OPERAZIONE BARBAROSSA A tre mesi dalla firma del Patto d

OPERAZIONE BARBAROSSA
A tre mesi dalla firma del Patto d’acciaio con cui a Berlino, il 22 maggio 1939, i ministri degli Esteri
Galeazzo Ciano e Joachim von Ribbentrop avevano sancito l’alleanza politica e militare tra l’Italia e la Germania, il
23 agosto il Terzo Reich e l’Unione Sovietica firmarono un accordo di non aggressione e un protocollo segreto in cui
non solo era definita la spartizione della Polonia ma anche riconosciuto, da parte tedesca, il diritto della Russia a
inserire gli Stati baltici e la Besserabia nella propria sfera d’influenza.
Dell’andamento dei colloqui tra Mosca e Berlino l’Italia era stata informata nel corso degli incontri avuti da
Ciano con Ribbentrop e Hitler tra l’11 e il 13 agosto. In Giappone la notizia della firma del documento, in aperta
violazione delle clausole segrete del Patto Anticomintern (novembre 1936) che impegnava i contraenti a consultarsi
in caso di accordi con l’Unione Sovietica, provocò una crisi politica determinando un temporaneo raffreddamento
nelle relazioni con la Germania.
Anche sul fronte antifascista il patto firmato da Molotov, il commissario sovietico per gli Esteri, con
Ribbentrop, ebbe un effetto disorientante e dirompente, causando la spaccatura dell’unità d’azione tra comunisti e
socialisti. Come prevedibile, l’opinione pubblica mondiale rimase non solo sorpresa, ma anche alquanto scettica
sull’efficacia e la durata del patto stesso.
Al di là delle divergenze, e delle somiglianze, esistenti sul piano politico e statuale tra i due regimi,
l’accordo tra Hitler e Stalin apparve come un espediente tattico da cui entrambi i dittatori si proponevano di trarre
una serie di vantaggi (1).
Il Fuhrer – temendo la guerra su due fronti, già responsabile della sconfitta tedesca nel Primo conflitto
mondiale – voleva avere mano libera per condurre il suo blitzkrieg contro la Polonia e le potenze occidentali.
Garantendosi ad est, avrebbe potuto concentrare le sue forze per raggiungere gli obiettivi immediati sul fronte
occidentale, rinviando ad un secondo momento la conquista del lebensraum, lo “spazio vitale” necessario non solo
a garantire l’esistenza ed il naturale aumento della popolazione tedesca ma anche per imporre l’”ordine nuovo”. Dal
patto Stalin si proponeva di ottenere, invece, oltre a una serie di guadagni territoriali per consolidare la sua
posizione politica e militare, anche un arco di tempo abbastanza lungo indispensabile al perfezionamento della sua
macchina bellica, impegnata in una radicale riorganizzazione dei vertici, decapitati dalle purghe, e nell’introduzione
di nuove armi e di nuove tecniche d’impiego.
Con una certa determinazione, Berlino e Mosca, negli ultimi mesi del 1939 e nel 1940, procedettero quindi
alla realizzazione dei propri programmi. La Germania, sconfitta la Polonia, invase Danimarca, Norvegia, Belgio,
Olanda, Lussemburgo e Francia.
La Russia, dopo essersi annessa la Polonia orientale nel 1939, i Paesi baltici, la Besserabia e la Bucovina
settentrionale nel 1940, attaccò la Finlandia. Con il conseguimento di questi risultati, nella primavera del 1941 il
patto Molotov – Ribbentrop aveva perso quei caratteri di opportunismo per cui era stato sottoscritto due anni prima
in una situazione molto diversa. Si tornava pertanto a una situazione di sospetti, diffidenze reciproche e di
contrasto.
Hitler, sfumato il piano d’invasione dell’Inghilterra (operazione Leone Marino), aveva dovuto prendere atto
di come lo scontro con l’impero britannico stesse assumendo i caratteri di una vera e propria guerra di logoramento
che si prospettava lunga e complessa in quanto combattuta non con l’enorme apparato bellico terrestre che il Reich
aveva a sua disposizione, ma soprattutto con forze aeree e subacquee. Alla frontiera orientale iniziava intanto a
determinarsi una grave frizione che prevedibilmente avrebbe potuto assumere le caratteristiche di un vero e
proprio scontro armato.
