne.
Per capire meglio sarà opportuno partire dalle ottiche semplici: inizieremo dagli obiettivi a lunghezza focale fissa, anche se oggi sono spesso sostituiti dagli zoom.
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NORMALE, GRANDANGOLARE, TELEOBIETTIVO…
Ogni obiettivo fotografico
proietta sul piano focale
un’immagine circolare di cui
viene utilizzata la porzione
centrale; mano a mano che ci
si avvicina al bordo dell’immagine proiettata, aumentano
le aberrazioni e le distorsioni.
Tanto maggiore è la lunghezza focale dell’ottica, tanto
maggiore sarà la dimensione
dell’immagine proiettata sul
piano focale; quindi, a seconda della lunghezza focale
dell’ottica, cambierà la parte
di immagine che cade sul sensore e che, quindi, viene registrata. In altri termini, cambierà l’angolo di campo
dell’ot-tica (ovvero, determinata in gradi di cerchio,
l’ampiezza dell’area inquadrata).
GRANDANGOLARE
TELEOBIETTIVO
Il piano focale è un piano ideale su cui l’immagine proiettata si trova a fuoco; su questo piano
viene collocato il sensore.
Nelle fotocamera reflex è presente un simbolo che indica il punto in cui si trova il piano focale.
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LA LUNGHEZZA FOCALE DELLE OTTICHE
Per lunghezza focale di un’ottica si intende la distanza tra il suo centro ottico ed il piano focale;
questa misurazione avviene con la messa a fuoco regolata su infinito.
Nelle ottiche moderne, in realtà, la lunghezza focale effettiva dei teleobiettivi è inferiore a quella
nominale. In altre parole: il teleobiettivo fornisce l’angolo di campo di un 200mm ma è fisicamente più corto (e quindi più maneggevole).
L’OTTICA “NORMALE”
In passato, quando le ottiche zoom non avevano raggiunto la diffusione attuale, le reflex venivano
normalmente fornite con l’ottica cosiddetta normale, equivalente alla diagonale del fotogramma;
quindi, per il formato 24x36mm, ad una lunghezza focale di 43mm., normalmente portata a 50mm.
Questa lunghezza focale era stata scelta per vari motivi:
ƒ ha una resa prospettica molto simile a quella dell’occhio umano;
ƒ rende possibili elevati valori di luminosità (un’apertura f:1.4, impensabile per le moderne ottiche zoom, era considerata del tutto naturale);
ƒ è di semplice progettazione e di realizzazione abbastanza economica.
In realtà questa lunghezza focale non è mai stata molto amata dai fotoamatori, che hanno spesso
preferito sostituirla con ottiche leggermente grandangolari.
LE OTTICHE GRANDANGOLARI
Diminuendo la lunghezza focale dell’ottica diminuisce il diametro dell’immagine proiettata sul
piano focale; di conseguenza si registra sul fotogramma una maggiore porzione del soggetto (si allarga l’angolo di campo). L’ottica grandangolare consente quindi, ad esempio, di riprendere un edificio senza allontanarsi troppo.
Le lunghezze focali tradizionali dei grandangolari sono:35mm, 28mm, 24mm, 21mm. Ad esse facciamo riferimento in quanto sono a tutt’oggi impiegate per le fotocamere digitali full frame e, anche per le fotocamere con sensore più piccolo, si fa spesso riferimento all’equivalenza con il
24x36mm.
Le ottiche grandangolari sono caratterizzate da:
ƒ angolo di campo ampio;
ƒ profondità di campo elevata;
ƒ distanza minima di messa a fuoco bassa;
ƒ scarsa sensibilità ai movimenti della fotocamera;
ƒ grande sensazione di profondità delle immagini;
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ƒ
sensibile deformazione delle linee, soprattutto ai bordi e per soggetti non paralleli al piano focale (effetto “linee cadenti”).
