FIBRILLAZIONE ATRIALE I nuovi farmaci antiaritmici per il trattamento della fibrillazione atriale Giovanni Luca Botto1,2, Giovanni Russo1,2, Barbara Mariconti1,2, Francesco Pentimalli1,2, Carlo Campana2 1 U.O. Elettrofisiologia, 2U.O. Cardiologia, A.O. Sant’Anna, Como Atrial fibrillation (AF) is the most common arrhythmia encountered in clinical practice and a difficult-to-treat arrhythmia. Conventional antiarrhythmic drugs, including flecainide, propafenone, sotalol and amiodarone, have several limitations in terms of efficacy and tolerability, and have made new drug development crucial. In the last decade, intensive research was undertaken to find new pharmacological options for the treatment of AF, and two new drugs are now available. Vernakalant is an atrial-selective drug specifically designed to block sodium channels at the atrial level, and its intravenous formulation has recently been recommended for approval by the Food and Drug Administration for pharmacological conversion of AF. Dronedarone is a chemical derivative of amiodarone (though having a significantly different clinical profile) with effects on multiple ion channels that proved effective in reducing the rate of the combined endpoint of death from any cause and cardiovascular hospitalization in patients with non-permanent AF enrolled in the ATHENA study. The available evidence on the efficacy of dronedarone has led to approval for recommendation in many clinical situations in which rhythm control is desirable. The complexity of the mechanisms underlying AF and the large variability of associated comorbidities render the AF patient a unique entity, making the identification of patients who may benefit from these novel approaches challenging. Key words. Atrial fibrillation; Cardiac arrhythmias; New antiarrhythmic drugs. G Ital Cardiol 2012;13(10 Suppl 2):10S-15S INTRODUZIONE La fibrillazione atriale (FA) è la più comune tra le aritmie sopraventricolari ed è quella di maggiore riscontro nella pratica clinica; ne è affetto infatti l’1-2% della popolazione generale e l’incidenza aumenta in modo significativo con l’età. La prevalenza della FA è dello 0.5% tra 40 e 50 anni ed aumenta fino al 5-15% dopo gli 80 anni. Si stima che nel 2050 circa 12 milioni di europei ne saranno affetti1-3. La comparsa della FA è associata ad un aumento di morbilità e mortalità cardiovascolare e di incidenza di ictus potenzialmente fatale4-7. In particolare la presenza di questa aritmia è un predittore indipendente di mortalità e ne determina un aumento del rischio di 2 volte5,8. L’unica terapia che si è dimostrata in grado di ridurre la mortalità è la terapia anticoagulante orale (TAO)9. Se l’efficacia della TAO è indiscussa (classe di raccomandazione I, livello di evidenza A)1, la scelta della strategia terapeutica per il ripristino del ritmo sinusale e la prevenzione delle recidive aritmiche è ancora controversa. Diversi trial clinici randomizzati hanno messo a confronto la strategia di controllo del ritmo con la strategia di controllo della frequenza cardiaca, anche in popolazioni di pazienti selezionate, ad esempio pazienti con disfunzione ventricolare sini- © 2012 Il Pensiero Scientifico Editore Gli autori dichiarano nessun conflitto di interessi. Per la corrispondenza: Dr. Giovanni Luca Botto U.O. Elettrofisiologia, Quartiere Angiografico, A.O. Sant’Anna, Via Ravona 1, 22020 San Fermo della Battaglia (CO) e-mail: [email protected] 10S G ITAL CARDIOL | VOL 13 | SUPPL 2 AL N 10 2012 stra severa, senza riuscire a dimostrare un reale beneficio in termini di aumento della sopravvivenza o miglioramento dei sintomi10-12. In particolare lo studio AFFIRM ha evidenziato che, oltre a non essere dimostrabile alcuna differenza in termini di mortalità tra i pazienti trattati con le due differenti strategie, la frequenza di ospedalizzazione era addirittura aumentata nel gruppo di pazienti del braccio controllo del ritmo10. Tuttavia una successiva analisi post-hoc dello studio AFFIRM ha mostrato come i pazienti che mantenevano