Il fatto che Mosca sembrasse sempre meno disponibile a fornire a Berlino le risorse pattuite, mentre, al
contempo, stava ammassando truppe lungo la linea di contatto, spinse Hitler a scatenare preventivamente l’attacco
che avrebbe non solo permesso di togliere alla Gran Bretagna un possibile alleato continentale, ma anche di
acquisire a oriente il controllo e la disponibilità di grandi risorse agricole, minerarie e industriali, necessarie al Reich
per opporsi efficacemente al Commonwealth britannico in uno sforzo ormai destinato a protrarsi nel tempo. Va da
sé che una guerra preventiva non può basarsi su fatti solo oggettivi; prepararla, come vedremo, implica
necessariamente, da parte dell’aggressore, il sentimento, il sospetto di essere subito minacciato.
Questo sviluppo degli eventi era anche il completamento di un progetto ideologico, di un obiettivo
politico-strategico che il Fuhrer aveva elaborato fin dagli anni Venti e perseguito dal suo avvento al potere nel
1933: la conquista della Russia occidentale, per creare un grande impero germanico nell’Europa continentale.
L’idea iniziale risaliva ad almeno quindici anni prima, al periodo della stesura del Mein Kampf in cui aveva
testualmente affermato: “Noi, nazionalsocialisti, tiriamo una riga sulla politica estera tedesca dell’anteguerra, e la
cancelliamo. Noi cominciamo là, dove si terminò sei secoli fa. Mettiamo termine all’eterna marcia germanica verso
il sud e l’ovest dell’Europa e volgiamo lo sguardo alla terra situata all’est. Chiudiamo finalmente la politica coloniale
e commerciale dell’anteguerra e trapassiamo alla politica territoriale dell’avvenire. Ma quando, oggi, parliamo di
nuovo territorio in Europa, dobbiamo pensare in prima linea alla Russia, o agli Stati marginali ad essa soggetti.
Sembra che il destino stesso ci voglia indicare queste regioni…Il colossale impero orientale è maturo per il crollo. E
la fine del dominio ebraico è maturo per il crollo. E la fine del dominio ebraico in Russia sarà pure la fine della
Russia come Stato” (2).
Quest’idea covava nella mente di Hitler e il patto con Stalin non gliel’aveva fatta cambiare, rinviandone
soltanto l’attuazione.
Dopo la rapida sconfitta della Francia nel maggio-giugno del 1940, convinto che il potenziale militare
sovietico fosse trascurabile e che l’Armata Rossa, sulla base della sua debolezza presunta da ogni parte in
occidente, fosse al momento assolutamente incapace di sferrare una grande offensiva, Hitler decise d’invadere
l’Unione Sovietica, i cui territori avrebbero servito anche da serbatoio inesauribile di materie prime per sostenere lo
sforzo bellico contro le potenze marittime anglosassoni.
Secondo Andreas Hillgruber, lo storico tedesco specialista di relazioni internazionali, a questo programma
ideologico di Hitler ne corrispondeva per la verità uno, altrettanto lungimirante, maturato da Stalin anch’esso nella
metà degli anni Venti, attuabile comunque solo in un quadro di conflitto tra gli Stati occidentali. Adesso l’attacco
tedesco alla Polonia il 1 settembre 1939 – favorito dal precedente patto Ribbentrop-Molotov e seguito, il 17
settembre, dall’invasione sovietica della Polonia orientale – aveva provocato il 3 settembre l’entrata in guerra
contro la Germania della Gran Bretagna e della Francia e realizzato le condizioni politiche da lui auspicate (3).
Grazie al patto di non aggressione e al successivo trattato di “amicizia e frontiera” del 28 settembre,
garante di un reciproco aiuto economico-industriale, e dell’assetto dei confini, Stalin aveva potuto annettere
all’URSS la sua fetta di Polonia ottenendo basi militari nei Paesi baltici, e consolidando in tal modo una cintura
strategica di sicurezza al confine centro-occidentale sovietico (4). Con gli accordi dell’agosto-settembre 1939,
Lettonia, Estonia, Lituania e Finlandia rientravano nell’orbita russa. Il dittatore georgiano doveva, quindi, soltanto
mantenersi in posizione equidistante d’attesa fino alla conclusione delle ostilità: allora avrebbe potuto senza grandi
difficoltà impadronirsi dei territori europei ritenuti militarmente necessari, rafforzando al contempo il prestigio
politico dell’Unione Sovietica.
