Documento PDF - Movimento Apostolico

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Intervento di Don Gesualdo De Luca al convegno di
Corsico
I
RELAZIONE
DON GESUALDO DE LUCA
(Corsico, 01 Maggio 2010)
L’USO DELLA BIBBIA NELLA CATECHESI
Premessa
Per descrivere l’uso della Bibbia nella catechesi, diamo prima una brevissima definizione
di catechesi, mettendola in relazione con l’evangelizzazione.
L’”evangelizzazione” si prefigge di “dire il vangelo”; la catechesi vuole “formare nel
vangelo”, inserendo il battezzato nella totalità del mistero di Cristo. Essa, senza mai trascurare
l’aspetto dottrinale per conformare al vangelo il nostro modo di pensare e di progettare la vita,
deve portare
-
alla comunione con Cristo Gesù,
-
all’attiva partecipazione nelle celebrazioni liturgiche,
-
alla pratica della carità e
-
all’inserimento responsabile nella missione della Chiesa.
Questo è compito di tutta la Chiesa, nella globalità della sua vita, e si deve attuare in
maniera permanente nell’esistenza del cristiano, tenendo conto dei criteri della gradualità,
continuità, sistematicità e della necessaria attenzione alle concrete situazioni di vita dei
destinatari.
La fonte a cui la catechesi attinge il suo messaggio è la parola di Dio: “La catechesi
attingerà il suo contenuto alla fonte della parola di Dio, trasmessa nella Tradizione e nella Scrittura,
giacché la Sacra Tradizione e la Sacra Scrittura costituiscono l’unico deposito inviolabile della
parola di Dio, affidato alla Chiesa”[1] (CT 27).
Dunque la Scrittura, letta e compresa nella Tradizione della Chiesa, nella piena comunione
con il Magistero è fonte della catechesi.[2]
L’uso della Scrittura nella catechesi è certamente un fatto a cui non ci si può sottrarre. In
questa relazione vogliamo vedere proprio questo: la necessità di partire sempre dalla Scrittura per
la catechesi, le molteplici modalità di approccio che ci sono state nel corso della storia della Chiesa,
ed il retto accostamento ai testi così come ci suggeriscono i documenti del Magistero della Chiesa.
1. Il metodo dei Padri della Chiesa
Esaminiamo per primo il metodo dei Padri della Chiesa, dei primi secoli dell’era cristiana.
Emergono immediatamente alcuni dati.
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Innanzitutto si coglie come essi riservano una grande attenzione alla Sacra Scrittura. La teologia
patristica è essenzialmente sapienziale, di profonda meditazione della Parola del Signore, che essi
scrutano per cogliere l’essenza della rivelazione divina.
-
Essi partono dalla Sacra Scrittura, nella quale cercano un significato vivo per l’oggi, onde poter
dare un sano nutrimento ai cristiani. Da una parte allora essi hanno una chiara impostazione
ermeneutica: infatti “pensavano che la loro esegesi dei testi fosse completa solo se ne facevano
Dall’altra
emergere il significato per i cristiani del loro tempo nella loro situazione.”[3]
manifestano una chiara finalità ecclesiologica e soteriologica nel loro investigare: l’esegesi
patristica ha tratto “dall’insieme della Scrittura gli orientamenti di base che hanno dato forma alla
tradizione dottrinale della Chiesa e ha fornito un ricco insegnamento teologico per l’istruzione e il
nutrimento spirituali dei fedeli.”[4]
Gli elementi centrali della loro esegesi ed ermeneutica li possiamo così sintetizzare:
- L’Antico ed il Nuovo Testamento vengono letti secondo le categorie di “figura e realtà”, “tipo ed
antitipo” (es Adamo - Cristo).
- Ha molta preponderanza l’immagine, soprattutto nei Padri d’Oriente.
- Il loro approccio alla Scrittura è di fede: essi partono dal “mistero creduto”. Questo mistero
cercano di comprendere e di approfondire, con la finalità di introdurre l’uomo nel mistero di Cristo,
perché possa trovare in Lui redenzione e salvezza. È la mistagogia, che si può sintetizzare con tre
verbi: vedi, contempli, conduci.
