Luglio 2014
ospedaleniguarda.it
Poste Italiane Spa
Sped. abb.post. Dl n. 353/2003
art 1 (comma1) D&B Milano
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iale
r
Edito
Donare moltiplica la vita
La cultura della donazione è la mossa vincente
Tradizione
e il nuovo che avanza
S
ono tante le mail che arrivano ogni
settimana in redazione per richiedere
l’abbonamento (gratuito) al nostro
periodico. Ci fa piacere l’interesse con cui
ci seguite.
Allo stesso modo vorremmo “vedere
schizzare all’insù” il “contatore delle
donazioni” (e quindi dei trapianti) che nel
nostro Ospedale hanno da sempre avuto la
“loro grande casa”.
Ed è proprio a questo tema che abbiamo
dedicato l’apertura del giornale. Perché
i trapianti e le donazioni sono scolpite a
chiare lettere nella storia di Niguarda. Così
come nella nostra tradizione c’è l’attenzione
per il tema della tubercolosi, una malattia
che non è ancora sconfitta e per cui sono
necessari nuovi farmaci.
Le ultime dalla ricerca e i focus dell’area
oncologica sono gli argomenti caldi di
questa edizione, così come uno “sportello
tecnologico” aperto nella diabetologia per
le mamme in gravidanza e la corsa contro
il tempo, che ogni giorno si realizza nella
stroke unit per salvare i pazienti colpiti da
ictus. Non manca la nostra panoramica
sull’arte e sul terzo settore, ovvero quella
magnifica realtà che è il volontariato.
Infine a settembre ci attende un’importante
novità: il Blocco Nord aprirà e inizierà
ad ospitare i primi reparti. E’ il nuovo che
avanza. Intanto buone vacanze.
La Redazione
Attualità a pag. 2
Questa mano non è mia:
le lesioni cerebrali fanno
svanire la coscienza di sè
S
embra non esserci alternativa: avere più sì alla donazione è l’unica strada percorribile per
incrementare il numero dei trapianti. Ne abbiamo parlato con il coordinatore regionale con
cui abbiamo fatto il punto sui numeri della rete in Lombardia e con chi ogni giorno a Niguarda
lavora in prima linea. Sono tutti d’accordo: serve più informazione e formazione.
CONTINUA A PAGINA tre
Tubercolosi
Stroke Unit
Nuovi farmaci contro
le forme multi-resistenti
“Time is brain”,
l’ictus si batte sul tempo
4.000 casi totali in Italia, la maggior parte
nelle grandi città. Il 3-5% i casi di resistenza
Riconoscere i sintomi
e massima rapidità d’intervento
Sommario
Sanità a pag. 3
I numeri della rete-trapianti.
Come diventare donatore
Centri Specialistici a pag. 5
Diabete e gravidanza:
“lo sportello tecnologico”
Malattie dalla A alla Z
a pag. 6
Gli ultrasuoni per i fibromi
uterini. L’artrite reumatoide
Gli Specialisti Rispondono
da pag. 8 a 12
Il dermatologo, l’ortopedico,
l’oncologo…
Volontariato a pag. 13
Al-Anon
e l’Unione Samaritana
News dall’Ospedale a pag. 15
Tutti gli appuntamenti
da non perdere
B
asta il suo nome per evocare scenari
passati: la tubercolosi sembra una malattia
d’altri tempi, una “patologia in bianco
e nero” contro cui hanno dovuto lottare i nostri
nonni o le generazioni precedenti e che ormai è
sconfitta, messa all’angolo definitivamente.
CONTINUA A PAGINA due
Niguarda Cancer Center
“Time is brain”, è questo il grido di battaglia
lanciato all’unisono da chi combatte contro
l’ictus. Contro questa patologia, infatti, la
tempestività dei trattamenti può fare la
differenza tra la vita e la morte, tra un pieno
recupero o una disabilità.
A PAGINA cinque
Città dell’Arte
Nuovo studio leucemia
Bernd Zimmer, l’opera
linfatica e le ultime dalla ricerca restaurata al MAPP
A PAGINA due
A PAGINA quattordici
Periodico di informazione dell’Azienda Ospedaliera Ospedale Niguarda Ca’ Granda
Il giornale di Niguarda
Anno 9 - Numero 3
due
Centro Antiveleni
Morso di vipera cosa fare e cosa no
U
na bella passeggiata in montagna: una buona idea
con l’arrivo della stagione calda. Ma se a spaventarvi
sono gli incontri ravvicinati con le vipere niente
paura. In un opuscolo dedicato ai ragazzi delle scuole gli
esperti del centro antiveleni di Niguarda hanno raccolto tutti
i consigli utili. Innanzitutto ricordarsi che le vipere sono
animali timorosi, temono l’uomo e tendono ad aggredire solo
per difesa. Inoltre quando la vipera morde, non sempre inietta
il veleno e non sempre il veleno viene iniettato in dose tossica.
Infine se pensate che il metodo John Wayne (fu proprio lui il
primo a proporlo in uno dei suoi celebri film) “incidi, succhia
e sputa” sia una buona soluzione, ricredetevi. Niente di più
sbagliato.
Cosa fare
Tranquillizzare l’infortunato
Immobilizzare l’arto colpito, come se fosse fratturato
Ridurre, per quanto possibile, l’attività muscolare
per non favorire la diffusione del veleno
Raggiungere un ospedale
Centro Antiveleni Niguarda
02 66101029 - H24
Attualità
Nuovi farmaci contro le forme multi-resistenti
La verità è che la problematica è tutt’altro che superata:
la tubercolosi è ancora viva e i numeri ce lo ricordano. Nel
mondo si contano ancora quasi 9 milioni di casi, un terzo dei
quali, nell’aree più povere del pianeta, non riesce a ricevere
né diagnosi né trattamento. In un caso su 4 la tubercolosi è
associata all’infezione da HIV e le vittime nell’ultimo anno
sono state 1.300.000. Pensiamoci: è come se una città grande
come Milano, fosse stata cancellata dalla cartina geografica
con tutti i suoi abitanti.
In Italia i casi notificati sono circa 4.000, ma se ne stimano
circa un migliaio in più non segnalati o non diagnosticati.
La maggior concentrazione si ha nelle città del nord e nelle
grandi metropoli: solo a Milano e Roma si contano il 25%
dei casi. “Questa distribuzione è legata in parte al fenomeno
dei flussi migratori che si concentrano maggiormente nelle
grandi città - ci spiega Luigi Codecasa, Responsabile del
Centro Regionale di Riferimento di Villa Marelli per la
tubercolosi-. Ma è anche correlata ad altre caratteristiche
della popolazione dei grandi centri urbani, in cui categorie
a rischio come le persone senza fissa dimora oppure gli
anziani- con più patologie o in corso di trattamenti che
indeboliscono il loro sistema immunitario- possono essere
un bersaglio privilegiato d’infezione”. Anche la maggior
diffusione dei casi di HIV nelle grandi città è un grimaldello
che può spalancare più facilmente le porte alla tubercolosi.
Apreoccupare gli esperti ci sono le forme che più difficilmente
si piegano alle cure. Sono i casi di multi-resistenza, che cosa
significa? “Si parla di multi-resistenza per quei ceppi che
non rispondono al trattamento con i due principali farmaci
antitubercolari, la rifampicina e l’isoniazide- risponde
Codecasa-. A questi si può aggiungere anche una mancata
suscettibilità ai farmaci di seconda linea”. Nel nostro
Paese si stima che queste forme refrattarie ai trattamenti
siano circa il 3-5%. In alcune aree dell’Europa dell’est, in
particolare nelle repubbliche ex-sovietiche, questo tasso
può arrivare a sfiorare il 25%. “Per questo la provenienza
dell’ammalato è un’indicazione epidemiologica da tenere
in considerazione che ci guida nei controlli diagnostici per
isolare tempestivamente questi casi più difficili da trattarecommenta il tisiologo-”.
Multi-resistenza, infatti, vuol dire prognosi peggiore e cure
più lunghe. Se un caso di tubercolosi si tratta in 6 mesi con
pochi farmaci e costi contenuti, viceversa per i casi di multiresistenza si ha un’amplificazione di tutti questi aspetti. “La
percentuale di guarigione scende dal 97% al 60% nel caso
dei ceppi resistenti. Per le forme estremamente resistenti il
dato si abbassa al 40%- specifica Codecasa-”. Per fortuna
un assist arriva dalla ricerca, che ha messo a punto due
nuovi farmaci che fanno ben sperare gli addetti ai lavori.
“Sono la bedaquilina e il delamanid- indica lo specialista- e
sono ancora in fase di utilizzo sperimentale. I risultati sono
incoraggianti, ma rimangono alcuni aspetti da valutare
sotto il profilo della scurezza e della tollerabilità soprattutto
in caso di utilizzo in pazienti pediatrici. Ma il loro arrivo è
da accogliere positivamente, visto che sono passati oltre 50
anni dall’introduzione dell’ultimo farmaco anti-tubercolare,
la rifampicina”.
Anche sotto il profilo della prevenzione i passi in avanti non
mancano: è la rifapentina, un nuovo farmaco, che associato
con l’isoniazide, è in grado di accorciare (e di molto) il
Neuropsicologia Cognitiva
Questa mano non è mia
Come le lesioni cerebrali fanno svanire la coscienza di sé
U
na lesione cerebrale, per esempio
un ictus - più frequentemente
all’emisfero
destropuò
compromettere la rappresentazione
corporea, la “mappa” cognitiva del nostro
corpo che il cervello utilizza per farci
interagire con lo spazio che ci circonda. Si
SEGUE DALLA PRIMA
può arrivare, così, a non riconoscere più un
arto come proprio. Questo sentimento di
esclusione (un disturbo neurologico detto
somatoparafrenia) è talmente radicato che
l’arto misconosciuto arriva a non rispondere
più nemmeno alle minacce di stimoli
dolorosi: è quanto emerge da una ricerca
periodo di cura per quelle forme in cui la malattia è ancora
in uno stato latente e non manifesta i sintomi caratteristici.
La finestra terapeutica si accorcia a 8 settimane contro i 6-9
mesi del trattamento solo con isoniazide.
Le armi non mancano, sta a noi non sottovalutare il nemico.
La ceppoteca regionale
Niguarda è da sempre in prima
linea nella lotta alla tubercolosi:
l’Istituto Villa Marelli è, infatti,
il Centro di Riferimento Regionale
(circa 400 casi di malattia attiva
all’anno e 1.000-1.200 casi di
infezione latente), ed offre un
percorso assistenziale completo
di prevenzione per le persone a rischio e di diagnosi e
cura per i pazienti colpiti dalla malattia.
Nel laboratorio di microbiologia dell’Ospedale, inoltre,
ha sede un database regionale che ospita i diversi
ceppi isolati nei singoli casi d’infezione: una sorta
di “ceppoteca”, utile per potenziare la lotta contro
la tubercolosi in Lombardia. “I ceppi dei nuovi casi
di infezione isolati dai vari laboratori in Lombardia
sono circa 700 ogni anno-ci spiega la microbiologa
Ester Mazzola-. Per ogni variante viene eseguita
una tipizzazione molecolare che permette un’ analisi
epidemiologica, utile per individuare il prima possibile
eventuali focolai d’infezione”.
italiana di recente pubblicata su “Brain”.
Lo studio, condotto dal Dipartimento
di Psicologia dell’Università MilanoBicocca e dall’équipe del centro di
Neuropsicologia Cognitiva di Niguarda
insieme all’Università di Pavia, ha
coinvolto tre gruppi di pazienti con
somatoparafrenia (non riconoscimento
del proprio arto emiplegico), emiplegia
(ovvero paralisi dell’arto) e anosognosia
(cioè l’inconsapevolezza della paralisi
dell’arto). Lo scopo della ricerca era
quello di studiare se la perdita del senso di
appartenenza di una parte del corpo fosse
accompagnata dall’incapacità di anticipare
l’arrivo di uno stimolo doloroso.
“A differenza degli altri pazienti, i
somatoparafrenici
hanno
mostrato
un’assenza di risposta cutanea sull’arto
“dimenticato” – chiarisce Gabriella Bottini,
Direttore del Centro di Neuropsicologia
Cognitiva -. Il processo di perdita di
coscienza del sé è talmente profondo che
non si riescono neppure a percepire le
minacce e non si attiva nessuna reazione di
difesa, nemmeno riflessa”.
Niguarda Cancer Center
Nuova sperimentazione per la leucemia linfatica cronica
Nello studio pubblicato sul New England Journal of Medicine c’è anche Niguarda
U
no studio durato due anni per
mettere a confronto due farmaci
di ultima generazione contro la
forma di leucemia più diffusa in occidente:
la leucemia linfatica cronica. E’ con
questo obiettivo che è stato pensato e
realizzato il trial internazionale “PCYC1112”, i cui risultati sono stati da poco
pubblicati sul prestigioso New England
Journal of Medicine, e che ha visto anche
il contributo dell’Ematologia del nostro
Ospedale.
Sono stati 391 i pazienti arruolati in tutto
il mondo. Tra i 6 centri italiani coinvolti
nello studio Niguarda è quello che ha
partecipato con il numero più alto di
casi. I due farmaci messi a confronto sono
l’ibrutinib, un principio attivo appartenente
alle cosiddette “small molecules”, e
l’anticorpo monoclonale ofatumumab. Si
tratta di “targeted therapies”, terapie mirate,
alternative alla chemioterapia che ad oggi
rimane il gold standard di riferimento per
la leucemia linfatica cronica e che però non
sempre può essere utilizzata sui pazienti,
soprattutto in quelli più anziani per via degli
effetti collaterali; inoltre in alcune forme di
malattia, il trattamento chemioterapico può
non dare risposta. Insomma i due farmaci
sono stati messi a confronto proprio per
cercare un responso alla domanda: “Quale
tra i due scegliere quando la chemioterapia
non è un’opzione valida o praticabile?”.
I risultati, ottenuti su pazienti sottoposti
già a numerose linee di terapia, hanno
dato un verdetto univoco, stabilendo
la miglior efficacia di ibrutinib sia in
termini numerici- il 62,6% dei pazienti
ha risposto al trattamento contro il
4,1% per ofatumumab- sia in termini
qualitativi. “La sopravvivenza totale è
risultata superiore mostrando anche un
allungamento del periodo di remissione
dalla malattia- spiega l’ematologo
Marco Montillo, referente per lo studio a
Niguarda e autore della pubblicazione-. In
particolare, del trattamento con ibrutinib
hanno potuto beneficiare anche quei casi
a prognosi sfavorevole, caratterizzati
dalla mutazione “del 17p”, per cui le
cure tradizionali generalmente non danno
alcun miglioramento”.