Nell’estate del 1940, mentre il Fuhrer era impegnato nella campagna d’occidente, Stalin cominciò ad
approfittare delle preoccupazioni hitleriane per invadere gli Stati baltici e penetrare nei Balcani. In apparenza le
relazioni fra i due dittatori erano amichevoli e il commissario sovietico per gli Esteri, come portavoce di Stalin,
sfruttava ogni occasione per lodare e adulare i tedeschi dopo ogni loro atto di conquista. Quando il 9 aprile 1940 la
Germania invase la Norvegia e la Danimarca, Molotov si affrettò a dichiarare all’ambasciatore a Mosca, Friedrich
Werner von der Schulenburg, che il suo governo si rendeva conto delle misure che la Germania era stata costretta
a prendere, augurandole un pieno successo. Allorché, un mese dopo, l’ambasciatore del Reich informò Molotov
dell’attacco della Wehrmacht a ovest, spiegandogli che esso era imposto alla Germania da un’imminente offensiva
anglo-francese verso la Ruhr attraverso il Belgio e l’Olanda, Stalin espresse il proprio compiacimento. Schulenburg
telegrafò a Berlino che Molotov aveva accolto la notizia con spirito di comprensione perché si rendeva conto che la
Germania doveva cautelarsi contro un attacco anglo-francese, e che non nutriva dubbi circa il successo tedesco.
Quando il 17 giugno Parigi chiese l’armistizio, Molotov espresse a Schulenburg le più vive congratulazioni
del suo governo per gli splendidi successi della Wehrmacht, informandolo al contempo dell’azione sovietica contro
gli Stati baltici divenuta necessaria per mettere fine agli intrighi con cui l’Inghilterra e Francia avevano cercato di
disseminare la discordia e la sfiducia fra la Germania e l’URSS per quanto riguardava quell’area. Proprio per
eliminare tale “discordia” il governo di Mosca aveva inviato “speciali emissari” nei tre Paesi baltici che di lì a poco
sarebbero stati invasi dall’Armata Rossa e assorbiti dall’Unione Sovietica. “In imprese del genere”, scrive il
giornalista e storico statunitense William Shirer, “Stalin poteva essere brutale e spietato quanto Hitler, era anzi più
cinico di lui…Adolf Hitler si sentì umiliato, ma tutte le sue energie erano rivolte a organizzare l’invasione
dell’Inghilterra, e non poteva fare nulla. Le note di protesta contro l’aggressione russa trasmesse a Berlino dagli
ambasciatori dei tre Stati baltici, furono respinte per ordine di Ribbentrop. A umiliare ancor più i tedeschi, Molotov
in agosto li invitò bruscamente a “liquidare” entro due settimane le legazioni di Kaunas, Riga e Tallin e a chiudere,
per il 1° settembre, i consolati nei Paesi baltici. I tre stati di cui si era così impossessato non calmarono l’appetito di
Stalin. Il crollo sorprendentemente rapido degli eserciti anglo-francesi lo spronò a prendersi tutto quel che poteva
finché le circostanze gli erano favorevoli. Ovviamente egli pensava che non v’era tempo da perdere” (5). Le pretese
russe continuarono a manifestarsi con la convinzione che la Germania non avrebbe ostacolato, ma anzi sostenuto,
l’azione di Stalin.
E’ innegabile, come afferma lo storico tedesco Ernst Nolte nel suo Nazionalsocialismo e bolscevismo, la
violazione da parte dell’Unione Sovietica dello spirito e della lettera dei trattati in diverse circostanze. Aveva chiesto
alla Romania la Bucovina; aveva costruito in Lituania non soltanto basi d’appoggio ma concentrato un numero
considerevole di divisioni. Era certo inconciliabile con il patto di amicizia il fatto che la Russia avesse appoggiato il
colpo di Stato jugoslavo e concluso un accordo con il nuovo governo di Dusan Simovic (6). Nella legazione sovietica
di Belgrado i tedeschi avevano trovato documenti che rivelavano in maniera molto chiara le intenzioni ostili nei
confronti della Germania (7).
Avendo intuito già dal 1940 i piani di Stalin, Hitler mosse guerra alla Russia temendo di dover sottostare,
perdurando il conflitto, a una tattica di ricatto dal momento che proprio la copertura strategica sovietica, oltre
all’aiuto economico accordato alla Germania, gli aveva consentito la vittoria sulla Polonia e il concentramento delle
armate contro la Francia. Tale atto permise in seguito ai russi di mascherare le loro mire espansionistiche in
Europa, presentandole come una giustificata reazione difensiva all’attacco nazista.