- Il “mistero” è Cristo, nel suo mistero di morte e di risurrezione. Contemplando il mistero di Cristo
si aprono alla pienezza della verità, al mistero del Padre del Signore nostro Gesù Cristo, dello
Spirito Santo, della Vergine Maria, Madre del Signore. E’ dal mistero di Cristo che si parte, anche
nelle acquisizioni del Magistero, per il dogma trinitario (Calcedonia) e mariano (Efeso).
- Il fulcro è la parola del Signore (senso letterale), la loro teologia è per una comprensione più
piena del mistero (senso spirituale): è la caratteristica essenziale della loro teologia, che è
sapienziale e contemplativa.
- Il veicolo, il mezzo, di cui si servono per fare teologia è la filosofia e la cultura ellenistica del
tempo. In essi però è sempre chiaro che il mistero supera i concetti, anche se questi vengono
veicolati dal concetto, che tuttavia è sempre inadeguato ad esprimere il mistero. I Padri infatti
hanno sempre al centro la fede ed il mistero, che vogliono cogliere ed approfondire con la
meditazione.
Famosi sono i quattro sensi della Scrittura, fissati nella seguente formulazione[5]: “Littera
gesta docet, quid credas allegoria, moralis quid agas, quo tendas anagogia”.
-
Littera gesta docet, le parole significano cose: senso letterale o storico;
quid credas allegoria,
tipologico[6].
le parole significano altre cose: senso allegorico o spirituale, o
moralis quid agas, le cose compiute da Cristo sono i segni di ciò che noi dobbiamo fare:
senso morale;
quo tendas anagogia, ciò che avrà luogo nella gioia eterna: senso anagogico (il
compimento).
Il loro “metodo teologico” ha una chiara finalità soteriologia: vogliono portare l’uomo nella
pienezza della salvezza, storica ed eterna.
La loro è una catechesi biblica: insegnano al popolo di Dio la Parola di Dio perché si possa
avere vita e salvezza in Cristo, l’uomo Nuovo. Adamo è figura dell’uomo nuovo che è Cristo. Ogni
uomo deve passare dall’uomo vecchio, all’uomo nuovo, inserendosi in Cristo. La via è l’“ascesi”. Un
cammino che ogni uomo deve percorrere e che essi hanno compiuto: sono tutti santi!
In fondo è il metodo che troviamo nel Libro di Neemia dell’Antico Testamento.
2. Il metodo del Libro di Neemia
Allora tutto il popolo si radunò come un solo uomo sulla piazza davanti alla porta delle Acque e
disse allo scriba Esdra di portare il libro della legge di Mosè, che il Signore aveva dato a Israele. 2Il
primo giorno del settimo mese, il sacerdote Esdra portò la legge davanti all’assemblea degli
uomini, delle donne e di quanti erano capaci di intendere.
3Lesse il libro sulla piazza davanti alla porta delle Acque, dallo spuntare della luce fino a
mezzogiorno, in presenza degli uomini, delle donne e di quelli che erano capaci d’intendere; tutto il
popolo tendeva l’orecchio al libro della legge. 4Lo scriba Esdra stava sopra una tribuna di legno,
che avevano costruito per l’occorrenza, e accanto a lui stavano a destra Mattitia, Sema, Anaià,
Uria, Chelkia e Maasia, e a sinistra Pedaià, Misaele, Malchia, Casum, Casbaddana, Zaccaria e
Mesullàm.
5Esdra aprì il libro in presenza di tutto il popolo, poiché stava più in alto di tutti; come ebbe
aperto il libro, tutto il popolo si alzò in piedi. 6Esdra benedisse il Signore, Dio grande, e tutto il
popolo rispose: «Amen, amen», alzando le mani; si inginocchiarono e si prostrarono con la faccia a
terra dinanzi al Signore. 7Giosuè, Banì, Serebia, Iamin, Akkub, Sabbetài, Odia, Maasia, Kelità,
Azaria, Iozabàd, Canan, Pelaià e i leviti spiegavano la legge al popolo e il popolo stava in piedi.
