Le complicanze in odontoiatria e la microscopia Accademia Italiana di Odontoiatria Microscopica Responsabili del progetto/Autori: Marco Bonelli, Vassilios Kaitsas, Alfredo Iandolo, Flavio Palazzi, Cristian Coraini, Eva Amoroso D’Aragona, Massimo Calapaj, Giovanni Schianchi, Luigi Scagnoli, Giovanni Olivi. La protesi Cristian Coraini - Milano INTRODUZIONE Il presupposto affinchè una terapia protesica venga svolta secondo i criteri di minima invasività sono molteplici, e si basano soprattutto sulla conservazione della massima quota di struttura dentale sana. Il famoso motto “preparare poco e bene” vale in particolar modo oggigiorno, specie considerando la recente introduzione dei materiali metal-free monolitici, su tutti la zirconia e il disilicato di litio, che abbinano alla loro eccellente estetica notevoli performance di resistenza. Prescindendo dal materiale, l’atto della preparazione dentale resta il momento cruciale, quello realmente “nobile”, legato all’operatore, alla sua sensibilità ed abilità, “alla mano”. Non solo, correla al piano di trattamento, ed al fatto di preparare elementi dentali vitali o devitali. Le procedure protesiche sono in un certo senso veri e propri atti medici “atipici”, senza analogie se comparate ad altri settori della medicina: infatti, ad un atto sottrattivo quale l’asportazione controllata di sostanza dentaria, non corrisponde la consueta “restitutio ad integrum” comune appunto in medicina. Questo impone il rispetto di una serie imprescindibile di regole che succintamente cercheremo di trasferire al lettore. LE PREPARAZIONI PROTESICHE Un classico tema di confronto fra protesista e odontotecnico è rappresentato dalla quantità di spazio ottenuto attraverso la preparazione protesica, e trasferito al laboratorio per l’esecuzione dei restauri definitivi. Tradizionalmente, con la metallo-ceramica l’imperativo era ed è tutt’ora quello di preparare avendo spessori finali variabili a seconda delle zone dentali considerate fra 1,5/2 mm. Tali spessori sono compatibili con l’esecuzione di sotto-strutture metalliche idonee a poter essere ceramizzate. L’eterna difficoltà del protesista è quindi quella di riuscire ad impartire tali caratteristiche di spazio di preparazione, combinandole a ritenzione e congruenza di forma. Nei pazienti perio-protesici il discorso si complica ulteriormente come sappiamo: a seguito di terapia parodontale infatti gli elementi dentari risultano avere spesso un ridotto supporto strutturale. Da cui l’importanza di una preparazione protesica controllata e anche della scelta di una linea di finitura conservativa e ideale. La minima invasività della preparazione deve anche poter favorire un eventuale e successivo “rientro” terapeutico, oltre all’imperativa necessità conservativa di cercare di mantenere vitali gli elementi protesici. Per la riduzione controllata della sostanza dentaria sono state proposte diverse tecniche, differenti fra loro ma tutte efficaci. Ognuna si basa sull’utilizzo di frese calibrate (1), di cui va conosciuto preliminarmente il diametro. Possono essere citate come esempio: la tecnica dei solchi guida (Stein, 1977), l’utilizzo di mascherine guida in silicone preparate sulla ceratura diagnostica iniziale (Oh et al, 2010), la realizzazione di solchi guida preparati direttamente sul mock-up (diretto o indiretto) (Fradeani et al, 2012), per citarne solo alcune (2)(3)(4). Come accennato, fra i materiali protesici più promettenti recentemente introdotti figura di certo il disilicato di litio. Fresato o pressato che sia, le caratteristiche estetiche possedute dal materiale si sposano con la vantaggiosissima possibilità di poterlo sottoporre a trattamenti di acidificazione, silanizzazione e quindi di cementazione adesiva, capaci di incrementarne oltre modo le caratteristiche fisiche finali. In forma monolitica, tale materiale risulta essere meno incline a rotture e chipping rispetto alla stessa zirconia stratificata (Guess et al, 2010), rendendolo il materiale del momento. Consente infatti di preparare in modo ridotto (4)(5), perseguendo quei concetti di minima invasività più volte accennati. Soprattutto quello pressato, mostra un notevole incremento della resistenza a flessione se cementato adesivamente rispetto alla zirconia (400Mpa vs 1000 MPa iniziali, May et al, 2013)(6). Sempre fra i materiali recentemente introdotti in protesi di certo uno spazio di rilievo è attribuibile alla zirconia monolitica. In uno studio recente (Sun et al, 2014), sono state comparate le resistenze di corone realizzate in zirconia monolitica, disilicato di litio monolitico, zirconia stratificata, e metallo-ceramica. La resistenza a frattura della zirconia monolitica è risultata enormemente superiore alle altre, specie quando il core del monolite passa da uno spessore di 0,6 mm ad uno spessore di 1,5 mm: in questo caso la resistenza a frattura triplica (7). CONCLUSIONI Il disilicato di litio consente quindi di poter perseguire quei concetti di minima invasività di preparazione che schematicamente possono essere così elencati e riassunti: - riduzione della preparazione protesica fino a spessori compresi fra 0.8 e 1 mm interocclusali; - conservazione della massima porzione di struttura dentale possibile anche nelle pareti assiali (0,4-0,6 mm.), nella logica di poter cementare adesivamente in un’interfaccia smalto-dentinale; - scelta di linee di finitura marginali definite ma minimamente invasive, come ad esempio il “light-chamfer”. Il disilicato di litio monolitico pare essere più resistente e meno incline ai fenomeni di chipping rispetto al disilicato usato come core e poi stratificato. Soprattutto quello pressato, incrementa notevolmente la resistenza a flessione se cementato adesivamente in modo corretto rispetto allo stesso zirconio, quando gli spessori sono compresi fra 0,6 e 1,4 mm. Tale resistenza a flessione aumenta del 75% rispetto agli iniziali 400Mpa se cementato adesivamente su smalto, e del 57% quando cementato adesivamente sulla dentina. La zirconia monolitica invece risulta triplicare la resistenza a frattura quando il core del monolite passa da uno spessore di 0,6 mm ad uno spessore di 1,5 mm. Tali dati depongono per l’esistenza ed il perseguimento di nuove linee guida di preparazione per il protesista, utili alla conservazione di maggiore quantità di tessuto dentario possibile, abbinando a tale condotta clinica l’impiego di materiali merceologici davvero estetici, resistenti e longevi. BIBLIOGRAFIA 1. Green HD.: Controlled tooth preparation. J Prosthet Dent. 1971 Aug; 26(2):170-7. 2. Stein RS, Kuwata M.: A dentist and a dental technologist analyze current ceramometal procedures. Dent Clin North Am. 1977 Oct; 21(4):729-49. 3. Oh WS, Saglik B, May KB.: Tooth reduction guide using silicone registration material along with vacuum-formed thermoplastic matrix. J Prosthodont. 2010 Jan; 19(1):81-3. 4. Fradeani M., Barducci G., Bacherini L., Brennan M.: Esthetic rehabilitation of a severely worn dentition with minimally invasive prosthetic procedures (MIPP). Int J Periodontics Restorative Dent. 2012 Apr;32(2):135-47. 5. Guess PC, Zavanelli RA, Silva NR, Bonfante EA, Coelho PG, Thompson VP. Monolithic CAD/CAM lithium disilicate versus veneered Y-TZP crowns: Comparison of failure modes and reliability after fatigue. Int J Prosthodont 2010; 23: 434–442. 6. May L., Guess P.C., Zhang Y.: Load-bearing properties of minimal-invasive monolithic lithium disilicate and zirconia occlusal onlays: finite element and theoretical analyses. Dent Mater. 2013 Jul; 29(7):742-51. 7. Sun T1, Zhou S2, Lai R1, Liu R2, Ma S1, Zhou Z1, Longquan S3.: Load-bearing capacity and the recommended thickness of dental monolithic zirconia single crowns. J Mech Behav Biomed Mater. 2014 Jul;35:93-101. ICONOGRAFIA CASO 1 Fig.1: situazione iniziale al termine di precedente terapia parodontale; Fig.2: posizionamento di un provvisorio prelimatura sull’elemento 1.2, e riempimento in composito micro-ibrido delle abrasioni del colletto degli elementi 1.3, 1.1, 2.1, 2.2, 2.3; sugli elementi 13, 2.3 e 2,4 sono stati chiusi precedentemente in composito (terze classi) gli spazi interprossimali, mesialmente e distalmente; Fig.3: preparazione con frese calibrate e solchi guida risultanti sul mock-up diretto eseguito; Fig. 4: particolare al momento dell’impronta definitiva. Si notino le preparazioni parziali x faccette minimamente invasive sugli elementi 1.1, 2.1 e 2.2, e la preparazione totale sull’elemento 1.2; Fig. 5: restauri ultimati dopo la cementazione. Corona in disilicato di litio sull’elemento 1.2, e faccette in disilicato di litio sull’1.1, sul 2.1 e sul 2.2 (IPS e.MaxIvoclar Vivadent); Fig. 6 e 7: visione extra-orale del sorriso e del terzo inferiore del viso c CASO 2 Fig. 8: situazione iniziale. Estese abrasioni dentarie, usura, erosioni, in paziente soggetto a marcato bruxismo e parafunzione. Fig. 9: modelli master della riabilitazione protesica, e restauri in prova sui modelli (corone in disilicato di litio monolitico sugli elementi superiori da 1.6 a 2.4, stratificate vestibolarmente, corone in metallo-ceramica sugli elementi naturali 2.5 x 2.7, corone in metallo-ceramica sugli elementi implantari 4.6, 3.5 e 3.6, corone in disilicato di litio monolitico sugli elementi 4.4, 4.5, 3.7, stratificate vestibolarmente, onlays in disilicato di litio monolitico sul 3.4 e sul 3.8, faccette in disilicato di litio