Intervento di Don Gesualdo De Luca al convegno di Corsico I RELAZIONE DON GESUALDO DE LUCA (Corsico, 01 Maggio 2010) L’USO DELLA BIBBIA NELLA CATECHESI Premessa Per descrivere l’uso della Bibbia nella catechesi, diamo prima una brevissima definizione di catechesi, mettendola in relazione con l’evangelizzazione. L’”evangelizzazione” si prefigge di “dire il vangelo”; la catechesi vuole “formare nel vangelo”, inserendo il battezzato nella totalità del mistero di Cristo. Essa, senza mai trascurare l’aspetto dottrinale per conformare al vangelo il nostro modo di pensare e di progettare la vita, deve portare - alla comunione con Cristo Gesù, - all’attiva partecipazione nelle celebrazioni liturgiche, - alla pratica della carità e - all’inserimento responsabile nella missione della Chiesa. Questo è compito di tutta la Chiesa, nella globalità della sua vita, e si deve attuare in maniera permanente nell’esistenza del cristiano, tenendo conto dei criteri della gradualità, continuità, sistematicità e della necessaria attenzione alle concrete situazioni di vita dei destinatari. La fonte a cui la catechesi attinge il suo messaggio è la parola di Dio: “La catechesi attingerà il suo contenuto alla fonte della parola di Dio, trasmessa nella Tradizione e nella Scrittura, giacché la Sacra Tradizione e la Sacra Scrittura costituiscono l’unico deposito inviolabile della parola di Dio, affidato alla Chiesa”[1] (CT 27). Dunque la Scrittura, letta e compresa nella Tradizione della Chiesa, nella piena comunione con il Magistero è fonte della catechesi.[2] L’uso della Scrittura nella catechesi è certamente un fatto a cui non ci si può sottrarre. In questa relazione vogliamo vedere proprio questo: la necessità di partire sempre dalla Scrittura per la catechesi, le molteplici modalità di approccio che ci sono state nel corso della storia della Chiesa, ed il retto accostamento ai testi così come ci suggeriscono i documenti del Magistero della Chiesa. 1. Il metodo dei Padri della Chiesa Esaminiamo per primo il metodo dei Padri della Chiesa, dei primi secoli dell’era cristiana. Emergono immediatamente alcuni dati. - Innanzitutto si coglie come essi riservano una grande attenzione alla Sacra Scrittura. La teologia patristica è essenzialmente sapienziale, di profonda meditazione della Parola del Signore, che essi scrutano per cogliere l’essenza della rivelazione divina. - Essi partono dalla Sacra Scrittura, nella quale cercano un significato vivo per l’oggi, onde poter dare un sano nutrimento ai cristiani. Da una parte allora essi hanno una chiara impostazione ermeneutica: infatti “pensavano che la loro esegesi dei testi fosse completa solo se ne facevano Dall’altra emergere il significato per i cristiani del loro tempo nella loro situazione.”[3] manifestano una chiara finalità ecclesiologica e soteriologica nel loro investigare: l’esegesi patristica ha tratto “dall’insieme della Scrittura gli orientamenti di base che hanno dato forma alla tradizione dottrinale della Chiesa e ha fornito un ricco insegnamento teologico per l’istruzione e il nutrimento spirituali dei fedeli.”[4] Gli elementi centrali della loro esegesi ed ermeneutica li possiamo così sintetizzare: - L’Antico ed il Nuovo Testamento vengono letti secondo le categorie di “figura e realtà”, “tipo ed antitipo” (es Adamo - Cristo). - Ha molta preponderanza l’immagine, soprattutto nei Padri d’Oriente. - Il loro approccio alla Scrittura è di fede: essi partono dal “mistero creduto”. Questo mistero cercano di comprendere e di approfondire, con la finalità di introdurre l’uomo nel mistero di Cristo, perché possa trovare in Lui redenzione e salvezza. È la mistagogia, che si può sintetizzare con tre verbi: vedi, contempli, conduci. - Il “mistero” è Cristo, nel suo mistero di morte e di risurrezione. Contemplando il mistero di Cristo si aprono alla pienezza della verità, al mistero del Padre del Signore nostro Gesù Cristo, dello Spirito Santo, della Vergine