6-04-2005 10:39 Pagina 1 Tariffa R.O.C.: Poste Italiane S.p.A. -Spedizione in Abbonamento Postale D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n°46) art.1 comma 1, DCB Genova TGE07605 Giornale n°19 ANNO V | NUMERO 19 | APRILE | GIUGNO 2005 2 3 4 5 6 7 8 L’illusione comica L’illusione comica Virginia Woolf I Mestieri del Teatro Teatro Extraeuropeo Intervista a Sciaccaluga Nota di Speziale-Bagliacca Il nuovo programma delle rappresentazioni Mises en espace Esercitazione su Enrico V Saggio della Scuola Le Grandi Parole Articolo di Cecilia Rizza Torna la Rivoluzione La direzione tecnica Intervista a Parodi e Sussi La scena africana Articolo di Marie-José Hoyet Spettacoli ospiti Appuntamenti nel Foyer « L’ i l l u s i o n e c o m i c a » d i C o r n e i l l e t r a d o t t a d a S a n g u i n e t i a l l a C o r t e d a l 6 a l 2 4 a p r i l e Una commedia d’amore e guerra EROS PAGNI PROTAGONISTA NEI RUOLI DEL MAGO Anche dopo il fortunatissimo 2004, la nostra città e in questa il lavoro del Teatro Stabile di Genova cercano di essere continuamente all’altezza di una Capitale della cultura. Il buon andamento della nostra stagione teatrale è a testimoniarlo: nonostante in Italia non si viva un momento particolarmente felice per quanto riguarda l’attenzione verso la cultura e le sue espressioni quali il teatro, per il Teatro Stabile di Genova la presenza degli spettatori e la considerazione verso il nostro lavoro sono sempre gratificanti, sia a Genova che in tournée. Merito questo non solo dei nostri spettacoli di produzione ma anche della stagione di ospitalità che ha visto proposte felici ed apprezzate quali i recenti Pirandello con Albertazzi e Il mercante di Venezia con l’Elfo o, nei mesi trascorsi, Il sergente di Marco Paolini, L’avaro con Lavia, La vedova scaltra di Bolzano per citarne solo alcuni. In tutto questo un solo episodio sfortunato, la frattura che ha fermato per quasi tre mesi Mariangela Melato e Virginia Woolf. Ma ora questa brutta parentesi sta per finire, e lo spettacolo a metà aprile potrà essere finalmente ripreso in tournée e quindi proposto in tutta la sua affascinante forza anche al pubblico genovese nella prima parte di giugno. Un’occasione da non perdere. Ora però tutta la nostra attenzione e la speranza di interessare il pubblico con uno spettacolo “necessario” sono puntate sulla quarta produzione dello Stabile per la stagione, un capolavoro del teatro classico francese, L’illusione comica di Corneille. Marco Sciaccaluga, nostro valentissimo regista stabile, la porterà in scena da mercoledì 6 aprile avvalendosi della magnifica traduzione di Edoardo Sanguineti e di una compagnia tutta “made in Teatro Stabile di Genova”, formata da attori nati e cresciuti con noi, guidati da un protagonista del teatro italiano qual è Eros Pagni. Presentare al pubblico questa compagnia è per noi motivo di sincero orgoglio. A terminare la stagione quindi una serie di spettacoli, tre mises en espace, un’esercitazione e un saggio che guardano al futuro del nostro teatro, legati come sono al mondo dei giovani. Un modo per noi consueto di far crescere, alla fine di ogni anno di lavoro, le radici di quello che sarà il teatro di domani. Carlo Repetti L ’illusione comica di Corneille, in prima nazionale alla Corte il 6 aprile (repliche sino a domenica 24 aprile), è il nuovo spettacolo prodotto dal Teatro Stabile di Genova, che lo propone nella nuovissima versione italiana in versi martelliani di Edoardo Sanguineti. Messa in scena da Marco Sciaccaluga con Eros Pagni protagonista, L’illusione comica è una lode del teatro intessuta con brio scintillante, che unisce nel segno di una riflessione sull’arte la commedia con la tragedia, il gioco della fantasia con la profonda libertà del grande teatro seicentesco.Ambientata dalla regia in una realtà militare, di cui Matamoro è l’immagine paradossale, la commedia è costruita su un continuo spiazzamento dello ALCANDRO E MATAMORO sguardo dello spettatore, il quale si trova di fatto posto nella stessa condizione di Pridamante, il padre che si rivolge al mago Alcandro per ritrovare il figlio scappato di casa a causa della sua eccessiva severità: sempre coinvolto nello svolgimento dell’intrigo, anche se di fatto consapevole di stare assistendo solo a un raffinato gioco di specchi.Al fianco di Eros Pagni, impegnato nel duplice ruolo del mago Alcandro e del “miles gloriosus” Matamoro, interpretano lo spettacolo Sara Bertelà, Fabrizio Contri, Eva Cambiale, Andrea Nicolini, Aldo Ottobrino, Federico Vanni, Antonio Zavatteri. Scena e costumi di Valeria Manari, musiche di Andrea Nicolini, luci di Sandro Sussi, fonica di Claudio Torlai. Eros Pagni (Matamoro) e Sara Bertelà (Isabella) in una scena di L’illusione comica (foto di Marcello Norberth) A LUGLIO, AL FESTIVAL DI BORGIO VEREZZI Il primo Faust dello Stabile Urfaust, prima piazza Sant’Agoversione giostino di Borgio vanile del celeVerezzi nelle seberrimo Faust, rate di venerdì 8, poema teatrasabato 9 e dole di Johann menica 10 luglio Wo l f g a n g prossimi. Messo Goethe, è il in scena da Annuovo spettadrea Liberovici, colo prodotto che in questi Paola Gassman e Ugo Pagliai per la stagione giorni è impe2005/2006 dal Teatro Stabile di gnato nei provini per la ricerca Genova, in collaborazione con il della «sua» Margherita, Urfaust Teatro Stabile del Veneto “Carlo sarà interpretato nei ruoli prinGoldoni” e con il Festival di cipali da Ugo Pagliai e Paola BorgioVerezzi.Lo spettacolo vie- Gassman.Le scene sono di Paolo ne presentato in anteprima na- Giacchero e i costumi di Silvia zionale all’aperto nella splendida Aymonino. DAL 31 MAGGIO CON LA MELATO E LAVIA “Virginia Woolf” finalmente alla Corte A vverrà martedì 31 maggio (ore 20.30) l’atteso debutto sul palcoscenico del Teatro della Corte - Ivo Chiesa di Chi ha paura di Virginia Woolf?, che nel febbraio scorso si è dovuto rinviare a causa della frattura subita da Mariangela Melato in seguito a una brutta caduta durante una recita in anteprima a Pisa. Il lettore può trovare ampia informazione sul testo di Edward Albee e sullo spettacolo diretto da Gabriele Lavia nel numero 18 del nostro giornale, che viene distribuito insieme a questo. Coprodotto dal Teatro Stabile di Genova e dalla Compagnia Lavia, Virginia Woolf è interpretato, oltre che da Mariangela Melato e Gabriele Lavia, per la prima volta insieme, anche da Agnese Nano ed Emiliano Iovine. La scenografia antinaturalistica dello spettacolo è firmata da Carmelo Giammello e gli eleganti costumi da Andrea Viotti; le musiche originali sono di Andrea Nicolini e le luci di Pietro Sperduti. Dall’alto in basso: Gabriele Lavia e Mariangela Melato, Agnese Nano e Emiliano Iovine «Mises en espace», Esercitazione e S aggio della Scuola IL TEATRO DI GENOVA GUARDA AL FUTURO Da molti anni ormai è consuetudine del Teatro Stabile di Genova concludere la stagione con una serie di spettacoli che guardano soprattutto al futuro, privilegiando il mondo dei giovani con allestimenti a ingresso libero. Si tratta delle esercitazioni sui classici, ma anche della rassegna di «mises en espace» dedicate alla nuova drammaturgia, sino ad arrivare al Saggio di fine anno della Scuola di Recitazione. La sede di questi spettacoli sarà quest’anno il Teatro Duse. La prima ad andare in scena (dal 17 al 21 maggio) sarà l’esercitazione sull’Enrico V di William Shakespeare, diretta da Massimo Mesciulam con gli allievi neo- diplomati della Scuola di Recitazione. Seguiranno poi le tre «mise en espace» dedicate quest’anno alla drammaturgia TORNA LA RIVOLUZIONE Con la serata intitolata a La Fraternità, condotta da Enzo Bianchi con Maddalena Crippa e Ugo Maria Morosi, tornano da lunedì 11 aprile (ore 20,30) alla Corte le serate di “Grandi Parole” dedicate alla Rivoluzione Francese, che tanto successo hanno riscosso nei loro primi tre appuntamenti. Il ciclo si concluderà il 18 aprile con Aldo Schiavone che introduce il tema della Giustizia e con Vittorio Franceschi e Massimo Venturiello protagonisti delle letture. di alcuni paesi extra-europei: dal 24 al 28 maggio, La Chunga del peruviano Mario Vargas Llosa, regia di Ugo Maria Morosi; dal 31 maggio al 4 giugno, La donna e il colonnello del congolese Emmanuel Dongala, regia di Flavio Parenti; e dal 7 all’11 giugno, Holy Day dell’australiano Andrew Bovell, regia di Marco Sciaccaluga. Dal 15 al 18 giugno, infine, gli allievi del primo anno di Qualificazione, guidati dalla direttrice della Scuola di Recitazione Anna Laura Messeri, saranno gli interpreti di Una serata con Feydeau, comprendente l’atto unico Fidanzati in erba e Sarto per signora, opere giovanili del commediografo francese. TGE07605 Giornale n°19 6-04-2005 10:39 Pagina 2 L’illusione comica 2 Il primo atto non sembra altro che un Prologo, L’illusion ci appare come un’opera profonda, oscura, La fortuna della pièce restava legata al personaggio di Corneille, che aveva immaginato un padre con un i tre seguenti formano una Commedia, l’ultimo tragica, angosciante, pessimista, pur essendo circondata Matamore che offriva preziose occasioni per dar sfoggio grande bisogno del figlio, finirà col ricevere è Tragico; ma lo stile e i personaggi appartengono da un’aureola di leggerezza poetica, da un’apparente della loro bravura ad attori di grido, come ad esempio l’apprezzamento anche di Napoleone Bonaparte: completamente alla Commedia. (PIERRE CORNEILLE) dolcezza e da una certa follia amorosa. (GIORGIO STREHLER) Coquelin, specialista nei ruoli comici. (CECILIA RIZZA) «S’il vivait, je le ferais prince». (ROBERTO SPEZIALE-BAGLIACCA) CORNEILLE E L’ILLUSIONE DEL TEATRO L A S T O R I A E Nella stagione 1635-1636 venne presentata a Parigi dal Théâtre du Marais diretto dal già celebre attore Montdory, L’illusion comique, commedia in cinque atti e in versi di Pierre Corneille (1606-1684). La pièce ottenne un grande successo come dimostra il fatto che lo stesso autore attese tre anni prima di darne alle stampe il testo al