n° 19 Aprile Giugno 2005 - Teatro Stabile di Genova

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TGE07605 Giornale n°19
ANNO V | NUMERO 19 | APRILE | GIUGNO 2005
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L’illusione comica
L’illusione comica
Virginia Woolf
I Mestieri del Teatro
Teatro Extraeuropeo
Intervista a Sciaccaluga
Nota di Speziale-Bagliacca
Il nuovo programma
delle rappresentazioni
Mises en espace
Esercitazione su Enrico V
Saggio della Scuola
Le Grandi Parole
Articolo di Cecilia Rizza
Torna la Rivoluzione
La direzione tecnica
Intervista a Parodi e Sussi
La scena africana
Articolo di Marie-José Hoyet
Spettacoli ospiti
Appuntamenti nel Foyer
« L’ i l l u s i o n e c o m i c a » d i C o r n e i l l e t r a d o t t a d a S a n g u i n e t i a l l a C o r t e d a l 6 a l 2 4 a p r i l e
Una commedia d’amore e guerra
EROS PAGNI
PROTAGONISTA NEI RUOLI DEL MAGO
Anche dopo il fortunatissimo 2004,
la nostra città e in questa il lavoro del
Teatro Stabile di Genova cercano di
essere continuamente all’altezza di
una Capitale della cultura.
Il buon andamento della nostra stagione teatrale è a testimoniarlo: nonostante in Italia non si viva un
momento particolarmente felice per
quanto riguarda l’attenzione verso la
cultura e le sue espressioni quali il
teatro, per il Teatro Stabile di Genova
la presenza degli spettatori e la considerazione verso il nostro lavoro sono sempre gratificanti, sia a Genova
che in tournée. Merito questo non solo
dei nostri spettacoli di produzione ma
anche della stagione di ospitalità che
ha visto proposte felici ed apprezzate
quali i recenti Pirandello con Albertazzi e Il mercante di Venezia con
l’Elfo o, nei mesi trascorsi, Il sergente di Marco Paolini, L’avaro con Lavia, La vedova scaltra di Bolzano
per citarne solo alcuni.
In tutto questo un solo episodio sfortunato, la frattura che ha fermato per
quasi tre mesi Mariangela Melato e
Virginia Woolf. Ma ora questa
brutta parentesi sta per finire, e lo
spettacolo a metà aprile potrà essere
finalmente ripreso in tournée e quindi proposto in tutta la sua affascinante forza anche al pubblico genovese nella prima parte di giugno.
Un’occasione da non perdere.
Ora però tutta la nostra attenzione e
la speranza di interessare il pubblico
con uno spettacolo “necessario” sono
puntate sulla quarta produzione
dello Stabile per la stagione, un capolavoro del teatro classico francese,
L’illusione comica di Corneille.
Marco Sciaccaluga, nostro valentissimo regista stabile, la porterà in scena
da mercoledì 6 aprile avvalendosi
della magnifica traduzione di Edoardo Sanguineti e di una compagnia
tutta “made in Teatro Stabile di
Genova”, formata da attori nati e
cresciuti con noi, guidati da un protagonista del teatro italiano qual è Eros
Pagni. Presentare al pubblico questa
compagnia è per noi motivo di sincero orgoglio.
A terminare la stagione quindi una
serie di spettacoli, tre mises en espace, un’esercitazione e un saggio che
guardano al futuro del nostro teatro,
legati come sono al mondo dei giovani. Un modo per noi consueto di far
crescere, alla fine di ogni anno di
lavoro, le radici di quello che sarà il
teatro di domani.
