Alma Mater Studiorum · Università di Bologna FACOLTÀ DI SCIENZE MATEMATICHE, FISICHE E NATURALI Corso di Laurea Triennale in Fisica Allestimento di un sistema di acquisizione dati prodotti da fotomoltiplicatori al silicio Tesi di Laurea in Fisica Relatore: Chiar.mo Prof. Antonio Maria Rossi Co-relatori: Dott. Fabrizio Fabbri Dott. Alessandro Montanari II Sessione Anno Accademico 2007/2008 Candidato: Francesco Pepe A Sciuca Indice Introduzione iii 1 I fotomoltiplicatori al silicio 1.1 Breve introduzione sui rivelatori di luce . . . . 1.1.1 I fototubi . . . . . . . . . . . . . . . . 1.1.2 I fotodiodi . . . . . . . . . . . . . . . . 1.2 Gli Avalanche PhotoDiodes . . . . . . . . . . 1.2.1 Principi di funzionamento . . . . . . . 1.2.2 Il funzionamento in regime Geiger . . . 1.3 I SiPM . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1.3.1 Principi di funzionamento . . . . . . . 1.3.2 Caratterizzazione . . . . . . . . . . . . 1.3.3 Dark count . . . . . . . . . . . . . . . 1.3.4 Guadagno . . . . . . . . . . . . . . . . 1.3.5 Efficienza . . . . . . . . . . . . . . . . 1.3.6 Inter-pixel crosstalk . . . . . . . . . . . 1.3.7 Dipendenza dalla temperatura . . . . . 1.4 Confronto con i fotomoltiplicatori tradizionali . . . . . . . . . . . . . . . 1 1 1 3 4 4 5 6 6 7 8 10 11 11 11 12 . . . . . 15 15 17 18 18 19 . . . . 21 21 21 22 26 2 L’apparato sperimentale 2.1 I componenti . . . . . . . . 2.2 Il setup . . . . . . . . . . . 2.3 Illuminazione del SiPM . . . 2.3.1 Illuminazione tramite 2.3.2 Illuminazione tramite . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . LED . . . . scintillatore 3 Il sistema di acquisizione dati 3.1 Il modulo ADC . . . . . . . . . . 3.1.1 Caratteristiche principali . 3.1.2 I registri utilizzati . . . . . 3.2 Il programma di acquisizione dati i . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ii Indice 3.3 3.2.1 L’interfaccia utente . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 26 3.2.2 Il ciclo di acquisizione dati . . . . . . . . . . . . . . . . 27 Analisi dei dati e risultati . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 29 Conclusioni 33 Bibliografia 35 Ringraziamenti 37 Introduzione Questa tesi propone la realizzazione di un programma per l’acquisizione e l’analisi dei dati provenienti da un rivelatore veloce di particelle al minimo di ionizzazione (MIPs). Il rivelatore sfrutta fotomoltiplicatori al silicio (SiPM) per la rivelazione della luce prodotta da scintillatori plastici attraversati da MIPs. I SiPM permettono di produrre un segnale in tensione rivelabile proporzionale al numero di fotoni incidenti, sfruttando una matrice di fotodiodi a valanga (APD) collegati in parallelo ad un’unica linea di output [1]. Il sistema di acquisizione dati sfrutta un modulo ADC (Analog to Digital Converter) standard VME, in grado di misurare la carica trasportata dal segnale del SiPM al fine poterne studiare caratteristiche come guadagno o rumore di fondo. L’accesso al modulo ADC è gestito tramite il programma oggetto di questa tesi. L’analsi dei dati memorizzati è effettuata tramite Root [2], un programma di elaborazione statistica di dati sviluppato e distribuito dal CERN di Ginevra. La verifica del corretto funzionamento del sistema di acquisizione viene effettuata tramite test su segnali noti e misure sulla luce prodotta da LED o da scintillatori attraversati da raggi cosmici. In quest’ultimo caso, a causa del basso rate di incidenza, è necessario raccogliere misure per periodi di tempo abbastanza grandi, per cui il programma di acquisizione è predisposto per un funzionamento prolungato. iii iv Introduzione Capitolo 1 I fotomoltiplicatori al silicio 1.1 1.1.1 Breve introduzione sui rivelatori di luce I fototubi I fotomoltiplicatori (PM) sono fra i dispositivi più utilizzati per rivelare la presenza di minime intensità luminose. I costituenti principali di questi dispositivi, chiamati anche fototubi, sono il fotocatodo, una serie di dinodi e l’anodo, come mostrato in Figura 1.1. Quando un fotone sufficientemente energetico incide sul fotocatodo, mantenuto ad una tensione negativa, viene emesso un elettrone per effetto fotoelettrico, che viene accelerato e focalizzato verso il primo di una serie di dinodi. Quando l’elettrone raggiunge il dinodo, provoca l’emissione di altri elettroni, e il procedimento si ripete per i dinodi successivi, mantenuti a tensioni sempre più elevate, fino all’anodo, collegato a terra, dando origine ad un segnale rivelabile. Generalmente la differenza di potenziale fra un dinodo e l’altro è sempre la stessa, e dunque il guadagno per ogni stadio successivo è identico, e l’intensità del segnale cresce esponenzialmente con il numero di stadi del fototubo, fino ad una guadagno di circa 106 ÷ 107 per fotomoltiplicatori tradizionali, tipicamente composti dai 10 ai 14 stadi. Generalmente il sistema di amplificazione dal catodo all’anodo è tale da produrre una corrente di output direttamente proporzionale al numero di fotoni incidenti, e l’accoppiamento del fotomoltiplicatore con un materiale radiatore, come uno scintillatore, è in grado di fornire, oltre a informazioni sul passaggio di particelle all’interno del radiatore, una misura della quantità di energia persa nell’attraversarlo. I fototubi presentano alcuni svantaggi. Sono fragili, in quanto i vari componenti sono alloggiati in un tubo a vuoto di vetro sottile, necessitano di elevate tensioni fra catodo e anodo, che possono raggiungere valori anche di oltre mille Volt, sono molto 1 2 1 I fotomoltiplicatori al silicio Figura 1.1: Schema di un fototubo. 1.1 Breve introduzione sui rivelatori di luce 3 sensibili a campi magnetici esterni, sono spesso molto ingombranti e, non meno importante, sono costosi. 