I TELEOBIETTIVI
I teleobiettivi, al contrario dei grandangolari, hanno una lunghezza focale superiore a quella delle
ottiche “normali” e, quindi, proiettano un’immagine di diametro elevato; l’impressione
dell’utilizzatore sarà che il soggetto venga ingrandito o che un soggetto lontano venga avvicinato
(angolo di campo stretto).
Le focali tradizionali per il formato 24x36mm sono: 80mm, 105mm, 135mm, 200mm, 300mm,
500mm.
Un particolare tipo di teleobiettivi è costituito dagli obiettivi catadiottrici, che hanno uno schema ottico simile a quello di un telescopio e, a causa della loro conformazione, non sono dotati di diaframma. Questo schema ottico viene utilizzato per teleobiettivi di
focale molto elevata, in quanto consente di ridurre la lunghezza
dell’obiettivo a scapito del suo diametro.
Schema ottico di un teleobiet-
tivo catadiottrico
I teleobiettivi si caratterizzano per:
ƒ angolo di campo stretto;
ƒ profondità di campo scarsa;
ƒ distanza minima di messa a fuoco elevata;
ƒ elevata sensibilità ai movimenti della fotocamera;
ƒ scarsa sensazione di profondità delle immagini e, per i teleobiettivi spinti, effetto di appiattimento dei piani dell’immagine;
ƒ deformazione delle linee scarsa.
GLI OBIETTIVI ZOOM
Si tratta di obiettivi che, grazie allo spostamento di un gruppo ottico al loro interno, hanno una lunghezza focale variabile. I primi zoom avevano un range di focali limitato ai teleobiettivi (il classico
80-200mm); poi, grazie alla progettazione computerizzata delle ottiche, si sono realizzati schemi
sempre più complicati e zoom con una escursione un tempo impensabile, dal grandangolo al tele.
Oggi sono il tipo di ottica più diffusa; presentano però il difetto di una luminosità non particolarmente elevata. In molti casi sono dotati di una posizione “macro” che, pur senza consentire rapporti di riproduzione elevatissimi, permette comunque un certo avvicinamento al soggetto.
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IL GRANDE FORMATO
Oltre al 24x36 mm (che utilizza pellicola 35mm di derivazione cinematografica, ma con perforazione raddoppiata, e che per questo è anche detto 35mm), standard universalmente diffuso, sono
stati lanciati molti altri formati, alcuni più piccoli ed altri più grandi. In particolare ricordiamo il
cosiddetto grande formato, ovvero il 6x6 (in realtà 55x55 mm): il formato della gloriosa Rolleiflex,
della Zenza Bronica e, soprattutto, il formato della grande Hasselblad, territorio quasi esclusivo dei
professionisti a causa dei costi proibitivi... la diagonale di questo fotogramma è di 78mm e quindi,
opportunamente, viene considerata normale l’ottica da 80mm; grandangolari e teleobiettivi seguono di conseguenza.
I NUOVI FORMATI DI RIPRESA
Con l’avvento della fotografia digitale si sono affermati altri formati, riferiti non più alla dimensione del fotogramma ma a quella del sensore. Citiamo:
ƒ Il full frame, o fotogramma intero: 24x36 mm di sensore, per una qualità ed un costo degni di
un professionista; viene utilizzato sulle reflex di fascia alta;
ƒ Il formato APS-C (16,7x30,3mm). Questo formato deriva le proprie dimensioni dall’APS, un
formato innovativo su pellicola che non ebbe però successo. Il formato APS-C mantiene il
classico rapporto 2:3 tra i lati dell’immagine ed è oggi molto diffuso nelle reflex di fascia amatoriale.
ƒ Il formato DX (23,6x15,8 mm), anch’esso in proporzione 2:3, utilizzato dalle reflex amatoriali
Nikon;
ƒ I sensori delle fotocamere compatte, che possono avere varie dimensioni, ma usualmente con
proporzione 4:3. Di solito i fabbricanti tendono ad adottare sensori di piccole dimensioni sia
per il loro minore costo, sia perché in una compatta le dimensioni dell’ottica sono un fattore
critico, specialmente quando questa rientra nel corpo a fotocamera spenta; un sensore più piccolo consente infatti ottiche di lunghezza focale minore e quindi di dimensioni più ridotte. Per
inciso, aggiungiamo che un buon parametro per valutare la qualità di una compatta è dato proprio dalle dimensioni del sensore (le si può trovare nelle caratteristiche tecniche dell’apparecchio): a sensori più grandi corrispondono prestazioni migliori.
