Il cammino della filosofia
Hans-Georg Gadamer
Platone
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L'anima e i numeri
L'idea del bene
L'arte della dialettica
La settima lettera
L'armonia del bello
La misura delle cose
Il Teeteto e la conoscenza
L'istante dell'intuizione
Adesso che cominciamo a trattare la grande opera filosofica e letteraria cui Platone
dedicò tutta la sua vita, il nostro discorso può poggiare su solide basi. Non si tratta
più di ricostruire e quasi indovinare intuitivamente i motivi di fondo che hanno
guidato il pensiero, come accade con i cosiddetti presocratici. Qui si celebra un
grande evento, vale a dire la svolta introdotta da Socrate, che crea un nuovo,
originalissimo stile filosofico… dominato dalla questione del bene: proprio questo è
il punto, grazie al quale Socrate, inteso come personaggio platonico, risulta vincente
rispetto a tutti i suoi interlocutori. Egli chiarisce loro, infatti, che in realtà non sanno
affatto che cosa sia il bene.… Abbiamo spiegato che Platone, con i suoi dialoghi,
eresse un monumento al suo maestro Socrate, mettendolo a confronto con i sofisti e
con tutto il vuoto fermento dialettico della gioventù ateniese del tempo.
La storia della filosofia ha guardato a Platone, come pure ai «presocratici», anzitutto
nella prospettiva di Aristotele. In quest’ottica, Platone è uno dei «Pitagorici»,… uno
degli appartenenti alla setta religiosa fondata da Pitagora, pensatore che tutti
conosciamo fin dai banchi di scuola come matematico, ma che fu soprattutto il fondatore di una congrega politicoreligiosa, anzi di una federazione che ha interessato tutta la Magna Grecia, e in modo particolare l’Italia meridionale e la
Sicilia. In questa regione esisteva una federazione di città, una sorta di patto, basato sui precetti pitagorici, che attribuì
alla matematica, fin dal principio, una valenza quasi divina, anche se poi, nel corso del quinto secolo, assunse sempre
più l’aspetto di una comunità scientifica. Platone fu in contatto con i pitagorici di Taranto e di Siracusa, dove si recò più
volte, nel corso della sua vita, per incontrarli.
Platone viene così associato ai Pitagorici, al mistero dei numeri. Che cosa sono i numeri? È un enigma! Ne abbiamo già
parlato.
Se pensiamo all’eredità lasciata dalle grandi figure del pensiero
«presocratico», dobbiamo dire, riassuntivamente, che essa consiste
soprattutto di due aspetti: la domanda sull’essere, posta da
Parmenide, e la questione dell’anima, sollevata da Eraclito,
attraverso la profondità speculativa del suo pensiero, ed espressa con
parole ispirate.… Che rapporto intrattengono questi due temi con
l’eredità di pensiero dei Pitagorici? La setta pitagorica, come del
resto tutte le altre espressioni del tempo, fu una conseguenza della
pressione esercitata sulla Grecia dall’impero persiano, che portò alla
nascita di nuove città nel bacino del Mediterraneo, in particolare
nell’Italia meridionale e in Sicilia, con ripercussioni di portata storica
universale. Si dovrebbe sempre tener presente che quando Platone
visiterà i tiranni – i despoti – di Siracusa, sarà del tutto consapevole
dell’importanza strategica di questi centri come baluardo contro la grande potenza fenicia, ovvero cartaginese e punica.
Questo retroterra politico spiega perché Platone si sia tanto interessato a Siracusa… e abbia cercato di farne, da terreno
di dispotica tirannia, un vero e proprio centro culturale, anche se, come è noto, questo progetto fallì. Anche i Pitagorici
rientrano in questo quadro di resistenza dei Greci di fronte alla pressione cartaginese – Cartagine era appunto… il porto
collocato all’incrocio delle vie di comunicazione del Mediterraneo, tra l’oriente greco – la patria – e il confine
occidentale del Mediterraneo, in Spagna, e appunto tutte le coste del Mediterraneo erano state popolate da coloni greci.
Ho ricordato queste cose, per porre infine la domanda: Chi era, dunque, Platone?
