Disturbi generalizzati e pervasivi dello sviluppo
Emilia Ciccia
Disturbi generalizzati e
pervasivi dello sviluppo
ipotesi eziologica
primi studi:
Kanner
Asperger
Betthleim
1.alterazioni del SNC
2.evidenze biochimiche
3.fattori genetici
criteri diagnostici
Disturbo autistico
(DSM-IV, 1994)
Autismo infantile
(ICD-10, 1992)
compromissioni qualitative
modelli interpretativi:
•deficit della coerenza centrale
•deficit della teoria della mente
•deficit delle funzioni esecutive
interazione sociale
comunicazione verbale e non verbale
attività ristrette e stereotipate
valutazione
interventi:
insegnamento strutturato
ABA
funzionale (PEP-r)
sintomatologica
normativa
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Autismo
L’autismo rappresenta una delle sindromi più severe la cui comprensione ha
impegnato ed impegna tuttora studiosi di vari settori. La sua fenomenologia si
manifesta mediante una gamma ampia e articolata di sintomi che rendono
complessa anche la classificazione diagnostica.
Attualmente l’autismo viene considerato un disturbo generalizzato e
pervasivo dello sviluppo (di cui ne interessa molteplici aspetti: percezione,
attenzione, motricità, intelligenza, memoria, linguaggio, imitazione, adattamento)
caratterizzato da una compromissione qualitativa ad origine precoce
dell’interazione sociale, della comunicazione e del repertorio comportamentale. In
vari casi possono coesistere “isole” di abilità affinate.
La multiformità delle manifestazioni proprie dell’autismo, le diverse classificazioni
succedutesi negli anni e la diversità di approcci e di interpretazioni hanno
contribuito negli anni passati a creare difficoltà nel confronto dei risultati delle
diverse ricerche che spesso si riferivano a quadri sindromici non sempre
sovrapponibili seppure etichettati sotto lo stesso termine. L’equivoco nasce forse
dal fatto che la parola autismo è stata usata per fare riferimento sia ad una
sindrome che a un sintomo.
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Cenni storici: Leo Kanner
Il termine autismo viene introdotto per la prima volta nel 1911 dallo psichiatra
Eugene Bleuler con esplicito riferimento ad un disturbo fondamentale della
schizofrenia, cioè ad un restringimento delle relazioni con le persone e con il
mondo esterno, tale da escludere qualsiasi cosa eccetto il proprio sé (Frith,
2002,). I primi studi del disturbo si devono a Leo Kanner e Hans Asperger che,
indipendentemente l’uno dall’altro, pubblicarono i risultati delle loro ricerche.
Kanner nel suo primo articolo, Disturbi autistici del contatto affettivo, applica il
termine di autismo ad un gruppo di undici bambini, nove maschi e due femmine,
che presentavano seri problemi di socializzazione, di comunicazione e di
comportamento; nello stesso articolo vengono elencate 9 caratteristiche
fondamentali della sindrome autistica:
incapacità di relazione sociale (o isolamento autistico)
abilità linguistica sviluppata con ritardo e senza funzioni comunicative
buone potenzialità cognitive e di memoria
ripetitività monotona
disturbi dell’alimentazione
panico per rumori e per oggetti in movimento
buone “relazioni con oggetti inanimati”
fisico normale, impaccio motorio
appartenenza a famiglie intelligenti
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Cenni storici: Hans Asperger
Asperger, a sua volta, descrive nella sua ricerca un gruppo di bambini
autistici, «muovendo da situazioni nelle quali erano identificabili importanti
danni organici, fino ad altre prossime alla normalità» (Cottini, 2002, p. 8).
Oggi, la sindrome di Asperger è riferita a quei bambini autistici che non
presentano ritardo mentale, hanno delle capacità sostanzialmente nella norma
e un linguaggio ben sviluppato.
Studi e ricerche successive, pur confermando gran parte delle descrizioni
fornite da Kanner e Asperger, hanno contribuito a definire in modo più preciso
la sindrome, circostanziando le compromissioni a tre aree particolari (Surian,
2002):
Capacità di interazione sociale
Comunicazione verbale e non verbale
Modelli di comportamento e repertorio delle attività
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Sintesi storica
1911 – E. Bleuler conia il termine “Autismo” per indicare la
perdita di contatto con il mondo esterno.