Quest’ultimo si frappose al piano del dittatore sovietico – il quale aveva creato e rafforzato la “cintura di
sicurezza”ottenuta con gli accordi con Hitler nell’Europa centro-orientale – di restare lontano, fino alla fase finale,
della guerra “imperialistica” tra le potenze occidentali e la Germania e solo in seguito, correndo il minimo rischio
possibile, di impadronirsi di quei territori che, considerando il prevedibile aumento di potenza degli Stati
anglosassoni nell’Europa occidentale, gli sembravano necessari alla sicurezza strategica dell’URSS e al
rafforzamento del suo peso politico. L’inizio dell’operazione Barbarossa costrinse la Russia all’abbandono della sua
posizione d’attesa e alla lotta per la propria esistenza in un momento in cui Stalin non riteneva l’Armata Rossa,
nonostante gli sforzi compiuti, ancora pronta per una guerra su vasta scala.
“Nel 1940-41”, scrive Hillgruber, “si trovarono di fronte due ‘programmi’-obiettivi militari, ideologici e
politici che si escludevano a vicenda non solo per questioni di principio ma anche a causa delle loro direzioni di
spinta, che si incrociavano nell’Europa centro-orientale. Con ciò la realizzazione del ‘programma’ nazionalsocialista,
che era stato promosso febbrilmente da Hitler e che doveva sfruttare l’effetto sorpresa e la maggior velocità
possibile nello svolgimento delle singole tappe, si mosse cronologicamente prima della realizzazione, prevista nella
politica d’attesa di Stalin tesa a evitare rischi solo per una data successiva, del ‘programma’ bolscevico, che perciò
fu mascherato, in seguito modificato nei dettagli per adattarlo alla nuova situazione e in complesso presentato da
parte sovietica come una semplice reazione all’attacco tedesco. Esso però, nel suo obiettivo principale, che era
quello di allargare la sfera di influenza sovietica in Europa – dopo la sconfitta della Germania – in un confronto con
le potenze marittime anglosassoni, era già stato fissato nell’autunno del 1940 e da allora in poi, fino alla fine della
seconda guerra mondiale, rimase immutato di là di tutti i cambiamenti intervenuti nella tattica politica” (8).
Sulla campagna di Russia nella cerchia del Fuhrer si manifestavano opinioni contrastanti; Ribbentrop era
convinto che non ci fosse alternativa; il generale Walter von Brauchitsch, comandante in capo dell’esercito, non vi
si opponeva; Alfred Jodl, capo dell’ufficio operazioni dell’OKW (OberKommando der Wehrmacht, il comando
supremo delle forze armate tedesche), la riteneva inevitabile. Il feldmaresciallo Wilhelm Keitel, l’unico decisamente
contrario, era stato messo a tacere, mentre Hermann Goring ed Erich Raeder, rispettivamente comandanti in capo
dell’aviazione e della marina, avanzavano logiche obiezioni. Forse il più vicino alle posizioni di Hitler era il
Reichsfuhrer Heinrich Himmler, come risulta da un discorso tenuto in novembre ai funzionari di partito: “Fino a
questo momento, approfittando del patto (di amicizia russo-tedesca), l’Unione Sovietica a soggiogato interi Paese e
nazioni, Finlandia esclusa, senza tirar fuori la spada dal fodero, e ha notevolmente allargato le sue frontiere
occidentali e meridionali. Il suo appetito minacciava di crescere in modo abnorme, perciò abbiamo avvertito la
necessità di meglio definire, entrambi, i nostri reciproci interessi. Nella sua molto ritardata visita a Berlino, Molotov
ha ricevuto le necessarie indicazioni. Se ciò che ho udito è vero, a Stalin per il momento non è possibile cominciare
una guerra perché le nostre armi gli infliggerebbero un severo castigo. Il nostro atteggiamento sarà efficace sia per
i suoi (dell’Unione Sovietica) aggressivi progetti nei confronti della Finlandia, sia per qualsiasi progetto essa possa
avere a sud o a sud-est. Le sarà possibile dare il via a delle operazioni militari soltanto con l’espresso consenso del
Fuehrer. Per dare forza alla nostra volontà, abbiamo schierato tante truppe lungo la nostra frontiera orientale
quante bastano perché lo zar rosso di Mosca ci prenda sul serio…Militarmente l’Unione Sovietica è innocua. Il suo
corpo ufficiali è così scadente da non poter essere messo a confronto neppure con i nostri sottufficiali, e il suo
esercito è tanto male equipaggiato quanto mal addestrato. Non possono essere pericolosi per noi” (9).
