l`età classica

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partire dal V secolo a.C. il centro della filosofia si sposta ad Atene, il cui
splendore, soprattutto per l’impulso della democrazia di Pericle, attrae
molti intellettuali provenienti dalle colonie dell’Asia Minore, della Tracia,
della Magna Grecia e delle isole Cicladi. Allontanandosi dal mondo dei coloni e
dei mercanti, ma anche dal palcoscenico stupefacente della natura, che aveva
incoraggiato l’indagine dei primi filosofi, la riflessione si trasferisce nello spazio
urbano: l’agorá diventa il punto di incontro di individui fieri della loro libertà e
dediti alla discussione critica intorno a tutto ciò che concerne l’uomo e il
cittadino, che in tal modo si pongono al centro dell’indagine filosofica e del
dibattito pubblico.
A
I TEMPI E I LUOGHI
DELLA FILOSOFIA
L’ETÀ CLASSICA
500 a.C
450
PROTAGORA
400
350
300 a.C.
(490-410 ca.)
GORGIA
(485/80-374/69 ca.)
SOCRATE
(469-399)
PRODICO DI CEO
MAGNA
GRECIA
(470/60-?)
ABDERA
ELEA
CRIZIA
(455-403 ca.)
ANTIFONTE SOFISTA
Protagora
Parmenide
Zenone
GRECIA
attivo negli ultimi decenni del V secolo
ASIA
MINORE
EUCLIDE DI MEGARA
(450/45-375 ca.)
ANTISTENE DI ATENE
(444-365 ca.)
Anassagora
Ippia
LENTINI
IPPIA DI ELIDE
(443-343 ca.)
Euclide
ELIDE
MEGARA
ATENE
CLAZOMENE
MAR EGEO
Sofisti
Socrate
Gorgia
CEO
ARISTIPPO DI CIRENE
(435-360/55 ca.)
PLATONE
Prodico
(428/7-348/7 ca.)
ARISTOTELE
2
M A R M E D I T E R RA N E O
(384-322 ca.)
3
17:02
Pagina 4
3
PLATONE
In questa unità analizziamo le molteplici linee di ricerca della filosofia
di Platone, evidenziando i principali momenti in cui si articola lo
sviluppo complessivo del suo pensiero.
Capitolo 1
I rapporti
con Socrate
e con i sofisti
CAPITOLO
04-09-2008
UNITÀ
pagine 4-5
1
I rapporti
con Socrate
e con i sofisti
1 La vita e la figura di Platone
Platone, il cui vero nome era Aristocle, nacque ad Atene, da famiglia aristocratica, nel 427
a.C. Secondo Aristotele, da giovane fu scolaro di Cratilo, un seguace di Eraclito. k T1, p. 00
Nel primo capitolo consideriamo gli scritti in cui Platone, delineando
una vera e propria «apologia di Socrate» (come recita il titolo di un
famoso dialogo), chiarisce i punti nodali dell’insegnamento del
maestro e della sua polemica contro i sofisti.
430 a.C
Capitolo 3
Approfondimenti
e nuove
prospettive
Nel secondo capitolo studiamo come Platone, partendo dal metodo
socratico delle definizioni e in antitesi al relativismo conoscitivo e
morale della sofistica, approdi al concetto di un sapere immutabile e
perfetto, avente come contenuto quelle entità immutabili e perfette
che sono le «idee». Queste costituiscono l’oggetto specifico della
conoscenza filosofica e fungono da punti di riferimento di un modello
ideale di comunità politica basata sul bene e sulla giustizia.
Nel terzo capitolo mostriamo come, dopo aver problematizzato la sua
primitiva teoria delle idee (allo scopo di affrontarne criticamente le
difficoltà interne), Platone sviluppi una nozione di “essere”
complessa e articolata, in grado di attenuare ogni residuo dualismo
tra mondo sensibile e mondo delle idee, e di porre le basi per una
visione più unitaria del reale.
