ALTERAZIONI DELLA FUNZIONE TIROIDEA INDOTTE DALL’AMIODARONE Saverio Pignata; Ester Pignata Settembre 2011 http://www.webalice.it/saveriopignata/ [email protected] [email protected] 1 INTRODUZIONE L'amiodarone è un farmaco antiaritmico ed antianginoso comunemente prescritto per il trattamento di vari tipi di aritmie cardiache comprese le aritmie ventricolari, tachicardia parossistica sopraventricolare, fibrillazione e flutter atriale, mantenimento del ritmo sinusale dopo conversione di fibrillazione atriale (1). L’amiodarone è un derivato benzofuranico che presenta alcune analogie strutturali con la tiroxina. Il 37% del suo peso è costituito da iodio. In una capsula di amiodarone da 200 mg sono contenuti circa 75 mg di iodio. Il 10% di questo (7,5 mg) viene reso disponibile ogni giorno dal metabolismo della molecola, fornendo, in questo modo, un eccesso di 50 volte dell’assunzione giornaliera di iodio. Tale alto contenuto di iodio e gli effetti intrinseci dell’amiodarone e del suo metabolita attivo desetilamiodarone sono causa di disfunzione tiroidea nel 14-18% dei pazienti dopo 2-3 anni di trattamento (2). Le frequenze relative di tireotossicosi indotta da amiodarone (AIT) e ipotiroidismo indotto da amiodarone (AIH) sono influenzati soprattutto dall’apporto di iodio e dalla patologia tiroidea sottostante. L’AIH è più comune di AIT in regioni con sufficiente apporto di iodio, mentre AIT è più comune dell’AIH se l'assunzione di iodio è insufficiente (2). Nel presente lavoro di tesi verrà trattata l'epidemiologia e la patogenesi delle disfunzioni tiroidee indotte dall'amiodarone, insieme alle diverse manifestazioni cliniche ed alle possibili strategie terapeutiche da adottare. 2 1. CENNI STORICI In seguito alla scoperta nel 1961 da parte di Tondeur e Binon, due chimici belgi, l'amiodarone venne usato soprattutto in Europa come anti-anginoso (3, 4) In seguito all'esperienza e alle ricerche del Dr. Bramah Singh, università di Oxford, venne riconsiderato il ruolo dell'amiodarone che, unitamente al sotalolo, venne classificato come farmaco anti-aritmico di classe III (5), gruppo caratterizzato dalla capacità di allungare il periodo refrattario mediante il blocco dei canali del potassio. Il Dr. Mauricio Rosenbaum, medico argentino, basandosi sui lavori del Dr. Singh, usò l'amiodarone per il trattamento dei pazienti che soffrivano di aritmia sopraventricolare e aritmia ventricolare, con risultati eccellenti. In accordo con i risultati di Singh e Rosenbaum, i medici americani cominciarono ad usare l'amiodarone come terapia cronica nei pazienti aritmici a partire dal 1970 (5, 6). Dal 1980 l'amiodarone cominciò ad essere prescritto anche negli stati europei. In seguito ai gravi effetti collaterali polmonari, cardiaci e tiroidei associati all'uso cronico, venne riconsiderato l'impiego clinico dell'amiodarone nelle tachiaritmie (7). Nel dicembre 1985 l'amiodarone venne approvato dalla Food and Drug Administration per il trattamento della fibrillazione atriale e nella profilassi della tachicardia ventricolare ricorrente. Secondo una recente analisi basata sulle evidenze, l’amiodarone dovrebbe essere utilizzato secondo le seguenti indicazioni: • l’utilizzo dell’amiodarone in profilassi deve essere limitato al periodo peri-operatorio cardiochirurgico; • il farmaco può essere utilizzato con sicurezza nella disfunzione ventricolare sinistra e nella insufficienza cardiaca congestizia; • è utile in acuto sia in caso di arresto cardiaco che in caso di tachicardia ventricolare stabile; • è un sicuro e valido farmaco aggiuntivo nella cardiopatia ischemica; • è efficace in associazione ai beta-bloccanti in “electrical storm” (tempesta elettrica); • è appropriato come farmaco di prima linea solo nei pazienti sintomatici con disfunzione ventricolare sinistra ed insufficienza cardiaca congestizia, dove però il rapporto rischio/ beneficio del suo impiego debba essere confrontato con le altre strategie alternative disponibili per trattare la fibrillazione atriale (controllo della frequenza associata ad anticoagulanti, ablazione); 3 • nel flutter atriale e nella tachicardia sopraventricolare parossistica è preferibile l’ablazione con catetere e l’amiodarone ha scarsa o nulla efficacia (1). 4 2. FARMACOLOGIA 2.1. Introduzione L’amiodarone (nome chimico: 2-butilbenzofuran-3-il-4-(2-dietilaminoetossi)-3,5-di-iodofenil chetone; INN: amiodarone) è un farmaco ad azione antiaritmica e antianginosa. Chimicamente è un derivato benzofuranico, poco solubile in acqua, solubile in alcol, molto solubile in cloroformio. L’amiodarone è un analogo strutturale degli ormoni tiroidei (fig. 1) e alcuni dei suoi effetti cardiovascolari ed elettrofisiologici presentano caratteristiche simili all’ipotiroidismo; questi effetti potrebbero essere attribuibili all’interazione con il recettore per gli ormoni tiroidei (8). Il 37% del suo peso è costituito da iodio (2). In una capsula di amiodarone da 200 mg sono contenuti circa 75 mg di iodio. Il 10% di questo viene reso disponibile ogni giorno dal metabolismo della molecola, fornendo, in questo modo, un eccesso di 50 volte dell’assunzione giornaliera di iodio (2). 5 Figura 1. Formula chimica dell’amiodarone, desetilamiodarone, ormoni tiroidei (2) L’amiodarone è considerato come il prototipo della III classe dei farmaci antiaritmici secondo la classificazione di Vaughan Williams. Rispetto agli altri farmaci della cosiddetta III classe, ha però un profilo farmacologico estremamente complesso essendo in grado di interagire con molteplici bersagli molecolari (canali ionici, pompe, recettori). Queste sue proprietà rendono l’amiodarone un farmaco del tutto peculiare nel panorama dei farmaci antiaritmici; inoltre le sue azioni 6 elettrofisiologiche ed i suoi effetti farmacodinamici sono diversi in acuto o dopo trattamento cronico. Ancora oggi, non è possibile definire con certezza quale o quali delle sue proprietà farmacologiche siano responsabili della sua elevata efficacia antiaritmica. La complessità farmacodinamica dell’amiodarone è associata ad un altrettanto complesso profilo farmacocinetico e farmacotossicologico. 2.2. Effetti farmacologici Le azioni elettrofisiologiche e gli effetti farmacodinamici dell’amiodarone sono diversi in acuto o dopo trattamento cronico. 2.2.1. Effetti farmacodinamici in trattamento acuto L’amiodarone è un farmaco altamente lipofilo, quasi insolubile in acqua o in soluzioni acquose. Negli esperimenti tesi a valutare le azioni acute del farmaco, il composto viene normalmente sciolto in soluzioni idrosaline usando vari veicoli (etanolo, albumina, polisorbato 80, tween 80) che a determinate concentrazioni possono modificare le proprietà che si intendono studiare. A causa poi dell’elevata liposolubilità, l’amiodarone penetra profondamente nella matrice lipidica delle membrane da cui è rilasciato molto lentamente quando il farmaco viene sospeso. 2.2.1.a. Effetti elettrofisiologici Il più consistente effetto dell’amiodarone, in tessuti o cellule cardiache che dipendono per il processo di attivazione dai canali rapidi del sodio, è una riduzione della massima velocità di depolarizzazione. Questo effetto risulta più marcato all’aumentare della frequenza cardiaca, analogamente a quanto succede con gli altri farmaci che interagiscono con i canali del sodio. La cinetica con cui si instaura il blocco e quella di recupero dal blocco sono relativamente rapide, confrontabili con quelle della lidocaina e della mexiletina. L’inibizione della massima velocità di depolarizzazione appare più marcata a potenziali di membrana più positivi. I dati sulla corrente di 7 sodio sono in accordo con quelli prima descritti e consentono di concludere che l’amiodarone blocca i canali del sodio preferenzialmente quando si trovano nello stato inattivato. Meno univoci sono i risultati relativi agli effetti acuti dell’amiodarone sulla durata del potenziale d’azione: infatti, sono stati descritti allungamento, accorciamento o nessun effetto sulla durata del potenziale d’azione registrato da preparazioni atriali o ventricolari di varie specie animali. Questa variabilità dell’effetto dell’amiodarone può in parte essere determinata dalle diverse correnti ioniche che controllano la ripolarizzazione nell’atrio e nel ventricolo e dal diverso contributo che queste correnti hanno nelle varie specie animali. Una delle principali correnti di potassio che controlla la fase di ripolarizzazione è la corrente IK (“delayed rectifier”) con le sue due componenti a rapida attivazione e a lenta attivazione. Acutamente l’amiodarone sembra preferenzialmente inibire la componente a rapida attivazione, mentre un trattamento prolungato riduce la componente a lenta attivazione (9). In acuto, l’amiodarone non sembra avere un effetto sulla “transient outward current”, anch’essa importante per la ripolarizzazione, mentre sono necessarie alte concentrazioni per modificare la “inward rectifier” che ha un ruolo importante per mantenere il potenziale di membrana. L’amiodarone inibisce alcuni canali del potassio attivati da ligandi, come il canale del potassio attivato dal sodio, il canale del potassio sensibile all’acetilcolina, il canale del potassio attivato dall’adenosina trifosfato. L’azione dell’amiodarone sui canali del potassio sensibili all’acetilcolina potrebbe contribuire all’effetto del farmaco nel terminare e nel prevenire la fibrillazione atriale. La recente dimostrazione che concentrazioni di amiodarone, confrontabili a quelle che si raggiungono clinicamente, sono in grado di inibire l’attività dei canali del potassio attivati dall’adenosina trifosfato ha fatto ipotizzare che anche questa azione possa essere importante nell’effetto antiaritmico del farmaco (10). È stato anche ipotizzato che l’effetto inibitorio che l’amiodarone ha sullo scambiatore Na+/Ca2+ possa favorire un’attività di cardioprotezione (11). A questo riguardo occorre segnalare anche che l’amiodarone ha un’azione “scavenger” diretta e risulta in grado di proteggere i cardiomiociti dal danno causato da radicali liberi dell’ossigeno (12). Nonostante gli studi sperimentali non siano numerosi, gli effetti dell’amiodarone su quelle strutture cardiache che dipendono per la loro attivazione dai canali lenti del calcio o direttamente sulla corrente di calcio, dimostrano un effetto di blocco dell’amiodarone sui canali del calcio di tipo L. I risultati suggeriscono che anche il blocco dei canali del calcio da parte di concentrazioni “terapeutiche” di amiodarone avvenga in modo preferenziale quando questi si trovano nello stato inattivato. Queste proprietà dell’amiodarone rendono conto degli effetti elettrofisiologici osservati in seguito alla somministrazione endovenosa nell’uomo: con dose tra 2.5 e 10 mg/kg si osservano 8 effetti scarsi o nulli sulla frequenza sinusale, sulla refrattarietà atriale e ventricolare, si ha un prolungamento dell’intervallo PR e un rallentamento della conduzione atrioventricolare; si osserva un piccolo ma significativo aumento della conduzione intraventricolare con aumento della durata del QRS (13, 14). Il desetilamiodarone (DEA), principale metabolita dell’amiodarone, ha un effetto più marcato sui canali del sodio dell’amiodarone. Si ritiene che gli effetti del metabolita possano avere un ruolo importante nell’azione antiaritmica dell’amiodarone in corso di terapia cronica, ma non per gli effetti acuti (13, 14). 2.2.1.b. Effetti emodinamici L’amiodarone provoca vasodilatazione coronarica e periferica; gli effetti emodinamici dopo somministrazione acuta dipendono dalla velocità di somministrazione. La somministrazione endovenosa di dosi di 2.5-10 mg/kg può causare ipotensione e ridurre la contrattilità cardiaca. A causa del possibile effetto inotropo negativo, la somministrazione endovenosa deve essere eseguita con molta attenzione in pazienti con funzione contrattile compromessa. 2.2.2. Effetti farmacodinamici in trattamento cronico Durante il trattamento cronico, sia l’amiodarone che il suo metabolita DEA si accumulano a livello di molti organi e tessuti tra cui tessuto adiposo, fegato, polmoni, reni, cuore, muscolo scheletrico, tiroide e cervello, dai quali è rilasciato lentamente. Gli effetti farmacodinamici del trattamento prolungato per via orale con l’amiodarone sono la risultante degli effetti dell’amiodarone e del DEA sulle proprietà elettrofisiologiche cardiache; a questi effetti si aggiungono quelli sulla funzione tiroidea e quelli antiadrenergici. 