Maria, Madre del Signore. E’ dal mistero di Cristo che si parte, anche nelle acquisizioni del Magistero, per il dogma trinitario (Calcedonia) e mariano (Efeso). - Il fulcro è la parola del Signore (senso letterale), la loro teologia è per una comprensione più piena del mistero (senso spirituale): è la caratteristica essenziale della loro teologia, che è sapienziale e contemplativa. - Il veicolo, il mezzo, di cui si servono per fare teologia è la filosofia e la cultura ellenistica del tempo. In essi però è sempre chiaro che il mistero supera i concetti, anche se questi vengono veicolati dal concetto, che tuttavia è sempre inadeguato ad esprimere il mistero. I Padri infatti hanno sempre al centro la fede ed il mistero, che vogliono cogliere ed approfondire con la meditazione. Famosi sono i quattro sensi della Scrittura, fissati nella seguente formulazione[5]: “Littera gesta docet, quid credas allegoria, moralis quid agas, quo tendas anagogia”. - Littera gesta docet, le parole significano cose: senso letterale o storico; quid credas allegoria, tipologico[6]. le parole significano altre cose: senso allegorico o spirituale, o moralis quid agas, le cose compiute da Cristo sono i segni di ciò che noi dobbiamo fare: senso morale; quo tendas anagogia, ciò che avrà luogo nella gioia eterna: senso anagogico (il compimento). Il loro “metodo teologico” ha una chiara finalità soteriologia: vogliono portare l’uomo nella pienezza della salvezza, storica ed eterna. La loro è una catechesi biblica: insegnano al popolo di Dio la Parola di Dio perché si possa avere vita e salvezza in Cristo, l’uomo Nuovo. Adamo è figura dell’uomo nuovo che è Cristo. Ogni uomo deve passare dall’uomo vecchio, all’uomo nuovo, inserendosi in Cristo. La via è l’“ascesi”. Un cammino che ogni uomo deve percorrere e che essi hanno compiuto: sono tutti santi! In fondo è il metodo che troviamo nel Libro di Neemia dell’Antico Testamento. 2. Il metodo del Libro di Neemia Allora tutto il popolo si radunò come un solo uomo sulla piazza davanti alla porta delle Acque e disse allo scriba Esdra di portare il libro della legge di Mosè, che il Signore aveva dato a Israele. 2Il primo giorno del settimo mese, il sacerdote Esdra portò la legge davanti all’assemblea degli uomini, delle donne e di quanti erano capaci di intendere. 3Lesse il libro sulla piazza davanti alla porta delle Acque, dallo spuntare della luce fino a mezzogiorno, in presenza degli uomini, delle donne e di quelli che erano capaci d’intendere; tutto il popolo tendeva l’orecchio al libro della legge. 4Lo scriba Esdra stava sopra una tribuna di legno, che avevano costruito per l’occorrenza, e accanto a lui stavano a destra Mattitia, Sema, Anaià, Uria, Chelkia e Maasia, e a sinistra Pedaià, Misaele, Malchia, Casum, Casbaddana, Zaccaria e Mesullàm. 5Esdra aprì il libro in presenza di tutto il popolo, poiché stava più in alto di tutti; come ebbe aperto il libro, tutto il popolo si alzò in piedi. 6Esdra benedisse il Signore, Dio grande, e tutto il popolo rispose: «Amen, amen», alzando le mani; si inginocchiarono e si prostrarono con la faccia a terra dinanzi al Signore. 7Giosuè, Banì, Serebia, Iamin, Akkub, Sabbetài, Odia, Maasia, Kelità, Azaria, Iozabàd, Canan, Pelaià e i leviti spiegavano la legge al popolo e il popolo stava in piedi. 8Essi leggevano il libro della legge di Dio a brani distinti e spiegavano il senso, e così facevano comprendere la lettura. 9Neemia, che era il governatore, Esdra, sacerdote e scriba, e i leviti che ammaestravano il popolo dissero a tutto il popolo: «Questo giorno è consacrato al Signore, vostro Dio; non fate lutto e non piangete!». Infatti tutto il popolo piangeva, mentre ascoltava le parole della legge. 10Poi Neemia disse loro: «Andate, mangiate carni grasse e bevete vini dolci e mandate porzioni a quelli che nulla hanno di preparato, perché questo giorno è consacrato al Signore nostro; non vi rattristate, perché la gioia del Signore è la vostra forza». 