monolitico sul 4.3 e sul 3.3 (IPS e.Max-Ivoclar Vivadent); Fig. 10: aspetto occlusale superiore ed inferiore della riabilitazione, e schema occlusale adottato; Fig. 11: caso finito in visione vestibolare (master ceramist Sig. Luca Vailati) La chirurgia del seno mascellare e sue complicanze Dott. Marco Bonelli - Dott. Claudio Modena 1. Premessa 2. Anatomia del seno mascellare 3. Fisiologia del seno mascellare 4. Classificazione delle atrofie ossee 5. Formulazione del piano di trattamento 6. Le dime diagnostico chirurgiche 7. Controindicazioni al rialzo del seno mascellare 8. Strumentario chirurgico 9. Tecnica chirurgica 10.Trattamento farmacologico post-operatorio 11.Complicanze 12.Il follow-up 1. Premessa E’ ormai universalmente accettato che la sostituzione dei denti naturali con impianti osteointegrati sia una procedura consolidata e predicibile . L’edentulia protratta per periodi più o meno lunghi, può esitare, nei casi più gravi, in una atrofia marcata di uno o di entrambi i mascellari. La riabilitazione, quindi, prevede la valutazione della qualità e quantità dell’osso residuo. Il recupero dell’osso perduto, passa inevitabilmente attraverso una terapia rigenerativa tridimensionale. Nel caso del seno mascellare, il recupero del volume osseo prevede due tecniche: il grande rialzo (approccio vestibolare) ed il mini rialzo (approccio crestale). Data per scontata la corretta indicazione e la corretta pianificazione, l’intervento di grande rialzo del seno mascellare è attualmente considerato altamente predicibile (2). 2. Anatomia del seno mascellare L’osso mascellare è un osso pari che contribuisce alla formazione delle cavità orbitarie, nasali e buccale, entrando anche nella componente della fossa infratemporale Il corpo è voluminoso ed è costituito da una capsula ossea che circoscrive un’ampia cavità, il seno mascellare; questo, attraverso lo hiatus mascellare, sbocca nel meato medio della cavità nasale dello stesso lato. La dimensione varia tra i 4,5 e i 35 cc. con un valore medio di 15 cc. E’ rivestito da una membrana mucosa (membrana di Schneider) dello spessore compreso tra 0,13 e 1,5 mm . La vascolarizzazione proviene da rami dell’arteria mascellare interna (a. alveolare sup. posteriore ed anteriore; a. infraorbitaria) e dell’arteria facciale. L’ultimo ramo dell’arteria mascellare (a. palatina discendente) esce nella cavità orale, con il suo ramo principale (a. palatina maggiore o anteriore), attraverso il forame palatino maggiore, posto mesialmente al VII e all’VIII elemento. Il riassorbimento del processo alveolare accorcia la distanza tra il forame palatino ed il bordo alveolare, per questo lo scollamento palatale non dovrà essere troppo profondo per evitare lesioni vascolari. La rete venosa è costituita dalla vena facciale, dalla vena sfeno-palatina e dal plesso pterigoideo. L’osso mascellare è densamente vascolarizzato. Nei soggetti anziani l’edentulia e l’invecchiamento ne riducono la vascolarizzazione condizionando il microcircolo osseo, diminuendo l’attività osteoblastica e la rimineralizzazione, ed allungando i tempi di guarigione. Sulla parete superiore del seno (pavimento dell’orbita), decorre il nervo infraorbitario, ramo del nervo mascellare. 3. Fisiologia del seno mascellare Le funzioni del seno mascellare sono: alleggerire il peso delle ossa craniche, stabilizzare la temperatura a difesa dei vasi cranici, adattare il volume delle ossa facciali. Ma quella per noi più importante è la produzione di muco, secreto dalle cellule presenti sulla membrana di Schneider: cellule cilindriche ciliate e non, cellule basali, cellule mucipare, membrana basale, tunica propria. La produzione di muco avviene continuamente. L’epitelio ciliato trasporta, con il suo movimento di circa 1000 battiti al minuto, le secrezioni o le particelle di diametro ridotto (polvere inalata) verso l’ostio sinusale e quindi, verso le cavità nasali. Il muco scorre alla velocità di 1 cm/minuto, ed ogni 20-30 minuti viene rinnovato. Con le manovre chirurgiche, si provoca una ciliostasi traumatica temporanea ed un edema della mucosa, di conseguenza si verifica una ridotta ventilazione con ristagno di muco e stasi endosinusale . 4. Classificazione atrofie ossee Nei soggetti che presentano un’edentulia della zona molare, l’osso compreso tra il seno mascellare e la cresta alveolare, spesso non è sufficiente per poter inserire degli impianti. Nella valutazione pre-operatoria, si rivela di grande utilità correlare l’osso del paziente con la classificazione proposta nel 1988 da Cawood e Howell: Classe I: rientra in questa categoria la cresta con dentatura conservata; Classe II: è la cresta alveolare postestrattiva immediata; Classe III: è la cresta postestrattiva tardiva, con profilo arrotondato ma altezza e spessore residui adeguati all’inserimento di impianti; Classe IV: la morfologia della cresta è a lama di coltello, cioè ha uno spessore insufficiente per l’inserimento degli impianti. L’altezza è invece conservata; Classe V: il processo alveolare è ampiamente riassorbito, con altezza e spessore insufficienti all’accoglimento degli impianti. La distanza interarcata è aumentata; Classe VI: il riassorbimento coinvolge anche l’osso basale, i fornici sono ridotti e la volta palatina si presenta appiattita. La distanza interarcata è aumentata ed i rapporti sagittali tipicamente di III classe. Nei settori anteriori e laterali, cavità nasali e paranasali possono essere separate dal cavo orale unicamente da mucosa . 5. Formulazione del piano di trattamento Per formulare un corretto piano di trattamento, non possiamo basarci su un solo esame, ma sono necessari diversi test, ed una raccolta dati accurata.(1) Ad una attenta anamnesi va affiancato un esame obiettivo, una raccolta di dati clinici, ed una documentazione della situazione iniziale. Tralasciamo le prime due voci, che non fanno parte di questa trattazione, ricordando, però, che prima di effettuare il protocollo chirurgico di rialzo di seno mascellare, il paziente deve essere trattato dal punto di vista parodontale, endodontico, conservativo ed eventualmente protesico. Nel nostro caso, la documentazione indispensabile, per studiare il caso clinico a tavolino, è così composta: esami radiografici ortopantomografia e TAC cone beam; modelli studio; dalle dime radiologiche e chirurgiche; dalle fotografie standard, laterali ed occlusali della bocca, laterale e frontale del viso; eventualmente, dai modelli stereolitografici del mascellare. Lo studio del biotipo facciale, ci permette di individuare il grado di complessità dell’intervento che ci apprestiamo a pianificare. Un aumento di difficoltà l’avremo in caso di paziente brachicefalo, con diametri trasversali aumentati, muscolatura facciale ipertrofica e mucosa spessa. Al contrario, in caso di paziente dolicocefalo, con muscolatura ipotrofica, diametri trasversali ridotti e mucosa sottile, affronteremo un caso più semplice. Di fondamentale importanza per la pianificazione del trattamento chirurgico, è la TAC, ancor più se ottenuta con una dima radiografica (vedi prossimo capitolo), che ci darà la posizione corretta dell’elemento protesico in relazione a quella specifica sezione tridimensionale dell’osso alveolare e della cavità sinusale. In tal modo sarà possibile individuare il corretto asse protesico ed implantare. Si può così pianificare la tridimensionalità dell’innesto necessario. Attualmente, sta sempre più affermandosi l’uso di software 3D di diagnostica per immagini, che permette di semplificare lo studio e la progettazione chirurgica permettendo una pianificazione virtuale accurata . 6. Le dime diagnostico chirurgiche Il concetto che oggi si sta sempre più affermando, è che per avere un’implantologia di successo si debbano applicare dei solidi principi protesici e biomeccanici. Bisogna, quindi, prediligere l’asse protesico a quello anatomico, l’occlusione protesica alla morfologia dell’osso e la chirurgia preimplantare a quella perimplantare. In poche parole dobbiamo parlare di implantologia protesicamente ed esteticamente guidata. Ci avvaliamo di dime radiografiche e chirurgiche: le prime servono ancora in fase diagnostica, da far indossare ai pazienti durante gli esami radiografici (OPT e TAC); le seconde sono la trasformazione delle prime da utilizzare durante le fasi operative chirurgiche. Essendo a grandi linee la stessa cosa, entrambe hanno gli stessi presupposti costruttivi e funzionali. Vengono ottenute partendo da una ceratura diagnostica sui modelli studio; sono di resina acrilica e possono essere rese radiopache unendo del solfato di bario alla resina acrilica con cui vengono costruiti i denti, oppure possono contenere indici radiopachi, posti lungo futuro asse implantare, utili per stabilire l’esatta anatomia radiologica rispetto a quit'ultimo Nella trasformazione da dima radiologica a chirurgica si possono semplicementee praticare dei fori lungo l’asse impiantare (in genere il diametro di poco superiore ai 2 mm) oppure togliere semplicemente gli indici radiopachi o anche inserire boccole in titanio. L’obiettivo finale è quello di avere una chiara guida di dove dovranno essere inseriti gli impianti e con quale inclinazione. Le dime devono alloggiarsi facilmente (ancoraggi sui denti vicini con ganci a filo, appoggi palatali o sui tuber) e rimanere molto stabili durante le fasi chirurgiche; devono inoltre lasciare la visibilità nel punto di entrata delle frese . Applicando questi principi, gli impianti si troveranno in posizione più simile alla disposizione naturale dei denti, e si avrà il conseguente sviluppo di una protesi esteticamente e funzionalmente adeguata. 