1.1.2 I fotodiodi I fotodiodi sono dispositivi a semiconduttore nei quali la giunzione p-n è ottimizzata per la rivelazione di fotoni. Le giunzioni p-n vengono create drogando due zone adiacenti di un semiconduttore con atomi accettori, cioè che tendono ad accettare un elettrone (zona p, ricca di lacune), o donori (zona n, ricca di elettroni ). Nel caso del fotodiodo, la zona p è molto più drogata rispetto alla zona n. La parte in cui si verifica la transizione da zona p a zona n prende il nome di giunzione, ed è caratterizzata da un campo elettrico diretto dalla zona n a quella p, variabile a seconda del drogaggio, e da una zona di svuotamento, in cui elettroni e lacune si ricombinano per dare origine ad un’area senza portatori di carica (vedi Figura 1.2). Applicando una tensione di polarizzazione alla giunzione, si crea dall’esterno un altro campo elettrico che può rafforzare o indebolire quello interno, modificando il comportamento del diodo. La tensione di polarizzazione di un fotodiodo deve essere inversa, deve cioè tendere a rafforzare il campo elettrico interno e ad allargare la zona di svuotamento (o depletion region). Un fotone sufficientemente energetico incidente in questa zona crea una coppia elettrone-lacuna, cedendo ad un elettrone l’energia necessaria al superamento del gap fra banda di valenza e banda di conduzione. A causa del campo elettrico interno, l’elettrone della coppia formata tenderà a muoversi verso la zona n, mentre la lacuna si muo- Figura 1.2: Schema di una giunzione p-n. 4 1 I fotomoltiplicatori al silicio verà verso la zona p, dando origine ad un segnale rivelabile, anche se molto piccolo rispetto a quello di fotomoltiplicatori tradizionali. 1.2 1.2.1 Gli Avalanche PhotoDiodes Principi di funzionamento Gli Avalanche PhotoDiodes (APD) sono dispositivi in grado di produrre un segnale elettrico, molto maggiore di quello dei fotodiodi, quando attraversati da fotoni. La creazione di una coppia elettrone-lacuna ed un forte campo elettrico interno che accelera gli elettroni, garantiscono un notevole guadagno interno, per via dell’effetto a valanga che si origina. La Figura 1.3 mostra la composizione degli strati drogati di un APD e la zona in cui avviene la valanga, fra gli strati n+ e p. L’intensità del campo elettrico interno cresce al crescere della tensione di polarizzazione inversa, chiamata tensione di bias e indicata con Vbias . Dalla Figura 1.4, in cui è mostrato il comportamento della corrente inversa al variare del bias, si può vedere che vi è una tensione alla quale l’andamento della corrente varia radicalmente, da lineare a parabolica (in scala logaritmica). Questa tensione prende il nome di tensione di breakdown, e si indica con Vbreakdown . Si distinguono cosı̀ due diverse modalità di funzionamento del dispositivo: quella proporzionale, in cui il segnale Figura 1.3: Schema della sezione di un APD 1.2 Gli Avalanche PhotoDiodes 5 Figura 1.4: Caratteristica IV per tre diversi APD. Il fit parabolico dà una tensione di breakdown di circa 31 Volt prodotto dalla valanga è proporzionale all’energia della radiazione incidente e che si ottiene mantenendo la tensione di polarizzazione al di sotto di quella di breakdown, e la modalità Geiger, in cui il guadagno cresce notevolmente, ma il segnale prodotto è indipendente, non solo dall’energia, ma anche anche dal numero di fotoni incidenti. 1.2.2 Il funzionamento in regime Geiger Quando l’APD opera in regime Geiger, il segnale prodotto presenta un guadagno di circa 106 (mentre nella modalità proporzionale è di circa 100), ed è indipendente dall’energia e dal numero di fotoni incidenti. Questo fenomeno è dovuto ad un campo elettrico interno molto intenso, che, con una certa probabilità, genera sempre la stessa valanga anche al variare di queste condizioni, e che prende il nome di scarica Geiger. Il suddetto campo elettrico è funzione di Vbias , per cui anche il guadagno varia al variare del bias, con andamento lineare (cfr 1.3.4). Per poter funzionare in regime Geiger, è necessario che la polarizzazione dell’APD sia superiore a Vbreakdown , di un valore che prende il nome di overvoltage, e viene indicato con ∆V . Quest’ultimo parametro è il più utilizzato per la caratterizzazione degli APD, in quanto da esso dipendono molte delle caratteristiche principali di questi dispositivi, co- 6 1 I fotomoltiplicatori al silicio me verrà discusso in seguito. Durante la scarica Geiger, a causa della grande quantità di cariche accelerate e dei numerosi urti, vi è una certa emissione di fotoni, tipicamente di circa 10 per ogni scarica, che, in generale, danno origine a cross-talk fra APD adiacenti, come si vedrà nel capitolo successivo. 1.3 1.3.1 I SiPM Principi di funzionamento I SiPM (Silicon PhotoMultiplier) sono dispositivi ideati per la rivelazione di fotoni. Sono composti da una matrice di APD operanti in regime Geiger, ciacuno solitamente avente dimensioni di circa 40-50 µm. La matrice di APD è composta da un numero di elementi variabile tipicamente da qualche centinaia fino anche ad alcune migliaia. La Figura 1.5 mostra la fotografia ingrandita di un SiPM in cui è chiaramente visibile la matrice. Ogni fotodiodo è posto in serie ad una resistenza tipicamente di qualche centinaio di KΩ, chiamata quenching resistor, che serve a limitare la corrente di segnale a circa 10 µA, per confinare la scarica Geiger al singolo pixel. Questi ultimi devono essere ben isolati gli uni dagli altri, per evitare che interferiscano fra loro, sia dal punto di vista elettrico che da quello ottico (cfr 1.3.6). In Figura 1.6 è mostrato un disegno di ciascun pixel. Quando un APD viene colpito da un fotone, esso crea una coppia elettrone-lacuna (naturalmente con una certa efficienza, cfr 1.3.5) che dà origine alla scarica Geiger, e quindi al segnale. Figura 1.5: Ingrandimento di un SiPM 25x25 1.3 I SiPM 7 Figura 1.6: Schema di un pixel del SiPM. Siccome gli APD operano in regime Geiger, il segnale prodotto dal singolo fotodiodo è sempre lo stesso, indipendemente dall’energia e dal numero di fotoni che vi incidono. Questo fattore è molto importante, poiché nei SiPM ogni APD è collegato in parallelo ad un’unica uscita, ed il segnale risulta quindi proporzionale al numero di APD colpiti da fotoni. La limitazione di questi dispositivi sta nel fatto che se il numero di fotoni incidenti è abbastanza grande da avere una probabilità non trascurabile che due o più incidano sullo stesso APD della matrice, la linearità viene ovviamente meno. Il segnale massimo che può essere prodotto da un SiPM è ovviamente quello in cui tutti i fotodiodi vengono colpiti da fotoni. 