il ritmo sinusale, indipendentemente dalla strategia adottata, mostravano una minore incidenza di eventi, quali morte, ictus o attacco ischemico transitorio, rispetto ai pazienti con FA13. Per tale ragione il ripristino e il mantenimento del ritmo sinusale rappresenta un elemento importante nella gestione del paziente con FA. I farmaci antiaritmici convenzionali (i più utilizzati sono propafenone, flecainide, sotalolo ed amiodarone) non sono però privi di effetti collaterali potenzialmente gravi. Le maggiori limitazioni della terapia farmacologica antiaritmica per la FA sono rappresentate dalla non elevata efficacia in termini di mantenimento del ritmo sinusale e dal rischio di sviluppare aritmie ventricolari potenzialmente letali14,15. Tra gli antiaritmici tradizionali per la cura della FA, l’amiodarone è quello più utilizzato, in particolar modo per il mantenimento del ritmo. È meno efficace dei farmaci di classe 1C (flecainide e propafenone) nel ripristino del ritmo sinusale in acuto, tuttavia presenta un profilo di sicurezza che ne permette l’utilizzo nei pazienti con cardiopatia strutturale, per i quali gli altri farmaci antiaritmici sono assolutamente o relativamente controindicati1. L’amiodarone si è rivelato più efficace del sotalolo nel mantenimento del ritmo sinusale: nello studio SAFE-T NUOVI ANTIARITMICI PER LA FIBRILLAZIONE ATRIALE il tempo medio di recidiva di FA era di 487 giorni nel gruppo amiodarone vs 74 giorni nel gruppo sotalolo16. L’efficacia dell’amiodarone è però controbilanciata dagli effetti collaterali (in particolare distiroidismo e fibrosi polmonare), che determinano un elevato numero di sospensioni della terapia17. Questi elementi hanno spinto la ricerca ad identificare farmaci con efficacia sempre maggiore e con un profilo di sicurezza più elevato. Il farmaco antiaritmico ideale per la FA dovrebbe poter interrompere rapidamente l’aritmia in acuto e prevenire le recidive aritmiche sia in pazienti con cuore sano sia in pazienti con cardiopatia strutturale, dovrebbe non avere effetto inotropo negativo e contribuire al controllo della frequenza ventricolare in caso di recidiva aritmica. I farmaci antiaritmici convenzionali, dal punto di vista teorico, posseggono tali caratteristiche ma in pratica sono spesso poco efficaci e talvolta pericolosi per il loro effetto pro-aritmico. I NUOVI FARMACI ANTIARITMICI Recentemente, due nuovi farmaci antiaritmici per il trattamento della FA sono stati introdotti nelle linee guida internazionali; questi sono il vernakalant e il dronedarone1. Vernakalant Il vernakalant presenta un meccanismo d’azione estremamente selettivo a livello atriale, agendo su due canali presenti esclusivamente a livello atriale ma non ventricolare, il primo Kv 1.5, canale ionico che consente il passaggio della corrente di potassio IKur (ultra rapid delayed rectifier); il secondo Kir 3.1/3.4 che è attraversato dalla corrente di potassio IKAch (acetilcolina-sensibile)18-20. Oltre ai canali descritti in precedenza, il vernakalant agisce anche bloccando altre correnti come Ito, INa ed in maniera blanda IKr. Quest’ultima corrente è bloccata in modo frequenzadipendente ovvero il blocco è tanto più efficace quanto maggiore è la frequenza cardiaca. In questo modo il vernakalant è in grado di ridurre selettivamente la velocità di conduzione nell’atrio, di farlo in modo più efficace proprio durante l’aritmia e di aumentare il periodo refrattario assoluto a livello atriale senza modificare il potenziale d’azione ventricolare e senza determinare allungamenti significativi dell’intervallo QT21-23. I dati degli studi clinici di fase 2 e 3, randomizzati ed in doppio cieco24-27 ed uno in aperto28, hanno mostrato un’efficacia dell’infusione di vernakalant nell’interrompere acutamente la FA pari a circa il 50% (10% nel gruppo placebo). In particolare negli studi ACT I ed ACT III, il vernakalant è stato utilizzato in pazienti con FA insorta in un periodo variabile tra le 3h ed i 45 giorni (dose 3 mg/kg, eventuale secondo bolo di 2 mg/kg