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IL FATTORE DI CONVERSIONE DELLE OTTICHE
Affrontiamo ora un concetto non difficile, ma che ha causato e continua a causare parecchia confusione: il fattore di conversione da applicare alle ottiche per full frame quando vengono utilizzate su
formati minori. Faremo qui riferimento al formato APS-C ma, ovviamente, lo stesso vale per gli
altri formati, mutando solo le dimensioni dei lati.
Iniziamo con una semplice rappresentazione grafica che può chiarire il concetto meglio di qualsiasi spiegazione:
Il fotogramma APS, essendo più piccolo del full frame, registra una porzione di
immagine minore, con il risultato di restringere l’angolo di campo.
Possiamo ora proseguire con una tabellina:
Fotogramma
Formato
Diagonale
Full frame
24x36
43,3
APS-C
22,2x14,8
26,7
Se richiamiamo alla mente quanto già detto, e cioè il fatto che l’ottica normale corrisponde alla
diagonale del fotogramma, risulta evidente che l’ottica da 50 mm – che possiamo considerare
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normale per il full frame – non lo è per l’APS. Possiamo così calcolare anche il rapporto che intercorre tra le due diagonali (= tra le ottiche normali) dei due formati:
43,3
= 1,6
26,7
Questo rapporto ci fornisce il fattore di conversione dell’ottica.
I fotografi cresciuti con il 24x36 mm hanno ormai metabolizzato le lunghezze focali di cui si sono
sempre serviti e ora si aspettano che un’ottica, ad esempio un 200 mm, fornisca un certo angolo di
campo; inoltre l’industria ha la necessità di fornire degli standard per ridurre la confusione tra i
consumatori. Per questo motivo si è diffusa l’abitudine di dire che un’ottica di una certa lunghezza
focale è equivalente a un’ottica da n mm; di qui l’utilizzo del fattore di conversione.
Ad esempio: un’ottica da 100mm utilizzata su un full frame fornisce una certa inquadratura; utilizzata su un APS-C ha un angolo di campo minore (osservando l’illustrazione questo è evidente).
Quale ottica dovremmo utilizzare per ottenere lo stesso angolo di campo in full frame? Ossia: a
quale lunghezza focale corrisponde l’ottica? Lo si calcola con la formula:
Focale effettiva x fattore di conversione = focale apparente
dove per focale effettiva intendiamo la reale lunghezza focale dell’ottica, mentre per focale apparente intendiamo ciò che ci appare (sempre raffrontando il risultato a quello ottenibile in full frame) in base al campo inquadrato. Chiaro?
Quindi:
100 mm x 1,6 = 160 mm
Ciò significa che applicando un’ottica da 100 mm su un formato APS-C otterremo lo stesso risultato che otterremmo con un 160 mm su un full frame. Molto più complicato da dire che da capire.
Ovviamente lo stesso accade in macrofotografia. In questo caso, però, invece di un effetto teleobiettivo avremo un maggior fattore di riproduzione:
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Il fotogramma APS-C, essendo più piccolo, fornisce in ripresa un rapporto di
riproduzione più elevato
Questo fatto costituisce realmente un vantaggio rispetto al full frame? In effetti no. Osservando
l’immagine notiamo infatti che - a parità di densità dei pixel sul sensore - potremmo tranquillamente ingrandire il dettaglio ritagliando l’immagine del formato maggiore: il tutto, ovviamente,
senza perdere dettaglio. Il vantaggio risiede piuttosto nel minor costo, peso e ingombro di una reflex con sensore APS-C rispetto ad una full frame.