1.3.2 Caratterizzazione Ciascun fotodiodo della matrice di un SiPM viene polarizzato inversamente con una tensione, detta tensione di bias, che serve a mantenerlo nella zona di breakdown per garantire il funzionamento in regime Geiger. La tensione di breakdown dei SiPM studiati in questa tesi è di circa 31V, a temperatura ambiente. Recenti studi mostrano che se i singoli APD provengono dallo stesso wafer di silicio, hanno circa la stessa Vbreakdown [3]. La tensione di bias deve essere mantenuta ad un valore superiore a questo; si indica con ∆V = Vbias − Vbreakdown la differenza fra queste due tensioni. Al variare di ∆V , e quindi della tensione di bias, varia la risposta del SiPM, sia in termini di guadagno (cfr 1.3.4) che di rumore di fondo. In particolare la frequenza di 8 1 I fotomoltiplicatori al silicio Figura 1.7: Andamento della corrente inversa in funzione di Vbias . Per questo SiPM, la tensione di breakdown risulta essere circa 31 Volt. dark count (cfr 1.3.3) aumenta con l’aumentare di ∆V . L’andamento della corrente inversa in funzione della tensione di bias è mostrato in Figura 1.7, assieme a quella di due singoli GM-APD moltiplicate per il numero di pixels del SiPM considerato. Il risultato riflette quello dei singoli GM-APD (Figura 1.4). Il segnale prodotto dal SiPM è di segno negativo, e presenta un rapidissimo impulso seguito da un più lento decadimento esponenziale verso il valore iniziale, dovuto allo scaricamento della capacità parassita dei fotodiodi sulla resistenza di quenching. Possono inoltre verificarsi dei cosiddetti afterpulses, cioè impulsi di ampiezza ridotta rispetto a quello principale, che si manifestano durante il tempo di rilassamento, dovuti a portatori rimasti intrappolati durante la valanga primaria e rilasciati successivamente con una certa probabilità. In Figura 1.8 sono mostrati questi possibili casi. 1.3.3 Dark count Il cosiddetto dark count è un fenomeno molto importante nella rivelazione di fotoni tramite dispositivi a stato solido. Si riferisce alla generazione di segnali anche in assenza di fotoni incidenti (buio), dovuti alla creazione termica di portatori di carica. La loro frequenza dipende fortemente dalla temperatura e, a 20 ◦ C, è di circa 2 MHz. I portatori termici non si differenziano da 1.3 I SiPM 9 Figura 1.8: Tipica forma dei segnali di un SiPM, nel primo caso relativi a due fotoni incidenti ad istanti di tempo ravvicinati (s+s), nel secondo allo stesso istante (d). Nel terzo si ha un fotone singolo (s) con successivi afterpulses (a+a). Figura 1.9: Distribuzione di dark count. Ogni picco corrisponde al numero di APD che hanno originato un segnale. La distanza costante fra i picchi è indice del fatto che i segnali prodotti dai diversi APD siano molto simili, garantendo un guadagno totale proporzionale al numero di APD attivati. 10 1 I fotomoltiplicatori al silicio quelli generati da un fotone incidente, e perciò il segnale prodotto dai primi non è distinguibile da quello prodotto dal secondo. Rivelare una quantità di fotoni maggiore di uno è invece più semplice, in quanto il segnale risultante è proporzionale al loro numero, e la probabilità che si creino termicamente più coppie in un tempo inferiore a quello di risoluzione temporale del dispositivo decresce esponenzialmente. In figura 1.9 è mostrato un istogramma dei conteggi. Sia l’ampiezza del segnale che la frequenza dei conteggi crescono linearmente con ∆V . Questo fenomeno può essere facilmente spiegato ricordando che i segnali di fondo sono generati da coppie create termicamente nella regione in cui il campo elettrico è molto grande. Aumentando la tensione di polarizzazione questo campo elettrico cresce, e non solo si ha una scarica più forte (e quindi un segnale maggiore), ma anche una maggior probabilità che il segnale venga generato. Inoltre, siccome Vbreakdown è funzione lineare crescente della temperatura, all’aumentare di quest’ultima si ha una decrescita lineare di ∆V , e una conseguente decrescita di frequenza e ampiezza di segnali di fondo. 1.3.4 Guadagno Un buon guadagno permette al dispositivo di produrre un segnale apprezzabile riducendo il rumore. Nel caso di un SiPM, il guadagno è di circa 106 , il che significa che, per ogni portatore di carica creato da un fotone incidente su un singolo pixel, 106 elettroni producono il segnale relativo. Il guadagno del SiPM dipende linearmente dalla tensione di bias. Questo fatto è molto importante, in quanto permette di migliorare la risouzione in carica relativa a ciascun picco di Figura 1.9. Il guadagno del SiPM può essere misurato in diversi modi: come rapporto fra la corrente misurata al buio (cioè senza luce incidente sul dispositivo, dovuta alle coppie generate termicamente), e quella che si avrebbe assegnando ad ogni impulso la carica di un elettrone (cioè se il guadagno fosse esattamente uguale a 1) (1.1) G = IDC /(NDC · e) dove IDC è la corrente totale di output e NDC è la frequenza di dark count. Un’altra stima del guadagno può essere ottenuta dalla misura della distanza fra i picchi dovuti a due diverse quantità di fotoni incidenti sul SiPM. Ad esempio, se il primo picco osservato è associabile al segnale di un singolo APD (singolo fotone incidente) e il secondo a quello di 2 APD (due fotoni incidenti), misurando la distanza fra questi due picchi in unità di carica elettrica associata ad ogni canale di ADC, si ottiene il contributo del singolo 1.3 I SiPM 11 fotoelettrone alla carica trasportata dal segnale. Il guadagno può essere ottenuto dividendo la carica che separa i due picchi per la carica dell’elettrone, tenendo in dovuto conto un fattore moltiplicativo nel caso in cui sia stato utilizzato un amplificatore per il segnale. 1.3.5 Efficienza L’efficienza dei SiPM (PDE) dipende principalmente da tre fattori: l’efficienza quantica (QE), la probabilità che si verifichi la scarica Geiger e la superficie sensibile effettiva, indicata spesso con εgeom . Le limitazioni più restrittive sono date da questi ultimi due fattori, in quanto la QE per fotoni visibili è quasi 100%. La probabilità di scarica Geiger è di circa il 60-70% per fotoni visibili, mentre la εgeom dipende dalla tecnica utilizzata per la costruzione del dispositivo, in continuo perfezionamento [3]. L’efficienza dipende dalla lunghezza d’onda dei fotoni incidenti. La PDE totale risulta crescere linearmente con la tensione di polarizzazione, ma la necessità di tenere un basso dark rate non permette di utilizzare Vbias troppo elevate. L’efficienza totale è comunque dominata da εgeom , che la limita a circa il 10-15% a temperatura ambiente. 