dopo 15 min in caso di mancato ripristino del ritmo sinusale)25-27. Risultati sovrapponibili sono stati ottenuti nei pazienti con FA insorta tra le 3h ed i 7 giorni recentemente sottoposti ad intervento di cardiochirurgia (studio ACT II), con conversione a ritmo sinusale del 47% nel gruppo vernakalant e del 14% nel gruppo placebo. L’azione del vernakalant è molto rapida, il tempo mediano di conversione a ritmo sinusale nei quattro studi citati è stato di 11 min. Il dato tuttavia più interessante è che il vernakalant è particolarmente efficace nei pazienti con FA insorta entro le 72h (70-80% di conversione a ritmo sinusale), mentre si è rivelato poco efficace nei pazienti con aritmia insorta oltre i 7 giorni e nei pazienti con flutter atriale. Una possibile spiegazione è da ricercare nel complesso degli eventi di rimodellamento elettrico e meccanico che si verificano nell’atrio durante FA. Infatti, sia dati sperimentali che clinici hanno dimostrato che il persistere della FA oltre qualche decina di ore determina un progressivo accorciamento del potenziale d’azione nei miociti atriali associato ad un accorciamento del periodo refrattario, condizioni ideali per il mantenimento dei circuiti di rientro responsabili del perpetuarsi dell’aritmia29,30. In particolare, la diminuita efficacia del vernakalant potrebbe spiegarsi con la dowregulation delle correnti Ito, INa, ICa e la perdita dell’effetto di blocco della corrente IKur se la FA dura più di 7 giorni31. Per quanto riguarda la tollerabilità e la sicurezza, il vernakalant, negli studi effettuati, si è dimostrato nel complesso ben tollerato. Non si sono osservate torsioni di punta. Nello studio ACT I si è registrato un allungamento dell’intervallo QT rispetto al placebo (nel 24% dei pazienti trattati con il farmaco vs il 15% dei pazienti trattati con placebo è stato registrato un QTc >500 ms) ma non sono state registrate aritmie ventricolari25. La maggior parte dei disturbi avvertiti dai pazienti comprendevano nausea ed alterazioni del gusto27. I risultati dei trial ACT I-IV dimostrano che il vernakalant ha una buona efficacia nel ripristino del ritmo sinusale, probabilmente lievemente superiore all’ibutilide, senza determinarne gli effetti pro-aritmici; ciò potrebbe essere dovuto all’assenza di un blocco efficace della corrente di IKr31. Tuttavia deve essere rilevato che non sono stati effettuati studi comparativi tra i due farmaci. Uno studio comparativo di fase 3 è invece stato effettuato tra vernakalant e amiodarone. Nello studio AVRO, pazienti con FA di recente insorgenza (da 3 a 48h) sono stati randomizzati ad infusione endovenosa di amiodarone o vernakalant. L’infusione di vernakalant si è dimostrata più efficace dell’amiodarone nel determinare il ripristino del ritmo sinusale entro 90 min (51.7% vernakalant vs 5.2% amiodarone), con una mediana di 11 min dall’inizio dell’infusione (Figura 1)32. Lo studio AVRO conferma l’efficacia del vernakalant nel trattamento acuto della FA di recente insorgenza e l’inefficacia dell’amiodarone endovena per la cardioversione farmacologica. Dronedarone Un altro farmaco recentemente introdotto nelle linee guida per il trattamento della FA è il dronedarone1, un farmaco antiaritmico con azione su più canali ionici ed effetti antiadrenergici, con una struttura simile all’amiodarone ma senza la molecola di iodio e per tale ragione caratterizzato da meno effetti collaterali, in particolare tiroidei e polmonari. Studi in vitro su miociti atriali umani hanno mostrato che il dronedarone è in grado di bloccare diverse correnti ioniche: la corrente IKur, la corrente delayed rectifier nelle sue due componenti IKs ed IKr, Ito ed IK1. Il dronedarone pertanto prolunga il potenziale d’azione e riduce la frequenza cardiaca con basso rischio di determinare torsioni di punta. Rispetto all’amiodarone il dronedarone presenta un’emivita molto più breve33,34. Lo studio europeo EURIDIS e l’omologo nordamericano ADONIS hanno mostrato l’efficacia del dronedarone (400 mg 2 volte/die) vs placebo nel