Pochi giorni dopo questo discorso risultò chiaro che gli obiettivi sovietici erano inconciliabili con quelli di
Hitler. Ribbentrop aveva sottoposto a Mosca una proposta di trattato ricalcante quelle già fatte verbalmente da
Hitler a Molotov: l’espansione territoriale tedesca sarebbe avvenuta nell’Africa centrale, quella dell’Italia nell’Africa
settentrionale, quella del Giappone in Estremo Oriente e quella dell’Unione Sovietica in direzione dell’Oceano
Indiano. Il 25 novembre il ministro degli Esteri di Stalin presentò quattro condizioni che, se accettate da Berlino,
avrebbero consentito all’URSS di firmare. Le prime due, è cioè la richiesta che Hitler evacuasse dalla Finlandia le
truppe mandate nell’agosto del 1940 e che la Bulgaria concludesse un patto con l’Unione Sovietica garantendole
basi militari in vicinanza del Bosforo, erano inaccettabili per il Fuhrer, che infatti ordinò a Ribbentrop di non dare
alcuna risposta.
Quella, negativa, di Molotov alle proposte di Hitler giunse a fine novembre e dissolse qualsiasi dubbio del
dittatore tedesco circa l’attacco alla Russia. Allora egli “formulò la decisione che corrispondeva all’essenza della sua
personalità, alla sua idea di fondo con tanta impazienza perseguita, nonché alla sopravvalutazione delle proprie
forze, di cui era preda all’epoca: dare il via il più presto possibile alla guerra contro l’Unione Sovietica” (10). In
questa decisione ebbero un ruolo determinante la rielezione di Franklin Delano Roosevelt a presidente degli Stati
Uniti e il recente colloquio con Molotov; il giorno dopo la sua partenza Hitler dichiarò che quello con l’URSS non
sarebbe stato nemmeno un matrimonio d’interesse, ordinando al contempo di individuare, in Oriente, un luogo
adatto per installarvi suo quartier generale e costruire al più presto tre basi operative, al centro, al nord e al sud.
Il 3 dicembre, in occasione di un’altra breve visita al generale Fedor von Bock – già comandante del
gruppo d’armate nord nella campagna di Polonia e del gruppo d’armate B in quella di Francia, nonché futuro
comandante del gruppo d’armate di centro nell’operazione Barbarossa – Hitler dichiarò che il “problema orientale”
stava ormai arrivando a un punto critico e questo rendeva più probabile un’alleanza anglo-russa: “Se i sovietici
saranno eliminati, la Gran Bretagna non avrà alcuna speranzadi sconfiggerci in Europa” (11). Due giorni più tardi
Hitler annunciò a Brauchitsch che l’egemonia in Europa sarebbe stata decisa dalla lotta contro l’Unione Sovietica.
“In tre settimane saremo a Leningrado!” lo sentì dire Rudolf Schmundt, il suo aiutante in campo per la Wehrmacht.
(12). La tabella di marcia strategica del Fuhrer strava quindi prendendo forma in un clima di ottimismo eccessivo e
non sempre fondato, anche perché dell’Armata Rossa si sapeva ben poco – un’accurata indagine negli archivi della
Francia, Paese alleato dell’URSS, non aveva rivelato niente – ma Hitler era convinto della propria superiorità in
mezzi militari (soprattutto carri armati): “Il sovietico in se stesso è inferiore. Il suo esercito non ha dei capi…Una
volta che l’esercito sovietico sarà stato battuto. Il collasso dell’intera Unione Sovietica seguirà in modo inevitabile”
(13).
Il 18 dicembre Jodl portò a Hitler la stesura finale della direttiva per la campagna di Russia, adesso
ribattezzata Barbarossa (14), in cui si ordinava alla Wehrmacht di tenersi pronta a schiacciare l’Unione Sovietica
con un rapido attacco da scatenare prima della fine della guerra contro la Gran Bretagna: la sconfitta dell’URSS
avrebbe costretto gli inglesi a sottomettersi: “Si arrenderanno solo quando avremo distrutto questa loro ultima
speranza in Europa”. Il popolo britannico non era pazzo, disse Hitler: certo capiva che se avesse perso quella
guerra non avrebbe più avuto il prestigio necessario per tenere insieme il suo impero. “D’altro canto, se riescono a
cavarsela e a mettere insieme quaranta o cinquanta divisioni, e se gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica li aiuteranno,
la Germania verrà a trovarsi in una precaria situazione…E’ per questo che l’Unione Sovietica deve essere sconfitta
subito. E’ vero, le forze armate sovietiche sono un colosso d’argilla senza testa, ma chi può sapere come si
svilupperanno in futuro? (15)
La vittoria sui russi doveva essere rapida e definitiva: per nessun motivo essi dovevano avere la possibilità
di riprendersi dopo il primo, violento attacco.
