galileo galilei e il metodo sperimentale

GALILEO GALILEI
E IL METODO SPERIMENTALE
1 - Da Pappo Alessandrino e da Diofanto, il primo uno degli epigoni
della gloriosissima Scuola d'Alessandria, che aveva dato l'immortale triade di Euclide, Apollonio ed Archimede, ed egli stesso valente matematico e commentatore delle opere dei luminari che l'avevano preceduto; il
secondo matematico originalissimo, che con ogni ragione si può ritenere come un precursore dei fondatori dell'Algebra; da Pappo e da Diofanto
sino al Copernico e al Galilei la Storia delle Scienze presenta un'assenza
quasi assoluta di speculazione, come se per un periodo di circa undici
secoli fosse spenta la virtù di ricercare e di ragionare.
E' ben vero che gli Arabi hanno lasciato memoria di sè nella Storia
della Matematica e della Medicina; è ben vero che in tanto buio brillano
come faci isolate Ruggero Bacone, Dante, Leonardo; uomini straordinari, che furono capaci di innalzarsi sui loro coetanei. Ma il loro numero è
troppo esiguo perché non li si debba considerare che come un'eccezione
degna di rilievo in quel periodo di tempo. Le Scuole accreditate, i maestri famosi, la moltitudine dei filosofi consumavano gli anni disputando
e meditando su parole vuote di senso. La Chimica riduceva i suoi conati
alla ostinata ricerca di una chimerica pietra filosofale, capace di trasmutare qualunque sia pur vile metallo in oro, e di donare un'eterna giovinezza a chi ne venisse in possesso preservandolo da ogni male e dalla
morte. Nello studio dell'Astronomia prevaleva stranamente la vana ricerca di misteriosi influssi celesti sulla vita e sulle cose umane. La Storia
Naturale consisteva in una semplice compilazione di notizie e racconti
per lo più fantastici, accettati tutti senza discernimento e senza discendere a conseguenze particolari e risalire a più generali principi coordinatori; e la credulità dei tempi giungeva fino a prestar fede agl'incantesimi e
alla magia.
2 - L'opera DE REVOLUTIONIBUS ORBIUM COELESTIUM del Copernico è, dopo tanta decadenza della Scienza e della Filosofia e l'universale letargo della ragione umana, il colpo d'ala più ardito e grande che
sia stato fatto. Occorreva tutta la potenza dell'immaginazione per astrarProvinthi Lecce - Mediateca - Progetto EDIESSE (Emeroteca Digitale Salentina)
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re e sublimarsi ponendosi contro la testimonianza dei sensi, e assegnare
alla sola Terra tutti i movimenti che l'apparenza ci mostra nel Sole e nei
pianeti. E dopo aver immaginato che i corpi splendenti di luce propria siano immobili: il Sole nel centro e le stelle ai confini dell'universo, occorreva la potenza di un alto intelletto per combinare l'insieme dei fenomeni; e propriamente la direzione dei movimenti, i periodi, l'ordine con cui
i pianeti si rivolgono intorno al Sole: prima Mercurio, poi Venere, indi la
Terra con la Luna e, a distanze maggiori, Marte Giove e Saturno.
3 - Pochi anni prima che dal Copernico venisse svelato il disegno del
Cielo, parve che la Terra si dilatasse con doppiamento del Capo di
Buona Speranza, e con la scoperta dell'America. Le arti principali: la
Pittura, la Scultura e l'Architettura furono in quell'epoca portate al più
alto grado di perfezione da Raffaello, Michelangelo e il Bramante. La Poesia italiana aveva emulato le glorie degli antichi con i due nuovi poemi
dell'Ariosto e del Tasso. Ma tutto ciò non è sufficiente perché si possa considerare come una rivoluzione generale e completa dello spirito umano.
