Medicina e Storia 2_2005.p65

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La “clinica col metro”.
L’antropometria di Achille De Giovanni (1838-1916)
ANGELO ALBRIZIO
Riassunto
Sebbene come tecnica di misurazione del corpo l’antropometria fosse praticata
sin dall'antichità, ancora in età umanistica e rinascimentale il suo utilizzo restava
prevalentemente confinato nell'ambito delle arti figurative. Tra la seconda metà
del XVIII e la prima metà del XIX secolo essa divenne uno ‘strumento’
largamente impiegato, dai naturalisti prima e dall'antropologia poi, per svolgere
indagini sull’uomo e le sue principali caratteristiche morfologiche. Tuttavia,
soltanto nella seconda parte del XIX secolo essa cominciò a trovare alcune
applicazioni in medicina. Questo lavoro si propone di mettere in luce il
ruolo svolto da Achille De Giovanni, padre della medicina costituzionalistica
in Italia, nell'introduzione sistematica dell'antropometria in ambito clinico
non solo a scopo descrittivo ma soprattutto preventivo e terapeutico.
Impiegando una serie di strumenti antropometrici e metodi di misurazione
da lui stesso appositamente ideati, egli elaborò un metodo per determinare
il valore morfologico individuale. La sua ambizione fu quella di trasformare
la clinica, attraverso il supporto dei numeri e delle misure, da metodo
empirico in scienza esatta.
Misurare l’uomo: dall’antropologia all’antropometria clinica
L’utilizzo sistematico dell’antropometria, scienza che si occupa di misurare il corpo umano nella sua totalità o nelle sue differenti componenti
morfologiche, rappresenta l’idea fondamentale proposta da Achille De Giovanni1 come strumento di conoscenza clinica e di applicazione terapeutica.
Achille De Giovanni, nato a Sabbioneta nel 1838, ottenne la cattedra di Clinica medica all’Università di Padova nel 1879, reggendola per circa quarant’anni. Ispirandosi dichiaratamente alle più
antiche correnti del pensiero filosofico e naturalistico che arrivano fino a Ippocrate e alla sua dottrina
unitaria dei temperamenti e degli umori, considerava l’uomo nella sua complessità e riservava
un’attenzione assolutamente particolare alla costituzione individuale. Egli è considerato il fondatore della medicina costituzionalistica italiana. Dalla sua attività clinica, scientifica e accademica sorse
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Sebbene come tecnica di misurazione del corpo essa fosse già praticata sin
dall’antichità, il suo utilizzo restava per lo più confinato nell’ambito delle arti
figurative. La sua ‘storia clinica’ non andava molto lontano nel passato.
Effettivamente, non sembra che in epoca antica e durante il medioevo i
medici avessero l’abitudine di misurare i pazienti e furono gli artisti, in particolar
modo gli scultori, ad approfondire lo studio delle forme umane nella ricerca
dei canoni estetici per la costruzione di modelli di perfezione e di armonia.
Ancora in età umanistica e rinascimentale, i suoi scopi erano prevalentemente
artistici, come in Leon Battista Alberti (1404-1472) o Leonardo da Vinci (14521519), che nel Trattato della pittura elaborò i famosi “canoni” antropometrici
che derivavano da una lunga esperienza negli studi anatomici, e Albrecht Dürer
(1471-1528), “uno dei pionieri dell’antropometria”2.
Quando nel 1870 Adolphe Quetelet (1796-1874), che aveva frequentato
l’atelier di un pittore prima di passare alle scienze matematiche accettando
una cattedra all’Athénée Royal di Gand, pubblicò la sua Anthropométrie ou mesure
des différentes facultés de l’homme, cercando di ricostruirne le origini, non potè
non far riferimento alla perfezione raggiunta dagli Anciens che “avaient des
notions plus exactes que les modernes sur la théorie des proportions
humaines”3. Egli si spinse fino al Silpi Sastri sanscrito, nel quale il corpo umano veniva suddiviso in 480 parti, e allo schema sulle proporzioni umane di
Policleto e il suo celebre “canone”. Quetelet contribuì in modo decisivo allo
sviluppo dell’antropologia quantitativa e dell’antropometria nella seconda
metà del XIX secolo. Il suo homme moyen e la sua “legge binominale”, espressa graficamente dalla curva a campana e già applicata alla fisica sociale e alla
statistica morale, si imposero presto come riferimento per tutta la classificazione antropometrica. Il suo testo fu celebrato come vero e proprio “trionfo
delle matematiche”4.
Soltanto nel XVIII secolo l’antropometria aveva cominciato ad affermarsi
anche in ambito scientifico. Abbandonato il meccanicismo di matrice cartesiana
che, istituendo una differenza qualitativa tra gli animali e la specie umana
aveva a lungo isolato quest’ultima dall’indagine naturalistica, si profilava la
una vera e propria scuola che ebbe seguito soprattutto in Giacinto Viola (1870-1943), Pietro Castellino (1864-1933), Luigi Messedaglia (1874-1956) e Nicola Pende (1880-1970). Sulla vita si veda
Galdi, 1926; Gasbarrini, 1952; Agosta del Forte, 1978. Sugli sviluppi del costituzionalismo in Italia
si veda Federspil, 1989; Bonuzzi, 1999.
2
Gysel, 1997, p. 100.
3
Quetelet, 1870, p. 33.
4
Pogliano, 1986, p. 64.
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ANGELO ALBRIZIO - LA “CLINICA COL METRO”
possibilità di fare ricerche quantitative anche sull’uomo, in quanto oggetto
naturale. In effetti, l’anatomia comparata aveva già da tempo messo in evidenza che tra l’uomo e alcune scimmie antropomorfe vi erano analogie significative.
Per il compimento di questo processo di mondanizzazione dell’uomo fu
determinante la classificazione della specie umana all’interno del regno animale, la cui continuità fu definitivamente sancita da Linneo quando, nella decima edizione del Systema naturae, cancellò la linea di demarcazione, già
labilissima, che ancora esisteva tra la nostra specie e le scimmie5.