11I leviti calmavano tutto il popolo dicendo: «Tacete, perché questo giorno è santo; non vi rattristate!». 12Tutto il popolo andò a mangiare, a bere, a mandare porzioni e a esultare con grande gioia, perché avevano compreso le parole che erano state loro proclamate. (Ne 8,1-12) Il contesto in cui si colloca il Libro di Neemia è quello del rientro dall’esilio di Babilonia. Bisogna rifare il tessuto sociale della vita del popolo di Dio che arriva dalla deportazione: ebbene per ridare vita al popolo di Dio, si parte dalla parola di Dio, che viene annunciata, letta, spiegata e fatta comprendere brano per brano, parola per parola: dal rinnovamento della parola, al rinnovamento sociale. È il metodo che oggi usa il Movimento Apostolico e del quale vi parlerà fra poco la Presidente e che potrete trovare nel nostro sito www.movimentoapostolico.it al link “modello di catechesi”. 3. Il metodo del Movimento Apostolico Nella catechesi del Movimento Apostolico si parte dalla parola di Dio, letta e compresa secondo la totalità della fede della Chiesa, avendo come obiettivo la propria santificazione e la santificazione del mondo, attraverso la testimonianza della carità e l'annunzio della parola. E' lo stesso metodo della Chiesa nascente: dalla conversione alla santificazione, dalla nascita alla fede all'annunzio della fede con la testimonianza della vita. Cristiani santi per santificare i fratelli. Quello del Movimento è un modello di catechesi che è insieme: biblico-teologico-liturgicoascetico-sacramentale e che presenta delle caratteristiche bene definite: 1) La continuità: è un programma che non si esaurisce nel tempo e nello spazio. Non finisce con la catechesi vera e propria (continua nelle case e nelle famiglie, con gli approfondimenti personali). Non termina come corso. E' una costante e diuturna meditazione della Parola, secondo la fede della Chiesa. Non si limita ad illuminare l'intelligenza. 2) E' diretto al cuore e quindi alla conversione, alla santificazione. Per questo è unito alla preghiera e ai sacramenti, assieme alla direzione spirituale. 3) Sono coinvolti tutti i laici attraverso la stessa metodologia usata. Breve spiegazione ed introduzione del tema. Molto tempo offerto alla domanda e all'esigenza particolare. Tutti possono intervenire per chiedere spiegazioni. 4) La catechesi è dialogica nella domanda, ma non nella risposta, poiché essa è data sempre da colui che tiene la catechesi. Mentre la domanda manifesta il dubbio, o l'incertezza di colui che la chiede, la risposta rivela ed esprime sempre la fede della Chiesa. La certezza della verità rivelata nutre l'anima e riscalda il cuore alla fede, alla carità e alla speranza. 5) La catechesi diviene forma di vita, stile di esistenza, condizione dell'essere per il suo retto comportamento. 6) Diviene anche educazione a vivere la propria missione e a rispondere a Dio che chiama (in tal senso aiuta anche e favorisce le diverse vocazioni all'interno del popolo cristiano). 7) E' tenuta da un teologo, con continuità, assiduità, sistematicità. Motivi per cui si è scelto questo "modello" - Bisognava rifondare la fede nel cuore dei credenti. Urgeva unire Parola e fede, catechesi e vita, catechesi e sacramenti, santificazione e trasformazione del mondo. Occorreva un modello di educazione globale alla vita cristiana dentro e fuori la Chiesa, prima e dopo la celebrazione dei sacramenti. Era necessario "inventare" qualcosa che accompagnasse costantemente il credente nel cammino della sua crescita spirituale. Una catechesi che fosse insieme educazione alla fede, alla liturgia, alla vita, alla santità, in un momento di comunione con gli altri fratelli, con la stessa famiglia ed anche da soli era e rimane per noi l'unica via da percorrere se si vogliono frutti di santità. Si è scelto questo modello, anche perché si constatava altrove la frantumazione della verità e la sua elevata "personalizzazione". Molte volte la catechesi era una vana