7. Controindicazioni al rialzo di seno mascellare 7.1Controindicazioni sistemiche Terapia radiante della regione mascellare Chemioterapia a base di bifosfonati Severa debilitazione generale Malattie sistemiche non controllate Eccessivo uso di tabacco Abuso di farmaci o alcool Psicofobie 7.2 Controindicazioni locali Empiema del seno Sinusiti acute e/o croniche in atto Infezioni odontogene non trattate Lesioni infiammatorie non trattate Riniti allergiche Ostruzione dello hiatus mascellare 7.3 Controindicazioni anatomiche Atrofia di grado elevato del processo alveolare Iperpneumatizzazione del seno Eccessiva distanza intermascellare 8. Strumentario chirurgico Definire gli strumenti per eseguire questo intervento non è semplice dato che diversi autori hanno proposto un loro tray; per questo motivo ci limiteremo ad indicare genericamente uno strumentari base lasciando ai singoli operatori la libertà di sceglier i kit preferiti. Lo strumentario base prevede specchietto sonda parodontale e divaricatori (Carr, Kim-Pecora, Farabeuf, Lagenbeck), manici portabisturi per lame n 15, 15C, o 64, scollaperiostio (Prichard, Molt, Freer etc.), pinze antomiche e chirugiche (Adson, De Bakey, Cooley), porta-aghi (Crile-Wood, Castroviejo) forbici (Lagrange, GoldamanFox) fili di sutura 4/0 e 5/0 ( in genere poli-filamenti sintetici oppure PTFE), frese o inserti piezochirurgici per l’osteotomia della finestra di accesso. Fino ad ora gli strumenti descritti sono applicabili anche a molti altri tipi d’intervento mentre specifici per la chirurgia del seno mascellare sono gli scollatori per la membrana di Schneider (3). Le curvature degli strumenti sono disegnate per lavorare anatomicamente su tutto il seno mascellare. Il set minimo è composto da 4-5 scollatori . 9.Tecnica chirurgica La tecnica chirurgica dell’approccio laterale del seno mascellare, fu proposta per la prima volta da Tatum nel 1977, e modificata in seguito da vari autori, che si cimentarono nel protocollo chirurgico utilizzando tantissimi tipi di materiali da innesto, presi singolarmente o variamente mescolati fra loro(4). Noi abbiamo introdotto di routine nella nostra pratica l’utilizzo del microscopio operatorio per due fondamentali motivi: visione stereoscopica ingrandita a vari livelli e illuminazione coassiale. Generalmente l’intervento si inizia con l’ingrandimento minimo (8x) per poi portarsi a ad un ingrandimento medio (12x) nelle fasi di disegno dell’osteotomia e di scollamento della membrana sinusale. Analogamente a quanto avviene nell’endodonzia chirurgica, l’operatore si trova ad ore 9 con il paziente supino e con il capo piegato verso sinistra o verso destra a seconda che si debba operare in quadrante 1 o 2. Può essere utile per il paziente stabilizzarlo con dei cuscini cervicali in modo che possa mantenersi in posizione senza sforzo. Fasi operative a) Viene praticata l’anestesia con vasocostrittore (1:50000) nella mucosa alveolare e palatale. Si deve praticare anche un’infiltrazione di anestetico a livello del foro infraorbitario per raggiungere il n. mascellare ed il suo ramo, il n. infraorbitale b) Al paziente viene fatto fare uno sciacquo con clorexidina (0,12%) per 1 minuto. c) Si pratica un’incisione paracrestale che procede distalmente fino al tuber, e mesialmente fino al primo elemento presente. Si continua intrasulcuralmente fino alla superficie vestibolare del canino, più precisamente all’angolo mesiale . Da lì parte l’incisione di rilascio verticale che oltrepassa la linea muco-gengivale . Con l’incisione paracrestale, la linea di sutura si trova lontano dall’accesso osseo, in questo modo, se dovesse verificarsi una deiscenza della ferita, non ci sarebbe il rischio di una perdita dell’innesto o di una fistola oro-antrale. d) Ottenuto così un lembo triangolare, lo scollamento è a tutto spessore fino alla prominenza vestibolare del seno mascellare. Il campo operatorio così individuato, permette un accesso ed una visibilità ottimale e diretta dei riferimenti anatomici. e) L’osteotomia può essere praticata con l’ausilio di frese a pallina montate su turbina: si procede disegnando i contorni della finestra usurando la superficie esterna, fino ad intravedere la membrana di Schneider che appare di colore bluastro. In alternativa alle frese, si può usare uno strumento piezoelettrico, che ha il vantaggio di ridurre il rischio di perforazione della membrana durante l’osteotomia, di diminuire il tempo necessario per il disegno della finestra, e di ottenere un bordo osseo più preciso e meno frastagliato . Gli ingrandimenti durante questi passaggi aumentano di molto il controllo dello strumento e di conseguenza la sicurezza dell’operatore. Con uno strumento smusso si frattura la corticale non erosa, e si asporta la finestra ossea con delicatezza, per riporla, poi, in soluzione fisiologica (Antrostomia per eliminazione); in alternativa la si può ripiegare all’interno lasciandola adesa alla membrana (Antrostomia per riflessione); in fine la si può consumare completamente (Antrostomia per erosione). Nell’antrostomia per eliminazione, con gli ultrasuoni e con gli inserti non taglienti, si corre un minor rischio di perforazione, ed eventualmente si può procedere allo scollamento della membrana del seno, utilizzando gli inserti angolati e dedicati a questo protocollo. La forma della finestra ossea non può essere standardizzata, va fatta di dimensioni tali da soddisfare l’obiettivo individuato in fase progettuale, tenendo presente il numero di impianti da posizionare, il numero di denti presenti e la forma della base del seno. Per piccoli spazi compresi tra due elementi naturali, la finestra sarà triangolare; per posizionare due impianti in una sella edentula, sarà quadrata; in edentulie totali avrà forma rettangolare e quindi più ampia f) Il sollevamento della membrana deve essere effettuato con strumenti chirurgici adeguati: non taglienti ed anatomicamente angolati in modo da raggiungere tutti i recessi della cavità antrale. Si parte scollando dapprima la porzione superiore, poi i recessi anteriore e posteriore, in ultimo si procede sul pavimento del seno. Questa sequenza permette di sollevare la membrana riducendone il rischio di perforazione sui bordi, magari ancora affilati per effetto dell’usura con strumenti ad alta velocità. Al contrario, scollando subito il pavimento, ovvero lasciando la membrana adesa alla parete vestibolare, si sottopone la stessa ad una eccessiva trazione, con conseguente rischio di lesione. Il sollevamento della membrana va fatto fino alla parete palatale dell’osso mascellare, in modo tale da poter appoggiare una buona quantità di materiale rigenerativo alla parete stessa. Se restasse uno spazio vuoto tra l’innesto e la parete ossea, la pressione esercitata dagli atti respiratori, farebbe fuoriuscire il materiale dalla finestra, o porterebbe ad un riassorbimento precoce dell’innesto. Prima di posizionare il materiale, bisogna proteggere la membrana di Schneider con una membrana riassorbibile o con un foglio di collagene. Questo perchè il materiale particolato potrebbe creare delle lesioni alla membrana durante gli atti respiratori . g) La scelta del materiale da innesto richiederebbe una trattazione a parte, non solo per la vastità delle implicazione e delle argomentazioni, ma anche per la vastità di prodotti presenti sul mercato. In letteratura sono apparsi molti lavori sui vari materiali presenti in commercio, anche se il “goldstandard” rimane l’osso autologo (meglio se particolato perchè dà risultati migliori rispetto al blocco) prelevato da sedi intra ed extra orali a seconda delle necessità cliniche. Restano, però, da non sottovalutare gli svantaggi che questi prelievi comportano: • Gli innesti possono risultare corpi estranei per l’organismo: perdita della connessione funzionale. • Ci può essere la presenza di frammenti biologicamente non vitali. • Sempre un doppio sito chirurgico. • Rischio di patologie del sito donatore: inestetismi; lesioni temporanee; lesioni permanenti. • Per i prelievi extraorali, si deve ricorrere all’anestesia generale. • Quantità non sempre elevata. Vediamo, quindi, le alternative, attraverso la classificazione dei materiali disponibili, e le caratteristiche che richiediamo al materiale da noi scelto: AUTOINNESTI : • • ALLOINNESTI : tessuto del paziente donatore e ricevente sono differenti ma della stessa specie • XENOINNESTI : donatore e ricevente sono di specie differente • ALLOPLASTICI : materiali estranei artificiali Recentemente si sta diffondendo l’uso di osso omologo (Alloinnesti), prelevato da cadavere o da vivente, fornito dalle banche regionali dei tessuti, e preventivamente congelato, al fine di eliminarne il potere antigenico, pur conservando la capacità osteogenetica. Si dispone quindi di una quantità illimitata di materiale e di una qualità e forma desidarata: chips, stecche mono o bicorticali(5). Per quanto riguarda gli xenoinnesti e gli alloplastici, il mercato è ormai saturo di prodotti, e in bibliografia si possono trovare studi sui singoli materiali o sulla combinazione in vario modo degli stessi . Partendo dal presupposto che il rialzo di seno deve