fine di ricavare tutto il profitto possibile dalla rappresentazione di cui lasciava l’esclusiva alla compagnia che l’aveva messa in scena per prima. Dopo l’esito positivo delle prime rappresentazioni, il successo dell’Illusion si mantenne almeno per tutta la prima metà del XVII secolo; tra il 1639 e il 1660 se ne contano inoltre ben sette edizioni. Poi, il silenzio che si prolunga per tutto il secolo successivo, se si eccettua la notizia di una sua rappresentazione, di cui nulla però di più preciso sappiamo, nel 1793, cioè in piena stagione rivoluzionaria. Soltanto nel 1861, in occasione del duecentocinquantacinquesimo anniversario della nascita del drammaturgo, L’illusion trovò posto nel tempio del teatro parigino, la Comédie française, pur in una forma largamente rimaneggiata. E questi arbitrari cambiamenti furono mantenuti, sia nelle dieci rappresentazioni che seguirono fino al 1869, sia nelle quattro riprese che si ebbero tra il 1901 e il 1910. La fortuna della pièce restava legata al personaggio di Matamore che offriva preziose occasioni per dar sfoggio della loro bravura ad attori di grido, come sarà ad esempio per il già famoso L A F O R T U N A Coquelin, specialista in ruoli comici. Bisognerà attendere il 1937 e l’opera intelligente di uno dei sommi interpreti e registi d’Oltralpe, Louis Jouvet, perché L’illusion nella sua forma originale torni alla Comédie française, sia pure con qualche discutibile intervento scenografico. Ma la vera, duratura riscoperta di questo come di altri testi di teatro e di poesia del primo Seicento è soprattutto dovuta al fondamentale contributo degli studiosi della cosiddetta “École de Genève” e in particolare a Jean Rousset e alla sua rivalutazione del Barocco nella letteratura francese. Le nuove interpretazioni proposte dagli studiosi hanno certamente influito anche sulle scelte dei registi e degli attori. Impossibile segnalarle tutte; basti ricordare la rappresentazione che il Théâtre National Populaire presentò ad Avignone nel 1965 per la regia di Georges Wilson, la versione televisiva curata da Robert Maurice nel 1970 e, soprattutto la straordinaria regia di Giorgio Strehler per il parigino OdéonThéâtre de l’Europe in occasione del terzo centenario della morte di Corneille (1984). Corneille e il suo tempo Nato a Rouen da una famiglia della media borghesia di provincia nel 1606 (l’anno prossimo si celebrerà in tutto il mondo con convegni, seminari, rappresentazioni, pubblicazioni il quarto centenario della sua nascita), dopo gli studi nel Collegio dei Gesuiti della sua città e la laurea in diritto, Pierre Corneille era stato D I U N A C O M M E D I A destinato a ricoprire le cariche che il padre aveva acquistato per lui di Advocat du Roi au siège des eaux et forêts e di Advocat à l’Amirauté de France. Ma già del 1629 è la sua prima commedia Mélite che,secondo una tradizione abbastanza attendibile, l’attore Montdory, di passaggio a Rouen, avrebbe letta, apprezzata e portata a Parigi per rappresentarla. Comincia allora la carriera del drammaturgo: in tutto fino al 1636 (data di composizione di L’illusion comique), cinque commedie, una tragicommedia e una tragedia d’ispirazione classica, Médée. Il momento è particolarmente favorevole al teatro e non solo grazie alla protezione di Richelieu e dello stesso sovrano Luigi XIII: a Parigi operano due stabili compagnie teatrali, la già citata troupe di Montdory che ha la sua sede al Marais e la troupe de l’Hôtel de Bourgogne sistemata nei locali che già furono della Compagnie de la Passion, ormai soppressa, che aveva avuto per molti anni il compito di recitare soltanto testi del teatro religioso, cioè miracles e mystères: il genere più in voga è la tragicommedia che tratta vicende avventurose e spesso tragiche anche se con conclusione felice, ma si va verso una maggiore regolarità con la netta distinzione tra commedia e tragedia e l’uso prevalente della versificazione. Le commedie di Corneille si distinguono dalla produzione del tempo non tanto per l’originalità dei temi trattati, né per la loro comicità, per lo più poco accentuata, ma per la creazione di personaggi dalla psicologia complessa,ove il gioco dei sentimenti prevale sulle situazioni talvolta banali e quasi sempre prevedibili. L’illusion comique Un padre, Pridamant, disperato perché, malgrado le sue ricerche nei più diversi paesi d’Europa, ha perso ogni traccia del figlio Clindor, da tempo fuggito da casa, si rivolge al mago Alcandre nella speranza di averne qualche notizia. Alcandre invita Pridamant ad entrare nella sua caverna, dove intende mettere in atto un sortilegio: basta un colpo della sua bacchetta magica e la caverna diventa il luogo ove vengono rappresentate le vicende della vita del giovane scomparso. Realtà? Illusione? I personaggi che Pridamant e noi spetta- Eros Pagni (Alcandro) celebra l'elogio del Teatro Il Grigio di Giorgio Gaber e Sandro Luporini Duse 5 / 17 aprile La metaforica storia di un uomo in fuga dal mondo e alle prese con un invisibile nemico (un topo grigio) che lo costringe a riflettere sulle sue scelte affettive e morali. Un ricordo affettuoso di Giorgio Gaber attraverso uno dei suoi testi di maggiore successo. Con Fausto Russo Alesi e la regia di Serena Sinigaglia. Produzione del Piccolo di Milano. T R A V A G A N T E con stupore e rinnovata meraviglia. Lo spettacolo viene presentato al Duse in prima nazionale, con la regia di Alberto Giusta che ne è anche uno degli interpreti. Argante gli rovinano la vita e lo circondano di egoisti e parassiti. Con Massimo Dapporto nel ruolo del protagonista. Regia di Guglielmo Ferro. La morte e la fanciulla di Ariel Dorfman Duse 26 / 30 aprile Il malato immaginario di William Shakespeare Duse 19 / 24 aprile di Molière Corte 26 aprile / 1 maggio Una compagnia di giovani (la Gank) formatisi quasi tutti alla scuola dello Stabile genovese per rivisitare con sguardo nuovo un classico scespiriano: L’ultima commedia di Molière ha un tono leggero e spassoso con un retrogusto amaro. Le ossessioni ipocondriache del ricco mercante Sullo sfondo di uno Stato latinoamericano appena uscito dalla dittatura. Il difficile rapporto tra Verità e Giustizia, ma anche l’irrinunciabile valore della dignità umana. La regia di Riccardo Bellandi, un altro giovane formatosi alla scuola dello Stabile genovese, universalizza l’apologo e porta in primo piano il dovere di capire. Prima nazionale. » E « M O S T R U O S A » Una scena d'insieme nel finale del primo atto di L'illusione comica tori con lui vediamo evocati sono reali o immaginari? Stanno vivendo le avventure di cui sono protagonisti nel momento in cui sono evocati o le hanno già vissute da tempo? Non sappiamo, ma forse, come a teatro, non è necessario saperlo. E così comincia quella parte dell’opera che Corneille ha chiamato la “comédie imparfaite”. Dopo molte vicissitudini Clindor che si fa chiamare M. de la Montagne è giunto a Bordeaux, dove è entrato al servizio di un capitano guascone, Matamore. Entrambi sono innamorati di una fanciulla Isabelle, che ricambia l’amore di Clindor; ma il padre Géronte la destina a un più nobile e ricco pretendente Adraste. L’intreccio ripropone dunque un tema assai diffuso nelle commedie dell’epoca (lo riprenderà più volte anche Molière): l’amore dei giovani, il contrasto con i progetti dei genitori, più portati a dare importanza al denaro e alla condizione sociale, e quindi quel conflitto generazionale che ha forse qualche riscontro autobiografico per il nostro drammaturgo, Corneille, che non solo ha abbandonato la carriera alla quale lo aveva destinato il padre, spettacoli ospiti La bisbetica domata aprile | giugno 2005 « S ma che si è anche visto respinto dalla famiglia, a lui superiore per rango e per censo, della giovane di cui era innamorato e che è andata sposa a un altro. I due giovani si confessano il loro amore, si prendono gioco di Matamore, e quando Adraste forte della volontà del padre affronta Clindor questi reagisce e lo ferisce a morte. Sopraffatto dai servi di Adraste e di Géronte, Clindor è imprigionato e condannato a morte. Con l’aiuto della servetta Lyse, anche lei innamorata di Clindor, che seduce con le sue promesse di favori il carceriere, Clindor riesce a evadere e a fuggire con Isabelle. La vicenda dei due innamorati si svolge dunque secondo un copione ben collaudato e piuttosto comune a molte tragicommedie del tempo, si conclude però in modo inconsueto, o per meglio dire non si conclude affatto. Che ne sarà dei due giovani in fuga? e Matamore che fine farà? e Lyse rinuncerà al suo amore per Clindor? E siamo soltanto alla fine del IV atto… grande originalità, però, sta nell’aver lasciato lo spettatore nell’equivoco, rivelando soltanto alla fine che ciò che pareva la continuazione della vicenda precedente era la finzione di uno spettacolo teatrale. Tutta L’illusion può essere letta, sia come una riflessione sulla natura stessa del teatro, sia come un testo in cui si riassume esemplarmente una parte almeno della storia del teatro di quegli anni,con precisi riferimenti anche alla produzione dello stesso Corneille. Non è dunque soltanto nella sua struttura, come è stato giustamente detto, cioè in quel teatro nel teatro di cui viene fornito un duplice esempio, che si manifestano le intenzioni di Corneille, ma anche attraverso i suoi personaggi che L’illusion comique può essere letta come una sorta di riflessione più generale sul teatro e sul mestiere del drammaturgo. Non per nulla alcuni critici hanno voluto avvicinare l’opera di Corneille ai Sei personaggi pirandelliani. Il teatro nel teatro Estratti dal saggio pubblicato nel volume, edito da Il Melangolo, che accompagna lo spettacolo Cecilia Rizza Il gioco del teatro nel teatro non è un’invenzione di Corneille. La sua dal 5 aprile al 13 maggio Variazioni sul cielo Resamissa Acoustic Night 5 di Margherita Hack e Sandra Cavallini Corte 3, 4, 5 maggio di Gianluca Bottoni da Giovanni Caproni Duse 3 / 7 maggio