I poeti miravano piuttosto alla ricerca di espressioni delicate e ricercate
che ad ispirarsi a sentimenti fervidi e forti. Gli eruditi limitavano l'attività del loro spirito ad una quasi servile imitazione dei vecchi autori. I
dotti che dopo la caduta di Costantinopoli fuggirono in Italia, vi apportarono l'unico, sebben grande, vantaggio di recare con sé i testi dei grandi
Autori Greci; preparando, con le traduzioni delle opere dei matematici
antichi, il terreno per la riscossa della scienza. La Fisica brancolava senza la guida della Geometria e senza la scorta dell'esperienza; pertanto si
era ridotta ad un intreccio di sottigliezze scolastiche, che sapevano soltanto di metafisica. L'Europa nel '500 fu certo più dotta ed erudita dei
secoli precedenti; parve che il gusto si fosse in generale raffinato. Ma soltanto nel '600 gli uomini cominciarono a ragionare.
4 - Ruggero Bacone, spirito luminoso apparso nei buio dei tempi, come già era avvenutoper Gerberto, (papa Silvestro II,) aveva condannato i
metodi di ricerca della filosofia peripatetica e proclamato altamente che
« non vi sono che due vie per arrivare alla conoscenza, l'esperienza ed il
ragionamento ». Ma cosa poteva insegnare una semplice affermazione?
Quale ammaestramento egli lasciava a quelli che venivano dopo di lui?
Lo stesso Dante riconosce l'importanza dell'esperienza, quando fa dire a Beatrice nel II Canto del Paradiso:
Da questa instanza può deliberarti
esperienza, se già mai la provi,
ch'esser suoi fonte ai rivi di vostr'arti.
Anche Alessandro Piccolomini, dopo aver impugnato nelle sue MECCANICHE quanto Aristotele asserisce circa la stabilità della bilancia,
scrive: « ci siamo serviti di uno strumento materiale per riconoscere
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coi sensi quanto la dimostrazione aveva scoperto alla nostra intelligenza: una tal verificazione è di grande importanza secondo la dottrina
peripatetica! ».
E si potrebbero spigolare e riportare altri passi di autori, fra gli
antichi e fra gli scrittori del rinascimento, che riconoscono il valore
fondamentale e decisivo dell'esperienza. Ma non significa tutto ciò che
il metodo sperimentale esistesse prima del Galilei.
5 - Anche Aristotele consiglia di osservare e di osservare con ogni
cura ed attenzione, perchè egli comprende bene che i fenomeni entrano
in noi attraverso le porte dei sensi, i quali ci consentono quindi la
conoscenza dei fatti; e consiglia di insistere nell'osservazione per cogliere i dettagli ed i particolari dei fenomeni. Egli però non sa andare
oltre i fenomeni che si offrono a noi spontaneamente, quali il moto
dei pianeti, il cader di un corpo, l'attrazione della calamita. Al massimo
giunge a consentire o consigliare al filosofo la ripetizione di un fenomeno osservato accidentalmente, quale l'attrazione di corpi leggeri con
l'ambra strofinata. Ma il concepire un fenomeno nuovo e provocarlo
con l'esperienza, ma l'osservazione mediante gli apparecchi, e peggio
la creazione e costruzione di questi esulano completamente dalla sua
concezione e dai suoi metodi di studiare l'universo.
6 - Durante il lungo periodo del fiorire della filosofia greca, le teorie
dei filosofi sulla natura e sulla costituizione intima della materia conservarono il carattere di pure speculazioni, basate su concetti astratti,
esclusivamente soggettivi ed individuali, e prive di qualsiasi fondamento
di fatti reali o di osservazioni oggettive; nè la vera causa di questa tendenza è difficile a scoprirsi, quando si rammenti che i filosofi di quel
classico periodo sdegnarono sempre di occuparsi di qualunque questione la quale avesse una portata pratica qualsiasi, così che avrebbero
temuto di abbassare la loro filosofia ad un ordine di considerazioni
meno nobile, se si fossero sforzati di cercare una spiegazione dei processi tecnici allora noti, di stabilire un nesso fra questi ed i processi naturali che si svolgevano sotto i loro occhi; ed è precisamente perciò che
quegli uomini di altissimo ingegno si ritrassero appunto dall'unica via
che li avrebbe condotti con sicurezza alla risoluzione di quei problemi
naturali dei quali essi cercarono invano la chiave per le nobili vie della
pura speculazione: da quell'umile via che fu più tardi feconda di tanti
risultati meravigliosi.