Carlo Repetti
L
’illusione comica di Corneille, in prima nazionale alla
Corte il 6 aprile (repliche sino a domenica 24 aprile), è il nuovo spettacolo prodotto dal Teatro Stabile di
Genova, che lo propone nella nuovissima versione italiana in versi martelliani di Edoardo Sanguineti. Messa
in scena da Marco Sciaccaluga con Eros Pagni protagonista, L’illusione comica è una lode del teatro intessuta
con brio scintillante, che unisce nel segno di una riflessione sull’arte la commedia con la tragedia, il gioco
della fantasia con la profonda libertà del grande teatro
seicentesco.Ambientata dalla regia in una realtà militare, di cui Matamoro è l’immagine paradossale, la commedia è costruita su un continuo spiazzamento dello
ALCANDRO
E
MATAMORO
sguardo dello spettatore, il quale si trova di fatto posto
nella stessa condizione di Pridamante, il padre che si
rivolge al mago Alcandro per ritrovare il figlio scappato di casa a causa della sua eccessiva severità: sempre
coinvolto nello svolgimento dell’intrigo, anche se di
fatto consapevole di stare assistendo solo a un raffinato
gioco di specchi.Al fianco di Eros Pagni, impegnato nel
duplice ruolo del mago Alcandro e del “miles gloriosus” Matamoro, interpretano lo spettacolo Sara Bertelà,
Fabrizio Contri, Eva Cambiale, Andrea Nicolini, Aldo
Ottobrino, Federico Vanni, Antonio Zavatteri. Scena e
costumi di Valeria Manari, musiche di Andrea Nicolini,
luci di Sandro Sussi, fonica di Claudio Torlai.
Eros Pagni (Matamoro) e Sara Bertelà (Isabella) in una scena di L’illusione comica (foto di Marcello Norberth)
A
LUGLIO, AL
FESTIVAL
DI
BORGIO VEREZZI
Il primo Faust dello Stabile
Urfaust, prima
piazza Sant’Agoversione giostino di Borgio
vanile del celeVerezzi nelle seberrimo Faust,
rate di venerdì 8,
poema teatrasabato 9 e dole di Johann
menica 10 luglio
Wo l f g a n g
prossimi. Messo
Goethe, è il
in scena da Annuovo spettadrea Liberovici,
colo prodotto
che in questi
Paola Gassman e Ugo Pagliai
per la stagione
giorni è impe2005/2006 dal Teatro Stabile di gnato nei provini per la ricerca
Genova, in collaborazione con il della «sua» Margherita, Urfaust
Teatro Stabile del Veneto “Carlo sarà interpretato nei ruoli prinGoldoni” e con il Festival di cipali da Ugo Pagliai e Paola
BorgioVerezzi.Lo spettacolo vie- Gassman.Le scene sono di Paolo
ne presentato in anteprima na- Giacchero e i costumi di Silvia
zionale all’aperto nella splendida Aymonino.
DAL 31 MAGGIO
CON LA
MELATO
E
LAVIA
“Virginia Woolf”
finalmente alla Corte
A
vverrà martedì 31 maggio
(ore 20.30) l’atteso debutto
sul palcoscenico del Teatro della
Corte - Ivo Chiesa di Chi ha
paura di Virginia Woolf?, che nel
febbraio scorso si è dovuto rinviare a causa della frattura subita da Mariangela Melato in seguito a una brutta caduta durante una recita in anteprima a
Pisa. Il lettore può trovare ampia informazione sul testo di
Edward Albee e sullo spettacolo diretto da Gabriele Lavia nel
numero 18 del nostro giornale,
che viene distribuito insieme a
questo. Coprodotto dal Teatro
Stabile di Genova e dalla Compagnia Lavia, Virginia Woolf è
interpretato, oltre che da Mariangela Melato e Gabriele Lavia, per la prima volta insieme,
anche da Agnese Nano ed Emiliano Iovine. La scenografia
antinaturalistica dello spettacolo è firmata da Carmelo Giammello e gli eleganti costumi da
Andrea Viotti; le musiche originali sono di Andrea Nicolini e
le luci di Pietro Sperduti.