con Beppe Gambetta Corte 12 e 13 maggio Il rapporto tra il cielo e la terra sul filo di un celebre libro di Margherita Hack (Sette variazioni sul cielo), che a Genova è eccezionalmente anche sul palcoscenico, nel ruolo di se stessa. La saggezza e la passione della ricerca scientifica in uno spettacolo ricco d’immagini fotografiche e teatrali. Regia di Fabio Massimo Iaquone. Partendo dai versi di una delle sue ultime liriche, percorso a ritroso nell’opera e nella vita di Giorgio Caproni (1912 1990), portando in primo piano il suo rapporto con Genova. Regia di Gianluca Bottoni, con Achille Millo. Per il quinto anno consecutivo, Beppe Gambetta torna sul palcoscenico della Corte con la sua chitarra acustica e la sua simpatia, “ospitando” al suo fianco grandi musicisti internazionali, tra i quali il pistoiese Maurizio Geri e l’inglese Ian Melrose. Viaggiatori immobili di Vico Faggi e Daniela Ardini Duse 10 / 15 maggio Da La regina disadorna di Maurizio Maggiani: una vicenda di seduzione e di potere in una Genova sovente misteriosa. Il porto, i vicoli, le creuze e i luoghi d’affari; soprattutto gli abitanti. Anteprima nazionale con la regia di Daniela Ardini e le scene di Giorgio Panni. TGE07605 Giornale n°19 6-04-2005 10:39 Pagina 3 L’illusione comica 3 CONVERSAZIONE CON MARCO SCIACCALUGA, REGISTA DELLO SPETTACOLO IN SCENA ALLA CORTE Nella magica grotta dell’arte A che cosa serve il teatro? Nonostante le apparenze, non credo affatto che L’illusione comica sia un testo che parla dei rapporti tra il teatro e il mondo o tra la finzione e la verità. Pirandello mi sembra lontano. Non credo nemmeno che sia un testo sui rapporti tra il sogno e la realtà, perché non possiede quella stupefacente sospensione che appartiene, ad esempio, a La vita è sogno o al Sogno di una notte di mezza estate o anche a La tempesta, cui pur sovente L’illusione comica è stata accostata. Leggendo o mettendo in scena L’illusione comica, non viene mai da pensare che siamo fatti della stessa materia di cui sono fatti i sogni. E questo perché la commedia ha di fatto al proprio centro qualcosa d’altro, proponendosi come una riflessione sul teatro in termini etici, e non estetici. L’illusione comica si pone molto concretamente, con profondità e con urgenza, le domande a che cosa serve e se serve il teatro. E, allargando questi interrogativi sino a investire l’arte tutta, giunge a una risposta assoluta, che non lascia possibilità di dubbio: l’arte, il teatro, è assolutamente necessaria all’uomo, non c’è forma per quanto arcaica d’esistenza che possa fare a meno dell’arte, perché l’arte è più importante della vita o della realtà. Elogio dell’arte L’illusione comica ci dice insieme quanto sia magica la vita e come solo l’arte riesca a spiegare questa magia. Mettere in ordine la vita è solo uno degli strumenti dell’arte, la sua essenza va molto più in profondità. Ed è proprio di questa essenza che alla fine di L’illusione comica Alcandro tesse l’elogio. Matamoro e la guerra L’illusione comica è sostanzialmente una commedia di temi amorosi e guerreschi. Le passioni d’amore si aprono con quella della paternità, fallita e pentita, per diramarsi poi in tutte le possibili varianti: erotiche, romantiche, innocenti e perverse, tradite e traditrici, ecc.; mentre il tema della guerra irrompe nella commedia in modo veramente eclatante attraverso il personaggio di Matamoro. Sarà pur vero che Corneille ha scritto questo ruolo per il nuovo arrivato in compagnia, Bellemore, specializzato nel ruolo di Capitan Fracassa, ma poi l’ha fatto con una tale libertà e spudoratezza da farne non solo una grande parte per un grande attore, ma un personaggio estremamente complesso e particolare. Matamoro è guerrafondaio e narcisista, si gloria dei suoi muscoli e sogna di sterminare l’umanità, si crede continuamente assediato da tanto che la gelosia la spinge alla vendetta, ma poi anche al pentimento e al sacrificio. Pluralità di punti di vista Eva Cambiale (Lisa) e Fabrizio Contri (Clindoro) visir e granturchi e sogna di essere un grande amatore. È un meraviglioso mitomane, che porta alle estreme conseguenze la mitomania farsesca del “miles gloriosus”. È l’ultimo “miles gloriosus” possibile, talmente prigioniero della sua mascherata e convinto di ciò che dice da essere matto, un matto vero. I sogni di questo mitomane sono pieni di fantasia, però. La comicità e il ridicolo Credo che il nostro spettacolo sarà “comico”, anche se, spero, attraversato da una comicità mai troppo esibita o sopra le righe. Non solo gli attori non devono fare la parodia dei loro personaggi, ma non devono mai giudicarli, estraniandoli da sé. A proposito di L’illusione comica mi piace pensare a una comicità che ha più a che fare con Dostoevskij che con la commedia dell’arte. E, nel citare l’autore dell’Idiota non ho solo presente le molte parole d’ammirazione per Corneille che egli ebbe occasione di scrivere in appunti e in numerose lettere, ma anche la straordinaria comicità, o evidenziazione del ridicolo, che attraversa le pagine di molti suoi romanzi, compreso L’idiota dove, tra l’altro c’è uno splendido Matamoro nella persona del generale a riposo Ivolgin, anche lui grande mitomane, capace di costruire un mondo interamente a immagine dei propri sogni. Un mondo in guerra L’idea di ambientare la commedia in un mondo militare nasce da Eva Cambiale, Fabrizio Contri, Sara Bertelà, Federico Vanni (Pridamante), Antonio Zavatteri (Geronte) e Aldo Ottobrino (Adrasto) in una scena dello spettacolo suggestioni molto articolate, che vanno dal clima fondamentalmente claustrofobico della commedia sino all’urgenza - presente in Corneille come in noi - di fare un teatro necessario. Così, da una parte, c’è quello strano “deserto dei tartari” con persone disposte secondo una precisa gerarchia, dal comandante supremo Geronte a Clindoro, valletto di Matamoro (e per parlare delle donne, dalla figlia del comandante, Isabella, alla sua cameriera, Lisa); mentre, dall’altra, il discorso sull’arte e sull’autoritarismo si svolge sullo sfondo di un mondo in guerra simile a quello di cui noi oggi leggiamo quotidianamente sui giornali, ma che per chi vive a Bagdad o in alcuni paesi africani è un dato molto più drammatico e concreto. Credo che una novità di questo nostro spettacolo possa essere individuata nel fatto che Pridamante è in scena, soffocato dall’azione, sino alla fine del quarto atto. Questo fa sì che il suo punto di vista non si identifica con quello dello spettatore, essendo egli al centro degli eventi, circondato dai fantasmi evocati da Alcandro. Spettatore privilegiato della narrazione di Alcandro, Pridamante diventa così parte dello spettacolo agli occhi del pubblico, che insieme agli eventi narrati assiste anche alle sue reazioni. Sino a che, verso la fine, quando Alcandro mostra a Pridamante la realizzazione delle sue promesse di successo per il figlio, per la prima volta, lo porta in platea, facendo sì che il suo punto di vista coincida con quello degli altri spettatori. È il momento in cui ci si sta avvicinando al “coup de théâtre”, alla rivelazione che Clindoro e tutti gli altri sono degli attori, al denudamento della finzione scenica. E a questo punto, Pridamante, depositario della responsabilità morale nei confronti di suo figlio e dell’arte, quindi della vita, consegna questa sua responsabilità al pubblico: mi auguro senza pedanteria alcuna, con leggerezza. Il “miracolo” di Sanguineti Il lavoro fatto da Sanguineti ha qualcosa di miracoloso. Avevo già avuto la gioia e l’onore di mettere in scena la sua traduzione del Don Giovanni; però, trattandosi di un’opera in prosa si poteva là ancora parlare di un’impresa certo meravigliosa, ma ancora possibile, pur illuminata dalla straordinaria scelta linguistica fatta per la scena di Pierotto e Carlotta. Qui, però, il Corneille padre e figlio Avventure amorose La bellezza dei fantasmi evocati da Alcandro sta nel fatto che non sono solo dotati di parola e movimento, come lui dice; ma, replicanti perfetti, provano anche emozioni e hanno sentimenti di straordinaria vitalità.Tra questi l’amore, anche se mi è sembrato di individuare nei personaggi, soprattutto in Clindoro e in Isabella, un interessante sottofondo di insincerità. Prendiamo Isabella, ad esempio: in lei ci sono sfumature che consentono di vederla come un’eroina un po’ nevrotica e capricciosa, molto narcisista, portata a innamorarsi di Clindoro soprattutto per quel di perverso e di provocatorio che c’è nell’amare un proprio subalterno. È la padroncina che trasgredisce innamorandosi del cameriere; e in questo suo atto, pur forse sincero, rivela insieme qualcosa di malato e di comico. Di converso, e a maggior ragione, mi sembra si possa molto dubitare della sincerità amorosa di Clindoro, donnaiolo in carriera, il quale appena la padrona esce dalla stanza mette le mani sulla servetta e, quando la moglie si distrae, ne approfitta subito per sedurre la figlia del suo protettore. In questo contesto sentimentale, completato dal narcisismo di Matamoro e dalla cinica concretezza del nobile Adrasto, la più sincera mi sembra ancora essere Lisa: Eros Pagni (Alcandro) maestro ha superato se stesso, consegnandoci più di millesettecento versi dalla dirompente forza teatrale, capaci insieme di una totale aderenza all’originale e di un’assoluta libertà. Recitare in versi, soprattutto in versi come questi, è davvero una meraviglia, perché impedisce all’attore qualsiasi orpello. Il verso richiama l’attore a testimoniare davvero il testo: le parole da dire sono quelle, ma con la libertà di dirle come ci si sente di doverle dire. Non sarà facile per me, qualora come mi auguro ritornassi a lavorare su un classico, non poter contare su una traduzione di Sanguineti. a cura di Aldo Viganò estratti dalla conversazione pubblicata nel volume che accompagna lo spettacolo Pierre Corneille ha solo 29 anni quando nel 1636 crea questo padre che si pente, che racconta la sua