Il passaggio dalla fisiognomica tradizionale settecentesca alla craniologia
comparata, ovvero dallo studio dei caratteri mobili del volto all’analisi dei caratteri rigidi del cranio, rappresenta un esempio emblematico dell’esigenza di
indagare l’uomo non solo da un punto di vista prettamente qualitativo ma
anche e soprattutto quantitativo. Era stato Johann Caspar Lavater (1741-1801),
con la pubblicazione dei Physiognomische Fragmente comparsi tra il 1775 e il 1778,
ad intuire per primo che se la fisiognomica ambiva a conquistare un posto tra
le scienze doveva svilupparsi su basi più certe. Ma fu Johann Friedrich
Blumenbach (1752-1840) a muovere i primi passi in questa direzione attraverso un minuzioso lavoro pubblicato nel 1777, De generis humani varietate nativa,
nel quale presentava un’analisi comparativa di crani provenienti da ogni regione della terra. Si inaugurava la “stagione dei misuratori”6, i quali, convinti che
i numeri parlassero da soli, introdussero nell’indagine del corpo umano le
metodologie tipiche della matematica, della geometria e della statistica. Gli
antropologi, il cui interesse si focalizzò prevalemtemente sul cranio, si dedicarono a meticolose misurazioni diventando “antropometri”7. Furono così realizzati i primi ‘strumenti’: nel 1764, Louis Jean-Marie Daubenton (1716-1800)
introdusse l’angolo occipitale, e qualche anno dopo Peter Camper (1722-1789)
utilizzò per la prima volta l’angolo facciale.
Intorno alla metà del XIX secolo, Paul Pierre Broca (1824-1880) fondò
una nuova Société d’Anthropologie, istituì un laboratorio e una scuola di antropologia e avviò la Revue d’Anthropologie. Rispondendo all’esigenza metrica imperante, Broca si propose di semplificare e uniformare i criteri per il rilievo
delle misure del cranio, ideando insieme procedure e strumenti speciali. Nel
1861, presentò alla Société d’Anthropologie un nuovo strumento, il craniografo,
che permetteva di disegnare attraverso proiezioni geometriche i contorni del
Cfr. Barsanti, 1986, p. 17.
Canestrini, 1998, p. 291.
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Ivi.
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cranio. La Francia divenne, così, il paese di riferimento per gli studi antropologici. In Italia, la prima cattedra di antropologia fu istituita a Firenze nel
1870 e assegnata a Paolo Mantegazza (1831-1910). Tuttavia, fino alla fine del
XIX secolo, gli studi antropometrici furono prevalentemente frutto di iniziative private: un Istituto antropologico fondato a Livorno nel 1897 da Giuseppe Marina e un Gabinetto di Antropologia istituito ad Arona nel 1899 da
Costantino Melzi8. Sul finire del XIX secolo l’antropometria cominciò ad
interessare diversi altri ambiti di ricerca, dall’antropologia criminale
all’antropometria segnaletica, dall’antropometria militare alla medicina clinica9. Nel clima positivistico del XIX secolo, tutto poteva e doveva essere
misurato. In tutte le scienze divennero ricorrenti termini come correlazioni,
valori seriali, indici, curve di variabilità e altri concetti matematici che avevano avuto origine principalmente nel laboratorio antropometrico fondato da
Francis Galton (1822-1911) nel 1884 presso il South Kensington Museum di
Londra, e al cui confronto “impallidivano le vecchie tabelle craniologiche”10.
Sebbene nella seconda metà del XIX secolo Quetelet avesse dato un nuovo
forte impulso agli studi antropometrici, “il campo della patologia rimase completamente estraneo alle sue ricerche”11. In verità, in quegli anni l’anatomopatologo tedesco Friedrich Wilhelm Beneke (1824-1882), uno dei principali
fautori del movimento costituzionalistico moderno, stava conducendo una
serie di indagini di antropometria viscerale su cadaveri messe in rapporto con
alcune misure esterne (il peso e la statura). Tuttavia, pur contribuendo in modo
significativo allo sviluppo del concetto di costituzione in relazione con quello
di morbilità12, il metodo proposto da Beneke risultava “inservibile” alla clinica in quanto non permetteva di riconoscere, “durante la vita”13, il terreno
individuale sul quale la malattia si era sviluppata. Con De Giovanni, invece,
l’antropometria acquistava un valore assolutamente nuovo: essa era impiegata
sistematicamente in ambito clinico non solo a scopo descrittivo ma anche a
fini diagnostici, preventivi e terapeutici, per cui egli è stato considerato il fondatore dell’antropometria clinica14 e un precursore dell’antropologia clinica15.
Vedi Pogliano, 1986, pp. 68-69.
Cfr, Landogna Cassone, 1950; Drusini, 1986.
10
Pogliano, 1986, p. 62. Su Galton, vedi Bulmer, 2003.
11
Viola, 1902, p. 2.
12
Cfr., Premuda, 1975, p. 242.
13
Viola, 1902, pp. 18-21.
14
Cfr. Landogna Cassone, 1955, p. 136.
15
Cfr. Martiny, et al., 1982.
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ANGELO ALBRIZIO - LA “CLINICA COL METRO”
In realtà, già nel 1654 a Padova, era apparso un piccolo manuale “De
mutua membrorum proporzione” il cui titolo era Anthropometria16. Il suo autore, il naturalista Johann Sigismund Elsholtz (1623-1688), probabilmente il primo ad utilizzare questo termine, ne proponeva alcune applicazioni anche in
medicina17. Nel capitolo I egli definiva chiaramente l’oggetto del suo lavoro: le
misure, e non i pesi, effettuate sulle differenti parti esterne del corpo umano
attraverso l’utilizzo di un filo o di una corda, una cintura, un compasso e uno
strumento chiamato anthropometron18, “antenato dell’antropometro verticale”19.
A Giacinto Viola, allievo di De Giovanni, sembrò che l’opera del suo maestro
e quella di Elsholtz, fossero caratterizzate dallo stesso “intento tutto clinico”:
Ci parrebbe adunque che in questo indirizzo, segnatamente poi nella
introduzione dell’uso dell’antropometria largamente in clinica, a scopo
fisiognostico, spetti a De Giovanni indiscusso il merito di priorità. Invece fu
grande la mia sorpresa quando ebbi a conoscere che proprio qui in Padova,
dove egli aveva da oltre vent’anni fondata la sua scuola di piena sua originale
iniziativa, fin dal secolo XVII erasi pubblicata l’opera di un suo precursore.
[…]. Anche l’autore secentista ha evitato di far risultare nel titolo l’intento
tutto clinico della sua opera20.