7 - Dopo Aristotele tutti i nostri filosofi, i migliori, che vissero sul
principio del secolo XVI, anzi sin dalla fine del XV, non raccomandarono altro che l'osservazione dei fatti. Ma basta forse alla costruzione
della scienza la sola osservazione dei fatti? Si può raccogliere quanti
fatti si vuole; si può osservare da mattina a sera il sorgere e il tramontare del Sole ma non si giungerà mai a scoprire le leggi di Copernico o
Provin ci
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di Galileo, se la ragione non viene in nostro aiuto. Che dire poi del
medioevo, quando ormai non si osservava più, nè si parlava di osservare, perchè gli scolastici reputavano interamente conosciuto il mondo
sensibile, almeno nelle sue linee essenziali, donde con la semplice applicazione del sillogismo si poteva discendere alla conoscenza di ogni particolare? Ma quando Simplicio, il più acuto dei commentatori del « maestro di color che sanno », postosi a verificare con l'esperimento un'osservazione del Maestro, si accorse che la smentiva, non dubitando punto
di essersi ingannato, abbandonò paurosamente lo studio dell'argomento.
8 - Inevitabilmente contrasti dovevano sorgere tra i precetti scolastici e la realtà; tra i risultati della pura logica formale ed il mondo
dei fenomeni: onde man mano che tali discrepanze si facevano sempre
più stridenti, ecco sorgere qualcuno a negare fede ad Aristotele ed alle
scuole, e cercare di tornare allo studio diretto della natura e dell'esperienza. Ma il loro pensiero non riusciva a sfuggire alle pastoie dei
vincoli aristotelici in cui era già irretito, onde parlando di esperienza
la intendevano in un senso non più lato di quanto l'intendeva Aristotele; oppure l'intendevano in un senso assolutamente empirico, come
facevano gli alchimisti, i quali operavano facendo i tentativi più strani
ed inverosimili, in cui la ragione, lume divino che deve necessariamente
guidare in ogni speculazione, era invece da loro completamente obliviata e smarrita nei meandri di chimerici sogni. Pertanto quale insegnamento, quale metodo insegnano le esperienze primitive, rudimentali, se non addirittura puerili o insensate, tentate in quei secoli passati, perché i loro autori si possano considerare neppure come fondatori
del metodo sperimentale, ma a longe come precursori di Galileo? Quale
valore intrinseco, quale insegnamento quindi offrono le esperienze di
Ruggero Bacone, di Giambattista Della Porta, di Giambattista Benedetti, e peggio quelle di Democrito, di Empedocle e le altre del Museum?
9 - Sulla scia luminosa del nome del divino Galileo si suole innanzare quello tetro di Francesco Bacone, e si fa oggetto di studio da parte
degli studiosi di filosofia le sue opere, come se le norme ed i precetti
da lui dettati potessero servire veramente al progresso della scienza e a
chi s'incammina nella via della ricerca scientifica. Già, molto prima che
egli scrivesse le sue opere, Galileo aveva cominciato a dettare le sue
lezioni in Padova: un misto di ricerche e di metodo della ricerca; lezioni
di cui Bacone, lo sappiamo certo, si preoccupava di venire subito in
possesso, appena venivano date agli amanuensi. Lasciando da parte la
precettistica da lui tanto curata ed accarezzata, cosa egli fece per il
progresso della scienza, che pareva gli stesse tanto a cuore, e di cui
prese a trattare?
Col NOVUM ORGANUM, che trattava del metodo induttivo, s'era
lanciato alla scoperta della natura, ma senza adeguato abito scientifico.