9 2.2.2.a. Effetti elettrofisiologici Il principale effetto elettrofisiologico che si ha con il trattamento cronico con amiodarone è il prolungamento della durata del potenziale d’azione cardiaco, che è stato dimostrato sia a livello del miocardio di lavoro (atriale e ventricolare) come pure a livello del tessuto di conduzione (nodo senoatriale, nodo atrioventricolare, fibre di Purkinje) di numerose specie animali. Il prolungamento della durata del potenziale d’azione si associa ad un aumento del periodo refrattario effettivo. L’effetto dell’amiodarone sulla durata del potenziale d’azione non sembra influenzato dalla frequenza, nel senso che la durata è aumentata a tutte le frequenze di stimolazione e l’effetto non è più marcato alle frequenze più basse. L’amiodarone non mostra cioè quel fenomeno che va sotto il nome di “reverse” uso o frequenza-dipendenza e che è invece presente in altri farmaci che prolungano la durata del potenziale d’azione. Questa proprietà può in parte spiegare la modesta incidenza di “torsioni di punta” che si osservano con l’uso clinico dell’amiodarone. Le conoscenze sulle basi ioniche responsabili di questo comportamento dell’amiodarone sono ancora limitate e in qualche modo discordanti. Un recente studio su miociti ventricolari isolati da cuori di coniglio trattati per 4 settimane con amiodarone per via orale suggerisce che la riduzione della corrente IK tipicamente causata dall’amiodarone sia riconducibile ad una riduzione della componente a lenta attivazione, rimanendo la componente a rapida attivazione praticamente immodificata (15). Il trattamento acuto sembra invece inibire soprattutto la componente a rapida attivazione (9). Altri autori hanno invece riportato riduzioni comparabili delle due componenti dopo somministrazione per 7 giorni per via intraperitoneale nella cavia (16). 2.2.2.b. Effetti sulla funzione tiroidea Gli effetti dell’amiodarone sulla funzione tiroidea possono essere suddivisi in effetti intrinseci derivanti da proprietà intrinseche del composto ed effetti iodio indotti. L’amiodarone e il DEA inibiscono la conversione periferica della tiroxina a triiodotironina da parte della 5’-deiodinasi. Questo processo può avvenire in quasi tutti i tessuti, ma principalmente nel rene e nel fegato ed è responsabile della produzione nel sangue di ormone tiroideo attivo. Amiodarone e DEA causano anche un’inibizione del legame della triiodotironina ai recettori nucleari e inibiscono il trasporto della tiroxina e dalla triiodotironina attraverso le membrane cellulari. 10 L'alto contenuto di iodio dell’amiodarone influenza la normale funzione della tiroide, in cui lo iodio è attivamente concentrato. Normalmente, quando la concentrazione di iodio nella tiroide supera un livello critico, ulteriori aumenti di concentrazione inibiscono la sintesi degli ormoni tiroidei fino a quando la concentrazione di iodio intratiroideo si è normalizzata (effetto Wolff-Chaikoff). Nei pazienti con una malattia autoimmune della tiroide (malattia di Hashimoto), questa autoregolazione potrebbe non funzionare correttamente e la tiroide potrebbe non essere capace di sfuggire all'effetto Wolff-Chaikoff dopo un carico di iodio. L'assunzione di grandi quantità di iodio in questi pazienti può quindi provocare ipotiroidismo o attenuare un ipertiroidismo pre-esistente. Nel caso di un nodulo autonomo, non c'è autoregolazione e l'assunzione di una grande quantità di iodio può indurre tireotossicosi. Nei pazienti con normale funzione tiroidea trattati con amiodarone, i livelli di triiodotironina diminuiscono del 20-25% e rimangono bassi. È stato ipotizzato che uno dei meccanismi attraverso cui l’amiodarone esercita i suoi effetti sia l’induzione di uno stato di “ipotiroidismo cardiaco”. È infatti ben documentato che gli ormoni tiroidei hanno importanti effetti sul sistema cardiovascolare e sulla funzionalità ed espressione di canali ionici, pompe e recettori a livello cardiaco (16). Questa ipotesi è però rigettata da diversi autori sulla base del fatto che l’ipotiroidismo non mima tutti gli effetti del trattamento cronico con amiodarone sul cuore, ed in particolare non ha gli stessi effetti elettrofisiologici (15). 2.2.2.c. Effetti antiadrenergici L’amiodarone presenta un effetto antiadrenergico che si manifesta nei confronti delle azioni sia alfa che beta mediate delle catecolamine (17). L’antagonismo è di tipo non competitivo; numerosi studi in vivo e in vitro indicano che l’amiodarone è capace di ridurre la densità dei recettori betaadrenergici (“down-regulation”), attraverso un’azione diretta o più probabilmente indiretta, che coinvolge l’antagonismo nei confronti della triiodotironina, prima descritto (18). L’importanza di questi effetti antiadrenergici nell’efficacia clinica dell’amiodarone non è nota. 11 2.3. Farmacocinetica L’amiodarone è sostanza altamente lipofila con un ampio volume di distribuzione (40-84 L / kg) a causa di assorbimento tissutale esteso (19); presenta un tempo di eliminazione con un’ampia variabilità tra paziente e paziente (tra 20 e 110 giorni, con una clearance corporea di 90-158 ml/h/ kg). Possono essere necessari mesi perché le concentrazioni plasmatiche raggiungano lo stato stazionario; occorre ricordare che le concentrazioni plasmatiche non sono correlate con l’effetto clinico. In uno studio su otto pazienti trattati con amiodarone, l’emivita di eliminazione dopo l’interruzione del farmaco da una terapia a lungo termine era di 52,6 +/- 23,7 giorni per l’amiodarone e 61,2 +/31,2 giorni per il DEA (20). L’assorbimento per somministrazione orale è lento, variabile ed incompleto. La biodisponibilità orale varia tra il 30 e il 50%. Il cibo aumenta in modo significativo sia la velocità che l’entità dell’assorbimento, per cui se ne raccomanda l’assunzione a stomaco pieno. Il 66-75% del farmaco viene eliminato con bile e feci. L’escrezione renale è minima e pertanto non è necessario aggiustare la dose nei pazienti con patologie renali. Amiodarone e DEA non sono dializzabili. Il farmaco viene metabolizzato a livello epatico, essendo il principale metabolita il DEA, che è farmacologicamente attivo ed ha un’emivita più lunga dell’amiodarone. A causa della loro lipofilia, sono entrambi accumulati nel fegato, polmone, grasso, cute ed altri tessuti. Nel cuore si possono avere concentrazioni da 10 a 50 volte più alte di quelle plasmatiche. La formazione di DEA è mediata dal citocromo P4503A (CYP3A4) e la marcata variabilità tra soggetti nell’eliminazione dell’amiodarone può essere in parte spiegata da differenze interindividuali nel citocromo CYP3A4. Il CYP3A4 è inibito dal succo di pompelmo, che altera in modo rilevante il metabolismo dell’amiodarone (21). Il volume di distribuzione è variabile, ma molto grande con valore medio di 60 l/kg. È ampiamente legato alle proteine plasmatiche (96%), attraversa la placenta (10-50%) e si ritrova nel latte materno. L’effetto, dopo somministrazione endovenosa, comincia a manifestarsi entro 1-2 ore; per avere un effetto dopo somministrazione orale sono necessari 2-3 giorni, spesso 1-3 settimane e talvolta anche di più. Una dose di carico riduce questo intervallo. Esiste una ragionevole linearità tra le concentrazioni plasmatiche e la dose di amiodarone; i livelli plasmatici nei pazienti trattati con successo variano tra 1.5 e 2.5 microg/ml. Anche i livelli di DEA aumentano in funzione del tempo e 12 raggiungono valori anche superiori a quelli dell’amiodarone. In un’analisi postmortem, le concentrazioni dell’amiodarone e del suo metabolita erano rispettivamente di 14 mg/kg e 64 mg/kg nel tessuto tiroideo, 316 mg/kg e 76 mg/kg nel tessuto adiposo, 391 mg/kg e 2354 mg/kg nel fegato (22). Come già affermato, non vi è correlazione tra le concentrazioni plasmatiche e gli effetti clinici o tossici dell’amiodarone. Il monitoraggio delle concentrazioni plasmatiche è di scarsa utilità; ovviamente, concentrazioni plasmatiche > 3-4 microg/ml per periodi di tempo lunghi sono associate ad un aumento dell’incidenza di reazioni avverse. È possibile che l’amiodarone influenzi in qualche modo la sua stessa eliminazione durante la terapia cronica, contribuendo alle differenze tra l’emivita che si riscontra in una fase precoce della terapia rispetto a quella che si ha dopo una terapia prolungata (23). 13 3. AMIODARONE E TIROIDE 3. 1. Cenni di fisiologia tiroidea 3.1.1. Sintesi degli ormoni tiroidei e tireoglobulina Per la sintesi dei due principali ormoni tiroidei, la triiodotironina (T3) e la tiroxina (T4), è indispensabile lo iodio. Lo iodio alimentare viene assorbito a livello dell’intestino tenue previa riduzione a ione ioduro. Dopo che è entrato in circolo, a livello del lato extracellulare della membrana apicale delle cellule follicolari tiroidee viene ossidato a I2 e quindi si lega ai residui tirosinici delle macromolecole di tireoglobulina, già secrete nel lume follicolare sotto forma di colloide. Si formano in tal modo mono e diiodotirosina; queste ultime, unendosi insieme in modo variabile, danno origine alle iodotironine (T2, T3, T4), ancora parte integrante della molecola di tireoglobulina. La tireoglobulina, oltre a rappresentare un prodotto di deposito e di riserva di ormoni tiroidei, è presente, anche se in concentrazione minima, nel sangue periferico. 3.1.2. Ormone tireostimolante e secrezione degli ormoni tiroidei Le cellule follicolari della ghiandola tiroidea, sotto stimolazione del TSH, sintetizzano la tireoglobulina, il precursore degli ormoni tiroidei. Le tireoglobulina è poi rilasciata all'interno del follicolo, che è pieno di colloide. Le cellule follicolari della tiroide intrappolano lo ioduro, che viene ossidato dalla perossidasi tiroidea in iodio e rilasciato nella colloide. Lo iodio è quindi incorporato nei residui di tirosina all'interno della tireoglobulina, formando le molecole di diiodotirosina e monoiodotirosina. Dalla reazione di accoppiamento di due molecole di diiodotirosina si forma la T4, mentre dall'associazione di monoiodotirosina con di-iodotirosina si forma la T3. In seguito alla stimolazione da parte del TSH la tireoglobulina viene riassorbita nelle cellule follicolari e le molecole di T4 e T3 sono staccate e immesse nella circolazione (20, 24). Nella figura 2 è rappresentata la sintesi degli ormoni tiroidei nelle cellule follicolari della tiroide (25) 14 Figura 2. Sintesi degli ormoni tiroidei (25) La T3 può formarsi anche dalla monodeiodazione di T4. Questa reazione, che è catalizzata da iodotironina deiodinasi tipo I (D1), è la fonte principale di T3 circolante (24). La D1 si trova in gran parte nel fegato, reni e tiroide, mentre il tipo II iodotironina deiodinasi (D2) è presente principalmente nel muscolo scheletrico, nel sistema nervoso centrale e nell'ipofisi. La iodotironina deiodinasi tipo III (D3), che si trova nella pelle, cervello e placenta, converte T4 e T3 e porta alla formazione di reverse T3 e T2, rispettivamente (26). 3.1.3. Trasporto ematico e metabolismo intracellulare degli ormoni tiroidei. A causa della loro scarsa idrosolubilità gli ormoni tiroidei sono trasportati in circolo da tre proteine vettrici; la più importante di queste è un’alfa-globulina detta TBG (thyroxine binding globulin) che veicola circa il 70% della T4 e l’80% della T3. Solo una piccola quota dei due ormoni circola libera, ma è solo tale componente che può penetrare nei tessuti periferici e svolgere l’azione biologica degli ormoni tiroidei. Per tale motivo e per il fatto che la concentrazione plasmatica delle proteine vettrici è influenzata da numerose condizioni fisiologiche e patologiche oltre che da farmaci, è 15 preferibile dosare le frazioni libere (FT3, FT4) piuttosto che la quantità totale. La concentrazione plasmatica della T4 sia totale che libera è maggiore della T3, ma l’attività biologica della T4 intrinseca è minima, mentre l’ormone fisiologicamente attivo è la T3. La T4 può essere considerata in larga misura un pro-ormone: infatti a livello intracellulare viene trasformata in T3 in seguito al distacco ad opera dell’enzima 5’- monodeiodasi di tipo I di un atomo di iodio posto in posizione 5’ nell’anello fenolico esterno. La deiodazione può però interessare anche l’atomo di iodio posto in posizione 5’ dell’anello tirosinico interno della T4 e della T3 con formazione, rispettivamente, di “reverse” T3 (isomero biologicamente inattivo della T3) e di T2 (25). 