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DIAFRAMMA E OTTURATORE
IL VALORE DI DIAFRAMMA
Il diaframma è un’apertura variabile che ha lo scopo di regolare la quantità di luce che, in una unità di tempo, giunge al sensore. È costituito da un dispositivo a lamelle che si apre o si chiude producendo un’apertura il più possibile vicina al cerchio (questo è uno dei fattori che determina la resa dell’ottica). Ricordando che a ogni stop di diaframma viene dimezzata la quantità di luce rispetto allo stop precedente, vediamo quali sono le aperture usuali e il loro rapporto reciproco:
f:1.4
f:2
=
1/2
di f:1.4
f:2.8
=
1/4
di f:1.4
f:4
=
1/8
di f:1.4
f:5.6
=
1/16
di f:1.4
f:8
=
1/32
di f:1.4
f:11
=
1/64
di f:1.4
f:16
=
1/128
di f:1.4
f:22
=
1/256
di f:1.4
f:32
=
1/512
di f:1.4
Di solito sono consentiti degli stop anche a valori intermedi (1/2 o 1/3 di diaframma).
Il valore massimo di apertura di un’ottica è indicato, insieme alla sua lunghezza focale, sul frontale. Ma perché
i teleobiettivi hanno di solito valori di apertura più ridotti? E perché sulle ottiche zoom troviamo l’indicazione
non di uno ma di due valori di apertura? E ancora, perché, in modo apparentemente contrario alla logica, a valori numerici più alti corrispondono in realtà aperture
minori?
Nelle ottiche zoom il valore di diaframma
varia con il variare della focale
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Per rispondere occorre sapere che il valore di diaframma è dato dal rapporto tra lunghezza focale
dell’ottica e diametro dell’apertura circolare di cui parlavamo sopra:
lunghezza focale
diametro dell’apertura
= valore di diaframma
Così, ad esempio, un’apertura di 35 mm su un’ottica da 200 mm produrrà un diaframma f:5.6:
200
35
= 5,71 (che arrotondiamo a 5.6)
La stessa apertura, su un 50 mm, produrrà un diaframma f:1.4:
50
35
= 1,43 (che arrotondiamo a 1.4)
Per questo motivo le ottiche zoom, che hanno lunghezza focale variabile, variano in proporzione
anche la loro apertura di diaframma.
L’AUTOMATISMO DEL DIAFRAMMA
Questo termine, che non deve essere confuso con una modalità di esposizione automatica, indica
un dispositivo presente nelle ottiche per reflex che consente di chiudere effettivamente il diaframma solo al momento dello scatto, mantenendo piena luminosità durante le operazioni di inquadratura e messa a fuoco.
In questo caso la sequenza di scatto che viene attivata quando si preme il pulsante è la seguente:
1. Si solleva lo specchietto
2. Il diaframma viene chiuso al valore impostato
3. Parte la prima tendina, che scopre il sensore (otturatore aperto)
4. Parte la seconda tendina, che copre nuovamente il sensore (otturatore chiuso)
5. Il diaframma viene riportato alla massima apertura
6. Lo specchietto si riabbassa e consente nuovamente la visione attraverso l’oculare.
L’automatismo del diaframma è importantissimo, soprattutto in condizioni di scarsa illuminazione
e in macrofotografia, perché consente di mettere a fuoco in condizioni ottimali.
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Invertendo l’ottica questo automatismo si perde, a meno di
utilizzare (su ottiche recenti) un costoso anello dotato di
rinvio degli automatismi. Le ottiche più vecchie, dotate di
rinvio meccanico di questo automatismo, si prendono qui
una bella rivincita: con un po’ di pratica è infatti possibile
agire con la punta dell’indice sulla levetta di rimando: in
questo modo si potrà mantenere, se non l’automatismo, per
lo meno la possibilità di focheggiare in condizioni di luminosità sufficiente.