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Egli accolse una quantità di fatti e di spiegazioni già riconosciute false;
negò il moto della Terra, e disprezzò, anzi derise le ricerche dei più
grandi sperimentatori del suo tempo: Gilbert e Galileo, del quale ultimo
ignorò le leggi della caduta dei gravi; indicò diversi soggetti di studio
senza saper indicare i necessari ed adeguati mezzi d'indagine, ed ebbe
l'audacia di dettare una regola infallibile a chi avesse voluto fare delle
scoperte scientifiche! Verrebbe fatto di dirgli: « Medice cura te ipsum!
Invece di insegnare ad altri a fare scoperte, pensa a farne tu »!
10 - Ma Bacone neppure una scoperta riuscì a fare con il suo metodo infallibile. Nessuno scienziato del secolo XVIII lo cita; non diciamo
gli stranieri, come Huygens, ma neppure gl'inglesi Boyle e Newton lo
ricordano. Un illustre fisico tedesco, il Draper, osserva che gli ammiratori di Bacone si trovano tra gl'intelletuali a struttura letteraria, i
quali pensano che le scoperte scientifiche siano il risultato di un'operazione mentale pressapoco meccanica... Nessun grande fisico invece
nelle sue ricerche ha mai fatto suo, ha mai pensato al metodo di Bacone. Il successo di Bacone quindi fu successo letterario e nientaffatto
scientifico. L'opinione che egli abbia contribuito efficacemente a indirizzare sulla nuova via le scienze naturali viene egualmente respinta
dalla storia e dalla critica.
11 - « Osservate i fatti, egli dice; raccoglieteli, studiate le sensazioni che vi producono, e poi inducete cautamente: così sarete sicuri
di arrivare all'essenza delle cose, alle prime qualità; agli spiriti ». E
così noi lo vediamo insistere ad occuparsi a lungo degli spiriti che sono
nei corpi, e secondo che ci si trovano più o meno stretti, più o meno
contenti od irritati, li rendono liquidi, solidi, duri, teneri, ecc. Appare
così come perseguitato dall'ossessionante ricerca degli spiriti delle cose: trattasi con ogni verisimiglianza di un concetto prestabilito, al quale
vuol tutto ridurre. La putrefazione per lui è l'effetto di spiriti contenti
che vogliono uscire fuori a godere i raggi del sole. Le pietre preziose
hanno spiriti belli, come appare dal loro splendore; esse perciò operano
sullo spirito e sulle passioni dell'uomo. Quando si calpesta una fiamma,
gli spiriti sono evidentemente arrabbiati. Il suono è l'effetto di uno
specialis spiritus. Questa non è scienza, ma vaneggiamento dinanzi al
quale non si può non sorridere.
12 - Ecco un esempio di ricerca scientifica di Bacone, riportata
dall'illustre chimico tedesco, il barone di Liebig (1).
Egli ricerca la natura del caldo.
Bisogna prima di tutto raccogliere i fatti e compilare una tabula
praesentium et absentium, in cui siano da un lato i corpi caldi e da
un altro i corpi freddi.
(1) Von Liebig - Lettere famigliari sulla chimica.
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Per Bacone sono:
corpi caldi
corpi freddi
i raggi del sole nell'estate
il fulmine quando brucia
l'aria delle caverne sotterranee
in tempo d'inverno
lo spirito di vino
l'aceto, ecc.
i raggi della luna
i raggi del sole nelle regioni medie
della terra
il fulmine quando non brucia
la corruscazione del mare
l'aria delle caverne sotterranee in
estate
la neve quando con essa ci
stripicciamo le mani
Ma qual'era il criterio cui informava il suo giudizio nello stabilire
se un corpo è caldo o freddo? Così si vede non solo quanto sia vano
raccogliere fatti senza un principio razionale e fisso, senza un'idea che
guidi ;ma si vede ancora quanto poca attitudine avesse il Bacone all'osservazione della natura. Tuttavia egli procede: « Raccolti bene i fatti,
gli assiomi appariranno evidenti per se stessi ».
Ebbene che cosa è il caldo?