3.2. Effetti dell’amiodarone sulla tiroide L’amiodarone esplica i suoi effetti sulla tiroide attraverso molteplici meccanismi patogenetici. Ad oggi sono stati individuati almeno quattro meccanismi patogenetici dell’amiodarone sulla tiroide: enzimatico, citotossico, autoimmunitario e recettoriale (2), come illustrato nella tabella 1 (27). Tabella 1. Effetti dell’amiodarone sulla tiroide (27) Mecanismo Azione Effetto Enzimatico Inibizione 5’-deiodasi Inibizione captazione tissutale degli ormoni tiroidei Aumentata concentrazione sierica T4 Ridotta concentrazione sierica T3 Aumentata concentrazione sierica rT3 Citotossico Diretto di amiodarone e desetilamiodarone Da eccesso di iodio Citonecrosi Autoimmunitario Recettoriale Aumento sottopopolazioni linfocitarie Precipitazione pregressa autoimmunità Riduzione recettori per le catecolamine Riduzione effetto T3 sui recettori beta Condizione tissutale “similipotiroidea” 16 Nell’uomo, la conversione di T4 in T3 e di T2 in rT3 è catalizzata dall’enzima 5’-desiodasi. Esistono due tipi di questo enzima, il tipo I nei tessuti periferici ed il tipo II a livello ipofisario. Per il suo effetto enzimatico, l’amiodarone inibisce l’attività della 5’-desiodasi, soprattutto a livello epatico (28, 29). Questa inibizione persiste per diversi mesi dalla sospensione del farmaco (30-31). Vi è anche inibizione dell’ingresso degli ormoni tiroidei nei tessuti periferici (2). Entrambi questi meccanismi contribuiscono all’aumentata concentrazione sierica di T4 (spesso ai limiti alti della normalità o leggermente superiori) ed alla ridotta concentrazione sierica di T3 (spesso ai limiti bassi della normalità) che si osserva nei soggetti eutiroidei in terapia cronica con amiodarone (30, 2). In genere è molto più evidente l’aumento della concentrazione sierica di rT3 (33, 34). Sono anche descritte modificazioni dose e tempo dipendenti nella concentrazione sierica di TSH (2, 29, 35). In genere il TSH è nei limiti della norma per somministrazione di 200-400 mg/die di farmaco, anche se spesso vi è un’aumentata risposta allo stimolo con ormone ipotalamico (36). Con dosaggi più elevati, invece, si assiste ad un aumento del TSH, probabilmente dovuto alle variazioni delle concentrazioni degli ormoni tiroidei (37). È stato anche postulato che l’effetto sul TSH sia di tipo diretto, attraverso lo stimolo della secrezione e della sintesi a livello ipofisario, grazie all’inibizione della 5’- desiodasi tipo II, deputata alla conversione di T4 in T3 nell’ipofisi (2). Per tale motivo, i valori di riferimento nei pazienti eutiroidei in terapia con amiodarone sono diversi rispetto ai pazienti non trattati (38). L’amiodarone possiede anche un effetto citotossico diretto sulla tiroide, potenziato dall’eccesso di iodio rilasciato dal farmaco (2). Il desetilamiodarone, metabolita attivo dell’amiodarone, è anche più citotossico per le cellule tiroidee e la sua concentrazione intraghiandolare è più elevata di quella dell’amiodarone (39). Lo iodio può indurre autoimmunità tiroidea nell’uomo e negli animali, ma non è stato confermato un aumento dell’autoimmunità in corso di terapia con amiodarone. La maggior parte degli studi, infatti, ha indicato che è improbabile che autoanticorpi antitiroidei compaiano in soggetti con test negativi prima dell’inizio del trattamento (2). L’amiodarone, però, aumenta alcune sottopopolazioni linfocitarie, così in individui suscettibili, il farmaco potrebbe precipitare od esacerbare una preesistente autoimmunità organospecifica (39). Questo dato sembra, comunque, più importante nella patogenesi dell’ipotiroidismo indotto da amiodarone. Per il suo effetto sui vari tipi di recettore, la terapia cronica con amiodarone causa, a livello tissutale, una condizione “simil-ipotiroidea”. Ciò è dovuto ad una riduzione nel numero dei recettori per le catecolamine e ad una riduzione dell’effetto della T3 sui recettori beta. Sono descritti anche effetti di ridotta trascrizione dei geni dipendenti dalla T3 (40). Inoltre sembra 17 esserci una down-regulation di alcuni sottotipi di recettore per gli ormoni tiroidei nei tessuti periferici (2, 41). 3.2.1. Effetti dell'amiodarone sui test di funzione tiroidea Usualmente all’inizio del trattamento con amiodarone e durante le prime due settimane si realizza il fenomeno di Wolff-Chaikoff (42), ovvero l’aumento delle concentrazioni di ioduro, che induce un’inibizione temporanea della produzione e del rilascio di T3-T4 da parte della tiroide (fig. 3). Ne consegue una possibile riduzione del livello degli ormoni circolanti nei primi giorni di terapia. Figura 3. Fenomeno di Wolff-Chaikoff (43) Assunzione di amiodarone aumento della concentrazione di iodio liberata durante il metabolismo del farmaco diminuzione della captazione tiroidea di ioduro diminuzione transitoria nella produzione e rilascio degli ormoni tiroidei aumento temporaneo del livello di ormone stimolante la tiroide L’amiodarone, come già riportato, inoltre riduce la conversione periferica di T4 a T3 (34, 44). I livelli ematici di TSH, invece, tendono ad aumentare durante i primi mesi del trattamento per poi ritornare a livelli normali nei soggetti eutiroidei; la concentrazione plasmatica del T3 reverse è stata usata come indice di efficacia del medicamento (35). In sintesi negli esami di routine si osserva un aumento delle concentrazioni plasmatiche di tiroxina (T4), di T3 reverse (rT3) e dell’ormone tireostimolante (TSH) e una riduzione del livello di T3. Gli effetti dell’amiodarone comunque sono lievemente diversi se osservati nei primi tre mesi di terapia o nei mesi successivi, come si rileva nella tabella 2 (45) 18 Tabella 2. Effetti dell’amiodarone sui test di funzionalità tiroidea in soggetti eutiroidei Test subacuto Cronico (fino a 3 mesi) (›3 mesi) T4 modesto aumento (Possibile ↓ transitorio nei primi giorni di terapia, per effetto inibitorio da carico di iodio (effetto di Wolff-Chaikoff) rimane aumentato fino al 40% (può essere ai limiti superiori della norma o di poco aumentato) T3 diminuito (di solito ai limiti inferiori della norma) rimane ai limiti inferiori della norma TSH tendenzialmente normale rT3 aumento transitorio (fino a 20 mU/l) aumentato aumentato 3.2.2. Ipertiroxinemia eutiroidea Le modificazioni delle concentrazioni degli ormoni tiroidei indotte dall’amiodarone e soprattutto un aumento della T4 totale e della sua frazione libera possono in alcuni pazienti essere consistenti al punto di superare il limite superiore dell’intervallo di riferimento considerato normale. Tale condizione non associata a TSH soppresso, né a segni di ipertiroidismo, è definita ipertiroxinemia eutiroidea o isolata e la terapia cronica con amiodarone è solo una delle possibili cause che possono determinarla (46). La prevalenza di tale condizione nei pazienti in terapia con amiodarone varia tra il 16 e il 32.8% (47, 48). Poiché tale condizione rappresenta una conseguenza fisiologica della terapia cronica con amiodarone, non necessita di alcun trattamento e va semplicemente differenziata dall’ipertiroidismo. La tabella 3 riassume i dati clinico-ormonali dell’ipertiroxinemia eutiroidea. Tabella 3. Ipertiroxinemia eutiroidea FT4 aumentato TSH normale Segni clinici di ipertiroidismo assenti 19 4. DISFUNZIONE TIROIDEA DA AMIODARONE Sebbene la maggior parte dei pazienti che assumono amiodarone rimangano eutiroidei, alcuni possono sviluppare disfunzione tiroidea, sia in senso iperfunzionante che ipofunzionante (2). I diversi studi pubblicati riportano un’incidenza di ipertiroidismo da amiodarone (AIT) dall’1 al 23% e di ipotiroidismo indotto da amiodarone (AIH) dall’1 al 32%, per cui l’incidenza complessiva di disfunzione tiroidea da amiodarone sembra essere nel range di 14-18% (2, 32). Altri studi riportano incidenze di disfunzioni tiroidee intorno al 50% dei pazienti trattati (49). Inoltre, la valutazione di un gruppo di pazienti adulti con cardiopatia congenita ha rilevato una prevalenza di disfunzione tiroidea nel 36% tra quelli trattati con amiodarone. In questi i fattori di rischio per lo sviluppo di disfunzione tiroidea erano: sesso femminile, cardiopatia cianogena complessa, pregresso intervento tipo Fontan e posologia di amiodarone > 200 mg/die (48). L’AIT sembra più frequente nelle aree a bassa assunzione di iodio, come l’Italia, mentre l’ipotiroidismo in quelle ad apporto sufficiente (USA, UK) (Fig. 4) (2, 47, 50, 51, 52). Nel complesso, i fattori predisponenti per l’AIT sono il sesso maschile ed il carente apporto alimentare di iodio. I fattori predisponenti per l’AIH sono l’età avanzata, il sesso femminile, l’apporto alimentare di iodio adeguato, la presenza di autoanticorpi antitiroide (26). 20 Figura 4. Prevalenza delle alterazioni tiroidee indotte da amiodarone in un’area della Toscana con apporto insufficiente di iodio ed un’area iodosufficiente degli USA (53) 4.1. Ipertiroidismo indotto da amiodarone (AIT) 4.1.1. Epidemiologia L’ipertiroidismo indotto dall’amiodarone (AIT) è prevalente nelle aree iodocarenti e nel sesso maschile, con un rapporto M/F di 3/1 (2, 52). L’AIT può svilupparsi all’inizio del trattamento o dopo molti anni (2, 54). In uno studio del 1991, la durata media di trattamento prima dello sviluppo di AIT è stata di circa 3 anni (54). In uno studio recente condotto in Hong Kong, su 390 pazienti che assumevano Amiodarone, 24 (6%) hanno sviluppato AIT, e la durata media del trattamento prima dello sviluppo di AIT è stata di 37 settimane (da 24 a 50) (55). A causa del deposito tissutale dell’amiodarone e dei suoi metaboliti, AIT può svilupparsi anche molti mesi dopo la sospensione 21 del trattamento (2). Lo sviluppo di AIT non sembra correlato alla dose giornaliera né a quella cumulativa di farmaco (2-50) e non ci sono criteri di prevedibilità (54), anche se è stato suggerito che la mancata risposta del TSH all’infusione di ormone ipotalamico possa rappresentare un fattore di rischio (51). 4.1.2. Patogenesi Ai fini prognostici e terapeutici, sono stati distinti due sottotipi di AIT (56, 57). Questi riflettono anche un differente meccanismo patogenetico, per quanto non ancora del tutto spiegato. L’AIT di tipo 1 si sviluppa in tiroidi con precedenti patologie, mentre l’AIT di tipo 2 su tiroidi apparentemente normali. L'alterata funzionalità può quindi svilupparsi sia in una ghiandola normale che in una ghiandola con pregresse disfunzioni, indipendentemente dall’apporto di iodio della zona in cui si vive (2, 34, 38, 58). L’autoimmunità umorale sembra giocare un ruolo minimo, o nullo, sullo sviluppo di AIT in pazienti senza disordini tiroidei sottostanti (2). Anticorpi antitireoglobulina, antitireoperossidasi e antirecettore del TSH sono stati riscontrati solo in pazienti con AIT e precedenti anomalie tiroidee, ma non in soggetti con tiroide normale (59). Nella figura 5 si evidenzia come i valori di attività dell’adenilato-ciclasi (correlati all’aumento degli anticorpi antirecettore del TSH) siano elevati solo in pazienti con AIT instauratosi su gozzo diffuso e non in soggetti normali o con AIT su adenoma tossico o gozzo multi nodulare. 22 Figura 5. Anticorpi anti TSH (dosati mediante l’aumento dell’attività adenilato-ciclasi) in 46 pazienti con AIT e 35 controlli (59) Nell’AIT tipo I, che si sviluppa in pazienti con patologie tiroidee sottostanti (morbo di Basedow latente, gozzo diffuso, gozzo nodulare), il meccanismo patogenetico postulato è quello di un’eccessiva ormono-sintesi indotta dal carico di iodio (2). Questo dato è confortato dal riscontro di un marcato aumento, in questi pazienti, del contenuto di iodio intratiroideo, che si normalizza al raggiungimento dell’eutiroidismo (58). Tale riscontro è più frequente nei pazienti con disordine tiroideo sottostante, che risiedono in un’area a moderata deficienza iodica, nei quali la tiroide sembra non adattarsi all’eccessivo carico di iodio fornito dall’amiodarone (2). In questo sottogruppo di pazienti il valore di interleuchina-6 (che aumenta nei processi distruttivi della tiroide) (60) è normale o solo lievemente aumentato, escludendo un coinvolgimento del meccanismo tossico nella patogenesi del disordine (2). Nell’AIT tipo II, invece, si suppone che abbia maggiore importanza l’effetto citotossico del farmaco sulla tiroide con associata dismissione di ormoni preformati dalle 23 cellule danneggiate (2). In studi in vitro è stato dimostrato che l’amiodarone ed il desetilamiodarone hanno effetti citotossici sulle cellule tiroidee, causando distruzione ghiandolare e conseguente rilascio di ormoni tiroidei preformati nella circolazione sistemica (2-61-62). L’esame istologico eseguito in questi pazienti ha mostrato danno follicolare severo (63), i pazienti in genere non hanno disfunzioni tiroidee ed i test di autoimmunità tiroidea sono negativi (2). Inoltre, si riscontrano bassi valori di captazione tiroidea di iodio, la concentrazione sierica di interleuchina-6 è spesso molto elevata (64). In questi pazienti, la fase tireotossica è talvolta seguita da un modesto ipotiroidismo (fino al 10% dei pazienti) (65). 