disperazione. Quel genitore potrebbe essere il padre che avrebbe voluto avere al posto del suo che ne fece un uomo di pandette e di incarichi statali ostacolandolo nel seguire la sua passione per il teatro? È lecito pensare che Pierre fosse fuggito dall’atmosfera oppressiva della casa paterna di Rouen, impregnata di solide tradizioni e ricca, se non di beni patrimoniali, di figli e di relazioni influenti, una famiglia che aveva dato avvocati, funzionari al re e ministri alla Chiesa? Qualche forte dubbio su questa ipotesi credo che sia più che legittimo. Il padre, che pure si chiamava Pierre, questo gran dispotico borghese dalle idee ristrette non sembra lo fosse. Era “advocat du roi à la Table de Marbre du Palais”, e come “maître” delle acque e delle foreste si dice si fosse palesato un magistrato vigoroso che aveva soppresso il brigantaggio e i saccheggi senza alcun riguardo per la propria incolumità personale. Fu fatto nobile nel 1637 e il titolo passò anche ai due figli Pierre e Thomas. Pierre non sembra ne abbia mai fatto uso. Aiuta il figlio Pierre a farsi una posizione come “advocat” funzionario statale, ma non gli impedisce di dedicarsi al teatro. Come non si frapporrà a che anche l’altro figlio Thomas, di 19 anni più giovane del fratello, si dedichi pure lui al teatro. Ad andarsene Pierre non ci pensava neppure. Restò nella casa natale di rue de la Pie fino all’età di 56 anni! Col fratello Thomas, poeta e drammaturgo rivale, meno dotato, ma più agile nel trovare una rima, andava molto d’accordo. Avevano sposato due sorelle, sia a Rouen che a Parigi vivevano praticamente sotto lo stesso tetto. Nessuna storia su Corneille è meglio conosciuta della botola tra le due abitazioni e del fatto che quando Pierre era in difficoltà gridava al fratello: «Sans-souci, une rime!». Se Pierre è stato tramandato come piuttosto libero d’invidia, Thomas non sembra fosse geloso del successo incomparabilmente superiore del fratello. Possibile non rendere merito di questa concordia anche ai genitori? Ognuno di noi porta dentro di sé i propri genitori, l’ipotesi che farei è che Pierre ospitasse nel suo animo non un cattivo rapporto ma un buon rapporto con suo padre. Se poté immaginare una scena come quella che dà inizio a L’illusion comique, così lontana dalla tradizione barocca, fu anche perché aveva avuto un padre diverso. Roberto Speziale-Bagliacca estratti dal saggio pubblicato nel volume, edito da Il Melangolo aprile | giugno 2005 TGE07605 Giornale n°19 6-04-2005 10:39 4 Pagina 4 Chi ha paura diVirginia Woolf? C H I H A P A U R A D I V I R G I N I A W O O L F ? a l Te a t r o d e l l a C o r t e d a l 3 1 m a g g i o a l 1 9 g i u g n o LA MELATO RITORNA NEL «SUO» TEATRO L’incidente alla colonna vertebrale occorso in scena a Mariangela Melato, durante la rappresentazione in anteprima a Pisa di Chi ha paura di Virginia Woolf?, l’ha costretta a rimanere lontana dal teatro per quasi tre mesi, impedendo le previste rappresentazioni dello spettacolo a Genova, Venezia, Bergamo, Bologna, Rimini e Roma. Ora, però, l’attrice ha ottenuto dai medici l’autorizzazione a riprendere l’attività e con entusiasmo si accinge a riunirsi con i suoi compagni di lavoro in base a un programma che, prevede la presenza di Chi ha paura di Virginia Woolf? sui palcoscenici di Padova e Milano prima di arrivare al Teatro della Corte - Ivo Chiesa dal 31 maggio al 19 giugno. Come già ampiamente raccontato nel numero 18 di Palcoscenico & Foyer, che viene ridistribuito insieme con questo giornale, Chi ha paura di Virginia Woolf? vede per la prima volta insieme Mariangela Melato e Gabriele Lavia, per iniziativa del Teatro Stabile di Genova che ha prodotto lo spettacolo insieme con la Compagnia Lavia, in collaborazione con il Teatro Verdi di Pisa.Al loro fianco due giovani emergenti: Agnese Nano ed Emiliano Iovine. Quartetto ideale per raccontare una intensa storia di paura e di rabbia, di violenza e di fragilità esistenziale, che l’inventiva regia dello stesso Lavia spinge verso N U O V O C A L E N DA R I O D E L L E R E C I T E La caduta in scena di Mariangela Melato ha modificato il calendario delle recite di Chi ha paura di Virginia Woolf?, che riprenderanno a pieno ritmo alla fine di aprile. Tra aprile e giugno, sono previste rappresentazioni a Padova (Teatro Verdi, dal 26 aprile al 1° maggio), Milano (Teatro Strehler, dal 3 al 29 maggio) e Genova, dove lo spettacolo rimarrà in scena alla Corte dal 31 maggio al 19 giugno, con automatica validità nei giorni corrispondenti dei biglietti acquistati per le previste rappresentazioni di febbraio. Lo spettacolo sarà ripreso per una lunga tournée nella prossima stagione. risonanze, ora tragiche e ora esplicitamente comiche, che hanno molto a che fare anche con lo stretto rapporto esistente tra la crisi del “sogno americano” e la realtà attuale dell’Occidente. Scritta nel 1962 e resa celeberrima dall’omonimo film interpretato da Elizabeth Taylor e Richard Burton diretto da Mike Nichols, Chi ha paura di Virginia Woolf? di Edward Albee è una delle commedie più note di tutto il teatro statunitense. George e Martha sono due coniugi della borghesia intellettuale del New England. L’azione si svolge nel salotto dei due protagonisti, che una sera, dopo un ricevimento a casa del padre di lei, ricevono la visita di un’altra coppia più giovane. Tra bicchieri di whisky, atroci derisioni, giochi sadici e scherzi crudeli, la coppia americana esibisce il proprio disfacimento e l’”american dream” naufraga nella solitudine, nell’angoscia e nella nostalgia. La scenografia dello spettacolo è firmata da Carmelo Giammello e gli eleganti costumi da Andrea Viotti; musiche originali di Andrea Nicolini e luci di Pietro Sperduti. Chi ha paura di Virginia Woolf? (Foto di scena di Giuseppe D’Angelo). A sinistra Gabriele Lavia e Mariangela Melato. A destra Mariangela Melato e gli altri interpreti dello spettacolo; Mariangela Melato e Gabriele Lavia; Gabriele Lavia (di spalle) con Mariangela Melato, Emiliano Iovine e Agnese Nano. La passione per l’energia ci ha permesso di diventare grandi. ERG è uno dei grandi operatori dell’energia con una storia imprenditoriale che, da oltre 65 anni, evolve nella continuità. Quotata in Borsa, impegnata a creare valore per i propri azionisti, oggi ERG trasforma il greggio in prodotti e li vende in tutto il mondo, possiede e gestisce reti di distribuzione di carburante in Italia e in Spagna, produce energia elettrica. 5000 milioni di Euro di ricavi consolidati, 2700 dipendenti, 20 milioni di tonnellate di greggio lavorate all’anno (secondo operatore italiano), 2000 stazioni di servizio, 5 miliardi di kilowattora anno, 750 milioni di investimenti programmati: questi sono i numeri di ERG. I numeri di un grande gruppo multienergy. aprile | giugno 2005 TGE07605 Giornale n°19 6-04-2005 10:39 Pagina 5 5 A fianco degli spettacoli allestiti alla Corte e al Duse con registi internazionali, grandi attori e collaboratori artistici di alto livello, il Teatro Stabile di Genova dedica ogni anno una particolare attenzione alla drammaturgia contemporanea, proponendo una rassegna di «mises en espace» intese come speri- mentazione non solo di nuovi autori, ma anche di nuovi interpreti (registi e attori) e di un diverso rapporto con il pubblico. Le «mises en espace» del Teatro di Genova hanno permesso di conoscere numerose opere della drammaturgia contemporanea nazionale e internazionale (con quest’anno saranno complessivamente trentuno), favorendo per alcune di queste (ad esempio, La bella regina di Leenane, Der Totmacher, Mojo Mickybo, Galois) il passaggio a una vera e propria messa in scena con autonoma vita sui palcoscenici italiani. Quest’anno la rassegna delle «mises en espace» affronta per la prima volta la drammaturgia dei paesi extra-europei, proponendo testi provenienti dal Perù, dal Congo e dall’Australia. Al fine soprattutto di favorire la partecipazione di un pubblico giovanile e grazie alla collaborazione della Banca Carige, tutte le “mises en espace” vengono proposte a ingresso libero. “Mises” da paesi lontani TEATRO DUSE da martedì 24 a sabato 28 maggio ore 20.30 TEATRO DUSE da martedì 31 maggio a sabato 4 giugno ore 20.30 TEATRO DUSE da martedì 7 a sabato 11 giugno ore 20.30 La Chunga La donna e il colonnello Holy Day di Mario Vargas Llosa versione italiana di Ernesto Franco di Emmanuel Dongala versione italiana di Paola Pioli di Andrew Bovell versione italiana di Pietro Bontempo regia di Ugo Maria Morosi con Roberto Alinghieri, Arianna Comes, Gianluca Gobbi, Enzo Paci, Gaetano Sciortino, Pietro Tammaro regia di Flavio Parenti con Fiammetta Bellone, Nicola Pannelli, Fabrizio Careddu regia di Marco Sciaccaluga con gli allievi neo-diplomati dell’ultimo anno della Scuola di Recitazione dello Stabile Che cosa accadde quella notte a Piura, nella camera da letto sopra il bar della Chunga, tra questa donna selvatica e solitaria e la dolce e remissiva Meche? Tra una partita di dadi e una bevuta, l’interrogativo infiamma l’immaginazione dei quattro avventori - il Mono, José, Josefino e Lituma - che hanno potuto assistere solo ai preliminari del fatto. In un alternarsi tra presente e passato, tra realtà e sogno, ciascuno di loro partecipa alla messa in scena della propria fantasia, manifesta il proprio desiderio, dà la propria interpretazione all’improvvisa scomparsa dell’incantevole Meche dopo quella notte che nessuno potrà dimenticare. Soltanto la Chunga sa e tace. Lei che non ha amici e non vuole amare, che non accetta confidenze e galanterie, che parla poco e sorride raramente, è la detentrice del segreto e diventa la ruffiana dell’immaginario altrui. Protagonista di un dramma dall’eccentrica struttura narrativa, ricco di sospensioni e di ciclici ritorni come una danza sudamericana, la Chunga è il polo intorno al quale si costruisce una forte idea di teatro che Vargas Llosa aveva già anticipato in La signorina di Tacna e in Kathie e l’ippopotamo. A causa