creare un osso vitale per ottenere l’osteointegrazione, il materiale scelto deve rispondere ad alcuni requisiti fondamentali: • Totale riassorbimento. • Stabilizzazione del coagulo. • Stabilizzazione del lembo. • Assenza di reazione da corpo estraneo. • Fornisce sostanze utili alla rigenerazione (BMP, Ca++, etc.). • Osteoconduzione. • Freno alla penetrazione delle cellule indesiderate. • Mantenimento del volume. • Permeabilità. • Facilità nella manipolazione. Per tutti i materiali particolati, il comportamento migliore, in termini di volume rigenerato, lo presentano le varietà con particelle di diametro maggiore rispetto a quelle con diametro inferiore. Per questo motivo, molte case produttrici commercializzano i biomateriali con granulometrie differenti o addirittura con confezioni dedicate al rialzo di seno mascellare per via laterale. Ovviamente quest’ultime sono da preferire. Sulla finestra può essere posizionata una membrana, riassorbibile o non, a protezione del materiale innestato, ma visto che non ci sono significative differenze con o senza, sia in termini di vitalità dell’osso neoformato che di sopravvivenza implantare, noi preferiamo non metterla. h) L’eventuale posizionamento immediato degli impianti è legato alla quantità di osso residuo o basale, in grado di permettere una stabilità primaria delle viti. Normalmente questa spessore si aggira intorno ai 5-7 mm: se il collo dell’impianto è 2 mm e l’osso basale è 6 mm, avremo una ritenzione primaria di 4 mm di spessore. Il calcolo è semplice ed è legato al tipo di impianto che si usa. Il protocollo implantare è legato alla metodica utilizzata, ma in ogni caso deve essere effettuato proteggendo la membrana di Schneider con uno strumento chirurgico, per esempio un Prichard. Dopo aver perforato la cresta alveolare, si inserisce il materiale da rigenerazione fino a metà antro, successivamente si alloggiano gli impianti e si completa il riempimento del seno fino a colmare completamente la finestra . Se lo spessore del pavimento è inferiore ai 5 mm, si predilige l’approccio dilazionato, perchè, sotto tale spessore, è difficile ottenere la stabilità primaria. I risultati a lungo termine delle due metodiche, immediata e dilazionata, sono del tutto equivalenti. i) la sutura è a punti staccati preferibilmente con 4/0, e non di seta. Quest’ultima favorisce l’attacco della placca batterica. 10. Trattamento farmacologico post-operatorio L’amoxicillina, per la sua attività nei confronti di molti gram-positivi e gramnegativi, è considerato il farmaco di prima scelta nel trattamento delle sinusiti, perciò valido per prevenire le sovrainfezioni post-chirurgiche. Utile talvolta è l’associazione con inibitori della betalattamasi come per esempio l’acido clavulanico. In alternativa sono da prendere in considerazione le cefalosporine di seconda generazione e la clindamicina. In associazione alla terapia antibiotica, è importante la somministrazione locale (aerosol) di decongestionanti nasali, allo scopo di assicurare la pervietà del drenaggio seno-nasale (ciliostasi traumatica ed edema della mucosa), e analgesici non steroidei per il controllo del dolore. In definitiva: • Amoxicillina + Acido clavulanico - 2 al dì per 6 giorni • Decongestionanti topici - aerosol 1 volta al dì per 10 giorni (Beclometasone dipropionato) • Inalazioni di vapore • Aspirazione e lavaggi sinusali • Antidolorifici - al bisogno (Ibuprofene) • Colluttorio a base di clorexidina 0,2% - 2 volte al dì per 7 giorni Asportare i punti di sutura dopo 7 giorni. Complicanze Come in tutti i protocolli chirurgici, anche in questo, si possono presentare delle complicanze sia durante l’intervento che dopo. Per evitare che si verifichino, dobbiamo applicare correttamente il protocollo chirurgico, rispettando l’anatomia, ma soprattutto formulando, in partenza, un accurato piano di trattamento. Da non sottovalutare anche il ruolo importante che ricopre la scelta del materiale da rigenerazione. Possiamo, quindi, parlare di complicanze intra-operatorie ed extra-operatorie. Le prime sono: • perforazione della membrana • frattura della cresta alveolare residua • ostruzione dell’ostio • emorragia • mobilità dell’innesto La perforazione della membrana è sicuramente la complicanza più frequente tra tutte quelle menzionate, per cui necessita di un’approfondimento particolare. Ricordiamo che non è necessario interrompere l’intervento se la perforazione è inferiore a 5mm, in quanto la membrana si ripiega su sé stessa non appena viene sollevata. Come già detto, lo spessore della schneideriana si aggira tra i 0,13 ed i 1,5 mm (membrana sottile), ma può superare tale valore sia in condizioni patologiche che normali (membrana spessa). Ovviamente lo spessore sottile è più a rischio di perforazione. Altro fattore che influenza l’incidenza di lesione della membrana è la forma della base del seno, come descritto nel disegno: se l’angolo A è minore di 30° il rischio è vicino allo 0%, tra i 30° e 60° si aggira intorno al 30%, per salire al 60% con un angolo superiore ai 60°, ovvero con un pavimento molto appiattito. In caso di perforazione, dobbiamo attribuire alla lesione una classe di appartenenza in base alla posizione in cui si trova . Il trattamento consiste, poi, nell’allargare la finestra d’accesso in modo che la perforazione si trovi in V classe, e procedere con lo scollamento della membrana intorno alla lacerazione . Si protegge poi la mucosa sinusale con una membrana riassorbibile o con un foglio di collagene , in modo da impedire l’eventuale fuoriuscita del biomateriale nel seno stesso(6). Le complicanze post-operatorie possono essere precoci o tardive . Le precoci possono essere: • deiscenza della ferita • infezione acuta • perdita dell’impianto • perdita del materiale da innesto • esposizione della membrana Le tardive possono essere: • perdita degli impianti • migrazione impianti • comunicazione oro-antrale • dolore osseo cronico • affezione sinusale • infezione cronica del seno Controlli periodici Il follow-up, sia clinico che radiografico, deve essere settimanale, quindicinale e mensile, per mettere in evidenza l’inizio della mineralizzazione dell’innesto e l’intensificarsi dell’immagine radiopaca dell’osso in via di neoformazione. I tempi di evoluzione dell’aspetto radiografico dipendono dal tipo di biomateriale utilizzato. In caso di impianti inseriti con protocollo dilazionato, potrebbe essere molto utile effettuare un prelievo di osso con fresa carotatrice (diametro interno 2,5 mm, esterno 3,5 mm, lunghezza carota 8 mm, fissata in una soluzione tamponata al 10% di formalina), per procedere ad un esame istologico ed istomorfometrico della rigenerazione . Non c’è controllo della terapia senza un adeguato follow-up clinico, fotografico e radiografico(7). Bibliografia 1. Ole T. Jensen: Gli innesti del seno mascellare in implantologia. Ed. Scienza e Tecnica Dentistica ed. Internazionali. 2000. 2. Jensen OT, Shulman LB, Block MS, Iacono VJ. Report of the Sinus Consensus Conference of 1996. Int J Oral Maxillofac Implants. 1998;13 Suppl:11-45 3. Graziani F, Donos N, Needleman I, Gabriele M, Tonetti M. Comparison of implant survival following sinus floor augmentation procedures with implants placed inpristine posterior maxillary bone: a systematic review. Clin Oral Implants Res. 2004 Dec;15(6):677-82 4. Vincenzo Bucci Sabattini: Tecniche ricostruttive e rigenerative dei mascellari atrofici. I biomateriali: scelta, indicazioni e metodi d’uso. Editore TUEOR srl. 2007. 5. Tonetti MS, Hämmerle CH; European Workshop on Periodontology Group C. Advances in bone augmentation to enable dental implant placement: Consensus Report of the Sixth European Workshop on Periodontology. J Clin Periodontol. 2008 Sep;35(8 Suppl):168-72 6. Matteo Danza, Alessandro Palumbo: Sollevamento del pavimento del seno mascellare mediante l’utilizzo di DFDBA e Solfato di Calcio. Vol. 3 n° 2 Maxillo Odontostomatologia 1. 7. Bruschi GB, Scipioni A, Calesini G, Bruschi E. Localized management of sinus floor with simultaneous implant placement: a clinical report. Int J Oral Maxillofac Implants. 1998 Mar-Apr;13(2):219-26. LA CONSERVATIVA E LE COMPLICANZE Prof. Vasilios Kaitsas, Dott. Gaetano Paolone Indice 1. Introduzione 2. Cenni di anatomia dei tessuti duri del dente. 3. Diagnosi delle lesioni demineralizzate dei tessuti duri del dente. 4. Trattamento minimale appropriato secondo il tipo della lesione. 5.Scelta dei materiali e loro manipolazione. 6. Conclusioni 7. Bibliografia 1. Introduzione La superficie esterna dei molari e dei premolari dei denti umani è molto rugosa ed è attraversata da solchi e fessure di varia profondità. Questo comporta "l' imprigionamento" di parti adesivi dei cibi, come lo sono i carboidrati complessi e data la piccola età dei ragazzi ai quali è rivolta prevalentemente questa terapia preventiva-conservativa, si ritiene oggi dall' OMS l' aiuto migliore che un operatore sanitario possa fare ai futuri adulti della società odierna con risvolti socio-economici molto rilevanti. 