1.3.6 Inter-pixel crosstalk Durante la scarica Geiger, esiste una certa probabilità che un portatore emetta un fotone. Si stima che in ogni scarica, la quantità totale di fotoni emessi sia di circa 10 (circa 10−5 per ogni elettrone della scarica). Se ogni pixel non è otticamente ben isolato dagli altri, il fotone generato può raggiungere un fotodiodo adiacente e produrre a sua volta una valanga. Il segnale risultante sarebbe in questo caso di doppio fotone, e naturalmente la risposta del SiPM sarebbe sbagliata. In fase costruttiva, si cerca di tenere ogni APD all’interno di un SiPM otticamente isolato dagli altri, come si può vedere in Figura 1.6, tramite una scanalatura metallica. Tuttavia la probabilità di crosstalk non è nulla: di fatto, in una misura di dark count come quella mostrata in Figura 1.9, i picchi secondari sono principalmente dovuti a questo fenomeno, molto più probabile di una simultanea generazione termica di più fotoelettroni in diversi pixel del SiPM. 1.3.7 Dipendenza dalla temperatura Come per la maggior parte dei dispositivi a stato solido, i SiPM sono molto sensibili alle variazioni di temperatura. La temperatura operativa ha conseguenze su quasi tutte le caratteristiche fondamentali di questi fotorivelatori: 12 1 I fotomoltiplicatori al silicio Figura 1.10: Andamento della tensione di breakdown con la temperatura. la tensione di breakdown, il guadagno, il dark count e l’efficienza [4]. La tensione di breakdown cresce linearmente con la temperatura (Figura 1.10) e quindi il ∆V e il guadagno variano di conseguenza, in quanto sono entrambi funzioni lineari di Vbreakdown . L’efficienza risulta decrescere linearmente con la temperatura, siccome quest’ultima è inversamente proporzionale a ∆V . L’andamento del dark rate con la temperatura è mostrato in Figura 1.11, assieme a quello del guadagno. Il dark rate rappresenta la maggior fonte di rumore di fondo, per cui è necessario mantenere la temperatura operativa a livelli non troppo elevati, per limitarne l’effetto. 1.4 Confronto con i fotomoltiplicatori tradizionali I vantaggi dei SiPM rispetto ai fototubi tradizionali risultano evidenti: • La tensione tensione di polarizzazione è ridotta. I SiPM operano generalmente a tensioni di polarizzazione che possono variare fra 30 e 40 Volt, a fronte degli oltre 1000 V richesti da un fototubo. Nonostante ciò, il loro guadagno è paragonabile a quello di un fototubo. • I SiPM sono molto meno delicati di un fototubo. 1.4 Confronto con i fotomoltiplicatori tradizionali 13 Figura 1.11: Andamento del dark rate e del guadagno con la temperatura. • Il comportamento dei SiPM è indipendente da campi magnetici esterni. Sono stati testati in campi magnetici di oltre 4 T e con due orientazioni diverse, riscontrando variazioni inferiori all’1% nella risposta [1]. Questa caratteristica è molto importante perchè negli esperimenti di rivelazione di particelle è spesso necessario utilizzare campi magnetici di intensità molto elevata, deleterei per il funzionamento dei fototubi tradizionali. • Le dimensioni ridotte (Figura 1.12) e il peso dei fotomoltiplicatori al silicio, permettono una maggiore maneggevolezza rispetto ai fotomoltiplicatori tradizionali, che spesso impongono grandi limitazioni al progetto di un rivelatore. • Sono molto meno costosi di un fototubo tradizionale. I SiPM presentano però una forte dipendenza dalla temperatura, tipica dei dispositivi a stato solido. Il loro utilizzo impone quindi un rigido controllo sulle condizioni climatiche dell’apparato sperimentale, non sempre facile da realizzare. 14 1 I fotomoltiplicatori al silicio Figura 1.12: Fotografia di tre fotomoltiplicatori a confronto. Si notino le dimensioni ridotte del SiPM (giallo) rispetto agli altri due. Capitolo 2 L’apparato sperimentale 2.1 I componenti Per effettuare le misure e i test sui SiPM descritti in questa tesi, ci siamo avvalsi di un apparato sperimentale composto da tre parti principali: • una scatola buia, di dimensioni 103x43x32 cm, foderata sulle pareti interne di panno nero, per alloggiare gli apparecchi fotosensibili ed isolarli dalla luce esterna. Su una delle facce è stato posto un pannello di connessione fra interno ed esterno della scatola, per facilitare i collegamenti senza perdere isolamento luminoso. • Un crate NIM (Nuclear Instrumentation Module), con moduli di elettronica veloce e alimentatori di alta tensione • Un crate VME con una cpu, un hard disk e un modulo ADC. All’interno della scatola buia sono stati collocati scintillatori plastici di varie forme e dimensioni (tegole scintillanti). Per rivelare la luce prodotta negli scintillatori da particelle ionizzanti abbiamo utilizzato due diversi tipi di fotomoltiplicatore: due fototubi Hamamatsu R7600 U, accoppiati tramite guida di luce a due piccoli scintillatori (fingers) per produrre un trigger sui raggi cosmici, ed un SiPM prodotto dalla ITC-irst di Trento [3], accoppiato a vari scintillatori tramite fibra ottica. Il SiPM usato è composto da una matrice di dimensione 40x40 µm e 25x25 pixel, ciascuno dei quali è un GM-APD con una tensione di breakdown di circa 31V. Il guadagno è quello tipico di circa 106 , ed il segnale prodotto è stato amplificato tramite un amplificatore di uso commerciale AMP0611 Photonique S.A. 10x-20x per alimentazione da 4V a 10V. L’amplificatore è alloggiato su una piccola piazzola che contine le 15 16 2 L’apparato sperimentale Figura 2.1: Fotografia dell’interno della scatola buia, in cui sono visibili i componenti principali. terminazioni che consentono la sua alimentazione, e l’alimentazione e la trasmissione del segnale del SiPM. Quest’ultimo è stato alimentato tramite un generatore di tensione TTi PL601, fondoscala 60V /1.5A a lettura digitale, che ha permesso di controllare con precisione del centesimo di Volt la tensione di polarizzazione. Per l’amplificatore è stato utilizzato un generatore GOSSEN KONSTANTENER, fondoscala 25V /1A, operante nell’intervallo 4-10 Volt. I fototubi Hamamatsu sono stati accoppiati tramite guide di luce a due scintillatori di dimensioni 18x33x10mm (fingers). Il SiPM è stato incapsulato in un apposito supporto in plastica e accoppiato alla tegola tramite fibra ottica WLS (Wave Length Shift) verde. All’altro capo della fibra è stato posto un LED ad emissione ultravioletta, per testare la risposta del SiPM ad una illuminazione controllata (Figura 2.1). Il LED è stato utilizzato a regime intermittente, tramite un impulsatore digitale AGILENT 33250A, 80 MHz di frequenza massima, che ha permesso di regolarne finemente l’alimentazione. Per una prima visualizzazione più che altro qualitativa della forma e dell’ampiezza del segnale è stato utilizzato un oscilloscopio a quattro canali TEKTRONIX TDS544A (repetition time 500MHz ), che ha faciltato la comprensione delle variazioni della risposta del SiPM al variare di parametri come il bias, l’amplificazione e l’intensità della luce incidente. 