di un banale guasto alla sua automobile, il colonnello di un paese africano è costretto a chiedere ospitalità nella casa più vicina, mentre il suo attendente va a cercare aiuto. La donna che lo ospita si rivela essere un fantasma appartenente al suo passato, quando con il grado di sergente combatteva nella guerra civile con motivazioni di pulizia etnica. Ora, la guerra sembra finita, ma restano le colpe subite dalle vittime e commesse dai carnefici. Forte delle ricchezze facilmente accumulate, il colonnello non riconosce più il proprio passato e la sua ospite, la quale però gli si rivela ben presto essere colei che, quando era sergente, violentò davanti al marito e al figlio di dieci anni per la sola colpa di aver voluto difendere delle persone appartenenti al gruppo etnico rivale. E non contento, le annientò anche la famiglia. Cadenzata intorno ai temi della responsabilità, della memoria e del perdono, la commedia si dipana con ritmo intenso e drammatico, costruendo con le modalità drammaturgiche di un thriller lo scontro etico e civile tra due concezioni del mondo antitetiche, ma non per questo necessariamente votate alla reciproca negazione. In Australia verso la metà del secolo diciannovesimo, lungo la frontiera che separa il mondo dei bianchi da quello degli indigeni. Una donna, sola e ferita, arriva a un ricovero per viaggiatori nel corso di una violenta tempesta del deserto. Qui incontra la gestrice del posto, dove hanno trovato rifugio anche tre fuorilegge in fuga. La donna racconta una storia sconvolgente: gli aborigeni le hanno ucciso il marito e rapito il figlio neonato. La sola testimone di un racconto diverso è una ragazza di colore. Cosa costringe la donna a mentire? Quale credibilità può avere la parola di un’indigena contro la sua? Il terrore dei bianchi e la resistenza degli aborigeni. Ritratto di quattro donne straordinarie - c’è anche un’altra ragazza allevata come una figlia dalla donna che gestisce l’avamposto dove tutto si svolge - in un mondo dominato dalla violenza degli uomini. Lotta per la sopravvivenza, sullo sfondo di un paesaggio ostile e incompreso. Un dramma ricco di tensione, tenero e terribile, sul tema della verità e della menzogna. Un grido teatrale che invita a trovare il coraggio di capire il proprio passato. Mario Vargas Llosa nasce in Perù, ad Arequipa, nel 1936. Trascorre l’infanzia in Bolivia, studia a Lima e si trasferisce poi a Madrid. Finita l’Università, va a Parigi, dove si fa ben presto apprezzare negli ambienti intellettuali. Scrittore, giornalista e politico, Vargas Llosa è noto soprattutto come romanziere, ma la sua attività spazia anche nel cinema, nella saggistica e nel teatro. Nel 1990, concorre alle elezioni presidenziali in Perù, ma viene sconfitto. Presidente del Pen Club International, tiene corsi di letteratura all’Università di Cambridge. Emmanuel Dongala nasce nel 1941, da padre congolese e madre centrafricana. Compie gli studi negli Stati Uniti e in Francia. Tornato in patria, insegna chimica molecolare all’Università di Brazzaville. Nel 1997, è costretto a lasciare il Congo per motivi di sicurezza e si trasferisce negli Usa dove attualmente insegna chimica al Simon’s Rock College del Massachusetts e letteratura africana francofona al Bard College di New York. Affermato come romanziere, è autore teatrale ancora poco conosciuto. La femme et le colonel è stato scritto nel 2000. Andrew Bovell nasce a Perth in Australia nel 1962. È autore di numerosi testi teatrali, tra i quali The Ballad of Lois Ryan (1988), Distant Lights from Dark Places (1994), Scenes from a Separation (1995) e Confidantially Yours (1998). Dalla sua commedia Speaking in Tongues è stato tratto nel 2001 il film Lantana, diretto da Ray Lawrence e da lui stesso sceneggiato. Le sue opere per il teatro sono state premiate più volte con il prestigioso AWGIE Award. Rappresentato sui palcoscenici di tutti i paesi di lingua inglese, Bovell si sta affermando anche nel resto del mondo. ESERCITAZIONE SU SHAKESPEARE SAGGIO DELLA SCUOLA DI RECITAZIONE Le “esercitazioni” su testi classici sono una componente significativa del lavoro produttivo dello Stabile di Genova. Nate dalla finalità didattica di evidenziare il lavoro teatrale nel suo farsi e la complessità dei rapporti che in ogni allestimento scenico si stabilisce tra il testo e gli attori chiamati a interpretarlo, le “esercitazioni” sono realizzate all’interno del lavoro della Scuola di Recitazione e si rivolgono innanzitutto agli spettatori più giovani, ma si aprono anche a un pubblico più vasto per la loro componente sperimentale di ipotesi di messa in scena. La Scuola di Recitazione dello Stabile di Genova è considerata a livello nazionale una delle migliori “botteghe” per la formazione di giovani attori. Al lavoro didattico unisce una completa esperienza di palcoscenico. Il programma di studi si articola in due fasi distinte: un corso di Orientamento e un biennio di Qualificazione Professionale per Attori. Mentre gli allievi neo-diplomati partecipano alle esercitazioni e alle “mise en espace”, quelli che concludono il primo anno di Qualificazione sono protagonisti del Saggio, messo in scena dalla direttrice della scuola Anna Laura Messeri. TEATRO DUSE da martedì 17 a sabato 21 maggio (ore 11 e ore 20.30) Ingresso Libero TEATRO DUSE da mercoledì 15 a sabato 18 giugno, ore 20.30 Rappresentazioni di mattina per le Scuole di tutti gli ordini e gradi, previ accordi con l’Ufficio Rapporti con il Pubblico Rappresentazioni alla sera per tutto il pubblico Ingresso Libero Enrico V Fidanzati in erba e Sarto per signora di William Shakespeare traduzione di Anna Laura Messeri traduzione e regia di Anna Laura Messeri regia di Massimo Mesciulam con Alex Sassatelli, gli allievi dell’ultimo anno della Scuola di Recitazione del Teatro Stabile di Genova (Fabrizio Careddu, Federico Ferrario, Daniele Gatti, Kati Markkanen, Barbara Moselli, Stefania Pascali, Pier Luigi Pasino, Fiorenza Pieri, Vito Saccinto, Marco Taddei) e alcuni allievi del 1° anno del Corso di Qualificazione (Andrea Bonella, Maurizio Lastrico, Paolo Li Volsi, Michele Maganza) Introdotto dal celebre Coro che chiama in causa l’immaginazione dello spettatore nel dare credibilità e verosomiglianza a quello che accade sul palcoscenico («su questa O di legno»), Enrico V è un dramma storico che evoca una fase della guerra dei Cent’anni. Il giovane re Enrico Platageneto risponde a un’offesa del Delfino di Francia, portando le armi sul Continente. Sepolto il suo passato gaio e spensierato, con grande dolore di Falstaff che ne muore di crepacuore, Enrico si rivela un sovrano pienamente consapevole del proprio ruolo. Sbarcato in Francia, conquista Harfleur ed entra in Piccardia; infine, fronteggia l’esercito ben più potente del nemico nella pianura di Azincourt. Durante la notte, Enrico travestito si aggira tra le truppe, interrogando se stesso e rincuorando i soldati stremati e impauriti. La mattina dopo, la vittoria arride agli inglesi e il dramma si conclude con il Una serata con Feydeau tenero colloquio tra il sovrano e la bella Caterina di Francia, sua promessa sposa. Testo dall’andamento fortemente epico, con il Coro che concorre insieme ad alzare e a oggettivare il tono del racconto,Enrico V viene messo in scena da Massimo Mesciulam con gli allievi dell’ultimo anno della Scuola di Recitazione dello Stabile genovese. La dimensione corale, innanzitutto. Con i singoli attori, molti dei quali impegnati anche in più ruoli, intesi a restituire la oggettiva verità della parola scespiriana. Uno spettacolo teatrale nudo ed essenziale che, nel portare consapevolmente in primo piano la parola, restituisce nel modo più semplice l’essenzialità del teatro, il quale proprio attraverso la sua forza immediatamente evocativa è, non solo in questo caso, capace anche di proporsi come preziosa occasione per riflettere sulla Storia, oltre che sul comportamento e sulle passioni degli esseri umani. con gli allievi del 1° Anno del Corso di Qualificazione della Scuola di Recitazione del Teatro Stabile di Genova (Alice Arcuri, Andrea Bonella, Maurizio Lastrico, Zhora Mouij Lebbar, Paolo Li Volsi, Michele Maganza, Francesca Masella, Maria Grazia Pompei, Silvia Quarantini) Con Fidanzati in erba e Sarto per signora seguiamo i primi passi di Georges Feydeau drammaturgo. La prima è una «comédie enfantine» come l’ebbe a chiamare lui stesso e venne recitata per la prima (forse unica?) volta davanti a un pubblico di amici nella Salle Kriegelstein il 29 marzo 1886. Feydeau aveva 24 anni ed era un perfetto sconosciuto. Pochi mesi dopo, il 17 dicembre di quello stesso anno, il Théâtre de la Renaissance gli metteva in scena il suo primo tentativo di commedia in tre atti, Sarto per signora. Era il debutto su di un grande palcoscenico. Naturalmente il nome di Feydeau non bastava per attirare il pubblico, e un po’ anche per ovviare alla relativa brevità della pièce, a Sarto per signora fu premesso quella sera un «lever de rideau» - come si usava a quel tempo, cioè un brevissimo atto unico che serviva come da stuzzichino in attesa del piatto forte - e naturalmente la scelta cadde su di un autore di assoluta garanzia: Labiche. Lo spettacolo che impegna oggi gli allievi della Scuola di Recitazione presenta - come allora - Sarto per signora preceduto da un «lever de rideau», ma poiché nel frattempo la storia ha detto la sua, quale più opportuna scelta che una piccola pièce dello stesso autore? Fidanzati in erba, dedicata alla sorellina Henriette, con la sua grazia maliziosa resta un esemplare unico e singolare nella scintillante produzione dramAnna Laura Messeri matica di questo celebre autore. LA SCUOLA AD ATENE Anche quest’anno la Scuola di Recitazione del Teatro Stabile di Genova rappresenterà l’Italia nel “Rencontre des Ecoles d’Art Dramatique de la Méditérranée”, iniziativa promossa dall’ECUME di Marsiglia. L’appuntamento questa volta è ad Atene dal 19 al 24 aprile prossimi; tema