prevenire le recidive di FA e nel controllo della frequenza cardiaca in caso di recidiva. Nello studio EURIDS la mediana di comparsa della recidiva di FA (endpoint primario) è stata di 96 giorni nel gruppo dronedarone e 41 giorni nel gruppo placebo, nello studio ADONIS 158 e 59 giorni (dronedarone e placebo, rispettivamente)35. Nei due studi il dronedarone si è dimostrato più efficace del placebo sia in pazienti con cuore sano sia in pazienti con ipertensione, scompenso cardiaco e dilatazione atriale all’ecocardiografia. Un dato importante è stato il riscontro della capacità del dronedarone di riG ITAL CARDIOL | VOL 13 | SUPPL 2 AL N 10 2012 11S Proporzione di pazienti con conversione a ritmo sinusale GL BOTTO ET AL 0.6 Vernakalant (N=116) Amiodarone (N=116) 51.7% 0.4 P<0.0001 0.2 5.2% 0 0 5 10 15 20 25 A 35 50 70 90 Tempo (minuti) Proporzione di pazienti senza sintomi 0,6 53.4% P=0.0012 0,5 0,4 32.8% 0,3 0,2 0,1 0 B Vernakalant (n=116) Amiodarone (n=116) Figura 1. Studio AVRO: tempo alla cardioversione da fibrillazione atriale a ritmo sinusale, entro 90 min (A) e 240 min (B) dall’inizio dell’infusione di amiodarone o vernakalant. Modificata da Camm et al.32. durre la frequenza cardiaca, durante le recidive aritmiche, di 12-15 b/min in media rispetto ai pazienti del braccio placebo. Visti i dati incoraggianti negli studi EURIDIS/ADONIS, il dronedarone è stato valutato anche in pazienti con scompenso cardiaco. Nello studio ANDROMEDA è stato testato l’effetto del dronedarone sulla mortalità per tutte le cause e sulle ospedalizzazioni per scompenso cardiaco in pazienti con disfunzione ventricolare sinistra severa, in classe NYHA III e IV e con un recente episodio di instabilizzazione dello scompenso. Lo studio è stato interrotto precocemente per un aumento della mortalità nel braccio trattato con dronedarone (8% di mortalità nel gruppo dronedarone, 3.8% nel gruppo placebo)36. Una possibile spiegazione del risultato negativo dello studio potrebbe essere individuata nell’aumento della creatinina plasmatica, causata dal dronedarone per un meccanismo di competizione nel riassorbimento tubulare37, che potrebbe aver indotto ad una inappropriata interruzione degli inibitori dell’enzima di conversione dell’angiotensina, particolarmente importanti in questa categoria di pazienti. Va inoltre segnalato che 6 mesi dopo, la mortalità nel gruppo dronedarone e nel gruppo placebo era simile (13.5% nel gruppo dronedarone e 12.3% nel gruppo placebo). Tuttavia il dronedarone non è certamente indicato nei pazienti con scompenso cardiaco di grado moderato-severo1. Nello studio ATHENA38, randomizzato in doppio cieco vs placebo, il dronedarone ha ridotto in modo significativo l’endpoint primario del 28%, ovvero mortalità per tutte le cause e 12S G ITAL CARDIOL | VOL 13 | SUPPL 2 AL N 10 2012 ricoveri per cause cardiovascolari e del 24% i ricoveri totali (Figura 2). Il dronedarone ha inoltre ridotto il rischio di morte aritmica (endpoint secondario). Inoltre, il dronedarone si è rivelato più efficace del placebo nel prolungare l’intervallo libero da aritmia, sia per la FA che per il flutter atriale. I pazienti trattati con dronedarone avevano una frequenza cardiaca più bassa rispetto al gruppo placebo durante le recidive aritmiche (mediana 84 b/min nel gruppo placebo, 74 b/min nel gruppo dronedarone)39. Pertanto il dronedarone si è dimostrato in grado di agire sia sul controllo del ritmo sia sul controllo della frequenza cardiaca in corso di recidiva di FA o flutter atriale. Un altro dato interessante emerso dallo studio ATHENA è la riduzione, nel braccio trattato con dronedarone, del rischio di ictus (dall’1.8% all’1.2% annuo) e questo indipendentemente dalla TAO40. Due sono le possibili spiegazioni: una riduzione lieve ma significativa dei valori pressori indotti dalla terapia con dronedarone oppure una riduzione degli episodi di FA determinata dal dronedarone. Nessuna delle due spiegazioni è tuttavia esaustiva. Infatti, la storia di ipertensione o la misurazione della pressione