Dall’alto in basso: Gabriele Lavia e Mariangela
Melato, Agnese Nano e Emiliano Iovine
«Mises en espace», Esercitazione e S aggio della Scuola
IL TEATRO DI GENOVA GUARDA AL FUTURO
Da molti anni ormai è consuetudine del Teatro Stabile di
Genova concludere la stagione
con una serie di spettacoli che
guardano soprattutto al futuro,
privilegiando il mondo dei giovani con allestimenti a ingresso libero. Si tratta delle esercitazioni sui classici, ma anche
della rassegna di «mises en
espace» dedicate alla nuova
drammaturgia, sino ad arrivare
al Saggio di fine anno della
Scuola di Recitazione. La sede
di questi spettacoli sarà quest’anno il Teatro Duse. La prima
ad andare in scena (dal 17 al 21
maggio) sarà l’esercitazione
sull’Enrico V di William Shakespeare, diretta da Massimo
Mesciulam con gli allievi neo-
diplomati della Scuola di Recitazione. Seguiranno poi le tre
«mise en espace» dedicate
quest’anno alla drammaturgia
TORNA LA RIVOLUZIONE
Con la serata intitolata a La Fraternità, condotta da Enzo Bianchi con
Maddalena Crippa e Ugo Maria Morosi, tornano da lunedì 11 aprile (ore
20,30) alla Corte le serate di “Grandi
Parole” dedicate alla Rivoluzione Francese, che tanto successo hanno riscosso nei loro primi tre appuntamenti. Il
ciclo si concluderà il 18 aprile con
Aldo Schiavone che introduce il tema
della Giustizia e con Vittorio Franceschi e Massimo Venturiello protagonisti delle letture.
di alcuni paesi extra-europei:
dal 24 al 28 maggio, La Chunga
del peruviano Mario Vargas
Llosa, regia di Ugo Maria Morosi; dal 31 maggio al 4 giugno,
La donna e il colonnello del
congolese Emmanuel Dongala,
regia di Flavio Parenti; e dal 7
all’11 giugno, Holy Day dell’australiano Andrew Bovell, regia
di Marco Sciaccaluga. Dal 15 al
18 giugno, infine, gli allievi del
primo anno di Qualificazione,
guidati dalla direttrice della
Scuola di Recitazione Anna
Laura Messeri, saranno gli interpreti di Una serata con Feydeau, comprendente l’atto
unico Fidanzati in erba e Sarto
per signora, opere giovanili del
commediografo francese.
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L’illusione comica
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Il primo atto non sembra altro che un Prologo,
L’illusion ci appare come un’opera profonda, oscura,
La fortuna della pièce restava legata al personaggio di
Corneille, che aveva immaginato un padre con un
i tre seguenti formano una Commedia, l’ultimo
tragica, angosciante, pessimista, pur essendo circondata
Matamore che offriva preziose occasioni per dar sfoggio
grande bisogno del figlio, finirà col ricevere
è Tragico; ma lo stile e i personaggi appartengono
da un’aureola di leggerezza poetica, da un’apparente
della loro bravura ad attori di grido, come ad esempio
l’apprezzamento anche di Napoleone Bonaparte:
completamente alla Commedia. (PIERRE CORNEILLE)
dolcezza e da una certa follia amorosa. (GIORGIO STREHLER)
Coquelin, specialista nei ruoli comici. (CECILIA RIZZA)
«S’il vivait, je le ferais prince». (ROBERTO SPEZIALE-BAGLIACCA)
CORNEILLE E L’ILLUSIONE DEL TEATRO
L
A
S
T O R I A
E
Nella stagione 1635-1636 venne
presentata a Parigi dal Théâtre du
Marais diretto dal già celebre attore
Montdory, L’illusion comique, commedia in cinque atti e in versi di
Pierre Corneille (1606-1684). La
pièce ottenne un grande successo
come dimostra il fatto che lo stesso
autore attese tre anni prima di darne
alle stampe il testo al fine di ricavare
tutto il profitto possibile dalla rappresentazione di cui lasciava l’esclusiva
alla compagnia che l’aveva messa in
scena per prima. Dopo l’esito positivo delle prime rappresentazioni, il
successo dell’Illusion si mantenne
almeno per tutta la prima metà del
XVII secolo; tra il 1639 e il 1660 se
ne contano inoltre ben sette edizioni. Poi, il silenzio che si prolunga per
tutto il secolo successivo, se si eccettua la notizia di una sua rappresentazione, di cui nulla però di più preciso sappiamo, nel 1793, cioè in piena
stagione rivoluzionaria.