specifico sarà «Il mito drammatico come specchio delle mitologie dei popoli mediterranei». Il progetto prevede una fitta successione di seminari, conferenze e la presentazione di brevi spettacoli a opera delle varie scuole. La Scuola di Genova sarà presente con la sua direttrice Anna Laura Messeri e tre allievi del 1°Corso di Qualificazione: Alice Arcuri, Zhora Mouij Lebbar e Michele Maganza. aprile | giugno 2005 TGE07605 Giornale n°19 6-04-2005 10:39 Pagina 6 6 In aprile ritornano alla Corte le serate dedicate alla Rivoluzione francese Grandi Parole che hanno cambiato la Storia Lunedì 11 aprile (ore 20.30) riprendono al Teatro della Corte gli appuntamenti con la Rivoluzione francese con la serata dedicata al tema della Fraternità, condotta da Enzo Bianchi, priore della Comunità di Bose, e con una ricca antologia di testi interpretati da Maddalena Crippa e Ugo Maria Morosi. Iniziato il 21 febbraio, il decimo ciclo di incontri intitolati alle Grandi Parole dell’Umanità ha fatto registrare anche quest’anno un grande interesse della stampa e del pubblico che ha sempre riempito il teatro ascoltando con grande partecipazione sia i relatori (nell’ordine, Luciano Canfora, Lucio Villari, Mario Capanna) che si sono succeduti sul palcoscenico, sia gli attori (Anna Bonaiuto, Eugenio Allegri, Paola Gassman, Ugo Pagliai, Laura Marinoni, Eros Pagni) che hanno letto le ricche antologie scelte, con la collaborazione dello storico Sergio Luzzatto, a documentare e commentare come la Rivoluzione francese abbia portato in primo piano i valori della Libertà e dell’Uguaglianza o la contraddittoria strategia del Terrore. Nel corso delle ultime due serate - in programma rispettivamente l’11 e il 18 aprile - il ciclo soffermerà l’attenzione sui temi della Fraternità e della Giustizia, che hanno attraversato tutto il periodo della Rivoluzione dal 1789 al Termidoro, vivificandolo con la partecipazione popolare e proiettandone i sogni e le speranze verso i secoli futuri. Come negli appuntamenti precedenti, i testi dell’apparato antologico comprendono testimonianze storiche, lettere e discorsi dei protagonisti, pagine di romanzi e dialoghi teatrali, per aprirsi infine - nella serata conclusiva condotta da Aldo Schiavone, con Vittorio Franceschi e Massimo Venturiello - alle testimonianze di due grandi intellettuali del tempo: Kant, di cui si narra che avendo appresa la notizia della presa della Bastiglia avesse rotto la ferrea consuetudine della sua passeggiata quotidiana, uscendo di casa anzitempo con grande sorpresa dei vicini; e Hegel, che studente a Tubinga corse per la stessa notizia a piantare l’albero della libertà nel prato del locale Ateneo. aprile | giugno 2005 «HELLZAPOPPIN» NEL FOYER DELLA CORTE Proseguono per tutto il mese di aprile gli appuntamenti di «Hellzapoppin - Arte e artisti nel foyer della Corte», che prevedono ancora due incontri «Teatro e Università», due iniziative in collaborazione con il Conservatorio Musicale (Musica nel foyer) e con il Circolo Viaggiatori del Tempo (Poesie, vocali e consonanti) e la presentazione di un libro che affronta temi consonanti con quelli trattati da Corneille in L’illusione comica. PROGRAMMA Giovedì 7 aprile ore 17.30 Teatro e psicanalisi Figli in fuga Un padre del Seicento e una madre celebre analista in drammatico confronto (intorno a L’illusione comica) a cura di Roberto Speziale-Bagliacca Massimo Mesciulam legge alcuni passi da «Ubi maior» di Roberto Speziale-Bagliacca (Astrolabio Editore) in collaborazione con l’Associazione Amici del Teatro Stabile Venerdì 8 aprile ore 19.00 Musica nel Foyer con Renato Procopio e Valentina Giacosa in collaborazione con il Conservatorio Musicale “Niccolò Paganini” Il Teatro della Corte tutto esaurito per le serate dedicate alla Rivoluzione Francese Giovedì 14 aprile ore 17.30 Teatro nel teatro e messa in scena: «L’illusione comica» di Corneille con Pierluigi Pinelli e Marco Sciaccaluga introduce Marco Salotti Incontri Teatro e Università Mercoledì 20 aprile ore 17.30 “Poesie vocali e consonanti” 4 La pastorale moderna: Robert Frost, Ted Hughes e Seamus Heaney a cura di Massimo Bacigalupo in collaborazione con il Circolo Viaggiatori del Tempo Giovedì 28 aprile ore 17.30 Luciano Canfora, Lucio Villari, Mario Capanna relatori delle prime tre serate delle Grandi Parole al Teatro della Corte - Ivo Chiesa a cura di Pierluigi Pinelli introduce Marco Salotti Incontri Teatro e Università I N G R E S S O LA FRATERNITÀ LA GIUSTIZIA Lunedì 11 aprile ore 20.30 Lunedì 18 aprile ore 20.30 relatore Enzo Bianchi relatore Aldo Schiavone letture di Maddalena Crippa e Ugo Maria Morosi letture di Vittorio Franceschi e Massimo Venturiello TESTI J. Michelet, La festa della Federazione La strage di Campo di Marte L. Desmoulins, Lettera V. Hugo, Mille franchi di ricompensa La Marsigliese P.Weiss, Marat/Sade F. Zardi, I giacobini J. Michelet, Le donne, i preti e la Vandea H. de Balzac, Un episodio durante il Terrore TESTI Costituzioni del 1791 e del 1793 «La rivoluzione è finita» M. Robespierre, Per la Costituzione L. Saint-Just, Non si può regnare senza colpa F. Zardi, I giacobini Lettere dei condannati a morte J. Portalis, Preliminari al Codice Civile I. Kant, Elogio della Rivoluzione G. F. W. Hegel, Diritto e Ragione RORE Il teatro fa male? Rousseau contro D’Alembert L TER- L I B E R O TGE07605 Giornale n°19 6-04-2005 10:39 Pagina 7 7 I mestieri del teatro: I n c o n t ro c o n F a b i o Pa ro d i e S a n d ro S u s s i , re s p o n s a b i l i d e l l a d i re z i o n e t e c n i c a d e l l o S t a b i l e L’Ufficio Soluzione Problemi S i c o n c l u d e c o n q u e s t a c o n v e r s a z i o n e a d u e v o c i i l n o s t r o “ v i a g g i o ” a l l a s c o p e r t a d e i m e s t i e r i c h e s i s v o l g o n o d i e t r o l e q u i n t e d e l t e a t r o. P r o t a g o n i s t i d i q u e s t a u l t i m a p u n t a t a s o n o Fa b i o P a r o d i e S a n d r o S u s s i , a i q u a l i è a f f i d a t a l a d i r e z i o n e t e c n i c a d e l Te a t r o S t a b i l e d i G e n o v a , c o n c o m p e t e n z e d i s t i n t e , a n c h e s e c o n t i g u e . “Ufficio soluzione problemi” è la definizione - scherzosa ma non troppo - che Fabio Parodi e Sandro Sussi hanno inventato per l’ufficio che condividono al Teatro Stabile di Genova «perché - spiegano - tutti i problemi che riguardano cose materiali passano di qui, dai lacci delle scarpe che si rompono in scena, alla lampadina che non si accende, al sistema informatico che va in tilt». Un lavoro teatro, accettai. Adesso - spiega sono responsabile di tutto ciò che riguarda la gestione dei due teatri: manutenzione di impianti elettrici, porte, ascensori, impianti di condizionamento, rispetto delle normative per la sicurezza sul lavoro, stipula di contratti con ditte esterne a condizioni adatte alle esigenze di un teatro, che sono soprattutto quelle di risolvere i problemi nel minor tempo possibile. Organizzo inoltre il lavoro ad arrivare i progetti di allestimento, che diventano via via più definiti. Dobbiamo fare in modo che vengano rispettati gli obiettivi di ottimizzazione decisi: tempi, costi, lavoro, indicando per esempio soluzioni meno gravose, dal punto di vista economico, per la produzione, oppure tecnicamente migliori sotto altri profili, e ogni esigenza di scena va concordata con Fabio. Il mio ruolo - sottolinea - è abbastanza delicato, perché si trat- blema dovrebbe essere risolto quando si presenta e quindi la soluzione migliore è anche quella più rapida. Questo forma una mentalità che ti porta a voler risolvere tutto subito. Bisogna capire, perciò, quali sono le priorità da affrontare e cercare di prevenire il più possibile gli inconvenienti che possono verificarsi. Per me - aggiunge - è gratificante il fatto che, quando si segue tutto con attenzione, tutti lavorano passati da zero a cinquanta computer» spiega Parodi. «Ma il punto è che, a volte, i problemi che si presentano sono risolvibili soltanto da chi ha progettato il programma, perché ci sono troppi elementi su cui non si può avere il controllo. Questo mi mette più in ansia, mentre in tutti gli altri settori so come intervenire, dove andare a cercare il problema e come risolverlo». Per Sussi, invece, i disagi maggiori di squadra Parodi e Sussi da circa due anni e mezzo sono responsabili, infatti, con competenze diverse, della direzione tecnica dello Stabile, dividendosi un ruolo che, prima, era affidato ad una sola persona, Piero Niego, adesso in pensione. Parodi si occupa di ciò che riguarda la gestione dei teatri della Corte e Duse, dalla manutenzione ordinaria e straordinaria delle strutture, all’organizzazione del personale tecnico, alla “gestione” del sistema informatico, all’accoglienza degli spettacoli delle compagnie ospiti; Sussi è responsabile della direzione tecnica degli allestimenti, di coordinare cioè gli aspetti tecnici di tutti gli spettacoli di produzione dello Stabile, mediando fra le esigenze artistiche e tecniche e quelle della produzione. Quasi quotidianamente, però, il lavoro dell’uno sconfina, inevitabilmente, in quello dell’altro e per questo - sottolineano - il rispetto e la fiducia reciproci, oltre alla passione comune, sono stati fondamentali per creare, in questi anni, l’intesa e lo spirito di collaborazione che consente alla loro “squadra” di funzionare. Garanti della qualità «Io ho iniziato a lavorare allo Stabile nel 1991, dopo l’inaugurazione del Teatro della Corte», racconta Parodi. «Prima ero dipendente di una ditta che realizzava impianti elettrici e che partecipò alla costruzione del nuovo teatro. Rimasi affascinato dalla passione con cui Sandro e gli altri lavoravano in teatro e così, quando mi proposero di lasciare il mio lavoro per venire allo Stabile, poiché conoscevo tutti i segreti del nuovo Fabio Parodi del personale tecnico, esamino le richieste contenute nelle schede che c’inviano le compagnie ospiti per predisporre le