arteriosa non hanno dimostrato avere valore predittivo, mentre lo studio AFFIRM ha mostrato che il ripristino del ritmo sinusale e la ripresa della sistole atriale non riducono di per sé il rischio di ictus41. Questi dati suggeriscono pertanto che il dronedarone sia in grado di ridurre di per sé il rischio di ictus nella popolazione di pazienti con FA, effetto che non è stato descritto per nessun altro farmaco antiaritmico. Lo studio DIONYSOS ha confrontato direttamente dronedarone ed amiodarone nei pazienti con FA persistente42. I pazienti trattati con dronedarone hanno mostrato una maggiore incidenza di recidive aritmiche rispetto ai pazienti trattati con amiodarone (a 7 mesi dalla cardioversione 63.5% e 42%, rispettivamente), tuttavia l’interruzione della terapia è stata più frequente nei pazienti cha assumevano amiodarone (13.3%) rispetto ai pazienti in terapia con dronedarone (10.4%). Il dronedarone quindi si è rivelato meno efficace rispetto all’amiodarone ma più tollerabile. Il motivo di questa minore efficacia non è chiaro, ma potrebbe essere attribuito ad un minor accumulo di farmaco a livello cardiaco43,44. I dati più significativi che emergono dall’analisi dell’intero programma di trial clinici condotti con il dronedarone riguardano in primo luogo la significativa riduzione della mortalità e dell’ospedalizzazione registrata nello studio ATHENA, risultato mai precedentemente ottenuto da nessun altro farmaco antiaritmico. Il secondo dato originale è la riduzione del rischio di ictus, anche in questo caso dato mai dimostrato con la terapia antiaritmica convenzionale, dato che assume un valore particolare se si considera che la principale causa di morte ed invalidità nei pazienti con FA è rappresentata dalle complicanze tromboemboliche. In aggiunta a quanto sopra riportato, molti degli effetti del dronedarone nello studio ATHENA sono stati registrati anche nei pazienti che, durante il completamento dell’osservazione, sviluppavano la forma persistente dell’aritmia. Questa ulteriore osservazione ha costituito il razionale dello studio PALLAS45 secondo il quale il dronedarone avrebbe dovuto ridurre la frequenza di due endpoint primari combinati di morte, ictus, infarto miocardico ed embolismo sistemico o morte ed ospedalizzazione per cause cardiovascolari, nei pazienti ad elevato rischio di eventi cardiovascolari, con FA permanente. Lo studio è stato precocemente interrotto per un incremento significativo di entrambi gli endpoint primari (rispettivamente 8.2% e NUOVI ANTIARITMICI PER LA FIBRILLAZIONE ATRIALE A B C D Figura 2. Studio ATHENA: incidenza cumulativa degli endpoint primario e secondari. Modificata da Hohnloser et al.38. Tabella 1. Principali differenze tra le caratteristiche demografiche, cliniche e gli eventi nelle popolazioni incluse nei diversi studi con dronedarone. Variabile Età media (anni) FA all’inclusione Ipertensione arteriosa Cardiopatia ischemica SCC classe NYHA II-III FEVS Pregresso ictus Betabloccanti ACE-inibitori o sartani Digitale Anticoagulanti orali Morte da ogni causa Morte cardiovascolare Morte aritmica Ictus SCC ANDROMEDA36 2008 ATHENA38 2009 PALLAS45 2011 72 25 37 65 97 100 <35% ND 61 86 31 31 2.13 2.75 1.68 ND 1.22 72 25 86 30 21 12 <45% 13 71 70 14 60 0.84 0.71 0.55 0.66 0.86 75 (52% ≥75) 100 (70% FA permanente >2 anni) 83 41 54 20 <40% 27 74 78 33 84 1.94 2.11 3.26 2.32 1.89 I valori sono riportati in percentuale, salvo diversamente indicato. ACE, enzima di conversione dell’angiotensina; FA, fibrillazione atriale; FEVS, frazione di eiezione ventricolare sinistra; ND, non disponibile; SCC, scompenso cardiocircolatorio. G ITAL CARDIOL | VOL 13 | SUPPL 2 AL N 10 2012 13S GL BOTTO ET AL 25.3% pazienti/anno per il braccio dronedarone e 3.6% e 12.9% pazienti/anno per il braccio placebo). La ragione che può spiegare due risultati diametralmente opposti, ottenuti con lo stesso farmaco, sarebbe da ricercarsi nelle rilevanti differenze tra le popolazioni incluse negli studi ATHENA e PALLAS che rendono quest’ultimo molto più simile