L’ANIMA E I NUMERI
Abbiamo visto che Socrate introdusse la questione del bene,e fu considerato un pitagorico. Il bene è qualcosa di
inafferrabile è una realtà indefinibile, e lo stesso si può dire anche a proposito dei numeri e del modo misterioso in cui,
unendosi, formano somme ed equazioni, frazioni e calcoli complessi. Il merito di Platone è di aver unificato il problema
del bene e la questione dei numeri all’interno del suo più celebre capolavoro letterario: vale a dire il Fedone, il dialogo
in cui Platone ci presenta Socrate condannato a morte, nel giorno dell’esecuzione (pronto a subirla) mentre riceve i suoi
amici per l’ultima volta e discute con loro dell’anima, dell’immortalità dell’anima e della relazione che essa intrattiene
con qualcosa di imperituro, immutabile, sicuro e noto, proprio come sono i numeri.
In un famoso passo, Nietzsche ha definito questo dialogo di Socrate morente come «l’affermazione del nuovo ideale
della gioventù greca», che soppianta l’esempio eroico di Achille, come pure il geniale, avventuroso, astuto modello di
Ulisse. È un nuovo ideale di sapienza: il saggio che vive per la propria cultura e che, con il quieto abbandono del suo
spirito indagatore, libero dai dogmi accetta con serenità il destino che la vita gli assegna, e beve la coppa di veleno.
Numeri e anima – due cose che non sono di questo mondo: entrambe inafferrabili, entrambe dotate di un modo d’essere
che è innanzitutto una sfida per il pensiero. È un mistero che, come mostra il Fedone, il due si generi aggiungendo uno
all’unità! O forse il due nasce dall’unità stessa, divisa a metà? In entrambi i casi abbiamo il due. Analogo al problema
del due, è il dilemma del pensiero umano, orientato sempre verso qualcosa che noi non troviamo direttamente, ma che
desumiamo solo da ciò che è già dato nell’esperienza. È la celebre fuga nei lògoi, la fuga nel ragionamento e nel
misterioso interesse per la verità che esso soddisfa.
L’IDEA DEL BENE
Chiediamoci ora: in che rapporto sta l’anima con la matematica, con le sue incredibili, affascinanti conoscenze,
insomma con quanto espresso nel significato letterale della parola greca «matematica»: «ciò che possiamo apprendere»,
vale a dire "ciò che non necessita di alcuna esperienza" – ne è prova il fatto che, come accade anche al giorno d’oggi, vi
sono bambini geniali per i quali la matematica è una specie di gioco dello spirito, capace di elevarli fino alle vette di
questa disciplina. È nota la storia del piccolo Gauss: il suo maestro fu costretto a isolarlo (per potersi dedicare agli altri
allievi della classe, meno dotati) assegnandogli intanto il compito di contare tutti i numeri da 1 a 1000. Cinque minuti
dopo lo vide tornare: aveva scoperto una nuova regola numerica, che riassumeva in un baleno l’intera numerazione.
Ecco, nel campo della matematica queste cose sono possibili.
Ma torniamo alla questione del bene. Nel dialogo Il Fedone, Socrate mostra che, al pari dei suoi predecessori, lo stesso
Anassagora, il filosofo del noùs – la ragione universale, potremmo dire,… (che ha avuto un ruolo centrale nella
cosmogonia) aveva ricavato l’ordine del mondo da una sorta di spirito che mescolava gli elementi e regolava il
movimento. Ma nemmeno questa concezione era quella giusta agli occhi di Socrate, poiché non coglieva che l’ordine è
perseguito da uno spirito che pensa e cerca il bene. L’idea del bene è perciò il vero e proprio culmine… del pensiero
platonico, è la finalità formativa verso la quale è rivolto l’intero sistema educativo dell’utopia statale proposta da
Platone. Ma questa idea del bene non è tangibile «hôs tà álla mat-hèmata», «come gli altri contenuti
apprendibili»; essa è piuttosto «idea», cioè «visione», della totalità. E Socrate afferma che sarebbe interamente
soddisfatto solo se tutte le conoscenze finora acquisite dai sapienti sul corso del sole e della luna, sulle stelle e le
stagioni, sugli elementi, sulla terra e sul mare e così via, potessero essere intese come espressioni dell’idea del bene: è
una celebre frase, ma non si è osservato abbastanza che essa costituisce in realtà il programma della fisica aristotelica,
nel senso teleologico di un universo ordinato finalisticamente e orientato secondo certi scopi, nel quale anche l’uomo,
con i suoi obiettivi limitati e la sua incessante tensione verso il meglio, guarda a ciò che è buono e vantaggioso.
