Le ombre nere della borghesia La costante dello squadrismo, le stragi di stato negli anni settanta e ottanta, la violenza razzista oggi: lungi dall’essere spariti, i fascisti sono le ombre nere della borghesia e del suo regime sedicente democratico dal dopoguerra ad oggi. Nell’attuale situazione di crisi del capitalismo e di sviluppo della tendenza alla guerra, i padroni e i loro governi scelgono la via della reazione sul fronte interno: repressione politica e sociale e incitamento alla guerra tra poveri (proletari italiani contro proletari immigrati). In questa situazione è naturale che i fascisti vecchi e nuovi trovino appoggi, protezioni e legittimità. Se il loro agire è parte integrante dei disegni di potere della borghesia, conoscerli e combatterli deve essere parte fondamentale della lotta di liberazione del proletariato. La riabilitazione dei fascisti nel dopoguerra All’indomani della fine della guerra di liberazione, le forze borghesi, gli agrari, il capitale monopolistico e finanziario si preoccuparono principalmente di bloccare la spinta per la trasformazione sociale che derivava dal prodigioso sforzo profuso dal movimento partigiano, dalla classe operaia e dalle masse proletarie nella Resistenza. Questo patrimonio di lotta fu liquidato impedendogli di sfociare in una radicale trasformazione della società, in una società socialista, grazie soprattutto alla politica compromissoria e remissiva, di “rinascita nazionale”, di sottomissione di fatto alla classe borghese, del gruppo dirigente togliattiano del Pci. La caduta della Repubblica Sociale Italiana (Rsi) non segnò la fine del potere delle classi sociali sostenitrici del fascismo, ma al regime mussoliniano si sostituì l’egemonia della Dc. I gruppi dominanti, gli industriali, gli agrari che avevano sostenuto e finanziato il fascismo fin dal 1919 e che con il fascismo avevano visto incrementare incredibilmente i loro profitti, dopo la guerra sostengono la Dc e trovano nel “partito della chiesa” la loro nuova trincea politica. E’ la restaurazione capitalistica, della quale De Gasperi è il regista politico, mentre il ministro degli interni Scelba ne è il guardiano, con un esercito repressivo, a difesa degli interessi degli industriali e degli agrari, che esercita il pugno di ferro sul versante dell’ordine pubblico, contro il movimento operaio e contadino. E’ in questa fase di restaurazione capitalistica, di ripresa del controllo politico e sociale da parte della classe dominante che si passa dal fascismo “totalitario” al fascismo “democratico”, fondato sugli arresti e l’incarcerazione di tantissimi ex partigiani e proletari, sulla repressione feroce delle lotte dei lavoratori delle fabbriche nel nord e dei contadini nel sud, sui licenziamenti politici dei lavoratori che si pongono come avanguardie di lotta. Le cifre dell’operato poliziesco sono impressionanti: dal gennaio 1948 al settembre 1954 si ebbero 70 caduti per mano degli sbirri, 5104 feriti, 148.296 arrestati o fermati, 61.243 condannati a un totale di 20.426 anni di carcere. E in questa fase di restaurazione capitalistica la migliore manovalanza è quella dei criminali fascisti che, scampati alla giustizia della guerra di liberazione, hanno potuto continuare indisturbati, in altre vesti, la loro criminale politica antiproletaria. Già a pochi mesi dalla fine della guerra moltissimi fascisti internati nei campi alleati, una ventina in tutta Italia, riescono ad evadere con la complicità dei militari angloamericani e lo stesso avviene nelle carceri italiane, dove evadono soprattutto molti carabinieri e ufficiali. La finta epurazione degli ex gerarchi fascisti nella amministrazione pubblica, nell’esercito, nella polizia, inizia nel maggio 1945 quando vengono collocati a riposo 37 questori, 15 vicequestori, 18 commissari capi di polizia. Ma già pochi mesi dopo sono riammessi in servizio. Dal primo gennaio 1946 i prefetti e i capi di polizia nominati alla fine della guerra dai Cln sono sostituiti con funzionari di carriera e dal marzo ‘46 viene sciolto l’Alto Commissariato per le sanzioni contro il fascismo (l’organo che avrebbe dovuto provvedere all’epurazione dei gerarchi fascisti), trasferendo le sue funzioni ai tribunali ordinari. Il 22 giugno 1946 è promulgata la legge Togliatti per l’amnistia dei criminali fascisti. E’ con questa legge che i fascisti usciranno dal carcere a frotte: nell’ottobre 1946 i fascisti incarcerati erano circa 50.000, pochi mesi dopo saranno 4.000, per poi essere tutti scarcerati nel corso del 194748-49. L’amnistia decreta giuridicamente estinti i delitti e i reati commessi dalle squadre fasciste, stabilisce che è giuridicamente non perseguibile la promozione o la direzione della marcia su Roma nell’ottobre 1922, cancella le responsabilità penali del colpo di stato mussoliniano del 3 gennaio 1925, assolve coloro i quali hanno commesso delitti per motivi fascisti o anche contribuito a mantenere in vigore con atti rilevanti il regime mussoliniano. All’interno della “democratica” magistratura, piena zeppa di giudici operanti nel passato regime, si interpreta questa legge in maniera ancora più ampia, e col ricorso a cavilli e forzature, a minimizzazioni di colpe e falsificazioni dei fatti, si assolvono anche i responsabili di stragi. Così vengono assolti, tra gli altri, i generali Gambara (responsabile dei massacri in Iugoslavia durante la dominazione fascista), Graziani (ministro delle forze armate di Salò e a capo dell’occupazione militare in Libia e in Etiopia), Borghese (capo della Decima Mas, massacratore di partigiani), Roatta (mandante, come capo del servizio segreto fascista, dell’uccisione dei fratelli Rosselli e criminale di guerra nei Balcani), l’ex prefetto fascista di Genova Carlo Emanuele Basile (torturatore di operai, che doveva presenziare al congresso di Genova dell’Msi nel luglio 1960, bloccato per la rivolta antifascista). Contemporaneamente alla liberazione dei fascisti, la magistratura emette migliaia di