2. Cenni di anatomia dei tessuti duri del dente. La corona dei denti umani è esternamente costituita dallo " smalto", tessuto altamente mineralizzato, compato e costituito da idrossi-fluor apatite al 96%, sostanze organiche (collagene-proteoglicani-citrati) al 3% e da poca acqua, 1%. Lo spessore varia da 1,5mm nei solchi a 3,5mm nelle cuspidi che a loro volta variano di numero e di forma secondo il dente. Internamente è costituita dalla "dentina", tessuto simile allo smalto ma molto più povero in minerali, solo in 70% è idrossi-apatite, sostanze organiche per il 18% della sua composizione e acqua ed oligominerali per il resto del 12%. Ma all' incontrario della smalto la sua struttura presenta forme "tubulari" i cosiddetti "tubuli dentinali" dove nel loro interno, qualora la polpa dentaria sia vitale, si trova il prolungamento fibroblastico degli odontoblasti, cellule pulpari preposte a varie funzioni ma prevalentemente per la formazione dei vari tipi di dentina con il crescere del ragazzo/a. Il numero di questi "tubuli dentinali" è molto elevato, da 15.000/mm² nelle vicinanze della giunzione smalto-dentina a 60.000/mm² vicino alla polpa. La dentina nella porzione radicolare è coperta dal "cemento radicolare", tessuto poco spesso , da 100 a 300 micron secondo la zona, simile alla dentina in composizione ma senza tubuli dentinali , contenente strati di cellule altamente differenziate i cosiddetti "cementociti" che sono i responsabili del "trattenimento" del dente nell' alveolo osseo mediante le fibre del legamento parodontale. All' interno della dentina si trova la "polpa dentaria", tessuto costituito da vasi e nervi , sostanza intercellulare, oligominerali e cellule differenziate e non (mastociti, fagociti ecc.) 3. Diagnosi delle lesioni demineralizzate dei tessuti duri del dente. E' molto importante valutare frequentemente l' integrità strutturale dello smalto e della dentina sin dalla loro apparizione nella cavità orale, dove la complessità della presenza del macro e del micro cosmo attorno allo smalto possa determinare le condizioni per una migrazione di ioni di calcio dalla struttura microcristallina dello smalto e della dentina successivamente. Questa valutazione richiede molta attenzione da parte dell' operatore ed alcuni mezzi che lo aiutano alla delicatissima fase dell' ispezione dello smalto. Con una preventiva detersione del dente con uno spazzolino e con l' uso di una crema detergente si cerca di eliminare ogni corpo estraneo dagli solchi e dalle fessure della superficie della smalto e con una buona aspirazione forzata si asciuga il dente e si osserva possibilmente con l' uso di ingrandimenti e con una buona illuminazione si cerca di sondare con uno specillo appuntito il percorso dei solchi e verificare eventuale impegno dello stesso come anche aree di discromie notevoli superficiali e/o sotto lo smalto. In casi di dubbio l' operatore si aiuta alla sua valutazione usando sistemi elettronici che emmettono nei solchi sospetti energia elettromagnetica con particolare lunghezza d' onda e la successiva valutazione logaritmica dell' energia assorbita, conferma o no aree che hanno subito alterazione nella concentrazione iniziale degli ioni di calcio quindi è un invito di approfondire di più il controllo dell' area sospetta. E' indispensabile il controllo radiografico con radiografie intraorali e con incidenza del raggio principale, perpendicolare all' asse longitudinale dei denti e quindi della pellicola o dello sensore ricevente i raggi rigorosamente parallelamente anch' esso posizionato all' asse del dente. Con questa tecnica di immagine radiografiche ottenute cosiddetta BITE WING, si possono rilevare lesioni iniziali dello smalto sia intreprossimale che occlusale, qualora la demineralizzazione abbia superato la giunzione smalto-dentina. L' uso di coloranti (Blu di metilene e/o fucsina basica) possono aiutare l' operatore a evidenziare cripte ipomineralizzate sotto lo smalto. 4. Trattamento minimale appropriato secondo il tipo della lesione. Una volta verificata e diagnosticata la presenza di perdita iniziale di smalto e secondo in che area si localizza, l' operatore può scegliere tra vari metodi di approccio terapeutico valutando in primis la possibilità di instaurarsi il meccanismo del processo carioso a quel determinato sito della superficie dentale. Molti sono i fattori che possono contribuire nell' insorgere il processo carioso. Principalmente di questi aspetti si occupa la cariologia ma brevemente dobbiamo sottolineare anche qui alcuni concetti importanti per comprendere meglio l' importanza degli interventi minimali preventivi che possono assicurare una prolungata permanenza dei denti nella cavità orale. Essendo lo smalto e la dentina dei tessuti che si formano dalla continua apposizione di minerali ( apatite) nella matrice organica dell' abbozzo dentario già dalla 4-5 settimana della vita intrauterina fino alla prima fase della maturazione dello smalto che per i molari permanenti si completa ai 13-14 anni ( tranne che per i terzi molari che può andare oltre i 25 anni), è chiaro che qualsiasi disturbo metabolico possa subentrare avrà delle conseguenze anche alla formazione dei tessuti duri del dente. Per esempio l' assunzione di troppi carboidrati nel periodo di gravidanza ,dico gli esperti, può provocare una minor deposizione di apatite nella matrice organica della dentina e dello smalto con la conseguente minor loro resistenza agli attacchi acidi nella cavità orale. Ci sono inoltre i fattori locali che possono contribuire alla maggiore distruzione del dente soprattutto nell' adolescente. Alcuni di loro sono l' anatomia individuale dei denti ad ogni persona, cioè con più o meno solchi profondi e più o meno stretti o aperti quindi più facile pulirli oppure no (Fig.1, 2). La presenza prolungata di cibi appiccicosi è fertile terreno per lo sviluppo dei batteri, la dieta disordinata e la non perfetta igiene dentale contribuiscono molto nell' insorgere della carie con un ulteriore contributo negativo di apparecchi ortodontici fissi che spesso portano i ragazzi dell' età dello sviluppo dei denti e della sostituzione dei denti decidui. Quindi l' odontoiatra deve analizzare tutte queste variabili e decidere dopo quale trattamento applicare. Fig. 1: Aspetto di un solco al SEM. Fig. 2: Sezione di un molare con colorazione dei solchi. La foto evidenzia la profondità del solco che raggiunge quasi la giunzione smalto-dentinale. Nei casi clinici dove si rilevano nelle superfici occlusali dei molari e dei premolari di giovani pazienti, solchi e fessure molto pronunciate, è consigliabile applicare gel fluorati sia in studio( con più alta concentrazione di fluoro e con isolamento dei denti) che al domicilio mediante dentifrici specifici, previa loro decontaminazione batterica con l' uso di ozone o di mordenzzatura acida di pochi secondi. Questa procedura è caldamente suggerita a tutti i pazienti che sono sottoposti in terapia ortodontica, con applicazioni molto frequenti. Recentemente sono stati messi a disposizione dell' odontoiatra dalla ricerca, prodotti a base di idrossiapatite micronizzato e con alta percentuale di nano apatite applicabili con una soluzione che aumenta la bagnabilità dello smalto favorendo così lo scambio di ioni di calcio e la fissazione di essi sulla struttura dello smalto rimanente. Le tecniche ablative sullo smalto possono essere attuate mediante air-abrasion (Fig.3), ameloplastica con strumenti rotanti (frese) (Fig.4) oppure laser specifici. Qualora con questi metodi si effettuerà la necessaria apertura di solchi e di fessure altrimenti difficilmente ispezionabili (Fig.6) con la sola sonda e lo osservazione, si procederà alla chiusura ermetica di questi spazi. Essa può essere realizzata con la "sigillatura" (1) di questi difetti con l' uso di tutte le procedure che si usano nelle moderna conservativa cioè con l' isolamento dei denti da trattare, preferibilmente con la diga di gomma , la successiva detersione (Fig.5a, 5b) e mordenzatura con acido ortofosforico dal 32% al 37% per non oltre i 30 secondi, poi con l' asportazione dello stesso con lavaggi ed aspirazione forzata prolungata e con la successiva applicazione di un sistema adesivo smalto-dentinale opportunamente esteso e polimerizzato e la applicazione successiva di un materiale sigillante più o meno riempito con nano e microparticelle secondo la larghezza e la profondità delle superfici da occludere (2). La ricerca oggi ci mette a disposizione dei materiali da bassa ad alta percentuale di riempitivi con bassissimo indice di viscosità e con la conseguente penetrazione del materiale in profondità assicurando così un intima e totale unione della sostanza dentaria con il materiale, restituendo in pieno la funzione dei denti rendendoli così meno esposti agli attacchi demineralizzanti degli agenti nocivi per lo smalto. (Singh S, Pandey RK) Fig. 3: Apertura dei solchi tramite micro-abrasione Fig. 4: Frese di diametro e forma opportuna facilitano l'apertura dei solchi Fig. 5a: La detersione dei solchi avviene pomice e clorexidina, getto di aria compressa e acqua e polvere di glicina. Fig. 5b: La detersione dei solchi avviene pomice e clorexidina, getto di aria compressa e acqua e polvere di glicina. Fig. 6: Sezione di un elemento dentario sottoposto a sigillatura senza opportuna apertura e detersione dei solchi. 