4.1.3. Istologia Le caratteristiche istologiche più comunemente osservate nell’AIT sono la trasformazione colloidale del parenchima, aree di interruzione follicolare con numerosi macrofagi schiumosi nella colloide e nell’interstizio, degenerazione dell’epitelio dei follicoli con presenza di cellule follicolari con citoplasma vacuolizzato e nuclei picnotici, presenza di aree rigenerative e una moderata infiltrazione di linfociti T. Queste lesioni possono essere specifiche di una tossicità da iodio. La patogenesi è ancora discussa e complessa. Probabilmente sono coinvolti meccanismi tossici, immunologici o allergici (56, 66). 24 Figura 6. Visualizzazione ad alto ingrandimento di un campione di tessuto tiroideo prelevato ad un paziente affetto da AIT tipo 2. L'epitelio follicolare è degenerato. La presenza di istiociti schiumosi nei follicoli rappresenta la caratteristica istologica della tireotossicosi indotta da amiodarone (56) 4.1.4. Manifestazioni cliniche Il quadro clinico dell’ipertiroidismo da amiodarone è caratterizzato dal mancato controllo o addirittura dall’aggravamento dei disturbi cardiaci che avevano richiesto la sua somministrazione (recidiva di tachiaritmie, ecc.). La restante tipica sintomatologia dell’ipertiroidismo (palpitazioni, perdita di peso, iperidrosi, cute calda, intolleranza al caldo, febbricola, dolori muscolari, affaticamento, difficoltà ad addormentarsi, tremori) può essere sfumata e assente a causa dell’azione antiadrenergica dell’amiodarone e dell’inibizione della conversione di T4 in T3. La ricomparsa o l’esacerbazione della patologia cardiaca in un paziente in terapia con amiodarone, dovrebbe indurre un'indagine sulla funzione tiroidea (2). Molti pazienti con fibrillazione atriale sono trattati con warfarin per ridurre il rischio clinico di tromboembolia. Il warfarin esercita il suo effetto anticoagulante inibendo i fattori II, VII, IX e X vitamina K-dipendenti della coagulazione (67). Sebbene la farmacocinetica del warfarin è immutata nella tireotossicosi, mentre la velocità di 25 degradazione dei fattori della coagulazione vitamina K dipendenti è aumentata, si ha un potenziamento degli effetti del warfarin (68). Pertanto, un cambiamento nella sensibilità al warfarin che richiede una riduzione della dose dovrebbe portare il medico a sospettare ipertiroidismo. Altre condizioni cliniche associate con entrambi i tipi di AIT sono gozzo e orbitopatia, anche se queste condizioni non sono sempre presenti, a meno che il paziente non abbia come malattia di base il morbo di Graves (2). 4.1.5. Diagnosi La diagnosi di AIT viene formulata quando, in pazienti che assumono amiodarone, i livelli di TSH sono risultati essere ridotti ed i livelli di FT3 sierico aumentati. Le concentrazioni sieriche di FT4 sono un indicatore meno utile di ipertiroidismo da quelli della FT3, perché durante la terapia con amiodarone è diminuita la conversione di T4 a T3 e spesso si riscontrano elevati livelli di T4 senza che vi siano segni di ipertiroidismo (69). L'esistenza di alterazioni della tiroide, come il gozzo multinodulare o diffuso e la malattia di Graves, che possono dar luogo ad autonomia funzionale nel contesto di un eccesso di iodio, può essere un'indicazione di AIT di tipo 1. Aumentate concentrazioni di autoanticorpi anti-tiroide, come anticorpi antitireoglobulina, anticorpi antiperossidasi, anticorpi antirecettori del TSH, così come popolazioni di cellule T specifiche per la malattia di Graves, sono state dimostrate in pazienti con AIT tipo 1 (51, 54, 70). L’AIT di tipo 2 è principalmente un processo infiammatorio della tiroide e si verifica in pazienti con tiroide clinicamente normale. I livelli di interleuchina 6 (IL-6), una citochina che è un indicatore generale di processi infiammatori della tiroide, sono leggermente più elevati della norma nell’AIT di tipo 1, ma marcatamente elevati nell’AIT di tipo 2 come evidenziato nella figura 7 (60). 26 Figura 7. Interleuchina-6 sierica in pazienti trattati con amiodarone ed in un gruppo di controllo. (60) AmEu, pazienti eutiroidei trattati con amiodarone; AIH, ipotiroidismo indotto da amiodarone; AIT-, AIT in assenza di preesistenti anomalie tiroidee; AIT+, AIT con preesistenti anomalie tiroidee; GD, malattia di Graves; TA, adenoma tossico; NTG, gozzo non tossico. L’esame ecografico nell’AIT tipo 1 mostra sostanzialmente i segni ecografici della tireopatia di base: il volume tiroideo può essere normale o aumentato; l’ecostruttura disomogenea ed ipoecogena nel caso l’AIT si manifesti in pazienti con Basedow latente; con presenza di uno o più noduli nel caso l’AIT si manifesti in pazienti con gozzo nodulare pretossico. Nell’AIT di tipo 2 la tiroide si presenta con volume normale, ad ecostruttura finemente disomogenea e debolmente ipoecogena (71). L’ecografia color e Power Doppler è una un esame strumentale che mostra il flusso di sangue intratiroideo. Nell’AIT sono stati descritti 4 pattern color Doppler: nel tipo 0 si ha una vascolarizzazione parenchimale quasi assente; nel tipo 1 si rileva un flusso parenchimale irregolare; 27 nel tipo 2 un flusso omogeneamente aumentato simile a quello riscontrato nel Basedow,; nel tipo 3 un marcato aumento del segnale a distribuzione diffusa ed omogenea (tabella 4). Pazienti con AIT di tipo 1 mostrano di solito un aumento della vascolarizzazione simile all’ipertiroidismo spontaneo (pattern 1-3), mentre quelli con AIT tipo 2 mostrano vascolarizzazione assente (pattern 0) (47, 72, 73), come mostrato nelle figure 8-11 (71). Tabella 4. Ecocolor Doppler in AIT (52) Pattern 0: Vascolarizzazione assente, distruzione della ghiandola Pattern 1: Flusso parenchimale irregolare Pattern 2: Diffuso, distribuzione omogenea del flusso aumentato, simile al morbo di Graves Pattern 3: Marcato aumento del segnale e diffusa omogenea distribuzione Il pattern 0 è associato con AIT tipo 2. Il pattern 1 e 3 con AIT tipo I 28 Figura 8. Ecocolordoppler in paziente con AIT Pattern 0. Vascolarizzazione assente (71) Figura 9. Ecocolordoppler in paziente con AIT Pattern 1. Flusso parenchimale irregolare (71) 29 Figura 10. Ecocolordoppler in paziente con AIT Pattern 2. Flusso parenchimale omogeneamente aumentato simile al Basedow (71) Figura 11. Ecocolordoppler in paziente con AIT Pattern 3. Marcato aumento del segnale a distribuzione diffusa ed omogenea (71) 30 Altro esame utile per distinguere i due tipi di AIT è rappresentato dalla captazione tiroidea di iodio131 (RAIU), che è molto bassa (<3%) nell’AIT di tipo 2 e bassa, normale o aumentata nell’AIT tipo 1 (74, 75). Comunque un lavoro ha dimostrato che la RAIU non è in grado di distinguere le due forme di AIT (76). La spiegazione è che la presenza di gozzo diffuso o nodulare associato con bassa captazione tiroidea non esclude una forma distruttiva o mista di AIT. Recentemente, la scintigrafia tiroidea con 99mTc-2-metossietile isobutil-isonitrile (MIBI) è stata suggerita come un utile strumento diagnostico in uno studio su 20 pazienti consecutivi con AIT. In questo studio, la ritenzione diffusa del MIBI, che è indicativa di un tessuto iperfunzionante, era presente in tutti i pazienti con AIT di tipo 1, mentre nessun assorbimento significativo, suggestivo di un processo distruttivo, è stato trovato nell’AIT di tipo 2. I quattro pazienti con AIT misto avevano una debole captazione persistente del MIBI o una eliminazione rapida del tracciante (77). Una immagine rappresentativa è riportata nella figura 12. La reale utilità di questa costosa procedura per l'identificazione di forme di AIT complesse e difficili da trattare deve essere confermata da studi più ampi. 31 Figura 12. Immagine rappresentativa di scintigrafia con 99mTc-MIBI di ghiandola tiroidea affetta da: (A) AIT I, (B) AIT misto, (C) AIT II. (77) 4.1.6. Terapia Il trattamento dell’AIT, pur essendo disponibili diverse opzioni terapeutiche, è particolarmente difficoltoso, sia per la talora scarsa efficacia dei trattamenti, sia per le condizioni cliniche del paziente, che sono spesso critiche. L’efficacia della terapia con tionamidi (metimazolo, propiltiouracile, carbimazolo) è limitata dagli elevati valori di iodio intratiroideo. La terapia radiometabolica è poco efficace dati i valori bassi o soppressi di captazione tiroidea di iodio, ma può essere considerata in quei pazienti in cui la captazione di radioiodio risulta elevata (2, 38, 78). La tiroidectomia può essere risolutiva nei pazienti resistenti alla terapia medica o in caso di recidiva, tenendo però in considerazione l’alto rischio operatorio di pazienti cardiopatici ed ipertiroidei. Nonostante questo, non si è riscontrata in letteratura una maggiore incidenza di 32 complicanze peri e postoperatorie, e da alcuni la chirurgia è considerata la terapia di scelta, soprattutto in caso sia necessario mantenere la terapia con amiodarone (56, 79, 80). La plasmaferesi si è dimostrata efficace nel rimuovere l’eccesso di ormoni tiroidei, anche se l’effetto è transitorio e spesso è seguita da una riesacerbazione dell’AIT (81). L’identificazione dei sottotipi di AIT può garantire una base razionale per la scelta della terapia patogenetica adeguata. Nell’AIT tipo I, l’obiettivo del trattamento dovrebbe, da una parte, bloccare un’ulteriore organificazione dello iodio e la sintesi degli ormoni tiroidei, dall’altra ridurre l’ingresso di iodio nella tiroide e svuotare i depositi intratiroidei, per potere così aumentare l’efficacia delle tionamidi e permettere una terapia con radioiodio, da eseguire in tempi successivi. Per raggiungere tali scopi, si utilizzano le tionamidi, a dosi più elevate del solito, stante la resistenza a questi farmaci di una tiroide ricca di iodio. In genere si usano 40-60 mg/die di metimazolo o 600-800 mg/die di propiltiouracile (47, 82). Per inibire il reuptake tiroideo di iodio, si può associare il perclorato di potassio (1000 mg/die). Il limite di questo farmaco è la sua tossicità, in particolare l’induzione di agranulocitosi e di anemia aplastica, che è descritta, solo a dosi elevate, fino al 16-18% dei pazienti trattati (83, 84). Sia per gli effetti tossici del perclorato che per quelli delle tionamidi associate, è importante eseguire frequenti controlli dell’emocromo, e limitare la terapia con perclorato a 4-6 settimane (83). In alcuni casi, al posto del perclorato, è stato associato litio carbonato (900-1350 mg/die per 4-6 settimane) al propiltiouracile, con riduzione netta del periodo necessario per il raggiungimento dell’eutiroidismo (85). Nell’AIT tipo II, essendoci alla base un meccanismo distruttivo, le tionamidi sono inefficaci (2). In tali casi sono efficaci i corticosteroidi, sia per l’ effetto antinfiammatorio e quello stabilizzante di membrana (72, 86), sia perchè inibiscono l’attività della 5’-desiodasi, limitando i sintomi clinici dell’ ipertiroidismo (86). Martino et al. suggeriscono un trattamento di 2-3 mesi con dosi iniziali di 40 mg/die di prednisone, seguiti da una lenta, graduale riduzione del dosaggio, per minimizzare i rischi di recidiva (2). In caso di recidiva la terapia va ripresa alle dosi minime efficaci. Nella terapia dell’AIT di tipo II è stato usato anche il litio per il suo effetto inibitorio sulla secrezione degli ormoni tiroidei (85). Nella tabella 5 sono illustrati gli schemi terapeutici dell’ AIT (2) 33 Tabella 5. Strategie terapeutiche nell’ AIT (2) AIT di tipo I Tionamidi (metimazolo, 30/40 mg/die) in associazione con perclorato di potassio (1g/die per 16-40 gg). Se possibile, interrompere l’amiodarone. Se l’amiodarone non può essere sospeso e la terapia medica non ha avuto successo, valutare la possibilità di effettuare la terapia Radiometabolica o la tiroidectomia totale. AIT di tipo II Glucocorticoidi per 2-3 mesi (dose iniziale, prednisone 40 mg/die o equivalente). Interrompere l’amiodarone se possibile. Nelle forme miste aggiungere tionamidi e perclorato di potassio. Dopo il raggiungimento dello stato di eutiroidismo, follow-up del paziente per possibile progressione spontanea verso l’ipotiroidismo. Se l’amiodarone non può essere sospeso e la terapia medica non ha avuto successo, valutare la possibilità di effettuare la tiroidectomia. Nelle forme di AIT di tipo misto, in cui la patogenesi coinvolge entrambi i meccanismi, è consigliabile associare i corticosteroidi alla terapia con tionamidi e perclorato (2, 38). Un altro punto controverso è quello del mantenimento della terapia antiaritmica. Alcuni studi riportano efficacia terapeutica anche non sospendendo l’amiodarone (87, 88), ma la maggior parte dei dati a disposizione conferma che la sospensione del farmaco è parte integrante della terapia (2, 38, 60). Nei casi in cui non è possibile interrompere l’amiodarone e la terapia medica fallisce, la tiroidectomia rappresenta un’alternativa valida (79, 80, 89). Per i pazienti con una storia di AIT nei quali l’amiodarone diventa necessario, dopo che era stato sospeso, bisogna