Soltanto nel 1861, in occasione del
duecentocinquantacinquesimo
anniversario della nascita del drammaturgo, L’illusion trovò posto nel
tempio del teatro parigino, la Comédie française, pur in una forma
largamente rimaneggiata. E questi
arbitrari cambiamenti furono mantenuti, sia nelle dieci rappresentazioni che seguirono fino al 1869, sia
nelle quattro riprese che si ebbero
tra il 1901 e il 1910. La fortuna della
pièce restava legata al personaggio di
Matamore che offriva preziose
occasioni per dar sfoggio della loro
bravura ad attori di grido, come sarà
ad esempio per il già famoso
L A
F
O R T U N A
Coquelin, specialista in ruoli comici.
Bisognerà attendere il 1937 e l’opera
intelligente di uno dei sommi interpreti e registi d’Oltralpe, Louis
Jouvet, perché L’illusion nella sua
forma originale torni alla Comédie
française, sia pure con qualche discutibile intervento scenografico. Ma la
vera, duratura riscoperta di questo
come di altri testi di teatro e di poesia del primo Seicento è soprattutto
dovuta al fondamentale contributo
degli studiosi della cosiddetta “École
de Genève” e in particolare a Jean
Rousset e alla sua rivalutazione del
Barocco nella letteratura francese.
Le nuove interpretazioni proposte
dagli studiosi hanno certamente
influito anche sulle scelte dei registi e
degli attori. Impossibile segnalarle
tutte; basti ricordare la rappresentazione che il Théâtre National
Populaire presentò ad Avignone nel
1965 per la regia di Georges Wilson,
la versione televisiva curata da
Robert Maurice nel 1970 e, soprattutto la straordinaria regia di Giorgio
Strehler per il parigino OdéonThéâtre de l’Europe in occasione del
terzo centenario della morte di
Corneille (1984).
Corneille e il suo tempo
Nato a Rouen da una famiglia della
media borghesia di provincia nel
1606 (l’anno prossimo si celebrerà in
tutto il mondo con convegni, seminari, rappresentazioni, pubblicazioni
il quarto centenario della sua nascita), dopo gli studi nel Collegio dei
Gesuiti della sua città e la laurea in
diritto, Pierre Corneille era stato
D I
U N A
C
O M M E D I A
destinato a ricoprire le cariche che il
padre aveva acquistato per lui di
Advocat du Roi au siège des eaux et
forêts e di Advocat à l’Amirauté de
France. Ma già del 1629 è la sua
prima commedia Mélite che,secondo
una tradizione abbastanza attendibile,
l’attore Montdory, di passaggio a
Rouen, avrebbe letta, apprezzata e
portata a Parigi per rappresentarla.
Comincia allora la carriera del drammaturgo: in tutto fino al 1636 (data
di composizione di L’illusion comique), cinque commedie, una tragicommedia e una tragedia d’ispirazione classica, Médée. Il momento è particolarmente favorevole al teatro e
non solo grazie alla protezione di
Richelieu e dello stesso sovrano
Luigi XIII: a Parigi operano due stabili compagnie teatrali, la già citata
troupe di Montdory che ha la sua
sede al Marais e la troupe de l’Hôtel
de Bourgogne sistemata nei locali
che già furono della Compagnie de
la Passion, ormai soppressa, che aveva
avuto per molti anni il compito di
recitare soltanto testi del teatro religioso, cioè miracles e mystères: il
genere più in voga è la tragicommedia che tratta vicende avventurose e
spesso tragiche anche se con conclusione felice, ma si va verso una maggiore regolarità con la netta distinzione tra commedia e tragedia e l’uso
prevalente della versificazione.
Le commedie di Corneille si distinguono dalla produzione del tempo
non tanto per l’originalità dei temi
trattati, né per la loro comicità, per lo
più poco accentuata, ma per la creazione di personaggi dalla psicologia
complessa,ove il gioco dei sentimenti prevale sulle situazioni talvolta
banali e quasi sempre prevedibili.