Ricerca oncologica
All’ASCO 2014 presentati nuovi farmaci sperimentati a Milano
S
i chiama RXDX101 ed è un nuovo farmaco che è stato
presentato al congresso annuale 2014 dell’ASCO,
American Society of Clinical Oncology, il più
importante evento mondiale sull’oncologia. Il farmaco
è modernissimo ed è un inibitore selettivo di oncogèni
(i suoi bersagli molecolari) che provocano i tumori del
polmone, del colon-retto e della tiroide. La fase 1 della
sperimentazione clinica è stata condotta dall’Oncologia
Falck di Niguarda insieme all’Istituto dei Tumori di Milano:
“Ha coinvolto 19 pazienti- ci spiega l’oncologo Salvatore
Siena- per la cura di tumori del polmone, del colon-retto,
e anche del neuroblastoma dell’adulto in fase avanzata,
che non rispondevano più alle terapie convenzionali e che
si distinguevano per la presenza del bersaglio specifico
denominato ROS1 o TRKA o ALK. Abbiamo ottenuto un
beneficio clinico netto ed è straordinario considerando
la resistenza ai trattamenti precedenti e l’estensione della
malattia”. Buoni i risultati anche per il nab-paclitaxel, un
nuovo farmaco che utilizza le nanotecnologie per contrastare
il tumore al pancreas metastatico. La sperimentazione
clinica MPACT, che ne ha testato l’efficacia, ha coinvolto
ricercatori australiani, statunitensi, canadesi ed europei.
Per l’Italia hanno partecipato diversi gruppi coordinati
dall’Oncologia di Niguarda.
Sanità
I numeri della rete trapianti: si può fare di più
tre
Sergio Vesconi
Coordinatore dei Trapianti
Regione Lombardia
P
er una volta lasciamo parlare i
numeri: il “contatore” dei trapianti in
Italia per il 2013 ha smesso di girare
una volta toccata quota 2.841 (nel 2012
si è arrivati a 2900). Sempre per il 2013, i
donatori segnalati in Lombardia sono stati
374, di questi quelli che effettivamente
hanno portato ad un trapianto sono 202. Nel
2012 erano rispettivamente 380 e 233. Di
contro crescono, anche se in minima parte,
le opposizioni al trapianto: in Italia siamo
passati dal 29,6% del 2013 al 31,7% dei
primi mesi del 2014. Anche in Lombardia
si conferma il trend: chi ha detto di no al
trapianto è il 28,2% contro il 26,2% del
2013. Abbiamo chiesto un parere a Sergio
Vesconi, Coordinatore dei Trapianti di
Regione Lombardia.
Qual è il suo giudizio su questi numeri?
Il dato non migliora ma non c’è un grosso
scarto tra il 2013 e il 2014. I numeri di
quest’anno, è giusto ricordarlo, sono delle
proiezioni che si basano sull’attività di
questi primi mesi. I dati definitivi si avranno
con la chiusura del 2014 e saranno quelli
i punti fermi su cui ragionare. Un’altra
osservazione che vale la pena evidenziare è
che nel confronto 2012-2013 sono diminuiti
i donatori poi effettivamente utilizzati per
un trapianto. In pratica i casi segnalati
sono pressappoco gli stessi, ma nell’anno
precedente si sono per così dire “scartati”
meno donatori. Ad incidere su questo dato
sicuramente c’è l’età dei donatori che si sta
innalzando sempre più.
Questo a cosa porta?
Sono presenti sempre più patologie e questo
porta ad avere degli organi che più facilmente
non soddisfano i requisiti per la donazione.
C’è un lato positivo nella questione: i
donatori giovani, infatti, sono sempre meno
e questo è sintomo di un intervento efficace
sia per la prevenzione sia per la gestione di
quelle emergenze, come possono essere gli
incidenti stradali, che portano allo stato di
morte cerebrale.
Per il 2013 in Lombardia il numero di
donatori per milioni di abitanti è 20,8, un
buon dato se confrontato con la media
italiana, 18,5, e con quella europea che è
di 16,9…
Sì, comunque ci sono dei margini di
miglioramento, si potrebbe fare di più.
Per esempio nel 2012 lo score era oltre il
23, scontiamo i molti casi persi per non
idoneità. Anche se il tutto rientra in normali
oscillazioni statistiche.
Per un rene in Italia si aspetta mediamente
3 anni, quasi 2 per un fegato… 2,8 anni si
sta in coda per un cuore: cosa si può fare
accorciare questi tempi?
L’unica arma che abbiamo è aumentare la
nostra capacità di donazione. Riducendo al
contempo per quanto possibile l’opposizione.
Molto passa da come i medici gestiscono i
casi. Abbiamo notato che quando i familiari
sono rimasti soddisfatti del trattamento
riservato al malato e hanno vissuto una
relazione soddisfacente con i sanitari, sono
quasi sempre propensi alla donazione.
Quando c’è stata frustrazione, le probabilità
di opposizione crescono. Inoltre è importante
potenziare l’identificazione dei possibili
donatori che per una serie di negligenze
possono essere esclusi dal percorso
donazione.
Su quali altri fronti intervenire?
Sul miglioramento delle tecniche che
portano a perdere sempre meno organi
nelle varie tappe che anticipano il trapianto.
Poi ci sono nuove strade d’intervento che
aprono all’utilizzo di organi un tempo invece
scartati. Penso alla donazione di doppio
rene per esempio, una coppia di organi non
di eccellente qualità vengono trapiantati
nel donatore e insieme assicurano una
buona funzionalità. Ci sono poi le tecniche
di divisione del fegato, le split liver, che
consentono di aumentare il numero dei
trapianti.
E’ in aumento la quota degli stranieri
interessati da incidenti sulle strade e
spesso è difficile avere un sì alla donazione
in questi casi?
In Lombardia interessa circa il 10% delle
donazioni e in questa fetta di popolazione il
tasso di opposizione sfiora il 50%. E’ chiaro
che spesso si fa fatica a rintracciare i parenti,
a questo si aggiunga la difficoltà di spiegare
la questione affidandosi ad un traduttore.
Ci sono poi diverse impostazioni culturali,
tutto questo spesso porta ad un’opposizione.
Però a mio giudizio non è un fenomeno così
rilevante: ci sono regioni del nostro Paese in
cui 1 donatore su 2 dice di no al trapianto e
sono tutti italiani.
Qual è la ricetta per aumentare la cultura
della donazione in Italia?
Questione di formazione: bisogna essere
presenti nelle scuole ed è quello su
cui puntano associazioni come AIDO
(Associazione Italiana per la Donazione
di Organi, tessuti e cellule). E’ quello il
momento giusto in cui dare tutti gli elementi
per farsi un’opinione a riguardo e gettare le
basi per una scelta consapevole. Ma è anche
una questione di informazione: non sempre
il tema della donazione viene trattato con la
giusta enfasi a livello delle autorità centrali,
si dovrebbe puntare di più su campagne di
comunicazione e sensibilizzazione.
C’è dell’altro?
Un’altra iniziativa, che partirà a breve e su cui
si ripongono grandi speranze, è la possibilità
di esprimere la propria volontà in merito
alla donazione quando si va a rinnovare la
carta d’identità. Una proposta che negli anni
scorsi è stata attivata sperimentalmente solo
in alcuni comuni d’Italia e che ha dato dei
buoni risultati.
Lei ha lavorato per 11 anni a Niguarda,
non possiamo non farle una domanda a
riguardo: qual è il peso di questo ospedale
sullo scacchiere dei trapianti a livello
regionale?
Il peso è considerevole. E’ uno dei centri
trainanti per l’attività di trapianto e
donazione. Volendo guardare in prospettiva
e sapendo che tutto è perfettibile, si può dire
che Niguarda avvalorerebbe ancora di più la
sua attività se riuscisse ad inserire nelle sue
proposte il trapianto a cuore fermo, che si
realizza non da un donatore in stato di morte
celebrale, ma da un donatore deceduto in
seguito ad arresto circolatorio. Grazie a delle
tecniche particolari si riescono a recuperare
gli organi per il trapianto. E’ una sfida
complessa ma credo che a Niguarda ci siano
tutte le componenti a livello di esperienza,
know-how e tecnologia per andare a segno.
Niguarda Transplant Center
La grande casa dei trapianti
D
ecidere di donare i propri organi e tessuti
dopo la morte è un gesto di grande
generosità. Così facendo si dona ad un
paziente, in molti casi in fin di vita, la possibilità
di guarire e riprendere una vita normale. La
normalità che si riacquista da gesti straordinari
a Niguarda è di casa. Il nostro Ospedale è uno dei
pochi centri in Lombardia ad effettuare trapianti
per quasi tutti gli organi (cuore, polmone,
pancreas, rene, fegato; gli unici interventi a non
essere effettuati sono i trapianti d’intestino), senza
dimenticare i trapianti di tessuti e cellule (come ad
esempio le cornee). “Sono quasi 7.000 i trapianti,
tra organi e tessuti, realizzati a Niguarda dal 1972
a oggi- ci spiega Luciano De Carlis, Direttore
della Chirurgia Generale e dei Trapianti-. Il nostro
centro ha puntato fin da subito su quelle tecniche
che consentono di ottimizzare i risultati, come ad
esempio l’intervento “split liver” che grazie ad
una suddivisione in due parti del fegato permette di
raddoppiare gli interventi. In questo senso va anche
il trapianto di doppio rene e il trapianto di rene da
vivente che utilizza il robot per la fase del prelievo ”.
Non solo organi: in Ospedale hanno sede un
Centro Trapianti Midollo, in possesso dei più alti
accreditamenti del settore, e una Banca della Pelle,
laboratorio specializzato nell’ingegnerizzazione
di cute e cartilagine per interventi ricostruttivi.
Una vera e propria “banca” dei tessuti in grado di
sostenere il fabbisogno interno e rifornire altre
strutture nazionali ed internazionali. Tecnologie di
ultima generazione e i laboratori accreditati secondo
standard internazionali, ma anche il lavoro quotidiano
di équipe mediche e chirurgiche specialistiche
muovono una cultura di vita, che cresce e si espande.
Donazioni 2014: Niguarda in rialzo. Scegli di donare
S
entendo le parole degli addetti ai lavori di Niguarda ci si accorge di quanto
la sensibilizzazione al tema della donazione sia cruciale per far girare
questo meccanismo moltiplicatore di vita. Abbiamo raccolto il parere del
Coordinatore locale del prelievo, Andrea De Gasperi e del Responsabile locale
del prelievo, Elisabetta Masturzo. Le loro parole suonano come un appello.
Per quanto riguarda l’andamento delle donazioni di organi e tessuti del Niguarda
nei primi cinque mesi dell’anno si sta registrando un trend in leggera crescita.
Il che è confortante dopo un 2013 non molto positivo. Aiutare e incoraggiare
chi potrebbe scegliere di donare è un dovere morale da sempre condiviso da chi
lavora a Niguarda, ma si può fare ancora di più come promotori della cultura
della donazione. I trapianti di tessuti e di organi costituiscono uno dei progressi
più straordinari della terapia e della solidarietà umana, e anche per questo
richiedono attenzione, coerenza, equilibrio e un costante impegno.
In effetti, il trapianto d’organi non interessa solo la scienza medica, ma
implica anche un nuovo modo di concepire i rapporti fra le persone, in quanto
ciascuno diventa responsabile della salvezza di altre vite con l’adesione a un
semplicissimo, ma non banale ‘sì’, che è un ‘sì’ alla vita.
La medicina dei trapianti ha, dunque, allargato il campo delle proprie
competenze tecniche alla sfera dell’etica della donazione che chiama in causa
la responsabilità individuale rinsaldandola all’interno di quella invisibile
catena di solidarietà naturale che ci lega gli uni agli altri.
SONO UN DONATORE
Niguarda
sostiene
la
Campagna
promossa dal Ministero della Salute
“Sono un donatore”. ASL, Comuni, Aido
(Associazione Italiana per la Donazione
di Organi), Donocard e Atto Olografo,
sono questi i 5 modi che hai a disposizione
per diventare un donatore.
Vuoi saperne di più? Clicca su
www.sonoundonatore.it
Sanità
Formazione e informazione per far crescere la cultura della donazione
Stroke Unit
“Time is brain”, l’ictus si batte sul tempo
cinque
Riconoscere i sintomi e massima rapidità d’intervento
4 ore e mezzo per intervenire
Numeri e cifre, ritornano con la loro precisione
anche nella cura, che ha una finestra d’intervento
improrogabile. “Il trattamento più efficace che
abbiamo a disposizione permette di intervenire sulle
forme ischemiche (l’80% dei casi) e di sciogliere
il trombo grazie a specifici farmaci tromboliticispiega Elio Agostoni, Direttore della Neurologia e
Stroke Unit-. L’infusione, però, deve iniziare il prima
possibile, entro le 4 ore e mezzo dalla comparsa
dei primi sintomi. Già dopo un’ora si può vedere
se la somministrazione è andata a buon fine o se è
necessaria una seconda linea d’intervento, come
una rimozione meccanica del trombo attraverso
l’inserimento di cateteri che risalgono da un’arteria
periferica fino all’area interessata”.
Vietato ritardare: codice ictus e i primi sintomi
La lotta contro le lancette inizia fin da subito, fin
dalle fasi di trasporto all’ospedale. “E’ importante
riconoscere i segni che possono far sospettare
l’ictus: difficoltà nel parlare, emiparesi facciale,
impossibilità di sollevare un braccio o una gambasottolinea il neurologo-”. E’ fondamentale allertare
il 118 segnalando queste evidenze. La catena del
primo soccorso attiverà uno specifico codice ictus,
un percorso dedicato che provvederà a trasportare il
paziente nel più breve tempo possibile in un ospedale
in cui è attiva una stroke unit. “E’ un errore ad
esempio, in caso di attacchi di lieve entità, recarsi
al pronto soccorso con i mezzi propri, si perde più
tempo e le fasi di intervento rischiano di non essere
abbastanza celeri- puntualizza Agostoni-; si rischia
inoltre di raggiungere strutture sprovviste di centri
dedicati”.
Stroke unit
Si tratta di reparti strutturati appositamente per
fornire nel più breve tempo possibile le migliori cure
al paziente colpito da ictus. All’interno lavorano
neurologi, infermieri e tecnici della riabilitazione,
tutti specializzati nella gestione di questo tipo di
pazienti. Secondo il Ministero della Salute in Italia
operano circa 150 centri, concentrati soprattutto al
Nord. Niguarda è uno di questi. Sono 7 i posti letto
di questa unità che ogni anno si prende cura di circa
450-500 persone. “Dopo l’arrivo in ospedale il
paziente viene sottoposto ad una Tac per accertarsi
delle sue condizioni- spiega lo specialista-. Se
la diagnosi di ictus ischemico viene confermata,
l’infusione con i farmaci inizia già in pronto soccorso
per poi proseguire nel letto della stroke unit, dove i
parametri del paziente sono monitorati in continuo
per valutare l’efficacia della terapia e per pianificare,
eventualmente, interventi alternativi”.
Fattori di rischio e un esame per prevenire
Ci sono diversi fattori di rischio, tra questi: una storia
familiare o personale di ictus, infarto o AIT (Attacco
Ischemico Transitorio). La maggior incidenza si
registra dopo i 55 anni e il rischio aumenta nelle
persone ipertese; anche il colesterolo alto costituisce
un potenziale pericolo, così come il diabete o le
patologie cardiache tra cui la fibrillazione atriale.