considerare la possibilità di ablazione tiroidea con radioiodio o con tiroidectomia prima di riprendere l’assunzione del farmaco (2, 87). Alcuni autori giapponesi suggeriscono di non sospendere la terapia con amiodarone nei casi di recidiva di AIT tipo II, perché l’ipertiroidismo spesso si risolve spontaneamente o si manifesta in forma lieve (90). I pazienti con AIT, particolarmente quelli con AIT tipo 2, possono talora andare incontro ad ipotiroidismo, per cui è necessario programmare il follow-up (65). Nella tabella 6 sono illustrati i meccanismi patogenetici, le manifestazioni cliniche, gli iter diagnostici e la terapia consigliata nelle due forme di AIT. 34 Tabella 6. Comparazione tra AIT di tipo I ed AIT di tipo II (56, 57) Tipo 1 Tipo 2 Malattia tiroidea preesistente o latente Usualmente presente Assente Prevalenza Più comune in aree a carenza iodica Più comune in aree iodosufficienti Durata dell’assunzione di amiodarone Usualmente breve (<1–2 anni) Usualmente lunga (>2 anni) Patogenesi Mancata regolazione della sintesi Distruzione della ghiandola ormonale a causa di un eccessivo carico di dovuta all’effetto citotossico iodio (Jod-Basedow phenomenon) diretto dell’amiodarone Remissione spontanea No Possibile Esame obiettivo della Probabile presenza di gozzo tiroide Tiroide normale Anticorpi antitiroide Probabilmente assenti Probabilmente presenti Captazione radioiodio Bassa/normale/aumentata Bassa/assente Scintigrafia Captazione presente Captazione assente Interleuchina-6 Normale Alta Ecografia tiroidea Gozzo diffuso o nodulare Tiroide normale (ipoecogena) (piccolo gozzo) Eco color Doppler Flusso parenchimale aumentato Flusso normale o diminuito Terapia Interrompere la somministrazione di amiodarone; tionamidi; perclorato o litio La sospensione dell’amiodarone può non essere necessaria; glucocorticoidi Successivo ipotiroidismo Non comune Comune Terapia successiva per la malattia tiroidea di base Probabile No 35 4.1.7. Conclusioni Data l’alta incidenza di ipertiroidismo nei pazienti che assumono amiodarone, specie nelle aree iodocarenti come l’Italia, in questi pazienti è consigliabile, prima di iniziare la terapia con amiodarone, eseguire il dosaggio di FT3, FT4, TSH, anticorpi antiperossidasi ed antitireoglobulina, ecocolordoppler della tiroide. Durante la terapia si raccomanda un controllo del TSH e degli ormoni liberi circolanti ogni sei mesi, o prima, se le condizioni cliniche lo richiedono (91). 4.2. Ipotiroidismo indotto da amiodarone (AIH) 4.2.1. Epidemiologia Durante il trattamento cronico con amiodarone si manifesta ipotiroidismo nel 5-32% dei casi (35, 51). Questa grande differenza tra i vari studi dipende soprattutto dall’area geografica nella quale essi sono stati condotti; infatti l’ipotiroidismo risulta più frequente nelle aree a normale apporto alimentare di iodio, mentre nelle zone iodio-carenti prevale l’ipertiroidismo. In Italia la prevalenza di ipotiroidismo da amiodarone è del 5.3% (47). Alcuni studi suggeriscono che l’incidenza dell’AIH si riduca del 5-10% dopo oltre un anno di terapia con amiodarone (51-54-69). Questa riduzione può essere prevalentemente dovuta ad un meccanismo autoregolatore della tiroide all’eccesso di iodio (91). L’AIH insorge solitamente nei primi mesi di terapia e quasi sempre nei primi 2 anni (82). In un recente studio condotto tra la popolazione cinese di Hong Kong l’insorgenza dell’AIH si verificava dopo 15-63 settimane (media 26 settimane) dall’inizio della terapia (93). In genere l’AIH sviluppa prima dell’AIT sia in pazienti con tiroidi apparentemente normali che in pazienti con preesistenti patologie tiroidee (2, 51, 54, 94). In un lavoro italiano, su 28 pazienti affetti da AIH, 19 (68%) avevano preesistenti patologie tiroidee mentre 9 (32%) avevano tiroidi normali. Tra le anomalie preesistenti la presenza di anticorpi antitiroide è la più rilevante, essendo stata riscontrata nel 53% dei pazienti con AIH con preesistenti alterazioni tiroidee (51). L’incidenza è maggiore nel sesso femminile con un rapporto di 1,5-1 (2, 37, 47, 54). Altra condizione che sembra favorirne l’insorgenza è l’età avanzata (82). 36 4.2.2. Patogenesi I possibili meccanismi etiopatogenetici chiamati in causa per spiegare l’instaurarsi dell’ipotiroidismo da amiodarone sono fondamentalmente tre. Il meccanismo etiopatogenetico più probabile è che la ghiandola tiroidea danneggiata da una preesistente tiroidite di Hashimoto non è in grado di sfuggire all’effetto acuto di Wolff-Chaikoff dovuto al carico di iodio presente nella molecola di amiodarone. In un lavoro di Martino et al. (95), è stato evidenziato che un gruppo di pazienti eutiroidei con presenza in circolo di autoanticorpi antitiroide che andavano incontro ad un trattamento cronico con amiodarone sviluppavano nel 70% circa dei casi un incremento del titolo anticorpale con evoluzione verso l’ipotiroidismo. Tale osservazione suggerisce che la somministrazione del farmaco non determina l’insorgenza di una tireopatia autoimmune ma sembra piuttosto modificare il corso naturale della tiroidite autoimmune già presente favorendone l’evoluzione verso l’ipotiroidismo. Il secondo meccanismo etiopatogenetico è più complesso: in condizioni normali la somministrazione di dosi farmacologiche di iodio induce un blocco transitorio della sintesi degli ormoni tiroidei; la tiroide normale “sfugge” a questo blocco della sintesi ormonale per adattamento alle elevate concentrazioni di iodio. Tuttavia in alcuni soggetti che presentano un difetto nell’organificazione dello ioduro intratiroideo, si sviluppa l'ipotiroidismo (96). Questo meccanismo patogenetico induce un ipotiroidismo che nella maggioranza dei casi regredisce entro pochi mesi dalla sospensione del trattamento (51). Il terzo meccanismo chiamato in causa, meno frequente degli altri, è il processo distruttivo tiroideo che, nella prima fase si associa ad ipertiroidismo, mentre nella seconda fase è associato ad ipotiroidismo. In tali pazienti il quadro è irreversibile (65) 4.2.3. Manifestazioni cliniche Il quadro clinico dell’ipotiroidismo da amiodarone non differisce da quello da altre cause: astenia, facile affaticabilità, intolleranza al freddo, cute secca, perdita di memoria, aumento di peso sono i sintomi più comuni. Alcuni sintomi e segni possono però risultare insidiosi e mal interpretati: ad esempio la bradicardia può essere attribuita all’azione del farmaco, oppure l’aumento di peso, l’astenia e la facile affaticabilità possono essere interpretati come un peggioramento della 37 cardiopatia di base (96). Sono riportati casi di coma mixedematoso secondario all’uso di amiodarone (94, 97) e casi di grave ipotiroidismo da amiodarone in età pediatrica (98). 4.2.4. Diagnosi La diagnosi di ipotiroidismo da amiodarone è basata sul riscontro di elevate e persistenti concentrazioni plasmatiche di TSH con FT4 sierico ridotto. Le concentrazioni di T3 totale e della sua frazione libera possono essere normali anche in pazienti clinicamente ipotiroidei. Tra gli esami strumentali particolarmente utile risulta l’ecocolordoppler tiroideo in quanto aiuta a differenziare il meccanismo etiopatogenetico che sta alla base dell’AIH. Infatti, come evidenziato nella tabella 7 e nelle figure 13-15, nell’AIH con meccanismo autoimmune la tiroide appare con ecostruttura diffusamente disomogenea ed ipoecogena, normo o ipervascolarizzata; nell’AIH da difetto di organificazione la tiroide mostra ecostruttura normale; nell’AIH con meccanismo distruttivo la tiroide mostra ecostruttura finemente disomogenea, debolmente ipoecogena, ipovascolarizzata (71). Tabella 7. Caratteristiche strutturali della tiroide all'esame ecocolordoppler in pazienti affetti da AIH (71) Autoimmune Tiroide ad ecostruttura disomogenea ed Ipoecogena, normo o ipervascolarizzata Difetto di organificazione Tiroide ad ecostruttura normale Distruttivo Tiroide ad ecostruttura finemente disomogenea, debolmente ipoecogena, ipovascolarizzata 38 Figura 13. Ecocolodoppler in paziente con AIH a meccanismo autoimmune. Tiroide ad ecostruttura diffusamente disomogenea, ipervascolarizzata (99) Figura 14. Ecocolodoppler in paziente con AIH da difetto di organificazione. Tiroide ad ecostruttura omogenea, normovascolarizzata (99) 39 Figura 15. Ecografia ed eco Power Doppler in paziente con AIH a meccanismo distruttivo. Tiroide ad ecostruttura finemente disomogenea, ipovascolarizzata (99) 4.2.3. Terapia La terapia dell’ipotiroidismo indotto da amiodarone è meno problematica della terapia dell’AIT e si basa sulla somministrazione di levotiroxina. Se la patologia cardiaca necessita dell’amiodarone è possibile proseguire la terapia in associazione con la levotiroxina (96). In questi pazienti di solito sono necessarie dosi di L-T4 più elevate a causa dell’effetto inibitorio della conversione di T4 in T3 da parte dell’amiodarone. Nei pazienti che possono sospendere la terapia con amiodarone, di solito si ha ritorno all’eutiroidismo, maggiormente in pazienti che non hanno una preesistente tiroidite di Hashimoto (51). La posologia di tale farmaco deve essere regolata in modo tale da ripristinare la condizione eutiroidea in modo graduale, in quanto un eccesso di L-T4 può portare ad un peggioramento del quadro per aggravamento della cardiopatia sottostante. La concentrazione sierica del TSH è il parametro di laboratorio più importante da considerare nel monitoraggio dei pazienti in terapia con L-T4. In considerazione del fatto che si tratta di pazienti cardiopatici è preferibile mantenere i livelli del TSH ai limiti alti della norma (2). Lo schema posologico prevede l’inizio del trattamento con 25 microgrammi al giorno di L-T4 con successivi incrementi graduali di 25 microgrammi ogni 2-4 settimane fino al raggiungimento 40 dell’eutiroidismo (96). Per un ripristino più veloce dell’eutiroidismo è stato proposto un breve ciclo di perclorato di potassio (1 g. al giorno per 10-30 giorni). Il razionale di questo trattamento risiede nel fatto che il perclorato di potassio inibisce l'assorbimento di ioduro dalla tiroide, diminuendo così l'effetto inibitorio di un eccesso di iodio intratiroideo (100). 41 5. AMIODARONE IN GRAVIDANZA In gravidanza l’amiodarone è usato per trattare aritmie materne o fetali. L’amiodarone passa attraverso la placenta ed è escreto dal latte materno (101). È sempre sconsigliabile il suo impiego in donne giovani che non prendano precauzioni per il controllo di eventuali gravidanze; infatti, anche se sospeso all’inizio della gravidanza, la presenza in circolo del farmaco può causare disfunzioni tiroidee nel feto (102). Gli ioduri possono alterare la funzionalità tiroidea fetale dopo la 10° settimana di gestazione, quando (12-14° settimana) inizia la captazione di iodio da parte della tiroide fetale (103). Una disfunzione tiroidea può essere ipotizzata nel 2° trimestre di gravidanza in base al ritardo di maturazione ossea (104). In una casistica riportata da Jefferson ed altri nel 2004, da una revisione della letteratura, su 69 pazienti gravide trattate con amiodarone, alterazioni tiroidee si sono verificate in 18 neonati (26%). In 2 di questi si era verificata una ipertiroxinemia transitoria, negli altri 16 un ipotiroidismo (105). La Food and Drug Administration inserisce l’amiodarone in classe D per quanto riguarda la gravidanza, segnalandone il possibile effetto teratogeno, la possibilità di distiroidismo, di ritardo della crescita e la possibilità di parto prematuro. La classe D comprende quei farmaci per i quali è documentato un rischio di effetti avversi, ma i possibili benefici del trattamento potrebbero essere considerati, in casi specifici, superiori ai rischi (come ad esempio il controllo di aritmie ventricolari maligne non trattabili in altro modo). Nell’era dei defibrillatori impiantabili l’uso dell’amiodarone in tali pazienti dovrebbe essere verosimilmente molto limitato. Sebbene l’ipotiroidismo neonatale da uso di amiodarone nella madre è spesso transitorio, è consigliabile comunque trattare i neonati con L-T4 in quanto è stato riportato che la crescita e lo sviluppo psico-motorio erano normali in alcuni casi (106, 107, 108), ma ridotti in altri (109, 110). Dal momento che l'amiodarone è secreto nel latte, l'allattamento al seno non è una controindicazione assoluta, ma comporta un rischio, perché il feto è molto sensibile all’AIH (30, 109). Pertanto, la funzione tiroidea nel neonato allattato da madre che assume amiodarone deve essere attentamente monitorata per escludere l'eventuale insorgenza di AIH. 42 6. AMIODARONE IN ETA’ PEDIATRICA Con lo sviluppo delle tecniche ablative le indicazioni all’uso degli antiaritmici e dell’amiodarone in età pediatrica sono notevolmente