5.Scelta dei materiali e loro manipolazione. Nel concetto degl' interventi minimali si deve includere la procedura da adottare nelle aree di contatto interprossimali dei primi molari permanenti con i secondi molari decidui dove nel momento della permuta si dovesse rilevare un' area di demineralizzazione iniziale , in tali casi piccole frese diamantate e/o inserti ultrasonici ci permettono di raggiungere il sito demineralizzato distruggendo meno possibile tessuto sano.Tali cavità si possono otturare con compositi nano riempiti con ottimi risultati estetici e funzionali. (6 ) I compositi a minor viscosità (flowable) devono essere scelti per cavità che non siano molto estese e che comunque rimangono all' interno dei punti di contatto con l' antagonista, ciò implica una corretta analisi iniziale dell' occlusione dei denti del piccolo paziente. La corretta apposizione di piccoli apporti dei materiali resinosi ed il corretto ed efficiente modo di polimerizzazione possono contribuire alla lunga durata del piccolo restauro assicurando così una stabilità occlusale nel tempo. (5.) 6. Conclusioni L' obbiettivo del professionista è la diagnosi delle lesioni dello smalto e della dentina allo stadio iniziale e la terapia morfo-funzionale nel miglior modo possibile, adontando tecniche poco invasive e prive di complicanze, adoperando materiali idonei per la localizzazione della lesione e per il suo coinvolgimento nella funzione masticatoria. Inoltre il coinvolgimento del paziente e dei famigliari nel mantenimento dell' igiene dentale ottimale ed i controlli periodici dal proprio terapeuta, porterà il piccolo paziente ad un età adulta (Fig.7) con meno problemi dentali e quindi con una consapevolezza che mangiare in modo corretto e mantenere una igiene orale scrupolosa lo renderà più forte anche psicologicamente e più tranquillo nelle relazioni interpersonali. Fig. 7: Sigillature ad un controllo a 29 anni. 7. Bibliografia 1)Ahovuo-Saloranta A, Hiiri A, Nordblad A, Worthington H, Mäkelä M. Pit and fissure sealants for preventing dental decay in the permanent teeth of children and adolescents. Cochrane Database Syst Rev. 2004;(3):CD001830. 2)Ahovuo-Saloranta A, Hiiri A, Nordblad A, Mäkelä M, Worthington HV. Pit and fissure sealants for preventing dental decay in the permanent teeth of children and adolescents. 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La parodontologia e le sue complicanze Dr. Eva Amoroso d’Aragona Dr. Massimo Calapaj La chirurgia parodontale è per definizione una chirurgia delicata e precisa applicabile solo con l’uso di mezzi ingrandenti come lenti prismatiche e microscopi operatori e di uno strumentario di dimensioni adatte alla microchirurgia (3). Harrel e Rees nel 1995 proposero la “ Minimally Invasive Surgery” (MIS) con lo scopo di minimizzare le dimensioni delle ferite chirurgiche e manipolare con delicatezza i tessuti parodontal (13). Cortellini e Tonetti nel 2007, pubblicando la “Minimally Invasive Surgical Tecnique”(MIST), hanno cercato di migliorare la stabilità del coagulo con la chiusura primaria della ferita chirurgica a protezione dello stesso. (4,5,6). Nel 2009 Cortellini e Tonetti misero a punto la “Modified Minimally Invasive Surgical Tecnique” (M-MIST), tecnica che prevede il sollevamento di un solo lembo vestibolare limitato il più possibile in senso mesio-distale (9). Cortellini e Tonetti hanno proposto l’uso del microscopio operatorio in chirurgia parodontale rigenerativa poichè hanno visto che la manipolazione dei tessuti molli con la conseguente chiusura per prima intenzione della ferita chirurgica migliorava da una media del 70% con le tecniche tradizionali fino al 90% con la microchirurgia (3,4). Le tecniche chirurgiche minimamente invasive vengono suddivise in due gruppi: metodiche nelle quali viene sollevato un lembo vestibolare e linguale comprendenti la papilla interdentale e metodiche in cui solo un lembo vestibolare viene scollato, senza coinvolgere la papilla ed il lembo linguale (2,10,12). Le metodiche minimamente invasive possono essere applicate in un buon numero di situazioni cliniche come i difetti infraossei da poco profondi a molto profondi, fino al terzo apicale della superficie radicolare (3). I difetti molto più ampi, coinvolgenti i denti su 3 o 4 superfici fino ed oltre l’apice radicolare, necessitano di un approccio chirurgico tradizionale con incisioni dei lembi più ampie (2, 11, 12). Indubbiamente lo svantaggio di queste terapie chirurgie è dato da un accesso visivo limitato del campo operatorio, per questa ragione l’uso dei sistemi ingrandenti ed in particolare del microscopio può avere dei vantaggi quali: 1) Incisioni più precise e aghi da sutura più piccoli che risultano essere meno traumatici per i tessuti con conseguente miglioramento del processo di guarigione e riduzione del disconfort post-operatorio (17 , 18 ). 2) Migliore visibilità della radice da strumentare e del difetto infraosseo. Il microscopio operatorio, quindi, si rivela il supporto ideale in microchirurgia, perché, grazie alla presenza di una fonte di luce coassiale, è in grado di illuminare perfettamente il campo operatorio (14) permettendo di ottimizzare gli ingrandimenti a seconda delle necessità chirurgiche. E’ indispensabile l’utilizzo di uno strumentario dedicato come pinzette microchirurgiche, micro-lame, mini-curettes, aghi per sutura con monofilamenti non riassorbibili da 6-0 a 8-0. La ricerca della stabilità del coagulo è dunque la fase più importante per ottenere una rigenerazione tissutale, da ciò l’estrema importanza di ridurre gli stress dei tessuti molli specie nelle fasi immediatamente post-chirurgiche quindi ottimizzare le tensioni dei lembi che devono essere assolutamente passivi per le suture (1 ). La ferita chirurgica attraversa una prima fase che può essere definita “infiammatoria”; in questa fase le proteine plasmatiche e il fibrinogeno si depositano sulla superficie radicolare per formare il coagulo di fibrina. Nelle successive sei ore si assiste alla colonizzazione del coagulo e della radice da parte dei granulociti che esplicano azione di decontaminazione. Al terzo giorno l’attività dei macrofagi porta alla “fase di granulazione” con rilascio dei fattori di crescita e di mediatori biochimici che porteranno al processo di neo-angiogenesi. Durante queste fasi è fondamentale ottenere una stabilità del coagulo perchè è proprio l’adesione delle proteine plasmatiche alla superficie radicolare che porta alla formazione di nuovo attacco connettivale. La “fase di granulazione” si protrae per la prima settimana finchè inizia la “fase di maturazione” e la guarigione dei tessuti neo-formati (16 ). Gli ingrandimenti utilizzati possono variare per potere visivo e tipologia di lenti, in particolare si parte dai 2x dei caschetti ed occhialini per arrivare ai 20x dei microscopi operatori. Un’importante differenza sta nell’uso di lenti prismatiche o galileane, queste ultime presentano una maggiore profondità di campo visivo e sono più indicate nelle terapie non chirurgiche (14) Le lenti prismatiche, invece, trovano migliore indicazione in tutte le terapie chirurgiche. Anche la terapia non chirurgica minimamente invasiva (MINST) si avvale dei benefici dall’uso dei sistemi ingrandenti, ne deriva una maggiore precisione sia in fase di sondaggio che di scaling e root planing ( 15). Bisogna considerare che il primo obiettivo della terapia parodontale è il controllo dell’infezione mediante terapia non chirurgica e che, in presenza di difetti ossei provocati dalla malattia, può essere seguita dalla terapia chirurgica. Dal punto di vista microbiologico lo scopo della terapia non chirurgica è la disgregazione del bio-film microbico. La terapia minimamente invasiva non chirurgica si avvale di uno strumentario manuale e meccanico di dimensioni ridotte, con morfologie più idonee ad un accesso sottogengivale meno aggressivo: micro e mini curettes, punte soniche ed ultrasoniche di dimensioni adeguate. Alcuni AA hanno proposto l’utilizzo di un approccio minimamente invasivo (19) con sistemi di esplorazione endoscopica delle tasche parodontali (20 , 21 , 22; ). Chiaramente la gestione degli ingrandimenti, la postura, l’addestramento del personale in assistenza e l’utilizzo di strumenti piccoli e delicati, necessita di una curva di apprendimento che non richiede tempi lunghi. Quindi i sistemi ingrandenti associati ad illuminazione diretta del campo operatorio appaiono sempre più indispensabili in qualsiasi disciplina odontoiatrica e concorrono in maniera determinante anche nella gestione delle complicanze. 