L’illusion comique
Un padre, Pridamant, disperato perché, malgrado le sue ricerche nei più
diversi paesi d’Europa, ha perso ogni
traccia del figlio Clindor, da tempo
fuggito da casa, si rivolge al mago
Alcandre nella speranza di averne
qualche notizia. Alcandre invita
Pridamant ad entrare nella sua caverna, dove intende mettere in atto un
sortilegio: basta un colpo della sua
bacchetta magica e la caverna diventa il luogo ove vengono rappresentate le vicende della vita del giovane
scomparso. Realtà? Illusione? I personaggi che Pridamant e noi spetta-
Eros Pagni (Alcandro) celebra l'elogio del Teatro
Il Grigio
di Giorgio Gaber e Sandro Luporini
Duse 5 / 17 aprile
La metaforica storia di un uomo in fuga
dal mondo e alle prese con un invisibile
nemico (un topo grigio) che lo costringe
a riflettere sulle sue scelte affettive e
morali. Un ricordo affettuoso di Giorgio
Gaber attraverso uno dei suoi testi di
maggiore successo. Con Fausto Russo
Alesi e la regia di Serena Sinigaglia.
Produzione del Piccolo di Milano.
T R A V A G A N T E
con stupore e rinnovata meraviglia.
Lo spettacolo viene presentato
al Duse in prima nazionale,
con la regia di Alberto Giusta
che ne è anche uno degli interpreti.
Argante gli rovinano la vita
e lo circondano di egoisti e parassiti.
Con Massimo Dapporto
nel ruolo del protagonista.
Regia di Guglielmo Ferro.
La morte e la fanciulla
di Ariel Dorfman
Duse 26 / 30 aprile
Il malato immaginario
di William Shakespeare
Duse 19 / 24 aprile
di Molière
Corte 26 aprile / 1 maggio
Una compagnia di giovani (la Gank)
formatisi quasi tutti alla scuola dello
Stabile genovese per rivisitare con
sguardo nuovo un classico scespiriano:
L’ultima commedia di Molière ha un
tono leggero e spassoso
con un retrogusto amaro. Le ossessioni
ipocondriache del ricco mercante
Sullo sfondo di uno Stato latinoamericano
appena uscito dalla dittatura.
Il difficile rapporto tra Verità e Giustizia,
ma anche l’irrinunciabile valore
della dignità umana.
La regia di Riccardo Bellandi,
un altro giovane formatosi alla scuola
dello Stabile genovese, universalizza
l’apologo e porta in primo piano
il dovere di capire.
Prima nazionale.
»
E
« M
O S T R U O S A
»
Una scena d'insieme nel finale del primo atto di L'illusione comica
tori con lui vediamo evocati sono
reali o immaginari? Stanno vivendo
le avventure di cui sono protagonisti
nel momento in cui sono evocati o
le hanno già vissute da tempo? Non
sappiamo, ma forse, come a teatro,
non è necessario saperlo. E così
comincia quella parte dell’opera che
Corneille ha chiamato la “comédie
imparfaite”. Dopo molte vicissitudini Clindor che si fa chiamare M. de
la Montagne è giunto a Bordeaux,
dove è entrato al servizio di un capitano guascone, Matamore. Entrambi
sono innamorati di una fanciulla
Isabelle, che ricambia l’amore di
Clindor; ma il padre Géronte la
destina a un più nobile e ricco pretendente Adraste. L’intreccio ripropone dunque un tema assai diffuso
nelle commedie dell’epoca (lo
riprenderà più volte anche Molière):
l’amore dei giovani, il contrasto con i
progetti dei genitori, più portati a
dare importanza al denaro e alla condizione sociale, e quindi quel conflitto generazionale che ha forse qualche riscontro autobiografico per il
nostro drammaturgo, Corneille, che
non solo ha abbandonato la carriera
alla quale lo aveva destinato il padre,
spettacoli ospiti
La bisbetica domata
aprile | giugno 2005
« S
ma che si è anche visto respinto dalla
famiglia, a lui superiore per rango e
per censo, della giovane di cui era
innamorato e che è andata sposa a un
altro. I due giovani si confessano il
loro amore, si prendono gioco di
Matamore, e quando Adraste forte
della volontà del padre affronta
Clindor questi reagisce e lo ferisce a
morte. Sopraffatto dai servi di
Adraste e di Géronte, Clindor è imprigionato e condannato a morte.