ad ANDROMEDA che non allo stesso studio ATHENA (Tabella 1)36,38,45. I pazienti inclusi nel PALLAS, rispetto a coloro inclusi nell’ATHENA, oltre alle ovvie differenze per quanto riguarda il tipo di FA per cui erano stati selezionati, erano anche più anziani, con una più elevata prevalenza di scompenso cardiaco ed una più elevata frequenza di prescrizione di digossina46. Gli effetti dello studio PALLAS hanno prodotto una serie di restrizioni regolatorie a carico del dronedarone che da una parte ne limitano certamente la potenzialità di utilizzo paventata dopo lo studio ATHENA47 e dall’altra ne ridefiniranno probabilmente il posizionamento nelle linee guida, riservandone l’indicazione per una popolazione di pazienti con FA non permanente ed a basso rischio cardiovascolare. CONCLUSIONI La FA è un problema comune nella pratica clinica e le strategie di trattamento sono spesso difficoltose e non sempre coronate da successo. I farmaci antiaritmici tradizionali presentano notevoli limiti di efficacia e di sicurezza, per cui nuove strategie terapeutiche farmacologiche sono fortemente richieste e per questo in grande e continuo sviluppo. Due nuove molecole, il dronedarone e il vernakalant, sono comparse (o sono in procinto di comparire) sul mercato, con i presupposti di definire le nuove classi farmacologiche di riferimento nell’ambito di una strategia di controllo del ritmo, rispettivamente per la profilassi delle recidive di FA e per la conversione dell’aritmia a ritmo si- nusale. La complessità delle caratteristiche elettrofisiologiche della FA e il grado di comorbilità associata all’aritmia, rendono sostanzialmente unico il paziente che di volta in volta necessita di trattamento, per cui la vera sfida sarà rappresentata dalla capacità di identificare con precisione chi potrà effettivamente beneficiare delle novità a disposizione. RIASSUNTO La fibrillazione atriale (FA) è l’aritmia più comunemente incontrata nella pratica clinica e le strategie di gestione sono spesso difficoltose e non sempre coronate da successo. I farmaci antiaritmici tradizionalmente disponibili, flecainide, propafenone, sotalolo ed amiodarone, presentano limiti di efficacia e di tollerabilità che hanno reso auspicabile la disponibilità di nuovi preparati. La ricerca clinica ha vissuto anni di grande fervore culminati nella recente registrazione di due nuove molecole, il vernakalant, bloccante atrioselettivo dei canali del sodio, la cui formulazione endovenosa è stata recentemente approvata per la cardioversione farmacologica della FA, e il dronedarone, derivato chimico dell’amiodarone (ma da quest’ultimo molto differente per l’aspetto clinico), dotato di effetti su molteplici canali ionici, che si è dimostrato efficace nel ridurre l’incidenza di un endpoint combinato di morte per tutte le cause ed ospedalizzazione per cause cardiovascolari nei pazienti con FA non permanente inclusi nello studio ATHENA, che ne ha prodotto il prepotente inserimento nelle linee guida nazionali ed internazionali. Tuttavia, la complessità delle caratteristiche elettrofisiologiche della FA e il grado di differente comorbilità spesso associata all’aritmia, rendono ciascun paziente quasi unico, per cui la vera sfida sarà rappresentata dalla capacità di identificare con precisione chi potrà effettivamente trarre giovamento dalle novità a disposizione. Parole chiave. Aritmie cardiache; Fibrillazione atriale; Nuovi farmaci antiaritmici. BIBLIOGRAFIA 1. Camm AJ, Kirchhof P, Lip GY, et al. Guidelines for the management of atrial fibrillation: the Task Force for the Management of Atrial Fibrillation of the European Society of Cardiology (ESC). Europace 2010;12: 1360-420. 2. Go AS, Hylek EM, Phillips KA, et al. Prevalence of diagnosed atrial fibrillation in adults: national implications for rhythm management and stroke prevention: the AnTicoagulation and Risk Factors in Atrial Fibrillation (ATRIA) Study. JAMA 2001;285: 2370-5. 3. Miyasaka Y, Barnes ME, Gersh BJ, et al. 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