A quanto riferisce il generale Franz Halder, capo di stato maggiore dell’esercito tedesco, già alcuni mesi
prima, mentre si stava allontanando la prospettiva di invadere l’Inghilterra, nel corso di una conferenza tenutasi
l’ultimo giorno di luglio del 1940 al Berghof, sulle Alpi bavaresi, Hitler, adesso definitivamente deciso ad attaccare
l’Unione Sovietica nella successiva primavera, aveva dichiarato: “L’Inghilterra ripone le sue speranze nella Russia e
nell’America. Se le sue speranze nella Russia svaniranno, cadranno anche quelle nell’America, perché l’eliminazione
della Russia accrescerà enormemente la potenza del Giappone in Estremo Oriente”.
Il Fuhrer si dichiarava convinto che l’ostinazione degli inglesi a continuare la guerra si doveva al fatto che
la Gran Bretagna contava sull’Unione Sovietica: “In Inghilterra erano già completamente a terra. Ora si sono
rimessi in piedi. Sono state intercettate delle conversazioni. La Russia è inquieta e scontenta a causa dei rapidi
sviluppi (delle nostre operazioni) nell’Europa occidentale. Basta che la Russia faccia comprendere all’Inghilterra che
essa non desidera una Germania troppo potente, e gli inglesi – così come chi sta per annegare si afferra a tutto –
spereranno di nuovo che fra sei o otto mesi la situazione cambierà completamente. Ma se la Russia verrà
schiacciata, l’ultima speranza dell’Inghilterra svanirà. Allora la Germania sarà la padrona dell’Europa e dei Balcani.
Decisione: in base a queste considerazioni, bisogna liquidare la Russia. Primavera 1941. Quanto prima la Russia
sarà schiacciata, tanto meglio” (16).
La strategia hitleriana si basava sul presupposto che l’URSS sarebbe stata annientata in un blitzkrieg di
pochi mesi. Ma l’8 febbraio, nel momento in cui la prima ondata di divisioni si stava lentamente muovendo verso la
frontiera con l’Unione Sovietica: la seconda avrebbe cominciato a muoversi a metà marzo, la terza in aprile – Keitel
fu informato dai suoi collaboratori che, mentre la Luftwaffe e la Kriegsmarine avrebbero avuto riserve di carburante
sufficienti sino all’autunno, le scorte di benzina e nafta per i carri armati e per i veicoli da trasporto della
Wehrmacht non sarebbero durate oltre la metà di agosto, a meno che si fossero raggiunti in tempo i campi
petroliferi del Caucaso. Anche riguardo la gomma c’era poco da stare tranquilli perché molte forniture erano giunte
in Germania dall’Estremo Oriente attraverso la Transiberiana, ma la guerra con la Russia, tagliando quel
collegamento, avrebbe lasciato disponibili solo le limitate e insicure quantità trasportate dalle navi che forzano il
blocco inglese.
Se conoscevano i loro limiti e le loro possibilità i tedeschi non erano molto informati dai propri servizi
segreti (poco coinvolti più che inefficienti) sulle potenzialità del nemico: l’industria aeronautica sovietica era
qualcosa di sconosciuto, anche se alcune indicazioni recenti dicevano che si stava espandendo con una rapidità
sconcertante. Goring, per esempio, temeva che l’aviazione sovietica potesse dimostrarsi ben più forte di quanto
risultava dai dati dei servizi segreti. Il 3 febbraio Franz Halder, capo di stato maggiore dell’esercito, avrebbe
ottimisticamente informato Hitler che la superiorità numerica dell’Armata Rossa era molto limitata (155 divisioni),
ma all’inizio di aprile tale cifra sarebbe salita a 247 divisioni, e quattro mesi dopo – troppo tardi per fare marcia
indietro – sarebbe risultato che le divisioni di Stalin impegnate erano 360.
( Fonte: www.italiasociale.net )