8Essi leggevano il libro della legge di Dio a brani distinti e spiegavano il senso, e così facevano
comprendere la lettura. 9Neemia, che era il governatore, Esdra, sacerdote e scriba, e i leviti che
ammaestravano il popolo dissero a tutto il popolo: «Questo giorno è consacrato al Signore, vostro
Dio; non fate lutto e non piangete!». Infatti tutto il popolo piangeva, mentre ascoltava le parole
della legge. 10Poi Neemia disse loro: «Andate, mangiate carni grasse e bevete vini dolci e mandate
porzioni a quelli che nulla hanno di preparato, perché questo giorno è consacrato al Signore nostro;
non vi rattristate, perché la gioia del Signore è la vostra forza». 11I leviti calmavano tutto il popolo
dicendo: «Tacete, perché questo giorno è santo; non vi rattristate!». 12Tutto il popolo andò a
mangiare, a bere, a mandare porzioni e a esultare con grande gioia, perché avevano compreso le
parole che erano state loro proclamate. (Ne 8,1-12)
Il contesto in cui si colloca il Libro di Neemia è quello del rientro dall’esilio di Babilonia.
Bisogna rifare il tessuto sociale della vita del popolo di Dio che arriva dalla deportazione: ebbene
per ridare vita al popolo di Dio, si parte dalla parola di Dio, che viene annunciata, letta, spiegata e
fatta comprendere brano per brano, parola per parola: dal rinnovamento della parola, al
rinnovamento sociale.
È il metodo che oggi usa il Movimento Apostolico e del quale vi parlerà fra poco la
Presidente e che potrete trovare nel nostro sito
www.movimentoapostolico.it al link “modello di
catechesi”.
3. Il metodo del Movimento Apostolico
Nella catechesi del Movimento Apostolico si parte dalla parola di Dio, letta e compresa
secondo la totalità della fede della Chiesa, avendo come obiettivo la propria santificazione e la
santificazione del mondo, attraverso la testimonianza della carità e l'annunzio della parola. E' lo
stesso metodo della Chiesa nascente: dalla conversione alla santificazione, dalla nascita alla fede
all'annunzio della fede con la testimonianza della vita. Cristiani santi per santificare i fratelli.
Quello del Movimento è un modello di catechesi che è insieme: biblico-teologico-liturgicoascetico-sacramentale e che presenta delle caratteristiche bene definite:
1) La continuità: è un programma che non si esaurisce nel tempo e nello spazio.
Non finisce con la catechesi vera e propria (continua nelle case e nelle famiglie, con gli
approfondimenti personali).
Non termina come corso. E' una costante e diuturna meditazione della Parola, secondo la
fede della Chiesa.
Non si limita ad illuminare l'intelligenza.
2) E' diretto al cuore e quindi alla conversione, alla santificazione.
Per questo è unito alla preghiera e ai sacramenti, assieme alla direzione spirituale.
3) Sono coinvolti tutti i laici attraverso la stessa metodologia usata.
Breve spiegazione ed introduzione del tema.
Molto tempo offerto alla domanda e all'esigenza particolare.
Tutti possono intervenire per chiedere spiegazioni.
4) La catechesi è dialogica nella domanda, ma non nella risposta, poiché essa è data
sempre da colui che tiene la catechesi. Mentre la domanda manifesta il dubbio, o l'incertezza di
colui che la chiede, la risposta rivela ed esprime sempre la fede della Chiesa. La certezza della
verità rivelata nutre l'anima e riscalda il cuore alla fede, alla carità e alla speranza.
5) La catechesi diviene forma di vita, stile di esistenza, condizione dell'essere per il suo
retto comportamento.
6) Diviene anche educazione a vivere la propria missione e a rispondere a Dio che chiama
(in tal senso aiuta anche e favorisce le diverse vocazioni all'interno del popolo cristiano).
7) E' tenuta da un teologo, con continuità, assiduità, sistematicità.
Motivi per cui si è scelto questo "modello"
-
Bisognava rifondare la fede nel cuore dei credenti.
Urgeva unire Parola e fede, catechesi e vita, catechesi e sacramenti,
santificazione e trasformazione del mondo.
Occorreva un modello di educazione globale alla vita cristiana dentro e fuori la
Chiesa, prima e dopo la celebrazione dei sacramenti.
Era necessario "inventare" qualcosa che accompagnasse costantemente il
credente nel cammino della sua crescita spirituale. Una catechesi che fosse insieme educazione
alla fede, alla liturgia, alla vita, alla santità, in un momento di comunione con gli altri fratelli, con la
stessa famiglia ed anche da soli era e rimane per noi l'unica via da percorrere se si vogliono frutti
di santità.
