LA MUSICA nell` opera di Antonio Fogazzaro

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LA MUSICA
nell' opera di Antonio Fogazzaro
Il cinquantenario fogazzariano non ha recato a valutazioni nuove,
e neppure ad un approfondimento ulteriore dell'opera del poeta e romanziere vicentino: sia che tutto fosse, o sia creduto, già detto, sia
che neppure in un tempo di così aperto confessionalismo, quale neppure l'on. Daniele Cortis avrebbe mai supposto, sia giunta per l'autore
de « Il Santo » un'ora di maggior comprensione. Nè, forse, a caso, per
via di quel famoso modernismo, che riscosse gli strali d'un Pio X, e che
continua a far arricciare il naso pur in éra, ormai, atomica. E sì che il
Fogazzaro, dopo il Manzoni, è tra gli interpetri maggiori del credo cattolico nella sua estrinsecazione artistica; e la sua raffinata sensibilità,
se lo legava strettamente all'estrema fase romantica, lo avvicinava a
modi letterari che avrebbero avuto ancòra lunga stagione.
Pur v'è, tra i caratteri dell'opera del Fogazzaro, qualche nota che
non ha avuto il rilievo dovuto, e che può contribuire meglio di altre a
intenderne forse la più intima fonte di poesia, elemento essenziale e mezzo di espressione artistica: la musicalità, tanto più evidente, e sopraffattrice, nelle liriche, quanto più segreta, e pur spontanea, in racconti e romanzi, e sino in lettere e discorsi.
Si può, per ciò, dire che al fondo della prosa — di tutta la prosa —
fogazzariana sia la musica. E non solo là dove il racconto si alterna col
verso, come in quello che non è davverò il capolavoro del Vicentino,
sebbene ne renda l'ideale lirico, fantasioso e nostalgico, Il mistero del
poeta; ma ovunque, da Malombra a Leila, la stessa vibrazione musicale intima si coglie. E' un tenue, ma intenso, vibrare: come se nei momenti di oblio e di abbandono, di nostalgia e di incanto, nei passaggi
dalla gioia al dolore, dalla serenità della natura al dramma interno od
esterno, nelle pause e nei silenzi così consueti, così magici, così tanto
parte della sua arte, il romanziere viva di una sua vita segreta e che si
rivela solo allora, e vi sia qualche cosa come un ritmo a collegare gli
episodi e a congiungere, e spiegare gli stati d'animo. Ne deriva un tono
particolare, un'atmosfera tutta propria, che non è del. Verga, e non è
neppure del Manzoni, sebbene ne sia meno discosta, e che par preludere
a volte, sia pur di lontano, al d'Annunzio, in cui la parola stessa si farà
musica.
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Non dunque un fatto puramente stilistico: ma un fenomeno di più
profonda aderenza spirituale, alla cui comprensione possono giovare i
rapporti, noti, fra il Fogazzaro e la musica.
Aveva sedici anni — ricorderà, ormai vecchio, in una lettera al Gallarati Scotti — quando, convalescente d'una malattia, le dolci melodie
della « Norma » gli dettero il senso, o il presagio, di una vita superiore
dello spirito.
Da allora, l'amore per la musica non lo abbandonò più, lo sorresse
anche nelle ore tristi e difficili, si congiunse alla sua sensibilità per il
paesaggio nella lunga preparazione del romanziere.
Nella famiglia, la passione della musica lirica era tradizionale: egli
si vanterà di essere un appassionato di Bellini come suo padre; ma vi
aggiunge il gusto della musica strumentale e sinfonica, per Beethoven,
per Schuman, per Chopin, ed anche per i vecchi maestri italiani, come
il padre Martini, il Boccherini, il Clementi. Non musicista lui stesso, ma
non mai stanco esecutore, e meglio, ascoltatore di musica, specie al piano, e in particolare nella sua casa, nella villetta d'Oria, sul lago che avrebbe saputo l'inimitabile grazia e la improvvisa fine di Ombretta. Ad Oria
far musica fu a lungo la consuetudine più cara: artisti e buoni intenditori
vi giungevano d'ogni parte. Tra gli artisti, quel violoncellista Gaetano
Braga, celebre ai suoi giorni, che fu stretto di fervida amicizia al Fogazzaro e che questi raffigurò nel Maestro Chieco dell'omonimo racconto.
