a p ER © studio patrizia novajra s Ta g iO N Ph - Alexander Shapunov E Il brindisi al termine del concerto sarà gentilmente offerto da: Zorzettig Vini di Spessa di Cividale, Udine Panificio Pasticceria Bacchetti, Udine Prosciuttificio artigianale Bagatto, San Daniele del Friuli i La London Symphony Orchestra è considerata una delle migliori orchestre al mondo. Fin dalla sua formazione, avvenuta nel 1904, la LSO è stata diretta da tutti i più grandi direttori di ogni epoca. Attualmente la LSO vanta una lista di collaborazioni con solisti e direttori di orchestra di assoluto livello, inclusi il Direttore Principale Valery Gergiev e il Direttore Laureato Andrè Previn; Daniel Harding e Michael Tilson Thomas sono i Direttori Ospiti Principali. Bernard Haitink, Pierre Boulez e Sir Simon Rattle sono ospiti regolari dell’orchestra. La LSO è l’Orchestra Residente del Barbican di Londra. Offre al pubblico londinese oltre 70 concerti all’anno e ulteriori 70 concerti in tour. L’Orchestra vanta, inoltre, una residenza annuale presso il Lincoln Center di New York ed è l’Orchestra Residente internazionale della Salle Pleyel di Parigi; si esibisce regolarmente in Estremo Oriente così come nelle più importanti città europee. Oltre all’attività svolta nelle sale da concerto, la LSO si dedica a sistematici e innovativi programmi di istruzione musicale per la comunità, a una casa discografica, a un centro di educazione musicale e a un intenso lavoro nel campo della musica digitale. Fino ad oggi, la LSO Live ha pubblicato più di 100 registrazioni che hanno vinto numerosi premi tra i quali Grammy, premi Gramophone e Classical Brit. d wagneriane Das Rheingold, Die Walküre e Parsifal. Vincitore di innumerevoli premi - ricordiamo il “People’s Artist of Russia”, il “Dmitri Šostakovi Award”, il “Polar Music Prize” - Valery Gergiev è stato nominato in Olanda “Knight of the Order of the Dutch Lion”, è stato insignito in Giappone de “L’Ordine del Sole Nascente” e della “Legione d’Onore” francese. a Valery Gergiev è Direttore Principale della London Symphony Orchestra dal 2007, che dirige dal podio del Barbican di Londra, ai BBC Proms e all’Edinburgh International Festival, nonché in lunghe tournée mondiali. In qualità, dal 1988, di Direttore Artistico e Generale del Teatro Mariinsky di San Pietroburgo, ha diretto il Balletto, le Opere e i concerti dell’Orchestra di questo Teatro in oltre quarantacinque nazioni. È Direttore Principale della World Orchestra for Peace e nel 2016 assumerà il medesimo incarico con i Münchner Philharmoniker. È fondatore e Direttore Artistico del Festival Stelle delle Notti Bianche e del New Horizons Festival a San Pietroburgo, del Moscow Easter Festival, del Gergiev Rotterdam Festival e del Mikkeli International Festival. Gergiev ha diretto innumerevoli cicli di concerti dedicati ad un unico compositore Berlioz, Brahms, Dutilleux, Mahler, Prokof’ev, Šostakovi , Stravinskij, ajkovskij e Wagner -, in capitali culturali internazionali, divulgando, contemporaneamente, nelle sale di tutto il mondo, la conoscenza di alcune opere russe di rara esecuzione. I suoi progetti per il futuro includono la celebrazione al Mariinsky del 175° anniversario della nascita di ajkovskij e l’impegno alla ajkovskij International Competition a San Pietroburgo e Mosca, concorso nel quale riveste la carica di Presidente del Comitato organizzativo. È inoltre Presidente Onorario dell’Edinburgh International Festival e Preside della Facoltà delle Arti all’Università di Stato di San Pietroburgo. Le registrazioni di Gergiev per l’etichetta LSO Live e per la Mariinsky Label sono ovunque pluripremiate. Tra le uscite più recenti per la LSO Live ricordiamo lo Stabat Mater e l’integrale dei lavori sinfonici di Szymanowski; il Requiem e le Sinfonie complete di Brahms; le Sinfonie