Per quanto riguarda gli stili di vita: assolutamente
da evitare il fumo, consumare alcol in modeste
quantità, mantenere una dieta povera di grassi e
praticare attività fisica. Per i soggetti più a rischio
l’eco-color doppler (un’ecografia) della carotide è
un valido esame di screening mini-invasivo.
Diabetologia
Uno “sportello tecnologico” per le future mamme e non solo
Microinfusori e sensori per la glicemia: tecnici qualificati a fianco del personale sanitario
“Ha le dimensioni di un cellulare che puoi mettere in tasca,
un sottile catetere lo collega al piccolo ago che è inserito
sotto pelle a livello della pancia: è il mio microinfusore per
l’insulina da cui non mi separo mai”. A dircelo è Maria,
30 anni, convive con il diabete da quando ne aveva 5 e tra
pochi giorni sarà mamma. Il suo percorso gravidanza è
stato interamente seguito a Niguarda. “Circa un anno fa
mi sono rivolta a questo centro, nel momento in cui ho
deciso di avere un figlio. Qui sono stata seguita dalla
programmazione della gravidanza fino alla nascita”. E
pensare che nel corso degli ultimi 10 anni alla proposta del
microinfusore da parte del suo diabetologo aveva risposto
sempre con un sonoro “no”.
Si cambia, forse per la motivazione che la prospettiva di
Diabete e gravidanza
Diagnosticare e intervenire: a Niguarda un centro
interdisciplinare, fondato sulla collaborazione di ostetrici,
diabetologi e neonatologi, segue annualmente circa 150
mamme, per farle vivere la gravidanza nella maniera
più serena possibile. I dati dicono che oggi il 15% delle
gestanti può avere a che fare con questa problematica,
che necessita di livelli di intervento diversificati, a
seconda che la malattia insorga in gravidanza, oppure sia
preesistente al concepimento.
diventare madre ti dà, forse perché si incontra
l’assistenza giusta al momento giusto. “Non
mi entusiasmava l’idea di avere questo
dispositivo sempre con me- ci dice Maria-.
Pensavo: come l’avrei nascosto? Sarei
stata in grado di utilizzarlo? Poi i medici
mi hanno fatto la proposta, dicendomi che
se non mi fossi trovata bene potevo sempre
tornare alle quotidiane punture di insulina.
Inoltre a mia disposizione c’era l’assistenza
clinica continua del personale del centro,
alla quale si aggiungeva la disponibilità
dell’esperto della ditta produttrice del dispositivo, che
ogni settimana era presente a Niguarda per aiutarmi e
consigliarmi per gli aspetti più “tecnici” dell’uso del
microinfusore. L’ho trovato un aiuto prezioso che mi ha
fatto sciogliere gli ultimi dubbi a riguardo”.
La terapia contro il diabete incrocia sempre di più la
strada con quella della tecnologia: microinfusori di
insulina miniaturizzati e sensori ad alta precisione
per il rilevamento della glicemia, sono solo alcuni dei
dispositivi su cui oggi si può contare. “Imparare ad
utilizzarli correttamente, grazie ad una conoscenza
approfondita del loro funzionamento, è fondamentale
per avere dei buoni risultati- spiega Matteo Bonomo,
Direttore della Diabetologia-. Niguarda è sempre stato
un centro all’avanguardia sotto questo
profilo: per questi dispositivi abbiamo
una delle più ampie casistiche a livello
nazionale. Perciò l’apertura di uno
“sportello tecnologico”, dove tecnici
qualificati
delle case produttrici
affiancano il personale medico ed
infermieristico con la loro competenza
specifica, ci è sembrata un’occasione
importante per tutti i nostri pazienti,
non solo per le future mamme del
percorso gravidanza”.
E’ una possibilità apprezzata non solo perché consente
di muovere i primi passi in sicurezza nell’utilizzo di
queste tecnologie, ma anche perché permette di usare
questi strumenti al meglio, sfruttando appieno le
possibilità di una tecnologia in continua evoluzione.
“Ad esempio, grazie a software sempre più sofisticati,
si possono scaricare i dati del dispositivo sul computer,
ottenendo “report” completi di attività. Il paziente si
può così presentare alla visita di controllo con in mano
grafici ed elaborazioni dei tracciati su cui il medico può
seguire e impostare l’andamento della terapia- afferma
lo specialista-”. E’ anche grazie a questo che il diabete in
gravidanza è un sorvegliato speciale, controllato sempre
meglio.
Centri Specialistici
“Time is brain”, è questo il grido di battaglia
lanciato all’unisono da chi combatte contro l’ictus.
Contro questa patologia, infatti, la tempestività dei
trattamenti può fare la differenza tra la vita e la
morte, tra un pieno recupero o una disabilità.
Le cifre sono eloquenti: nel mondo ogni 6 secondi
una persona viene colpita da un ictus, solo in Italia si
registrano circa 200.000 casi all’anno. Si tratta della
terza causa di morte, dopo le malattie cardiovascolari
e i tumori, anche se il gap con questi ultimi si sta
riducendo sempre di più. Non va dimenticato, inoltre,
che l’ictus è la prima causa di disabilità permanente.
sei
Patologie Ginecologiche
Gli ultrasuoni focalizzati per trattare i fibromi uterini
Dalla tecnica mini-invasiva alla chirurgia: tutti i trattamenti in un unico centro
Malattie dalla A alla Z
L
a paziente è sdraiata a pancia in
giù dentro un macchinario per la
risonanza magnetica. A pochi
centimetri dal suo addome un trasduttore
spara ultrasuoni ad alta frequenza.
Dall’altra parte del vetro, alla consolle
di comando, l’équipe composta dal
radiologo, dai tecnici, dall’infermiera e
dallo specialista in fisica sanitaria controlla
che le apparecchiature funzionino al
meglio monitorando le condizioni della
paziente. Niguarda è uno dei pochi centri
in grado di offrire un pacchetto completo
per intervenire contro i fibromi uterini
(o miomi). Tra questi c’è anche l’ablazione
con ultrasuoni, una metodica innovativa
che consente di ridurre le dimensioni di
queste formazioni uterine senza ricorrere
alla chirurgia: niente bisturi, cicatrici,
anestesia e giorni di degenza. La durata del
trattamento è di circa 4-5 ore e comprende
la preparazione della paziente che viene
semplicemente sedata e che il giorno
dopo può già andare a casa senza alcuna
limitazione sulle sue attività quotidiane. “E’
da circa due anni che utilizziamo questa
tecnica con risultati soddisfacenti- afferma
Cristiana Ticca, medico-radiologo-.
Sono stati trattati più di 100 pazienti e
a 6 mesi dal trattamento si è assistito ad
una riduzione del 50% della massa dei
fibromi con conseguente attenuazione dei
sintomi”.
I fibromi uterini sono tumori benigni
del tessuto muscolare dell’utero, la cui
crescita dipende da diversi fattori tra
cui una certa predisposizione genetica e
l’influsso di alcuni ormoni, soprattutto
gli estrogeni. “La maggior parte dei casi
sono asintomatici, per questo si preferisce
non trattarli, ma tenerli sotto osservazione
per controllarne la crescita- ci spiega il
ginecologo Tommaso Bignardi-. Solo il
20% delle pazienti riferisce alcuni disturbi
caratteristici come cicli mestruali molto
abbondanti e prolungati, disturbi urinari
o intestinali (conseguenza della pressione
del fibroma sugli organi circostanti), dolore
durante i rapporti sessuali e, in alcuni casi,
infertilità. È in questa minoranza di casi
che occorre un trattamento adeguato”.
La procedura mini-invasiva con gli
ultrasuoni sfrutta l’energia di queste
onde che vengono focalizzate sul
bersaglio avvalendosi delle immagini
fornite dalla risonanza magnetica. “In
pratica gli ultrasuoni vengono indirizzati
su una piccola porzione del fibroma,
aumentandone la temperatura, fino a
70-80 gradi, in modo da causarne la
necrosi-spiega Ticca-”. La tecnica ha
delle controindicazioni: non può essere
utilizzata nel caso di fibromi di grosse
dimensioni, sopra i 10 centimetri, e in
quelli peduncolati, ovvero che hanno una
morfologia “a fungo” e che sono collegati
alla parete esterna dell’utero. Un’altra
condizione da valutare è la presenza di
eventuali cicatrici, conseguenza per
esempio di un precedente taglio cesareo.
Infine si preferisce riservare questo tipo di
procedura ai casi in cui il numero di miomi
è limitato (in genere sotto i 3-4). Tutte queste
caratteristiche, che rendono la paziente
candidabile o meno al trattamento, sono
valutate con una risonanza magnetica e
con una visita condotta nell’ambulatorio
multidisciplinare dedicato, che a Niguarda
vede la compresenza del radiologo e del
ginecologo.
In assenza del “semaforo verde” per
il trattamento con gli ultrasuoni si può
propendere per altre opzioni, chirurgiche o
di altra natura.
“Il trattamento chirurgico può essere
demolitivo o conservativo nei confronti
dell’uterodistingue
Bignardi-.
La via demolitiva è rappresentata
dall’isterectomia, cioè l’asportazione di
tutto l’utero, che rappresenta una valida
opzione per le donne senza desiderio
di fertilità. Il trattamento conservativo
comprende, invece, la miomectomia
che può essere effettuata ad addome
aperto o per via laparoscopica”. Un’altra
alternativa, che passa per la mani del
radiologo intervista, è la cosiddetta
embolizzazione, tramite la quale sotto
controllo radiografico sono iniettate
selettivamente nelle arterie uterine delle
particelle calibrate per bloccare l’afflusso
di sangue al fibroma e causarne la necrosi
(morte).
Fibromi uterini - i sintomi
I fibromi uterini rappresentano
la forma di tumore benigno più
comune tra le donne. Circa il 2050% della popolazione femminile
in età fertile è portatrice di fibromi
uterini. Nella maggior parte dei casi
sono asintomatici, ma quando non
è così i disturbi più caratteristici
possono essere:
Cicli mestruali molto abbondanti
e prolungati con conseguente anemia
Lombosciatalgia
e/o
dolore
pelvico
Dolore durante i rapporti sessuali
Pressione sulla vescica che
comporta un costante stimolo a
urinare, incontinenza o incapacità a
svuotare la vescica
Pressione sull’intestino che può
comportare
costipazione
e/o
gonfiore
Addome ingrossato che può
essere erroneamente interpretato
come aumento di peso o gravidanza
Malattie articolari
Medico di famiglia e reumatologo: un patto contro l’artrite reumatoide
Regione Lombardia punta su una diagnosi precoce e appropriatezza delle cure
S
ono state gettate le basi per una rete integrata
regionale contro l’artrite reumatoide. Tutto
è contenuto nel recente Percorso Diagnostico
Terapeutico Assistenziale approvato da Regione
Lombardia. Un piano che delinea le nuove priorità
d’intervento e che ha il suo fulcro in una stretta
connessione tra il medico di medicina generale,
l’occhio che deve saper intercettare rapidamente i primi
sintomi, e il reumatologo, lo specialista che indica il
trattamento migliore per il paziente. “Sembra una
banalità ma non tutti sanno che di questa malattia se ne
occupa il reumatologo- ci spiega Oscar Epis, Direttore
della Reumatologia e componente del board di esperti
che ha collaborato alla stesura del percorso-. E questo è
solo uno dei tanti aspetti che possono portare a ritardi
nella diagnosi e nell’inizio del trattamento. Uno degli
obiettivi di queste nuove raccomandazioni regionali
è proprio quello di facilitare l’ingresso nel percorso
di cura fondamentale per una malattia cronica e
potenzialmente invalidante come l’artrite reumatoide”.
In Lombardia tra i 30.000 e i 70.000 casi
Occhi ben aperti sui primi segni che possono far
pensare a questa patologia: dolori articolari, localizzati
soprattutto a livello delle mani e dei piedi che si
associano ad una rigidità mattutina, cioè al risveglio,
rendendo molto difficile e talvolta addirittura impedendo
le normali attività quotidiane. Il numero dei pazienti è
in continuo aumento e sulle cifre grava una consistente
quota di casi che si pensa non vengano diagnosticati.
Questo fa ampliare la forbice della diffusione: si stima
che in Lombardia i malati che convivono con l’artrite
reumatoide siano tra i 30.000 e i 70.000. E il rapporto
uomini-donne è di 1 a 3 circa.
Subito dal reumatologo per risparmiare
tempo e non solo
Un invio rapido permette di iniziare immediatamente il
miglior trattamento e consente anche
un risparmio economico, saranno,
infatti, sufficienti pochi esami mirati
per arrivare alla diagnosi. “A volte
i pazienti arrivano tardivamente,
anche con anni di ritardo, al nostro
centro e ci mostrano una consistente
mole di esami spesso inutili con
conseguente spesa economica per il
paziente stesso e per la comunità- spiega Epis-. In più
le persone affette da artrite reumatoide hanno forme
di malattia molto diverse tra di loro; oggi siamo in
grado di individuare quei casi in cui la malattia ha
un’alta probabilità di avere un decorso aggressivo.
Questi pazienti necessitano di controlli frequenti e di
una terapia specifica per ostacolare fin da subito il
sopravanzare della malattia”.
Farmaci biologici e aderenza terapeutica
I farmaci biologici sono “l’arma in più”, si sono
dimostrati efficaci anche nei casi più difficili:
migliorano la qualità della vita e in alcuni casi la
salvano, infatti le complicanze dell’artrite reumatoide
possono potenzialmente essere fatali. La malattia ha
un andamento ciclico, alterna fasi acute con periodi di
assenza dei sintomi, ma è importante assumere i farmaci
anche quando l’artrite non dà problemi: l’aderenza
terapeutica è fondamentale.
Un’app per curare l’artrite e le altre
malattie reumatologiche
Percorsi terapeutici personalizzati e disegnati in base
all’andamento della malattia: è con questo obiettivo
che il centro di Niguarda ha sviluppato un’app che
ha migliorato la gestione clinica dei pazienti. Appena
arrivano in ambulatorio, viene consegnato loro un tablet
per rispondere ad una serie di test di auto-valutazione,
utili per inquadrare lo stato dell’artrite. Sono domande
molto semplici che permettono di
capire se la malattia è attiva e quanto
incida sulla qualità della vita. “Ad
esempio gli viene domandato quanto
dolore sentono (da quantificare su
scale analogico visive da 0 a 10),
quali sono le articolazioni dolenti,
quanto sono rigidi nei movimenti al
risveglio- ci dice Epis-. Sono tutti dati
fondamentali, da non trascurare, che aiutano ad entrare
nel dettaglio del caso e ad impostare o modificare il
trattamento”. Nei prossimi mesi l’app sarà utilizzabile
anche da casa, sui propri dispositivi, con lo scopo di
monitorare il paziente a distanza, siamo nell’era
della telemedicina.