cambiate. Le aritmie sopraventricolari da rientro nel nodo atrioventricolare e quelle da via anomala possono essere trattate con ablazione transcatetere, come pure alcune aritmie atriali e ventricolari. In età pediatrica l’indicazione all’impiego dei farmaci antiaritmici resta quindi limitata alle aritmie nel contesto di cardiopatie congenite, di neoplasie del cuore, di aritmie non ablabili o per le quali si preferisca attendere un aumento dell’età e del peso corporeo prima di procedere all’ablazione (109). L’amiodarone in età pediatrica presenta la stessa efficacia che nell’adulto, ed è impiegabile con una certa sicurezza presentando effetti proaritmici scarsi ed effetti collaterali percentualmente inferiori, e meno gravi, rispetto a quelli osservati nell’adulto (112, 113). In particolare risultano rari gli effetti sulla funzionalità tiroidea. Rispetto agli adulti il momento della comparsa degli effetti sulla tiroide è diverso, in quanto nei bambini non vi è un aumento dell’incidenza degli effetti collaterali con il prolungarsi del trattamento (114). L’amiodarone è metabolizzato più rapidamente nel bambino rispetto all’adulto ed il suo effetto inizia generalmente dopo solo pochi giorni di trattamento (con la somministrazione per os), come pure termina prima dopo la sospensione (alcune settimane rispetto ai mesi spesso necessari nell’adulto) (114). Se somministrato nei bambini di età < 2 anni va ricordato come la posologia debba essere calcolata per superficie corporea e non in base al peso (115). Il primo ampio studio sull’uso dell’amiodarone per os nei bambini è quello di Coumel e Fidelle (112) che riportano i risultati del trattamento di 135 pazienti di età media 10.2 anni, seguiti in un follow-up medio di 4.1 mesi. Il farmaco risultò estremamente efficace e gravato da scarsi effetti collaterali sulla tiroide, che si sono verificati solo in 3 casi (2%): due casi di ipertiroidismo ed un caso di ipotiroidismo, tutti regrediti con la sospensione della terapia. Dati simili sono stati riportati successivamente nello studio di Guccione et al. (114) in 95 giovani pazienti (di età media 12.4 anni, minima 3 settimane e massima 31 anni), seguiti durante il trattamento con amiodarone in un follow-up medio di 2.3 anni. Non furono osservate modificazioni della crescita e l’incidenza totale di effetti collaterali risultò del 29%, inferiore a quella generalmente osservabile negli adulti. In 6 casi (6%) fu osservata un’alterazione dei test di 43 funzionalità tiroidea, ma in nessun caso segni clinici di distiroidismo. Tutti gli effetti collaterali regredirono con la sospensione o con la riduzione della posologia del farmaco. In un lavoro del 2001 su 37 piccoli pazienti di età compresa tra un giorno e 16 anni, trattati con amiodarone per una media di otto mesi, si sono verificati alterazioni degli esami tiroidei solo in 3 casi (8%) (116). Un’incidenza lievemente superiore di effetti sulla tiroide è stata descritta nel lavoro di Bosser ed altri (117). Lo studio è stato condotto su 37 pazienti di età inferiore a 15 anni, durata della terapia 4+/- 3 anni. Alterazioni della funzione tiroidei si sono verificati in 7 casi (19%), di cui 4 casi di ipertiroidismo e 3 casi di ipotiroidismo clinico o biologico. Non sono stati descritti casi di distiroidismo dopo somministrazione di amiodarone endovena in età pediatrica (114, 118, 119). 44 7. DRONEDARONE COME ALTERNATIVA ALL’AMIODARONE Il dronedarone è un nuovo antiaritmico analogo dell’amiodarone, con proprietà elettrofisiologiche simili, ma con struttura chimica differente, indicato in pazienti con fibrillazione atriale parossistica o persistente ed in pazienti con flutter atriale (120). Dalla struttura dell’amiodarone sono state rimosse le molecole di iodio ed è stato aggiunto un gruppo sulfonil-metano (Fig. 16). Modifiche fatte per ridurre gli effetti collaterali dell’amiodarone (121). Figura 16. Formula chimica dell’amiodarone (sopra) e del dronedarone (sotto) Rispetto all’amiodarone il dronedarone ha una scarsa biodisponibilità ed una più breve emivita, che impone un dosaggio di due somministrazioni giornaliere. In un’analisi di efficacia comparativa, tuttavia il dronedarone non si è dimostrato superiore all’amiodarone nel ridurre la recidiva di fibrillazione atriale. Il dronedarone può essere una ragionevole alternativa in quei pazienti che non tollerano l’amiodarone o che hanno patologie che controindicano l’uso dell’amiodarone (ad esempio le patologie tiroidee). Tuttavia il dronedarone non è stato studiato in un'ampia casistica di pazienti e patologie in cui è stato studiato l’amiodarone (120). Il Comitato per i medicinali per uso umano (Chmp) dell'Agenzia europea dei medicinali ha raccomandato di limitare l'uso di dronedarone per un aumentato rischio di danni epatici, polmonari e cardiovascolari. Il farmaco antiaritmico deve essere prescritto solo per mantenere il ritmico cardiaco in pazienti con fibrillazione atriale parossistica o persistente al fine di stabilizzare il ritmo sinusale a seguito di cardioversione con esito soddisfacente. A causa di un aumentato rischio a carico del fegato, del polmone e di eventi avversi cardiovascolari, dronedarone deve essere 45 prescritto solo dopo che siano state valutate opzioni alternative di trattamento. Il Comitato, inoltre, ha raccomandato altre misure di minimizzazione del rischio per ridurre il pericolo di danni al fegato, al polmone e al sistema cardiovascolare. Nella tabella 8 sono sintetizzate le differenze tra dronedarone ed amiodarone (121) Tabella 8. Confronto tra le caratteristiche cliniche e farmacologiche del dronedarone e dell’amiodarone (121) Amiodarone Dronedarone Iodio Si No Emivita 53 giorni 14-30 ore Blocco IKr; IKs; β1; ICa-L; INa; IK1; IK- Si No ACh Dosaggio Una volta al giorno dopo il carico Due volte al giorno (solo 400mg) Interazioni con cibi Si Si Metabolismo CYP450 3A4 No Si Secrezione tubulare di creatinina inibita Si Si Basso rischio di torsione di punta Si Si Prescrizione ambulatoriale Si Si Efficace nella soppressione della FA 65% 50% Efficace nella soppressione della TV Si Ancora in fase di studio Diminuita ospedalizzazione CV No Si Ridotto rischio stroke No Si Interazioni con warfarina Si No 46 Tossicità polmonare/tiroidea Si No 8. CONCLUSIONI L’amiodarone è un farmaco antiaritmico molto utilzzato in particolare nei pazienti con cardiopatia ischemica. Tuttavia, una significativa percentuale di pazienti (14-18%) sviluppa alterazioni della funzione tiroidea, sia ipotiroidismo che ipertiroidismo, che possono manifestarsi sia su ghiandole apparentemente normali che su tiroidi con preesistenti alterazioni. L’ipotiroidismo non necessariamente deve essere trattato con la sospensione del farmaco e l’istituzione di una terapia sostitutiva poiché, in molti casi, è transitorio e comunque soggetto a remissione spontanea con la sospensione dell’amiodarone. Al contrario, l’ipertiroidismo necessita di una maggior attenzione nella diagnosi e nel trattamento. Le opzioni terapeutiche includono le tionamidi (da sole o associate al perclorato di potassio), i glucocorticoidi, la tiroidectomia. La terapia radiometabolica è poco efficace dati i valori bassi o soppressi di captazione tiroidea di iodio, ma può essere considerata in quei pazienti in cui la captazione di radioiodio risulta elevata. Nell’AIT di tipo I, che si manifesta in ghiandola patologica e correlato ad un’aumentata sintesi di ormoni tiroidei iodio-indotta, la terapia di scelta si basa sull’uso delle tionamidi associate al cloruro di potassio. Nell’AIT di tipo II, che è dovuto ad una tiroidite distruttiva, il trattamento di scelta si basa sui glucocorticoidi. Le forme miste di AIT spesso richiedono associazioni terapeutiche di tionamidi, perclorato di potassio e cortisonici. Nei pazienti in cui l’amiodarone non può essere sospeso e la terapia medica risulta inefficace, si ricorre all’intervento chirurgico. L’amiodarone, se assolutamente necessario, può essere somministrato in gravidanza, ma con attento controllo della funzionalità tiroidea neonatale per possibile insorgenza di AIH. L’amiodarone in età pediatrica presenta la stessa efficacia che nell’adulto, ed è impiegabile con una certa sicurezza presentando effetti pro aritmici scarsi ed effetti collaterali percentualmente inferiori, e meno gravi, rispetto a quelli osservati nell’adulto. In quei pazienti che non tollerano l’amiodarone o che hanno patologie che ne controindicano l’uso, come le 47 malattie tiroidee, è stato recentemente proposto l’uso del dronedarone, un farmaco con caratteristiche elettrofisiologiche e terapeutiche simili, ma con assenza di effetti collaterali sulla tiroide. _____________ Nella tabella 9 vengono sintetizzate le caratteristiche delle patologie tiroidee indotte dall’amiodarone (122) Nella figura 17 viene illustrato un recente algoritmo per il management delle malattie tiroidee indotte dall’amiodarone (123). Tabella 9: Caratteristiche delle patologie tiroidee indotte dall’amiodarone (122) 48 AIH AIT Tipo I Sesso Più spesso F RR 7.9 TPO presenti all’inizio RR 7.3 Tipo II Più spesso M - - Sesso F e TPO presenti RR 13,5 Patologie preesistenti Hashimoto Gozzo multi nodulare non tossico o morbo di Graves Assunzione basale di iodio Normale-alta bassa bassa FT4 Basso-normale alto alto FT3 Basso Normale o aumentato Normale o aumentato TPO Persistente AIH: 70%+ Captazione Radioiodio Bassa-normale Molto bassa-soppressa Ecocolor Doppler Normalevascolarizzazione aumentata Vascolarizzazione assente Segni di laboratorio Clinica Tempo dopo l’inizio 6-12 mesi 1-2 anni >2 anni Inizio Ipotiroidismo “normale” brusco brusco Disturbi Ipotiroidismo “normale” Scarsi: perdita di peso, Scarsi: perdita di peso, palpitazioni palpitazioni Sospensione amiodarone Se possibile Se possibile Non sempre necessaria Farmaci Levotiroxina Tionamidi, litio, perclorato Prednisone, litio Evoluzione A volte guarigione spontanea A volte recidiva, no ipotiroidismo Spesso ipotiroidismo Trattamento 49 Figura 17. Algoritmo per il management delle malattie tiroidee indotte dall'amiodarone (123) Livelli di TSH >10.0 mlU/I Tests di funzione tiroidea in condizioni basali e periodicamente per tutta la durata del trattamento Livelli di TSH <0,1mlU/I Ipertiroidismo (AIT) Ipotiroidismo (AIH) Dosaggio TSH, FT3, FT4 Iniziare con basse dosi di levotiroxina (25/50 microg/ die) AIT tipo I con gozzo, aumentata vascolarizzazione della ghiandola e presenza di autoimmunità Modificare le dosi ogni 6-12 settimane per normalizzare i livelli di TSH sierico o interrompere il trattamento Metimazolo Valutare 131 I Glucocorticoidi AIT persistente Eutiroideo Stabile Monitoraggio AIT tipo II Segni clinici o sintomi Eutiroideo Follow-up per ipotiroidismo Intervento chirurgico 50 APPENDICE Scheda tecnica del farmaco AMIODARONE: INFORMAZIONI CLINICHE • Indicazioni terapeutiche Terapia e prevenzione di gravi disturbi del ritmo resistenti alle altre terapie specifiche: tachicardie sopraventricolari (parossistiche e non parossistiche) extrasistoli atriali, flutter e fibrillazione atriale. Tachicardie parossistiche sopraventricolari reciprocanti come in corso di Sindrome di Wolff-Parkinson-White. Extrasistoli e tachicardie ventricolari. Trattamento profilattico delle crisi di angina pectoris. • Posologia e modo di somministrazione L'amiodarone ha peculiari caratteristiche farmacologiche (assorbimento orale del 50%, estesa distribuzione tissutale, lenta eliminazione, ritardata risposta terapeutica per via orale) ampiamente variabili da individuo ad individuo; per questo la via di somministrazione, il dosaggio iniziale e quello di mantenimento debbono essere valutati caso per caso, adattandoli alla gravità dell'affezione e alla risposta clinica. I dosaggi raccomandati sono: Trattamento dei disturbi del ritmo: Il dosaggio medio iniziale consigliato è di 600 mg al giorno fino ad ottenere una buona risposta terapeutica, in media entro due settimane. Successivamente la dose può essere gradualmente ridotta fino a stabilire la dose di mantenimento abitualmente compresa tra 100-400 mg al giorno. Quando sia difficile stabilire una soddisfacente dose giornaliera di mantenimento, si può ricorrere ad una terapia discontinua (es. 2/3 settimane al mese o 5 giorni a settimana). - Trattamento profilattico delle crisi di angor: attacco: 600 mg al giorno per circa 7 giorni mantenimento: 100-400 mg al giorno o in maniera discontinua (5 giorni a settimana o 2/3 settimane al mese). Terapia concomitante Per i pazienti che assumono amiodarone in concomitanza a inibitori dell'HMG-CoA reduttasi (statine), (vedere paragrafi 4.4 - Speciali avvertenze e precauzioni per l'uso e 4.5 - Interazioni con altri medicinali ed altre