di ajkovskij e Mahler. Per la Mariinsky Label ha recentemente registrato in DVD il balletto Romeo e Giulietta e l’opera Il giocatore di Prokof’ev; le Sinfonie n. 4, 5, 6 e 8 di Šostakovi e le opere R più catastrofico, non certo ironico-motorio. Il rondò finale, Allegro giocoso, esordisce con un’introduzione dal tono riflessivo che confluisce su una citazione del tema principale del primo tempo. Ma questo umore pensoso è spazzato via da motivetti allegri che, con l’eccezione di un episodio dal carattere nuovamente cupo, conducono la Sinfonia ad una brillante ma non ironica conclusione. La Quinta avrebbe incontrato grandissimo successo non solo in patria - dove nel ’46 si aggiudicò il prestigioso premio «Stalin» - ma anche sui palcoscenici europei e statunitensi. Appare tuttavia arduo offrirne una lettura univoca in chiave storica senza correre il rischio di scadere in un aprioristico ideologismo (filo - od anti-comunista) che strumentalizza l’opera d’arte trasformandola in un manifesto propagandistico dell’una o dell’altra fazione. Quel che sembra più sicuro è che la sua indiscussa qualità artistica costituisce in sé una testimonianza etica ed interiore delle dichiarate aspirazioni di Prokof’ev, capace in sé di prescindere da attribuzioni politiche quali che siano: «ho concepito [la Quinta] come la sinfonia della grandezza dello spirito umano, come un inno all’uomo libero e felice». Testi di Gianni Ruffin Tu nello Scherzo, luogo deputato a tali effetti fin dal nome). Per quanto riguarda i contenuti musicali della Quinta, essi offrono un ottimo esempio di cosa potesse significare comporre per un autore del Novecento che intendesse riallacciarsi alla tradizione storico-musicale senza, al tempo stesso, accontentarsi di un ruolo epigonale. A patto di dimenticarne i connotati originari quali l’ironia dissacrante ed il settecentismo, in tal senso risulta ancora pertinente il ricorso al termine “neoclassicismo”. In effetti, se di Settecento si può parlare relativamente alla Quinta, è solo rispetto all’astratta strutturazione generale, i cui consueti quattro movimenti non rispecchiano le caratteristiche della sinfonia classico-ottocentesca, avvicinandosi semmai, con un’alternanza di tempi lenti e veloci, a tipologie barocche. Nella specificità dell’invenzione sonora, invece, il primo tempo, Andante, parla una lingua autonoma, procedendo attraverso la misurata giustapposizione e variazione di due temi principali dal profilo affatto personale: il primo dal carattere cupo e solenne (condotto a duplice climax nella grandiosa coda), il secondo più disteso e solare. Il linguaggio sardonico del primo Prokof’ev ritorna invece nel secondo tempo, Allegro marcato: uno scherzo nella classica forma ABA, caratterizzato da marcata ritmicità, percorso da motivetti impertinenti che lasciano spazio nella sezione centrale ad un episodio più rilassato e che nella ripresa sono soggetti a modifiche di sapore clownesco. L’esordio dell’Adagio sperimenta sonorità di tutt’altro tipo, caratterizzate da un lirismo sobrio ed un po’ cupo, dalle dense sonorità condotte su dinamiche perlopiù ridotte. Originale è anche il linguaggio della sezione centrale che, pur riprendendo andamenti di marcia (potenziali ingredienti della prima maniera prokof’eviana), li declina in un senso grandioso e tutt’al mercoledì 24 settembre 2014 ore 20.45 CONCERTO EVENTO ajkovskij, Ouverture-fantasia “Romeo e Giulietta” Pëtr Il’i ajkovskij (1840-1893) Ouverture-fantasia Romeo e Giulietta Andante non tanto, quasi moderato - Allegro - Molto meno mosso Allegro giusto - Moderato assai Sergej Prokof’ev (1891-1953) Sinfonia n. 1 in re maggiore op. 25 “Classica” 1. Allegro 2. Larghetto 3. Gavotta. Non troppo allegro 4. Finale. Molto vivace *** Sergej Prokof’ev Sinfonia n. 5 in si bemolle maggiore op. 100 1. Andante 