La patologia e le terapie
L’artrite reumatoide è una malattia autoimmune
progressiva. In altre parole, è lo stesso sistema
immunitario, che normalmente difende l’organismo
dalle aggressioni esterne (virus, batteri, ecc.), ad
attaccare il tessuto sano, confondendolo per un
aggressore esterno e causando il danno articolare
e l’infiammazione. Esistono diverse categorie di
farmaci per la cura di questa malattia reumatica.
Farmaci sintomatici: comprendono i farmaci
antidolorifici (paracetamolo), i FANS (Farmaci
Antinfiammatori Non Steroidei) e i cortisonici.
I cosiddetti “farmaci di fondo”: hanno portato
un notevole progresso nella cura dell’artrite
reumatoide.
I farmaci biologici: sono disponibili da circa 14 anni,
si tratta di molecole ottenute grazie all’ingegneria
genetica, in grado di legare e neutralizzare l’azione
di alcune proteine che favoriscono l’infiammazione,
agendo in modo mirato. Permettono un soddisfacente
controllo della malattia e dell’evoluzione del danno
erosivo articolare in tempi molto brevi.
sette
Niguarda Centro di Riferimento per le Malattie Rare
Nell’intestino qualcosa non va
La linfangectasia intestinale
Causa ignota
Questo ingrossamento è dovuto alla
riduzione della concentrazione nel
sangue di albumina. “In questi pazienti
infatti il difetto a livello del sistema
linfatico intestinale determina la
perdita di albumina e di una serie di
altre proteine importanti- spiega la
specialista Paola Onida della Dietetica
e Nutrizione Clinica-. La conseguente
carenza di albumina nel sangue porta
ad un accumulo di liquidi nei tessuti,
che per effetto della gravità si concentra
soprattutto nelle gambe”.
La causa specifica di questa anomalia non
si conosce ma si tratta di una patologia
congenita che viene spesso diagnosticata
nei bambini e che occasionalmente può
essere riscontrata anche negli adulti. Il
sistema linfatico intestinale può essere
considerato una sorta di autostrada
attraverso cui i grassi, che assumiamo
con l’alimentazione, passano nel sangue
per poi essere “smistati” in tutto il
nostro organismo. Nei pazienti colpiti
da linfangectasia intestinale questo
meccanismo non funziona a dovere e
come conseguenza di questo si hanno
tutta una serie di sintomi caratteristici.
Esami del sangue
Sintomi
La dispersione intestinale dell’albumina
fa sì che il dosaggio di questa proteina
abbia dei livelli sotto la norma. E per
riscontrare questo bastano dei semplici
esami del sangue. Un’altra anomalia che
può essere evidenziata dalle analisi è una
riduzione dei linfociti circolanti. “Sono
tutti indizi che possono far sospettare
la linfangectasia intestinale- prosegue
Onida-. Nei bambini la patologia, inoltre,
può manifestarsi come un ritardo di
crescita dovuto al malassorbimento: il
bambino, infatti, non ha il giusto apporto
di sostanze nutritive per poter raggiungere
le normali tappe dello sviluppo fisico; a
questo possono talvolta accompagnarsi
dolori addominali, diarrea o stitichezza”.
Il principale è il gonfiore delle gambe
ed è uno dei più evidenti campanelli
che può far pensare a questa malattia.
Altri squilibri
Ci possono essere, inoltre, delle carenze
di alcune vitamine le cosiddette
liposolubili, tra cui la vitamina D,
fondamentale per la salute delle nostre
ossa e il cui deficit nel lungo termine
può portare a osteoporosi e rachitismo.
“In pratica questo tipo di vitamine
non riescono ad essere assorbite
normalmente dall’intestino a causa
dell’anomalia del sistema linfaticosottolinea la specialista-, per cui questi
nutrienti, insieme ai grassi, rimangono
nell’intestino e vengono evacuati con le
feci (steatorrea)”.
Diagnosi
Per confermare la patologia è
necessario sottoporsi ad un’endoscopia,
indispensabile per poter procedere con la
biopsia dell’intestino. Il tessuto prelevato
viene analizzato al microscopio e si
guarda se sono presenti le caratteristiche
tipiche della linfangectasia. Oggi è
possibile fare la diagnosi anche con
una tecnica d’indagine mini-invasiva:
la video-capsula. “Il paziente inghiotte
una capsula dotata di una video-camera
miniaturizzata che viaggiando nel tubo
digerente acquisisce le immagini che
vengono poi analizzate- puntualizza
Onida-”.
Trattamento
Il principale modo per intervenire sono
delle nuove regole su cui impostare
l’alimentazione, che in pratica cambia per
sempre. La dieta per questi pazienti deve
essere a bassissimo contenuto di grassi e
deve fornire un buon apporto di proteine. In
particolare una quota dei grassi alimentari
deve essere sostituita dai trigliceridi a media
catena (MCT), che offrono il vantaggio di
non essere assorbiti tramite i vasi linfatici.
Il loro passaggio nel circolo avviene infatti
tramite il sistema circolatorio portale per
cui non si corre il rischio di sovraccaricare i
vasi linfatici intestinali. “I pazienti hanno a
disposizione un particolare integratore, un
olio a base di trigliceridi MCT, che usano per
condire o per cucinare i cibi affiancandolo
all’utilizzo dell’olio di oliva- spiega Onida-”.
Grazie a questi accorgimenti si riesce anche
a limitare la dispersione delle proteine,
aumenta, così, il livello dell’albumina e di pari
passo anche il gonfiore delle gambe migliora.
“Nei casi più gravi può essere necessario
un supporto con nutrizione parenterale
o una supplementazione endovenosa di
aminoacidi, i mattoni che servono al nostro
organismo per costruire le proteine; anche la
somministrazione di octreotide, un analogo
della somatostatina può portare a dei
miglioramenti- conclude la specialista”.
Intervista a Vito
Vito, 75 anni, nato in Puglia ma Niguardese di
adozione, visto che abita a due passi dall’Ospedale,
che è diventato la sua seconda casa. La linfangectasia
intestinale, infatti, è solo una delle tante malattie
con cui ha incrociato la spada nel corso della sua
vita. Un duello che è iniziato molto presto, già
quand’era piccolo, contro la poliomielite. Ma Vito
è un combattente nato, non si è mai tirato indietro
e la sua forza d’animo è dirompente. Leggere per
credere.
Quando è iniziata la battaglia contro la
linfangectasia intestinale?
Praticamente da 25 anni convivo con questa
malattia. Il primo avvertimento è arrivato dagli
esami del sangue: avevo l’albumina molto bassa.
Ripeto le analisi e la carenza si conferma. Intanto
i miei problemi alle gambe si aggravano: erano
gonfie, anche se io avevo già avuto problemi di
flebite e mi era già stata diagnosticata una trombosi
venosa profonda, patologia per cui sono in cura
presso l’Ematologia di Niguarda.
Quando arriva la diagnosi?
Nei mesi successivi, in seguito ad una serie di
controlli in diversi centri, sparsi un po’ in tutta Italia.
Poi visto che abito vicino al Niguarda ho iniziato
ad essere seguito qui. Ai tempi la terapia era basata
sulle somministrazioni ravvicinate di albumina per
via endovenosa: 20 flaconi in due settimane. Facevo
il pieno. Una volta fatta la “provvista”, andavo avanti
per 4-5 mesi senza bisogno di nuove infusioni.
Ha dovuto modificare anche le abitudini
alimentari?
Certamente, la mia alimentazione è senza grassi e
utilizzo un olio speciale per condire o cucinare i
cibi, quello a base di trigliceridi MCT che migliora
il mio assorbimento. Prendo anche un integratore
proteico che completa la mia dieta. Però con il
passare dell’età tutto questo non basta più.
E cioè?
Il mio organismo ormai, nonostante queste
accortezze, non riesce ad avere tutto ciò di cui ha
bisogno solo con l’alimentazione e neanche il pieno
che facevo prima è più sufficiente. Ormai devo
fare le flebo un giorno sì e uno no. A casa viene
l’infermiera che mi prepara tutto. L’infusione inizia
nel tardo pomeriggio e prosegue tutta la notte fino
alla mattina del giorno successivo.
E’ un trattamento impegnativo, come si sente?
Mi sento meglio. Certo non posso programmare più
niente nella mia vita visto tutti i trattamenti che devo
seguire. Oltre alla linfangecatsia e alla trombosi
l’anno scorso si è aggiunta anche un’infezione
alle vertebre per cui mi sono dovuto sottoporre ad
un intervento chirurgico. Sono stato ricoverato in
Neurochirurgia sempre a Niguarda.
Il nostro Ospedale è un po’ la sua seconda casa…
Sì e nonostante tutti i problemi di salute che ho e
contro cui, ho iniziato a lottare fin da piccolo, quando
ho avuto la polio, mi ritengo fortunato perché vivo
a Milano e ho potuto avere un’assistenza sanitaria
di primo livello. E lo dico io, che sono un ammalato
vero, non “un ammalato della domenica”. Bisogna
vedere il lato positivo delle cose. Bisogna reagire,
sempre, perché se ti piangi, addosso sei finito.
CALL CENTER E LE ALTRE STORIE
Niguarda è uno dei 34 Presidi della Rete regionale
dedicata alle malattie rare ed è in grado di
garantire la diagnosi, la terapia e l’assistenza per
più di 120 differenti patologie. Nell’Ospedale è
attiva una linea telefonica aperta ai cittadini, alle
associazioni dei malati e ai medici del servizio
sanitario nazionale.
Call center malattie rare 02.6444.2463-21992678 (martedì e giovedì, 9.30-13.00)
Leggi le storie degli altri pazienti nella sezione
dedicata sul sito: www.ospedaleniguarda.it
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Multimedica Sesto S. G
Via Milanese, 300
20099 Sesto S. Giovanni (MI)
Tel. 02 242 090 84
Malattie Rare
M
alassorbimento dei grassi e
delle proteine, accompagnato
da altri quadri di squilibrio
nutrizionale, sono queste le principali
conseguenze a cui va incontro chi viene
colpito da linfangectasia intestinale, una
malattia rara che ci ricorda l’importanza
del nostro sistema linfatico. Una dieta ad
hoc è la più efficace arma su cui impostare
il trattamento.
otto
Dermatologia
Cheratosi attinica, se il sole è un nemico per la pelle
Una forma precancerosa da tenere d’occhio. I consigli per l’esposizione
C
Gli Specialisti Rispondono
on la bella stagione il richiamo della tintarella
è inevitabile. Ci sono però delle semplici
precauzioni da adottare per evitare che il sole
diventi un nemico per la nostra pelle. Tra i rischi c’è la
cheratosi attinica, una condizione, poco conosciuta,
ma molto diffusa per cui, a causa di una prolungata
esposizione ai raggi solari nel corso degli anni, si può
arrivare a sviluppare un tumore che colpisce la pelle.
I trattamenti non mancano ma la regola fondamentale
rimane la prevenzione. Ne abbiamo parlato con la
dermatologa Donata Calò.
Perché la cheratosi attinica è pericolosa?
La cheratosi attinica può rappresentare la lesione
iniziale da cui può svilupparsi un tumore della pelle ed
è pertanto definita come una condizione precancerosa.
Sebbene la maggior parte delle cheratosi attiniche
rimanga benigna, alcuni studi hanno evidenziato che
circa il 10% può evolvere in carcinoma spinocellulare.
Come si riconosce?
Questa condizione si presenta con piccole lesioni
eritematose o rosate ricoperte da squamo- croste
che si manifestano sulla superficie della pelle come
risultato di un’esposizione a lungo termine ai raggi
solari. Le squame hanno un colore variabile (chiaro,
scuro, marrone o rosa) sono indurite, secche e
ruvide e spesso sono rilevabili più al tatto che alla
vista. Appaiono, solitamente, sulle aree del corpo
più frequentemente esposte al sole come il viso, le
orecchie, il cuoio capelluto, le labbra, il dorso delle
mani e degli avambracci, le spalle e il collo.
A che età può comparire una cheratosi attinica?
Considerato che il tempo totale di esposizione al
sole aumenta di anno in anno, è più probabile che
la cheratosi attinica compaia in persone anziane.
Tuttavia, attualmente sono riportati casi di individui
di 20 anni che ne sono affetti. Inoltre, questo tipo
di patologia è diventata più comune nelle persone
intorno ai 50 anni.
Chi è più a rischio?
Le persone con carnagione chiara, capelli rossi
o biondi ed occhi blu o verdi, se si espongono al
sole per lunghi periodi, hanno un’alta probabilità
di sviluppare, invecchiando, questa forma
precancerosa.
Quali sono i trattamenti?
La scelta del rimedio più adatto nel singolo caso va
sempre valutata insieme allo specialista. Se sono
presenti una o due cheratosi la forma più comune
di trattamento è rappresentata dalla crioterapia:
sulla lesione viene applicato dell’azoto liquido
con un erogatore spray. La terapia fotodinamica è
utile soprattutto per le lesioni del volto e del cuoio
capelluto. L’imiquimod, formulato in crema al 5%,
invece stimola il sistema immunitario a produrre
interferone, un mediatore in grado di distruggere
le lesioni precancerose. Un altro trattamento molto
diffuso è l’applicazione di un gel antinfiammatorio
non steroideo (diclofenac) direttamente sulle
Dermatologia
lesioni; è utilizzato soprattutto per stabilizzare ed
evitare eventuali evoluzioni neoplastiche. Un altro
gel che si può prescrivere è l’ingenolo mebutato ed è
indicato per la cheratosi attinica superficiale. Questo
farmaco agisce stimolando la risposta immunitaria
contro le cellule danneggiate, contrastando così
l’infiammazione. Più in generale è importante
sottolineare che dopo i trattamenti - qualsiasi venga
scelto- è indispensabile il controllo periodico, ad
intervalli di tempo variabili da alcuni mesi a 1 anno.
Altrettanto fondamentale è l’esposizione protetta al
sole.
Esposizione al sole: segui queste regole
L’ambulatorio di dermatologia
generale si occupa del trattamento
di tutte le patologie cutanee, degli
annessi e le infezioni sessualmente
trasmesse. E’ attivo anche
uno specifico ambulatorio di
dermatologia oncologica.
Donata Calò
Per info e prenotazioni
Numero verde di prenotazione regionale
800.638.638 (lun-sab: 8.00-20.00)
ospedaleniguarda.it
areaprivata.ospedaleniguarda.it
Per prevenire l’insorgenza della cheratosi attinica
il modo più efficace è quello di proteggersi dal sole.
Ecco alcune regole da seguire:
Esporsi al sole in modo responsabile mediante
l’utilizzo di abiti protettivi, occhiali da sole, cappelli e,
per le parti che restano scoperte, applicare una crema
fotoprotettiva. Evitare di esporsi ai raggi solari nelle
ore più calde dei mesi estivi, ovvero tra le 11 e le 16.
Evitare le ustioni e l’abbronzatura artificiale.