discussione e un susseguirsi di incertezze e di dubbi. Un vuoto dialogo di incertezze, di ipotesi, di supposizioni. Le poche verità dette venivano assorbite dalle moltissime non-verità asserite, pronunciate, lasciate ad intendere, volutamente seminate come pietra di inciampo sui deboli e sugli incerti. L'esigenza educativa fondamentale è: la rifondazione della vita di fede, di speranza e di carità. Un'altra esigenza è l'aiuto dottrinale e quindi di conoscenza a ben operare nella vita ecclesiale; rendere cioè capaci tutti di assumersi nella Chiesa una ministerialità e portarla a compimento con responsabilità, con retta coscienza, secondo la verità della fede, unitamente alla regola della carità e alla norma della speranza. Altra esigenza, non di minore importanza: vuole che tutti siano capaci di parlare la propria fede e di annunziarla in ogni ambito e circostanza della vita. La testimonianza della carità, l'esempio della santità, deve essere intimamente congiunto con la "professione" della propria fede con chiarezza di contenuti, con metodologie appropriate, con linguaggio certo, con la testimonianza della Scrittura, della storia della fede e della teologia, con l'attualità del Magistero della Chiesa universale e particolare. Il contenuto della catechesi è la fede nella sua globalità di Rivelazione, di Tradizione, di Magistero, partendo dal testo della Scrittura, letta con la fede della Chiesa, di ieri ed oggi. A poco a poco si sta formando un popolo credente e fedele, inserito attivamente e responsabilmente nella missione della Chiesa e nel mondo, sempre in collaborazione ed obbedienza di fede ai pastori. Il Medio Evo: rivoluzione in teologia Nel Medio Evo, la teologia acquista lo statuto di scienza e come veicolo usa le categorie aristoteliche. Per il Medio Evo è scienza tutto ciò che si fonda su principi primi ed indimostrabili, dai quali si deduce e si argomenta. La teologia viene veicolata attraverso le categorie aristoteliche: causa prima, causa seconda, causa formale, atto puro…. Ed ancora oggi tanta teologia è così! Aristotele però, in quel periodo, era compreso solo dai dotti e non dalla gente comune. Tutto ciò creò uno stacco tra teologia e vita dei fedeli. Il popolo di Dio infatti non aveva accesso alla teologia e si rivolse alla pietà popolare, molte volte fatta da non teologi. La fede dunque era nutrita dalla pietà popolare e non dalla teologia, le cui categorie non erano comprensibili. La Scrittura, in questo contesto, viene presa come principio primo ed indimostrabile, per cui ogni parola era principio di deduzione. Prendendo la Parola “uti iacet”, così come si trova, non c’è più la meditazione su di essa, non c’è più sviluppo esegetico. Nascono i grandi commentari della Bibbia, sorgono le varie branche della teologia e il “mistero” viene separato nei suoi aspetti, con la conseguenza di perdere, spesso – come succede anche oggi –, il principio di unità. San Tommaso segue questo metodo. Ha sempre la Sacra Scrittura a fondamento, ma fa molti ragionamenti partendo dalle categorie aristoteliche, più che dalla Scrittura. Pertanto, leggendo San Tommaso, bisogna sempre vedere se parla la Scrittura o se parla Aristotele. Con lui tuttavia inizia un processo di “morte della teologia”: nasce il nominalismo. Se per Tommaso la Scrittura è fondamento, per i nominalisti i fondamenti sono i “loci teologici”, cioè i principi teologici: Scrittura, storia, tradizione, filologia, giurisprudenza…[7] Perdendo del tutto o relativizzando la Scrittura, di fatto non si fa più teologia! Per i Padri infatti la Scrittura è tutto. Per Tommaso è il principio da cui dedurre. Per il nominalismo è uno dei principi. Al centro della teologia dei Padri c’è Cristo, il mistero, il Sacramento, la vita che deve essere portata nel Vangelo. Per il Medio Evo invece, al centro c’è il concetto, la scienza. I Padri vedono l’uomo nella storia: un uomo chiamato a passare dalla morte alla vita, in Cristo Gesù. Nel Medio