2. Allegro marcato 3. Adagio 4. Allegro giocoso Composta in tre successive versioni (del 1869, 1870 e 1880) e portata all’esordio con ben sei anni di ritardo (maggio 1886), l’OuvertureFantasia Romeo e Giulietta venne dedicata da ajkovskij a Milij Balakirev - che a Mosca, dall’estate 1869, aveva avuto modo di frequentare il compositore, incoraggiandolo a cimentarsi con un lavoro d’ispirazione scespiriana - e s’impose ben presto nel repertorio sinfonico fino ad esserne pressoché unanimemente considerata come il primo pieno capolavoro. In un autore come ajkovskij, di frequente caratterizzato da una certa ridondanza, la linearità d’articolazione esibita dalla nostra Ouverture-Fantasia può stupire. Il brano è, infatti, organizzato secondo lo schema formasonatistico, adattato in reciproca corrispondenza agli elementi drammatici desunti dal testo della tragedia scespiriana: l’introduzione lenta impiega lo stile di corale e si tinge di armonie modaleggianti (ovvero riecheggia lo stile di chiesa) in quanto associata alla figura di frate Lorenzo; il successivo tema, Allegro, dai caratteristici scossoni dinamico-motivici, corrisponde al primo tema della forma-sonata e al tempo stesso definisce gli scontri («la rissa») fra i due clan nemici dei Capuleti e Montecchi; lo stesso elemento serve per il ponte modulante, che dopo i propri tumultuosi sobbalzi si acquieta per presentare l’intenso secondo tema («dolce ma sensibile» nelle parole di ajkovskij), associato all’amore di Romeo e Giulietta. Il protratto distendersi dei motivi musicali associati agl’innamorati appare sì, per una volta, ridondante, ma perfettamente motivato dalla ragione espressiva: i due giovani sono irretiti nell’incanto della loro unione e l’estesa oasi sonora serve a rendere un senso estatico d’oblio del tempo e d’isolamento rispetto al mondo ostile. Lo sviluppo (che nella costruzione formale è momento dinamico per eccellenza) non può che essere associato ai tumulti delle fazioni nemiche, occasionalmente associati alla “voce” di padre Lorenzo, che cerca inutilmente di sedarli. Ma l’apoteosi è riservata al tema lirico di Giulietta e Romeo: un grande crescendo conduce alla climax emotiva dell’opera con il tema principale degl’innamorati intonato a piena voce dagli archi. Brutali, a spezzare l’incanto, tornano in causa i temi del conflitto, cui inutilmente si oppone il tema di frate Lorenzo, in un episodio che si conclude con un’immagine di morte ed una pausa generale cui segue, punteggiata dai rintocchi lugubri del timpano, l’eco straziata del tema d’amore nell’incipiente coda. Ma per un romantico, persino se tragicamente pessimista come ajkovskij, la feroce vittoria dell’ottusa violenza che alberga ed impera nel mondo è in fondo necessaria tanto quanto illusoria: prima degli ultimi tragici accordi che concludono la composizione pessimisticamente, sottolineando il trionfo dell’odio cieco e distruttivo, la coda apre uno squarcio luminoso nel tessuto sonoro dando spazio ad una regressiva e fascinosa voce consolatoria: la musica prosegue con una sorta di benedizione da parte di Frate Lorenzo ed il ricordo della felicità amorosa torna un’ultima volta, trasfigurato in un’aura d’apoteosi, a suggerirci che, per il solo fatto d’aver condiviso il dono d’un amore assoluto, quella dei due innamorati è, in fondo e nonostante tutto, una vittoria. Prokof’ev, Sinfonie n. 1 e n. 5 Siamo soliti considerare il cosiddetto neoclassicismo come un fenomeno storicomusicale che si afferma - dagli anni ’20 del Novecento - in drastica e provocatoria rottura con i lasciti del periodo simbolista-decadente, considerato quale estremo approdo della tradizione ottocentesca. Non a caso, in effetti, almeno nella sua prima fase la reazione neoclassica pose quale parola d’ordine il ritorno al Settecento, inteso quale