Sul lago, nelle gite in barca, si cantavano le serenate del poeta di Valsolda e si suonavano, fin nell'orrido di Osteno, le musiche preferite:
sorgenti, continue e spontanee, di ispirazione, per l'opera del romanziere e da cui derivano molte fra le pagine più note, e il tono e l'atmosfera
stessa dell'opera fogazzariana.
Nel Fogazzaro il poeta precede il romanziere: il lago di Como gli
ispira i primi versi, dei quali non pochi destinati a esser cantati nelle
belle brigate di cui il Braga e lui sono i fervidi animatori. Quando nel
1873 compie la sua prima opera, e quest'opera è un poemetto, Miranda,
egli presenta la protagonista al cembalo, anzi mentre lenta e pensosa incede verso il cembalo, e le fa riacquistar nella musica la serenità perduta, proprio come, tante volte, era stato per lui, Fogazzaro. La miglior lirica sua sarà percorsa da brividi musicali: al fondo delle sensazioni creative dell'artista rimarrà l'immediato esprimersi in ritmi del paesaggio.
Ama perciò sopra tutto l'ambiente in cui è vissuto, che più di consueto ritrova: la sua Valsolda, la sua Oria, la casa sul lago, i fantasmi, gli echi,
le tempeste, che i suoi sensi colgono e la sua fantasia amplia e trasforma.
Fin nelle ultime cose sue, raccolte nel libro postumo che s'intitolò, appunto, Ultime. Nel quale è un'alta pagina, di ricordo di passate comunioni
artistiche, di esaltazione dell'arte priva di riconoscimenti o di fortuna, del434
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la musica come passione istintiva: che egli identificava nel morto amico Gaetano Coronaro, il troppo presto dimenticato autore de « Il tramonto », « La Creola », « I rnalacarne », « Enoch Arden ». Come per il
Coronaro, per il Fogazzaro « tutto era musica. Sorgeva stanco, ma non sazio, dal piano dopo lunghe ore di comunione d'anima con i grandi maestri e uscendo all'aperto, pieno il cuore di musica, ne udiva note disperse in tutte le voci delle cose: nel romper delle onde alla riva, nel tonfo
dei remi, nella sinfonia di scrosci e di ruggiti colla quale il torrente fratto in mille spume opprimeva, quando vi scendevamo, le nostre voci di
gioia ».
Questa interpretazione musicale della natura, questo così stretto
rapporto tra ritmi della natura e ritmi orchestrali, per cui la natura stessa si trasforma in musica, si esprime potente nel primo romanzo, in
Malornbra. Ma anche la passione, quando prorompe impetuosa, come tra
Marina e Silla nella stanza dallo stipo antico verso lo scioglimento del
romanzo, è espressa figuratamente, coi suoni: Marina balza al piano, vi
attacca, « con fuoco demoniaco », la Siciliana del « Roberto ». Si è in
clima romantico, come poi, ma diversamente, ne Il mistero del poeta.
Ancor quando, dopo il rinnovamento spirituale, attende al Daniele Cortis,
la musica è il suo viatico: in essa confonde i moti più profondi del cuore.
E' a Montegalda, il 22 ottobre del 1883. E' sera. Scrive, in una delle
lettere ad Elena: « Ho lasciato testè il piano e Schubert.Leise flehen meine Lieder. Divina musica! Essa mi fa soffrire tanto è bella. Egli è un
tormento per l'anima di sentire questo linguaggio e di non poter uscire
dalla sua veste mortale. Io sogno di partire per quel mondo meraviglioso,
tutto di passione e di musica ».