mandati di cattura per ex partigiani e per coloro che si vendicano dei fascisti liberati dallo stato “democratico”. Dal ministero degli interni di Scelba dal 1947 in poi partono precise disposizioni per il reclutamento nelle forze di polizia e nella celere di ex repubblichini. Regista di questa operazione è Giuseppe Piéche, già prefetto fascista di Foggia e spia dell’Ovra, nonchè organizzatore della polizia politica del regime ustascia croato di Ante Pavelic. Inoltre continua l’opera di “epurazione” dalle forze di polizia degli ausiliari che provenivano dalle fila partigiane: dal 1946 al 1949 sono 5.500 i partigiani che vengono allontanati dalla polizia. Il regime democristiano nel 1948 ha più poliziotti di quanti ne avesse avuto il fascismo nel 1938: per Mussolini c’erano 166.855 agenti e carabinieri, agli ordini di Scelba ci sono 199.592 agenti. Fino alla costituzione dell’Msi, nel dicembre 1946, i gruppi neofascisti sono stati attivi già da subito la fine della guerra con azioni armate in special modo contro i partiti della sinistra e i gruppi partigiani. Il terrorismo serve a dare credibilità ai molti capi delle numerose e scombinate formazioni clandestine neofasciste, molto spesso in polemica tra di loro e per lo più costituite con i resti delle milizie repubblichine. Il 12 maggio 1945 a Milano fascisti clandestini sparano da un’auto in corsa contro partigiani. Dall’autunno 1945 in Lombardia agiscono le Sam (Squadre azione Mussolini) e il gruppo Lotta Fascista che attuano sparatorie contro le sedi del Pci e della Cgil. Sempre a Milano il 23 agosto 1946 un commando armato di 7 fascisti assalta la casa del popolo di via Conte Rosso a Lambrate: i compagni rispondono al fuoco e un fascista resta sul terreno. Molti di questi gruppi fanno riferimento a fogli e riviste clandestine come Onore e combattimento, Audacia, Vendetta Mussolini, Figli d’Italia, o altri giornali pubblici come il quotidiano “Il Meridiano d’Italia”. A Roma opera il gruppo “Credere” che attua sparatorie e lanci di bombe contro le sedi del Pci e del Psi e contro le redazioni dell’Unità e dell’Avanti. A comandare questo gruppo è Pino Romualdi, vicesegretario del Pfr di Salò, scarcerato grazie all’intervento del servizio segreto americano con il quale era in contatto già precedentemente alla caduta della Rsi. I capi politici dei diversi gruppi neofascisti operanti negli anni del dopoguerra, tutti ex gerarchi del regime mussoliniano e della Rsi come Pino Romualdi, Giorgio Almirante, Armando Pettinato e Arturo Michelini (ex vicefederale di Roma) intavolano trattative con quasi tutti i partiti anticomunisti: i monarchici, la Dc, i liberali, la componente socialdemocratica all’interno del Psi, oltre che con il Vaticano, per avere legittimità e agibilità politica. Questi centri di potere, con il fondamentale concorso politico della decisione togliattiana di varare l’amnistia, contribuiranno a rimettere in gioco e a rafforzare i movimenti neofascisti, per usarli in funzione anticomunista e antiproletaria. L’utilizzo della manovalanza squadrista a scopo controrivoluzionario è inoltre sostenuta accanitamente dall’allora capo del servizio segreto americano in Italia James Angleton, che si impegna in prima persona per salvare dalla giustizia i capi e i dirigenti del regime mussoliniano, tra cui il futuro golpista Borghese, e reclutarli nella Cia, anche durante la guerra, man mano le truppe americane risalgono la penisola. Molti ex repubblichini sono reclutati all’interno dei Raam (Reparti Antiautoritari Antimarxisti Monarchici): gruppo militare clandestino dipendente direttamente dal re. Attraverso i Raam, i Gam (Gruppi di azione monarchica, che conducono attentati con auto senza targa dalle 2 quali sparano sulla folla), il Pdi (Partito Democratico Italiano, monarchico) vengono condotte numerose azioni, soprattutto a ridosso del referendum monarchia/ repubblica del 2 giugno 1946. Il 2 aprile scoppiano gravi tumulti filomonarchici a Napoli e a Bari con decine di morti e attacchi alle sedi del Pci e del Psi. Il 12 giugno a Napoli i monarchici attaccano la sede del Pci: 11 morti e 71 feriti. I neofascisti sono particolarmente attivi nelle campagne del sud dove proseguono impuniti gli eccidi di contadini e pullulano squadre finanziate dagli agrari. Il principale movimento legale in cui confluiscono le forze più reazionarie è costituito dal partito dell’Uomo Qualunque, finanziato dall’industriale calabrese Armando Fresa e dal fascista miliardario Salvatore Scalera. Nel mezzogiorno sono gli agrari a finanziare l’apertura delle sedi dell’Uq che si struttura, insieme a gruppi monarchici, in fronte armato della reazione al servizio degli agrari contro le rivendicazioni dei contadini. Nel movimento dell’Uomo Qualunque vi entrano molti ex militi delle brigate nere e reduci della Rsi, come Emilio Patrissi che dagli organi di stampa dell’Uq farà proclami filofascisti e spargerà infamie contro i partigiani. Con la nascita dell’Msi, i fascisti dentro l’Uq passano in massa al nuovo partito, assieme ai loro sostenitori finanziari. Del resto, tutta la schiera dei rappresentanti neofascisti clandestini e dei vari giornali e riviste fasciste (come Il Merlo Giallo, Rataplan, Fracassa, Rivolta Ideale, Asso di Bastoni, Rosso e Nero, il quotidiano Il Meridiano d’Italia), nel dicembre 1946 confluisce nel Movimento Sociale Italiano (Msi). A distanza di un solo anno e mezzo dalla sconfitta militare i fascisti possono così ricostituirsi in un partito ufficiale, riproponendo la mitologia, i rituali, la dottrina fascista, sia in maniera aperta e pubblica nel nuovo partito organizzato, sia mantenendo una rete di gruppi clandestini per azioni armate contro il movimento operaio e contadino e le loro organizzazioni politiche e sindacali. L’Msi nasce con il beneplacito del ministero dell’interno (allora rappresentato da De Gasperi che era presidente del consiglio e ad interim ministro dell’interno), con finanziamenti del Vaticano, che tramite