« Adesso, risponde Bacone, bisogna ricorrere alle istantiae — E
che cosa sono? Specie di testimonianze più o meno chiare, più o meno
schiette o ingannatrici, che i fatti ci offrono dell'essenza, della qualità
prima, della cagione o legge che noi cerchiamo. Esse possono essere
migrantes, solitariae, clandestinae, ostensivae, ecc. Così cercando la natura del caldo si trova che la fiamma sarà un'istanza ostensiva; ma l'aceto sarebbe un'istanza clandestina o migrante, perché al tatto è freddo,
ma al palato brucia. Perciò bisogna ricorrere ad un'altra parte principalissima del metodo: all'esclusione. Quando si cerca la cagione di un
fenomeno bisogna escludere tutte quelle cause che non lo producono
evidentemente in ogni caso. Quando cercate la natura, l'essenza d'una
forza o d'una sostanza, si devono escludere tutte le istanze che non
sono ostensive, così si arriverà al fine propostosi.
Ma come si farà a distinguere le istanze ostensive dalle ingannatrici, se prima non conosciamo la legge o la qualità di cui andiamo in
cerca? Per conoscere le istanze bisogna conoscere la legge; per conoscere la legge bisogna ricorrere alle istanze. E come si farà a distinguere
le cause vere dalle apparenti che dobbiamo escludere? Di tutto ciò Bacone non si occupa affatto.
13 - Che cosa è dunque il calore? Il calore è moto, conclude Bacone,
e ciò si prova con 3 ragioni:
1) La fiamma, istanza ostensiva del caldo, è in continuo moto;
2) L'acqua bollente gorgoglia;
3) L'aria in moto aumenta il fuoco.
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Noi adesso sappiamo benissimo che il calore è energia posseduta
dalle molecole dei corpi sotto forma di perenne vibrazione, e quindi di
moto, il quale moto cresce col crescere del calore che fa aumentare l'ampiezza delle vibrazioni delle molecole e quindi la loro energia cinetica,
ma non l'abbiamo certo desunto dalle deduzioni od induzioni di Bacone,
giacché non è affatto vero che la fiamma è in continuo movimento,
come l'intende lui perché può anche essere immobile; e se è vero che
l'acqua bollente gorgoglia, in condizioni particolari può gorgogliare anche al disotto di 100 gradi, quindi senza essere molto calda e in condizioni
particolarissime anche a O gradi; e se è vero che l'aria in moto aumenta
il fuoco, è anche vero che l'aria in moto violento estingue la fiamma.
Quindi che il calorico abbia o no alcuna relazione col moto, questo è
affatto estraneo al nostro argomento; ciò che importa notare si è che la
conclusione (a cui Bacone impensatamente per noi arriva con il suo metodo), è affatto arbitraria; egli poteva venire ugualmente ad un'altra
conclusione, che per lui sarebbe stata la vera, ma che per noi sarebbe una
conclusione qualunque. E di ciò le sue opere offrono innumerevoli
esempi.
14 - « Osservate i fatti, egli dice, raccoglieteli, studiate le sensazioni che vi producono, e poi inducete cautamente ». — Dite ad uomo
che non sia Newton che osservi per tutta la vita gli astri, che escluda
tutte le cause apparenti, non reali; e allora si vedrà se in fondo a questa
esclusione egli ritrova la legge della gravitazione universale.
15 - E l'induzione? Ah! Ecco il merito la vera gloria di Bacone,
dicono i suoi ammiratori: l'induzione. Egli ha insegnato e raccomandato di salire dal particolare all'universale, inducendo.
E' vero. Non ci può essere vera Filosofia Naturale senza l'induzione.
Però l'andare dal particolare all'universale: dal noto all'ignoto mediante l'induzione è un metodo che pochi conobbero e descrissero così bene
come Aristotele. Il quale aveva insegnato:
« Inductio est progressio a singulis ad universale? »
TOPICORUM - I, x - VIII, i
« Principiorum... alfa inductione percipiuntur et cognoscuntur, alia
« sensu, alia consuetudine seu more, et alia aliter ».