Da questa sensazione, sempre in lui più distinta, gli si chiariva la
possibilità di tradurre in versi le immagini suscitate dalla musica. Le
chiamò, appunto, Versioni dalla musica: le scrisse, tra il 1885 e il 1887,
mentre cominciava a vivere in lui Piccolo inondo antico, e sùbito dopo il
Cortis, assumendo lo spunto da alcune composizioni particolarmente care — l'op. 68 di Schumann, l'op. 27 di Beetho ven, la « Gavotta » di padre
Martini, l'op. 17 n. 4 di Chopin, l'op. 26 di Clementi, il « Minuetto » in la
di Boccherini le aduna poi a guisa di intermezzi, in Fedele ed altri racconti, nella cui prefazione illustra il suo concetto, accennato già in una
lettera dell'anno prima (1896) al Giacosa. Pochi anni ancòra: a una sua
raccoltina di « prose disperse » darà il titolo Sonatine bizzarre.
Ma assai più profondamente compenetrati di musica i personaggi
e le situazioni del Fogazzaro maggiore. Dopo Marina di Ma/ombra, ma
ín un'atmosfera di più alta e, pur nel dramma, serena spiritualità, Franco Maironi chiede al piano — l'ormai ròco strumento che aveva comprato per centocinquanta svanziche dall'organista di Loggio — l'ebbrezza
della creazione e, insieme, la propria pace interiore. Quel che la convulsa,
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disperata, Marina non poteva ottenere, raggiunge il più calmo, meditativo, Maironi: a lui bastava « un fil di suono per veder l'idea musicale e
inebriarsene »; ed affidava al piano non solo i suoi dolori ma anche le
sue gioie, nella sera della « Sonata del chiaro di luna e delle nuvole ».
Musicisti di passione e d'istinto, soliti a riversare sul fido strumento
nelle ore tristi e nelle liete stati di ansiosa attesa o di pienezza interiore,
sono alcuni fra i più significativi personaggi fogazzariani: quelli più vicini a lui, come Franco Maironi, come Leila, come il signor Marcello.
Se a volte fa capolino la musica come elemento decorativo, voluttuario e superficiale, ad esempio nella lunga parentesi della festa organizzata dal fratello di Jeanne, Carlino, in Piccolo mondo moderno, l'elemento spirituale, intimo, dato dalla musica, è quello che vince, è il solo cui
il Fogazzaro, per esperienza personale, creda. Ne Il Santo l'abate che
scaccia Benedetto sfoga sul piano la collera che lo dòmina: ma nella continuazione de Il Santo, in Leila, la funzione della musica diviene prevalente, spesso è la musica ad esprimere le situazioni di maggior tensione morale. Solo la musica scuote Leila e la induce al pianto, e la musica guida
il padre, il signor Marcello, verso l'oltreumano della serenità e della pace.
Per lui — così come già in forma d'esempio musicale si era presentato ad
Elena del Cortis il motivo del suo sacrificio al dovere coniugale — l'imminenza della morte gli si rappresenta rivestita delle note dell'ultimo
canto del Pergolese: Quando corpus morietur — Fac ut animae donetur —
Paradisi gloria.
Una musicalità calda e tormentosa, scintillante e sorridente, fine e tenue, spirituale e profonda, pervade la costruzione stessa dei romanzi fogazzariani; nel paesaggio è scorta una forza elevatrice, che si fa musica:
insieme l'armonia della natura e la rielaborazione musicale plasmano
l'animo. Il ritmo è nelle cose, è nelle persone, avanti di esser fermato nelle composizioni orchestrali. E le cose, come le persone, ne sono consapevoli. Donde il clima del romanzo.
Si giunge all'intrecciarsi stupendo del motivo musicale e di quello
della natura, ch'è in un episodio di Leila: quando Massimo, alla Montanina, ascolta l'« Aveu » di Schumann guardando il profilarsi etereo di una
punta di dolomia.
Il senso musicale delle cose coglie gli uomini, li piega a intendere un
linguaggio universale, che è degli uccelli ed è delle montagne, che è dei
campi, delle pietre, delle erbe. Spesso, in questo paesaggio incantato, un
suono improvviso di campane, un canto lontano di contadini, viene a
esprimere l'anelito d'infinito, il presentimento e la certezza — rompendo
e animando l'immobilità delle cose — di una realtà superiore. Come in
quella ch'è la pagina più alta del Fogazzaro, mentre nello stabilimento di
cura la Elisa di Piccolo mondo moderno si appresta al trapasso e nella
sua stanza calda e silenziosa l'angelo di Dio entra.
PIER FAUSTO PALUMBO
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