lo Ior e il proprio servizio segreto, sosterrà le campagne elettorali del neonato partito, per prima quella per le elezioni amministrative del marzo 1947 a Roma. Sull’intero processo politico si staglia inoltre l’ombra dell’imperialismo Usa che, tramite i propri agenti e sotto la direzione di Angleton, tiene i contatti con tutti i gerarchi della neonata formazione e fornisce consistenti aiuti economici. Il “nuovo” partito fascista rappresenterà anche il collante e l’esercito di manovalanza da cui attingere per operazioni segrete in funzione anticomunista, insieme ad altre formazioni e gruppi paramilitari di vecchie formazioni “partigiane” bianche, andando a costituire l’ossatura della struttura Gladio nata dall’accordo tra il servizio segreto italiano Sifar e la Cia. Parallelamente alla costituzione dell’Msi, Almirante e Romualdi, presiedono alla costituzione dei Far (Fasci di Azione Rivoluzionaria) unificando moltissime delle cellule nere che avevano fino ad allora operato autonomamente, dandosi un foglio di collegamento clandestino “Rivoluzione”. A Milano, il comando dei Far dipende dall’ex generale della milizia repubblichina Ferruccio Gatti, che sarà giustiziato dai compagni della Volante Rossa il 4 novembre 1947. Gladio Fu un’organizzazione clandestina paramilitare, formata da civili e membri dell’esercito, nata da accordi presi tra i servizi segreti italiani e statunitensi nel secondo dopoguerra. Essa venne costituita per contrastare, con attività di guerriglia e di sabotaggio, l’eventuale presenza di truppe sovietiche sul territorio italiano, nel caso di conflitto tra blocco filoamericano e campo socialista. In realtà, divenne una delle principali strutture dirigenti, organizzative e logistiche della “strategia della tensione”, sotto supervisione e finanziamento da parte della Cia, come ammisero Cossiga e il generale Maletti, allora al vertice dei servizi segreti italiani. Numerosi furono i fascisti reclutati, che militarono accanto a graduati dell’esercito, democristiani e reazionari d’ogni risma. Strutture pressoché identiche vennero organizzate in tutti i paesi della Nato. La strategia della tensione L’inaugurazione del periodo più longevo del terrorismo di stato è fissato con la strage alla Banca dell’Agricoltura in Piazza Fontana a Milano del 12 dicembre 1969, con i suoi 16 morti e 87 feriti, portata a termine dai neofascisti di Ordine Nuovo. Quel giorno altri tre ordigni scoppiano a Roma ferendo decine di persone. È l’inizio di una fase, passata alla storia come “strategia della tensione”, che caratterizzerà l’Italia fino agli anni ’80, fatta di sanguinose stragi, di tentativi di golpe e di omicidi di stato. Molteplici altri attentati furono programmati e attuati ben prima della strage a Milano: dall’inizio del 1969 nel nostro paese ce ne furono 145, uno ogni tre giorni, contro sedi del Pci o del Psiup, monumenti partigiani o militanti del movimento studentesco, tutti di riconosciuta matrice fascista. Ma Piazza Fontana costituisce uno spartiacque e un salto di qualità perché l’operato dei fascisti è organico ad uno specifico disegno dello stato e perché per la prima volta si colpiscono volutamente persone qualsiasi, senza una paternità apparente dell’atto. La “strategia della tensione” proseguirà provocando molti altri morti; tra le altre, le stragi principali saranno quelle del 22 luglio 1970 a Gioia Tauro contro un treno (6 morti), del 28 maggio 1974 in Piazza della Loggia a Brescia durante un comizio sindacale (8 morti), del 4 agosto 1974 contro il treno Italicus (12 morti), del 2 agosto 1980 alla stazione di Bologna (85 morti) e del 23 dicembre 1984 contro il rapido 904 (17 morti). Tutte carneficine appaltate ai fascisti da parte dello stato, tramite i servizi segreti. Infatti, i militanti di Ordine Nuovo e delle altre formazioni dell’estrema destra (Avanguardia Nazionale, Ordine Nero, N.A.R.) sono organizzati dagli apparati di “sicurezza” del regime democristiano, spesso armati dai servizi segreti americani e addestrati militarmente all’interno delle basi Usa in Italia, come a Camp Darby a Pisa. Alcuni sono contemporaneamente facenti parte di Gladio, la struttura paramilitare organizzata dalla Nato e dalla Dc in funzione anticomunista in cui defluirono anche molti ex repubblichini, insieme a “partigiani” cattolici. Durante le indagini su Piazza Fontana, ad esempio, si scoprì che l’esplosivo usato proveniva direttamente da una base statunitense in Germania Ovest. Dopo le stragi, quasi tutti i fascisti sono protetti e messi al sicuro: chi è fatto espatriare nella Spagna franchista, chi in America Latina per contribuire alle dittature militari e chi viene lasciato espatriare in “rispettabili democrazie”, come il boia Delfo Zorzi, ricercato per Piazza Fontana e oggi miliardario residente in Giappone, o come Roberto Fiore, attuale segretario di Forza Nuova, indagato per la strage di Bologna e latitante per più di dieci anni a Londra dove costruì “miracolosamente” un impero finanziario. Tuttora i processi per alcune stragi sono in corso, come per quello in Piazza della Loggia, ma è facile immaginare che finiranno analogamente a quello per Piazza Fontana, con l’assoluzione dei responsabili e la condanna per i familiari delle vittime a pagare le spese processuali. D’altra parte, lo stato borghese può forse condannare se stesso e ammettere così la sua natura di entità criminale, disposta a tutto pur di ostacolare il cammino di emancipazione degli sfruttati? La “strategia della tensione” inizia infatti in un momento storico in cui le lotte dei lavoratori raggiungono il livello di scontro di classe più alto dal dopoguerra, unendosi al movimento studentesco che già divampava da più di un anno nelle scuole e università. Siamo nel cosiddetto autunno caldo in cui si mobilitano quasi 5 milioni di operai, si rinnovano una ventina di contratti dell’industria e dell’agricoltura e si raggiungono numerose conquiste sociali per la classe proletaria. Il governo è