Con l’aiuto della servetta Lyse, anche
lei innamorata di Clindor, che seduce con le sue promesse di favori il
carceriere, Clindor riesce a evadere e
a fuggire con Isabelle. La vicenda dei
due innamorati si svolge dunque secondo un copione ben collaudato e
piuttosto comune a molte tragicommedie del tempo, si conclude però in
modo inconsueto, o per meglio dire
non si conclude affatto. Che ne sarà
dei due giovani in fuga? e Matamore
che fine farà? e Lyse rinuncerà al suo
amore per Clindor? E siamo soltanto
alla fine del IV atto…
grande originalità, però, sta nell’aver
lasciato lo spettatore nell’equivoco,
rivelando soltanto alla fine che ciò
che pareva la continuazione della
vicenda precedente era la finzione di
uno spettacolo teatrale.
Tutta L’illusion può essere letta, sia
come una riflessione sulla natura
stessa del teatro, sia come un testo in
cui si riassume esemplarmente una
parte almeno della storia del teatro
di quegli anni,con precisi riferimenti anche alla produzione dello stesso
Corneille. Non è dunque soltanto
nella sua struttura, come è stato giustamente detto, cioè in quel teatro
nel teatro di cui viene fornito un
duplice esempio, che si manifestano
le intenzioni di Corneille, ma anche
attraverso i suoi personaggi che
L’illusion comique può essere letta
come una sorta di riflessione più
generale sul teatro e sul mestiere del
drammaturgo. Non per nulla alcuni
critici hanno voluto avvicinare l’opera di Corneille ai Sei personaggi
pirandelliani.
Il teatro nel teatro
Estratti dal saggio pubblicato nel volume,
edito da Il Melangolo,
che accompagna lo spettacolo
Cecilia Rizza
Il gioco del teatro nel teatro non è
un’invenzione di Corneille. La sua
dal 5 aprile al 13 maggio
Variazioni sul cielo
Resamissa
Acoustic Night 5
di Margherita Hack e Sandra Cavallini
Corte 3, 4, 5 maggio
di Gianluca Bottoni da Giovanni Caproni
Duse 3 / 7 maggio
con Beppe Gambetta
Corte 12 e 13 maggio
Il rapporto tra il cielo e la terra sul filo di
un celebre libro di Margherita Hack
(Sette variazioni sul cielo), che a Genova
è eccezionalmente anche sul palcoscenico,
nel ruolo di se stessa. La saggezza e la
passione della ricerca scientifica in uno
spettacolo ricco d’immagini fotografiche
e teatrali. Regia di Fabio Massimo Iaquone.
Partendo dai versi di una delle sue ultime liriche, percorso a ritroso nell’opera e
nella vita di Giorgio Caproni (1912 1990), portando in primo piano il suo
rapporto con Genova. Regia di Gianluca
Bottoni, con Achille Millo.
Per il quinto anno consecutivo,
Beppe Gambetta torna sul palcoscenico
della Corte con la sua chitarra acustica
e la sua simpatia,
“ospitando” al suo fianco
grandi musicisti internazionali,
tra i quali il pistoiese Maurizio Geri
e l’inglese Ian Melrose.
Viaggiatori immobili
di Vico Faggi e Daniela Ardini
Duse 10 / 15 maggio
Da La regina disadorna di Maurizio
Maggiani: una vicenda di seduzione e di
potere in una Genova sovente misteriosa.
Il porto, i vicoli, le creuze e i luoghi d’affari; soprattutto gli abitanti. Anteprima
nazionale con la regia di Daniela Ardini e
le scene di Giorgio Panni.
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L’illusione comica
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CONVERSAZIONE CON MARCO SCIACCALUGA, REGISTA DELLO SPETTACOLO IN SCENA ALLA CORTE
Nella magica grotta dell’arte
A che cosa serve il teatro?
Nonostante le apparenze, non
credo affatto che L’illusione comica
sia un testo che parla dei rapporti
tra il teatro e il mondo o tra la finzione e la verità. Pirandello mi
sembra lontano. Non credo nemmeno che sia un testo sui rapporti
tra il sogno e la realtà, perché non
possiede quella stupefacente sospensione che appartiene, ad esempio, a La vita è sogno o al Sogno di
una notte di mezza estate o anche
a La tempesta, cui pur sovente
L’illusione comica è stata accostata.