1930 – psicosi autistica, forma giovanile della schizofrenia.
1943/44 – studi e prime pubblicazioni ad opera di L. Kanner ed H. Asperger.
1950- La teoria psicodinamica, B. Betthleim e le teorie sulla madre frigorifero
1960- La teoria comportamentista: il metodo Loovas e il programma TEACCH
1979- il neo-direttore della rivista “Journal of Autism and Childood
Schizophrenia”, Erik Schopler (successore di Leo Kanner), cambia il titolo
nell’attuale “Journal of Autism and Developmental Disorder”
1980 - Con la terza edizione del DSM, il disturbo autistico viene riconosciuto
come un’entità clinica distinta dalle malattie mentali
Individuazione precoce
Il riconoscimento dei sintomi nella fase precoce non è sempre facile e questo
è da ricondursi al fatto che, tranne nei casi in cui l’esordio del disturbo non sia
eclatante, la sintomatologia, almeno nelle fasi iniziali, può essere aspecifica, e
diversi sintomi, che sono caratteristici dell’ autismo, possono essere comuni a
diversi disturbi dell’età evolutiva.
Nel 90% dei casi le madri riferiscono di aver notato qualcosa nel primo anno
di vita, di solito anomalie dello sguardo, del gioco della partecipazione, una
certa tendenza all’isolamento, assenza di reazioni anticipatorie, movimenti
stereotipati, mancanza di iniziativa, passività, tendenza all’isolamento, rifiuto
del contatto corporeo e disinteresse verso l’ambiente circostante (Adrien e
coll., 1993).
Due caratteristiche estremamente importanti che possono essere individuate
come indicatori precoci del disturbo sono l’evitamento del contatto fisico
(spesso i bambini incurvano la schiena per allontanarsi da chi ci accudisce) e
l’assenza del dialogo tonico (non anticipano l’essere presi in braccio
rimanendo passivi e con il corpo abbandonato). Tali bambini, inoltre, nei primi
mesi di vita sono generalmente descritti o come passivi o come generalmente
agitati .
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Criteri diagnostici
Nel DSM IV (1994) i disturbi dello spettro autistico sono classificati all’interno
della sezione Psichiatria infantile, e sono definiti sotto la categoria di Disturbi
generalizzati dello sviluppo. Appartengono a questa categoria:
•Disturbo autistico
•Disturbo di Rett
•Disturbo generalizzato dello sviluppo non altrimenti specificato
•Disturbo disintegrato della fanciullezza
•Disturbo di Asperger
Nell’ICD-10 (1992), la classificazione internazionale curata dall’Organizzazione
Mondiale della Sanità, la sindrome autistica viene inserita nel capitolo V Patologie
mentali e del comportamento, nella categoria Sindromi da alterazioni globali
dello sviluppo psicologico; non viene più definita disturbo autistico, come nel
DSM IV, ma autismo infantile. Appartengono a questa categoria:
•Autismo infantile
•Autismo atipico
•Sindrome di Rett
•Disturbo disintegrativo dell’infanzia di altro tipo
•Sindrome iperattiva, ritardo mentale e movimenti stereotipati
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•Sindrome di Asperger
Disturbo autistico (DSM-IV, 1994)
Secondo i criteri del DSM IV (1994) per giustificare una diagnosi di autismo
devono essere presenti determinati tratti diagnostici quali:
A) la compromissione qualitativa dell’interazione sociale, manifestata con almeno
due dei seguenti parametri:
a) marcata compromissione nell’uso di svariati comportamenti non verbali come lo sguardo
diretto, le posture e i gesti che regolano l’interazione sociale;
b) incapacità di sviluppare con i coetanei relazioni adeguate al livello di sviluppo;
c) mancanza di ricerca spontanea della condivisione di gioie, interessi o obiettivi con altre
persone ( per es., non mostrare, portare, né richiamare l’attenzione su oggetti di proprio
interesse);
d) mancanza di reciprocità sociale o emotiva
B) la compromissione qualitativa della comunicazione come manifestata da almeno
uno dei seguenti parametri:
a) ritardo o totale mancanza dello sviluppo del linguaggio parlato, non accompagnato da un
tentativo di compenso attraverso modalità alternative di comunicazione, come gesti o mimica;
b) in soggetti con linguaggio adeguato, marcata compromissione della capacità di iniziare o
sostenere una conversazione con altri;
c) uso di linguaggio stereotipato e ripetitivo o linguaggio eccentrico;
d) mancanza di giochi di simulazione vari e spontanei, o di giochi di imitazione sociale
adeguati al livello di sviluppo;
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Disturbo autistico (DSM-IV, 1994)
C) modalità di comportamento, interessi ed attività ristrette e stereotipate
come manifestato da almeno uno dei seguenti parametri:
a) dedizione totale ad uno o più tipi d’interesse ristretti e stereotipati, anomali o per
intensità o per focalizzazione;
b) sottomissione del tutto rigida ad inutili abitudini o rituali specifici;
c) manierismi motori stereotipati e ripetitivi ( battere o torcere le mani o il capo, o
complessi movimenti di tutto il corpo);
d) persistente ed eccessivo interesse per parti di oggetti;
D) Ritardo o funzionamento anomalo in almeno 1 delle seguenti aree, con
esordio prima dei tre anni di età: (1) interazione sociale, (2) linguaggio usato
nella comunicazione sociale, (3) gioco simbolico o di immaginazione.