Evo entra l’uomo aristotelico, statico, non storico, non dinamico: l’accentuazione è posta sulla razionalità, sull’unità di anima razionale e di corpo La Scrittura viene poi ripresa da Lutero, ma attraverso la libera interpretazione: “sola sciptura, sine ecclesia”. La Chiesa, dal Concilio di Trento in poi, per togliere la libera interpretazione, di fatto toglie la Scrittura, per cui, per ben quattro secoli, abbiamo avuto una teologia senza Scrittura. Fino a quando il Concilio Vaticano II, nella costituzione Dei Verbum, non l’ha rimessa a fondamento della teologia e della vita della Chiesa: «La sacra teologia si basa come su un fondamento perenne sulla parola di Dio scritta, inseparabile dalla sacra Tradizione; in essa vigorosamente si consolida e si ringiovanisce sempre, scrutando alla luce della fede ogni verità racchiusa nel mistero di Cristo. Le sacre Scritture contengono la parola di Dio e, perché ispirate, sono veramente parola di Dio, sia dunque lo studio delle sacre pagine come l'anima della sacra teologia. Anche il ministero della parola, cioè la predicazione pastorale, la catechesi e ogni tipo di istruzione cristiana, nella quale l'omelia liturgica deve avere un posto privilegiato, trova in questa stessa parola della Scrittura un sano nutrimento e un santo vigore.» (DV 24) L’interpretazione della Scrittura nella Chiesa Il problema che si pone dunque è innanzitutto quello di utilizzare la Scrittura come fonte della catechesi e nello stesso tempo di una sua una corretta interpretazione. La Costituzione conciliare sulla divina rivelazione del Concilio Vaticano II, Dei Verbum, al 12 ci indica i tratti di una corretta ermeneutica biblica: 12. Poiché Dio nella sacra Scrittura ha parlato per mezzo di uomini alla maniera umana (22), l'interprete della sacra Scrittura, per capir bene ciò che egli ha voluto comunicarci, deve ricercare con attenzione che cosa gli agiografi abbiano veramente voluto dire e a Dio è piaciuto manifestare con le loro parole. Per ricavare l'intenzione degli agiografi, si deve tener conto fra l'altro anche dei generi letterari. La verità infatti viene diversamente proposta ed espressa in testi in vario modo storici, o profetici, o poetici, o anche in altri generi di espressione. È necessario adunque che l'interprete ricerchi il senso che l'agiografo in determinate circostanze, secondo la condizione del suo tempo e della sua cultura, per mezzo dei generi letterari allora in uso, intendeva esprimere ed ha di fatto espresso (23). Per comprendere infatti in maniera esatta ciò che l'autore sacro volle asserire nello scrivere, si deve far debita attenzione sia agli abituali e originali modi di sentire, di esprimersi e di raccontare vigenti ai tempi dell'agiografo, sia a quelli che nei vari luoghi erano allora in uso nei rapporti umani (24). Perciò, dovendo la sacra Scrittura esser letta e interpretata alla luce dello stesso Spirito mediante il quale è stata scritta (25), per ricavare con esattezza il senso dei sacri testi, si deve badare con non minore diligenza al contenuto e all'unità di tutta la Scrittura, tenuto debito conto della viva tradizione di tutta la Chiesa e dell'analogia della fede. È compito degli esegeti contribuire, seguendo queste norme, alla più profonda intelligenza ed esposizione del senso della sacra Scrittura, affinché mediante i loro studi, in qualche modo preparatori, maturi il giudizio della Chiesa. Quanto, infatti, è stato qui detto sul modo di interpretare la Scrittura, è sottoposto in ultima istanza al giudizio della Chiesa, la quale adempie il divino mandato e ministero di conservare e interpretare la parola di Dio (26). Cosa dice questo testo: La Scrittura va letta ed interpretata secondo i criteri esegetici ed ermeneutici[8]. L’esegesi coglie il significato “reale” del testo, attraverso la critica storico-letteraria. La Scrittura infatti è data in una storia, attraverso un linguaggio umano. È necessario pertanto sapere cosa ha voluto