410
421
EVENTI STORICI
Capitolo 2
La dottrina delle
idee e la teoria
dello Stato
420
VITA
DI PLATONE
400
415
Pace di Nicia
tra Sparta
e Atene
Riprende
la guerra
tra Atene
e Sparta
399
404
Gli Spartani
riprendono
la guerra contro
i Persiani per
liberare le città
della Ionia
Fine della
guerra del
Peloponneso
427
407
399
Platone (il cui
vero nome
è Aristocle)
nasce ad Atene
Incontro
con Socrate
Viaggio a Megara,
presso Euclide
404
Polemica con Carmide
e Crizia, parenti ed esponenti
del governo oligarchico
411
400
Ad Atene muore
Protagora di Abdera
Muore Filolao,
primo sostenitore
dell’eliocentrismo
FILOSOFIA
E SCIENZA
ARTE
E LETTERATURA
390
424
Tucidide:
Storia della
guerra del
Peloponneso
399
Morte
di Socrate
425
415
409
396
Muore
Erodoto
Euripide:
Le Troiane
Sofocle:
Elettra e Filotette
Muore
Tucidide
423
414
Aristofane: Aristofane:
Le nuvole
Gli uccelli
408
Euripide: Oreste,
Ifigenia in Tauride
e Fenicie
406
Muoiono Euripide e Sofocle
5
TAVOLA
ROTONDA
PARTECIPANTI:
M
LA
FILOSOFIA
LA
FILOSOFIA
TRA TEORIA E PRASSI
laggiù e riconoscerà i caratteri e l’oggetto di ciascuna immagine, perché ha visto i veri esemplari della
bellezza, della giustizia e del bene.
TRA TEORIA E PRASSI
PLATONE
ARISTOTELE
EPICURO
ODERATORE La parola “teoria” (dal termine greco theoréin, “guardare”) vuol dire “contempla-
zione” e indica una conoscenza pura, senza scopi. Il filosofo, fin dalle origini, è colui che, diversamente dal militare, dal politico o dall’uomo d’affari, osserva con stupore e disinteresse il “teatro” (parola
che ha la stessa radice di “teoria”) del mondo con il solo scopo di comprenderlo.
Intesa in questo senso, la filosofia si oppone alla prassi (dal greco práxis, “azione”), cioè a un’attività
che non ha come scopo lo sguardo disinteressato sul mondo, ma la trasformazione di qust’ultimo per
ricavarne dei vantaggi. I Latini hanno formulato la stessa opposizione distinguendo l’otium (la conoscenza “libera” da urgenze pratiche) dai negotia (gli “affari” pratici), ovvero la speculazione (che riprende l’originario riferimento al “guardare”) dall’azione.
Ma davvero la filosofia non serve a niente? Come è possibile concepire un’attività che non abbia un
suo “uso”, una sua destinazione specifica? Giriamo la domanda ai protagonisti della riflessione filosofica antica.
PLATONE A partire da
Talete la superiorità della
“vita contemplativa” (bìos
theoretikòs), rispetto ad
ogni forma di “vita attiva”
(bìos praktikòs) è una convinzione universalmente condivisa da coloro che si
sono definiti “filosofi”. Eppure, a mio avviso, la filosofia «consiste in un possesso di scienza […] che
possa esserci utile» (Eutidemo, 288 d). Il filosofo non
deve chiudersi nell’egoistica contemplazione della
verità, ma deve assumere un impegno pratico, di
tipo educativo e politico. Il “sapiente”, cioè colui
che “sa” perché “ha visto” le idee, coincide con il
“saggio”, che è colui che sa dirigere la sua vita e
quella della comunità. Ho cercato di spiegarlo attraverso il ben noto mito della caverna, quando ho
6
mostrato come il percorso della conoscenza, che è
anche un percorso di formazione, non finisca con
la “visione” della verità, cioè con la contemplazione della “luce” delle idee e dell’idea del bene quale ordine del mondo. Il “ritorno nella caverna” da parte del filosofo, che si è liberato dalle “catene”
dell’errore, indica proprio il momento dell’impegno politico: colui che sa deve, in un certo senso,
“sporcarsi le mani” con le tenebre degli uomini comuni, smarriti, disorientati e ignari del vero e del
bene. Il filosofo, in quanto educatore dei futuri governanti e reggitore della città egli stesso, deve mettere a disposizione del bene comune il suo sapere.
Ciascuno di voi deve a sua volta discendere nella
dimora comune e abituarsi a contemplare gli oggetti nelle tenebre: perché abituandosi a queste, vedrà assai meglio di quelli che sono rimasti sempre
(Platone, Repubblica, VII, 520c)
La verità deve essere al servizio della giustizia; il
sapere filosofico serve al governo degli uomini.
In questa identificazione di contemplazione e azione, sapienza e saggezza, ho seguito l’insegnamento
del mio maestro, Socrate. È lui che ci ha insegnato
che la “virtù”, cioè la “vita buona” che il saggio persegue, coincide con la conoscenza che il sapiente possiede. Se il bene consiste nel conoscere, secondo me
dovrà valere anche il rapporto reciproco: il conoscere non può che produrre il bene del singolo e della
comunità:
la più alta e di gran lunga la più bella [forma di
saggezza] è quella che si occupa degli ordinamenti
politici e domestici e a cui si dà il nome di prudenza e giustizia.