Effettivamente, De Giovanni non cita nella Morfologia del corpo umano del
1891, il suo testo principale, l’opera di Elsholtz. Viola stesso fu sorpreso dal
fatto “che l’identità dello scopo aveva spinto due secoli or sono questo autore alla scelta di quelle stesse identiche misure del corpo umano, cui precisamente fu data la preferenza ai nostri giorni dal De Giovanni, ignaro del suo
predecessore”21. Tuttavia, nel 1879, De Giovanni aveva fatto riferimento ad
alcuni studiosi che avevano condotto in passato ricerche antropometriche e i
cui “pregievoli dati” potevano contribuire a far “convergere l’antropometria
agli scopi clinici”22. Il primo nome della lista era proprio Helsholtz23.
Il volume ebbe due successive edizioni, nel 1663 e nel 1672.
Cfr. Viola, 1904, p. 44; Pogliano, 1986, p. 62.
18
Il capitolo IX, Quid corpus proportionatum sit, et quomodo mensurandum, comprende un’incisione
nella quale è rappresentato un antropometro molto simile a quelli utilizzati nel XIX secolo per la
misurazione della statura.
19
Barsanti, 1986, p. 27.
20
Viola, 1902, p. 5.
21
Ivi, p. 6.
22
De Giovanni, 1879, p. 14.
23
Il fatto che lo stesso Quetelet nella sua Anthropométrie del 1870 non citasse Elsholtz può essere
un motivo per ritenere che la sua Anthropometria, nella seconda metà del XIX secolo, fosse effettivamente un testo poco noto.
16
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Il metodo antropometrico-clinico di Achille De Giovanni
Con Claude Bernard (1813-1878), “un dottore in medicina che non ha
mai curato un malato”24, la dicotomia tra nouvelle médecine e medicina clinica
riportava in primo piano il problema della individualità del paziente. I clinici,
in particolar modo, erano consapevoli che il singolo caso non sempre si prestava ad essere inquadrato nei modelli esplicativi della malattia che derivavano
dalla nuova medicina sperimentale. La pratica quotidiana mostrava continuamente che nella realtà si incontrano solo individui malati, e che non vi sono
due casi perfettamente uguali. Era evidente un decalage tra la malattia intesa
come entità generale e astratta e il singolo processo patologico che si sviluppa
nell’individuo malato, evento biologico unico e irripetibile25. Viola esprime
chiaramente questo momento storico:
È in questo momento che si è sentito (e ancora una volta da un clinico) che
un ultimo e definitivo passo era rimasto da compiere per toccare finalmente
la meta cui tendeva da secoli la medicina, l’individuo ammalato. E De Giovanni
fondò a Padova l’indirizzo individualistico della medicina che a mezzo della
dottrina della costituzione deve colmare quest’ultima distanza, che oggi ancora
esiste, fra la malattia, ente astratto e generico, e il malato, ente concreto e
individuale, la sola e vera e unica realtà26.
Partendo da “un fatto della più volgare osservazione”, che la stessa malattia poteva assumere nei diversi individui “parvenze cliniche differenti”27,
De Giovanni invitava la medicina a riconoscere le reali condizioni di ogni
specifico organismo e il processo patologico che in esso si era sviluppato:
Ogni essere organizzato è l’insieme di parti di apparecchi speciali, che stanno fra
di loro in rapporto morfologico e fisiologico. Nessuna di queste parti può
modificarsi senza che le altre non si modifichino di conseguenza, perché la
correlazione funzionale degli apparecchi è legge che mantiene l’organismo nella
sua interezza. Però devono esistere fra di esse tali rapporti per cui note le une si
possono arguire le altre. Noto il grado di sviluppo delle differenti parti del corpo
e stabilito il rapporto in cui si trovano, si può concludere sullo stato di armonia, o
disarmonia morfologica, od altrimenti, sulla costituzione individuale28.
Grmek, 1998, p. 235.
Si veda Federspil, 1980; Fantini, 2004.
26
Viola, 1932, p. 29.
27
De Giovanni, 1904, p. 13.
28
Ivi, p. 21.
24
25
10
ANGELO ALBRIZIO - LA “CLINICA COL METRO”
Da questa definizione di costituzione individuale, De Giovanni deriva
tutta la sua concezione della patologia. Se il valore funzionale dell’organismo
è determinato dalla sua specificità morfologica, tutto ciò che nell’individuo
determina una disarmonia delle parti, ereditaria o acquisita, è o può essere
fonte di “morbilità”. La ragione profonda del fenomeno patologico si nascondeva nella costituzione dell’organismo. De Giovanni, in quella che definiva “sprezzantemente” 29 era pasteuriana, attaccava gli eccessi della
microbiologia che pretendeva di spiegare tutto “colla sola conoscenza del
microbo”30. Lo studio della morfologia del corpo umano non aveva, in questa
prospettiva, finalità puramente descrittive. L’interesse per l’antropometria nasceva dalla convinzione che essa potesse essere uno ‘strumento’ utile a svelare le
cause profonde delle patologie umane, quelle disarmonie morfologiche nelle quali
si genera la predisposizione31 alla malattia. Misurare significava per De Giovanni
cominciare a ‘curare’. La medicina doveva essere “anzi tutto preventiva”32 .
Individuando nella speciale morfologia dell’individuo la causa della sua
“speciale morbilità”, egli riteneva di poter indicare i modi in cui essa poteva
essere “tolta di mezzo, od attutita, la sua efficienza”33. Per lo stretto rapporto
di dipendenza tra la morfologia e la fisiologia, modificando la struttura si correggeva la funzione. Per De Giovanni la costituzione non è un attributo dell’organismo dato una volta per tutte; essa può modificarsi, o essere modificata, soprattutto nel corso dello sviluppo, ma anche durante altre fasi della vita.
La sua lunga esperienza clinica aveva mostrato come fosse “sorprendente”, in
alcuni casi, osservare mutamenti scheletrici e fisiologici “seguiti da insensibili
prima poi profonde alterazioni nutritive costituzionali e da infermità”34.
Il lavoro di De Giovanni consisteva nel mettere in relazione la morfologia
con la patologia, stabilendone ‘scientificamente’ i rapporti di dipendenza attraverso il supporto dell’antropometria. Egli descrisse un “tipo morfologico
ideale” determinando in quali rapporti esatti di sviluppo dovessero trovarsi
l’altezza, la grande apertura, la circonferenza toracica e il cuore. Inoltre, egli
Pogliano, 1983, p. 355.
De Giovanni, 1887, p. 12.
31
La predisposizione non doveva essere confusa, come spesso accadeva, con la costituzione
individuale stessa. Quest’ultima era determinata da “ragioni organiche di struttura anatomica
con relative e inseparabili conseguenze funzionali” (Viola, 1904, p. 9). L’anomalia morfologica
esprimeva per De Giovanni la predisposizione morbosa mentre l’anomalia funzionale rappresentava, in un certo senso, il primo segno della malattia.