L’ARTE DELLA DIALETTICA
Dunque, la questione del bene ha una portata universale. Non si deve dimenticare che l’esistenza di Socrate, animata da
questo problema, è sempre sotterraneamente presente nell’evoluzione della cosiddetta dottrina delle idee. Quest’ultima
si fonda, certo, sull’essenza ideale dei numeri e dei triangoli, quindi sulla matematica, ma non si riduce a questo sapere.
Pensiamo, ad esempio, alla scuola che Platone fondò ad Atene (il termine «scuola» va naturalmente inteso nel senso che
aveva in quel determinato ordinamento sociale: si trattava cioè di una sorta di club intellettuale, con fini anche politici,
diretto da Platone). Sulla porta d’ingresso stava scritto: «Qui non può entrare chi non conosce la matematica» –
«Medèis a-gheo-métretos eis-íto». Certo, la matematica (eredità della setta pitagorica) era diventata uno dei
più efficaci veicoli di trasmissione del pensiero scientifico, però la questione del bene si spinge ancora più in là. Il
problema del bene pone un quesito che non si può mai risolvere come si fa nelle dimostrazioni matematiche, offrendo
prove certe. Occorre invece il dialogo; sono richieste argomentazione e replica, domanda e risposta; è infine necessaria
quella che Platone, riferendosi all’arte socratica di dialogare, ha chiamato «dialettica».
L’idea del bene non è qualcosa che si possa intendere come un principio supremo da cui dedurre tutto ciò che è. Questo
è lo schema secondo il quale è costruita la geometria euclidea: dagli assiomi ai principi, fino alle dimostrazioni; ma la
dottrina platonica delle idee mostra come dietro ogni sforzo di comprensione da parte dell’uomo, dietro ogni
discussione, ogni volta si apra un orizzonte verso il quale intimamente si tende. Perciò la dottrina delle idee è al tempo
stesso lo sfondo sul quale si staglia la possibilità della convivenza umana, da un punto di vista linguistico, etico e
politico; qui si fonda la possibilità di una condivisione ordinata del mondo. È un punto, questo, che non sarà mai
ribadito abbastanza: infatti il genio matematico dei Greci, che riecheggia con forza anche nel genio filosofico di
Platone, in tempi più recenti ha ripetutamente indotto a cercare nello stesso Platone una sorta di teoria della conoscenza
che è propria della scienza moderna.
LA SETTIMA LETTERA
Io stesso sono stato allievo della Scuola di Marburgo, in cui Natorp (il mio maestro) scrisse il famoso libro su: "La
dottrina platonica delle idee" nel quale tentò di mostrare che le idee sono più o meno equivalenti alla legge di natura
nella fisica moderna, qualcosa che, per così dire, apre la strada alla verità scientifica lungo la via di un progresso che
procede per ipotesi. Ma questo non basta. Bisogna capire, piuttosto, che così facendo si oltrepassa il concetto di scienza
nel senso di epistème e di dimostrazione. Si tratta di una fondazione della verità ancora più radicale, e a questo
proposito possediamo un documento importantissimo.
Come è noto, Platone ha scritto soltanto dialoghi, nei quali non parla mai in prima persona, ma sempre per bocca dei
vari interlocutori, un po’ come Shakespeare, insomma, che, attraverso le sue figure tragiche, sapeva esporre le più
grandi verità sul destino dell’anima umana. Non ha alcun senso assumere quel candore professorale, lungamente
adottato, con cui di volta in volta si esaminavano singole proposizioni dei dialoghi platonici, quanto alla loro
compatibilità teoretica e coerenza interna, per ricavarne poi una qualche teoria. Platone era un ateniese, aveva in sé tutto
il sapore dell’arguzia attica: non temeva il rischio del gioco, l’azzardo dello scherzo, della trovata improvvisa, e tutto
ciò ha contribuito a far sì che egli ci trasmettesse un’immagine viva del pensiero. C’è un solo eccezionale documento, a
noi noto, in cui è Platone stesso a parlare. Si tratta della celebre lettera settima, che non intendo discutere qui nel suo
significato politico legato al sovrano di Siracusa; essa contiene un paio di pagine nelle quali Platone cerca di spiegare
perché non ha mai redatto a proprio nome né un libro, né altro scritto. Tutti i mezzi della conoscenza umana (le parole,
le frasi, la grammatica, il racconto per immagini, quella che noi oggi chiameremmo: la lavagna, che per i Greci era
naturalmente la sabbia, su cui disegnavano le figure matematiche,… insomma tutto ciò che si può adoperare per
dimostrare qualcosa) sono per Platone dei mezzi che rimangono sempre ambigui, che possono indurre non già a
comprendere le cose, ma solo a ripetere, a reiterare il discorso. Soltanto nella convivenza umana, nello scambio di
argomenti e discorsi, di domande e risposte, si dà quell’attimo nel quale, all’improvviso, scocca la scintilla grazie alla
quale lo spirito vede chiaramente. Questo è quanto viene affermato nel celebre «excursus» – così viene chiamato – della
lettera settima, e dobbiamo sempre tenerlo presente quando leggiamo i dialoghi platonici.