costretto ad avviare le riforme dell’edilizia, fiscale e sanitaria e ad abolire le gabbie salariali. Viene promulgato lo Statuto dei Diritti dei Lavoratori, s’introducono le 150 ore per il diritto allo studio, la riduzione dell’orario del lavoro a 40 ore settimanali pagate 48 e nuove forme di rappresentanza sindacale. Aldilà delle riforme in sé, strappate peraltro a prezzo di durissime 3 battaglie, a spaventare i padroni sono i contenuti rivoluzionari e le forme di lotta fuori dai canali e dalle compatibilità tracciati dal regime che il movimento dell’epoca esprime e pratica. Gli sfruttatori si rendono conto di avere davanti una vera e propria opposizione di classe che scavalca il Pci riformista e i sindacati da sinistra e pone in discussione il sistema stesso. Occorreva perciò introdurre un elemento inedito nello scontro di classe, che potesse riaffermare forzatamente un’egemonia che la borghesia stava perdendo nella società. Con le stragi la classe dominante mette così in campo una “linea di massa” del terrore rivolto generalmente a tutto il proletariato, da annichilire per rendere passivo. Il messaggio di minaccia che si vuol far passare è che le masse devono “stringersi attorno allo stato e all’autorità costituita” e mettere un freno alla china “della sovversione e dell’ estremismo”. L’intento generale è dunque quello della mobilitazione reazionaria, da condurre attraverso la pacificazione sociale e politica e sotto le insegne della Democrazia Cristiana di Andreotti e Moro, presunta garanzia di ordine ed equilibrio. Per questo è corretto dire che le bombe che lo stato commissionò ai fascisti furono contro i lavoratori, con l’intento di intimorire le masse popolari e di rafforzare il controllo della società. Più specificatamente le stragi servono così a legittimare l’imposizione dell’ordine borghese, l’aumento delle leggi repressive, la militarizzazione delle città e la repressione del movimento di classe. Il terrore diventa così arma di ridefinizione dei rapporti di forza tra il regime e chi lo combatte, al fine di arginare ogni prospettiva rivoluzionaria. Infatti, sulla bomba di Piazza Fontana viene costruita una pesantissima montatura contro gli ambienti anarchici milanesi, ordinata direttamente dai servizi segreti ai vertici della polizia del capoluogo lombardo e in particolare al commissario Luigi Calabresi, vice responsabile della squadra politica. Questa sporca operazione repressiva costerà la vita a Giuseppe Pinelli, ferroviere anarchico, “precipitato” dalla finestra del quarto piano della questura di Milano al terzo giorno di interrogatorio-tortura da parte degli sbirri e porterà Pietro Valpreda, anch’egli militante anarchico, a passare quattro anni in galera prima di essere dichiarato del tutto estraneo al massacro. Montature simili verranno costruite, grazie soprattutto all’intervento dei servizi o alla rete di Gladio interna alle istituzioni, anche per altri attentati commessi dai fascisti. Ma la “strategia della tensione” non può essere compresa a fondo se non si tiene conto di due altri elementi imprescindibili: la minaccia golpista e il ruolo del Pci. Un anno dopo la strage di Piazza Fontana, nel pieno della stagione delle bombe di stato, un gruppo di ufficiali dell’esercito, sotto la direzione del già citato Junio Valerio Borghese, pone in essere un tentativo di colpo di stato, interrotto in corso d’opera per “ordini superiori”. Nel 2004 si venne a sapere, da documenti ufficiali della Cia, dell’accondiscendenza 4 degli Usa al piano golpista, condizionata al fatto che i militari avessero consegnato il potere “all’uomo” di assoluta fiducia americana in Italia, il democristiano Andreotti. Con il colpo di stato abortito del dicembre 1970 si sta per concretizzare il ritorno al fascismo o comunque l’abbandono delle forme della democrazia borghese; un pericolo previsto dalla sinistra rivoluzionaria più lungimirante fin dall’inizio degli anni sessanta e che può ovviamente trovare nel terrore stragista (specie se imputato ai “rossi”) una giustificazione perfetta. Del resto l’area mediterranea, all’epoca, vede sorgere ovunque regimi militari, secondo i piani stilati dai comandi della Nato in funzione anticomunista: nel 1967 in Grecia, nel 1960 e nel 1971 in Turchia, per non parlare della Spagna che rimaneva sottoposta al regime franchista da ancor prima della guerra mondiale. Il fattore che differenzia l’Italia da questi paesi è la presenza del Pci, la più forte organizzazione revisionista e filosovietica nell’Europa Occidentale. Già dal dopoguerra esso è un partito riformista che ha abbandonato completamente la prospettiva rivoluzionaria, garante politico dell’integrazione economico-sociale della classe operaia e dei lavoratori in generale nel capitalismo. Già allora il sistema economico segnala le prime debolezze della futura (attuale) crisi di sovrapproduzione, ma tuttavia riflette ancora il ciclo di accumulazione positivo seguito alla Seconda guerra mondiale, consentendo la praticabilità delle riforme, con il miglioramento delle condizioni di vita dei proletari e il conseguente radicamento del Pci tra le masse. Un ruolo che il movimento di classe contesta, attaccando giustamente l’ideologia del revisionismo e auspicando la rottura rivoluzionaria. Se, infatti, le stragi di stato commissionate ai fascisti sono la riprova, oggi come allora, che bisogna organizzarsi per farla finita con il potere di una classe tanto abbietta e feroce, per il Pci sono il richiamo/ricatto a svolgere un’azione di pacificatore ad ogni costo della società, scontrandosi con il movimento rivoluzionario. Infatti, la dirigenza revisionista, priva di ogni prospettiva politica strategica capace coerentemente di scontrarsi con il potere democristiano e dunque con la borghesia, non può rischiare derive autoritarie, che peraltro sarebbero state accettate dall’Urss in nome della “coesistenza pacifica” tra Est e Ovest. Il giocattolo della “democrazia” borghese, vitale per giustificare