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Incidenza
I primi studi epidemiologici condotti da Lotter nel 1966 indicavano
un’incidenza di 4,5:10.000. L’aumento della conoscenza di questa sindrome
tra i professionisti responsabili della diagnosi e l’affinamento delle tecniche
diagnostiche hanno portato ad una stima di 60:10.000, con una eguale
distribuzione, in tutti gli strati sociali e le aree geografiche.
È possibile che ci si trovi ancora di fronte ad una sottostima del fenomeno,
infatti se si include nello Spettro anche la Sindrome di Asperger, ancora non
molto conosciuta e non facilmente diagnosticabile, la stima sale a 1:100.
Ma queste stime sono a tutt'oggi provvisorie, essendo gli stessi i criteri di
diagnosi sottoposti a continua e veloce revisione.
L’insorgenza del disturbo autistico nella prima infanzia è un’acquisizione certa,
tuttavia l’età effettiva d’esordio del disturbo, le caratteristiche qualitative più
specifiche dei primi sintomi, le modalità d’identificazione precoce,
rappresentano degli aspetti ancora non completamente chiariti e quindi di
fondamentale interesse per la ricerca.
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Eziologia
Abbandonata l’idea secondo la quale
l’autismo deriva da conflitti psicodinamici tra la madre ed il bambino,
unanime accordo si è raggiunto
sull’ipotesi della multifattorialità delle
cause, sia di tipo organico-genetico che
di carattere psicologico.
Alcuni autori hanno centrato la loro
attenzione sulle alterazioni funzionali e
strutturali del sistema nervoso centrale,
altri su alterazioni biochimiche e fattori
genetici
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Ipotesi eziologiche
Alterazioni strutturali e funzionali del sistema nervoso centrale
Grazie all’utilizzo di strumenti medici altamente sofisticati, quali la TAC
(tomografia assiale computerizzata), il PET (tomografia ad emissioni di positroni)
e l’RMN (risonanza magnetica nucleare) è stato possibile rilevare la presenza di
anomalie a carico del sistema nervoso centrale in molte delle persone affette
d'autismo. Innanzitutto, si è evidenziato un aumento diffuso del metabolismo
cerebrale ed alterazioni a livello dei lobi frontali, del sistema libico e del
cervelletto che sono strettamente connessi. Questo ha portato ad ipotizzare per
ciò che concerne il sistema limbico, alla presenza di anomalie a livello
dell’Ippocampo e dell’Amigdala.
Evidenze biochimiche
L’attenzione si è concentrata anche sui due sistemi neurotrasmettitoriali, tra loro
interdipendenti: il sistema dopaminergico e il sistema degli oppioidi endogeni
(Lelord e Sauvage, 1994). L’autismo sarebbe associato ad una carenza di
dopamina, che potrebbe essere dovuta ad un’incapacità da parte delle cellule
nervose di produrla, ad un’insensibilità o a un basso numero di recettori
dopaminergici, o ad un’impossibilità della dopamina di svolgere la sua funzione
per la presenza di inibitori. «Un funzionamento non adeguato del sistema
dopaminergico potrebbe giustificare alcuni dei sintomi principali dell’autismo,
esercitando questo, un controllo sulle funzioni attentive, percettive, comunicative,
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motorie, emozionali, e comportamentali» (Ibidem)
Ipotesi eziologiche
Fattori genetici
Attraverso studi condotti su gemelli e consanguinei, in cui tutti i parenti
vengono studiati per il maggior numero possibile di generazioni, è stato
possibile osservare come l’incidenza dell’autismo si riscontra con una
frequenza dalle cinquanta alle cento volte più elevata nei fratelli di bambini
con autismo infantile, in confronto alla popolazione generale. Questo dato ha
portato a pensare inevitabilmente che i fattori genetici siano quelli più
coinvolti nell’eziologia di questo disturbo.