L’ARMONIA DEL BELLO
Insomma, la dottrina delle idee non è ciò che ne è stato fatto. È corretto affermare che l’idea, così come la incontriamo
comunemente, rappresenta sempre la visione di ciò che è – così come è in verità – e che, al pari dei numeri, essa è
immutabile, indipendente da altro, evidente in sé; tutto questo è giusto, ma è anche altrettanto chiaro che l’esperienza
umana da sempre può solo approssimarsi a questo fine ultimo della conoscenza.
Soprattutto negli anni della tarda maturità, Platone ha spiegato queste cose con evidente chiarezza, ma anche con quel
tono vagamente misterioso che fa di lui un grande scrittore. Quello che ci dice… può forse sorprendere… nella sua
formulazione: il rapporto che ha il bene con il bello…. Il bene non è soltanto ciò che sta oltre, ciò che trascende
l’imperfezione e la contingenza delle cose terrene, la mutevolezza, fugacità e transitorietà degli eventi che si succedono.
Il bene non è solo questa «ulteriorità», bensì è qualcosa che può collocarsi anche nel flusso degli eventi mondani. Ci
sono due dialoghi del vecchio Platone che voglio richiamare alla memoria; uno è il Filebo, che pone esplicitamente la
questione dell’esistenza virtuosa e ne inquadra la problematica in un’ottica di questo genere: il bene della vita è
certamente una mescolanza; non è il puro vivere per determinati scopi, come il sapere o l’intuizione del vero. Esso è
piuttosto la somma di visione (di gioia di vedere)… di vivacità… godimento, piacere, serenità: è tutto questo insieme.
In questo dialogo platonico (condotto, ancora una volta, da Socrate) viene a galla questa verità: non c’è solo il mondo
dei numeri ideali e dei loro reciproci rapporti e poi, accanto ad esso, separato, un mondo… di eventi mutevoli; esiste
piuttosto un intreccio di queste due cose, vale a dire il ricomporsi… del dissidio multiforme in armonica unità. Qui
risuona, una volta di più, la voce di Eraclito che disse: «l’armonia nascosta è più forte di quella manifesta». È l’armonia
della bellezza. Questo è il fine di cui parla Diotìma nel Simposio, definendola l’idea più elevata,… il bello in quanto
tale. Ma che cos’è il bello come tale, se non la bellezza che è propria di tutte le cose belle?
Il bello in sé non è certo qualcosa di astratto, di universale, né si identifica con le cose: è piuttosto l’armonia che appare
dappertutto.