32
De Giovanni, 1904, p. 32.
33
Ivi, p. 33.
34
Ivi, pp. 218-219.
29
30
11
MEDICINA & STORIA - SAGGI
descrisse tre “combinazioni morfologiche” fondamentali, ognuna delle quali
presentava precisi stati predisponenti a determinati gruppi di affezioni. Ogni
individuo costituiva, pertanto, una varietà del tipo cui apparteneva, il risultato
di particolari modalità di sviluppo ontogenetico. Tuttavia, ciò che realmente interessava De Giovanni era determinare il valore morfologico di ogni singolo individuo:
Ma il fatto naturale della organizzazione mi corresse, mi richiamò ai principi
della morfologia, da cui inconsciamente disertava e m’accorsi, che il tipo
morfologico nel senso volgare, quello che dovrebbe rappresentare la
normalità in tutto e riprodursi nella maggioranza degli uomini non esiste.
Il tipo morfologico umano, come il tipo morfologico delle razze, è un
concetto; mentre il tipo morfologico dell’individuo è una realtà35.
Già nel 1879, nella “Prelezione” al corso di Clinica medica dell’Università
di Padova, De Giovanni aveva presentato il “metodo clinico dell’antropometria”
per il riconoscimento del “tipo morfologico nel caso concreto”36:
Oggi, o Signori, io non saprei a quale altro sussidio raccomandarmi in fuori
di quello che può darci l’antropometria; ma d’altronde so dirvi che questa
parte dell’antropologia, che ha assunto carattere scientifico per opera di
Quetelet, nelle ricerche etnologiche, anche in patologia clinica può rendere
utilissimi servigi […]37.
Nel 1891, De Giovanni pubblica la Morfologia del corpo umano38, vero e
proprio ‘trattato di formazione’ e testamento scientifico della genesi e dello sviluppo della sua dottrina costituzionalistica. La sua comparsa suscitò
delle vive reazioni, tanto da spingere De Giovanni a rispondere alle critiche nell’edizione del 1904:
Quando scriveva questi pensieri nella prima edizione […] mi attendeva presto
Ivi, p. 169. Caratteri maiuscoli nell’originale.
Ivi, p. 4.
37
Ivi, pp. 13-14.
38
I riferimenti al metodo antropometrico qui utilizzati sono tratti dai Commentarii di Clinica Medica
desunti dalla Morfologia del Corpo Umano, Parte generale, Seconda edizione, Hoepli, Milano, 1904. Le
differenze rispetto alla prima edizione della Morfologia del Corpo Umano, per altro minime, sono
giustificate dallo stesso De Giovanni: “Però continuando le mie ricerche, aiutato valorosamente
dall’opera de’ miei allievi, sono venuto a comporre un metodo di somatometria umana che posso
dire perfezionamento di quello che aveva adottato ne’ primordi delle mie ricerche. Quindi in questa
seconda edizione del libro introdurrò tutto quanto venne pubblicato dal mio aiuto il prof. G. Viola
nella Descrizione di una tecnica antropometrica ad uso clinico, come altrove mi gioverò di quanto altri miei
allievi hanno raccolto sullo stesso indirizzo scientifico”, De Giovanni, 1904, p. 136.
35
36
12
ANGELO ALBRIZIO - LA “CLINICA COL METRO”
o poi una critica scientifica, […] invece non si spersero che voci contrarie al
vero sull’indirizzo dell’opera mia e da una delle cattedre più ascoltate, per
tutta critica si dava ad intendere come io pretendessi fare della Clinica col metro…!
facendo seguire questa sciocca asserzione da segni di eloquente ed alta
disapprovazione. Tutto malgrado la prima edizione del libro si esauriva
interamente; malgrado i censori più o meno togati, afoni ed invisibili sempre,
è venuto vieppiù accreditandosi l’indirizzo da me abbracciato […]
accompagnato dalla soddisfazione di vedere allievi miei stimabilissimi ed
altri farsi miei collaboratori […]39.
La Parte Terza della Morfologia del corpo umano è dedicata alla descrizione del
metodo che si propone per “DETERMINARE IL VALORE OD IL TIPO
MORFOLOGICO INDIVIDUALE”, strutturato in quattro momenti: “I.
La misurazione II. La ispezione III. L’anamnesi IV. Lo stato presente40. Delle “ragioni
speciali”41 giustificavano questa successione: la misurazione precede le altre
fasi in quanto, i dati con essa raccolti, potevano essere confermati o meglio
interpretati nei successivi momenti dell’ispezione e dell’anamnesi. Queste ultime due raccolgono e descrivono la storia fisiologica e patologica dell’individuo. Con l’ispezione De Giovanni intendeva approfondire l’esame di quelle
parti dell’organismo (sistema circolatorio, tessuto cellulare sottocutaneo,
pannicolo adiposo, torace) che avevano una certa importanza nella determinazione della costituzione individuale ma che sfuggivano alla misurazione
antropometrica.
L’esame anamnestico, invece, non doveva essere una semplice ricostruzione della storia e della evoluzione della malattia in atto, bensì doveva estendersi a tutte quelle circostanze e momenti morfologici e fisiologici che potevano aver contribuito al suo insorgere e avevano determinato la sua forma
speciale. Inoltre, non bisognava trascurare le malattie pregresse, l’ereditarietà
del paziente e qualsiasi informazione potesse contribuire ad una migliore
descrizione della sua individualità. Un’attenzione particolare meritava il sistema nervoso, in quanto, per il suo ruolo di integrazione dell’organismo e la
sua intima partecipazione anatomica e funzionale con ogni tessuto, organo e
ogni altra parte del corpo, esso concorreva, pure, a determinare il tipo
morfologico individuale. L’ultima fase del metodo consiste nella redazione
dello stato presente attraverso i tradizionali strumenti del clinico, la percus-
Ivi, p. 135.
Ivi, p. 133.
41
Ivi.
39
40
13
MEDICINA & STORIA - SAGGI
sione e l’ascoltazione, e il supporto dell’ispezione stessa e di alcuni esami
microscopici e chimici. Tuttavia, la semplice constatazione dello stato attuale
rischiava di confinare il lavoro clinico nella “limitata sfera del bruto
empirismo”42. De Giovanni insiste sulla necessità di considerare l’organismo
nel suo sviluppo, alla luce del quale è possibile osservare come “mano mano”
la funzione e l’organo si influenzano “vicendevolmente”; ciò permette di
apprezzare non solo i “fatti morfologici compiuti”, ma anche quelli che vanno “compiendosi”43.