Si è scelto questo modello, anche perché si constatava altrove la frantumazione
della verità e la sua elevata "personalizzazione". Molte volte la catechesi era una vana discussione
e un susseguirsi di incertezze e di dubbi. Un vuoto dialogo di incertezze, di ipotesi, di supposizioni.
Le poche verità dette venivano assorbite dalle moltissime non-verità asserite, pronunciate, lasciate
ad intendere, volutamente seminate come pietra di inciampo sui deboli e sugli incerti.
L'esigenza educativa fondamentale è: la rifondazione della vita di fede, di speranza e di
carità. Un'altra esigenza è l'aiuto dottrinale e quindi di conoscenza a ben operare nella vita
ecclesiale; rendere cioè capaci tutti di assumersi nella Chiesa una ministerialità e portarla a
compimento con responsabilità, con retta coscienza, secondo la verità della fede, unitamente alla
regola della carità e alla norma della speranza.
Altra esigenza, non di minore importanza: vuole che tutti siano capaci di parlare la propria
fede e di annunziarla in ogni ambito e circostanza della vita. La testimonianza della carità,
l'esempio della santità, deve essere intimamente congiunto con la "professione" della propria fede
con chiarezza di contenuti, con metodologie appropriate, con linguaggio certo, con la
testimonianza della Scrittura, della storia della fede e della teologia, con l'attualità del Magistero
della Chiesa universale e particolare.
Il contenuto della catechesi è la fede nella sua globalità di Rivelazione, di Tradizione, di
Magistero, partendo dal testo della Scrittura, letta con la fede della Chiesa, di ieri ed oggi.
A poco a poco si sta formando un popolo credente e fedele, inserito attivamente e
responsabilmente nella missione della Chiesa e nel mondo, sempre in collaborazione ed
obbedienza di fede ai pastori.
Il Medio Evo: rivoluzione in teologia
Nel Medio Evo, la teologia acquista lo statuto di scienza e come veicolo usa le categorie
aristoteliche. Per il Medio Evo è scienza tutto ciò che si fonda su principi primi ed indimostrabili, dai
quali si deduce e si argomenta. La teologia viene veicolata attraverso le categorie aristoteliche:
causa prima, causa seconda, causa formale, atto puro…. Ed ancora oggi tanta teologia è così!
Aristotele però, in quel periodo, era compreso solo dai dotti e non dalla gente comune. Tutto
ciò creò uno stacco tra teologia e vita dei fedeli. Il popolo di Dio infatti non aveva accesso alla
teologia e si rivolse alla pietà popolare, molte volte fatta da non teologi. La fede dunque era nutrita
dalla pietà popolare e non dalla teologia, le cui categorie non erano comprensibili.
La Scrittura, in questo contesto, viene presa come principio primo ed indimostrabile, per cui
ogni parola era principio di deduzione. Prendendo la Parola “uti iacet”, così come si trova, non c’è
più la meditazione su di essa, non c’è più sviluppo esegetico. Nascono i grandi commentari della
Bibbia, sorgono le varie branche della teologia e il “mistero” viene separato nei suoi aspetti, con la
conseguenza di perdere, spesso – come succede anche oggi –, il principio di unità.
San Tommaso segue questo metodo. Ha sempre la Sacra Scrittura a fondamento, ma fa
molti ragionamenti partendo dalle categorie aristoteliche, più che dalla Scrittura. Pertanto,
leggendo San Tommaso, bisogna sempre vedere se parla la Scrittura o se parla Aristotele.
Con lui tuttavia inizia un processo di “morte della teologia”: nasce il nominalismo. Se per
Tommaso la Scrittura è fondamento, per i nominalisti i fondamenti sono i “loci teologici”, cioè i
principi teologici: Scrittura, storia, tradizione, filologia, giurisprudenza…[7]
Perdendo del tutto o relativizzando la Scrittura, di fatto non si fa più teologia! Per i Padri
infatti la Scrittura è tutto. Per Tommaso è il principio da cui dedurre. Per il nominalismo è uno dei
principi.
Al centro della teologia dei Padri c’è Cristo, il mistero, il Sacramento, la vita che deve essere
portata nel Vangelo. Per il Medio Evo invece, al centro c’è il concetto, la scienza.