forme d'interazione). • Controindicazioni 51 Ipersensibilità nota verso il prodotto o allo iodio. Bradicardie sinusali; blocco senoatriale; disturbi gravi di conduzione, senza elettrostimolatore (blocchi atrio-ventricolari gravi, blocchi bi- o trifascicolari); malattia sinusale senza elettrostimolatore (rischio di arresto sinusale); associazione con farmaci in grado di determinare "torsades de pointe" (vedere "Interazioni"). Distiroidismi o antecedenti tiroidei. Nei casi dubbi (antecedenti incerti, anamnesi tiroidea familiare) fare un esame della funzionalità tiroidea prima del trattamento. Gravidanza, eccetto casi eccezionali (vedere 4.6 “Gravidanza ed allattamento”). Allattamento (vedere 4.6 “Gravidanza ed allattamento”). • Speciali avvertenze e precauzioni per l'uso Speciali avvertenze L'amiodarone può provocare manifestazioni collaterali di frequenza e gravità diverse. Le manifestazioni osservate con maggiore frequenza non giustificano la sospensione del trattamento (vedere 4.8 "Effetti indesiderati"). Tuttavia sono stati segnalati effetti collaterali gravi, in particolare a carico del polmone o lesioni da epatite cronica. Tossicità Polmonare La tossicità polmonare correlata all'assunzione di amiodarone è una frequente e grave reazione avversa che si può manifestare fin nel 10% dei pazienti e che può essere fatale in circa l'8% dei pazienti affetti, soprattutto a causa di una mancata diagnosi. Il tempo d'insorgenza della reazione durante la terapia varia da pochi giorni ad alcuni mesi o anni di assunzione; in alcuni casi l'insorgenza può avvenire anche dopo un certo periodo di tempo dalla sospensione del trattamento. Il rischio di tossicità non rende tuttavia, sfavorevole il rapporto rischio/beneficio dell'amiodarone che mantiene la sua utilità. Occorre comunque prestare la massima attenzione per individuare immediatamente i primi segni di tossicità polmonare, in particolare nei pazienti affetti da cardiomiopatia e gravi malattie coronariche nei quali tale individuazione può essere più problematica. Il rischio di tossicità polmonare da amiodarone aumenta con dosaggi superiori a 400 mg/die, ma può presentarsi anche a bassi dosaggi assunti per periodi inferiori a 2 anni. La tossicità polmonare si manifesta con alveolite polmonare, polmonite, polmonite interstiziale, fibrosi polmonare, asma bronchiale. Pazienti che sviluppano tossicità polmonare spesso presentano sintomi non specifici, quali tosse non produttiva, dispnea, febbre e calo ponderale. Tutti questi sintomi possono essere mascherati dalla patologia per la quale è indicato l'amiodarone, e possono essere considerevolmente gravi in pazienti oltre i 70 anni di età, i quali di norma presentano ridotte capacità funzionali o pre-esistenti patologie a carico dell'apparato cardiorespiratorio. 52 La diagnosi precoce mediante controllo radiografico polmonare ed eventualmente i necessari accertamenti clinici e strumentali, è di cruciale importanza in quanto la tossicità polmonare è altamente reversibile, soprattutto nelle forme di bronchiolite obliterante e polmonite. La sintomatologia e la obiettività polmonare devono essere quindi controllate periodicamente, e la terapia deve essere sospesa in caso di sospetta tossicità polmonare, prendendo in considerazione la terapia cortisonica: la sintomatologia regredisce di norma entro 2-4 settimane della sospensione dell'amiodarone. In taluni casi la tossicità polmonare può manifestarsi tardivamente, anche dopo settimane dalla sospensione della terapia: i soggetti con funzionalità organiche non ottimali, che potrebbero eliminare il farmaco più lentamente debbono essere quindi monitorati attentamente. In ogni caso la riduzione della posologia o la sospensione del trattamento dovranno venire considerate in funzione sia della potenziale gravità dell'effetto collaterale sia della gravità della forma cardiaca in atto. Il farmaco quindi deve essere utilizzato solo dopo aver valutato accuratamente le condizioni del paziente al fine di valutare se i benefici attesi compensano gli ipotetici svantaggi; inoltre il paziente dovrà essere attentamente sorvegliato dal punto di vista clinico e di laboratorio per poter cogliere le manifestazioni avverse ai loro primi segni ed adottare le misure idonee. L'azione farmacologica dell'amiodarone provoca cambiamenti elettrocardiografici: prolungamento del QT (correlato ad un allungamento della ripolarizzazione), con eventuale comparsa di onde U; questi non sono segni di tossicità. Nei pazienti anziani può essere più accentuato il rallentamento della frequenza cardiaca. Il trattamento deve essere interrotto in caso di insorgenza di blocco A-V di 2° o 3° grado, di blocco senoatriale o di blocco bifascicolare. In relazione al ridotto effetto inotropo negativo, l'amiodarone può venire utilizzato per via orale in caso di insufficienza cardiaca. In caso di contemporanea prescrizione di altri farmaci cardiologici, assicurarsi che non esistano interazioni medicamentose note (vedere 4.5 "Interazioni con altri medicinali e altre forme di interazione”). La presenza di iodio nella molecola di amiodarone può interferire con la fissazione dello iodio radio-attivo. Comunque i test di funzionalità tiroidea (T3, T4, TSH ultrasensibile (us TSH)) rimangono interpretabili. In caso di offuscamento visivo o di diminuzione dell'acuità visiva, praticare un esame oftalmologico (vedere 4.8 "Effetti indesiderati"). Ogni compressa contiene 71 mg di lattosio, pertanto in accordo al dosaggio raccomandato la quantità massima di lattosio che è possibile assumere con Cordarone è di 213 mg al giorno. Queste compresse possono non essere adatte per persone con intolleranza 53 al lattosio, galattosemia o sindrome da malassorbimento di glucosio/galattosio. Precauzioni per l'uso Prima di iniziare il trattamento si raccomanda di effettuare l'ECG, il test usTSH e di misurare il potassio sierico. Gli effetti indesiderati dell'amiodarone (vedere 4.8. “Effetti indesiderati”) sono generalmente dosedipendenti, quindi si deve prestare particolare attenzione nel determinare la dose minima efficace di mantenimento, per evitare o minimizzare gli effetti indesiderati. Nel corso del trattamento è consigliabile evitare l'esposizione alla luce solare o proteggersi. L'amiodarone può provocare distiroidismi (vedere 4.8. “Effetti indesiderati”) in particolare in quei pazienti con anamnesi personale o familiare di disturbi della tiroide, o nei soggetti anziani. Quindi si raccomanda di effettuare monitoraggi clinici e biologici prima di iniziare e durante il trattamento, e per parecchi mesi dopo la sua interruzione. Nel caso di disfunzione tiroidea sospetta si devono misurare i livelli sierici di usTSH. La conferma di un ipertiroidismo impone la sospensione del trattamento che generalmente è sufficiente ad avviare la guarigione clinica. In caso di ipertiroidismo di grado preoccupante, come tale, o in funzione delle sue ripercussioni a livello cardiaco, per l'efficacia incostante degli antitiroidei di sintesi, è raccomandabile il ricorso ad una corticoterapia decisa (1 mg/kg) e sufficientemente protratta (3 mesi). Durante il trattamento si raccomanda un monitoraggio regolare della funzionalità epatica (transaminasi). In caso di epatomegalia o sospetta colestasi il farmaco dovrebbe essere tempestivamente interrotto ed il paziente sottoposto a controllo ecografico. Un aumento (2-4 volte la norma) asintomatico delle sole transaminasi non sembra costituire invece indicazione alla sospensione del farmaco. Per questi motivi il farmaco non può essere utilizzato nei pazienti con evidenti segni clinici e di laboratorio di epatopatia in atto; nei casi più lievi esso potrà essere impiegato solo quando indispensabile e dovrà essere sospeso allorché si manifesti un peggioramento del danno epatico. Pazienti in età pediatrica: in questi pazienti la sicurezza e l'efficacia di amiodarone non sono state dimostrate. Anestesia. Prima dell'intervento chirurgico l'anestesista deve venire informato che il paziente è in trattamento con amiodarone (vedere 4.5 “Interazioni con altri medicinali ed altre forme di interazione”). Nel corso di uno studio clinico non ancora concluso è stato osservato un aumento del rischio di miopatia di 10 volte nei pazienti trattati con simvastatina alla dose di 80 mg/die e con amiodarone. Pertanto nei pazienti che assumono amiodarone in associazione a simvastatina, il dosaggio di Simvastatina non deve 54 superare i 20 mg/die (vedere 4.5 Interazioni con altri medicinali ed altre forme di interazione). La possibile interazione di amiodarone con le altre statine non è nota. Si suggerisce comunque una particolare attenzione quando amiodarone viene somministrato in associazione agli inibitori dell'HMG - CoA reduttasi (statine). Tenere fuori della portata dei bambini. • Interazioni Associazioni controindicate - Farmaci in grado di provocare “torsade de pointes” (vedere 4.3 “Controindicazioni”): · antiaritmici come quelli della Classe IA, sotalolo, bepridil. · non antiaritmici come vincamina, sultopride, eritromicina i.v., pentamidina per somministrazione parenterale, poiché si può avere un aumento del rischio di “torsade de pointes” potenzialmente letali. - Farmaci IMAO Associazioni sconsigliate - Betabloccanti ed alcuni calcioantagonisti (verapamil, diltiazem) per la possibilità di disturbi di automatismo (bradicardia eccessiva) e di conduzione. - Lassativi stimolanti: per la comparsa di una possibile ipokaliemia aumentando di conseguenza il rischio di “torsade de pointes”; si devono quindi utilizzare altri tipi di lassativi. Associazioni che necessitano cautela - Farmaci in grado di dare ipokaliemia: · diuretici in grado di dare ipokaliemia, soli o associati · glucocorticoidi e mineralcorticoidi per via generale, tetracosactide · amfotericina B per via i.v. E' necessario prevenire l'ipokaliemia (e correggerla se necessario), si deve monitorare l'intervallo QT e, in caso di “torsade de pointes”, non somministrare antiaritmici (utilizzare un elettrostimolatore; si può utilizzare magnesio per via i.v.). - Anticoagulanti orali: Poiché l'effetto degli anticoagulanti orali è potenziato, aumentando così il rischio di sanguinamento, è necessario monitorare i livelli di protrombina in modo più regolare ed aggiustare la posologia degli anticoagulanti sia durante il trattamento con amiodarone che dopo la sua interruzione. - Digitale Possono presentarsi disturbi nell'automatismo (eccessiva bradicardia) e nella conduzione atrioventricolare (azione sinergica); inoltre è possibile un aumento delle concentrazioni plasmatiche di digossina dovuto ad una diminuzione della clearance della digossina. Deve quindi essere effettuato un monitoraggio clinico, elettrocardiografico e biologico (includendo eventualmente anche i livelli plasmatici di digossina); potrebbe essere necessario aggiustare la posologia della digitale. - Fenitoina E' possibile un aumento dei livelli plasmatici di fenitoina con sintomi di sovradosaggio (in particolare sintomi neurologici); quindi si deve effettuare un monitoraggio clinico e non 55 appena appaiono sintomi da sovradosaggio si deve ridurre il dosaggio della fenitoina; si devono determinare i livelli plasmatici della fenitoina. - Ciclosporina E' possibile un aumento dei livelli plasmatici di ciclosporina dovuti ad una diminuzione della sua clearance; si deve aggiustare il dosaggio. - Flecainide E' possibile un aumento dei livelli plasmatici di flecainide; si deve aggiustare il dosaggio. - Anestesia (vedere 4.4.2 “Precauzioni per l'uso”) In pazienti sottoposti ad anestesia generale sono state riportate complicazioni potenzialmente gravi: bradicardia (che non risponde all'atropina), ipotensione, disturbi della conduzione, diminuzione della gettata cardiaca. E' stato osservato qualche caso di complicazioni respiratorie gravi, qualche volta ad evoluzione fatale, generalmente nel periodo immediatamente seguente un intervento chirurgico (sindrome da distress respiratorio acuto dell'adulto); ciò può essere correlato ad una possibile interazione con un'alta concentrazione di ossigeno. - Farmaci metabolizzati dal citocromo P450 3A4: Quando tali farmaci sono co-somministrati con amiodarone, inibitore del CYP 3A4, si può verificare un innalzamento delle loro concentrazioni plasmatiche che comporterebbe un possibile aumento della loro tossicità. L'associazione di amiodarone con alte dosi di simvastatina aumenta notevolmente il rischio di miopatia (vedi paragrafo 4.4 Speciali avvertenze e precauzioni per l'uso). La possibile interazione di amiodarone con le altre statine non è nota. Si suggerisce comunque una particolare attenzione quando amiodarone viene somministrato in associazione