Con le ottiche dotate di rinvio meccanico
dell’automatismo del diaframma è possibile, a ottica invertita, agire manualmente
sul comando dell’automatismo
L’OTTURATORE
L’otturatore è il dispositivo che, aprendosi e successivamente richiudendosi, determina il tempo di
esposizione, ossia il tempo in cui la luce colpisce il sensore.
Le ottiche delle fotocamere non dotate di obiettivi intercambiabili e alcuni apparecchi ad obiettivi
intercambiabili di altissimo livello (come la Hasselblad) sono dotate di otturatore centrale, ossia di
un otturatore a ghigliottina posto nel centro ottico dell’obiettivo, in prossimità del diaframma.
Questa soluzione, ottimale per molti aspetti, si rivelerebbe troppo costosa per le reflex a ottiche intercambiabili; perciò in questi apparecchi l’otturatore non si trova nell’ottica ma è costituito da due
tendine poste davanti al sensore. Il funzionamento è semplice: parte la prima tendina, scoprendo il
fotogramma, e quindi la seconda, che lo copre nuovamente. In questo caso si parla di otturatore a
tendina.
Gli otturatori a tendina non consentono la sincronizzazione del flash elettronico con i tempi di esposizione più brevi, in quanto in questi casi la seconda tendina parte prima che la prima sia giunta
a fine corsa; così, in realtà, le due tendine formano una fessura che scorre rapidamente davanti al
sensore. Il tempo di esposizione minimo utilizzabile per il flash elettronico prende in questo caso il
nome di tempo di sincronizzazione e corrisponde al tempo di esposizione più breve che consente di
scoprire interamente il sensore prima della partenza della seconda tendina.
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MISCELLANEA
LA MESSA A FUOCO
Il metodo classico per effettuare la messa a fuoco
consiste nel traslare l’intero gruppo ottico in avanti o indietro mediante un dispositivo elicoidale (elicoide di messa a fuoco); l’ottica si trova in questo caso vicina al piano focale quando il fuoco si
trova all’infinito e si allontana da esso mano a
mano che si focheggiano oggetti più vicini. Il risultato di questo procedimento è che le ottiche si
allungano focheggiando su soggetti vicini e si accorciano per soggetti lontani. Questo ci spiega anche la necessità, in macrofotografia, di interporre
delle prolunghe (tubi o soffietto) per diminuire la
distanza di messa a fuoco.
In particolare le ottiche macro che sfruttano questo
metodo sono caratterizzate da un elicoide di messa
a fuoco particolarmente lungo, che le rende più
ingombranti e fragili rispetto agli altri obiettivi di
pari lunghezza focale.
Ottica macro con messa a fuoco tramite elicoide: si
noti la differenza tra la sua lunghezza con fuoco
all’infinito e in posizione macro 1:1
In tempi più recenti è stata utilizzata una differente tecnologia di messa a fuoco, basata sullo spostamento di alcuni elementi e non dell’intero gruppo ottico: questi obiettivi non variano la propria
lunghezza fisica focheggiando soggetti vicini (anche in caso di ottiche macro), con evidente vantaggio per la robustezza e la compattezza.
I FILTRI
A meno di sistemi particolari, i filtri si avvitano sull’apposita filettatura presente sul frontale degli
obiettivi (ghiera portafiltri); questo però non vale per la maggioranza delle compatte, che non sono
dotate della ghiera.
Tra l’enorme varietà di filtri fotografici che si trovano sul mercato citeremo solamente quelli che si
montano spesso come protezione della lente frontale dell’ottica: il filtro UV (che assorbe la radiazione ultravioletta) e il filtro skylight (che assorbe la radiazione ultravioletta e, in aggiunta, apporta
una correzione appena percettibile al colore, riducendo la dominante azzurra presente ad esempio
sulla neve).
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A differenza di quanto si ritiene abitualmente, i filtri non sono tutti uguali. Particolarmente quando
dobbiamo scegliere un filtro che viene montato in modo permanente sull’ottica (per proteggerla) è
importante che questo sia di buona qualità: eviteremo così che un buon obiettivo fornisca risultati
inferiori alle proprie possibilità.