I Padri vedono l’uomo nella storia: un uomo chiamato a passare dalla morte alla vita, in
Cristo Gesù. Nel Medio Evo entra l’uomo aristotelico, statico, non storico, non dinamico:
l’accentuazione è posta sulla razionalità, sull’unità di anima razionale e di corpo
La Scrittura viene poi ripresa da Lutero, ma attraverso la libera interpretazione: “sola
sciptura, sine ecclesia”. La Chiesa, dal Concilio di Trento in poi, per togliere la libera
interpretazione, di fatto toglie la Scrittura, per cui, per ben quattro secoli, abbiamo avuto una
teologia senza Scrittura.
Fino a quando il Concilio Vaticano II, nella costituzione Dei Verbum, non l’ha rimessa a
fondamento della teologia e della vita della Chiesa: «La sacra teologia si basa come su un
fondamento perenne sulla parola di Dio scritta, inseparabile dalla sacra Tradizione; in essa
vigorosamente si consolida e si ringiovanisce sempre, scrutando alla luce della fede ogni verità
racchiusa nel mistero di Cristo. Le sacre Scritture contengono la parola di Dio e, perché ispirate,
sono veramente parola di Dio, sia dunque lo studio delle sacre pagine come l'anima della sacra
teologia. Anche il ministero della parola, cioè la predicazione pastorale, la catechesi e ogni tipo di
istruzione cristiana, nella quale l'omelia liturgica deve avere un posto privilegiato, trova in questa
stessa parola della Scrittura un sano nutrimento e un santo vigore.» (DV 24)
L’interpretazione della Scrittura nella Chiesa
Il problema che si pone dunque è innanzitutto quello di utilizzare la Scrittura come fonte
della catechesi e nello stesso tempo di una sua una corretta interpretazione.
La Costituzione conciliare sulla divina rivelazione del Concilio Vaticano II, Dei Verbum, al
12 ci indica i tratti di una corretta ermeneutica biblica:
12. Poiché Dio nella sacra Scrittura ha parlato per mezzo di uomini alla maniera umana (22),
l'interprete della sacra Scrittura, per capir bene ciò che egli ha voluto comunicarci, deve ricercare
con attenzione che cosa gli agiografi abbiano veramente voluto dire e a Dio è piaciuto manifestare
con le loro parole.
Per ricavare l'intenzione degli agiografi, si deve tener conto fra l'altro anche dei generi letterari. La
verità infatti viene diversamente proposta ed espressa in testi in vario modo storici, o profetici, o
poetici, o anche in altri generi di espressione. È necessario adunque che l'interprete ricerchi il
senso che l'agiografo in determinate circostanze, secondo la condizione del suo tempo e della sua
cultura, per mezzo dei generi letterari allora in uso, intendeva esprimere ed ha di fatto espresso
(23). Per comprendere infatti in maniera esatta ciò che l'autore sacro volle asserire nello scrivere,
si deve far debita attenzione sia agli abituali e originali modi di sentire, di esprimersi e di
raccontare vigenti ai tempi dell'agiografo, sia a quelli che nei vari luoghi erano allora in uso nei
rapporti umani (24).
Perciò, dovendo la sacra Scrittura esser letta e interpretata alla luce dello stesso Spirito mediante il
quale è stata scritta (25), per ricavare con esattezza il senso dei sacri testi, si deve badare con non
minore diligenza al contenuto e all'unità di tutta la Scrittura, tenuto debito conto della viva
tradizione di tutta la Chiesa e dell'analogia della fede. È compito degli esegeti contribuire,
seguendo queste norme, alla più profonda intelligenza ed esposizione del senso della sacra
Scrittura, affinché mediante i loro studi, in qualche modo preparatori, maturi il giudizio della
Chiesa. Quanto, infatti, è stato qui detto sul modo di interpretare la Scrittura, è sottoposto in ultima
istanza al giudizio della Chiesa, la quale adempie il divino mandato e ministero di conservare e
interpretare la parola di Dio (26).
Cosa dice questo testo:
La Scrittura va letta ed interpretata secondo i criteri esegetici ed ermeneutici[8].
L’esegesi coglie il significato “reale” del testo, attraverso la critica storico-letteraria. La
Scrittura infatti è data in una storia, attraverso un linguaggio umano. È necessario pertanto sapere
cosa ha voluto dire lì quell’autore, in quella particolare circostanza storica, con quel linguaggio
specifico.