Ma la misurazione morfologica rappresentava la vera novità del suo metodo. La necessità delle misure nasceva dal bisogno di “apprendere a valutare
rapporti morfologici fin qui non curati”44, ovvero ad informare sui “rapporti
di sviluppo fra le diverse parti dell’organismo”45. Era necessario valutare lo
sviluppo di ogni singola parte in relazione con tutto il resto dell’organismo se
si voleva produrre uno studio completo della individualità46. Solo in questo
modo l’esame morfologico poteva corrispondere al “principio della scienza”47. Sebbene le misure rilevate fossero numerose, dalla lunghezza degli arti a
quella della colonna vertebrale, un significato assolutamente centrale era assegnato alla “espressione numerica dello sviluppo delle due principali cavità, il torace e
l’addome”48. De Giovanni aveva individuato 16 ‘punti di ritrovo’ o ‘di repere’ che il
medico doveva “segnare sulla cute con linee sottili per mezzo del lapis
dermografico”49. Egli rivendicava l’originalità di tutto un nuovo sistema di misure
derivato dall’attività clinica e supportato da un gran numero di osservazioni50:
Come si vede tutte le sopra indicate misure differiscono da quelle
sistematicamente prese dagli anatomici e dagli antropologi. Mi si chiederà
perché non mi sia attenuto a queste; e la ragione è la seguente: che cioè, lo
scopo che io mi sono proposto richiedeva un metodo speciale e questo non
Ivi, p. 229.
Ivi, p. 264.
44
Ivi, p. 135.
45
Ivi, p. 136.
46
Da tutto il suo sistema antropometrico era completamente escluso uno studio morfologico del
cranio; egli voleva evitare di occuparsi di “termini ancora troppo incerti” (Ivi p. 205).
47
Ivi, p. 214.
48
Viola, 1902, p. 6.
49
Ivi.
50
“[…] ma se tenessi conto di tutte quelle che ho fatto prima per giungere a mettere insieme il
metodo di misurazione e dell’altre che giorno per giorno mi avviene di scartare, perché in qualche lato non soddisfano al rigorismo necessario in simili ricerche, sarebbe innumerevole il cumulo delle osservazioni”, De Giovanni, 1904, p. 169.
42
43
14
ANGELO ALBRIZIO - LA “CLINICA COL METRO”
poteva essere che quello suggerito dalle leggi fondamentali della morfologia
moderna. Del resto il mio metodo è quale risultò da lunghe, ripetute prove e
riprove fatte secondo i criteri della fisio-patologia clinica e per questo non ha
- ch’io sappia - precedenti51.
Gli strumenti52 della clinica di De Giovanni
L’antropometro [Figura 1], “istrumento da me ideato e fatto costruire”, era costituito da un “tavolo antropometrico, sospeso a bilanciere sopra un robusto cavalletto di ferro munito di quattro rotelle girevoli”53, un
predellino situato all’estremità inferiore del tavolo, una squadra scorrevole
attraverso una cerniera munita di una vite che serviva per fissare la squadra
stessa nel punto desiderato e un’asta per prolungarla. Sul margine destro, il
Figura 1. TAVOLO ANTROPOMETRICO
Ivi, p. 168.
De Giovanni riservò un’attenzione speciale alla scelta degli strumenti, alcuni espressamente ideati
da lui stesso e dei suoi allievi, altri derivati da modelli già esistenti.
53
Ivi, p. 140.
51
52
15
MEDICINA & STORIA - SAGGI
tavolo antropometrico era dotato di una lastra metallica graduata a centimetri sulla quale scorreva un’asta sostenuta da una base triangolare che, a
sua volta, reggeva un braccio scorrevole verticalmente lungo la sua lunghezza. Tutta questa struttura, infine, reggeva un “indice” che, muovendosi
agevolmente sia in senso orizzontale che verticale, veniva “portato colla
sua punta successivamente a contatto di tutti i punti di ritrovo segnati
preventivamente”54, prima di procedere alla lettura della loro distanza dal
predellino55. L’antropometro concepito da De Giovanni era dotato di un
telaio in ferro che fungeva da gambe di sostegno e che permetteva di modificare agevolmente la posizione del tavolo; in tal modo poteva essere
utilizzato allo stesso tempo come tavolo di misurazione verticale e orizzontale. De Giovanni descrive minuziosamente le modalità che dovevano
essere rispettate perché la misurazione fosse rigorosa:
La persona eretta poggia coll’occipite, col dorso, colle natiche, coi polpacci a
colle calcagna contro la parete verticale dell’antropometro. I piedi si toccano
col loro margine interno, […]. La posizione del capo deve essere tale, che la
linea inferiore della mandibola abbia una perfetta direzione orizzontale, […].
Le spalle devono essere naturalmente cadenti, abbandonate […]56.
Quando il soggetto aveva assunto la posizione richiesta, utilizzando
una maniglia situata in alto sul retro dell’antropometro, esso veniva lentamente inclinato fino a raggiungere la posizione orizzontale, necessaria per
procedere alla misurazione della tesa, la grande apertura delle braccia. A
questo scopo si utilizzava un’asta di legno della lunghezza di due metri e
munita di una lastra metallica graduata. Al termine delle misurazioni il tavolo antropometrico era riportato in posizione verticale per rendere più
agevole la discesa del soggetto.
I nastri metrici, “di acciaio sottilissimo e flessibile”57, misuravano il perimetro del torace superiore, il perimetro del torace inferiore, la lunghezza della
colonna vertebrale totale e dei suoi segmenti. Il rilevamento del perimetro e
del diametro del torace, in particolar modo, erano caratterizzati da una difficoltà intrinseca in quanto entrambe queste misure non hanno un valore fisso:
Ivi, pp. 144-145.
I dati numerici ottenuti non rappresentavano le misure antropometriche definitive ma esse
venivano derivate attraverso “sottrazioni opportune” (Ivi) delle quali De Giovanni non fornisce
indicazioni più precise.
56
Ivi, p. 143.
57
Ivi, p. 145
54
55
16
ANGELO ALBRIZIO - LA “CLINICA COL METRO”
Frölich nota giustamente che trattandosi di rilevare la circonferenza toracica
devesi determinare bene: 1. la posizione delle braccia; 2. l’altezza del punto
del torace che viene misurato; 3. la fase respiratoria durante la quale si fa la
misura. Vi sono tre posizioni possibili delle braccia (sollevate in alto, orizzontali,
verticali lungo il tronco), tre altezze toraciche (superiore, media, inferiore),
tre fasi respiratorie (inspirazione, espirazione, pausa)58.