Lo studio di Folstein e Rutter (1997) condotto su 21 coppie di gemelli, di cui
uno diagnosticato come autistico, ha confermato l’importanza di questi fattori
nell’autismo. Diverse sono le patologie genetiche che hanno un qualche
legame con l’autismo e tra queste ricordiamo,
Anormalità cromosomiche: la più conosciuta è la Sindrome del cromosoma X
fragile
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Modelli interpretativi
U. Frith preferisce parlare di interazione fra fattori biologici, genetici e sociali e
propone il modello di una lunga catena causale, caratterizzato da stadi
separati:
rischio (che può essere di molti tipi: geni imperfetti, anormalità
cromosomiche, disturbi metabolici, agenti virali, intolleranza immunologica,
anossia per problemi perinatali, etc.)
attacco (che ciascuno di questi fattori di rischio può sferrare allo sviluppo del
sistema nervoso)
danno (che l'attacco può provocare in modo permanente nello sviluppo di
specifici sistemi cerebrali relativi ai processi mentali superiori, lasciandone
altri intatti).
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Teoria della debole coerenza centrale
Analizzando i processi sottostanti, responsabili delle manifestazioni
comportamentali dell’autismo, Uta Frith e Fransesca Happè hanno sviluppato
un modello teorico descritto nei termini della debole coerenza centrale (Frith e
Happè, 1994). In base a questo modello, le persone con autismo
presenterebbero una ridotta capacità di riunire insieme varie informazioni per
costruire un significato o un concetto mentale, a causa dall’eccessiva
concentrazione sul dettaglio che non consente di cogliere “l’intero”.
I bambini con autismo riescono bene nei compiti che richiedono molta
attenzione per i dettagli ma poca per decifrare il significato generale.
Avere coerenza centrale debole significa avere grandi difficoltà ad
identificare i dettagli importanti e a collegarli per formare una struttura
coerente.
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Teoria del deficit delle funzioni esecutive
La funzione esecutiva è un costrutto cognitivo usato per descrivere i
processi che si ritiene siano mediati dai lobi frontali. Essa è definita come la
capacità di mantenere un’appropriata strategia di problem solving allo scopo
di raggiungere un obiettivo. I comportamenti che sottendono la funzione
esecutiva sono: pianificazione, organizzazione, attenzione mobile, memoria di
routine, controllo di impulso, intenzione e perseverazione.
Il comportamento delle persone con autismo spesso appare rigido e
inflessibile; essi possono manifestare angoscia per qualsiasi insignificante
cambiamento dell’ambiente e si dimostrano perseveranti nel seguire la loro
routine in ogni preciso dettaglio.
Anche la presenza delle stereotipie viene interpretato sulla base di questo
deficit; sappiamo, infatti, che ogni compito può essere suddiviso in tante
sotto-unità: le persone con autismo si troverebbero nell’impossibilità di
pianificare queste microsequenze, terminandone una per attivare la
successiva; ciò porterebbe alla ripetizione ossessiva e continuativa sempre
dello stesso frammento di comportamento (Frith, 2002).
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Deficit della Teoria della mente
La Teoria della mente si riferisce all’abilità di dedurre gli stati mentali degli altri,
vale a dire i loro pensieri, opinioni, desideri, intenzioni e, all’abilità di usare tali
informazioni per interpretare ciò che essi dicono, dando significato al loro
comportamento e prevedendo ciò che faranno in seguito (Howlin et al., 1999).
Dalle ricerche condotte da Uta Frith, Simon Baron-Cohen e Francesca Happè è
stata avvalorata l’ipotesi secondo la quale i soggetti con autismo siano
caratterizzati da una sorta di cecità mentale, che implica non solo un
indebolimento nella capacità fondamentale di lettura della mente (Baron-Choen,
Tager-Flusberg, 1994), quanto anche difficoltà nel distinguere le azioni intenzionali
da quelle accidentali.