LA MISURA DELLE COSE
Qui ci viene in aiuto un altro passo (la cui importanza non è ancora stata colta pienamente) e che peraltro può servire
per anticipare la vicinanza di Aristotele al suo maestro Platone; lo troviamo nel dialogo intitolato Il Politico. In esso
Socrate fornisce una lunga descrizione di che cosa sia un tessuto, e l’arte della tessitura, e molto altro ancora, finché
l’interlocutore, sempre più impaziente, sbotta: «Tu la stai facendo molto, molto complicata. Non si potrebbe arrivare al
dunque più velocemente?» Al che Socrate ribatte: «Eh, sì, sì, capisco. Ma adesso voglio dirti una cosa. Ci sono due tipi
di misura». C’è un metro con cui ci accostiamo a qualcosa che è, per misurarlo. Si tratta ovviamente di un criterio che
tutti ben conosciamo attraverso la matematica, i numeri, … le unità di misura, e con il quale noi calcoliamo le cose. Ma
poi c’è anche un altro tipo di misura, non più legata a pure relazioni fra grandezze:… è quella misura che le cose hanno
in se stesse. Non è più il mètron, che vale uniformemente per tutto, bensì il mètrion implicito nelle cose, per esempio
l’armonia dei suoni, l’armonia del corpo, ovvero quell’accordo meraviglioso e misterioso che è la salute.… La medicina
moderna è un ottimo esempio per capire chiaramente di che cosa si tratti. La medicina è la scienza della malattia e dei
suoi rimedi: essa è l’enorme risultato di misurazioni precise e accurate. Tutti sanno che cosa sia un termometro per la
febbre e a tutti è noto quale sia la temperatura corporea normale: in questo campo il progresso è assai avanzato. Ma il
vero e proprio mistero resta comunque la salute: come la misuriamo? Certo non rapportandola a valori standard: la
salute è un misterioso accordo di tutto l’insieme,… e questo grande mistero, che è la salute, viene ricordato anche da
Platone, proprio a proposito, come esempio di questo equilibrio interiore. Riferendosi a ciò, egli osserva che questo è
qualcosa di cui il sapere esatto delle scienze non può fare a meno: bisogna sempre guardare non solo a ciò che è
misurato – ma anche a ciò che è commisurato, cioè adeguato, opportuno, adatto alla circostanza: questo è propriamente
il fine più alto, al di là dei numeri, delle regole, e delle quantità.
Sembra quasi un messaggio rivolto al mondo moderno, in cui le scienze quantitative hanno affermato profondamente il
loro predominio metodologico, senza forse tenere in debito conto che i loro successi sono possibili solo in presenza di
un altro sapere, quale ad esempio l’occhio clinico del medico esperto, oppure l’istinto dell’organismo ammalato,
comune a chi soffre di una malattia: insomma ciò che il medico adotta come criterio quando, ad un paziente sul quale
ancora non possiede una diagnosi, gli domanda : «Si sente malato?».… Ebbene, tutto questo vale certamente anche in
altri campi (e infatti tali cose vengono dette in un dialogo sul politico ideale) ad esempio nella vita sociale e nella vita
politica. Si possono promulgare leggi, produrre ordinamenti, ma se non si è in grado di cogliere il momento giusto e di
uniformarsi, con il proprio intervento, all’«imperativo dell’ora», si perderanno di vista anche gli scopi, cui è orientato il
proprio sapere.
Trattando di tali questioni, mi rendo conto della necessità di confutare un pregiudizio assai diffuso nella storia della
filosofia. Questo aspetto di Platone, del quale ho appena parlato e che affiora dappertutto nei dialoghi della sua tarda
maturità, è già molto, molto vicino alla filosofia di Aristotele e, quando ci occuperemo di quest’ultimo, dovremo
domandarci perché mai Platone fu tanto criticato da Aristotele, al punto che la tradizione fu indotta, per molto tempo, a
vedere in Platone l’idealista e in Aristotele il realista, almeno fino a quando Hegel mostrò, per la prima volta, la
profonda e intrinseca prossimità fra Parmenide ed Eraclito, fra Platone e Aristotele, riunificandoli a suo modo in una
grande sintesi.
Proviamo a fare un esempio.… Questi dialoghi tardi di Platone si contraddistinguono in parte, anche sul piano esteriore,
per l’atteggiamento di Socrate, che resta in silenzio, rinunciando a condurre la conversazione: è un aspetto molto
importante, come lo è anche la presenza, qui, dell’uomo che ha davvero reso testimonianza al bene, per tutta la sua vita,
e anche con la sua morte.