2.2 Il setup 17 Figura 2.2: Fotografia della Delay Box (in alto) e del crate NIM (in basso). I moduli utilizzati sono, partendo da sinistra: discriminatore (rosso), convertitore TTL-NIM (grigio), modulo logico (blu), generatore di gate (rosso), contatore. Per un’analisi più quantitativa è stato allestito un sistema di moduli NIM comprendenti un discriminatore, un generatore di gate, un convertitore TTLNIM, un modulo di ritardo, alcuni moduli logici e un contatore (Figura 2.2). La carica trasportata dal segnale prodotto dal SiPM è stata infine misurata utilizzando un modulo ADC standard VME e marca C.A.E.N v792, 4096 canali, con una sensibilità di 100fC/canale. Il funzionamento e l’utilizzo di questo modulo verrà trattato nel prossimo capitolo. 2.2 Il setup All’interno della scatola buia sono stati posti il SiPM, gli scintillatori con le fibre ottiche, il LED e i due fototubi accoppiati ai fingers. Questi ultimi sono stati appoggiati l’uno sopra l’altro (Figura 2.1), per formare un piccolo telescopio per raggi cosmici ad incidenza zenitale. Richiedendo la coincidenza dei segnali discriminati dei due fotomoltiplicatori è stato eliminato il rumore di fondo, e ottenuto un sistema efficace per discriminare i raggi cosmici. Ad ogni segnale di coincidenza dal telescopio, è stato controllato il segnale 18 2 L’apparato sperimentale Figura 2.3: Diagramma del setup sperimentale utilizzato. prodotto dal SiPM accoppiato alle tegola scintillante tramite la fibra ottica, per valutarne le caratteristiche. Ogni componente all’interno della scatola buia è cablato verso l’esterno tramite la piastra posta su una delle facce laterali, che contiene i connettori per prelevare i segnali e alimentare i due fototubi, il SiPM, l’amplificatore e il LED. In Figura 2.3 è mostrato un diagramma del setup. Per misurare la carica trasportata dal segnale, è stato utilizzato il modulo ADC (Figura 2.4). Questo dispositivo integra il segnale in ingresso per un periodo di tempo fissato da un segnale NIM (gate) generato da un trigger esterno, per esempio la coincidenza nel telescopio. Perché avvenga l’integrazione del segnale in ingresso è necessario che quest’ultimo cada all’interno del gate. Il modulo ADC è stato infine letto tramite un programma appositamente realizzato, che verrà trattato nel prossimo capitolo. 2.3 Illuminazione del SiPM 2.3.1 Illuminazione tramite LED Per avere informazioni sul segnale prodotto dal SiPM, è stato utilizzato un LED ad emissione ultravioletta come sorgente di luce controllata. Tramite l’impulsatore, è stato possibile controllare l’intensità della luce, variando la durata del segnale. Il LED è stato collegato ad un capo di una fibra ottica WLS verde. L’estremo opposto di quest’ultima è stato posto a diretto contatto con la parte fotosensibile del SiPM. Tramite questo sistema di illu- 2.3 Illuminazione del SiPM 19 Figura 2.4: Fotografia del crate VME, in cui è visibile il modulo ADC (rosso). minazione è stato possibile effettuare alcuni test di caratterizzazione, come descritto nella sezione 3.3. Il gate per il modulo ADC è stato ottenuto utilizzando come trigger un segnale generato dall’impulsatore in sincronia a quello di alimentazione pulsata del LED. Il timing fra i segnali prodotti dal SiPM illuminato e il segnale di gate è stato ottenuto con linee di ritardo. 2.3.2 Illuminazione tramite scintillatore L’apparato è stato pogettato per la misura dei segnali prodotti da tegole scintillanti attraversati da particelle al minimo di ionizzazione (MIPs) come i raggi cosmici. Il SiPM è stato accoppiato ad una fibra ottica WLS posta attraverso il materiale plastico scintillante. La fibra è stata scelta di colore verde, perché il SiPM ha una buona efficienza di rivelazione per fotoni di questa lunghezza d’onda. Un raggio cosmico che attraversa lo scintillatore produce fotoni che, raccolti dalla fibra ottica, vengono convogliati al SiPM. Questo processo è di tipo statistico, per cui il numero di fotoni prodotti nello scintillatore è variabile, e inoltre i fotoni emessi non vengono interamente raccolti dalla fibra e il SiPM ha una certa efficienza nel rivelare i fotoni che lo colpiscono. Questo fa sı̀ che il segnale prodotto dal SiPM abbia una distribuzione in carica, con caratteristiche che si vogliono misurare. 20 2 L’apparato sperimentale Capitolo 3 Il sistema di acquisizione dati 3.1 3.1.1 Il modulo ADC Caratteristiche principali Un modulo ADC è un dispositivo che viene utilizzato per digitalizzare un segnale analogico. Il dispositivo discusso in questa tesi, in particolare, digitalizza il valore dell’integrale nel tempo di un segnale in tensione su una resistenza. Questo permette di ottenere la carica portata dal segnale, secondo la formula: Z dQ V (t) 1 t2 (3.1) V = RI = R ⇒ dQ = dt ⇒ Q = V (t)dt dt R R t1 dove V(t) è l’andamento nel tempo del segnale (in questo caso la forma è tipicamente quella di Figura 1.8), R è la resistenza su cui passa il segnale (nel caso dell’ADC la terminazione è di 50Ω) e ∆t = t2 − t1 è la durata del segnale. Per impostare il tempo t1 e la durata di integrazione ∆t si utilizza un segnale NIM costante, chiamato gate. In questo modo, fornendo un gate di durata ∆t al tempo t1 , l’ADC integrerà il segnale in ingresso dal tempo t1 al tempo t1 + ∆t. Nel nostro caso, la larghezza del segnale è stata impostata tramite un apposito modulo, e l’istante da cui iniziare ad integrare è stato ottenuto da un trigger esterno in due modi diversi: tramite la coincidenza nel telescopio per raggi cosmici, per le misure su scintillatori, o tramite un’uscita dell’impulsatore sincrona all’impulso di alimentazione del LED, per le misure a illuminazione controllata. Il modulo ADC (Analog to Digital Converter) utilizzato è il modello v792 di marca CAEN, a 32 canali e polarità negativa. L’integrazione del segnale viene eseguita tramite l’attivazione di un circuito (Figura 3.1) che accumula la carica sul condensatore C, di capacità 100 pF. La corrente sul condensatore è data dal segnale di input sommata 21 22 3 Il sistema di acquisizione dati Figura 3.1: Schema del circuito di integrazione. alla corrente di piedistallo Ip , necessaria per il corretto funzionamento del transistor T1. Questa