Normalmente la capacità di leggere e interpretare gli stati mentali degli altri
implica numerosi vantaggi, intanto di tipo relazionale, poiché favorisce la
comprensione del mondo umano in quanto «attribuire alle persone degli stati
mentali è di gran lunga il modo più semplice per capirle» (Dennet, 1978),
consente di formulare spiegazioni relative al comportamento degli altri e di
prevedere ciò che si apprestano a fare, e poi di tipo comunicativo, in quanto aiuta
a comprendere i meccanismi della comunicazione, cercando di dare un significato
a ciò che viene detto e di immaginare quale sia l’intento comunicativo della
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persona che parla.
Indicatori precoci della “cecità mentale”
La mancanza della teoria della mente, nei soggetti
affetti da autismo, comporta inevitabilmente una
compromissione di meccanismi quali:
lo sguardo referenziale, che viene utilizzato
dalla maggior parte dei bambini con sviluppo tipico
verso gli otto mesi di vita e si ha quando una
persona guarda ciò che sta guardando un’altra e
quando si usa la direzione del proprio sguardo nel
tentativo di dirigere l’attenzione di un’altra
persona su qualcosa;
i gesti deittici, che emergono tra i nove e i dieci
mesi d’età, sono finalizzati a mostrare qualcosa e
vengono utilizzati spontaneamente dal bambino
normodotato.
Questo tipo di agire è detto proto-dichiarativo e
viene utilizzato «al fine di commentare o fare
osservazioni con qualcuno sulla realtà esterna»
(Baron-Cohen, 2003) Accanto a questo tipo di
agire, c’è poi anche quello che viene definito
proto-imperativo e che viene utilizzato al fine di
ottenere qualcosa per mezzo di qualcuno.
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Valutazione
Una valutazione completa adotta tre tipi di categorie: sintomatologica,
normativa e funzionale.
La categoria sintomatologica rileva i comportamenti sintomatici, ciò consente
di identificare il disturbo oppure di escludere la diagnosi; strumenti di valutazione
utilizzati: DSM IV TR; CARS; ADOS
la categoria normativa identifica il livello intellettivo o di sviluppo confrontando
il bambino con la popolazione a sviluppo tipico e consente comparazioni sullo
sviluppo a distanza di tempo; strumenti di valutazione utilizzati: Brunet Lezine;
Leiter – R; Scale Griffith o Wechsler
la categoria funzionale identifica le capacità, i punti forti, gli stili di
apprendimento e le motivazioni peculiari del bambino, fornisce informazioni sulle
capacità attuali e potenziali della persona; questa categoria è funzionale alla
struttura di un programma educativo individualizzato il più possibile idoneo;
strumenti di valutazione utilizzati: P.E.P. – R (o P.E.P. 3); AAP.E.P.; Vineland
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P.E.P (Profilo Psico-Educativo; Schopler et al., 1995): esamina le capacità e le
potenzialità del soggetto.
Definisce il livello di sviluppo raggiunto in sette aree evolutive:
imitazione,
percezione,
motricità fine,
motricità globale,
coordinazione oculo-manuale,
area cognitiva
area cognitivo-verbale.
La modalità di codifica delle risposte è data da tre livelli di performance:
Riuscito, per le capacità acquisite (S);
Emergente, per le attività effettuate parzialmente o con aiuto (E);
Non riuscito (I)
PEP -r
SCALA EVOLUTIVA
S
E
I
IMITAZIONE
PERCEZIONE
MOTRICITA' FINE
MOTRICITA' GROSSA
OCCHIO - MANO
PERFORMANCE
VERBALE
Scheda di registrazione PEP-r
PEP -r
Il test include anche 42 items
che riguardano l’area del
comportamento mediante una
scala nella quale si annotano i
comportamenti:
 adeguati (A);
 gravi (G);
 lievi (L).
SCALA
COMPORTAMENTALE
Le quattro aree
comportamentali sono:
RELAZIONI
•linguaggio
MATERIALI
•relazioni e affetti
•risposte sensoriali
•gioco e interesse per il
materiale.