dire lì quell’autore, in quella particolare circostanza storica, con quel linguaggio specifico. L’ermeneutica dona la comprensione piena del testo: essa si fonda sull’esegesi, ma anche sul suo superamento, attraverso alcuni elementi costitutivi che sono: - la globalità della rivelazione, che dona senso pieno e definitivo ai singoli brani; - l’unità dell’autore ispirante – lo Spirito Santo – che prepara ed anche compie il contenuto della rivelazione (cf Is 7,14 e Mt 1,22-23 “Tutto questo è avvenuto perché si compisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta: Ecco, la vergine concepirà e darà alla luce un figlio: a lui sarà dato il nome di Emmanuele, che significa Dio con noi”; - la prospettiva storico-profetica della parola che, quando è pronunciata, contiene uno sviluppo futuro anche se non è compreso dai contemporanei (es. cieli nuovi e terre nuove); - la fede della Chiesa, che definisce il contenuto della Scrittura che lo Spirito di Dio, Persona vivente dentro la Chiesa, fa comprendere. La verità è detta dallo Spirito Santo che può parlare attraverso ogni cristiano - che è sacerdote, re e profeta – ma viene sottoposta al discernimento del Magistero; - l’unità di Scrittura, Tradizione e Magistero. Il Documento della Pontificia Commissione Biblica, L'interpretazione della Bibbia nella Chiesa, del 15 aprile 1993, lo specifica ulteriormente: non si può far dire alla Scrittura quello che si vuole, a causa della nostra ignoranza. Occorre una corretta ermeneutica biblica che sgombri il campo ad ogni interpretazione soggettiva, fondamentalista o frutto di ignoranza. Conclusione Abbiamo fatto un excursus veloce sull’utilizzazione della Scrittura nella catechesi. Abbiamo visto come l’uso della Scrittura, interpretata secondo la fede della Chiesa, sia fondamentale nella catechesi per la crescita del popolo di Dio. I Padri, i Vescovi dell’antichità erano catecheti per Eccellenza. Poi nel Medioevo sorgono i dotti teologi e i grandi vescovi che si occupavano della compera e della vendita dei benefici ecclesiastici. Da qui tanta trascuratezza ed ignoranza della Scrittura. Una delle piaghe di Rosmini era proprio l'ignoranza dei Vescovi in materia di fede. Per alcuni secoli – dopo il Concilio di Trento – la Scrittura fu tolta in mano ai Laici. Solo con il Concilio Vaticano II la Chiesa si riappropria della Scrittura, ma ci sono ancora tanti rischi, legati alla somma ignoranza da parte di molti, per cui oggi si fa dire alla Scrittura quello che si vuole. Non possiamo più trascurare la Parola di Dio: dobbiamo metterla al centro della nostra vita e della nostra missione, come ci ha ribadito il recente Sinodo dei Vescovi dal titolo “La parola di Dio nella vita e nella missione della Chiesa”. Per gli aderenti del Movimento Apostolico significa entrare nel vivo del proprio carisma, appunto l’annuncio ed il ricordo del Vangelo al mondo che l’ha dimenticato. La Vergine Maria, Madre della Redenzione, la donna nel cui seno il Verbo si è fatto carne ci chiede di ricordare la Parola della vita, il Figlio suo, Parola eterna. Crescere nella conoscenza della parola di Dio è fondamentale per vivere la missione del ricordo del Vangelo. È quanto ci auguriamo: accostarci alla Parola con grande rispetto ed amore, per conoscerla in maniera globale e farla conoscere, amarla e farla amare, viverla ed invitare a viverla, nella certezza che in essa c’è la vita eterna. [1] CT 27 [2] Cf. CONGREGAZIONE PER IL CLERO, Direttorio Generale per la catechesi, 94-96. [3] PONTIFICIA COMMISSIONE BIBLICA, L'interpretazione della Bibbia nella Chiesa, Roma 15 aprile 1993, II A 2. [4] Ivi, III B 2 [5] “A sintetizzare i quattro sensi della Scrittura in questo famoso distico è stato il domenicano Agostino di Dacia, vissuto nel XII secolo. L’esegesi antica, che non poteva evidentemente prendere in considerazione le esigenze scientifiche moderne, attribuiva a ogni testo della Scrittura diversi livelli di significato. La distinzione