cose in modo che possano lavorare al meglio nei nostri teatri, il che è facile alla Corte molto più difficile al Duse. Essendo poi amministratore di rete mi occupo anche del sistema informatico». Parodi è, insomma, il punto di riferimento per la soluzione di tutti gli inconvenienti, i guasti e i disservizi tecnici che possono verificarsi alla Corte e al Duse ed entra in gioco anche quando si tratta di definire scelte tecniche per gli spettacoli. Sussi, invece, che è anche realizzatore delle luci per lo Stabile, lavora a più stretto contatto con la componente artistica del teatro, a cominciare dagli scenografi. «Sono responsabile del coordinamento delle esigenze tecniche di tutti gli spettacoli di produzione e sono il punto di riferimento fra le esigenze artistiche e tecniche, dello scenografo per esempio o del light designer, e quelle produttive. Già diversi mesi prima del debutto di uno spettacolo di produzione nel mio ufficio iniziano Sandro Sussi ta di trasferire le idee di qualcuno in strutture solide, in cose materiali, cercando di avere sempre un risultato di qualità molto alta. A teatro nessuno si aspetta gli effetti speciali, perché esistono delle convenzioni, però quando qualcosa non funziona gli spettatori se ne accorgono e, quindi, serve un supporto tecnico adeguato alle nuove capacità di percezione del pubblico. Bisogna far credere che tutto funzioni come per magia». «Tutto deve funzionare come per magia» Proprio per questo il direttore tecnico degli allestimenti segue anche l’avvio delle tournée «per essere il garante - spiega Sussi della qualità dello spettacolo, anche quando occorrono degli aggiustamenti per adattarlo alla struttura del teatro ospite». E, visto che il lavoro consiste soprattutto nel risolvere i problemi piccoli e grandi che sorgono via via, da qui derivano anche le maggiori soddisfazioni. «Sul palcoscenico - spiega Sussi - il pro- meno e meglio e il risultato è migliore. Nel teatro di prosa questa è una novità, ma noi cerchiamo di lavorare così, per quanto ci è possibile.Anche con uno spettacolo complesso come La Centaura, per esempio, tutti sono stati contenti del loro lavoro, senza aver dovuto sopportare sofferenze di alcun genere, e lo spettacolo è stato un successo». Per Parodi, «l’aspetto più gratificante è la soluzione del problema che via via devo affrontare. Il mio lavoro dovrebbe permettere agli altri di lavorare al meglio e al pubblico di essere a suo agio e, quando mi sembra di essere riuscito ad ottenere questo, mi sento gratificato.Anche avere, per esempio, un teatro pulito è un segno di qualità. E quando uno spettacolo va in scena e il pubblico applaude, applaude tutto il lavoro che c’è dietro quello spettacolo, anche quello che non conosce ma che serve comunque alla realizzazione».A procurargli i maggiori grattacapi è, invece, il sistema informatico: «È sicuramente la cosa che mi dà più preoccupazioni anche perché in dieci anni qui siamo sono provocati «dai rapporti poco chiari con le persone». «Nell’allestimento di uno spettacolo in cui sono anche il realizzatore delle luci - aggiunge - quello che, invece, mi dà più sofferenza è il fatto che, avendo io un conflitto d’interessi per il duplice ruolo che ricopro, alla fine quello che a volte tendo a sacrificare di più sono proprio le esigenze artistiche, e questo è un po’ frustrante». Una sofferenza che, invece, cerca di risparmiarsi è quella di assistere alla prima degli spettacoli che Ministero Beni e Attività Culturali soci fondatori COMUNE DI GENOVA PROVINCIA DI GENOVA REGIONE LIGURIA socio sostenitore segue: «Il ruolo tecnico che ho adesso esclude, necessariamente, un coinvolgimento emotivo nello spettacolo e questo un po’ mi dispiace» osserva. «Preferisco, quindi, non assistere alle prime, perché ormai a quel punto tutto è stato consegnato a un’altra persona e io non posso fare più niente, quindi mi evito una sofferenza inutile». «Siamo figli dello Stabile» A caratterizzare il lavoro di Parodi e Sussi, rispetto ad altri ruoli tecnici all’interno del teatro, c’è anche il fatto che, dovendo seguire la costruzione di uno spettacolo fin dalla sua iniziale gestazione e poi anche, almeno in parte, nelle tournée, per loro non ci sono quasi pause nel ritmo di lavoro. «Per noi non esistono tempi di recupero» dice Parodi. «In questi ultimi anni poi, sono aumentate sia le produzioni che le compagnie ospiti, quindi, il ritmo di lavoro è molto più intenso che in passato».A renderlo meno pesante c’è, però, la condivisione degli obiettivi. «In questo teatro abbiamo la fortuna di lavorare con persone che hanno passione e che hanno a cuore un obiettivo comune» afferma Parodi. «Siamo tutti “figli” dello stile di gestione del Teatro Stabile» gli fa eco Sussi. «Qui bisogna fare bene perché è il modo di lavorare di tutti e fortunatamente capita ancora di riuscire ad essere persuasivi sulla qualità. E poi siamo tutti abbastanza giovani e questo facilita i rapporti personali e rende la comunicazione fra noi più chiara». a cura di Annamaria Coluccia numero 19 • aprile-giugno 2005 Edizioni Teatro Stabile di Genova Piazza Borgo Pila, 42 • 16129 Genova www. teatrostabilegenova.it Presidente Avv. Giovanni Salvarezza Direzione Carlo Repetti e Marco Sciaccaluga Direttore responsabile Aldo Viganò Collaborazione Annamaria Coluccia Segretaria di redazione Monica Speziotto Autorizzazione del Tribunale di Genova n° 34 del 17/11/2000 partner della stagione Progetto grafico: www.firma.it art: Bruna Arena, Genova (076/05) Stampa: Ortolan, Opera (MI) aprile | giugno 2005 TGE07605 Giornale n°19 6-04-2005 10:40 Pagina 8 8 Appunti sul teatro contemporaneo nell’Africa nera: dai riti tribali alla rivoluzione dei giovani drammaturghi «Totalmente assente dall’editoria e dai palcoscenici italiani fino a vent’anni fa, il teatro africano ha fatto qualche passo avanti grazie a rassegne specializzate e ad eventi e pubblicazioni sporadiche che tentano di dare visibilità ai drammaturghi provenienti dall’Africa. Non è certo agevole orientarsi, anche a grandi linee, nell’ambito di un intero continente come quello africano che com- prende più di cinquanta stati ed è composto di migliaia di comunità con culture e lingue diverse, senza correre il rischio di cadere in generalizzazioni tali da invalidare qualunque riflessione sull’argomento. Anche dal punto di vista metodologico, risulta spesso inadeguato applicare all’Africa strumenti critici basati sulla distinzione dei generi letterari occidentali, sicché periodicamente si vede risorgere il fatidico interrogativo sull’esistenza o meno di un teatro africano. Ma il vero nodo della questione risiede in realtà nello sgombrare il campo dai numerosi e tenaci pregiudizi che impediscono un approccio schietto del fenomeno» scrive Marie-José Hoyet dell’Università dell’Aquila che ci aiuta a entrare in questo continente culturale ancora in gran parte sconosciuto. FERMENTI DELLA SCENA AFRICANA Esistono da tempi immemorabili in Africa, come d’altronde in Occidente, forme di teatralità, sacre o profane, colte o popolari, in mezzo alle quali non sempre si può distinguere fra liturgia, cerimonia ritualizzata e semplice rappresentazione. In certe zone, la differenziazione appare più netta e si registrano, anche se con codificazioni precise, vere e proprie drammatizzazioni collettive che, privilegiando la dimensione corale, coinvolgono una comunità in canti, danze e forme varie di recitazione e di gestualità. Presso alcune società esistevano anche forme più elaborate con funzione didattica e ludica nonché, nei grandi imperi come quello del Mali, un teatro di corte con un ricco repertorio, recitato da attori secondo una trama prestabilita, tramandata oralmente. Un’infinità di forme teatrali che si diversificano per zone geografiche e lingue utilizzate Tutto o quasi cambia con la spartizione del continente tra le grandi potenze europee e la colonizzazione che impone le nuove lingue, in particolare il francese e l’inglese, anche se persistono forme di teatro tradizionale in lingue africane che, rivolgendosi a popolazioni poco o affatto alfabetizzate, rivestono un ruolo di primo piano. Così tra gli anni ‘30 e gli anni ‘50 ci troviamo di fronte a un’infinità di forme teatrali che si diversificano a seconda delle zone geografiche e delle lingue utilizzate (locali, europee o arabe), nelle quali la teatralità autoctona tradizionale si fonde con elementi occidentali. Ciò avviene in particolare nelle aree francofone, prima con l’influenza dei missionari, poi di istituzioni coloniali quali la famosa scuola WilliamPonty del Senegal. Dopo alcune esperienze di tipo etnologico, si allestiscono spettacoli che contrappongono le società consuetudinarie alla cosiddetta civiltà del progresso, ma quasi immediatamente nasce, sempre in lingua francese, un teatro di rivendicazione anticoloniale. Il che non esclude che nel contempo, nell’allora Congo belga, il popolare attore e drammaturgo Albert Mongita, scrivendo e recitando le sue pièce in lingala, una delle principali lingue del Paese, possa esplorare con successo vie del tutto originali. Dopo le aprile | giugno 2005 indipendenze degli anni ‘60, si afferma un’abbondante produzione nel filone del teatro storico. Con grande entusiasmo, si rivalutano le fonti orali e si riscoprono le gesta di eroi africani più o meno mitizzati che hanno resistito alla colonizzazione. Il personaggio più noto, oggetto di un vero e proprio culto, è senz’altro il re zulù Chaka, al quale vengono dedicati testi epici in lingue africane, in inglese e in francese da autori in parte legati al movimento della Negritudine, come il poeta presidente del Senegal, Léopold Sédar Senghor. Verso la fine degli anni ‘70, stati quali Senegal, Mali, Costa d’Avorio, Togo e Congo si dotano di compagnie teatrali nazionali e sembrano voler puntare sullo sviluppo culturale della società proprio tramite le arti dello spettacolo, attivando un teatro di ricerca che si trasforma in breve tempo