(Platone, Simposio, 209a)
M
Il rapporto di reciproca implicazione tra vita
contemplativa e vita attiva che caratterizza la concezione platonica della filosofia viene meno nel più brillante e innovatore tra gli scolari dell’Accademia di
Platone: Aristotele.
ARISTOTELE Secondo me, bisogna riaffermare il valore puramente “teorico” della filosofia, che ricerca il sapere per il
semplice piacere che ne deriva
e non per fini pratici o politici.
La ragione teoretica o teorica – quella che osserva il
mondo solo per comprenderlo – ha per oggetto
quello che i filosofi successivi chiameranno il dominio della necessità, la “natura” intesa come l’insieme dei fenomeni che sottostanno a leggi immutabili e sono indipendenti dalla volontà umana. La
ragione pratica ha come oggetto ciò che dipende
dall’uomo ossia le sue deliberazioni e azioni. Essa
concerne il regno del “possibile” nel senso moderno
del termine.
Per questo sapienza e saggezza sono cose diverse;
forse addirittura opposte. La saggezza, essendo finalizzata alla trasformazione del mondo e all’agire
secondo scopi, concerne le faccende umane che sono mutevoli e incerte, vale a dire ciò che è inferiore: “l’uomo non è l’essere migliore del mondo” (Etica
nicomachea, VI, 7, 1141 a 21). La sapienza, al contrario, è la conoscenza più alta, salda e perfetta perché
concerne ciò che è necessario ed eterno, la struttura immutabile dell’essere che l’uomo può solo contemplare. La sapienza, in un certo senso, è scienza
dell’inutile, perché non si cura dell’uomo e dei suoi
bisogni. Ma è anche l’unica attività “libera” in quanto si affranca dall’affanno di dover deliberare perché
non c’è nulla da decidere sulle cose che non possono essere altrimenti.
Quindi è vero ciò che i filosofi greci da sempre insegnano: la “vita buona” e la “vita felice” consistono
nell’esercizio della ragione. Ma questa, da una parte, conosce e, dall’altra, orienta la volontà. La «virtù» più alta non è, quindi, quella «etica» che concerne il comportamento (il calcolo del bene, la scelta
del meglio) ma quella «dianoetica» che concerne
l’esercizio stesso della conoscenza (la contemplazione del bene, che è l’ordine del mondo):
Ed è chiaro anche che la sapienza e la scienza
politica non possono essere la stessa cosa. Infatti,
se si chiamasse sapienza quella che riguarda il nostro utile, vi sarebbero molte sapienze. Infatti intorno al bene di tutti gli esseri viventi non vi è una
sola sapienza, bensì sapienze diverse per ciascuno,
come non c’è una sola scienza medica per tutti gli
esseri […] da ciò che si è detto è chiaro che la sapienza è insieme scienza e intelletto delle cose più
eccelse per natura. Perciò si dice che Anassagora e
Talete e siffatti uomini sono sapienti e non saggi,
giacchè si vede che non conoscono ciò che giova a
loro stessi, mentre si dice che conoscono cose eccezionali, meravigliose, difficili e sovraumane, ma
inutili, giacché essi non indagano intorno ai beni
umani. Invece la saggezza riguarda le cose umane e
ciò intorno a cui è possibile deliberare; e diciamo
che compito dell’uomo saggio è soprattutto deliberare bene; e nessuno delibera intorno alle cose che
non possono essere altrimenti, né intorno a quelle
di cui non vi è un dato fine, tale che sia un bene
realizzabile.
(Etica nicomachea, VI, 1140a28-1141b9)
Il carattere teorico e disinteressato della riflessione
filosofica è evidente nella sua genesi: essa risponde
7
QUESTIONE
?
IL TEMPO È UN FATTO OGGETTIVO
O UN’ESPERIENZA SOGGETTIVA?
●
ARISTOTELE VS AGOSTINO
a questione relativa alla natura oggettiva o soggettiva del tempo è antica e appassionante e ha coinvolto attraverso i secoli non solo filosofi, ma anche artisti e letterati.
Per affrontarla insieme possiamo prendere spunto dall’immagine riportata di seguito, che riproduce una celebre opera del pittore spagnolo Salvador Dalì (1904-1989).
L
?