l’essenza ideologica stessa del revisionismo oltre che la sua politica concreta, non deve essere toccato e va difeso come “fine ultimo” del movimento operaio. Le forze reazionarie ottengono così l’obbiettivo di mettere con le spalle al muro il Pci, di costringerlo a combattere tutto ciò che sta alla sua sinistra, perché, nella situazione segnata dalle stragi di stato e dal pericolo di ritorno al fascismo, o si sceglie la strada di lottare contro il potere dei padroni o si accetta di garantire che tale potere non sarà mai toccato e dunque di scontrarsi con chi lo combatte. E i revisionisti non possono che optare, coerentemente con la loro ideologia e il loro ruolo generale, per quest’ultima “soluzione”. Da qui si arriva allo lotta contro la prospettiva rivoluzionaria fra le masse: concertare con i padroni le rivendicazioni popolari, svolgere il lavoro di pompiere nelle manifestazioni per evitare incidenti, tenere buoni gli animi dei proletari in rivolta con la scusa di non cadere nelle provocazioni e di non offrire il pretesto alla Dc per forti scelte autoritarie. Ma non solo: il Pci si adopererà a pratiche socialfasciste per assistere l’operato delle forze repressive nella lotta contro il movimento rivoluzionario. Calunnie, delazioni, pestaggi, intimidazioni contro le avanguardie politiche da una parte, contenimento e pompieraggio sociale per le masse dall’altra, fino ad arrivare alla stagione del compromesso storico e alla prospettiva dei governi dell’unità nazionale con la Democrazia Cristiana di Moro, affossata dalla salutare politica rivoluzionaria delle Brigate Rosse. Cossiga stesso, lo spudorato mentore del potere democristiano e atlantista, tuttora non perde occasione per ringraziare la dirigenza picista, cosciente che la reazione, pur con i suoi sgherri in divisa e le sue bestie stragiste in camicia nera, non avrebbe vinto la tendenza rivoluzionaria, o l’avrebbe vinta ad un prezzo ancora più alto, senza il ruolo svolto dai revisionisti del Pci. Ordine Nuovo Durante il V congresso dell’Msi a Milano, nel 1956, la parte più radicale del partito, guidata da Pino Rauti, ne fuoriuscì, in contrasto con le posizioni dell’allora segretario Arturo Michelini, favorevole ad alleanze con i monarchici e la Dc. Fu cosi che nacque il Centro Studi Ordine Nuovo, successivamente denominato Movimento Politico Ordine Nuovo, un’organizzazione diretta dai servizi segreti italiani e americani e in collegamento con Gladio, tanto che lo stesso segretario Clemente Graziani venne reclutato dalla Cia, con libero accesso alle basi statunitensi del Veneto. Il gruppo, che dava ai propri membri un’istruzione in teoria e tecnica di guerra sporca, venne così pienamente integrato nella “strategia della tensione”, e infatti vi militarono Giovanni Ventura, Franco Freda, Delfo Zorzi, Carlo Maria Maggi, (tuttora liberi) esecutori della strage di Piazza Fontana e di Piazza della Loggia a Brescia. Fra gli scarafaggi che transitarono nell’organizzazione va citato anche l’attuale esponente leghista Borghezio. I fascisti del nuovo millennio Nel mese di novembre ha fatto scalpore il numero del Venerdì di Repubblica in cui capeggiavano in copertina gli squadristi di Casapound. Il principale giornale della sinistra borghese, di proprietà del gruppo De Benedetti, dedica l’articolo di copertina ad un gruppo neofascista, fra i più attivi in aggressioni e campagne razziste, presentandolo come un manipolo di bravi ragazzi, anticonformisti, ribelli e moderni. I casi di questo genere sono molti. Ad esempio nel numero di febbraio 2009 di Top Girl, rivista “stilosa” edita da Mondadori (di proprietà di Berlusconi) e dedicata a ragazze adolescenti, vengono intervistati alcuni giovanissimi aderenti a Forza Nuova che blaterano di patria, famiglia e religione come valori da riaffermare. Questo megafono mass-mediadico testimonia come il movimento fascista ha preso sempre più piede negli ultimi anni, soprattutto con l’agibilità politica offerta in forma più o meno esplicita da tutti i ranghi della borghesia. È da notare come questi colossi della disinformazione sono gli stessi ad essere in prima fila nelle campagne stampa contro i comunisti e gli antifascisti di oggi e di ieri, contro i popoli che resistono all’invasione delle loro terre e contro intere categorie sociali, come gli immigrati e i rom, da criminalizzare in quanto tali. I gruppi eredi del neofascismo del dopoguerra si ritrovano così molto più legittimati di quanto avessero pensato nel 1995 quando Fini li scaricò per fondare Alleanza Nazionale, partito del fascismo moderno, democratico e benpensante, destinato a reggere più volte le redini del potere politico borghese in Italia e oggi confluito nel Pdl. Allora a destra di An nacque il Movimento Sociale Fiamma Tricolore, che si pose il compito di portare avanti l’eredità del vecchio Msi, “aggiornandola” alla nuova realtà. Questo partito, all’inizio guidato da uno dei fondatori di Ordine Nuovo, il boia Pino Rauti, raccolse consensi tra i delusi di An e si dimostrò capace di trovare militanti nelle curve degli stadi, dove i neofascisti avevano svolto negli anni un lavoro sistematico di penetrazione e ideologizzazione, valorizzando la cultura ribellistica e violenta degli ultras e strumentalizzando in senso reazionario e razzista la rabbia dei sottoproletari e dei proletari di periferia. Fiamma Tricolore definisce le tematiche politiche fondamentali che contrassegnano tuttora la propaganda di tutti i gruppi della galassia fascista: difesa dello stato sociale, lotta all’immigrazione, anticomunismo e, in misura minore ma costantemente, antiamericanismo. Argomenti che sono diretti a trovare consenso tra i lavoratori e la piccola borghesia e dunque rappresentano una riedizione del “sovversivismo reazionario” che il movimento fascista storico assunse sempre prima di prendere il potere e durante le fasi di crisi del suo regime. Gli esempi potrebbero essere molti: dal programma dei Fasci di Combattimento del 1919, ai