in teatro ideologico se non di propaganda. Alcuni drammaturghi non esitano tuttavia a formulare violente critiche nei confronti del potere, dando l’avvio a un teatro di denuncia dell’oppressione e della corruzione, che esiste tuttora, ma essi devono far i conti con i regimi Emmanuel Dongala, a sinistra, protagonista di Il medico per forza in una recita del 1959 dittatoriali e la loro feroce censura. Nello stesso periodo, escludendo l’Africa mediterranea che ha una storia culturale completamente diversa, si notano differenze rilevanti nell’Africa sub-sahariana, tra l’area occidentale e quella orientale. Ad esempio, in Kenya, un romanziere e drammaturgo come Ngugi Wa Thiong’o decide, per accelerare la decolonizzazione, anche linguistica, di scrivere nella propria madrelingua, il kikuyu, mentre esperienze del genere sono molto più limitate nelle ex colonie francesi, i cui drammaturghi sono stati accusati di produrre essenzialmente “brutte copie”del teatro europeo. Tanto per l’area anglofona che per quella francofona, il periodo cardine della drammaturgia africana, è rappresentato dalla grande svolta degli anni ‘80, che vede nascere oltre a numerose pièce, la riflessione critica dei due padri fondatori del moderno teatro africano, il nigeriano Wole Soyinka, premio Nobel nel 1986, e il con- In Congo Emmanuel Dongala crea il “Théâtre de l’Eclair” golese Sony Labou Tansi. Entrambi uomini di teatro a tutti gli effetti, autori di grandi testi e creatori di compagnie teatrali, insegnanti di regia e di recitazione, essi riscuoteranno nel corso degli anni un enorme successo in varie parti del mondo, non senza incorrere negli strali dei politici che costringeranno il primo a esiliarsi in Francia per un lungo periodo e il secondo, idolatrato e contestato nello stesso tempo, a dichiarazioni e atteggiamenti paradossali. Wole Soyinka attinge alla ricca cosmogonia yoruba per sviluppare un discorso teorico sul mito, il teatro e l’orizzonte culturale africano in un famoso saggio del 1976, Mito e letteratura (Milano, Jaca Book, 1995). In particolare, nel capitolo intitolato Il quarto stadio, getta le basi di una nuova drammaturgia, saldamente radicata nell’humus africano da lui stesso già anticipata in numerose pièce da La morte e il cavaliere del Re a La strada e a A Play of Giants (1984), senza dimenticare la famosa riscrittura del teatro antico che, con Le Bacchae di Euripide (Grafo 7, 1996), introduce commistioni del tutto imprevedibili tra modelli europei e tradizioni ancestrali africane. Sony Labou Tansi crea nel 1979 a Brazzaville la compagnia del Rocado Zulu Théâtre, che contribuirà a fare conoscere le sue pièce scritte tra il 1981 e il 1987 in Africa e altrove. Nelle pièce La parenthèse de sang, Je sous signé cardiaque e Moi,veuve del’Empire,mette in scena un universo centrato sul tema dell’alienazione, estremamente inventivo ma complesso e suscettibile di molteplici interpretazioni. Morto prematuramente nel 1995, ha lasciato numerosi inediti e un’eredità prodigiosa attraverso la sua particolare abilità nell’attuare una mescolanza di modalità espressive, dall’allegorico al burlesco e al tragico, che sfida con forza tanto gli atteggiamenti occidentali quanto il compiacimento di alcuni africani. In questi due Paesi, Nigeria e Congo, sulla scia di tali esperienze militanti, si instaura un clima favorevole che, accanto alle due figure tutelari, vedrà fino a oggi fiorire molti talenti. Liberati dal retaggio del colonialismo e del neocolonialismo, sono promotori di un teatro giunto ormai a maturazione, con un’identità propria, che non esclude né le più svariate contaminazioni, né una costante evoluzione. Per la Nigeria, fra le altre figure di spicco, occorre menzionare oltre Bode Sowande (Flamingo, 1987; Ajantala-Pinocchio, La Rosa, 1997), anch’egli direttore di una compagnia teatrale, gli attivissimi Femi Osofisan e Ola Rotimi e, più recentemente, alla prima drammaturga del paese, Zulu Sofola, si è affiancata un’altra donna, Tess Onwuem con The Broken Calabash (1984) e Legacies (1999). Sempre per l’area anglofona, il sudafricano più noto è senz’altro Athol Fugard (My Children! My Africa, 1989; Valley Song, 1995) che fin dal suo esordio pratica un teatro di contestazione, in cui lui, regista bianco, dirige una compagnia di attori neri e che, in piena apartheid, si scontrerà violentemente con la censura. In Congo, negli stessi anni ‘80, Emmanuel Dongala crea il “Théâtre de l’Eclair” attivo fino alla partenza forzata dell’autore per gli Stati Uniti nel 1997 e Matondo Kubu Turé la compagnia del “Ngunga”, mentre sulla scena parigina trionfano i lavori di Tchicaya U Tam’si (V. il nostro articolo, Emmanuel Dongala e la rinascita del teatro congolese, in Africa e Mediterraneo,n°46,2004).Una voce africana femminile notissima è quella della camerunese installata a Abidjan, Werewere Liking che, dopo essersi dedicata al teatro rituale, ha creato nel 1983, il “KyYi M’bock”, che riunisce numerosissimi artisti non solo di teatro. Orientata verso una forma di teatro totale (Un Touareg s’est marié à une Pygmée, 1992; Parlare cantando, L’Harmattan Italia, 2003), abolisce talvolta la distinzione fra attore e personaggio e persino quella tra spettatore e attore. Accompagnata da musicisti lei stessa si esibisce spesso in performance di grande impatto, mescolando lingue, toni e livelli del discorso. Un altro creatore, Sénouvo A. Zinsou (Akakpovi reviendra, 1984; La tortue qui chante, 1985; Le bal des fous, 1989), dopo aver diretto per vent’anni la “Troupe Nationale du Togo”, si è dovuto esiliare in Germania, dove prosegue nel suo progetto al confine tra vari generi, ispirandosi ai racconti tradizionali ma anche a forme popolari di teatro togolese. Oggi, fra i francofoni, una nuova generazione di drammaturghi, caratterizzata da una produzione alquanto diversificata, riesce a operare con grande impegno tra Europa e Africa, grazie a una moltiplicazione di eventi specifici a sostegno della creazione drammaturgica. Antesignano è il “Festival International des Francophonies” di Limoges (Francia) creato nel 1980 e centrato sulla creazione contemporanea con annessa residenza di scrittura per autori di teatro che, con nuovi appuntamenti in Belgio, come la stagione “Africalia” di Bruxelles o “Les rencontres d’Octobre” di Liegi promuovono le produzioni africane di qualità. Anche in Africa, rassegne teatrali di alto livello riuniscono artisti di tutto il continente: il “Festival Mindelact” di Mindhelo (Capo Verde), “Il Masa” (Mercato delle arti e degli spettacoli) di Abidjan, il “RETIC” (Incontri internazionali di teatro del Camerun) di Esiste oggi una letteratura teatrale prodotta da autori africani Yaoundé allo stesso modo dei numerosi eventi che si svolgono tra Brazzaville e Kinshasa,come il “FIA” (Festival internazionale dell’attore). Tutte manifestazioni quelle che i recenti eventi politici in Costa d’Avorio e la situazione di continua emergenza nella zona dei Grandi Laghi, rischiano di compromettere, distruggendo quello che è stato faticosamente costruito nell’ultimo decennio del Novecento. La funzione importante del teatro nella vita delle comunità africane è comunque testimoniata dall’esistenza di un vasto repertorio, dinamico e di grande efficacia, destinato a un pubblico esclusivamente africano - che include tanto il “Concert-party” in Togo e in Ghana, il teatro dello sviluppo in Burkina Faso, il teatro terapeutico in Congo, quanto il teatro di strada itinerante, amatoriale o professionale un po’ ovunque - che riflette la complessa realtà politico-sociale del continente e esprime visioni del mondo legate in un modo o nell’altro all’immaginario dei popoli africani. Nonostante le posizioni estreme di scrittori come il togolese Kossi Efoui (Récupérations, 1992; Que la terre vous soit légère, 1996) che si pronuncia contro il concetto di africanità e di autenticità - certamente oggi più che mai difficili da definire - esiste una letteratura teatrale prodotta da autori africani che vivono in Africa o fuori (dove più facilmente vengono pubblicati), che viene rappresentata nel continente e altrove,che continua tuttavia a coesistere, in precisi contesti locali, con espressioni radicate nelle società ancestrali e nello stesso tempo con un’infinità di pratiche sceniche che, puntando sul potere della parola, dialogica o non, si rinnovano continuamente. Fra le nuove leve della creazione drammaturgica in lingua francese, che si ritengono emancipate sia dalle tradizioni africane che dal modello europeo, autori quali il già citato Kossi Efoui e l’avoriano Koffi Kwahulé (Cette vieille magie noire, 1993; Bintou, 1997; Fama, 1998) preconizzano un teatro universale che senza rinnegare le proprie origini sia in grado di superarle, denunciando le violenze e le contraddizioni dell’epoca contemporanea. Insieme al malgascio Raharimanana che ha recentemente creato una sua compagnia a Parigi, allo ciadiano Koulsy Lamko (Tout bas... si bas, 1995),al congolese Caya Makhélé (La fable du cloître des cimetières, 1995) al togolese Kangni Alem (Atterissage, 2002), essi rivelano le mille sfaccettature di un teatro dinamico in Francia e in Africa dove nascono ogni mese nuove seppur piccole compagnie teatrali, dove il giovane avoriano Liazérè con la sua scrittura poetica si dedica a problematiche femminili e dove un altro giovane, il togolese Florent Couao Zotti (Ce soleil où j’ai toujours soif, 1995; La diseuse de malespérance, 2001) ha scelto di rimanere per dar voce agli emarginati della società africana contemporanea che sono, secondo lui, i veri portatori di umanità. Teatro africano plurimo quindi, o forse sarebbe il caso di parlare ormai di teatri africani, tanto è vero che cominciano a circolare testi drammaturgici scritti in lingua italiana da autori immigrati che stanno conquistando un po’ alla volta un loro spazio sulle scene del nostro paese, modificando così anche il paesaggio teatrale italiano. Marie-José Hoyet