L’ermeneutica dona la comprensione piena del testo: essa si fonda sull’esegesi, ma anche
sul suo superamento, attraverso alcuni elementi costitutivi che sono:
-
la globalità della rivelazione, che dona senso pieno e definitivo ai singoli brani;
-
l’unità dell’autore ispirante – lo Spirito Santo – che prepara ed anche compie il contenuto della
rivelazione (cf Is 7,14 e Mt 1,22-23 “Tutto questo è avvenuto perché si compisse ciò che era stato
detto dal Signore per mezzo del profeta: Ecco, la vergine concepirà e darà alla luce un figlio: a lui
sarà dato il nome di Emmanuele, che significa Dio con noi”;
-
la prospettiva storico-profetica della parola che, quando è pronunciata, contiene uno sviluppo
futuro anche se non è compreso dai contemporanei (es. cieli nuovi e terre nuove);
-
la fede della Chiesa, che definisce il contenuto della Scrittura che lo Spirito di Dio, Persona
vivente dentro la Chiesa, fa comprendere. La verità è detta dallo Spirito Santo che può parlare
attraverso ogni cristiano - che è sacerdote, re e profeta – ma viene sottoposta al discernimento del
Magistero;
-
l’unità di Scrittura, Tradizione e Magistero.
Il Documento della Pontificia Commissione Biblica, L'interpretazione della Bibbia nella Chiesa,
del 15 aprile 1993, lo specifica ulteriormente: non si può far dire alla Scrittura quello che si vuole, a
causa della nostra ignoranza. Occorre una corretta ermeneutica biblica che sgombri il campo ad
ogni interpretazione soggettiva, fondamentalista o frutto di ignoranza.
Conclusione
Abbiamo fatto un excursus veloce sull’utilizzazione della Scrittura nella catechesi.
Abbiamo visto come l’uso della Scrittura, interpretata secondo la fede della Chiesa, sia
fondamentale nella catechesi per la crescita del popolo di Dio. I Padri, i Vescovi dell’antichità erano
catecheti per Eccellenza. Poi nel Medioevo sorgono i dotti teologi e i grandi vescovi che si
occupavano della compera e della vendita dei benefici ecclesiastici.
Da qui tanta trascuratezza ed ignoranza della Scrittura. Una delle piaghe di Rosmini era
proprio l'ignoranza dei Vescovi in materia di fede. Per alcuni secoli – dopo il Concilio di Trento – la
Scrittura fu tolta in mano ai Laici. Solo con il Concilio Vaticano II la Chiesa si riappropria della
Scrittura, ma ci sono ancora tanti rischi, legati alla somma ignoranza da parte di molti, per cui oggi
si fa dire alla Scrittura quello che si vuole.
Non possiamo più trascurare la Parola di Dio: dobbiamo metterla al centro della nostra vita e
della nostra missione, come ci ha ribadito il recente Sinodo dei Vescovi dal titolo “La parola di Dio
nella vita e nella missione della Chiesa”.
Per gli aderenti del Movimento Apostolico significa entrare nel vivo del proprio carisma,
appunto l’annuncio ed il ricordo del Vangelo al mondo che l’ha dimenticato. La Vergine Maria,
Madre della Redenzione, la donna nel cui seno il Verbo si è fatto carne ci chiede di ricordare la
Parola della vita, il Figlio suo, Parola eterna. Crescere nella conoscenza della parola di Dio è
fondamentale per vivere la missione del ricordo del Vangelo.
È quanto ci auguriamo: accostarci alla Parola con grande rispetto ed amore, per conoscerla
in maniera globale e farla conoscere, amarla e farla amare, viverla ed invitare a viverla, nella
certezza che in essa c’è la vita eterna.
[1] CT 27
[2] Cf. CONGREGAZIONE PER IL CLERO, Direttorio Generale per la catechesi, 94-96.
[3] PONTIFICIA COMMISSIONE BIBLICA, L'interpretazione della Bibbia nella Chiesa, Roma 15
aprile 1993, II A 2.
[4] Ivi, III B 2
[5] “A sintetizzare i quattro sensi della Scrittura in questo famoso distico è stato il domenicano
Agostino di Dacia, vissuto nel XII secolo. L’esegesi antica, che non poteva evidentemente prendere
in considerazione le esigenze scientifiche moderne, attribuiva a ogni testo della Scrittura diversi
livelli di significato. La distinzione più corrente era quella tra senso letterale e senso spirituale.