Esaminare l’intera superficie del corpo regolarmente
- senza trascurare il cuoio capelluto - e rivolgersi al
medico nel caso in cui una lesione cutanea provochi
dolore, prude o brucia, trasuda o sanguina, diventa
squamosa presenta cambiamenti in termini di
dimensioni, forma, colore o elevazione.
Stili di vita
Sindrome metabolica: un pericolo per le nostre arterie
E’ un fattore di rischio per le malattie cardiovascolari e l’ictus
C
on qualche chilo di troppo, la pressione alta e il
colesterolo fuori controllo: è un identikit comune
a molte persone, in particolare oltre una certa
età, ed è considerato un fattore di rischio per le malattie
cardiovascolari come infarto e ictus. In particolare il
livello d’allarme sale se si riscontrano le condizioni che
caratterizzano la cosiddetta sindrome metabolica, una
condizione che richiede la compresenza di almeno due di
questi disturbi: un’obesità concentrata specialmente intorno
alla vita, pressione del sangue elevata così come la glicemia
e i trigliceridi, a fronte di un basso livello di colesterolo
“buono” o HDL. Per saperne di più abbiamo fatto qualche
domanda a Fabrizio Colombo, Direttore del Dipartimento
Medico Polispecialistico.
Cos’è la sindrome metabolica?
La sindrome metabolica, chiamata in passato anche
“sindrome-x” o “sindrome da insulinoresistenza”, è una
condizione complessa che colpisce circa il 20-25% della
popolazione. Studi recenti dimostrano che pazienti affetti
Cos’è la sindrome metabolica
Secondo l’International Diabetes Federation per
diagnosticare la sindrome basta che siano presenti
contemporaneamente, oltre all’obesità viscerale, almeno
due dei seguenti disturbi:
glicemia a digiuno: oltre 100 mg/dL;
ipertensione arteriosa: oltre i 130/85 mmHg o con
terapia antipertensiva;
trigliceridi elevati oltre i 150 mg/dL;
riduzione del colesterolo HDL (il cosiddetto
“colesterolo buono”) sotto i 40 mg/dL nei maschi o i 50
mg/dL nelle femmine oppure con terapia farmacologica
per il colesterolo elevato.
I due elementi di cui sopra devono essere associati a una
circonferenza della vita oltre i 94 cm nei maschi e gli 80
cm nelle femmine. Determinante è anche l’età: il rischio
aumenta negli uomini a partire dai 45 anni e nelle donne
dai 55.
da sindrome metabolica presentano un rischio aumentato
di 2-3 volte rispetto alla popolazione generale di sviluppare
complicanze cardiovascolari e ictus.
Quali sono le cause?
Allabasediquestasindromevièl’obesitàviscerale(ndr,grasso
localizzato prevalentemente sulla pancia) accompagnata
da insulino-resistenza. Quest’ultima comporta che alcune
cellule del nostro organismo, soprattutto quelle muscolari
e adipose, siano meno sensibili all’azione dell’insulina (ndr
l’ormone che viene rilasciato dal pancreas per abbassare la
glicemia). Questo porta a quello, che in termini tecnici viene
definito “ iperinsulinemia”, una condizione che ha effetti
negativi sull’apparato cardiovascolare e che in particolare
può portare a ipertrofia cardiaca e vascolare.
Che consigli pratici seguire?
Una dieta adeguata, il giusto movimento fisico ed
eventualmente il ricorso ai farmaci. Alcuni studi dimostrano
come sia sufficiente un calo ponderale del 10% del peso
corporeo iniziale per avere una riduzione dell’insulinoresistenza e di conseguenza anche una riduzione del rischio
di sviluppare le complicanze legate. Per raggiungere questi
risultati bisogna puntare su una dieta bilanciata con poche
calorie e pochi grassi. E’ imprescindibile, quindi, una
costante attività fisica.
Come contrastare la
sindrome metabolica
Abolire il fumo
Dimagrire portando
l’indice di massa corporea
(il rapporto tra il peso,
espresso in Kg, e il quadrato
dell’altezza, espressa in m)
sotto 25
Ridurre il consumo di alcolici (sotto i 20-30 g al
giorno di etanolo o 2-3 bicchieri di vino nell’uomo;
sotto i 10-20 g al giorno o 1-2 bicchieri di vino nella
donna)
Svolgere un’attività fisica aerobica moderata
(camminate, nuoto, jogging, bicicletta) per 30-45 minuti
al giorno
Ridurre il consumo di sodio con la dieta (non più di 5
g di sale al giorno)
Aumentare l’apporto di frutta e verdura (4-5 porzioni
al giorno,)
Ridurre la quantità di grassi alimentari, soprattutto
saturi (quelli contenuti nella carne rossa, nel burro e nei
formaggi grassi).
Fonte: linee guida ESH
(European Society of Hypertension)
Dipartimento Medico Polispecialistico
Al Dipartimento, oltre alla Medicina Interna, afferiscono numerosi centri
di riferimento regionali e nazionali in campo allergologico, diabetologico,
nutrizionale e dei disturbi del comportamento alimentare, ma anche in
ambito endocrinologico, pneumotisiologico e reumatologico. La mission
del Dipartimento è analizzare lo stato di salute nel suo complesso dando una
risposta integrata e globale al paziente, con particolare riguardo alle patologie
complesse e specialistiche.
Per info e prenotazioni
Fabrizio
Colombo
Numero verde di prenotazione regionale
800.638.638 (lun-sab: 8.00-20.00)
ospedaleniguarda.it- areaprivata.ospedaleniguarda.it
nove
Niguarda Trauma Center
Quando preoccuparsi se il ginocchio fa crack
Come intervenire in caso di distorsione: dalla chirurgia fino al trapianto
caldo e dolorante tanto da non riuscire
più a piegarlo. Al Pronto Soccorso
si procede con una radiografia per
capire in quale punto si è verificata la
lesione, utile anche per accertarsi di
eventuali interessamenti ossei. Dopo
di che il ginocchio va immobilizzato
per 4 o 5 giorni. Non c’è bisogno di
ricorrere al gesso, ma è necessario
muoversi con le stampelle per non
caricare l’articolazione, prendendo gli
anti-infiammatori e raffreddando l’area
interessata con il ghiaccio. In caso si
sospetti una lesione ai menischi o ai
legamenti è bene sottoporre il paziente
ad una risonanza magnetica. Se l’esame
non conferma queste situazioni saranno
sufficienti il riposo e la riabilitazione
per il recupero.
Se invece si verifica la lesione o di un
menisco o dei legamenti si procede
con la chirurgia…
Sì, viene fatta in artroscopia in regime
di day hospital. Per quanto riguarda il
menisco si accede da due mini-incisioni
vicino alla rotula, si entra con una
telecamera a fibre ottiche all’interno del
ginocchio e si ridà alla fibrocartilagine
meniscale la forma originaria pre-
infortunio, andando a togliere se
necessario la parte lesionata. In caso
di rimozione totale, oggi possiamo
sostituire la fibrocartilagine con dei
menischi sintetici fatti di bio-materiale,
oppure si può procedere con un vero e
proprio trapianto da donatore cadavere.
Generalmente queste tecniche vengono
adottate per pazienti molto giovani.
E per i legamenti, cosa si fa?
Anche questo tipo di intervento è
condotto in artroscopia e la procedura
richiede un ricovero di circa 3 giorni.
Ci sono diverse tecniche ricostruttive
a disposizione. Nella maggior parte
dei pazienti si procede ad un prelievo
tendineo “autologo”, cioè del paziente
stesso. Ma in alcuni casi si può
propendere per un innesto con un
legamento sintetico o per il trapianto
tendineo da cadavere. I tempi di
recupero, con le variabili riferite all’età
del soggetto ed alla forma fisica, sono
di circa 25-30 giorni, per il ritorno
all’attività lavorativa, e di 6 mesi per il
ritorno all’attività sportiva agonistica.
Molto importante per favorire la ripresa
è la riabilitazione con il fisioterapista ed
il lavoro con un preparatore in palestra.
Il ginocchio
E’ un’articolazione complessa, che si compone a sua volta di due articolazioni: quella femorotibiale e quella femoro-patellare. Viene stabilizzata al 50% dalla muscolatura, soprattutto dal
quadricipite femorale, l’altro 50% è appannaggio dei legamenti: il crociato anteriore, quello
posteriore, il legamento collaterale mediale e il legamento collaterale laterale. A completare
l’articolazione ci sono due cuscinetti in fibrocartilagine detti menischi, laterale e mediale,
che servono sia a stabilizzare il ginocchio sia a ridurre l’usura delle superfici cartilaginee
dei condili femorali e del piatto tibiale. Il tutto è circondato da una capsula, rivestita dalla
membrana sinoviale che ha la funzione di secernere un liquido che funge da lubrificante.
Mirko Poli
Ortopedia e
Traumatologia
Sono circa 100 gli interventi di
ricostruzione dei legamenti che si
eseguono ogni anno a Niguarda.
Sono più di 300 quelli effettuati per il
menisco. Da 3 anni, inoltre, è attivo
un ambulatorio di Traumatologia
dello Sport che segue agonisti e
praticanti amatoriali. Più in generale
gli specialisti dell’Ortopedia e
Traumatologia hanno sviluppato
una
particolare
esperienza
nell’intervento precoce del paziente
politraumatizzato/polifratturato: dal
bambino all’anziano, in cui spesso si
rende necessario operare in regime
di urgenza ad équipe congiunte.
Per info e prenotazioni
Numero verde
di prenotazione regionale
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ospedaleniguarda.it
Gli Specialisti Rispondono
Q
uante sollecitazioni per il nostro
ginocchio, un’articolazione
complessa che spesso viene
messa a dura prova durante l’attività
sportiva. A volte basta uno scontro
di gioco, un appoggio sbagliato, un
movimento innaturale per causare una
distorsione. Ma come si riconosce e
cosa si può fare per il recupero? Ne
abbiamo parlato con l’Ortopedico
Mirko Poli, che si occupa di
Traumatologia dello Sport.
Distorsione, cosa succede?
E’ l’evento traumatico più frequente che
si registra in ambito sportivo. Alla base
ci può essere uno scontro diretto con un
avversario ma anche un appoggio non
corretto sul terreno o un movimento
anomalo dell’articolazione che causa
la lesione. Questo può provocare un
danno a uno o a più legamenti. Ci
può essere anche un interessamento
dei menischi e del piano articolare
cartilagineo.
Come ci si accorge di essere incorsi in
una distorsione e quali sono le misure
di primo intervento da seguire?
Di solito il ginocchio si gonfia, al di
sopra della rotula. Può, poi, diventare
dieci
Niguarda Cancer Center
Per il tumore allo stomaco una nuova sperimentazione
Aperto uno studio con un nuovo farmaco a bersaglio molecolare
Gli Specialisti Rispondono
S
pesso i sintomi sono aspecifici
e possono facilmente essere
confusi con quelli di una gastrite o
di un’ulcera gastrica: nausea, difficoltà
di digestione, mancanza di appetito o
difficoltà a mangiare grandi quantità di
cibo.
E’ questa una delle difficoltà maggiori
che può portare ad una diagnosi
tardiva quando si parla di tumore allo
stomaco. Il tasso d’incidenza annuale
è più elevato nei paesi orientali, Cina
Giappone e Korea, sono in cima alle
statistiche, mentre per quanto riguarda
il nostro Paese, si stima che ogni anno
vengano diagnosticati 8.100 tumori
allo stomaco nei maschi e 5.500
nelle femmine con un età media
d’insorgenza dai 45-50 anni in poi
(fonte: AIRC, Associazione Italiana per
la Ricerca sul Cancro).
Chirurgia,
chemioterapia
e
radioterapia
sono
le
opzioni
disponibili per contrastare la malattia.
A queste negli ultimi anni si sono
affiancate le terapie con i farmaci
mirati a bersaglio molecolare. A
Niguarda è stato avviato uno studio
per testare l’efficacia di una di queste
molecole di nuova generazione.
Abbiamo incontrato l’oncologa Katia
Bencardino.
A causa dei sintomi poco specifici,
può capitare che la malattia venga
scoperta quando è già in uno stadio
avanzato?
Sì, questo è un rischio concreto.
I sintomi principali sono infatti
sovrapponibili a quelli di un comune
dolore allo stomaco, il che fa pensare
allo stress o all’alimentazione come
causa scatenante, per cui può capitare
che si tardi nell’esecuzione della
gastroscopia.
Per la diagnosi, cos’è importante?
Segnalare i sintomi al proprio medico
curante il prima possibile. Spesso si
associa a dimagrimento e anemia,
per cui anche un semplice esame del
sangue come l’emocromo può aiutare
ad orientare la diagnosi. L’esame chiave
rimane la gastroscopia che è necessaria
per procedere con una biopsia. Quindi
occorre una Tac per valutare possibili
diffusioni del tumore e definirne la
stadiazione. Anche l’ecoendoscopia è
utile in questo senso.
Prevenzione, si può fare qualcosa?
Non ci sono programmi di screening
a livello occidentale, come invece
abbiamo per altri tumori. Tra i fattori
di rischio da tenere controllati c’è
la dieta che non deve abbondare di
cibi affumicati, ricchi di conservanti,
contenenti nitrati così come una dieta
ricca di carne, povera di vegetali e
vitamine. Sicuramente il fumo aumenta
il rischio e anche un consumo eccessivo
di alcol.
Quali sono i trattamenti?
Se il tumore è diagnosticato in una
fase iniziale, la chirurgia radicale
può dare buone probabilità di cura.
Quest’opzione è invece scartata quando
la malattia è metastatica. Per quanto
riguarda i tumori localmente avanzati
ma con interessamento linfonodale
allora il trattamento combinato
chemioterapia- chirurgia può dare
dei buoni risultati; più controverso è
l’uso della radioterapia. Comunque la
scelta del piano terapeutico viene presa
da un team di specialisti, costituito
da oncologi, chirurghi, radiologi e
radioterapisti. Senza dimenticare
il prezioso lavoro del laboratorio
dell’anatomia patologica.
Negli ultimi anni sono entrati a far
parte della terapia clinica anche dei
farmaci a bersaglio molecolare?
Sì, parliamo del Trastuzumab, un
anticorpo monoclonale che si è rivelato
molto efficace sui pazienti in cui il
tumore ha una precisa caratteristica
molecolare: ovvero l’amplificazione
del gene HER-2.
C’è altro da rimarcare in materia di
terapie?
Direi che dobbiamo considerare che le
tecniche di endoscopia interventistica
per i tumori dello stomaco sono
diventate sempre più raffinate: non solo
nella fase diagnostica l’ecoendoscopia
digestiva è importantissima ma talora
anche nella malattia metastatica. Il
posizionamento di protesi per via
endoscopica, infatti, è utilissimo
all’ammalato sintomatico. E a
Niguarda l’Endoscopia Digestiva e
Interventistica ha un ruolo chiave
nella gestione di questa e tutte le altre
neoplasie gastrointestinali.