“Deformando” l’orologio e adattandolo a diverse situazioni e superfici, Dalí sembra voler superare questa dimensione fisica e spaziale del tempo, per far scorgere, oltre essa, una sua
percezione soggettiva e psicologica. In effetti, il tempo “spazializzato” – quello misurato
sul movimento uniforme della terra – non rende conto, ad esempio, della memoria umana,
che dello scorrere del tempo dà una rappresentazione diversa e, in certo senso, deformata,
rispetto a quella dell’orologio. La memoria, infatti, “strappa” le cose al nulla, cioè al loro
“non essere più” e le fa persistere nella coscienza, in cui vivono non come passato, ma come tracce presenti nel ricordo. Dalì sembra così volerci suggerire che per afferrare il tempo,
soprattutto quello passato, l’orologio non basta più.
Proviamo a chiarire questo discorso ricorrendo a un esempio tratto dall’esperienza comune.
Sono le 6.00 e stai aspettando l’autobus per raggiungere una ragazza o un ragazzo che ti
piace particolarmente, o un amico con cui andare a ballare. Passa un’ora: adesso sono le
7.00. Ti sembra che il tempo scorra lentamente. È il tempo dell’attesa, o della noia, e ha
una coloritura qualitativa che la misurazione quantitativa non restituisce.
Ora immagina una situazione diversa: sono le 6.00 e stai finalmente con la tua ragazza, o
con il tuo amico. A un certo punto guardi l’orologio e ti accorgi con sorpresa che sono “già”
le 7.00. È passata un’ora, proprio come nel caso dell’attesa alla fermata dell’autobus.
Ma è davvero trascorso lo stesso tempo? Sì e no. Il tempo è oggettivamente e quantitativamente lo stesso, ma è diversa la percezione soggettiva di esso: questo significa che, se come punto di riferimento non si assume il movimento degli astri, ma il vissuto della coscienza
di ognuno, allora si può affermare che il tempo scorre secondo metri assolutamente personali: è tanto “veloce” quando si è felici, quanto è “lento” e “pesante” quando ci si annoia.
CHE COS’È IL TEMPO?
1.
Il quadro, intitolato La persistenza della memoria, rappresenta alcuni orologi deformati,
“liquefatti”, per così dire. L’orologio è sicuramente lo strumento meccanico più diffuso per
misurare il tempo in modo “oggettivo”, cioè con riferimento al movimento astronomico dei
pianeti. Il tempo dell’orologio scandisce le nostre abitudini quotidiane consentendoci di
“sincronizzarci” con gli altri, ovvero misurando lo scorrere degli eventi in modo universale e
condiviso. Ma che cosa indica l’orologio quando ci informa sull’“ora”, o quando distingue
un “prima” da un “poi”? A ben vedere indica il movimento di un corpo nello spazio: lo spostamento di una lancetta su un quadrante, che riproduce in scala il moto della terra su se
stessa e intorno al sole. Il passaggio dal “prima” al “poi”, più che una successione nel tempo, è dunque un movimento nello spazio: da un punto a un altro del quadrante. Questo legame tra tempo e movimento trova espressione anche nel linguaggio comune, quando diciamo di voler “fermare” il tempo. In realtà non è il tempo a fermarsi: tutt’al più, un oggetto
in movimento.
8
2.
Il tempo è soprattutto una grandezza fisica, una misura oggettiva e convenzionale con cui gli uomini organizzano la loro vita associata. Solo facendo riferimento al
tempo fisico scandito dal movimento della terra e del sole possiamo comprendere il tempo anche come esperienza soggettiva. Se nulla fuori di noi mutasse, la nostra
coscienza non potrebbe sperimentare lo scorrere del
tempo.
Il tempo è soprattutto un’esperienza soggettiva o psicologica. Per comprenderne la vera natura, più che alla sua
misurazione oggettiva e astrattamente quantitativa, dobbiamo volgerci al vissuto della nostra coscienza. Il tempo
vero è quello percepito e vissuto dentro di noi, come “luogo” nel quale possiamo “spostarci” verso il passato o il futuro grazie al “movimento” (non fisico, non spaziale, ma
puramente “psichico”) della memoria o dell’attesa.
Questa concezione del tempo è vicina a quella naturalistica di Aristotele: egli intende il tempo come grandezza fisica, mediante la quale l’uomo misura il movimento
delle cose.
Questa concezione del tempo è vicina a quella spiritualistica di Agostino: egli intende il tempo come “movimento” dell’anima (extensio et distensio animi), la quale si estende come memoria verso il passato e si protende come attesa verso il futuro.
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