Intorno alla metà del XIX secolo, moltissimi studiosi avevano sviluppato differenti metodi e realizzato numerosi strumenti per ottenere questa misura: lo spirometro, lo pneumatometro, anapnografo, lo stetografo, il doppio stetografo, il frenografo, il toracometro, il cirtometro, lo stetogoniometro,
per citarne alcuni. Nel 1863, durante il Congresso Internazionale di Statistica
di Berlino, il medico militare Gottfried Friedrich Loeffler (1815-1874) fu
incaricato di studiare e proporre un metodo unico che potesse essere universalmente accettato, ma la situazione si protrasse in questo stato di confusione
ancora a lungo. Durante la seconda metà del secolo, l’applicazione più frequente della misurazione del torace a scopo fisiognostico restava in ambito
militare. Per la facilità del suo impiego “il nastro misuratore ha seguitato a
trionfare”, scriveva Viola,
ma lo scopo che noi ci prefiggiamo, lo studio delle proporzioni di tutte le
parti del corpo umano sotto forma di ricerca scientifica rigorosa, diretta a
stabilire i rapporti fra disarmonia di forma esterna e disarmonia di funzioni
organiche, ha esigenze ben più severe, e giustifica un metodo ben più
dettagliato e complesso di misurazione, che non quello adottato pel
reclutamento militare59.
Il compasso di spessore a slitta era stato realizzato a partire dal modello
del compas glissière della casa Mathieu di Parigi modificato in alcune caratteristiche, e misurava i differenti diametri del torace e del bacino, la larghezza massima della mano sinistra e del piede sinistro. Costituito da un’asta trasversale
graduata a millimetri e da due branche verticali, una fissa ad un estremo dell’asta e l’altra scorrevole, differiva dal modello francese proprio nella forma
di queste ultime (caratterizzate da una doppia “foggia”, rette nella parte inferiore e curve nella parte superiore con l’aggiunta di un indice scorrevole).
Il toracometro [Figura 2], costituito da “un cercine di ottone”60 di forma
ovale molto resistente ma traforato per tutta la sua ampiezza in modo da renViola, 1902, p. 18.
Ivi, p. 17.
60
De Giovanni, 1904, p. 152.
58
59
17
MEDICINA & STORIA - SAGGI
Figura 2. TORACOMETRO
derlo più leggero e maneggevole, era stato espressamente ideato da Giacinto
Viola per poter misurare i diametri traversi del torace ad un preciso livello del
diametro antero posteriore. Il toracometro si apriva in un punto per poter far
entrare il torace del soggetto, posizionato all’altezza desiderata e fissato per
mezzo di quattro indici scorrevoli situati ai quattro punti opposti del cercine.
Spingendo i quattro indici verso l’interno fino a farli aderire al torace si potevano rilevare le misure sulla loro faccia superiore graduata a millimetri61.
Tutte le misure rilevate erano raccolte in una scheda antropometricaclinica, dove venivano inoltre indicati i dati raccolti durante le altre fasi
dell’esame morfologico individuale, “la nutrizione, lo sviluppo del sistema
venoso generale, del sistema linfatico, le tendenze fisiologiche al mangiare, al bere,
[…], lo sviluppo del cuore […]”62. I principali caratteri generali antropologici erano riportati sul retro: “capelli (forma, quantità, colore), cranio (lunghezza, larghezza), fronte (altezza, forma), capo (forma), faccia (lunghezza e
larghezza), occhio (forma), iride (grandezza, colore), cute (elasticità, colore),
61
Per posizionare il toracometro in posizione perfettamente orizzontale ed essere certi che si
mantenesse in questa posizione durante le misurazioni, esso era stato dotato di una piccola livella a bolla d’aria.
62
De Giovanni, 1904, p. 161.
18
ANGELO ALBRIZIO - LA “CLINICA COL METRO”
note sessuali”63. Infine, si annotavano le generalità del soggetto e, nel caso di
un malato, era indicata la diagnosi e il tipo o combinazione morfologica nella
quale il soggetto era stato classificato.
Sulle schede antropometrico-anatomiche, invece, erano trascritti tutti i
dati ricavati dalle misurazioni effettuate sui cadaveri, in particolar modo il peso,
la capacità e le dimensioni dei “visceri cavitari”64. Soltanto mettendo in relazione i dati contentuti nelle due schede si potevano ricavare informazioni utili
sulla complessità dell’organismo e stabilire, così, quali rapporti intercorrevano
tra le misure esterne e quelle interne o viscerali, la “parte anatomica della
indagine morfologica”65. Sebbene l’antropometria fosse l’elemento nuovo e
indispensabile della nuova clinica di De Giovanni, essa attingeva in modo
altrettanto importante dagli studi anatomici. Nella parte inferiore della scheda
era tracciato il contorno del cuore secondo il suo “metodo di triangolazione”66.
De Giovanni rivendica il merito di aver reso questo metodo, solo intuito da
René Théophile Laennec (1781-1826), utilizzabile in ambito clinico con la sua
propria esperienza, “frutto di lunghissimo studio”, e assicurava che “né
Avembrugger, né Piorry, né Skoda, né Stokes, né Bamberger, né Friedreich, né
Gerhardt, né Baccelli, né Dusch, né Bucquoy, né P. Niemeyr, né Botkin, né Da
Costa, né Paul né altri”67 avevano scritto cose che potevano averlo suggerito.
De Giovanni aveva bisogno di un metodo per determinare lo stato attuale del cuore nel caso concreto. Già Beneke, trattando questo argomento, aveva determinato alcune leggi generali di crescita di questo organo. Sebbene
esse fossero preziose da un punto di vista teorico, restavano comunque delle
leggi generali che, da un punto di vista pratico e diagnostico, non dicevano
nulla in quanto perdevano il significato realmente importante per la clinica,
l’individualità. Mentre il clinico nell’indagine del cuore per scopo diagnostico
doveva dimenticare queste nozioni in quanto esse erano dedotte da una serie
di osservazioni che, se anche insieme potevano costituire una legge, isolatamente prese rappresentavano “tante individualità tra loro fisiologicamente
distinte”68. Attraverso un procedimento estremamente minuzioso, De Giovanni determinava il “triangolo cardiaco”, una semplificazione geometrica
Ivi.