garanzia di definitivo allontanamento dal languore, dal rovello interiore, dal sentimentalismo che avrebbero dominato la musica ottocentesca. La centralità storica di una sinfonia come la Classica di Prokof’ev si misura dunque in due principali aspetti: innanzitutto per l’anticipo rispetto all’epoca del neoclassicismo (concepita nel 1916, è completata il 10 settembre 1917 e portata all’esordio a San Pietroburgo il 21 aprile 1918) e, secondariamente, per il fatto di puntare su aspetti stilistici ed espressivi antitetici alla tendenza dominante (ancor per poco), ben evidenti nella dichiarata intenzione prokof’eviana di rifarsi al modello - leggero, spiritoso, brillante - di Haydn. Ma questo stesso rivolgersi all’antico costituisce (come sarà in Stravinskij e come invece non sarà in molti autori che volgeranno lo sguardo al Settecento) al tempo stesso solo una parte di una concezione che non rinnega il presente e che, coerentemente, guarda al passato nella piena consapevolezza che esso è, appunto, irrimediabilmente trascorso. Di tale consapevolezza parla chiaramente la spiegazione della Sinfonia “Classica” lasciata da Prokof’ev: «se Haydn fosse vissuto ai nostri giorni, egli avrebbe parte del suo vecchio stile, pur accettando nello stesso tempo qualcosa di nuovo». La Classica nasce dunque non dalla semplice idea di un ritorno ad Haydn, ma dalla fantasticheria di una sua riapparizione novecentesca, manifestantesi attraverso la penna di Prokof’ev. Questa sinfonia non è un esercizio di stile né una composizione accademica: essa non si limita a riprodurre lo stile del modello ma si serve di espedienti che rendono tale adesione bizzarra ed enigmatica. Ciò in forza del fatto che, al fianco dei disseminati stilemi settecenteschi - il diatonismo dei profili tematici, la regolarità delle fraseologie, la calibrata disposizione degli episodi, perfino la ripresa di standard formali settecenteschi (la Gavotta) -, Prokof’ev sfrutta anche aspetti di ben più recente acquisizione storica quali gli improvvisi scarti armonici che sopraggiungono di frequente a rivestire d’un sapore straniato e sottilmente ironico l’amabile giocosità di matrice haydniana. Ne risulta una musica che, come il Pulcinella di Stravinskij, richiama il modello settecentesco ed al tempo stesso se ne distanzia: una musica ambigua, che sembra porre degli stabili punti di riferimento solo per negarli con maggior evidenza, lasciando intravvedere, dietro il proprio tono sorridente, una consapevolezza ben più inquietante sulla crisi degli stili storici e sulla problematicità del da farsi nel presente. *** Un intento coltivato da Prokof’ev con la Sinfonia “Classica” era stato quello di «gettare nello scompiglio le oche», cioè spiazzare l’ambiente accademico moscovita. Il tempo tuttavia passava anche per Prokof’ev e per la storia della cultura (musicale e non) dell’Unione Sovietica: di ritorno in patria dopo il lungo periodo trascorso all’estero (dal 1918 al 1936), Prokof’ev trovò una situazione totalmente diversa da quella che aveva lasciato quasi vent’anni prima; ben poco incline all’iconoclastia artistica e, per contro, favorevole ad un’arte socialmente impegnata nel senso del cosiddetto realismo socialista. Cosa possano significare parole come “impegno sociale” e “realismo” (socialista o meno) in un’arte in prevalenza asemantica o quantomeno dall’espressività ambivalente come la musica non è cosa che possa spiegarsi in poche parole, ma almeno si può dire che la temperie sociale e culturale di un’epoca di guerra (la Quinta sinfonia fu composta in un solo mese, nell’estate 1944 e portata all’esordio dallo stesso autore il 13 gennaio 1945 presso la Sala Grande del Conservatorio di Mosca) poteva lasciar adito ai toni irriverenti e scanzonati della Classica solo in minima parte (guarda caso proprio