La stimolazione ormonale è il primo, fondamentale passaggio in un percorso di
procreazione medicalmente assistita (PMA). Ma è sicura? Che effetti ha sull’organismo
della futura mamma e del nascituro? Lo abbiamo chiesto al Prof. Marco Filicori,
Specialista in Ginecologia e Ostetricia (Università di Bologna) ed Endocrinologia della
Riproduzione (Massachusetts General Hospital, Harvard University), Direttore Centri
Medici GynePro; esperto a livello internazionale nei settori della Sterilità, della Medicina
della Riproduzione e della Procreazione Medicalmente Assistita (PMA).
Partiamo dall’inizio: qual è l’obiettivo della “stimolazione ormonale” quando si parla di fecondazione
assistita?
Lo scopo della stimolazione ormonale è portare a maturazione più follicoli ed avere a disposizione un
numero ottimale di ovociti, pronti per essere fecondati. Durante un ciclo naturale, infatti, matura un solo
follicolo e solitamente viene prodotto un unico ovocita; grazie all’aiuto della procreazione assistita si ottiene
invece una “superovulazione” che aumenta le possibilità che la cicogna riesca a spiccare il volo.
Quindi qualunque percorso di PMA prevede la somministrazione di ormoni…
La stimolazione è strettamente correlata alla tecnica che viene utilizzata: più leggera, per esempio, se si
ricorre all’inseminazione intrauterina (primo livello) dove i farmaci devono solo ottimizzare l’ovulazione,
senza però portare a maturazione un numero eccessivo di follicoli ed ovociti con il conseguente rischio di
una gravidanza multipla. E’ invece più “energica” con la PMA di secondo livello, e necessaria per eseguire
tecniche di fecondazione in-vitro, quali la FIVET e la ICSI per le quali devono venir prodotti più embrioni.
Con che farmaci viene effettuata la stimolazione e come vengono somministrati?
Il farmaco leader è l’ FSH (acronimo, in inglese, di ormone follicolo-stimolante), lo stesso ormone che nella
donna in età fertile ha la funzione di portare a maturazione uno o più follicoli. E’ somministrato per via
iniettiva, ma a dosi superiori di quelle prodotte durante un ciclo naturale, e viene affiancato anche dai
cosiddetti analoghi dell’ormone GnRH (Gonadotropin-Releasing Hormone, ormone che libera le
gonadotropine) che in un ciclo fisiologico controlla gli eventi che orchestrano l’ovulazione. La loro funzione:
evitare la rottura spontanea, ma prematura, dei follicoli che porterebbe ad una cancellazione del ciclo di
trattamento. Nel momento in cui i follicoli raggiungono una dimensione appropriata, all’aspirante mamma
viene somministrato anche l’hCG (human Chorionic Gonadotropin, gonadotropina corionica umana),
sostanza che induce la maturazione finale dell’ovocita, rendendolo disponibile alla fecondazione.
Vengono utilizzati in quantità standard o in rapporto al singolo caso?
Il loro uso è personalizzato sulla base di alcuni parametri. Il più importante: l’età materna, perché la fertilità
è inesorabilmente scandita da un orologio biologico che tiene conto del tempo che passa. Le naturali
funzioni dell’ovaio di una donna giovane, per esempio, rispondono di più alla stimolazione e ne sono
necessarie dosi inferiori. Se invece l’aspirante mamma è over 40, o se la sua riserva ovarica è ridotta
(questo dato può essere anche valutato con la misurazione nel sangue dell’ormone antimülleriano), occorre
una dose più energica, anche se calibrata rispetto a protocolli scientifici e a precise linee guida.
Gli effetti sull’ovulazione sono “a sorpresa” o vengono monitorati?
Nel corso dei cicli di PMA il ginecologo segue passo passo lo sviluppo dei follicoli e la loro maturazione,
mediante una serie di ecografie, in modo da controllare che il ciclo di stimolazione ovarica stia procedendo
correttamente. Vengono anche prelevati campioni di sangue per misurare il valore degli estrogeni
prodotti dai follicoli in evoluzione. Questo monitoraggio serve ad evitare “sorprese”: una scarsa risposta,
per esempio, che può richiedere un aumento della dose del farmaco, oppure un effetto eccessivo che, se
non controllato (con protocolli ad hoc), può portare a complicanze come ad esempio la cosiddetta
iperstimolazione ovarica.