proclami socialistoidi dei nazisti durante la repubblica di Weimar fino alla Carta di Verona della Rsi. Il fascismo di oggi e di ieri non si proclamò mai, fino in fondo, contro il capitalismo, ma deciso a ridurne gli eccessi e a combatterne il carattere sopranazionale. Per divenire movimento di massa o comunque radicarsi tra le masse e cavalcarne la miseria materiale, elaborò la dottrina del corporativismo cioè della possibilità di fondere nell’interesse nazionale super partes i conflitti tra capitale e lavoro. Un’utopia che non si realizzò mai giacchè, come il marxismo insegna, ogni bandiera e interesse nazionale è, in ultima analisi, lo stendardo di una classe al potere e in tutti i regimi fascisti il potere della borghesia non solo non venne mai toccato, ma trovò probabilmente le sue forme più solide. Storicamente, fu la piccola e media borghesia la classe più attratta dalla retorica del fascismo e che vide in essa una garanzia contro lo strapotere del grande capitale e contemporaneamente un baluardo di lotta contro la rivoluzione proletaria. Oggi, i rivolgimenti del ciclo produttivo, la crisi capitalistica e in generale, il gravissimo arretramento dell’egemonia proletaria nella società, rendono la piccola e media borghesia una classe influente a livello sociale. La Lega e in generale il blocco berlusconiano trova larghi consensi e militanti all’interno delle categorie dei lavoratori autonomi, dei commercianti, degli artigiani e dei professionisti. I fascisti aggiungono qualitativamente la capacità di radicarsi tra i sottoproletari, tra i proletari e soprattutto tra gli studenti, accentuando i toni “antisistema” che i gruppi reazionari istituzionali non possono assumere. Per quanto riguarda l’antiamericanismo, esso è un argomento che 5 ufficialmente rientra nella cultura neofascista fin dalle sue origini, ereditato dallo scontro interimperialista tra Usa e Germania nel secondo conflitto mondiale. Oggi viene rieditato con le dichiarazioni di appoggio alla Russia di Putin, vista come possibile baluardo di un’Europa indipendente dagli Stati Uniti e dunque a supporto di una prospettiva di rafforzamento del polo imperialista europeo, che peraltro accomuna anche settori del revisionismo (Prc, Pdci o quello che ne resta). Di fatto però, oltre che ad affermazioni di principio facili a farsi, il rapporto, occulto o palese, di servilismo dei neofascisti nei confronti dell’imperialismo yankee rimase tale durante tutta l’epoca della cosiddetta guerra fredda e tuttora i legami non possono non mancare, se pensiamo che la classe dirigente dei loro gruppi è quasi rimasta immutata e se riflettiamo sul canale di supporto mai reciso proveniente dalle organizzazioni della destra istituzionale, diventata oramai ultrafiloamericana e ultrafilosionista. A conferma di ciò va detto che, soprattutto a partire dalla proclamazione della guerra al “terrorismo” nel 2001, la propaganda fascista ha inserito fra i suoi elementi pressochè costanti quello dell’islamofobia, aderendo così all’ideologia promossa dai circoli guerrafondai statunitensi per giustificare e promuovere nuove crociate imperialiste in Medio Oriente, Asia e Africa. In particolare Forza Nuova, l’organizzazione fondata nel 1997 e aspirante a diventare partito dominante nell’area neofascista, fa dell’odio antislamico una delle sue principali battaglie, dando così anche una connotazione culturale e religiosa alla “guerra tra poveri” ovvero tra proletari italiani e immigrati che la borghesia fomenta giorno per giorno. Ma la vera novità nel panorama dell’estrema destra, è rappresentato da Casa Pound, movimento fondato da un gruppo di romani fuoriusciti da Fiamma Tricolore. Il nome deriva dall’occupazione di un edificio nel quartiere esquilino condotta da militanti fascisti dal 2003, con l’appoggio prima del sindaco sinistro Veltroni, che la inserì nella graduatoria speciale per finanziamenti comunali contro l’emergenza abitativa, e poi dell’attuale sindaco destro Alemanno, peraltro ex squadrista dell’Msi e genero di Rauti, che ha accolto il gruppo direttamente all’interno delle istituzioni locali, finanziandolo con centinaia di migliaia di euro e concedendogli sempre nuovi spazi pubblici. Già dall’origine di tale organizzazione ci si rende conto della ambiguità pericolosa che connota questi topi, i quali da una parte si 6 sono impadroniti della pratica delle occupazioni, storicamente appartenente al movimento antagonista e rivoluzionario, presentandosi come il fior fiore del fascismo ribelle e dall’altra contano appoggi istituzionali sia da destra che da “sinistra”. Se poi si va a guardare la struttura del movimento, peraltro in crescita a livello nazionale, ci si rende conto che esso rompe con la tradizionale organizzazione partitica che sia Fiamma Tricolore che Forza Nuova recuperano dal vecchio Msi, per costituire una sorta di federazione di vari gruppi e realtà locali dell’estrema destra, unite da un unico programma politico (che recupera quello tradizionale del regime mussoliniano) e da alcune campagne politiche preconfezionate impostate a livello centrale come “tempo di essere madri”, a sostegno della maternità delle lavoratrici, e il “mutuo sociale”, una sorta di prestito pubblico per l’acquisto di case. Si tratta in realtà di proposte di legge, iniziative apparentemente neutre dal punto di vista del colore politico, connotate in senso sociale e in grado di trovare appoggi all’interno delle istituzioni come testimonia il recente voto all’unanimità del consiglio regionale della Liguria a sostegno della campagna “tempo di essere madri”. Ma non basta. Casa Pound utilizza molto l’immagine del movimento culturale trasversale alla sinistra e alla destra, organizzando conferenze e incontri sugli argomenti più svariati (dagli omaggi ai mercenari della folgore al corso di primo soccorso), invitando “personalità” di diverso tipo quali il mafioso Dell’Utri, l’odioso giornalista di Libero Mughini e il dissociato Morucci. Insomma, quello