Ritornando alle terapie a bersaglio
molecolare, si è appena aperta una
sperimentazione anche per un nuovo
farmaco che vi coinvolge, di cosa si
tratta?
E’ il farmaco AMG337. Ed è stato
ideato per interferire con i meccanismi
proliferativi della cellula in quei
pazienti che hanno un tumore gastrico
metastatico con una precisa alterazione
genetica, ovvero l’amplificazione
dell’onco-gene MET.
Pazienti con queste caratteristiche
possono rivolgersi al nostro centro.
Katia Bencardino
Il reparto
L’Oncologia Falck svolge attività
clinica per la cura dei tumori solidi,
in particolare dell’apparato digerente
ed epatobiliare, del polmone, della
mammella, dell’ovaio e dell’utero,
della testa e collo, sarcomi e tumori a
sede primitiva ignota.
Si avvale anche dell’Oncologia
Clinica Molecolare che coordina,
quando ne sussistono i presupposti,
un orientamento terapeutico personalizzato, sia in ambito sperimentale sia
di pratica clinica.
Per info
e prenotazioni
N. verde di prenotazione regionale
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(lun-sab: 8.00-20.00)
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Tumore del colon-retto, se ne parla il 12 settembre
Tutti i passi in avanti in un convegno
undici
Un decennio di scoperte in materia di tumore al colon-retto. Dall’alta tecnologia in chirurgia alle terapie a
bersaglio molecolare, sono solo alcuni degli argomenti al centro del convegno che vedrà protagonisti gli
specialisti del Niguarda Cancer Center insieme ai colleghi di Candiolo. A chiusura dell’evento ricercatori
e medici saranno intervistati dal giornalista Giovanni Caprara, prima firma della redazione scientifica del
Corriere della Sera.
12 settembre - 9.30-16.30 - Aula Magna - Area Ingresso - Padiglione 1
Niguarda Cancer Center
Niguarda-Candiolo: quando medici e ricercatori parlano la stessa lingua
L’asse Candiolo-Niguarda ha dato vita a una
collaborazione importante…
Ricordo le prime riunioni con l’équipe del Niguarda, c’era
una certa difficoltà reciproca a comprendersi: noi parlavamo
il linguaggio della ricerca loro, i medici, quello della clinica.
Ma direi che, nel corso degli anni, abbiamo imparato a
dialogare trovando un terreno comune di confronto che ci
ha portato ad una stretta sinergia. Direi che si deve a questo
il successo del nostro lavoro.
Insomma, una volta oliati i meccanismi i risultati non
Paolo Comoglio
sono mancati…
Sì, e il risultato più importante, secondo me, è quello di aver capito che il cancro non è una
malattia degli organi ma è una malattia dei geni. E’ una rivoluzione copernicana nell’approccio
a questa patologia e ha segnato la nascita di quella che viene definita “medicina di precisone”.
Questo cambia l’approccio terapeutico?
Totalmente, in pratica abbiamo capito che è inutile parlare di tumore al colon retto, al polmone
o alla mammella, come patologie omogenee e molto diverse tra loro, bisogna pensare al
cancro come a una malattia genetica. Uno stesso oncogene può sostenere la malattia in organi
diversi. Le nuove terapie, “mirate”, sono dirette all’inattivazione selettiva di questi geni. Nella
sperimentazione clinica che stiamo svolgendo, lo stesso anticorpo usato contro il carcinoma
della mammella dimostra di funzionare anche nel carcinoma del colon.
Parallelamente, l’approccio genetico, porta ad una medicina sempre più personalizzata…
Questo significa che ogni paziente è diverso da un altro, per cui per ogni caso che arriva
all’osservazione clinica è indispensabile eseguire l’analisi del genoma del tumore. Questa è
la medicina molecolare ed è la cornice entro cui ci muoviamo. E la tecnologia ci aiuta: se
qualche decennio fa occorreva un anno per sequenziare un singolo gene, oggi possiamo
sequenziarne alcune centinaia in tempi molto brevi, il tutto a fronte di costi che vanno sempre
più riducendosi.
In pratica la “scansione genetica”, vi aiuta a mettere a fuoco il meccanismo che si è
inceppato e che ha portato alla malattia. Solo agendo su questo, si possono avere dei
benefici?
Ricordo che un idraulico di Saint Louis, città americana dove ho completato i miei studi,
mi diceva: “You can’t fix what is not broken”, cioè “non puoi aggiustare quello che non è
rotto”. Ed è un po’ l’approccio nuovo che anima la battaglia contro il cancro. Semplificando e
traslando la metafora, si può dire che solo dopo aver identificato il “gene rotto” si può tentare
di “aggiustarlo”, intervenendo con la terapia mirata. Ed è quello che Candiolo e Niguarda
cercano di fare insieme.
il tumore del colon retto. Abbiamo intervistato Paolo Comoglio, Direttore
Scientifico dell’Istituto di Candiolo e Alberto Bardelli, Direttore del Laboratorio
di Genetica Molecolare di Candiolo.
Niguarda e Candiolo: 10 anni di lavoro insieme…
Devo moltissimo a questa collaborazione. Ricordo che
10 anni fa ricevetti una telefonata da parte di Salvatore
Siena (ndr, Direttore Oncologia Falck- Niguarda).
Io ero ancora negli Stati Uniti e mi occupavo di
genetica dei tumori. Mi veniva proposto uno studio
collaborativo con un obiettivo importante: sviluppare
delle terapie a bersaglio molecolare in pazienti con
tumore al colon retto. Questo nuovo approccio
nasceva dall’esigenza di capire perché alcuni malati
Alberto Bardelli
rispondevano alle terapie e altri no. E’ nato tutto così.
Da allora tanti passi in avanti, quali i 3 più importanti a suo parere?
La scoperta che i geni KRAS e NRAS sono marcatori di una mancata risposta alle
terapie, questo ci ha permesso di sviluppare un test ad hoc che è entrato nella pratica
clinica per il tumore al colon retto metastatico. Quindi lo sviluppo di un’altra tecnica, la
biopsia liquida, che oggi viene molto sfruttata e su cui abbiamo iniziato a lavorare già dal
2007-2008. Infine penso che più in generale una delle conquiste più importanti sia aver
fatto luce sulle resistenze alle terapie: aver spiegato perché certi trattamenti inizialmente
funzionano, ma poi sembrano non aver più beneficio per il paziente.
Com’è successo per l’ultimo studio pubblicato su “Science Translational Medicine”…
Con questo lavoro abbiamo capito perché le cellule tumorali smettono di rispondere
al farmaco a bersaglio molecolare cetuximab e ricompaiono le metastasi al fegato.
Abbiamo messo a punto una nuova combinazione di farmaci che si è dimostrata in grado
di bloccare in vitro la proliferazione del tumore divenuto resistente.
Questa evidenza è alla base dello studio clinico ARES, che è pronto a partire e che
testerà l’efficacia di questo nuova terapia sui pazienti, è così?
Sì e sono sbalordito dalla velocità che ci ha portato dalle fasi di ricerca a quelle
di sperimentazione. E’ il primo esempio che io conosca, per cui ancor prima di aver
completato il lavoro scientifico si è arrivati a disegnare un trial clinico.
Tra le “beautiful mind” italiane ci sono anche loro
Ci sono 55 italiani nell’ultima classifica internazionale delle “beautiful mind” stilata
dalla società Thomson Reuters. La lista comprende complessivamente 3.200 nomi,
selezionati fra le migliori e più brillanti menti scientifiche del nostro tempo. I ricercatori
selezionati sono stati i più citati nel periodo compreso fra il 2002 e il 2012, tra loro ci
sono anche Salvatore Siena (Direttore Oncologia Falck Niguarda) e Alberto Bardelli
(Candiolo Cancer Institute-IRCCS).
Niguarda Cancer Center
Tumore del colon-retto: le sindromi ereditarie
Il test genetico è la chiave per giocare d’anticipo
C
ontro il tumore del colon retto la ricerca sta
facendo il suo corso ma una buona parte degli
aspetti su cui intervenire è nelle nostre mani:
a partire dagli stili di vita. Quali? I soliti, quelli che
ci sentiamo ricordare da più parti e che forse, dati alla
mano, non siamo così a bravi mettere in pratica: niente
fumo, niente alcol, un’alimentazione più sana, basata su
un ridotto consumo di grassi e carne rossa (il cui eccesso
è direttamente collegato all’incidenza del tumore del
colon retto), più proteine vegetali, più frutta e verdura.
Più movimento.
Anche la prevenzione, sotto il profilo dei controlli, è
una carta importante da giocare, fondamentale quando la
causa della malattia è ereditaria, ovvero una mutazione
nel DNA che può trasmettersi da una generazione
all’altra. Si tratta di casi molto rari (tra il 4-6% di tutti
i tumori al colon), in cui la malattia solitamente ha un
Genetica Medica
Silvana Penco
esordio molto precoce (prima dei 50 anni) e per cui lo
screening e la consulenza genetica possono essere
fondamentali per intervenire ancora prima che la
malattia si manifesti. Ne abbiamo parlato con Silvana
Penco, Responsabile della Genetica Medica.
Quali sono queste forme ereditarie?
Ce ne sono svariate, le più importanti sono la sindrome
di Lynch e la poliposi adenomatosa familiare. Per questi
pazienti il rischio di sviluppare un tumore del colon retto
è molto alto. Questo a causa di mutazioni nei loro geni
che portano all’insorgenza di lesioni precancerose che
devono essere individuate per tempo e trattate.
Il pericolo, in questi casi, è però quello che la
mutazione si trasmetta dai genitori ai figli. Per cui, se
si ritiene opportuno, è possibile offrire uno screening
L’équipe esegue circa 300 consulenze genetiche all’anno. Le aree di
intervento spaziano dalla genetica cardiovascolare alle malattie rare.
Tra queste ultime si distingue un percorso specificamente dedicato
all’albinismo, agli angiomi cavernosi familiari e alla SLA (Sclerosi
Laterale Amiotrofica) in collaborazione con il NEMO, il centro
clinico dedicato alle malattie neuromuscolari. Anche per i tumori rari
l’approccio genetico è fondamentale; i test per l’alterazione genica dei
tumori vengono eseguiti in collaborazione con l’Anatomia Patologica e
in particolare con l’équipe della Patologia Molecolare il cui responsabile
è Silvio Veronese.
www.ospedaleniguarda.it
genetico ai familiari di primo grado per capire se
anche loro sono a rischio. E’ così?
Sì, oggi abbiamo dei test genetici a disposizione per
cercare di identificare le diverse mutazioni che causano
queste sindromi. La ricerca è in continuo divenire e
talvolta per le varianti nuove non è sempre così facile
stabilire univocamente il ruolo patologico quale causa
di malattia. Inoltre si tratta di analisi molto lunghe ed
elaborate, per cui è necessaria anche fornire una corretta
informazione al paziente per metterlo a conoscenza delle
conseguenze e delle criticità correlate ad un test genetico.
Il vostro centro può contare su una buona casistica
per la poliposi adenomatosa familiare, quanti casi
avete seguito e di cosa si tratta?
Si tratta di una malattia rara che colpisce un individuo
ogni 8.000-10.000. Nel nostro centro abbiamo seguito
una cinquantina di casi provenienti anche da altre
strutture della Lombardia e d’Italia. La patologia
si caratterizza per la formazione di numerosi polipi
nell’intestino, si parla di centinaia o più, che se non
asportati chirurgicamente possono andare incontro ad una
trasformazione neoplastica, diventando cellule tumorali.
La causa scatenante è una mutazione nel gene APC. Se in
un paziente si individua l’anomalia lo screening genetico
può essere poi proposto ai fratelli e ai figli. Per chi risulta
positivo si apre un percorso di sorveglianza fatto di
controlli ravvicinati-prevalentemente colonscopie-per
giocare d’anticipo contro il tumore.
Gli Specialisti Rispondono
N
iguarda Cancer Center e Candiolo Cancer Institute-IRCCS, la
collaborazione tra i due centri dura da dieci anni e ha portato diversi
colpi a segno nella dura battaglia contro il cancro, in particolare contro
dodici Psichiatria
Disturbo bipolare: in bilico tra euforia e depressione
Con una cura efficace e tempestiva si può avere una vita normale
D
Gli Specialisti Rispondono
a Beethoven a Van Gogh, passando
per Churchill e Hemingway, sono
solo alcuni dei più illustri personaggi
storici che pare abbiano sofferto di disturbo
bipolare. Per loro, come per i tanti i pazienti
non V.I.P. (la malattia colpisce 1-2 persone su
100), l’umore è come un pendolo che oscilla
tra due estremi. Grandi picchi: autostima a
mille, iperattività e una sensazione ai limiti
dell’invulnerabilità, è la fase maniacale. Ma
Claudio Scazza
Psichiatria 3 di comunità
Può contare sull’attività di due Centri
Psicosociali, un Centro Residenziale
ad Alta Assistenza, un Centro Diurno.
L’équipe è composta da psichiatri,
psicologi, assistenti sociali, infermieri
e terapisti della riabilitazione che si
prendono cura di circa 1.000 pazienti.
www.ospedaleniguarda.it
areaprivata.ospedaleniguarda.it
poi ci sono anche grandi abissi, momenti di
buio assoluto, la disperazione più totale: è la
fase depressiva. Ridurre progressivamente
queste oscillazioni è l’obiettivo della terapia
che se ben condotta riesce a contenere gli
episodi, conciliandosi con una vita normale.
Ne abbiamo parlato con lo psichiatra
Claudio Scazza, Responsabile della
Psichiatria 3 di Comunità.
La fase depressiva, come si caratterizza?
E’ del tutto sovrapponibile alla depressione
maggiore, per cui ci sono sentimenti di
inadeguatezza, abbassamento dell’umore,
idee pessimistiche, perdita di interesse per
le attività a cui prima ci si dedicava con
piacere. Perdita dell’appetito, mancanza di
sonno o viceversa si passa l’intera giornata
a letto. Questa fase può, inoltre, complicarsi
con sintomi psicotici: ci possono essere dei
deliri di rovina, catastrofismo, oppure idee di
suicidio.
E la fase maniacale, cos’è?
E’ esattamente l’opposto: grande energia,
estremo ottimismo, sicurezza di sé, che
può portare a prendere decisioni avventate
o potenzialmente dannose, come spendere
molto denaro. Non si sente il bisogno di
dormire e c’è una propensione per un’attività
sessuale promiscua ed esibita. Talvolta la
spiccata tendenza a prendere iniziative può
essere proficua sotto il profilo lavorativo. Può
capitare, infatti, che chi è affetto da disturbo
bipolare sia una persona di successo, proprio
perché la fase manicale può essere propulsiva
per le proprie aspirazioni. Ma anche la fase
maniacale può complicarsi con idee deliranti
di grandezza o di onnipotenza, anche con
sentimenti paranoidi e di persecuzione.
Qual è la durata delle fasi e come si
alternano?