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Uno strumento, con all'interno un'anima in metallo magnetostrittivo produce calore e vibrazioni (25.000-35.000 cicli/secondo) quando interessato da un campo magnetico stazionario e alternante. L’effetto piezoelettrico consiste nella capacità, di alcuni cristalli (cristalli piezoelettrici) di subire una variazione dimensionale quando interessati da una carica elettrica. La deformazione del cristallo viene convertita in una oscillazione meccanica (vibrazione: 29.000 a 42.000 cicli/secondo) senza produzione di calore (Stock CJR 1991). Gli ultrasuoni ed il loro utilizzo in combinazione con sistemi di ingrandimento hanno consentito in odontoiatria e, con vantaggi ancor più significativi, in endodonzia un approccio minimamente invasivo. L’impiego di sistemi ingrandenti, unitamente all’uso di sorgenti ad ultrasuoni piezoelettriche e di punte dedicate, ha reso possibile, in momenti operativi differenti e fasi diverse del trattamento endodontico, il risparmio di quantità significative di tessuto dentinale; tale risultato può potenzialmente implementare la resistenza biomeccanica dei denti trattati endodonticamente e quindi la predicibilità a lungo termine delle riabilitazioni conservative e/o protesiche post-trattamento. Gli strumenti rotanti anche quando abbinati a sistemi ingrandenti, e ancor più se utilizzati con un microscopio operatorio, non consentono un controllo ideale dell’operatività, in quanto la testa del contrangolo impegna quasi completamente il campo operatorio compromettendone la visibilità. Le moderne punte ultrasoniche assicurano grande controllo e visibilità intraoperatori in virtù di dimensioni ridotte, forme dedicate allo specifico utilizzo, collo lungo e water ports che consentono l’alternanza di fasi a secco e con irrigazione. Tali tecnologie agevolano l’identificazione e la gestione clinica di anatomie endodontiche complesse suggerendo una più alta predicibilità del trattamento endodontico. L’applicazione degli ultrasuoni in endodonzia risale ai primi anni Novanta con l’introduzione di punte ultrasoniche in acciaio. Oggi il mercato offre un’ampia gamma di punte ultrasoniche, diverse per forma, lunghezza, composizione e tecnologia. L’introduzione di sorgenti ultrasoniche piezoelettriche ha inoltre ottimizzato il controllo di potenza, frequenza e lunghezza d’onda oltre che di effetti collaterali negativi quali il riscaldamento. I vantaggi dell’applicazione degli ultrasuoni in endodonzia sono molteplici: 1. Rimozione di preesistenti build-up in casi di parodontite post-trattamento : Gli ultrasuoni sotto il controllo costante di sistemi ingrandenti assicurano la rimozione selettiva di build-up pre-esistenti abbattendo il rischio di danni iatrogeni, anche in casi in cui il materiale da ricostruzione impegna l’ingresso degli orifizi canalari. L’utilizzo di frese in rotazione su contrangolo compromette la precisione ed il controllo intraoperatori esponendo l’operatore ad ingiustificati sacrifici di tessuto dentale sano 2. Rimozione di perni, perni moncone, coni d’argento, strumenti fratturati: L’utilizzo degli ultrasuoni nella rimozione di ritenzioni endocanalari (perni metallici, perni-moncone, perni in fibre etc) e/o di ostacoli alla percorribilità del sistema dei canali radicolari (coni d’argento, files fratturati) può associarsi ad alta predicibilità in termini di successo endodontico e preservazione delle strutture dentarie residue, laddove sistemi ingrandenti adeguati supportino l’operatività nel suo migrare in senso corono-apicale, assicurando un controllo operativo costante. Nella rimozione di strumenti fratturati saranno preferite punte sottili, inserite nel canale e solo successivamente attivate a bassa potenza sotto il controllo imprescindibile di sistemi ingrandenti 3. Rifinitura della cavità d’accesso : La realizzazione di una corretta cavità d’accesso è propedeutica per le successive fasi del trattamento endodontico, assicurando l’accesso diretto al sistema dei canali radicolari a strumenti, irriganti e materiali per l’otturazione tridimensionale dello spazio endodontico. L’utilizzo di punte ultrasoniche dedicate coadiuvate da sistemi ingrandenti e/o microscopio operatorio rende predicibile il controllo ed il trattamento completo dei sistemi canalari grazie alla rifinitura della cavità d’accesso, all’identificazione degli orifizi canalari ed al loro reperimento anche quando misconosciuti per la presenza di materiali da restauro o calcificazioni. 4. Identificazione degli imbocchi canalari e dell’istmo di connessione tra canali della stessa radice : L’istmo che connette due canali nella stessa radice (canali vestibolare e palatale/linguale nei premolari, canali mesiovestibolare e mesiopalatale nelle radici mesiovestibolari dei molari superiori, canali mesiolinguale e mesiovestibolari nelle radici mesiali dei molari inferiori etc.) può sottendere residui pulpari, smear layer, e batteri che risulterebbero potenziali cause di infezione persistente al trattamento endodontico laddove non significativamente eliminati. Un’inadeguata detersione dell’istmo può esporre a contaminazione batterica post-trattamento ed a possibile insuccesso a breve o a lungo termine. L’attivazione delle soluzioni irriganti con files ultrasonici o subsonici può potenziarne la penetrazione ed il rinnovo, assicurando una maggiore efficacia nella rimozione delle componenti organiche ed inorganiche del fango dentinale, prodotto dalla sagomatura, e nella disinfezione dell’ endodonto. Utilizzando punte ultrasoniche dedicate, l’istmo può essere talvolta preparato in maniera conservativa o almeno aperto ad una più efficace penetrazione degli irriganti; tale preparazione dovrà necessariamente essere eseguita sotto il controllo di sistemi ingrandenti per sconfessare l’alto rischio di danni iatrogeni (es. perforazioni) e la prognosi sfavorevole correlata a inopportuni sacrifici di dentina radicolare. 5. Rimozione di guttaperca, cementi ed altri materiali da otturazione canalare : Nei casi di parodontite post-trattamento, la rimozione dei materiali da otturazione in corso di ritrattamento, risulta significativamente facilitata dalla possibilità di utilizzare punte ultrasoniche dedicate e sistemi ingrandenti: passiamo dall’operatività con strumenti rotanti (azione / controllo dell’effetto/ azione) con selettività e precisione affidate all’abilità dell’operatore ad un controllo diretto e immediato di azione ed effetto, con ridotto rischio di imprevisti. 6. Rimozione di calcificazioni : Calcoli e/o depositi minerali intracamerali e/o intracanalari sono riscontrabili frequentemente in elementi dentari con patologia pulpare, ma sono stati rinvenuti anche in denti non erotti. Essi infatti possono essere espressione di un’alterazione distrofica del tessuto pulpare e non essere necessariamente associati ad alterazioni degenerative del tessuto stesso. La rilevanza clinica delle calcificazioni pulpari risiede nella possibilità che la loro presenza comprometta l’accessibilità al sistema dei canali radicolari nella sua interezza (percorribilità dei canali radicolari, reperimento degli orifizi canalari, identificazione e isolamento di perforazioni etc.) inficiando la prognosi dei trattamenti endodontici. Una radiografia endorale preoperatoria si propone quale momento diagnostico di rapida e semplice esecuzione, per la preliminare valutazione della presenza di calcificazioni intracamerali e/o intracanalari. L’utilizzo di punte ultrasoniche coadiuvato da adeguati sistemi ingrandenti, consente la rimozione completa di calcificazioni anche intracanalari in sicurezza. 7. Adattamento dell’MTA (Mineral Trioxide Aggregate) in casi clinici di denti con apice beante o ampie perforazioni : L’applicazione di ultrasuoni in seguito al posizionamento ed all’adattamento dell’MTA in apici beanti o perforazioni può migliorare la qualità del sigillo, grazie ad una distribuzione più omogenea del materiale e ad un suo più intimo adattamento. 8. Attivazione delle soluzioni irriganti : L’attivazione ultrasonica degli irriganti, può implementarne l’efficacia nella detersione e disinfezione del sistema dei canali radicolari, soprattutto nei terzi coronale e medio. L’agitazione meccanica ed il riscaldamento (abbassamento della tensione superficiale, modifica della cinetica di reazione) migliorano la capacità di penetrazione in istmi, canali laterali, loops, etc, la distribuzione ed il rinnovo nello spazio endodontico, il potere di dissoluzione dei tessuti organici ed inorganici e l’efficacia antibatterica nell’unità di tempo delle soluzioni irriganti. 9. Endodonzia chirurgica : In endodonzia chirurgica, il controllo a maggiore ingrandimento e l’utilizzo di punte ultrasoniche dedicate hanno consentito la realizzazione di preparazioni mini-invasive per otturazione retrograda, più conservative ed efficaci perchè in asse con l’asse lungo radicolare. L’utilizzo degli ultrasuoni può inoltre migliorare la distribuzione e l’adattamento dell’MTA in corso di otturazione retrograda. Conclusioni In Endodonzia, l’esecuzione di una corretta cavità d’accesso ed il riconoscimento in toto dell’ anatomia della camera pulpare, sono momenti imprescindibili e propedeutici all’esecuzione corretta delle fasi successive di detersione, sagomatura ed otturazione tridimensionale del sistema dei canali radicolari. Il rispetto dell’anatomia originale è il presupposto fondamentale della predicibilità del successo . L’utilizzo del microscopio operatorio e degli ultrasuoni risultano ad oggi indispensabili nell’eseguire trattamenti endodontici ortogradi e retrogradi conservativi e predicibili. L’uso del MTA e del Laser come soluzioni di complicanze in endodonzia Gli ingrandimenti in genere sono fondamentali per la riuscita di una buona terapia endodontica. Visione con occhiali ingrandenti Visione con il Microscopio Il Microscopio operatorio , principalmente con la sua luce coassiale gli ingrandimenti e la visione stereoscopica, permettono di applicare un tipo di Endodonzia molto conservativa. I ritrattamenti rappresentano il momento clinico ove il microscopio determina la differenza tra una terapia predicibile e non, e con il quale si riescono ad applicare tecniche minimemente invasive . Una di queste è la capacità di preservare la polpa dentale accidentalmente esposta con la tecnica dell’incappucciamento utilizzando l’MTA , tecnica che ci consente di preservare la vitalita’ del dente. Quali sono le indicazioni quando optiamo per un “incappucciamento “ della polpa?