Sono farmaci o sono ormoni? E come vengono preparati?
Certo, sono ormoni, ma sono gli stessi che circolano nel sangue di tutte le donne e di tutti gli uomini. Quel
che varia è solo la dose a cui vengono impiegati e la loro origine: alcuni sono estratti dalle urine di donne in
menopausa o in gravidanza, e proprio per questo sono gli stessi secreti dall’organismo femminile. Altri sono
invece prodotti con processi di sintesi e quindi altrettanto efficaci ma lievemente diversi da quelli secreti in
natura. Naturali o di sintesi, questi ormoni vanno però usati nei giorni in cui il follicolo ha bisogno di una
marcia in più per giungere a maturazione, ma in maniera mirata e controllata per ottimizzare i risultati ed
evitare il rischio di complicanze.
Quelli di origine umana possono riservare qualche sorpresa o possono dare effetti collaterali?
Tutti questi farmaci sono assolutamente sicuri perché subiscono sofisticati processi di purificazione che
eliminano eventuali microrganismi indesiderati. Nessun timore, perciò, che possano riservare sorprese: in
ben 50 anni di utilizzo su milioni di donne non si sono mai registrati casi di infezione, o di trasmissione di
qualche malattia, legati al loro uso. La stimolazione ormonale non è come qualcuno pensa erroneamente
“un bombardamento” ma un processo “amichevole” e, per di più, è una procedura la cui durata non supera i
15 giorni. Praticamente nulli, perciò, i rischi che i farmaci diano effetti collaterali indesiderati come aumento
di peso, mal di testa, nausea, o sbalzi d’umore. Un’eventuale tensione, o un po’ di nervosismo, durante
questa tappa per realizzare il “progetto bebè”, sono più facilmente riconducibili alla maggior sensibilità
emotiva e a quel pizzico di apprensione con cui ogni donna vive questa esperienza.
Alla lunga possono aumentare il rischio di tumore all’ovaio o al seno? Possono far male
all’embrione?
Sebbene qualche anno fa fosse stata ventilata l’ipotesi di un possibile collegamento tra queste patologie e la
stimolazione ovarica, studi più recenti non hanno confermato questo sospetto e rassicurato medici e
pazienti. Come già detto, si tratta di ormoni uguali a quelli prodotti naturalmente dalla donna e in
gravidanza e che comunque vengono eliminati entro poche ore o giorni. Nessun rischio quindi neppure per
l’embrione che viene trasferito nell’utero materno.
Preparano anche l’endometrio all’eventuale impianto dell’ovulo fecondato?
Sì, gli permettono di ispessirsi in modo da trasformarsi in una “culla ideale”. Nel corso della stimolazione, la
sua crescita viene però seguita con controlli ecografici per valutare in anticipo che abbia tutte le qualità per
accogliere al meglio l’embrione.
Quali sono le percentuali di successo, e quindi l’eventualità che la gravidanza prenda il via, con un
primo tentativo di PMA?
Dipende da molti fattori, tra i quali la qualità del centro di PMA a cui si rivolge la coppia, ma sicuramente
l’età materna ha un peso molto rilevante: più l’aspirante mamma è giovane, maggiori sono le percentuali di
successo. Con il passar degli anni, infatti, la qualità genetica degli ovociti declina e, se a 30 anni una donna
ha solo un 1/3 di cellule riproduttive che non sono idonee alla fecondazione, a 40 questa percentuale si
innalza ad almeno il 50%. Più alta, perciò, l’eventualità anche di aborti spontanei e, di conseguenza, un calo
delle probabilità che la PMA riesca laddove madre natura ha già messo un pesante limite. Stando alle
statistiche, infatti, se la donna è tra i 30 e i 35 anni le percentuali di successo sono attorno al 40%, se è
over 40 declinano sotto il 20% mentre se supera i 44 anni la percentuale di successo è molto scarsa.
Esiste un numero massimo di stimolazioni ormonali da effettuare, dopo di che è il caso di gettare la
spugna?
Non esiste un limite teorico perché le stimolazioni non influiscono negativamente sull’andamento della
fertilità e non inducono una menopausa precoce. Esiste però un limite legato alla tenuta psicologica
della coppia che, in caso di fallimenti ripetuti, può non riuscire più a portare avanti il progetto bebè con la
serenità necessaria. Al buon medico il compito di aiutarli, consigliarli ed evitare eventuali accanimenti
terapeutici… senza rimpianti.