L’esegesi medievale distinse nel senso spirituale tre aspetti differenti, in rapporto, rispettivamente,
con la verità rivelata, il comportamento da seguire e il compimento finale. Da lì il celebre distico di
Agostino di Danimarca (XIII sec.): «Littera gesta docet, quid credas allegoria, moralis quid agas,
quid speres anagogia».” (PONTIFICIA COMMISSIONE BIBLICA, L'interpretazione della Bibbia nella
Chiesa, 15 aprile 1993, II B)
[6] Cfr. Eb 10,1: «Poiché la legge possiede solo un’ombra dei beni futuri e non la realtà
stessa delle cose, non ha il potere di condurre alla perfezione, per mezzo di quei sacrifici che si
offrono di anno in anno, coloro che riaccostano a Dio».
[7] Cano (morto nel 1560) ha applicato il termine loci theologici a un trattato sui principi
fondamentali o le fonti della scienza teologica. Sulla soglia di ogni scienza sorge un complesso di
principi preliminari, postulati, e le domande, che deve essere chiarita prima che il progresso è
possibile. Alcune sono comuni a tutte le scienze, alcuni sono proprie di ciascuna. Prima di Cano le
questioni pregiudiziali alla teologia non era mai stata trattata come una scienza a parte, la
dialettica generale, essendo considerato una introduzione sufficiente. Cano osserva che la "Regina
delle Scienze" trae le sue argomentazioni e prove principalmente da autorità, e chiede solo nella
ragione come l'ancella della fede. Di conseguenza egli stabilisce dieci loci - Fonti della teologia senza, tuttavia, fingendo di limitare a quel numero. Essi sono: l'autorità della Sacra Scrittura, di
tradizione cattolica, dei consigli generali, della Chiesa di Roma, dei Padri, degli Scolastici; ragione
naturale, l'autorità di filosofi e dottori in diritto civile, e l'autorità della storia. Le prime sette sono i
luoghi che si muove proprio in teologia, gli ultimi tre gli ausiliari utili. lavoro Melchior Cano ha dato
una nuova svolta per l'insegnamento teologico. Molto di ciò che prima del suo tempo era stato dato
per scontato, o, nella migliore delle ipotesi, solo vagamente indagato, è diventato il tema preferito
delle scuole. I fondamenti della teologia, che era rimasto incorporato nella mente cristiana, sono
state messe a nudo, ha esaminato, rafforzato, e in condizioni di sicurezza sia per il credente
all'interno della Chiesa e contro il nemico senza. Il metodo scientifico che dà nulla per scontato, ma
indaga e sonde per la stessa radice ogni elemento di conoscenza, non è una cosa di ieri, e tanto
meno un bambino di tendenze anti-cattolico: il Vescovo Melchior Cano ha introdotto come la
migliore arma di offesa e la difesa in guerre di religione. Il "Loci theologici" è stato pubblicato la
prima volta nel 1563, tre anni dopo la morte dell'autore, dal Grande Inquisitore Valdes. Ventisei
edizioni di seguito il primo: otto in Spagna, nove in Italia, sette in Germania e due in Francia.
Numerosi scrittori nel corso dei secoli seguenti opere prodotte sulla stessa linea: Seraphimus
Ractius (Razzi) (morto nel 1613), Petrus de Lorca (morto nel 1606), Dominicus a S. Trinitate (morto
nel 1687), cap. du Plessis d'Argentrée (morto nel 1740), Franciscus Kranz, e molti altri.
Gradualmente l'oggetto della
loci entrò nel corpo di teologia sotto il titolo di "Prolegomeni",
dogmatica generale, la teologia fondamentale, o apologetica. In "Un manuale di teologia cattolica",
da Wilhelm e Scannell (Londra, 1906), i loci sono trattati nel primo libro sotto le seguenti voci: le
fonti di conoscenza teologica, la rivelazione divina, la trasmissione della rivelazione, il deposito
apostolico della rivelazione ; tradizioni ecclesiastiche, la regola della fede, la fede, la fede e la
comprensione.
[8] Cfr. in particolare: CONCILIO ECUMENICO VATICANO II, Costituzione dogmatica Dei Verbum
n. 12; PONTIFICIA COMMISSIONE BIBLICA, L'interpretazione della Bibbia nella Chiesa, 15 aprile
1993.
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