ETHICA NICOMACHEA, - I, vii
Egli tuttavia esprime anche più chiaramente la stessa idea in altri
luoghi, dei quali ecco alcuni dei più importanti:
« E' ufficio dell'esperienza il somministrare i principii di ogni scien« za. Così l'osservazione astronomica deve fornire i principii dell'astro« nomia: infatti partendo dai fenomeni celesti sufficientemente osservati,
« si sono trovate le dimostrazioni astronomiche. Lo stesso vale per quaANALYTICA PRIORA - I, xxx
« lunque altra scienza ».
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«
«
«
«
«
«
« Gli animali hanno innata facoltà di giudicare detta senso... Dal
senso nasce la memoria, e dalla memoria, spesso ripetuta, di una cosa
nasce l'esperienza. Dalla esperienza poi, ossia da ogni universale fissato nell'animo, come una sola e medesima nozione dedotta da molti
casi particolari, nascono i principii dell'arte e della scienza: dell'arte,
se l'esperienza riguarda la generazione delle cose; della scienza, se si
considera la sostanza di esse ».
ANALYTICA POSTERIORA - xv
« Appare chiaro che noi dobbiamo conoscere i principii per mezzo
« dell'induzione, perocchè con questo processo il senso forma l'univer« sale ».
ibid. II, xv
«
«
«
«
« Tutti gli insegnamenti partono da cose prima note, ed alcuni fanno
uso dell'induzione, altri del sillogismo. L'induzione ricerca il principio e
l'universale, il sillogismo invece parte dagli universali. Perocchè i principii, dai quali parte il sillogismo, e che non possono essere forniti dal
sillogismo, li fornisce l'induzione ».
ETHICA NICOMACHEA - VI, iii
« Merita considerazione il fatto che un fanciullo può essere materna« tico, ma non filosofo, né fisico... perché le cose matematiche sono astrat« te mentre i principii della fisica nascono dall'esperienza ».
ibid. VI, viii
Poiché la forza probante del metodo induttivo riposa sulla tacita
ipotesi della regolarità e della necessità del cammino dell'universo, ogni
uomo naturalmente si serve di questo processo dell'intelligenza, senza
la descrizione di Aristotele e tanto meno di quella di Bacone. La difficoltà non sta punto nel saper indurre, perchè ciò è dato a tutti, ma nel poterlo fare con certezza, salendo assai in alto, senza mettere piede in
fallo, il che è da pochi. Galileo, (2) studiando la caduta dei gravi lungo un
piano inclinato trova le legge che regola tale caduta; percui in un tempo
doppio il grave percorre uno spazio quadruplo. Egli verifica che ciò è
vero sempre, qualunque sia l'inclinazione del piano, ossia indipendentemente da essa. Ed ecco che può con certezza indurre e giungere da una
parte, (studiando lo spazio), al caso limite del piano verticale, per cui un
mobile che cada liberamente, in tempo doppio deve percorrere spazio
quadruplo, superando in tal modo la gravissima difficoltà di studiare la
caduta libera; dall'altra, con altro ordine di considerazioni (badando al
valore dell'accelerazione), all'altro caso limite del piano orizzontale; per
cui vedendo che col diminuire dell'inclinazione del piano l'accelerazione va
sempre diminuendo, arguisce che quando il piano giunge ad essere orizzontale l'accelerazione si ridurrà a zero, onde da quel momento in poi
(2) De Motu.
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la velocità del mobile sarà costante; quindi il moto sarà uniforme e avverrà senza l'intervento di nessuna forza, giungendo così per induzione al
principio d'inerzia. Ecco come s'induce con certezza. Ecco come dal particolare si perviene all'universale, per chi sappia farlo veramente.
16 - Cercate la causa? Trovati i fenomeni, dirà Bacone, risalendo
conoscerete la causa. Galileo invece sa che la semplice conoscenza dei
fenomeni può ingannare, perciò ricerca sì le cause per mezzo delle quali
apprende la verità dei fatti; ma perchè la ricerca abbia valore di scientifica certezza, vuole che la conclusione evinca dai fenomeni stessi:
« « Causa è quella, egli dice, che posta segue l'effetto, e rimossa si
rimuove l'effetto ». (3) Ecco un criterio sano e razionale di ricerca.