Su questo tema De Giovanni rimanda ad uno studio condotto e pubblicato da due dei suoi
collaboratori: Messedaglia e Vainanidis, 1901.
65
De Giovanni, 1904, p. 163.
66
De Giovanni, dopo averne delineato le prime linee nel Corso di lezioni teorico-pratico di Percussione
ed Ascoltazione del 1869, pubblicò il Nuovo metodo per limitare la regione cardiaca nel 1871.
67
Ivi, p. 292.
68
Ivi, p. 296.
63
64
19
MEDICINA & STORIA - SAGGI
dell’organo, i cui lati esprimevano rispettivamente la misura in centimetri
della base del cuore, del ventricolo sinistro e del ventricolo destro. Egli sosteneva vi fosse una corrispondenza tra la misura della base del triangolo
cardiaco e l’ampiezza del pugno (indice cardiaco); in tal modo, era possibile
ricavare per deduzione quanto dovevano essere nel caso concreto lo sviluppo del cuore e l’estensione dei due ventricoli [Figura 3]. L’utilizzo sistemati-
Figura 3. TRIANGOLO CARDIACO e INDICE CARDIACO
co delle misure, della matematica e della geometria, insieme con gli strumenti classici della clinica (osservazione, percussione e ascoltazione) manifestavano una ‘ossessiva’ ricerca di un metodo ‘scientifico’ che potesse rispondere alle esigenze pratiche della clinica, quindi essere applicabile ad ogni singolo individuo.
L’ultima fase del metodo antropometrico consisteva nel rilevamento fotografico del soggetto (fotografia di fronte e fotografia di profilo destro). Utilizzando un comune antropometro per il rilevamento della statura, opportunamente modificato, veniva ricavato il contorno del corpo umano attraverso
una tecnica di proiezioni. I negativi delle due foto erano inseriti nella “macchina di proiezione” che permetteva di portare tutti i corpi allo stesso livello di
sviluppo e, tracciati i contorni su carta trasparente, essi erano “per sovrapposizione
direttamente confrontabili fra di loro, o con tipi di forme umane ritenute
ideali, o coi tipi ricavati delle medie antropometriche”69. De Giovanni utiliz69
Ivi.
20
ANGELO ALBRIZIO - LA “CLINICA COL METRO”
zava questa tecnica anche a scopo didattico. Il contorno sia di fronte che di
profilo “di una forma umana maschile e di un’altra femminile ritenute prossime all’ideale”70 erano disegnati in modo indelebile sulla superfice di uno schermo. Tracciando con il gesso su di essi, di volta in volta, il contorno dei soggetti
da valutare era possibile un confronto immediato e visivo tra le “zone di eccedenza” colorate di blu e le “zone di deficienza”71 colorate di rosso.
Il metodo antropometrico di De Giovanni ebbe una cattiva ricezione sia
in Italia che all’estero e fu spesso duramente attaccato:
Egli […] che aveva - senza superbia - la coscienza del proprio valore, non
rimproverava già che il suo nome fosse obliato sia in Italia, purtroppo, come
e più specialmente, all’estero; ma soffriva che si tardasse a comprendere la
necessità di quel nuovo indirizzo che abbiamo chiamato decisamente
neoippocratico, che lo si deridesse anzi da coloro che chiamavano “metrica”
la sua clinica, che al suo nome infine, solo in quanto a quello di scienziato
italiano, non venisse concessa quella priorità che a Lui, pioniere della nuova
scienza, spettava sotto ogni punto di vista72.
Anche quando, intorno agli anni ’20, in Germania ci fu una forte ripresa
dell’indirizzo costituzionalistico in medicina, pochissimi studiosi citarono i
lavori di De Giovanni:
È doloroso constatare che nel libro, certamente poderoso e certamente anche
ponderoso, del Bauer «Konstitutionelle Disposition zu inneren Krankheiten» - la Dritte
Auflage che ho sottomano è del 1924 – pochi e superficiali accenni siano fatti
all’opera del De Giovanni e della sua Scuola in ben quaranta facciate di
semplice elencazione bibliografica […]. E l’accenno fugace fatto nel testo ad
uno degli indici antropometrici del De Giovanni è cosa estranea alla
interpretazione biologica della confor mazione individuale, della
predisposizione e della natura della malattia; […]73.
Quanto ai motivi per i quali i suoi studi, soprattutto per quanto riguarda
le applicazioni antropometriche in ambito clinico, fossero poco noti in ambito europeo, Viola lo attribuiva “alla poca conoscenza della lingua italiana”74. Inoltre, la brevità del titolo dell’opera che li raccoglieva, dal quale non
Ivi, p. 167.
Ivi.
72
Pellegrini, 1939, p. 169.
73
Boschi, 1966, p. 4.
74
La seconda edizione dei Commentarii di Clinica Medica desunti dalla Morfologia del Corpo Umano, fu
tradotta in inglese da John Joseph Eyre: Clinical Commentaries deduced from The Morphology of Human
Body, Rebman Limited, London, 1909.
70
71
21
MEDICINA & STORIA - SAGGI
traspariva in alcun modo la sua “natura clinico-naturalistica”75 e il significato
comunemente attribuito al termine morfologia in ambito medico, il quale
lasciava intendere si trattasse di un testo di anatomia, erano “certamente” le
ragioni fondamentali “per cui esso rimase sconosciuto alla maggior parte dei
clinici, che potevano desiderarlo e apprezzarlo in tutto il suo valore, mentre
cadde forse nelle mani di più di un ‘morfologo’, deludendo la sua aspettativa”76. “L’abuso” delle proprie capacità intuitive “per ordinare una raccolta
immensa di materiale” (De Giovanni fu contrario all’uso della statistica), “il
tentativo, ancor più ardito,” di dare immediata applicazione ai suoi studi nella
pratica clinica e “lo spirito contrario dei tempi” furono anche indicate come
possibili spiegazioni “dell’ostilità aspra”77 che il suo lavoro ricevette soprattutto dai patologi contemporanei.
Tuttavia, nel 1924, il ruolo svolto da “di Giovanni” nell’utilizzo
dell’antropometria in ambito clinico veniva ricordato in un articolo pubblicato in The Journal of the American Medical Association: “the complete anthropometric
technic of physical anthropology has, with the exception on the Italian school,
led by di Giovanni, been neglected by students of clinical medicine”78 .