SENSORIALE
LINGUAGGIO
A
L
G
Intervento educativo
Per impostare un programmare un intervento psico-educativo che risulti
adeguato alle problematiche di chi è affetto da autismo, bisogna innanzitutto
impostare una valutazione che consenta di avere un quadro completo del
livello di sviluppo del bambino. L’analisi dovrà interessare lo sviluppo
cognitivo e motorio, i deficit neurologici, le capacità percettive e relazionali e
ciò al fine di definire un programma educativo mirato soprattutto allo sviluppo
del bambino sui piani dell’autonomia, delle relazioni e delle capacità di
comunicare.
L’intervento educativo deve basarsi su princìpi fondamentali quali:
insegnare in modo concreto, pragmatico ed operativo le abilità di
comunicazione, la capacità di interazione e tutte le competenze di base
dell’autonomia personale e sociale;
adattare il nostro comportamento per aiutare il bambino autistico a
capire la situazione.
Tutto ciò dev’essere fatto sulla base della considerazione che le persone
affette da autismo costituiscono un gruppo eterogeneo per cui, ogni soggetto
dev’essere valutato secondo le sue caratteristiche specifiche, diverse da
quelle, seppur simili, di un altro individuo con autismo.
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Insegnamento strutturato
Scopo principale di un insegnamento strutturato è quello di migliorare
l’adattamento di ogni individuo al suo ambiente, e ciò può essere fatto
attraverso due intenti educativi diversi ma collegabili:
1)migliorare il livello di abilità individuale, sfruttando gli interessi specifici
degli studenti;
2)modificare l’ambiente per adattarlo ai bisogni specifici dell’autismo
(Schopler et al., 1995). Ciò significa che il bambino con autistismo ha
bisogno di una precisa strutturazione dell’ambiente che non dev’essere rigida
ma flessibile e costruita in funzione dei bisogni e dei livelli di sviluppo del
singolo bambino.
Le fondamentali componenti dell’insegnamento strutturato sono quattro:
L’organizzazione dell’ambiente fisico
I programmi
I sistemi di lavoro
L’organizzazione dei compiti e del materiale
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Strutturazione dello spazio
La strutturazione deve essere flessibile, e non rigida, pensata e realizzata in
funzione dei bisogni e del livello di sviluppo del singolo bambino e soggetta ad
eventuali modifiche in ogni momento. È importante strutturare lo spazio, il
tempo e il materiale di lavoro.
Strutturare lo spazio vuol dire rispondere alla domanda “Dove?”.
Ogni ambiente di lavoro viene organizzato secondo degli spazi che sono definiti
in modo chiaro e visivo. Tutto questo consente al bambino di sapere con
chiarezza quello che ci si aspetta da lui in quel luogo e in ogni situazione.
Anche lo spazio-classe può essere, ad esempio strutturato, predisponendo un
angolo per il lavoro individuale, uno per il riposo, uno per le attività di gruppo ed
uno riservato al tempo libero, ciascuno definito e contraddistinto in modo chiaro
con adeguati simboli di identificazione.
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Spazio di lavoro
L’angolo di lavoro, in genere, viene
organizzato con un banco ai lati del
quale si posizionano due scaffali
disposti perpendicolarmente; lo
scaffale a sinistra servirà per riporre il
materiale di lavoro da eseguire, quello
di destra per i compiti già portati a
termine.
È importante predisporre ogni spazio
per una singola attività, in modo da
garantire al bambino di potersi
orientare da solo raggiungendo presto
quella autonomia di movimento che
diventerà per lui fonte di gratifica.
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Strutturazione del tempo
L’organizzazione del tempo risponde invece alla domanda “Quando?”, “Per
quanto tempo?”.
Per i soggetti autistici il passare del tempo è una nozione difficile da apprendere
in quanto il tempo è forse la dimensione maggiormente simbolica che l’uomo si
è data (ricordiamo che le persone con autismo presentano un deficit nelle
capacità simboliche); proprio per questo è di grande importanza strutturare la
giornata secondo una organizzazione del tempo che avvisi in ogni istante il
bambino su ciò che sta accadendo e ciò che accadrà, affinché tutto sia gestibile
e prevedibile.
Il bambino con autismo viene dotato di una sorta di calendario giornaliero
che può essere composto da oggetti, immagini, o parole scritte, a seconda del
livello cognitivo del bambino, che sono disposti dall’alto verso il basso. Alla fine
di ogni attività, il bambino può prendere il simbolo corrispondente e porlo in un
altro spazio che indica il tempo trascorso, in modo tale da rendersi conto
visivamente del tempo trascorso e di quanto manca per il ritorno a casa.