agli inibitori dell'HMG- CoA reduttasi (statine). • Gravidanza ed allattamento Gravidanza Amiodarone è controindicato in gravidanza, eccetto in casi eccezionali, a causa dei suoi effetti sulla tiroide del feto. Allattamento Amiodarone è controindicato nelle madri che allattano poiché viene escreto nel latte materno in quantità significative. • Effetti sulla capacità di guidare veicoli e sull'uso di macchine La sostanza non interferisce, normalmente, sulla capacità di guidare e sull'uso delle macchine. • Effetti indesiderati Cardiaci - Bradicardia, che è generalmente moderata e dose-dipendente. In alcuni casi (disfunzioni del nodo sinusale, pazienti anziani) sono stati riportati bradicardia marcata o, eccezionalmente, arresto sinusale. - Si sono manifestati casi rari di disturbi della conduzione 56 (blocco seno-atriale, blocco A-V di vario grado). - Sono stati riportati casi di insorgenza o di peggioramento dell'aritmia, seguiti a volte da arresto cardiaco; sulla base delle conoscenze attuali, non è possibile differenziare ciò che è dovuto al farmaco da ciò che può essere correlato alle condizioni cardiache di base o da ciò che può essere il risultato di una perdita di efficacia della terapia. Questi effetti vengono riportati più raramente che con la maggior parte degli altri farmaci antiaritmici e generalmente si presentano nel caso di alcune interazioni con altri farmaci o di disturbi elettrolitici (vedere 4.5. “Interazioni con altri medicinali ed altre forme di interazione”). Oftalmologici - Sono generalmente presenti microdepositi corneali, ma sono limitati all'area sotto la pupilla e non richiedono l'interruzione del trattamento. Eccezionalmente possono accompagnarsi alla percezione di aloni colorati in una luce abbagliante o a visione offuscata. I microdepositi corneali sono costituiti da depositi lipidici complessi e sono reversibili dopo sospensione del trattamento. E' stato osservato qualche caso di neuropatia/nevrite ottica. Attualmente non è stato formalmente stabilito il rapporto con amiodarone. Poichè la neuropatia ottica può progredire a cecità, si raccomanda un esame oftalmologico completo, che comprende la fondoscopia, qualora la visione si presenti offuscata o diminuita. La comparsa di neuropatia e/o neurite ottica richiede una rivalutazione della terapia con amiodarone. Dermatologici Fotosensibilizzazione: i pazienti devono essere informati che durante la terapia devono evitare di esporsi al sole (e ai raggi UV). In corso di radioterapia possono presentarsi casi di eritema. - Sono stati riportati rash cutanei, generalmente non specifici, che includono casi eccezionali di dermatite esfoliativa, la cui relazione con il farmaco non è stata formalmente stabilita. - In caso di trattamento prolungato con dosaggi giornalieri elevati possono presentarsi pigmentazioni di colore bluastro o grigio ardesia; tali pigmentazioni scompaiono lentamente dopo l'interruzione del trattamento. Tiroidei (vedere 4.4.2 “Precauzioni per l'uso”) - In relazione alla struttura chimica dell'amiodarone, sono solite presentarsi isolate alterazioni biochimiche (aumento del T4, mentre il T3 è normale o leggermente diminuito). In tali casi e in assenza di qualsiasi manifestazione clinica di disfunzione tiroidea, il trattamento non deve essere interrotto. - Ipotiroidismo: i seguenti segni clinici, generalmente lievi, devono portare ad una diagnosi di ipotiroidismo: aumento di peso, attività ridotta, bradicardia eccessiva in relazione all'effetto atteso dell'amiodarone. Tale diagnosi è supportata da un chiaro aumento nel siero di TSH ultrasensibile. In genere si ottiene l'eutiroidismo entro 1-3 mesi dall'interruzione del trattamento. In situazioni di pericolo di 57 vita, è possibile proseguire la terapia con amiodarone, in associazione a L-tiroxina. Il dosaggio di L-tiroxina deve essere stabilito in base ai livelli di TSH. - Ipertiroidismo: può presentarsi durante il trattamento e fino a parecchi mesi dopo la sua interruzione. I seguenti segni clinici, generalmente lievi, devono portare ad una diagnosi di ipertiroidismo: perdita di peso, insorgenza di aritmia, angina, insufficienza cardiaca congestizia. Tale diagnosi è supportata da una chiara diminuzione nel siero di usTSH: in tale caso il trattamento con amiodarone deve essere sospeso. Il ricupero generalmente avviene entro pochi mesi dalla fine del trattamento, mentre la guarigione clinica precede la normalizzazione dei test della funzionalità tiroidea. I casi gravi, che qualche volta possono essere fatali, richiedono un trattamento terapeutico d'urgenza. Il trattamento deve essere stabilito su base individuale: farmaci antitiroidei che possono non essere sempre efficaci, terapia corticosteroidea, betabloccanti... Epatici (vedere 4.4.2.”Precauzioni per l'uso”) - Sono stati riportati, all'inizio della terapia, aumenti isolati, generalmente moderati (da 1,5 a 3 volte rispetto alla norma) delle transaminasi sieriche; questi aumenti possono regredire con la diminuzione della dose o anche spontaneamente. - E' stato anche riportato qualche caso di epatopatia acuta, talvolta fatale, con transaminasi sieriche elevate e/o ittero; in tali casi il trattamento deve essere interrotto. Sono state anche riportate epatopatie croniche (epatiti pseudo-alcooliche, cirrosi). I segni clinici e le alterazioni biologiche possono essere minime (possibile epatomegalia, transaminasi elevate da 1,5 a 5 volte il normale). Si raccomanda quindi durante la terapia un monitoraggio regolare della funzionalità epatica. Generalmente le anormalità cliniche e biologiche regrediscono quando si interrompe il trattamento, ma sono stati riportati dei casi fatali. Polmonari - Nel 10% circa dei pazienti si può manifestare grave tossicità polmonare che può anche essere fatale, soprattutto se non viene fatta una diagnosi tempestiva. Tale tossicità comprende alveolite polmonare, polmonite, sintomi asmatici, polmonite lipoide e fibrosi polmonare. La tossicità polmonare, la tosse e la dispnea possono essere accompagnate da segni radiografici e funzionali di polmonite interstiziale (alterazione della diffusione alveolo-capillare); l'emergere di questi segni clinici richiede la sospensione della terapia e la somministrazione di farmaci corticosteroidei. Tale sintomatologia può manifestarsi anche tardivamente dopo sospensione della terapia: è quindi richiesto un attento e prolungato monitoraggio del paziente al fine di individuare possibili alterazioni della funzionalità polmonare - Nei pazienti che manifestano dispnea da sforzo, da sola o associata a un decadimento dello stato generale (affaticamento, diminuzione di peso, febbre) deve 58 essere effettuato un esame radiologico del torace. - I disturbi polmonari sono generalmente reversibili dopo una precoce interruzione della terapia con amiodarone. Generalmente i segni clinici si risolvono entro 3-4 settimane, seguiti da un miglioramento più lento della funzionalità polmonare e del quadro radiologico (parecchi mesi). Quindi si deve sospendere la terapia con amiodarone e si deve valutare la terapia con i corticosteroidi. - E' stato riportato qualche caso di broncospasmo nei pazienti con insufficienza respiratoria grave, e specialmente nei pazienti asmatici. - E' stato osservato qualche caso, talvolta fatale, di sindrome da distress respiratorio acuto, in genere immediatamente dopo un intervento chirurgico (può essere correlata ad una possibile interazione con un'alta concentrazione di ossigeno). Neurologici - Sono stati osservati rari casi di neuropatia periferica sensomotoria e/o miopatia, generalmente reversibile con l'interruzione del farmaco. - Altri: tremore extrapiramidale, atassia cerebellare, eccezionale ipertensione intracranica benigna (pseudotumor cerebri), incubi. Altri - Generalmente, con la dose di carico si presentano disturbi gastrointestinali benigni (nausea, vomito, disgeusia) che regrediscono con la riduzione della dose. - Alopecia. - Sono stati riportati qualche caso di epididimite e alcuni casi di impotenza. La relazione con il farmaco non è stata stabilita. - Si sono verificati casi rari di manifestazioni cliniche varie che possono essere segno di una reazione di ipersensibilità: vasculiti, complicazioni renali con aumento dei livelli di creatinina e trombocitopenia. E' stato anche riportato qualche caso eccezionale di anemia emolitica o aplastica. • Sovradosaggio Sono disponibili poche informazioni relative al sovradosaggio acuto con amiodarone. E' stato riportato qualche caso di bradicardia sinusale, arresto cardiaco, attacchi di tachicardia ventricolare, “torsade de pointes”, insufficienza circolatoria e danno epatico. Il trattamento deve essere sintomatico. Amiodarone e i suoi metaboliti non sono dializzabili. PROPRIETA' FARMACOLOGICHE • Proprietà farmacodinamiche Codice ATC: C01BD01, Sistema cardiovascolare, antiaritmici, classe III Proprietà antiaritmiche: - Allungamento della fase 3 del potenziale d'azione della fibra cardiaca dovuto principalmente ad una diminuzione della corrente del potassio (Classe III secondo la classificazione di Vaughan Williams); questo allungamento non è correlato con la frequenza 59 cardiaca. - Automaticità sinusale ridotta, che porta a bradicardia, insensibile alla somministrazione di atropina. - Inibizione alfa- e beta-adrenergica non competitiva. Rallentamento nella conduzione senoatriale, atriale e nodale, che è più marcato quando la frequenza cardiaca è alta. - Nessun cambiamento della conduzione intraventricolare. - A livello atriale, nodale e ventricolare: aumento del periodo refrattario e diminuzione dell'eccitabilità del miocardio. - Rallentamento della conduzione e prolungamento dei periodi refrattari in vie atrioventricolari accessorie. Proprietà anti-ischemiche: - Caduta moderata della resistenza periferica e diminuzione della frequenza cardiaca con conseguente riduzione del fabbisogno di ossigeno. - Antagonismo non competitivo per i recettori alfa- e beta-adrenergici. - Aumento della gettata coronarica dovuto ad un effetto diretto sulla muscolatura liscia delle arterie del miocardio. - Mantenimento della gettata cardiaca dovuto a diminuzione della pressione aortica e della resistenza periferica. Altro: - Nessun effetto inotropo negativo significativo. • Proprietà farmacocinetiche Dopo somministrazione orale, amiodarone è assorbito lentamente e in modo variabile. Amiodarone ha un volume di distribuzione molto grande, ma variabile a causa del vasto accumulo in vari distretti (tessuto adiposo, organi altamente perfusi come il fegato, i polmoni e la milza). La biodisponibilità orale varia tra il 30 e l'80%, a seconda del singolo paziente (il valore medio è circa il 50%). Dopo somministrazione singola, la concentrazione plasmatica al picco viene raggiunta dopo 3-7 ore. Gli effetti terapeutici si ottengono generalmente dopo una settimana (da pochi giorni a due settimane) a seconda della dose di carico. Amiodarone ha un'emivita lunga e mostra una variabilità individuale considerevole (da 20 a 100 giorni). Durante i primi giorni di terapia, il farmaco si accumula in quasi tutti i tessuti, specialmente in quello adiposo. L'eliminazione si verifica dopo qualche giorno e la concentrazione plasmatica allo steady-state viene raggiunta tra uno e parecchi mesi, a seconda del singolo paziente. Considerando le caratteristiche suddette, devono essere usate dosi di carico per ottenere rapidamente i livelli tissutali necessari ad avere un effetto terapeutico. Ogni dose di 200 mg di amiodarone contiene 75 mg di iodio, dei quali 6 mg si staccano dalla molecola come iodio libero. Amiodarone viene escreto principalmente per via biliare e fecale. L'escrezione renale è trascurabile: ciò consente la somministrazione di dosi standard in pazienti con insufficienza renale. Dopo interruzione del trattamento, 60 l'eliminazione continua per parecchi mesi; quindi si deve tenere in considerazione la persistenza, da 10 giorni ad un mese, dell'effetto farmacodinamico. • Dati preclinici di sicurezza Tossicità acuta: DL50 nel ratto 170 mg/kg i.v., > 3000 mg/kg os, nel topo 450 mg/kg i.p., > 3000 mg/kg os, nel cane beagle 85-150 mg/kg i.v. Tossicità cronica: non sono stati rilevati fenomeni di mortalità, cali ponderali o variazione dei parametri biologici a dosi orali fino a 37,5 mg/kg/die (4 settimane) e 16 mg/kg/die (52 settimane) nel ratto e fino a 12,5 mg/kg/die nel cane. Teratogenesi: indagini effettuate nel ratto (100 mg/kg/die) e nel coniglio (75 mg/ kg/die) non hanno evidenziato segni di tossicità fetale. 61 BIBLIOGRAFIA 1. Vassallo P, Trohman RG. Prescribing amiodarone: an evidence-based review of clinical indications. 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