(1) ETA’ PRESENZA DI CALCIFICAZIONI PULPARI ESIGENZE RICOSTRUTTIVE PRESENZA DELLA CORTICALE ALL’RX ASSENZA di SINTOMATOLOGIA POSITIVITA’ al TEST di VITALITA’ ESPOSIZIONE IATROGENA ACCIDENTALE ESPOSIZIONE TRAUMATICA ma SENZA CONTAMINAZIONE Uno dei fattori discriminanti è la visione diretta della polpa esposta , la valutazione della presenza o meno dell’ infiammazione . Fondamentale è valutare “visivamente” la capillarizzazione di una polpa non infiammata ,che ben ci dispone a scegliere questo tipo di terapia: RX Diagnostica controllo a 1 anno Possiamo affrontare trattamenti ortogradi senza operare quelle grandi aperture che operavamo fino a qualche anno fa’ ,l’unico requisito rimane sempre l’assenza di interferenza al passaggio dei nostri strumenti rotanti con le pareti assiali delle camere pulpari sia durante la preparazione del glide path che della preparazione vera e propria(2) Anche in casi di grosse carie risparmiare tessuto sano diventa fondamentale: Il terreno più fertile per l’uso del microscopio sono i ritrattamenti ed a volte questi sono coperti da restauri protesici. Al di la’ di considerazioni tecniche se rimuovere il manufatto protesico o no ,l’uso del microscopio ,date le sue caratteristiche ci permette di ben illuminare l’interno delle corone e la visione stereoscopica e gli ingrandimento migliorano questo tipo di trattamento che sino a pochi anni fa avrebbe imposto la rimozione della corona. Con questa modalita’ vantaggi sono enormi : Vantaggi: Estetico, Minori possibilità di fratture iatrogene, Più semplice l’isolamento che è fondamentale. (salvo alcune occasioni ) Gli unici svantaggi sono : Minore accesso=perdita dei punti di repere, Problemi con alcuni localizzatori apicali Possibile sgretolamento del cemento . Una volta attesa la guarigione è naturalmente andrà riprogrammato un nuovo manufatto protesico così da valutare anche l‘integrità dei monconi evitando dannose decementazioni nel tempo. Le terapie ortograde sono migliorate con l’ausilio del Microscopio operatorio ,nei casi di grandi riassorbimenti esterni è diventata pratica abituale fare otturazioni apicali con MTA per via ortograda (3-4-5): Controllo 1 anno Stessa situazione per i riassorbimenti interni ,che ,se estesi ,la maggior parte delle volte esitavano in un’ estrazione . Oggi possiamo “vedere” direttamente l’entità della lesione e possiamo intervenire con precisione, gestendo meglio l’utilizzo dei materiali e degli strumenti. Questo è un caso che ha dato molto da pensare sul piano di cura :il problema era rappresentato dalla lesione molto grande presente ,inserire un impianto avrebbe portato ad un intervento di rigenerazione e tempi di attesa abbastanza lunghi per il paziente. Dopo aver ritrattato il 22 si è passati a risolvere il riassorbimento interno presente sul 21: Una volta rimossa la guttaperca presente nella lesione e rifatta la terapia endodontica ,dopo una medicazione intermedia con idrossido di calcio ,veniva chiusa la lesione con MTA: Questo è il risultato ad 1 anno di distanza: La prognosi di questo elemento certamente non è a lungo termine ,ma il risultato prodotto ha consentito un recupero della lesione in modo completo che favorirà,qualora fosse necessario ,l’ inserimento di un impianto in sostituzione dell’elemento in questione su di una struttura ossea ,recuperata e sana. Una specifica trattazione va riservata alle risorse tecnologiche sviluppate per migliorare l’irrigazione in endodonzia, che hanno influenzato il successo e la predicibiltà di questa sulle terapie. Molti tipi di irrigani sono stati testati (Acido citrico ,Tetraclean,Mtad ecc.) ma la vera rivoluzione è stata l’attivazione degli irriganti attraverso manipoli sonici, ultrasonici e apparecchiature a pressione negativa che richiamano o attivano gli irriganti (ipoclorito di sodio ed EDTA). Una risorsa oggi molto diffusa è il Laser (6): Le tecniche investigate negli ultimi quindici anni, che utilizzano una fonte laser per l’attivazione degli irriganti sono: •LAI (Laser Activated Irrigation) •PIPS (La tecnica Photon Initiated Photoacustic Streaming) (34). Studi recenti hanno investigato la capacità delle lunghezze d’onda nel medium infrared (2780nm e 2940nm) assorbite massivamente dall’acqua, di attivare le soluzioni irriganti all’interno del canale; questa tecnica, appunto chiamata “laser activated irrigation” (LAI), si è dimostrata statisticamente più efficace nel rimuovere detriti e smear layer dai canali radicolari, rispetto alle tecniche di irrigazione convenzionale (CI) ed ultrasonica passiva (PUI). (33) L’attivazione dell’irrigante è prodotta per un primario effetto foto termico del laser nel liquido irrigante (soluzione acquosa) con la produzione di “bolle” (ebollizione dell’acqua a 100°C> esplosione della bolla di vapore> implosione della bolla) e con formazione di una cavitazione primaria; segue la produzione di cavitazione secondaria e jet. Il sovrapporsi dei diversi impulsi laser nell’unità di tempo (generalmente a 15-20Hz gli impulsi sono 15-20 per secondo) genera una sovrapposizione di eventi primari generati nel liquido irrigante, con fenomeni di shockwave all’interno del canale e di un risultante energico flusso di irrigante, spinto dall’energia foto acustica dei laser medium infrared. LAI e PIPS hanno lo stesso meccanismo primario, ma differiscono sostanzialmente per i protocolli operatori, i parametri, il disegno delle punte, che sono legati alle diverse tecnologie utilizzate. LAI, prevede una preparazione canalare tradizionale (preparazione apicale con strumenti ISO 30/40), con la punta del laser inserita nel canale e mantenuta ferma a diversa distanza dall’apice, 5 mm dall’apice nel terzo medio del canale (secondo DeMoor). PIPS non prevede l’inserimento della punta nel canale, ma invece il suo posizionamento stazionario in camera pulpare, e richiede per questo una preparazione canalare minima (preparazione apicale con strumenti ISO 20/25). LAI e PIPS producono: •Attivazione fototermica ed fotoacustica degli irriganti : •Produzione di effetti cavitazionali, misurati come 25x superiori a quelli ottenuti con ultrasuoni. •Tempi di irrigazione 3-4 volte inferioriLa famiglia degli Erbium laser rappresenta il solo tipo di laser utilizzabile per queste tecniche, e comprende l’Er,Cr:YSGG (2780 nm) e l’Er:YAG(2940nm), che utilizzano punte da 300 e 400 micron di diametro, con estremità piatta (ad emissione frontale) e conica (ad emissione radiale).(34) In alternativa la tecnica PIPS prevede l’utilizzo di un laser Erbium con una punta specifica, non solo conica ma anche privata della sua guaina di protezione nei 3 mm terminali, permettendo così una maggiore emissione laterale di energia rispetto alla punta end firing e radial firing.(7-8) La punta PIPS è coperta da brevetto ed utilizzabile unicamente con un’apparecchiatura Er:YAG laser specifica e dedicata. L’utilizzo della tecnica PIPS, con l’efficienza dello specifico laser dedicato e della punta, permette l’utilizzo di minore energia emessa da punte più corte (9mm) e di diametro maggiore (600micron), che vanno inserite solo in camera pulpare, eliminando le problematiche di irrigazione/irradiazione dei canali stretti, curvi e/o lunghi e la possibile interazione termica con le pareti dentinali. La tecnica PIPS con la punta posizionata in camera pulpare riempita d’irrigante presenta il vantaggio di ottenere un efficiente flusso tridimensionale nello spazio endodontico senza gli indesiderati effetti termici ( rialzo termico di solo 1,2°C e 1,5°C rispettivamente dopo 20 e a 40 secondi di attivazione), e riducendo la possibilità di estrudere irrigante oltre apice, come riportato quando la punta è posizionata a 5 mm dall’apice. Inoltre la detersione e la decontaminazione da batteri e biofilm non è compromessa dalla preparazione minimale del canale. (9) BIBLIOGRAFIA: (1)-Khayat BG. The use of magnification in endodontic therapy: the operating microscope. Pract Periodontics . 2008, 10(4):15-20. (2)-Krasner P, Rankow HJ. Anatomy of the pulp chamber floor. J Endod 2004; 30: 516Baratieri LN, Ritter AV, onteiro S Jr et al. Non-vital tooth bleaching: guidelines for theclinician. Quintessence Int 1995;26:597-8. (3)-Gorni F. Lamorgese V. Malentacca A. I riassorbimenti radicolari. Parte I:eziopatogenesi, diagnosi e manifestazioni cliniche G It Endo; 2: 36-42. (4)-Lamorgese V Malentacca A Gorni F. I riassorbimenti radicolari. Parte II: la terapia. G ItEndo 1991; 3: 86-95. (5)- Motokawa M, Sasamoto T, Kaku M, Kawata T, Matsuda Y, Terao A, Tanne K.Association between root resorption incident to orthodontic treatment and treatment factors. (6)- De Moor RJ, Meire M, Goharkhay K, Moritz A, Vanobbergen J. Effi cacy of ultrasonic versus laser-activated irrigation to remove artifi cially placed dentin debris plugs. J Endod 2010 Sep;36(9):1580-3. (7)- DiVito E, Peters OA, Olivi G. Effectiveness of the Erbium:YAG laser and new design radial and stripped tips in removing the smear layer after root canal instrumentation. Lasers Med Sci 2010 Dec 1. (8)-G. Olivi, E. DiVito, (Photon Initiated Photoacustic Streaming (Endodonzia fotoacustica con tecnica PIPS) Laser Tribune -Italian Edition Anno III n. 1 - Febbraio 2011 (9) Olivi G, DiVito E, Peters O, Kaitsas V, Angiero F, Signore A, Benedicenti S. Disinfection efficacy of photon-induced photoacoustic streaming on root canals infected with Enterococcus faecalis: an ex vivo study. J Am Dent Assoc. 2014 Aug;145(8):843-8. doi: 10.14219/jada.2014.46.