Un buon filtro deve avere le seguenti caratteristiche:
ƒ buona qualità del vetro ottico;
ƒ buona esecuzione del filtro, che deve avere le due facce esattamene pianparallele;
ƒ buona qualità della montatura, che deve mantenere il filtro nella posizione corretta e non bloccarsi sulla ghiera portafiltri (succede, ahimé!)
Tutto questo non lo possiamo ovviamente valutare a vista: non ci resterà quindi che consigliarci
con il negoziante e scegliere prodotti di marca.
Infine, se si hanno in casa dei filtri fotografici troppo grandi per la nostra ottica, non occorre comprarne altri: sarà sufficiente un anello adattatore per risolvere il problema.
ALTRI AGGIUNTIVI OTTICI
I principali aggiuntivi ottici sono:
ƒ
Le lenti addizionali, che consentono di ridurre la distanza di messa a fuoco e, quindi, di fare
macrofotografia in modo economico e semplice, anche con apparecchi su cui non è possibile
sostituire l’ottica; la loro “potenza” è espressa in diottrie (la serie classica comprende tre lenti
da 1, 2 e 3 diottrie). Le lenti addizionali producono un leggero decadimento dell’immagine,
che si fa più sensibile con le lenti di potere diottrico maggiore e quando si montano più lenti
contemporaneamente.
ƒ
I moltiplicatori di focale, che si montano (negli apparecchi a ottiche intercambiabili) tra
l’ottica ed il corpo macchina. Consentono, a parziale scapito della qualità dell’immagine (anche qui è importante la qualità ottica dell’aggiuntivo), di raddoppiare o triplicare la lunghezza
focale dell’ottica: con un duplicatore di focale un 200mm si trasformerà in un 400mm. Questi
aggiuntivi sono molto interessanti in macrofotografia in quanto, montando un’ottica invertita
su un duplicatore di focale, si raggiungono notevoli rapporti di riproduzione senza bisogno di
altri accessori.
ƒ
Gli aggiuntivi ottici tele e grandangolo da montare davanti all’ottica: questi aggiuntivi, diffusi in passato soprattutto per gli apparecchi a ottiche non intercambiabili, sono oggi sempre
meno presenti sul mercato in quanto presentano un sensibile decadimento dell’immagine.
I soffietti, i tubi di prolunga, gli anelli di inversione e gli adattatori non sono aggiuntivi ottici in
quanto non sono dotati di lenti e, quindi, non producono decadimento dell’immagine.
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CURA DELLE OTTICHE
L’ottica è composta da gruppi di lenti rivestite da sottilissimi trattamenti antiriflesso, incollate tra
di loro e montate su delicate ghiere meccaniche: non devono assolutamente subire urti… e prima
di dire che questo è scontato, andate a dare un’occhiata allo stato in cui spesso si trovano le ottiche
usate nei vari mercatini.
Le ottiche non devono essere lasciate al sole o, peggio ancora, nell’automobile parcheggiata al sole: se si scollano le lenti, possiamo buttare via tutto. Non amano neppure fare il bagno (incredibile,
vero?)… occhio allo stato delle ottiche usate, se si decide di comprarne una. In questo caso sarà
meglio rivolgersi a un negoziante, che è tenuto a fornire garanzia, piuttosto che a una bancarella
che oggi è lì e domani… In ogni caso è meglio testare l’ottica in tutte le situazioni, controllando
sia la messa a fuoco all’infinito che quella alla distanza minima. Attenzione agli acquisti da privati
e in Internet, situazioni nelle quali è praticamente impossibile ottenere un rimborso in caso di problemi.
Per la pulizia delle ottiche occorre prima eliminare la polvere con un pennellino a polpetta e poi
procedere con cartine ottiche pulite e liquido detergente apposito… occhio al trattamento antiriflessi! Comunque prevenire è meglio che curare, e un buon filtro di protezione manterrà pulita la
lente frontale, mentre il rischio legato alla pulizia sarà limitato al filtro.
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