corrente partecipa all’accumulo di carica sul condensatore, per cui i valori effettivamente misurati sono traslati di una quantità che varia con Ip , e che prende il nome di piedistallo. Il condensatore continua a caricarsi per tutta la durata del gate, dopodiché viene misurata la differenza di potenziale fra le armature e digitalizzata in un numero binario intero, misurato in canali di ADC o conteggi di ADC (ADC counts). Un canale di ADC corrisponde ad una differenza di potenziale di 1 mV sulle armature del condensatore, per una sensibilità in carica data da: (3.2) Q = C∆V = 100pF 1mV fC = 100 canale canale Il valore della carica in canali di ADC è registrato nel buffer di memoria in un numero intero da 12 bit, per cui il fondoscala è di 4096 canali, corrispondenti a circa 400 pC. 3.1.2 I registri utilizzati La configurazione dell’ADC è gestita attraverso registri interni, accessibili tramite un’interfaccia VME. Ciascun registro è composto da 16 bit, eccezion fatta per i registri su cui vengono memorizzati i dati, che sono composti da 32 bit. Di seguito sono elencati i più importanti registri utilizzati. 3.1 Il modulo ADC 23 Figura 3.2: Schema dei tre possibili tipi di parola di un evento. Buffer di memoria: il buffer di memoria è composto da registri a 32 bit. I dati sono organizzati in eventi, corrispondenti all’arrivo di un segnale di gate. Ogni volta che si ha un evento in cui su almeno uno dei canali di ingresso attivi vi è una misura accettata, i dati vengono memorizzati nel buffer secondo il seguente schema (Figura 3.2): • “Header”: parola da 32 bit che identifica l’inizio di un evento. • Data: parole da 32 bit, nelle quali vengono memorizzate le misure. Il numero di parole è pari al numero di canali di input attivi. Il valore della misura è memorizzato nei primi 12 bit. Gli altri bit forniscono informazioni di tipo diverso, fra cui il canale corrispondente alla misura memorizzata. • “End Of Block”: parola che identifica la fine di un evento. Quindi, ogni volta che il modulo riceve un gate possono essere scritti da un minimo di 3 registri (Header + 1 dato + EOB) ad un massimo di 34 (Header + 32 dati + EOB), dipendentemente dal numero di canali attivi. Il tipo di parola (header, dato o EOB) è codificato in un campo di bit della parola (Figura 3.2), secondo il seguente codice: • 010: header • 000: dato • 100: End Of Block • 110: dato non valido 24 3 Il sistema di acquisizione dati Il numero di eventi immagazzinabili in memoria varia da un minimo di 32, ognuno composto da 34 parole, ad un massimo di 362, ognuno di 3 parole. Registri di configurazione: i registri adibiti alla configurazione del modulo sono due, e prendono ripettivamente il nome di Bit Set 1 Register (BS1R) e Bit Set 2 Register (BS2R). Ognuno dei 16 bit di questi registri ha un preciso significato nella configurazione dell’ADC. Per quanto riguarda il BS1R, è stato utilizzato solamente un bit che permette di inviare un segnale di reset permanente all’intero modulo. Il segnale ha termine solamente quando il bit viene reimpostato a 0, rendendo nuovamente attivo il modulo. Il BS2R è stato invece maggiormente utilizzato. Di seguito è riportata una lista che indica la funzione di ciascun bit (Figura 3.3). • Over Range Enable: permette di decidere se i dati che superino il fondoscala (400 pC) debbano essere scritti nel buffer di memoria. Se il bit è spento, i dati in overflow vengono scartati, mentre in caso contrario vengono scritti nel buffer. L’eliminazione dei segnali oltre il fondoscala prende il nome di overflow suppression. • Under Threshold Enable: il ruolo di questo bit è del tutto analogo a quello del bit precedente, con l’unica differenza che i dati interessati sono quelli sottosoglia. Se il bit è spento, i dati vengono scartati, mentre se il bit è acceso i dati vengono scritti nel buffer. Questo procedimento viene denominato zero suppression. • Step Threshold: permette di scegliere quale metodo utilizzare per interpretare la soglia fornita a ciascun canale di ingresso. Le soglie sono registrate in registri a 8 bit, per cui non sarebbe in linea di principio possibile impostare soglie che superino i 256 canali Figura 3.3: Schema del Bit Set 2 Register. 3.1 Il modulo ADC 25 di ADC. Per questo motivo, i dati possono essere comparati con le soglie in due dieversi modi: il primo, selezionabile spegnendo il bit in questione, moltiplica per 16 ciascuna soglia, per cui può essere coperto l’intero fondoscala. Il secondo metodo, selezionabile accendendo il bit, moltiplica per 2 ciascuna soglia, permettendo un controllo più fine di queste ultime ma coprendo soltanto un ottavo dell’intero fondoscala. Registro di status: i bit di questo registro descrivono lo stato in cui si trova il modulo. Di seguito è riportata una lista dei bit più importanti (Figura 3.4). • Data Ready. Risulta acceso quando nel buffer di output è presente almeno un evento. • Busy. Identifica lo stato del dispositivo di integrazione. Se il bit è acceso (busy), significa che in quel momento non è possibile registrare nessun evento nel buffer, a causa di uno dei seguenti motivi: – Il buffer di output è pieno e non è possibile scrivere altri dati. Il processo di integrazione e memorizzazione dei dati è quindi bloccato finché non si libera abbastanza memoria nel buffer. – Vi è una conversione in atto. Il modulo risulta occupato se viene controllato mentre il dispositivo sta convertendo una misura analogica in formato digitale, operazione che tipicamente impiega circa 6 µs. – È in corso un reset del modulo. Lo stato del modulo rimane occupato (busy) finché non viene terminato il reset. Figura 3.4: Schema del Bit Set 2 Register. 26 3 Il sistema di acquisizione dati Registri delle soglie: le soglie di ciascun canale sono memorizzate nei primi 8 bit di 32 diversi registri da 16 bit. Il nono bit di questi registri (kill), se acceso, impedisce la memorizzazione nel buffer di qualsiasi dato relativo al canale corrispondente, e può quindi essere utilizzato per disabilitare alcuni dei canali di input dell’ADC. Registri di conteggio eventi: il contatore degli eventi è un numero di 24 bit. Siccome i registri interni sono solo da 16 bit, questo numero è memorizzato sui bit di due diversi registri, il primo contenente i 16 bit meno significativi (Event Counter Low Register), il secondo contentente gli 8 bit più significativi (Event Counter High Register). Il contatore può essere azzerato tramite un accesso VME in scrittura su un apposito registro (Event Counter Reset Register). 