E’ variabile. Possono andare da qualche
giorno a qualche settimana o in alcuni casi
estendersi a qualche mese. Di solito tra i due
estremi ci può essere una fase di normalità,
detta di normotimia. Ma non sempre è così,
perché può capitare anche un passaggio
molto repentino da una fase all’altra. In
altri casi le oscillazioni sono continue
e ravvicinate, si parla allora di disturbo
bipolare a cicli rapidi. Poi ci sono gli episodi
misti e sono forse i più pericolosi.
Di cosa si tratta?
In questa fase si mischiano i sintomi della
fase depressiva con i sintomi della fase
maniacale. Ad esempio è caratterizzata da
sentimenti di tristezza e di inadeguatezza
ma accompagnati da una grande energia.
Un mix molto pericoloso perché aumenta il
rischio di suicidio.
Quando i primi episodi?
Tipicamente nella tarda adolescenza o nella
fase di ingresso dell’età matura. Negli ultimi
decenni si è assistito però ad un esordio
sempre più precoce e questo è da mettere
in correlazione con la maggiore facilità che
si ha nell’utilizzo di sostanze che possono
favorire, in chi è predisposto, l’insorgenza del
disturbo. Queste sostanze d’abuso possono
essere droghe o alcol e possono far emergere
più rapidamente il disturbo bipolare.
Quindi c’è una predisposizione?
Sì ed è ereditaria. E’ bene sottolineare che si
eredita la predisposizione e non la malattia.
Magari è più facile per chi ha avuto dei casi
precedenti in famiglia incorrere nel disturbo.
Si devono però concretizzare quei fattori di
rischio da cui la malattia può prendere le
mosse, come esperienze particolarmente
negative nella vita o appunto l’abuso di
sostanze.
Come si interviene?
La strategia è quella di intervenire per
contenere e limitare queste oscillazioni.
Solitamente è necessaria un’adeguata cura
farmacologica con stabilizzatori dell’umore
e principi attivi anti-psicotici di ultima
generazione che a bassi dosaggi danno
dei buoni risultati, il tutto sotto un attento
e continuativo controllo di un medico
specialista. Oggi c’è più prudenza di un
tempo nell’utilizzo degli antidepressivi.
Perché questa accortezza?
Perché possono portare al superamento
della depressione, ma possono essere un
innesco per l’episodio maniacale. Per
cui in fase di diagnosi lo specialista deve
saper distinguere con certezza l’episodio di
depressione correlata con il disturbo bipolare
da una depressione maggiore. Anche la
terapia psico-educazionale può dare dei
buoni risultati. Una curiosità: recenti studi
sostengono che gli omega -3 combinanti con
le altre terapie possano giovare. A quanto
pare non fanno bene solo al cuore.
tredici
Save the Children
Fiocchi in Ospedale, una mano per oltre 200 mamme in difficoltà
l’associazione di promozione
sociale Mitades - e intende
accompagnare i neogenitori in
difficoltà e i loro bambini nelle prime
fasi di vita. Dall’inizio delle attività,
nel settembre 2012, il progetto
ha raggiunto oltre 2.000 mamme
con azioni di sensibilizzazione
sia presso l’Ospedale, dove sono
aperti due sportelli di ascolto, sia nel
territorio di riferimento. C’è stato
un colloquio e un contatto diretto
con più di 200 donne che hanno
preso parte alle attività proposte.
Tra i supporti realizzati ci sono le
consulenze educative e legali, i
“gruppi-mamma” sia nel pre che
nel post-partum; nei casi di fragilità
economica è stato predisposto
anche un sostegno materiale
individualizzato, pensato per venire
incontro alle necessità delle famiglie.
Gli sportelli
Fiocchi in Ospedale è aperto tutti i giorni dalle 9 alle 15
orario continuato presso padiglione 16 (al piano terra, vicino
all’accettazione).
Tutti i martedì dalle ore 10 alle
11 e tutti i mercoledì dalle ore
10.30 presso il padiglione 10
(Ala C, al piano terra).
Tel. 02.64447243-392.6914255
[email protected]
Associazioni di Volontariato
L’auto-aiuto per chi vive con un alcolista
Al-Anon e Alateen: nel gruppo la forza di andare avanti
L’alcolismo può rovinare la vita anche di chi non beve. Lo
sa bene chi entra a far parte di Al-Anon, un’associazione
di aiuto reciproco, basata sui Dodici Passi degli Alcolisti
Anonimi ma che si rivolge ai familiari o agli amici di persone
con questo problema. Alateen, parte integrante di Al-Anon,
è un programma di recupero per gli adolescenti. Chiunque
si accorga che la propria vita è stata profondamente
condizionata dallo stretto contatto con un alcolista può
entrare a far parte di Al-Anon.
Mogli, mariti, figli, genitori, sorelle, fratelli, amici e
anche colleghi di lavoro: le esperienze sono diverse, ma il
programma di recupero è lo stesso. In Al-Anon si cerca
di superare gli effetti devastanti dell’alcolismo smettendo di
concentrarsi sull’alcolista per focalizzarsi su se stessi.
“Si tratta di gruppi di auto-aiuto, in cui si condividono
esperienze, emozioni e difficoltà, con lo scopo di recuperare
noi come familiari e amici di alcolisti- ci spiega Maria
referente Al-Anon per Niguarda-. Quello che impariamo
è che noi non possiamo guarire l’alcolista, possiamo solo
lavorare su noi stessi cercando di migliorare la relazione con
lui. La sua è una malattia più grande. Noi possiamo aiutarlo
solo se impariamo a considerarlo come una persona
nonostante la sua malattia”.
Per entrare in contatto con Al-Anon
Numero verde 800 087 897 - www.al-anon.it
A Niguarda - L’appuntamento è ogni martedì dalle
19.00 alle 20.00, presso l’epatologia al Blocco Sud,
primo piano studio medico n°4
A tu per tu
La forza del gruppo
Giulia è un’Alateen da quasi 10 anni, il padre era un alcolista. La forza del gruppo l’ha fatta
andare avanti
Quando hai iniziato a frequentare le riunioni Alateen?
Avevo 12 anni. Mia mamma era totalmente concentrata su mio papà, per cui non riusciva a darmi le dovute attenzioni.
Soffrivo, ero molto chiusa e non avevo amici. Immaginatevi: come potevo invitare a casa una compagna di classe con
una situazione del genere? Per questo ho avuto anche problemi a livello alimentare. Ho smesso di mangiare, non perché
mi vedessi grassa, ma perché sapevo che in questo modo avrei attirato l’attenzione dei miei genitori. Era una cavolata, la
situazione, infatti, era peggiorata.
Poi nel gruppo hai trovato il sostegno…
Ho iniziato a frequentarlo e ho iniziato a volermi bene. C’è stato un riavvicinamento verso il cibo e i pasti che ho iniziato
a non saltare più. Frequentare il gruppo mi ha risollevato, ho recuperato il rapporto con mio papà. Prima lo vedevo come
una pessima persona, solo da disprezzare, non riuscivo a vedere la sua malattia. Poco a poco sono riuscita ad accettarlo
ed è stato sicuramente un passo molto importante. Intanto anche lui nel corso degli anni è riuscito a smettere di bere. Poi
dopo due anni dal suo recupero purtroppo è morto.
Ci dispiace per la tua perdita. E il rapporto con tua mamma?
Ci sono stati dei momenti difficili. Quasi sempre è così, mentre l’alcolista beve ed è nel suo mondo, chi è a stretto contatto
con lui, come la moglie, rischia di scaricare sui figli la sua tensione, il suo carico di preoccupazione e ansia. Ma il gruppo
mi ha sostenuto e mi ha fatto superare anche questo. Ci sono stati anche i mei fratelli maggiori che in questa situazione
familiare sono stati un aiuto insostituibile.
Ti ha dato tanto anche Alateen?
Sì, mi ha fatto crescere e oggi mi reputo una persona con la testa sulle spalle: ho completato le scuole superiori e ora sto
andando all’università con buoni risultati. Tutto questo, sono sicura che è anche merito del gruppo. Penso che senza non
sarei di certo riuscita.
Come ti ha aiutato di più, quale molla ha fatto scattare in te?
La condivisione di esperienze, il fatto di non essere sola… anche poter sentire con le tue orecchie che nonostante tu ti
reputi disperata, in realtà c’è chi ha storie ancora più difficili. C’era nelle riunioni chi riferiva di essere stato picchiato e
minacciato. A me per fortuna non è mai successo. Anche questo ti sprona ad andare avanti. Ti fa dire: “Sto male, ma potrei
stare peggio”.
Adesso continui a frequentare?
Sì, ci sono dei periodi in cui non frequento causa impegni oppure durante il periodo delle vacanze estive e sento che in
queste interruzioni il gruppo mi manca, non posso più farne a meno, sento il bisogno di tornare. Mi aiuta contro le paure
che comunque rimangono e mi dà la forza per andare avanti.
Associazioni di Volontariato
L’Unione Samaritana ha bisogno di te
67 anni di presenza per donare conforto, affetto e parole di speranza
“Aiutaci ad aiutare!”, questo è il messaggio che ti rivolge l’Associazione Unione Samaritana ONLUS, un biglietto
da visita dal quale si capisce qual è la posta in gioco: “Aiutare”, ed è una esortazione rivolta a chiunque voglia
partecipare a questa missione umanitaria.
67 anni di storia che iniziano a Niguarda
L’attività dell’Associazione ha inizio subito dopo la fine del grande conflitto mondiale. Uno sparuto numero di persone del
quartiere di Niguarda, animati da una grande sensibilità, chiesero il permesso ai responsabili sanitari dell’Ospedale di poter
accedere nelle corsie dei vari reparti per portare aiuto e conforto. Inizia così un impegno subito apprezzato che si consoliderà nel
tempo. Nel 1947 l’Associazione formalizza la sua presenza dandosi un’organizzazione nel rispetto delle leggi vigenti. Da allora
sono passati ben sessantasette anni, l’Unione Samaritana è cresciuta ed è oggi una realtà conosciuta e stimata che può contare sulla
presenza di quasi settecento volontari distribuiti tra i vari ospedali e i centri geriatrici di Milano e provincia.
Per informazioni
Per restare in contatto
con l’Associazione,
per supportarla e per
conoscere le iniziative
visita il sito
www.usamaritana.org
Sede c/o Niguarda:
Area Centro
Padiglione 12, 2° piano
lun-ven: 9.00-12.00/14.30-17.00
tel. 02 6444.2524/2249
Non è solo un gesto di generosità
La presenza del volontario Samaritano non è lasciata al caso, non è solo un gesto di
generosità, di buon senso, ma rappresenta quanto di meglio si può e si deve fare per
essere d’aiuto. E’ soprattutto condivisione, una scelta basata su principi religiosi per
alcuni o su principi sociali per altri. “C’è da aggiungere che la motivazione se non
è supportata dal cuore, cioè da un sentimento profondo verso il prossimo, rischia
di perdere intensità davanti alle prime difficoltà che inevitabilmente si presentanosottolinea Lanfranco Zanalda, Presidente dell’Associazione-. Il volontario
impara che un sorriso, una mano che si posa sulla loro, possono rendere migliore
la giornata delle persone alle quali ci rivolgiamo nei reparti ospedalieri o geriatrici.
Essere loro vicini con serenità, ascoltare il loro vissuto e le loro emozioni, qualche
volta asciugare una lacrima, sono piccoli gesti ricchi d’amore”. Basta così poco.
Ascolto attivo e aiuto
I volontari Samaritani non sostituiscono chi
lavora in Ospedale, ma occupano lo spazio
relazionale, partecipando con empatia alla
sofferenza dell’assistito. Dedicano il loro
impegno concentrandosi sull’ascolto e
l’accompagnamento di chi soffre, chi è solo,
chi chiede aiuto. Regalare ascolto è un gesto di
raffinato amore.
“L’ascolto non è un atteggiamento passivo:
tutt’altro, è da considerare attivo perché
richiede un’attenta presenza di sé, un
investimento di tutte le proprie energie in modo
da offrire la migliore disponibilità- spiega
Zanalda -. La presenza del volontario si traduce
nell’accogliere, ascoltare, comprendere e
rispettare le persone che incontra facendo
ricorso alla semplicità, all’umiltà, alla
comprensione e alla preparazione”.
Preparazione che viene acquisita con lo
studio e l’apprendimento grazie ai corsi
DRA (dialogo, relazione, aiuto) tenuti dai
formatori Samaritani. “Con questo obiettivo
l’Associazione ha istituito al suo interno
una sezione apposita denominata Centro di
Formazione Permanente (CFP)- continua
Zanalda-, al quale oggi anche altri enti di
volontariato si rivolgono per la preparazione
dei propri iscritti”.
Volontariato
L
o sportello “Fiocchi in
Ospedale” è stato aperto
da Save the Children Italia
Onlus - in collaborazione con
quattordici
MAPP International
La Città dell’Arte
N
ella nostra rassegna dedicata all’arte, già da
qualche numero abbiamo deciso di fare un
salto temporale. Esaurite le presentazioni
sui grandi maestri che hanno “battezzato” con
le loro opere la nascita dell’Ospedale negli anni
trenta, il nostro sguardo si è ora soffermato su un
altro grande “giacimento artistico” del Niguarda,
il MAPP. Il Museo d’Arte Paolo Pini è un museo
d’arte contemporanea situato nell’ex Ospedale
Psichiatrico Paolo Pini di Milano, ideato da Teresa
Melorio ed Enza Baccei. Il progetto è portato avanti
con la collaborazione del Dipartimento di Salute
Mentale dell’Ospedale Niguarda, sotto la direzione
artistica di Marco Meneguzzo e l’adesione di alcune
note gallerie d’arte milanesi. Cambiano le opere, non
cambia la nostra guida: il Primario Emerito Enrico
Magliano, un medico con la “malattia dell’arte”.
Protagonista di questo numero: l’artista Bernd
Zimmer.
MAPP - Museo d’Arte Paolo Pini
E’ in via Ippocrate 45 a Milano. Il Museo è aperto
dal lunedì al venerdì dalle 9.30 alle 16.00; il parco è
aperto tutti i giorni dalle 8.00 alle 19.00.
Niguarda in prima fila nella ricerca e anche nel restauro...
Bernd Zimmer realizzò nel 1995 un grande affresco di 8x5 metri sulla parete esterna del Padiglione 7, quello che ospita la sede del MAPP: il titolo
dell’opera è “Sopra e sotto”. Si tratta di un affresco di grande impatto cromatico che rappresenta un’inquietante forma di albero a croce; un “Fleur du
mal” coerente con la sensibilità dell’artista. Zimmer utilizzò colori acrilici ricoperti di uno strato trasparente protettivo che, complice l’umidità della parete,
furono le concause del degrado cui è giunta la grande pittura murale. Di recente l’opera, peculiare per la sua appartenenza a un Museo all’aperto, è stata
scelta come oggetto di studio per una ricerca internazionale sui sistemi di restauro. Farà piacere ai Niguardesi sapere che i risultati di tale indagine sono
stati presentati alla Fiera del restauro di Ferrara e fatti oggetto di una pubblicazione su un’importante rivista internazionale del settore. Elementare Watson!
