Il film verrà proiettato mercoledì 11 gennaio (ore 21) al Nuovo Eden di via Nino Bixio a Brescia per iniziativa della Camera del Lavoro Chi pensa che la costruzione del consenso e il culto del leader attraverso i media siano un’invenzione recente, brevettata da Silvio Brlusconi, per ricredersi deve guardare “Il sorriso del capo”, il film di Marco Bechis e Gigi Riva presentato in anteprima al festival di Torino. È una catena di documenti d’epoca dell’Istituto Luce in gran parte inediti Di seguito alcuni stralci delle recensioni fatte da Gian Antonio Stella (Corriere della Sera) e da Ilvo Diamanti (La Repubblica) in occasione della presentazione del film al Festival di Torino il 27 novembre scorso Ilvo Diamanti Accompagnati dalla voce narrante di Riccardo Bechis, padre del regista. In quel tempo borghese “medio”, residente proprio a Torino. L’intero film documenta la cura posta dal regime nel proporre e manovrare una complessa macchina del consenso, che non trascura nessun luogo e nessuno strumento di propaganda. La scuola, anzitutto, e poi i media allora più popolari. La radio, i giornali, il cinema. (Come hanno ben dimostrato, fra gli altri, gli studi dello storico Mario Isnenghi). Veicoli di miti attraenti perché “comuni” alla “gente comune”. La Famiglia, la Patria, la Nazione. La Modernità. Riassunte, tutte insieme, nella persona del Capo. Come sottolineano le immagini del comizio che scandisce i passaggi del film. Si svolge a Torino. Capitale della rivoluzione industriale italiana. Così come Mussolini è il padre della rivoluzione fascista. E del Partito “nuovo”, per Regia: Marco Bechis Anno di produzione: 2011 Durata: 73’ Tipologia: documentario Genere: politico/sociale/storico Paese: Italia Produzione: Cinecittà Luce, Karta Film Distributore: Cinecittà Luce usare le parole del Duce. Il quale si rivolge alla piazza gremita in modo quasi familiare. “Personale”. Più che arringare la folla, egli sembra dialogare con essa. Assecondato dai gerarchi che lo affiancano sul palco. Seguendo un copione recitato a braccio, ma comunque sperimentato con sapienza. l’importanza storica (mancano per capirci, le immagini viste e straviste del Concordato o della dichiarazione di guerra: «Combattenti di terra, di mare, dell’aria...») ma per il valore cinematografico. In larga parte sconosciuto. Concentrato non tanto su Benito Mussolini quanto sugli italiani. Difficile non tentare paralleli con il presente. Ma occorre guardarsi dall’equiparare periodi e fenomeni tanto distanti e distinti. I documenti del film suggeriscono, semmai, di cercare nella società e nella tradizione nazionale le radici di una cultura popolare e di massa che Berlusconi, in particolare, ha ri-scoperto e ri-prodotto. In modo più efficace e con strumenti più potenti di altri. Senza reprimere la democrazia, ma, anzi, sfruttando le opportunità offerte dal trionfo dell’opinione pubblica e dei media. In una parola: della “democrazia del pubblico”, come l’ha definita Bernard Manin. Denominatore comune: il populismo, inteso come scambio diretto, identificazione tra la “gente” e il “capo”. Italiani innamorati. Italiani adoranti. Italiani in delirio. Italiani pazzi di lui. Mamme che non danno il latte solo al «loro» bimbo ma al figlio della lupa destinato a fare grandi imprese, come quelle 93 che un giorno vengono convocate a Roma con i loro 1.310 figli: 14 a testa. Gian Antonio Stella Materiale strepitoso. Scelto da Bechis e da Gigi Riva, il co-sceneggiatore, non per SINOSSI Attraverso le immagini e i suoni originali dei materiali dell’Archivio Luce, si sviluppa una riflessione sui meccanismi della fabbrica del consenso istituita dal fascismo. Come il regime preparava ragazze e ragazzi a essere buoni cittadini fascisti, costruiva l’immagine di una nazione decisiva nel mantenimento degli equilibri internazionali, glorificava il capo e il suo pensiero. Donne felici di cucire i pantaloncini alle truppe coloniali. Scolaretti entusiasti di fare le esercitazioni con le maschere antigas. Balilla in azione sguinzagliati per Roma alla ricerca di una bambina che si era perduta e viene trionfalmente ritrovata. Contadini e minatori, fabbri e manovali febbrilmente intenti a lavorare la terra e perforare gallerie e battere incudini e costruire palazzi monumentali in un immenso e rumoroso cantiere. IL REGISTA Marco Bechis è nato a Santiago del Cile da madre cilena e padre italiano. Cresciuto tra San Paolo e Buenos Aires, nel 1977 viene espulso dall’Argentina e approda a Milano. Da allora vive e lavora nella casa autogestita milanese di via Morigi 8. Ha trascorso lunghi periodi a New York, Los Angeles e Parigi. Tra i suoi film “garage Olimpo” (1999), “Figli/Hijos” (2001) e “La terra degli uomini rossi - Birdwatchers” (2008).