L’ambizione: “trasformare la clinica medica da metodo empirico in scienza esatta”
L’antropometria, elemento fondamentale di tutta la dottrina
costituzionalistica di De Giovanni, era lo ‘strumento’ necessario per “trasformare la clinica medica da metodo empirico in scienza esatta”79, intento chiaramente espresso nella dedica a Jean-Martin Charcot (1825-1893) della Morfologia
del corpo umano80:
Il vecchio corpo della Dottrina medica, rinnovato, s’appresta alla dimostrazione
della Individualità nel suo valore morfologico concreto ed evocando dalla
Storia il principio filosofico-matematico della Scuola italica ch’ebbe nome da
Pitagora, diventa scienza, acquista l’istinto per l’esattezza e procede colla scorta
dei numeri e delle misure81.
Viola, 1902, p. 5.
Ivi.
77
Landogna Cassone, 1955, p. 133.
78
Draper et al., 1924, p. 431.
79
Premuda, 1960, p. 146.
80
Charcot presentò La morfologia del corpo umano all’Accadémie des Sciences “con i più vivi elogi,
soggiungendo: un ouvrage magistral de cette nature échappe à une analyse sommaire”, Landogna Cassone,
1955, p. 135.
81
De Giovanni, 1891, p. V.
75
76
22
ANGELO ALBRIZIO - LA “CLINICA COL METRO”
L’avanzamento della clinica verso quell’ideale di “esattezza” tipico delle
scienze matematiche non poteva essere conseguito che con la certezza dei
numeri e delle misure. Per questo De Giovanni fu estremamente attento ad
ogni aspetto legato alle modalità di utilizzo degli strumenti, alla posizione
del soggetto durante le misurazioni e al “limite di errore personale nell’uso degli
strumenti”82. Egli presenta e commenta una tabella dove sono riportati i risultati di alcune misurazioni realizzate nella sua clinica da alcuni suoi collaboratori mettendo in evidenza l’efficienza e l’affidabilità di tutto il suo sistema
antropometrico. Nel caso della “grande apertura”, ad esempio, De Giovanni sosteneva che “lo stesso Bertillon, coi suoi istrumenti misuratori”83 ammetteva un’oscillazione di questa misura maggiore a causa della posizione
verticale del soggetto, mentre “la posizione supina”84 adottata nel suo metodo, permetteva una maggiore fissità delle spalle. Quanto al metodo per la
misurazione del torace lo definiva “un criterio di attendibilità indiscutibile”85
concludendo che i suoi risultati potevano considerarsi “soddisfacenti, ad ogni
modo più di quelli ottenuti da altri autori con altri strumenti”86. Lo stesso
Viola rivendicava alla scuola clinica del suo maestro l’aver “costruito appareccchi e scelte misure e punti di ritrovo tali da conseguire una precisione
forse mai prima ottenuta in questo genere di ricerche”87. L’approccio quantitativo, oltre che qualitativo, istituito nell’attività clinica rispondeva perfettamente a questa esigenza. De Giovanni sembrava convinto di aver trovato la
“Formola scientifica” della patologia:
Però pel corso d’oltre sedici anni faticai per trovare, mercé la misura delle
parti del corpo umano, la Formola scientifica che potesse guidare il Patologo
alla conoscenza dell’Individualità colle sue attitudini fisiologiche e patologiche,
sendo mestieri svelare la radice del fatto morboso nel modo di essere
dell’organismo e nelle sue trasformazioni attraverso le età - urgendo spiegare
le varietà delle forme cliniche colle varietà delle Combinazioni morfologiche88.
Egli non rinunciò mai a rivendicare la dignità scientifica della sua disciplina contro le aspre critiche che spesso si levavano da coloro che chiamava
De Giovanni, 1904, pp. 154-160.
Ivi, p. 158.
84
Ivi.
85
Ivi, p. 159.
86
Ivi.
87
Viola, 1904, p. 24.
88
De Giovanni, 1891, p. V.
82
83
23
MEDICINA & STORIA - SAGGI
“accademici, perché a modo loro fanno sapere che non corre a proposito
l’epiteto di collega”89 e colse sempre l’occasione per sottolineare il ruolo dei
clinici, confinati tra i “puri professionisti”, la cui attività, spesso svilita, contribuiva in modo significativo all’avanzamento della medicina: “[…] sarà un
calcio accademico, ma è un calcio al secchio dove attingono qualche sorso
d’inspirazione scientifica”90. E ancora, rivendicava con toni forti il valore
della clinica anche rispetto alla medicina di laboratorio:
[…] come mai a me clinico si può imporre incondizionatamente un risultato
sperimentale, elaborato in laboratorio, per quanto dal laboratorio esca con
tutta la solennità del determinismo scientifico? - Come mai la osservazione
naturalistica del clinico non ha da essere per valore e dignità raccolta fra i
documenti scientifici da consultarsi anche da coloro, che, trattando solo
animali, hanno per sé soli ipotecata la universa biologia? - Ma la scoperta del
processo, del metodo col quale si arriva a constatare il valore biologico
dell’individuo, non è scientifica?91.
Dinanzi al trionfo della medicina sperimentale e della microbiologia, caratterizzate da forti ambizioni scientifiche, De Giovanni spinse la clinica sul terreno
dei numeri e delle misure, e con il supporto degli strumenti antropometrici rivendicava anche per essa un diritto di cittadinanza tra le scienze esatte92.
Summary
The “clinic and measurement”.
The anthropometry of Achille De Giovanni (1838-1916)
Although anthropometry as a means of measuring the body had been
practised since Antiquity, its use during the Renaissance remained mostly
restricted to the realm of the figurative arts. It was only from the second
half of the 18th century that anthropometry was adopted more widely, first
by naturalists and then by anthropologists, in order to investigate man and
his principal morphological characteristics. In the second half of the 19th
century it came to be adopted by the medical world and indeed this paper
examines the role of Achille De Giovanni, the father of constitutionalist
De Giovanni, 1904, p. 277.
Ivi, pp. 275-276.
91
Ivi, p. 277.
92
Vedi Fantini, 2004.
89
90
24
ANGELO ALBRIZIO - LA “CLINICA COL METRO”
medicine in Italy, in introducing anthropometry in the clinical practice for
descriptive, preventive and therapeutic purposes. Using a series of
anthropometric instruments and methods of measurement of his own
invention, he devised a way of determining an individual's morphological
worth. His ambition was to transform clinical medicine, with the help of
numbers and measurements, from an empirical into an exact science.
Keywords: De Giovanni Achille, costituzionalismo, clinical/anthropometry.
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