Raccontare la Shoà: da tabù a scelta condivisa

Shalom.it
Raccontare la Shoà: da tabù a scelta condivisa
Contributed by Daniele Toscano
Wednesday, 23 October 2013
Come rendere viva la memoria è la sfida per le generazioni che verranno.
di Daniele Toscano
Sedici ottobre 1943, deportazione di 1024 ebrei romani. Nel 70° anniversario di questo triste evento, il ricordo di questa
data resta più che mai solido. Tuttavia, la conservazione della memoria della Shoà è passata attraverso varie fasi, da
quando era quasi un tabù nei primi anni del dopoguerra, alla più ampia condivisione in epoca recente, in cui si è
verificato un progressivo ampliarsi della partecipazione dei media, della cultura, delle istituzioni. Il compito è divenuto
dunque quello di comunicare alle nuove generazioni non un mero dato storico, quale può essere una data-chiave, ma i
valori che esso comporta. In altri termini, si tratta di rendere “viva” questa memoria. Molti studiosi,
appartenenti a diversi ambiti, si sono soffermati su questo tema.
Simon Levis Sullam, storico dell’università di Venezia Ca’Foscari e curatore della “Storia della
Shoà”, intervistato da Shalom, ha osservato che oggi viviamo in una fase in cui vi è una sorta di “religione
civile” della memoria, che si contrappone al silenzio dei primi decenni del dopoguerra, interrotto solo dal processo
Eichmann nel 1961 che ha aperto l’era dei testimoni. Negli anni ’80, la Shoà è entrata nella cultura
popolare, fino alla svolta degli anni 2000, in cui la memoria è stata imposta per legge. Di fronte alla inevitabile scomparsa
dei testimoni diretti, la memoria deve affidarsi all’indagine delle cause, alla ricostruzione dei fatti storici. Il ricordo
del 16 ottobre, quindi, deve evocare un significato universale: il fenomeno della Shoà ha riguardato l’intera società,
per questo oggi ricordare significa impegnarsi a combattere non solo l’antisemitismo, ma una molteplicità di
fenomeni, come l’intolleranza in generale, partendo dalle stesse cause che possono originarli.
Saul Meghnagi, pedagogista, ha citato lo psicologo statunitense Ulrich Neisser per dare un’idea di cosa sia stato
il 16 ottobre per gli ebrei romani: lo studioso americano divide le registrazioni della memoria in “istantanee”
ed “incisioni”, indicando con queste ultime gli episodi che restano indelebili. Proprio le
“incisioni” costituiscono il giusto concetto per esprimere il significato della Shoà per il popolo ebraico e la
Shoà, per gli ebrei romani, è il 16 ottobre: la tragedia si è svolta attorno a quel giorno. Il modo per trasmettere il significato
profondo che riveste questa data può essere quello di porsi il quesito di come uomini appartenenti ad una società evoluta
abbiano potuto progettare questo; è necessario ragionare sulla convivenza civile, sulla natura umana che controlla questi
processi.
Daniele Garrone, professore di Antico Testamento alla Facoltà valdese di teologia, ha trattato in molteplici occasioni il
tema della memoria della Shoà: essa costituisce un elemento intrinseco alla sua stessa formazione, avvenuta presso la
scuola ebraica di Torino. Appartenente alla minoranza valdese, ha sin da subito appreso che era necessario coltivare
questo ricordo non solo per poter consolidare la democrazia nel nostro Paese, ma anche per essere persone umane, per
poter sviluppare un impegno civile responsabile. Il 16 ottobre deve essere dunque un punto di partenza per far notare ai
giovani ciò che avvenne in Italia sin dal 1938, quando le leggi razziali furono introdotte ben prima dell’invasione
tedesca, senza suscitare grande turbamento e lasciando un problema di coscienza, visto che rimasero sostanzialmente
incontrastate.
Il rischio è quello di fare della memoria qualcosa di troppo grande, che può non avere più nessun aggancio con ciò che
accade nella realtà del presente. Pertanto, secondo Garrone, è fondamentale che per mantenere viva questa memoria
oggi si indaghi a partire dal piccolo, specie a fronte della fisiologica perdita dei testimoni di queste vicende. I ragazzi
quindi devono visitare Auschwitz e conoscere cosa sono stati i campi di sterminio, ma non devono dimenticare che chi
ha perso là la propria vita è stato deportato il 16 ottobre 1943 proprio dalla loro stessa città o dal loro stesso quartiere,
lontanissimo da Auschwitz.
Daniele Toscano
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