a cui puntano questi bastardi è una sorta di società civile organizzata di ispirazione fascista che, tenendo i piedi sia nelle istituzioni e sia nel malcontento degli sfruttati, possa divenire non solo un coacervo di squadristi, ma anche un soggetto creativo e complessivo nell’intossicazione politica e culturale delle masse popolari. Non c’è antifascismo senza lotta di classe! Non c’è lotta di classe senza antifascismo! Il 23 luglio 2009 la polizia ha condotto decine di perquisizioni in tutta Italia contro alcuni partecipanti alla manifestazione antifascista a Verona in risposta all’omicidio di Nicola Tommasoli, avvenuto il Primo Maggio 2008 ad opera di 5 fascisti. Mentre i compagni si trovano sotto inchiesta per alcune scritte e per le vetrine ammaccate di qualche banca durante il corteo, gli squadristi assassini sono stati scarcerati e uno di essi addirittura assolto, in modo da non concedere l’aggravante che sussiste quando l’aggressione è ad opera di cinque o più persone. L’11 ottobre 2009 le forze dell’ordine irrompono durante un’assemblea antifascista presso un Circolo Arci di Pistoia, costringendo tutti i partecipanti a seguirle in questura. Qui viene formalizzata contro undici compagni/e l’accusa di aver devastato la sede di Casa Pound situata a un centinaio di metri dal Circolo: per tre di essi scatta l’arresto. Nell’ordinanza d’arresto si specifica che prove specifiche non ce ne sono, a parte la testimonianza d’un consigliere comunale del Pdl che “casualmente” si trovava all’interno del covo. I fascisti di Casa Pound ringraziano la magistratura e gli sbirri con un comunicato pubblicato sul loro sito, affermando che “è finita l’impunità (?!) per gli antifascisti”. Il 17 novembre a Verona due compagni vengono arrestati dalla Digos perché accusati di aver menato mesi prima un militante di Forza Nuova, noto per la sua partecipazione a diverse aggressioni squadriste, una delle quali diretta proprio contro di loro. Il 12 dicembre a Bologna gli sbirri caricano un corteo antifascista e arrestano 3 compagni. Il corteo era stato organizzato per impedire a Forza Nuova la realizzazione di un concerto. Così agli antifascisti è stata negata la possibilità di sfilare in piazza mentre ai fasci proprio il 12 dicembre, anniversario della strage di Piazza Fontana, è stata concessa piena agibilità. Sono solo gli ultimi e rilevanti casi di repressione nei confronti di antifascisti: uno stillicidio di episodi che scorre parallelo a quello degli atti di squadrismo commessi direttamente dai fascisti contro compagni, immigrati, omosessuali e chiunque altro non sia conforme al loro credo reazionario. Si rende così evidente da che parte sta lo stato: a sostegno della violenza fascista, non solo con finanziamenti, spazi politici e giustificazione ideologica, ma anche con il diretto contrasto a chi vi si oppone. Più cresce l’attivismo fascista, più cresce la protezione ad esso garantito da sbirri e magistrati. Va detto che i fascisti di oggi si muovono in un contesto fortemente diverso da quello degli anni settanta. Allora i rapporti di forza che il proletariato aveva conquistato attraverso la lotta di classe, l’eredità ancora viva della Resistenza Partigiana e una determinata e conseguente “preparazione ideologica di massa”, la quale dava anticorpi contro le concezioni fasciste, comportavano la capacità di isolare socialmente gli scarafaggi, i quali magari reagivano rinsaldando ancor di più i loro servili e occulti legami con lo stato e le sue strutture. Questo non significa che le organizzazioni fasciste non fossero in grado di trovare consensi a livello di massa, come dimostrano taluni casi, ma certo trovavano complessivamente molte più difficoltà di oggi. Le contraddizioni del sistema di allora ponevano le masse attive di fronte a due prospettive: o la via socialdemocratica, d’integrazione nel capitalismo, perseguita dal Pci o quella rivoluzionaria, di abbattimento del capitalismo, perseguita dal movimento di classe. I fascisti, da servi della classe dominante, furono intruppati dalla Cia e dalla Dc nel fronte di difesa dell’ordine sociale capitalista e le loro pratiche e le loro parole d’ordine politico ne risentirono come abbiamo visto. Oggi le contraddizioni sono diverse, innanzitutto a livello oggettivo e secondariamente a livello soggettivo. Il revisionismo non ha nessun futuro perché il capitalismo in crisi non da spazio alle riforme, e dunque il suo destino è quello di essere parimenti reazionario e succube ai grandi monopoli quanto la destra borghese. La realtà vomitevole del Pd lo dimostra. Il movimento rivoluzionario si dibatte in una crisi da più di vent’anni e continua ovviamente a ricevere la repressione preventiva di un regime terrorizzato da ogni sua possibile ripresa. La borghesia ha sintetizzato tutto ciò nella formula della “morte del comunismo e della lotta di classe”, capitalizzando ideologicamente la caduta del campo socialista ed in ciò è stata seguita da revisionisti di “sinistra” e di destra. Questi ultimi sono andati forse oltre ai loro padroni, giacchè le prime sparate della campagna sui “bravi ragazzi di Salò” e sui “martiri delle foibe” non vennero da Forza Nuova o da La Russa, ma da Violante e dal Pds del Friuli Venezia Giulia. Inoltre, e soprattutto, processi oggettivi epocali stanno toccando l’ordine imperialista mondiale: una crisi economica capace di togliere ogni foglia di fico di umanità al sistema economico imperante, nonostante la demagogia “new deal” fuori tempo massimo di Obama, lo sradicarsi di intere popolazioni dai paesi d’origine per riversarsi nel “ricco” occidente, lo sviluppo della tendenza alla guerra neocolonialista, nella quale l’imperialismo italiano gioca un ruolo di punta e che è ideologicamente coperta dalle menzogne sullo “scontro di civiltà”. Queste condizioni oggettive e soggettive permettono ai fascisti di venire allo scoperto, di trovare potenzialmente un consenso di massa, di “far politica in senso complessivo”, di