più corrente era quella tra senso letterale e senso spirituale. L’esegesi medievale distinse nel senso spirituale tre aspetti differenti, in rapporto, rispettivamente, con la verità rivelata, il comportamento da seguire e il compimento finale. Da lì il celebre distico di Agostino di Danimarca (XIII sec.): «Littera gesta docet, quid credas allegoria, moralis quid agas, quid speres anagogia».” (PONTIFICIA COMMISSIONE BIBLICA, L'interpretazione della Bibbia nella Chiesa, 15 aprile 1993, II B) [6] Cfr. Eb 10,1: «Poiché la legge possiede solo un’ombra dei beni futuri e non la realtà stessa delle cose, non ha il potere di condurre alla perfezione, per mezzo di quei sacrifici che si offrono di anno in anno, coloro che riaccostano a Dio». [7] Cano (morto nel 1560) ha applicato il termine loci theologici a un trattato sui principi fondamentali o le fonti della scienza teologica. Sulla soglia di ogni scienza sorge un complesso di principi preliminari, postulati, e le domande, che deve essere chiarita prima che il progresso è possibile. Alcune sono comuni a tutte le scienze, alcuni sono proprie di ciascuna. Prima di Cano le questioni pregiudiziali alla teologia non era mai stata trattata come una scienza a parte, la dialettica generale, essendo considerato una introduzione sufficiente. Cano osserva che la "Regina delle Scienze" trae le sue argomentazioni e prove principalmente da autorità, e chiede solo nella ragione come l'ancella della fede. Di conseguenza egli stabilisce dieci loci - Fonti della teologia senza, tuttavia, fingendo di limitare a quel numero. Essi sono: l'autorità della Sacra Scrittura, di tradizione cattolica, dei consigli generali, della Chiesa di Roma, dei Padri, degli Scolastici; ragione naturale, l'autorità di filosofi e dottori in diritto civile, e l'autorità della storia. Le prime sette sono i luoghi che si muove proprio in teologia, gli ultimi tre gli ausiliari utili. lavoro Melchior Cano ha dato una nuova svolta per l'insegnamento teologico. Molto di ciò che prima del suo tempo era stato dato per scontato, o, nella migliore delle ipotesi, solo vagamente indagato, è diventato il tema preferito delle scuole. I fondamenti della teologia, che era rimasto incorporato nella mente cristiana, sono state messe a nudo, ha esaminato, rafforzato, e in condizioni di sicurezza sia per il credente all'interno della Chiesa e contro il nemico senza. Il metodo scientifico che dà nulla per scontato, ma indaga e sonde per la stessa radice ogni elemento di conoscenza, non è una cosa di ieri, e tanto meno un bambino di tendenze anti-cattolico: il Vescovo Melchior Cano ha introdotto come la migliore arma di offesa e la difesa in guerre di religione. Il "Loci theologici" è stato pubblicato la prima volta nel 1563, tre anni dopo la morte dell'autore, dal Grande Inquisitore Valdes. Ventisei edizioni di seguito il primo: otto in Spagna, nove in Italia, sette in Germania e due in Francia. Numerosi scrittori nel corso dei secoli seguenti opere prodotte sulla stessa linea: Seraphimus Ractius (Razzi) (morto nel 1613), Petrus de Lorca (morto nel 1606), Dominicus a S. Trinitate (morto nel 1687), cap. du Plessis d'Argentrée (morto nel 1740), Franciscus Kranz, e molti altri. Gradualmente l'oggetto della loci entrò nel corpo di teologia sotto il titolo di "Prolegomeni", dogmatica generale, la teologia fondamentale, o apologetica. In "Un manuale di teologia cattolica", da Wilhelm e Scannell (Londra, 1906), i loci sono trattati nel primo libro sotto le seguenti voci: le fonti di conoscenza teologica, la rivelazione divina, la trasmissione della rivelazione, il deposito apostolico della rivelazione ; tradizioni ecclesiastiche, la regola della fede, la fede, la fede e la comprensione. [8] Cfr. in particolare: CONCILIO ECUMENICO VATICANO II, Costituzione dogmatica Dei Verbum n. 12; PONTIFICIA COMMISSIONE BIBLICA, L'interpretazione della Bibbia nella Chiesa, 15 aprile 1993. Powered by TCPDF (www.tcpdf.org)