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Strutturazione del materiale di lavoro
La strutturazione del materiale di lavoro risponde alla domanda “Che cosa?”.
Il lavoro che il bambino deve svolgere è disposto in maniera molto chiara: i
compiti da svolgere sono sistemati sullo scaffale a sinistra e ogni scatola è
contraddistinta dal simbolo del compito da svolgere. Oltre al calendario
giornaliero delle attività, il bambino dispone anche di uno schema di lavoro,
formato da lettere dell’alfabeto o numeri (o da oggetti e immagini se non
comprende le lettere), ciascuna riportata su una scatola di lavoro. Ciascuna
scatola di lavoro è contraddistinta da un simbolo, un colore o una forma, riportati
anche sul piano del banco; ciò faciliterà il bambino nella sistemazione nell’ordine
esatto.
I compiti assegnati ai bambini devono essere semplici in modo da non richiedere
spiegazioni, come ad esempio puzzle, incastri o lavori di montaggio. Il compito
ultimato viene a quel punto riposto nella relativa scatola sullo scaffale di destra,
così il bambino sa quanto lavoro è stato svolto e quanto ancora ha da eseguire. Il
lavoro segue l’organizzazione, sinistra -centro- destra, come prescritto nella
cultura Occidentale.
All’inizio il bambino ha bisogno dell’aiuto dell’adulto, dal quale successivamente si
allontanerà per raggiungere la propria autonomia. La rigidità della strutturazione
spazio-temporale diminuisce quando ci si rende conto che la persona può farne a
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meno.
Strategie di intervento
Il soggetto con autismo ha bisogno di strutturazione, che non significa,
tuttavia, rigidità
1) Strutturazione dello spazio:
Dove?
2) Strutturazione del Tempo:
Quando? Per quanto tempo?
3) Strutturazione del Lavoro:
Che cosa?
Rinforzo e aiuto
Il rinforzo risponde chiaramente alla domanda “Perché?”. Il rinforzo serve
per dare delle motivazioni concrete ai compiti che il bambino deve svolgere in
base all’intervento educativo predisposto per lui, e può essere di tipo sociale
(elogi e complimenti) oppure più semplice. È importante che sia adeguato alle
preferenze del bambino: un bambino, per esempio, che non accetta il contatto
fisico, non dovrà essere abbracciato o baciato, così come il bambino che rifiuta
il cibo non dovrà essere ricompensato con un dolce. A volte permettere al
bambino di svolgere un’attività preferita, anche stereotipata, potrebbe
rappresentare un ottimo rinforzo, così come può esserlo anche la soddisfazione
di riuscire a svolgere da solo un compito assegnato.
L’aiuto, invece risponde alla domanda “Come?”. Per spiegare un compito, non
potendo utilizzare le istruzioni verbali, si può usare l’aiuto fisico o visuale. Il
livello più alto di aiuto è rappresentato dall’aiuto fisico che, comunque, non
deve mai rappresentare una costrizione. L’adulto può aiutare il bambino
guidando la sua mano nell’esecuzione del compito, oppure può utilizzare
modalità visuali, come ad esempio indicare col dito, spostare un oggetto dal
posto sbagliato a quello giusto, o una simulando praticamente come svolgere il
compito. Si può utilizzare anche un aiuto verbale, come semplici parole,
utilizzando sempre le stesse per una spiegazione, cercando di non usare i
sinonimi o un linguaggio che sia eccessivamente figurato.
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ABA (Applied Behavior Analysis)
 L’ABA (Applied Behavior Analysis) prende in considerazione quattro elementi:
 1. gli antecedenti, ossia tutto quello che anticipa il comportamento;
 2. il comportamento in esame che deve essere osservabile e calcolabile;
 3. le conseguenze, ovvero tutto quello che scaturisce dal comportamento in
esame;
 4. il contesto, che si riferisce sia al luogo, alle persone, materiali, attività o
momento del giorno, dove il comportamento si manifesta.
 Il programma d’intervento si realizza sulla base dei dati che emergono
dall’analisi, utilizzando le tecniche della sollecitazione (prompting), la
riduzione delle sollecitazioni (fading), il modellamento (modeling),
l’adattamento (shaping) e il rinforzo.