essere non solo un branco di picchiatori e assassini, ma di rientrare nel vasto carrozzone delle forze borghesi al pari d’ognuna di queste o addirittura di essere gli alfieri del malcontento popolare, specie se deviato non verso i responsabili dei meccanismi di sfruttamento e spoliazione, ma verso i più poveri dei poveri. In particolare, sul tema dell’immigrazione devono essere considerati delle vere e proprie “avanguardie” del dominio borghese. I loro incitamenti alla “guerra tra poveri per le briciole”, utili a nascondere chi getta queste briciole tenendosi ben stretto il bottino, sono stati fatti propri non solo dai loro cugini in salsa padana, la Lega Nord, ma anche da Berlusconi, che ha fatto proprio il motto neonazista “no alla società multirazziale”; e, infine, dal Pd che, con i suoi sindaci sceriffi, ha legittimato e diffuso la stagione delle politiche securitarie contro immigrati e rom. Si capisce dunque perché ad ogni appuntamento elettorale trovino spazio nel cartello berlusconiano, non solo per gli appoggi e la copertura che la destra istituzionale continua a dare loro, ma anche per un’affinità ideologica sempre più stretta. E del resto, a livello elettorale, vi sono stati casi in cui il loro appoggio è andato a candidati del centrosinistra, a dimostrazione di quali mostri non tanto il fascismo quanto il revisionismo possa produrre. I fascisti rientrano dunque perfettamente nel quadro del dominio borghese, dunque nel regime di controrivoluzione preventiva e sono agenti attivi della mobilitazione reazionaria. La loro ideologia e i loro programmi sono varianti di quella propugnata dall’attuale classe politica borghese, per certi versi più estrema, ma in misura sempre minore come dicevamo. Il loro consenso è possibile cavalcando un malcontento popolare che non trova sbocchi pratici positivi e rimane succube dell’egemonia reazionaria della classe capitalista. La loro pratica di squadrismo politico contro compagni, sedi e strutture del movimento di classe è la diretta continuazione 7 della loro funzione tradizionale. Infatti la storia ci ha insegnato che il movimento fascista è un movimento antirivoluzionario creato dalla classe dominante per bloccare la via rivoluzionaria del proletariato. Le loro pratiche di “squadrismo sociale” verso immigrati, omosessuali e in generale verso tutti i settori di masse popolari “non conformi”, danno corpo all’ideologia che vuole il nemico in coloro che non rientrano in un’identità costruita dalle classi dominanti per legare a sé gli sfruttati. I fascisti rientrano nello schieramento della borghesia, combatterli è necessario e l’antifascismo militante deve essere parte della più generale lotta di classe. Ciò vuol dire che nei contenuti e nelle pratiche esso deve rompere definitivamente con la classe dominante, innanzitutto con il suo cavallo di Troia, il revisionismo, che propugna una neutralità dello stato rispetto ai fascisti, agitando vecchi e vuoti miti quali la Costituzione, la Repubblica “nata dalla Resistenza” e le leggi che vietano l’attivismo fascista. Il movimento comunista deve far proprio un antifascismo di classe che rientra nella più generale costruzione di rapporti di forza rivoluzionari con gli sfruttatori, combattendo con le proprie forze i servi in camicia nera e contrastando ogni recupero “democratico” dell’antifascismo da parte delle istituzioni. Il suo referente in questa battaglia non deve essere l’ultimo intellettuale fuori moda o il parlamentare “progressista” di turno, ma la classe stessa, a cui i compagni devono e possono rivolgersi, con le parole e i fatti, se non vogliono vederla finire nel pantano della passività o della reazione. Questo vuol dire che lo scontro coi fascisti non va impostato in senso soggettivista, ma avendo cosciente le contraddizioni di classe più ampie che abbiamo di fronte. E dunque ed infine, l’antifascismo militante deve rientrare in un percorso politico che metta in campo un patrimonio d’avanguardia e di sviluppo organizzativo che possa dare autonomia e capacità d’azione immediata e strategica al proletariato. In breve, nella costruzione del partito comunista. Solidarietà a tutti/e gli/le antifascisti/e incarcerati/e e perseguitati/e! Contro i fascisti tolleranza zero! Contro il fascismo e la reazione, lotta di classe per la rivoluzione! Per l’approfondimento, a livello storico, del neofascismo e della “strategia della tensione” in Italia consigliamo le seguenti fonti: Pinelli, una finestra sulla strage, Camilla Cederna, edizioni Feltrinelli, 1971 Da Gladio a Cosa Nostra, Luigi Grimaldi, edizioni Kappa vù, 1993 L’eversione nera. Cronache di un decennio 1974-1984, Paolo Corsini e Laura Novati, edizioni Franco Angeli, 1985 2 Agosto. Dov’eri?, autori vari, edizioni Pendragon, 2004 Il vento del nord. Storia e cronaca del fascismo dopo la Resistenza 1945-1950, Pier Giuseppe Murgia, Kaos edizioni, 2004 Il libro nero della prima repubblica, Rita di Giovacchino, edizioni Fazi, 2005 Pinelli. La diciassettesima vittima, autori vari, edizioni Bsf, 2006 Le stragi di stato, Saverio Ferrari, edizioni L’Unità, 2006 Fascisti senza Mussolini, Giuseppe Parlato, edizioni il Mulino, 2006 La strage di stato, autori vari, edizioni Odradek 2006 Destra estrema e criminale, G. Semprini, M. Caparra, edizioni Newton Compton, 2007 La sottile linea nera, Mimmi Franzinelli, edizioni Rizzoli, 2008 Fascisteria, Ugo Maria Tassinari, edizioni Sperling & Kupfer, 2008 La Volante Rossa. Storia e mito di “un gruppo di bravi ragazzi”, Cesare Bermani, Edizioni Colibrì, 2009 Tutto è restato impunito, Opuscolo a cura del collettivo antiper www.antiper.org Per l’approfondimento e l’analisi politica consigliamo vivamente: Rapporto al settimo congresso dell’Internazionale Comunista di Gheorghi Dimitrov L’(ir)resistibile ascesa al potere di Hitler, Kurt Gossweiler, edizioni Zambon, 2008 Collettivo Tazebao - per la propaganda comunista, febbraio 2010 Via Varese 10, 35138 Padova [email protected] f.i.p. 1° Febbraio 2010