3.2 3.2.1 Il programma di acquisizione dati L’interfaccia utente Per leggere le misure effettuate dall’ADC è stato realizzato un programma scritto in linguaggio C++, in cui gli accessi VME in lettura e in scrittura Figura 3.5: Snapshot dell’interfaccia utente. 3.2 Il programma di acquisizione dati 27 sono gestiti tramite un’apposita libreria. Dando la possibilità di modificare i registri di status, il programma ha permesso non solo di leggere i dati contenuti nel modulo, ma anche di configurarlo. Per le diverse funzionalità è stata sviluppata una interfaccia utente testuale che, all’avvio del programma, propone una serie di possibili azioni (Figura 3.5). L’interfaccia ha dato la possibilità di lavorare in maniera semplice e veloce, in quanto ha permesso di cambiare agevolmente i seguenti parametri: • nome del file su cui scrivere i dati • canali attivi • valore delle soglie per i canali attivi • corrente di piedistallo • abilitazione o disabilitazione della overflow suppression • abilitazione o disabilitazione della zero suppression Ognuna di queste azioni modifica il valore dei parametri corrispondenti, che, una volta avviata la misura, vengono scritti nei registri di configurazione del modulo. Per agevolare la gestione dei parametri, sono state implementate funzionalità che permettono di visualizzare la configurazione corrente e salvarla o caricarla tramite un file di testo. 3.2.2 Il ciclo di acquisizione dati Il programma è stato utilizzato per compiere misure sul segnale prodotto dal SiPM illuminato in due modi diversi: illuminazione controllata tramite LED e illuminazione tramite irraggiamento da parte di materiali scintillanti attraversati da MIPs. Nel primo caso, la frequenza di emissione di luce da parte del LED poteva essere impostata tramite l’impulsatore (nel nostro caso la frequenza era di 1 KHz), mentre nel secondo caso il trigger era dovuto al passaggio in coincidenza di una MIP nei finger del telescopio (con la geometria utilizzata ci si aspettava circa 2 eventi al minuto). Il programma è stato quindi implementato per funzionare in due modi diversi. Nel caso del LED è stato scelto un sistema che assicurasse un elevato numero di eventi, data l’elevata frequenza. Il programma è stato dunque implementato in modo da interrompere la raccolta di dati una volta raggiunto il numero di eventi richiesto. Nel caso delle misure su scintillatori, invece, è risultato più conveniente impostare un intervallo di tempo massimo dopo il quale interrompere 28 3 Il sistema di acquisizione dati Figura 3.6: Schema a blocchi del ciclo di acquisizione. la procedura di raccolta dati. La procedura di raccolta dati è schematizzabile in una serie di punti (Figura 3.6): 1. Scrittura dei parametri di configurazione modificati tramite l’interfaccia utente sui registri menzionati. 2. Inserimento da tastiera del tempo di esecuzione o del numero di eventi richiesti (a seconda della modalità desiderata). 3. Controllo dello stato del buffer. Se vi sono dati pronti per essere letti il ciclo prosegue, altrimenti salta direttamente al punto 6. 4. Lettura del buffer tramite la ricerca dell’inizio di un evento (Header) e successiva memorizzazione in un array dei dati dei canali soprasoglia presenti fino alla fine dell’evento (EOB). 5. Controllo del canale corrispondente a ciascun dato e successiva scrittura dei valori in un file di testo. 3.3 Analisi dei dati e risultati 29 6. Controllo della condizione di uscita. Nel caso questa sia soddisfatta il ciclo si interrompe, mentre in caso contrario il programma riparte dal punto 3. 3.3 Analisi dei dati e risultati Per l’analisi dei dati è stato utilizzato un programma di elaborazione dati, chiamato Root [2], che implementa un’interfaccia grafica per l’analisi statistica dei dati. Root gestisce i database in un suo particolare formato, per cui è stato creato uno script che ha permesso la creazione del database a partire dal file di testo prodotto dal programma di acquisizione da noi realizzato. Una volta creato il database, è possibile creare un’istogramma dei dati tramite un secondo script, con il quale si possono regolare gli estremi della finestra di visualizzazione e il numero di bin richiesti all’interno dell’istogramma. Una volta creato l’istogramma, è stato facile utilizzare l’interfaccia grafica di Root per ottenere dati come valori medi o parametri dei fit. Di seguito sono riportati alcuni esempi di istogrammi ottenuti. Il sistema di acquisizione e analisi dati descritto in questa tesi è stato utilizzato per effettuare misure sul guadagno di un SiPM prodotto dalla itc- Figura 3.7: Misura della carica trasportata da un segnale di circa 800 mV di ampiezza e 50 ns di durata, tagliato a 10 ns utilizzando il segnale di gate. Il risultato è leggermente inferiore a quello atteso perché il gate deve anticipare di qualche nanosecondo il segnale da integrare. 30 3 Il sistema di acquisizione dati Figura 3.8: Dall’alto verso il basso: istogrammi e fit gaussiani dei dati ottenuti illuminando il SiPM tramite LED rispettivamente a Vbias = 32,5 V, 33,5 V e 34,0 V. 3.3 Analisi dei dati e risultati 31 IRST di Trento. Per ognuno degli istogrammi ottenuti è stato eseguito un fit gaussiano, che ha permesso di valutare il valor medio e l’errore di ciascuna misura. È stato innanzitutto eseguito un test per verificare il corretto funzionamento del programma e dell’ADC. Utilizzando i moduli NIM, è stato generato un segnale di ampiezza e altezza note, ed è stata calcolata la carica trasportata dal segnale tramite l’equazione 3.1. Utilizzando il programma di acquisizione, sono state lette e istogrammate le misure effettuate dall’ADC. L’istogramma ottenuto è riportato in figura 3.7. Una volta verificato il corretto funzionamento del sistema, sono state effettuate misure illuminando direttamente il SiPM tramite LED, pulsato tramite un segnale da 1 KHz di frequenza e 11 ns di durata. Queste scelte hanno permesso di ottenere un segnale mediamente ben distinto dal piedistallo che non superasse il fondoscala dello strumento. Sono state effettuate tre misure a bias diversi ed alta statistica. La Figura 3.8 riporta gli istogrammi relativi a ciascuna misura, ed un fit gaussiano per ognuno di essi. Si noti come, all’aumentare del bias, il picco si sposti verso valori più elevati, a causa