Niguarda non ha confini nella ricerca.
Bernd Zimmer – “Sopra e sotto”
Arte e Storia
Biografia dell’Artista
Bernd Zimmer è nato a Planneg
vicino a Monaco nel 1948. Dopo
aver lavorato come grafico studia
filosofia e teologia a Berlino.
Durante un soggiorno in Messico
rimane affascinato dai grandi
affreschi di Diego Rivera e
ritornato in Europa si dedica alla
pittura, in particolare all’affresco
di grande formato senza disegno
preparatorio.
Zimmer è uno dei fondatori del
gruppo dei “Nuovi Selvaggi”.
Il Movimento nasce nel 1980 e
unisce un gruppo di giovani artisti
seguaci di una pittura “urlata e
gestuale” con toni accesi e violenti
sulla scia dell’impressionismo
tedesco con poca attenzione agli
aspetti sociali, cari invece ai grandi
maestri. Zimmer è attualmente
annoverato (anche nei Musei)
come un importantissimo artista
contemporaneo europeo.
Fotonotizia
Visite d’arte a Niguarda
Di turisti che girano per il centro storico
di una città ne vediamo tutti i giorni, un
po’ più raro è vederli visitare un ospedale.
Questo può succedere solo a Niguarda,
luogo tutelato dalle belle arti che di recente
ha aperto le proprie porte a tour organizzati,
per far conoscere le sue bellezze artistiche.
Per appuntamento
e informazioni:
MAPP
lun-ven: 9.00/16.00
tel. 02 6444.5392/5326
[email protected]
News
Tutta l’arte di Niguarda in un click
È on-line la sezione NAG, Niguarda Art Gallery, che
permette di scoprire tutte le bellezze artistiche della Ca’
Granda. Dalla architettura ospedaliera all’arte moderna
firmata MAPP (Museo d’Arte Paolo Pini), tutto
suddiviso in apposite categorie per non perdere nulla di
questa grande città della arte.
CLICCA
www.ospedaleniguarda.it
L’opera durante il restauro
Storia di Niguarda
La nascita delle specialità
N
egli anni sessanta e settanta, le divisioni chirurgiche
e mediche iniziarono a sviluppare aree di interesse
in specifici settori, dovute al “rapido progresso delle
acquisizioni scientifiche” [...].
Per quanto riguarda la chirurgia, vennero realizzate in
contemporanea, nel 1965, due strutture dedicate alla cura
delle patologie ortopediche: la divisione OrtopedicoTraumatologica Passera e la divisione d’Ortopedia Andrea
Ponti, quest’ultima nata all’interno della divisione di
Chirurgia generale diretta da Benedetto Austoni. Inoltre, già
nel 1950, era stato costituito, in convenzione con l’INAIL, un
Centro Grandi Ustionati e Chirurgia plastica, sotto la guida di
Clerici-Bagozzi.
La divisione di Ostetricia e Ginecologia, a seguito
dell’improvvisa morte del primo direttore Carlo Armanini,
venne affidata nel 1960 a Giuseppe Nicora, al quale subentrò
nel 1976 Alfonso Zampetti, che la diresse fino al 1997.
In quel periodo venne istituito il primo servizio in Italia
dedicato alle tematiche della diagnosi e del trattamento
della sterilità di coppia, coordinato dapprima da Antonio
Chiara e successivamente da Giarola e da Vinci. In seguito
all’aumento della natalità, nel 1964 venne istituita una nuova
divisione di Ostetricia, diretta prima da Luigi D’IncertiBonini, poi dal 1984 al 1985 da Alfonso Zampetti e infine
dal 1985 da Innocenzo Signorelli. Nel campo delle specialità
chirurgiche, è da ricordare la figura, attiva in quegli anni,
di Alberto Zanollo, urologo di fama internazionale che ha
iniziato la propria attività professionale (dal 1958 al 1970)
a Niguarda, dove ha maturato il suo interesse per i pazienti
con lesione midollare studiandone le disfunzioni a carico
dell’apparato urinario, divenendo il pioniere della neurourologia italiana. Successivamente egli ha fondato la sezione
Neurolesi a rischio urologico, coordinando, dal 1990, la
prima Unità spinale integrata della Regione Lombardia.
In ambito medico un breve elenco cronologico sulla nascita
delle “strutture specialistiche” è la migliore dimostrazione
della precoce vocazione d’apertura all’attività clinicodiagnostico-terapeutica integrata. Nel 1962 presso la divisione
Talamona venne aperto un ambulatorio ematologico
(divenuto poi Centro ematologico nel 1966), primo nucleo
da cui si originò poi, nel 1980, la divisione di Ematologia,
mentre all’interno della divisione Brera fu istituito nel 1963
un primo Centro di Reumatologia, costituitosi poi nel 1989
in divisione autonoma sotto la direzione di Bianca Canesi.
Nel 1964 prese vita presso la divisione Rizzi il Centro per
le Malattie coronariche; nel 1966 presso la divisione Gatti
Castoldi nacque l’ambulatorio per le malattie metaboliche.
Nel 1967, all’interno della divisione Carati, su iniziativa del
suo primario, Gianfranco Silvestrini, già allievo di Luigi
Villa al Policlinico, venne istituito un centro per la cura
delle affezioni endocrine, dotato di un ambulatorio e di un
avanzato laboratorio[…].
Presso il padiglione Falck, nel 1973 fu istituito il Centro per
lo Studio delle Dislipidemie, diretto da Cesare Sirtori […].
Nell’ambito della divisione medica Crespi, nel 1974 venne
istituito per interessamento di Luigi Cantoni un centro per
le malattie epatospleniche (trasformato nel 1981 in Centro
di Epatologia), la cui attività venne fortemente potenziata
quando la divisione fu affidata nel 1988 a Gaetano Ideo.
L’istituzione presso la divisione di Medicina generale
Bizzozero del Centro di alta specializzazione in Allergologia
e Immunologia clinica risale al 1973, per opera di Enzo
Santilli in collaborazione con la Clinica medica universitaria
diretta da Carlo Zanussi. La direzione della divisione venne
successivamente affidata, nel 1984, a Claudio Ortolani sotto
la cui guida il centro ottenne il riconoscimento ufficiale da
parte della Regione Lombardia e la successiva designazione
a Centro di riferimento. […]
Tra le altre specialità mediche sviluppate in quegli anni, è
opportuno inoltre ricordare: il Centro diabetologico, fondato
da Alberto Bertolini nel 1975 nella divisione Gatti Castoldi;
la struttura di Dietetica e Nutrizione clinica, istituita nel
1970 da Ennio Gatti e attualmente divenuta Centro per il
Trattamento dei Disturbi del Comportamento alimentare,
struttura di riferimento nazionale in tema di nutrizione; la
divisione di Malattie infettive, nata nel 1980, a seguito del
trasferimento di una delle divisioni specialistiche, diretta da
Fabio Giannelli, dell’Ospedale Malattie infettive Agostino
Bassi di Milano, chiuso al principio degli anni ottanta. Infine,
nel 1984, apre il Centro di Trapianti di Midollo presso la
divisione Talamona.
Testo a cura di Vittorio Alessandro Sironi,
tratto dal libro “Niguarda un ospedale
per l’uomo nel nuovo millennio”(2009)
quindici
Nuovo Niguarda
Apre il Blocco Nord
D
opo l’estate al rientro dalle ferie
troveremo una grande novità: il
Blocco Nord sarà aperto!
A settembre i primi a trasferirsi nel nuovo
blocco ospedaliero saranno gli ambulatori
e i day hospital del Padiglione 2:
Allergologia
Diabetologia
Endocrinologia
Medicina interna
Medicina Riabilitativa
Neurologia
il Centro trasfusionale -SIMT e Centro
donazioni sangue del Padiglione 3.
Controlla la mappa dell’Ospedale sul sito
ospedaleniguarda.it, manda una mail
a [email protected] oppure
chiama lo 02 6444.1
progetto nasce proprio con
questo obiettivo – spiega Marco
Trivelli, Direttore Generale
del Niguarda ‐ rendere, in
breve tempo, autosufficiente
l’ospedale di Niguarda, che per
soddisfare le proprie esigenze
trasfusionali, anche in funzione dei numerosi
trapianti e interventi d’urgenza, necessiterebbe
di almeno 5.000 unità di sangue in più all’anno
rispetto alle 18.652 unità di sangue ottenute da
AVIS Milano nel 2013. Il sangue non può essere
prodotto industrialmente e quindi può essere
ottenuto solo con un atto di generosità”.
Per donare
Per diventare donatore è sufficiente presentarsi al Centro Donazioni di Sangue dell’Ospedale
senza appuntamento. La donazione di sangue è un atto volontario e altruista, che permette non
solo di aiutare altre persone, ma è un’occasione utile per il donatore che può sottoporsi a un
piccolo check-up gratuito.
Centro Donazioni del Sangue
Area Ingresso- Padiglione 3, aperto dal lunedì al venerdì dalle 8.00 alle 12.00 (aperto tutto
agosto). Da settembre il centro aprirà nella nuova sede al Blocco Nord.
Domande sulle vaccinazioni?
S
ul sito della Società Italiana di Pediatria (SIP) è online un nuovo spazio
web dedicato all’approfondimento scientifico sul delicato tema delle
vaccinazioni pediatriche, un argomento costantemente nell’occhio
del ciclone e spesso bersaglio di complottismi e disinformazione. Il Portale
Vaccini è a cura della Commissione Vaccini SIP.
Clicca su vaccini.sip.it
News
Orari estivi degli
sportelli
Questi gli orari del mese di agosto (dal 4 al 31 agosto) degli sportelli di
accettazione, prenotazione, ritiro referti e area privata:
Padiglione 2 ( Poliambulatorio Medico): chiusura e riapertura il 1°
Settembre al Blocco Nord.
Padiglione 16: lunedì-venerdì 7.00-15.00. Dopo l’orario di chiusura
rivolgersi al Blocco Sud.
Blocco Sud: lunedì-venerdì 7.00-18.00; sabato 8.30-13.00.
Il call center per la prenotazione telefonica delle visite private, che
risponde al 02 6444.2409, è operativo dal lunedì al venerdì 8.30-17.00.
Paolo Bulgheroni
News
Nuove nomine
News
L’Atletico Niguarda è campione regionale
L
’Atletico Niguarda continua ad
inanellare successi. La squadra,
composta da pazienti e operatori
del Dipartimento di Salute Mentale, si è
aggiudicata il torneo regionale UISP in
cui hanno partecipato 13 rappresentative
provenienti da tutta la Lombardia. La
vittoria consente all’Atletico di andare a
Montalto di Castro, nel Lazio, per sfidare
gli altri campioni regionali che a settembre
si contenderanno il titolo nazionale. Alè!
News
Un aiuto in più contro l’anoressia e i disturbi alimentari
S
ono stati inaugurati i nuovi spazi dedicati al progetto
“Potenziamento dei percorsi di cura (nutrizionale e
psicologico)”, un sostegno pensato per le persone affette
da disturbi del comportamento alimentare (anoressia, bulimia e
obesità morbigena), promosso dall’Associazione Erika Onlus e
finanziato da Regione Lombardia, in convenzione con l’ASL di
Milano e con il contributo del nostro Ospedale.
20862 Arcore (MB)
Tel. 039.5968130
Fax 039.5968131
Tiratura: 25.000 copie
Reg. Tribunale Milano:
n. 326 del 17 maggio 2006
Pubblicità: Eurocompany s.r.l.
via Canova 19 - 20145 Milano
tel. 02.315532
Fax 02.33609213
www.eurocompany.mi.it
[email protected]
Pubblicato online sul sito:
www.ospedaleniguarda.it
Il giornale di Niguarda
Periodico d’informazione dell’A.O.
Ospedale Niguarda Ca’ Granda
Direttore Responsabile:
Monica Cremonesi
In redazione: Giovanni Mauri,
Andrea Vicentini,
Maria Grazia Parrillo
Direzione e redazione:
Piazza Ospedale Maggiore 3
20162 - Milano
tel. 02 6444.2562
[email protected]
Foto: Archivio Niguarda copyright
Stampa: RDS WEB PRINTING S.r.l.
Via Belvedere, 42
Salvatore
Lo Cicero
D
opo tanti anni a Niguarda
è andato in pensione Paolo
Bulgheroni, Direttore della
Pneumologia. A lui va un caro saluto
e un sentito ringraziamento. Il nuovo
Direttore facente funzioni della
Pneumologia è Salvatore Lo Cicero.
Buon lavoro.
Niguarda nel mondo
In Uganda per aiutare i bambini cardiopatici
E
’ tutto pronto per essere
replicato ad agosto: dopo la
prima missione dello scorso
marzo presso l’Ospedale Mulago, di
Kampala, la capitale dell’Uganda, gli
specialisti del nostro Ospedale sono
pronti a volare in Africa nuovamente
per il secondo atto. “Il progetto ha
come obiettivo la formazione degli operatori locali in modo da poter eseguire in
autonomia interventi cardiochirurgici pediatrici- ci spiega Stefano Marianeschi,
Responsabile della Cardiochirurgia Pediatrica (quinto da sinistra nella foto)-. Tre mesi
fa sono già stati eseguiti 3 interventi di correzione di difetti cardiaci congeniti che
sono andati tutti a buon fine”. Hanno accompagnato il cardiochirurgo anche Enrico
Ammirati, cardiologo (settimo da sinistra), e il perfusionista Cosimo Popolizio (quinto
da destra). La missione è stata supportata dalla Fondazione Aiutare i Bambini e da Un
Piccolo Grande Cuore nel Mondo, progetto della Fondazione A. De Gasperis.
Vuoi ricevere
il Giornale di Niguarda?
B
asta mandarci una mail e specificare il tuo
nome, cognome e l’indirizzo a cui recapitare il giornale. Sarai inserito nella lista
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nostro periodico.
[email protected]
News dall’Ospedale
AVIS e Niguarda: servono 150 donatori in più al giorno
E
Per essere aggiornati
sui trasferimenti
NEWS DAL WEB
Emergenza sangue
’ stato presentato, il
progetto “+ 5.000 unità
in più per l’Ospedale
Niguarda”, nuovo obiettivo di
AVIS Milano e di Niguarda.
I dati relativi a Milano
parlano chiaro: per rendere
autosufficienti le trasfusioni di sangue negli
ospedali e nelle case di cura della città, occorrono
addirittura 150 donatori in più per ogni giorno
feriale dell’anno.
La riflessione assume ancora più rilevanza
se i numeri vengono raffrontati alle necessità
di un ospedale come quello di Niguarda. “Il
A seguire, verrà trasferita la Riabilitazione
cardiologiaca dal Padiglione 2 al Padiglione
3. Al Blocco Nord sono previsti anche 17
sportelli di prenotazione-accettazione
(lun-ven: 8.00-18.30).