Lo studio dei fenomeni, pensava Galileo, ce li fa chiari, la ricerca
della causa ce li rende evidenti: la sensata esperienza conosce i fenomeni, mentre la ragione matematica ci apprende la verità delle cause
giustificatrici. Ma come si perviene alla conoscenza della causa, di questa
necessità scientifica che ci apprende la verità? Per Galileo è la conoscenza dei fatti che conduce alla ricerca delle cause; quindi per lui, primo ed
essenziale passo per arrivare alla conoscenza in modo facile e sicuro, è lo
studio dei fatti.
17 - Ma come noi possiamo conoscere i fatti o i fenomeni da cui,
come primo grado si parte la conoscenza? Uno è il mezzo, senza del quale
ogni conoscenza è falsa: il senso cioè e l'esperienza. Il senso è quello
che ci porta alla percezione dei fenomeni, e quindi ogni cosa che resta
fuori dei sensi non è né percettibile, né apprezzabile, giacché il senso è
il necessario mezzo della conoscenza. L'esperienza, la sensata esperienza, ci dà la conoscenza vera, anzi la coscienza dei fatti, giacché non basta
avere occhi per vederli, bisogna accertarsi della verità di essi, ed a ciò
aiuta l'esperienza, che è il mezzo che la ragione umana adopera per arrivare alla cognizione perfetta di un fatto o fenomeno naturale. Quindi
presupposti scientifici o metafisici, opinioni di filosofi, per quanto grandi,
a nulla valgono contro l'esperienza sensata. In questo senso così chiaramente si espresse nel SAGGIATORE: « Ma dico bene parermi cosa
assai nuova che, di quel che sta in fatto altri voglia anteporre l'attestazione di uomini a ciò che ne mostra l'esperienza... e quanto all'autorità
tanto opera la vostra quanto di cento insieme ».
18 - Bacone si chiedeva ancora se gli strumenti potessero essere di
qualche utilità, mentre Galileo scandagliava l'immensa profondità dei
cieli col telescopio; e ignorando le matematiche, affermava che la scienza
ne poteva fare a meno. Invece Galileo per primo applicò la matematica
allo studio della Fisica, secondo lo spirito della scienza moderna. Da
questo connubio della matematica con l'esperienza, dall'applicazione del
calcolo e della geometria ai fatti naturali che l'esperienza ricerca, nasceva
(3) Il Saggiatore.
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la fisica sperimentale e la meccanica, di cui egli fu il creatore. E questo
connubio tra la matematica e l'esperienza, istituito per la prima volta da
Galileo, è stato di immensa utilità e vantaggio non per la sola Fisica,
ma per qualunque altra scienza; perché qualunque disciplina ha d'allora
cercato di ancorarsi alla Matematica. E quella che ci è riuscita, ha fatto
certamente progressi meravigliosi, ed ha assuto il carattere di vera scienza, come modernamente l'intendiamo.
19 - Il fenomeno Bacone è dunque un fenomeno non nuovo nella
storia del pensiero; è il fenomeno di chi, conoscendo molto superficialmente un gruppo di fatti od un corpo di dottrina, prende a ragionarvi sopra per acquistare fama presso coloro che sono meno istruiti di lui. Fama
che a Bacone non mancò per quelle lodi ed applausi che gl'inglesi, afferma
a tal proposito lo storico Hume, regalano facilmente ai loro scrittori,
per l'esagerato spirito nazionale che li anima. La pura contemplazione
del vero, che rapiva così prepotentemente uomini, come Galileo e Newton,
Bacone la considerò sovente come un lusso intellettuale. Non si avvedeva
che l'utile non è mai l'essenza della scienza, e che spesso dalle più piccole
verità che un secolo ritrova nessuno può prevedere l'utile che saprà
cavarne il secolo che segue.
(continua)
BENIAMINO ANDRIANI
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