* IL TEETETO E LA CONOSCENZA
Proviamo a verificare come Platone, nella sua opera poetico-filosofica, abbia sviluppato le sue tarde concezioni a
proposito dell’intima connessione tra le scienze matematiche ideali e la realtà concreta della vita etica e sociale. Due
dialoghi ci possono aiutare e li richiamo brevemente alla memoria; uno è il Teeteto. Teeteto fu un giovane e famoso
matematico, che diede contributi decisivi alla geometria euclidea nella sua forma definitiva, che tutti impariamo a
scuola. Morì in una delle innumerevoli guerre con le quali le città greche combattevano militarmente tra loro. Platone
ha inteso onorarne la memoria, dedicandogli un dialogo socratico. In quest’ultimo si assiste al dibattito fra Teeteto e il
suo maestro di matematica, Teodoro, il quale riconosce di aver seguito un tempo l’arte dialettica di Protagora – e quindi
dei sofisti – ma di aver poi voltato le spalle a quel vuoto argomentare, dedicandosi alla matematica. Ebbene, Socrate
chiede a Teeteto che cosa sia, secondo lui, la conoscenza.… Una prima risposta è: «Conoscere è vedere le cose davanti
a sé così come sono realmente». Purtroppo è invalso l’uso di tradurre tutto ciò con «percezione sensibile»: è un
controsenso. Qui abbiamo la percezione sensibile di un matematico, che quindi vede figure geometriche, non cose
qualsiasi. È per questo che Teeteto definisce la conoscenza come «evidenza» – preferisco questo termine – l’evidenza
propria di qualcosa che ci sta davanti in carne e ossa. In sèguito risultera’ che questa sua risposta è indifendibile, così
come sono ingiustificabili anche la seconda e la terza risposta: «la conoscenza è opinione vera» e «la conoscenza è
opinione vera accompagnata da ragione». L’esito è negativo, ma Teeteto impara nel corso del dialogo… una cosa
importante: ha preso parte a una discussione lontana dalla vuota sofistica, e alla fine si rende conto che ancora non sa
ciò che dovrebbe sapere. Assistiamo, insomma, alla prima, indiretta introduzione di un matematico nell’arte del dialogo
e della dialettica.
La seconda opera, della quale vorrei parlare, riguardo allo stesso tema, ci fa tornare a quanto dicevamo all’inizio.
Platone scrisse un dialogo intitolato a Parmenide, uno dei più grandi misteri della produzione dialogico-letteraria di
Platone. Agli occhi di Hegel questo è il massimo capolavoro della dialettica antica. Secondo il celebre… compagno di
studi e amico di Bertrand Russell, Whitehead, l’unico modo per definire la filosofia contemporanea è: «Note a margine
su Platone».
[Gadamer tende l’orecchio per ascoltare il verso dei piccioni – non udibile dal video – poi riprende, facendovi
riferimento]
L’ISTANTE DELL’INTUIZIONE
Ci sono dei piccioni che accompagnano, tubando, questa conversazione. Senza
dubbio anche il mondo greco non condusse i suoi dialoghi filosofici in appositi
locali isolati: si sentivano risuonare le onde del mare, e sicuramente si udiva
anche il tubare dei colombi.E se ora volgiamo la nostra attenzione al dialogo su
Parmenide, innanzitutto risulta evidente l’immensa dignità che Platone attribuisce
al vecchio Parmenide, poiché questo, con grande superiorità, riconosce al giovane
Socrate il genio che lo contraddistingue, e discutendo con lui, lo convince infine
di non avere in mente alcuna idea razionale di ciò a cui sempre si tende quando si
pensa a queste verità immutabili e ideali di cui prendiamo parte. In che senso vi
prendiamo parte? Che cosa sono queste verità, certe e incrollabili? È come se
dicessimo: «Sì, noi uomini siamo pieni soltanto delle nostre esperienze. Quello
che accade nel mondo dei numeri è sapienza divina. E così ci sono due mondi che
non sanno nulla l’uno dell’altro. Non c’è nulla che possiamo conoscere con la
precisione dei matematici»! È questa, dunque, l’essenza del pensiero?
Questa premessa induce poi Parmenide a creare un gioco di passaggi dialettici, dal cui fondo emerge qualcosa che,
rispetto a tutte le opposizioni e a tutte le variabili, si staglia come una verità superiore; ed è la singolare, sempre
inafferrabile e incalcolabile immediatezza dell’intuizione. L’essenza misteriosa dell’istante improvviso, dell’exaífnes, è
per noi quasi un’eredità che il pensiero greco ci ha lasciato per affrontare il nostro futuro. Vi fu un pensatore che per
primo colse l’importanza di questo passo, che ci parla dell’istante senza tempo, impossibile da misurare e perciò
estraneo all’alternativa fra quiete e movimento. L’essenza di quello che forse potremmo chiamare «attimo», o magari
anche «momento», fu riscoperta da quel grande filosofo, e cioè Kierkegaard. Nel suo libro Il concetto dell’angoscia egli
ha dedicato una lunga nota a questo passo del Parmenide platonico, mostrando che l’essenza dell’attimo è il mistero
della nostra presenza psichica e spirituale, che racchiude e sostiene in sé tutte le differenze.