www.gliamicidellamusica.net Pubblicato il 17 Dicembre 2014 Il viaggio verso Auschwitz ovvero come raccontare una storia della Shoah evitando la retorica Il treno di Roberto servizio di Attilia Tartagni RAVENNA - «Solo un passato consapevole può orientare positivamente il futuro». La frase di Giorgio Gaudenzi campeggia sulla lavagna di fronte alla scalinata che porta all’aula in cui Roberto Bachi, figlio di Alberto, comandante della divisione di fanteria "Rubicone" di stanza a Ravenna, frequentò con profitto la quarta elementare negli 1937-1938. Gaudenzi, direttore didattico della Scuola Primaria Mordani di Ravenna, riteneva la storia materia fondamentale per forgiare la coscienza civica ed etica degli scolari e amava tanto la musica da favorirne l’apprendimento con il canto. Si deve a lui la nascita del coro di voci bianche “Libere note” in grado di esibirsi in teatro e di aggiudicarsi premi importanti. Gaudenzi, che dal 2002 si adoperò per ricostruire la storia di Roberto Bachi, ebreo, scomparso ad Auschwitz quattordicenne, gioirebbe, se fosse ancora con noi, vedendo il frutto delle sua ostinata ricerca: un’opera a metà fra la forma tradizionale e il melologo, cresciuta a Ravenna, che trasforma una vicenda individuale in un atto d’accusa contro l’ideologia dello sterminio e afferma il diritto inalienabile alla vita. Il treno di Rob erto , una coproduzione ravennate con i Teatri di Modena e Piacenza, ha debuttato al Teatro Alighieri domenica 7 dicembre 2014, presente Renzo Gattegna, presidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane. La sua realizzazione ha coinvolto tre compagni di Bachi, oggi ultraottantenni. Il critico-drammaturgo Giuseppe Barbieri ha scritto il testo, Paolo Marzocchi la musica, la regia è di Alessio Pizzech e la scenografia e i costumi sono di Davide Amadei: attori, cantanti, musicisti, percussionisti, coristi sono in gran parte ravennati, alcuni dei quali già impegnati anni fa sull’Olocausto in Brundib ar , opera concepita a Terezin, campo di concentramento propagandato da Hitler attraverso i media come campo modello, in realtà anticamera di Auschwitz. Fra quei piccoli cantori c’era Marco Pierfederici, oggi studente liceale, che interpreta Roberto quattordicenne. Roberto Bachi, nato a Torino nel 1929, frequentò la quarta elementare al Mordani negli anni 1937-1938 e in quello scorcio di vita (scomparve ad Auschwitz quattordicenne) fu scolaro sensibile e capace, con molti “ottimo” e “lodevole” nel giudizio. Quando il compagno Silvano venne ricoverato in ospedale, si offerse di aiutarlo con i propri appunti con una lettera tenerissima che è rimasta fra le cose di famiglia, preziosa traccia di un animo sensibile e di una vita promettente. L’opera andata in scena a Ravenna, che miscela parola recitata e parola cantata, brani corali e intermezzi soltanto musicali, è improntata alla dicotomia fra un passato felice impresso su cartoline e foto sbiadite dal tempo e un presente angoscioso da cui la fantasia di un ragazzo riesce ad evadere facendo lievitare la mente oltre l’incubo. La scena claustrofobica è l’interno sfalsato di un vagone che racchiude sventurati passeggeri senza futuro. Roberto, nei sei giorni di viaggio dopo la partenza dal binario n.21 della stazione di Milano, a differenza dei compagni di viaggio travolti dalla disperazione, continua a sognare sfogliando i libri di avventure che ha portato con sé, che spalancano nella scena spazi di luce, protagonisti la bella Marianna e la tigre Baghera e Madama Butterfly vista al cinema. Le linee per i campi di concentramento si sovrapponevano a quelle normali e, paradossalmente, si pagava un biglietto proporzionato all’età, gratis per i più piccoli, per viaggiare accalcati come bestie, senza acqua né fermate per bisogni fisiologici. I viaggiatori perdevano la propria dignità ben prima di arrivare ad Auschwitz e diventare soltanto un numero, un inferno da cui pochi sono tornati e con ferite incancellabili. Vittorio (Franco Costantini) è il narratore, colui che sopravvive per raccontare affinché non si dimentichi mai più. Il viaggio, un pathos ininterrotto di parole, immagini e musica, trascina il pubblico attonito dentro l’abisso. «Per un compito così importante - ha dichiarato lo scenografo e costumista Amadei - ho visionato foto e documenti, ma soprattutto ho rievocato la visita al Museo della Shoah di Berlino, un percorso emotivo quasi teatrale a cui concorrono architetture, materiali, suoni». La madre (l’attrice ravennate Cinzia Damassa) macina chilometri in bicicletta per incontrare archivisti che l’aiutino a ricostruire la vita del figlio, ma solo Vittorio, l’unico che ha guardato Roberto negli occhi, la conforterà. Testo duro, impietoso, devastante, eppure carico della speranza che dalla consapevolezza del male più oscuro germogli il rifiuto e la volontà di non ripetere. La partitura magistralmente imbastita da Paolo Marzocchi, direttore sul podio, è un fluire di emozioni intervallate da citazioni, dal corale Es ist genug di Bach al finale della Madama Butterfly di Puccini, da una canzone popolare brianzola al Va pensiero di Verdi con pagine elaborate partendo dal numero dato a Roberto in cambio della sua identità, 167973, una sequenza sonora che, per un capriccio del destino corrisponde all’incipit del corale di Bach e del finale pucciniano. Eseguono l’Ensemble Fauves Plus Tetraktis Percussioni, David Brutti al sassofono e il Quartetto vocale Myricae, le voci di Alessandra Visentin e Dario Giorgelè, tutto orchestrato dalla sapiente regia che ha voluto i piccoli coristi delle “Libere note” diretti dalle maestre Elisabetta Agostini e Katia Gori affacciati dal loggione, occhi puntati sullo sprofondo del tragico viaggio che il contrasto con le carezzevoli voci infantili di “Voicì la Noel” rende ancora più disperato. Nel finale i vecchi compagni di scuola, gli scolari-coristi di oggi, protagonisti e comparse si trovano in scena con Roberto Bachi e gli porgono l’estremo saluto, aprendosi al suo passaggio di vittima innocente consegnata a imperitura memoria da quest’opera commovente ed etica a cui hanno assistito, con la mediazione dei loro insegnanti, tutti gli studenti ravennati, dalle elementari all’università per il progetto della Fondazione Ravenna Manifestazioni “A scuola in teatro”. Per il pubblico adulto ci sono le repliche al Teatro Pavarotti di Modena il 14 dicembre e al Teatro Comunale di Piacenza il 27 gennaio 2015. Crediti fotografici: Fotostudio Zani-Casadio per il Teatro Alighieri di Ravenna