dell’aumento di guadagno. Il picco iniziale di ciascun istogramma è il contributo dovuto alla presenza del piedistallo e della dark current. Si noti come il picco dovuto all’illuminazione tramite LED risulti comunque molto ben distinto dal picco di piedistallo. In Figura 3.9 è mostrato un fit lineare dei tre punti ottenuti. Queste misure, sebbene siano poche per una stima significativa, hanno permesso una prima valutazione dell’andamento lineare del guadagno del SiPM in funzione della tensione di bias. É inoltre stata effettuata una misura illuminando uno scintillatore tramite LED ultravioletto, utilizzando opportune guide di luce. Questo sistema permette di valutare la risposta dello scintillatore all’eccitazione tramite fotoni, e analizzarne l’efficacia della geometria di raccolta tramite fibre ottiche. L’istogramma risultante è riportato in Figura 3.10. Anche in questo caso si può notare che il segnale è mediamente molto ben distinto dai piedistalli. 32 3 Il sistema di acquisizione dati Figura 3.9: Fit lineare delle tre misure effettuate. Il numero di misure è troppo piccolo per avere una stima significativa. Figura 3.10: Fit lineare della misura effettuata sullo scintillatore eccitato tramite LED. Il segnale risulta mediamente molto ben distinto dal piedistallo. Conclusioni In questa tesi è stato realizzato un sistema di acquisizione dati che ha permesso di svolgere misure di parametri caratteristici di un SiPM, e di analizzarne l’accoppiamento con un materiale scintillatore. In particolare, il lavoro da me svolto ha riguardato l’implementazione di un programma adibito alla lettura e alla configurazione di un modulo ADC, predisposto per poter effettuare misure consecutive ad alto e basso rate. Il programma è stato testato utilizzando segnali noti come input all’ADC, o utilizzando i segnali prodotti dal SiPM illuminato direttamente tramite un LED impulsato ad una frequenza regolabile. Quest’ultimo test ha inoltre permesso una prima valutazione della linearità del guadagno del SiPM in funzione della tensione di polarizzazione. Il programma realizzato è stato utilizzato per l’analisi dell’eccitazione prodotta tramite LED ultravioletto in un materiale scintillatore, e per valutare l’accoppiamento di quest’ultimo con fotomoltiplicatori al silicio nell’ambito della rivelazione di raggi cosmici. Il programma si è rivelato efficace per entrambi i tipi di misura, permettendo di acquisire dati ad alto rate, nel caso di eccitazione indotta da LED, e a basso rate, nel caso di eccitazione tramite raggi cosmici. Ha inoltre permesso di svolgere misure per periodi di tempo della durata di decine di ore, garantendo una buona statistica anche per le misure a basso rate. Il sistema di acquisizione allestito potrà essere utilizzato in futuro per studi su un possibile utilizzo dei SiPM nell’ambito della rivelazione di raggi cosmici, nel miglioramento del rivelatore CMS a SLHC, o in qualunque esperimento in cui questi dispositivi sperimentali possano risultare più adeguati dei tradizionali fotorivelatori. 33 Bibliografia [1] B. Dolgoshein et al: Status report on Silicon Photomultiplier development and its applications (2006) [2] http://root.cern.ch [3] C. Piemonte et al: Characterization of the First Prototypes of Silicon Photomultiplier Fabricated at ITC-irst (2007) [4] M. Petasecca et al: Thermal and Electrical Characterization of Silicon Photomultiplier (2008) [5] Technical Information Manual, ADC CAEN mod. V792, revision n. 13 (2007) [6] Root User’s Guide, http://root.cern.ch/root/doc/RootDoc.html 35 36 3 Bibliografia Ringraziamenti La realizzazione di questa tesi non sarebbe stata possibile senza il prezioso aiuto di persone che hanno dedicato tempo ed impegno nel proporre e nel realizzare nuove idee, o nel risolvere i numerosi e immancabili problemi che si sono manifestati. Il primo ringraziamento va quindi al dottor Fabrizio Fabbri, che non solo ha impiegato il suo tempo, quantomai prezioso, nel seguire l’attività di laboratorio e nella revisione delle tesi, ma ha anche più in generale dimostrato di avere a cuore la formazione degli studenti, mai rifutando di rendersi disponibile e di impegnarsi per loro. Vorrei ringraziare anche il dottor Alessandro Montanari, che mi ha spiegato il funzionamento dell’ADC e mi ha dato preziosi consigli sulla stesura dello scritto, e senza il quale il lavoro di laboratorio sarebbe stato, oltre che infruttuoso, sicuramente più noioso. Ringrazio anche il dottor Riccardo Travaglini, che è sempre stato presente ad ogni richiesta di aiuto, sia riguardo la programmazione che riguardo i problemi che si sono verificati. Un ringraziamento speciale va ai tecnici della sezione INFN di Bologna, che hanno sempre dimostrato interesse per le più pazze richieste che gli sono state fatte e, soprattutto, la capacità di realizzarle. Vorrei quindi ringraziare i signori Vincenzo Giordano, Vittorio Cafaro, Milena Boldini, Giovanni Torromeo e Mirco Zuffa. Ringrazio anche tutte le persone che non hanno avuto la possibilità di aiutarmi direttamente in laboratorio o nella stesura della tesi, ma il cui supporto è stato di fondamentale importanza: la mia ragazza Ilaria, che in quest’ultimo periodo si è preoccupata per me e di me come nessuno faceva più da tempo; i miei genitori Gian Marco e Cristina, che mi hanno sempre dato il supporto necessario a sostenermi in qualunque pazza impresa, e che mi hanno isegnato a vivere nella maniera che meglio mi rappresenta; i miei fratelli, che hanno reso la mia esistenza in questo mondo molto meno noiosa di quanto sarebbe stato senza di loro; le mie nonne, Marta e Maria, che hanno 37 38 3 Ringraziamenti sempre creduto e sempre crederanno in me; le mie zie Eugenia, Elisabetta e Laura, che vedo poco spesso ma che sono sempre interessate alle mie attività. E, ultimi ma non meno importanti, gli inseparabili colleghi laureandi. Per primi i compagni di sventura, che mi hanno accompagnato in questi mesi in laboratorio: Gabriele, Giorgio e Alessandro. Un ringraziamento particolare va a Jacopo, che mi ha dato preziosi aiuti nell’utilizzo di LaTEX. E infine a tutti coloro che hanno allietato i miei tre indimenticabili anni qui a Bologna, i più fortunati ringraziati due volte: Bounce, Giò, Pone, Barià, Mattiolo, il Matto, Dimitriii, Martina, Steno, Jackson, Fede, Brench, Mix, Ester, Sirio e tutti coloro che la mia scarsa memoria non mi permette di ricordare. Grazie a tutti!