Leggendo o mettendo in scena
L’illusione comica, non viene mai
da pensare che siamo fatti della
stessa materia di cui sono fatti i
sogni. E questo perché la commedia ha di fatto al proprio centro
qualcosa d’altro, proponendosi
come una riflessione sul teatro in
termini etici, e non estetici. L’illusione comica si pone molto concretamente, con profondità e con
urgenza, le domande a che cosa
serve e se serve il teatro. E, allargando questi interrogativi sino a
investire l’arte tutta, giunge a una
risposta assoluta, che non lascia
possibilità di dubbio: l’arte, il teatro, è assolutamente necessaria
all’uomo, non c’è forma per quanto arcaica d’esistenza che possa fare
a meno dell’arte, perché l’arte è più
importante della vita o della realtà.
Elogio dell’arte
L’illusione comica ci dice insieme
quanto sia magica la vita e come
solo l’arte riesca a spiegare questa
magia. Mettere in ordine la vita è
solo uno degli strumenti dell’arte,
la sua essenza va molto più in profondità. Ed è proprio di questa
essenza che alla fine di L’illusione
comica Alcandro tesse l’elogio.
Matamoro e la guerra
L’illusione comica è sostanzialmente
una commedia di temi amorosi e
guerreschi. Le passioni d’amore si
aprono con quella della paternità,
fallita e pentita, per diramarsi poi
in tutte le possibili varianti: erotiche, romantiche, innocenti e perverse, tradite e traditrici, ecc.; mentre il tema della guerra irrompe
nella commedia in modo veramente eclatante attraverso il personaggio di Matamoro. Sarà pur vero
che Corneille ha scritto questo
ruolo per il nuovo arrivato in
compagnia, Bellemore, specializzato nel ruolo di Capitan Fracassa,
ma poi l’ha fatto con una tale
libertà e spudoratezza da farne non
solo una grande parte per un grande attore, ma un personaggio estremamente complesso e particolare.
Matamoro è guerrafondaio e narcisista, si gloria dei suoi muscoli e
sogna di sterminare l’umanità, si
crede continuamente assediato da
tanto che la gelosia la spinge alla
vendetta, ma poi anche al pentimento e al sacrificio.
Pluralità di punti di vista
Eva Cambiale (Lisa) e Fabrizio Contri (Clindoro)
visir e granturchi e sogna di essere
un grande amatore. È un meraviglioso mitomane, che porta alle
estreme conseguenze la mitomania
farsesca del “miles gloriosus”. È
l’ultimo “miles gloriosus” possibile,
talmente prigioniero della sua
mascherata e convinto di ciò che
dice da essere matto, un matto
vero. I sogni di questo mitomane
sono pieni di fantasia, però.
La comicità e il ridicolo
Credo che il nostro spettacolo sarà
“comico”, anche se, spero, attraversato da una comicità mai troppo
esibita o sopra le righe. Non solo
gli attori non devono fare la parodia dei loro personaggi, ma non
devono mai giudicarli, estraniandoli da sé. A proposito di L’illusione comica mi piace pensare a una
comicità che ha più a che fare con
Dostoevskij che con la commedia
dell’arte. E, nel citare l’autore
dell’Idiota non ho solo presente le
molte parole d’ammirazione per
Corneille che egli ebbe occasione
di scrivere in appunti e in numerose lettere, ma anche la straordinaria
comicità, o evidenziazione del
ridicolo, che attraversa le pagine di
molti suoi romanzi, compreso
L’idiota dove, tra l’altro c’è uno
splendido Matamoro nella persona
del generale a riposo Ivolgin,
anche lui grande mitomane, capace
di costruire un mondo interamente a immagine dei propri sogni.
Un mondo in guerra
L’idea di ambientare la commedia
in un mondo militare nasce da
Eva Cambiale, Fabrizio Contri, Sara Bertelà, Federico Vanni (Pridamante), Antonio Zavatteri (Geronte)
e Aldo Ottobrino (Adrasto) in una scena dello spettacolo
suggestioni molto articolate, che
vanno dal clima fondamentalmente claustrofobico della commedia
sino all’urgenza - presente in
Corneille come in noi - di fare un
teatro necessario. Così, da una
parte, c’è quello strano “deserto dei
tartari” con persone disposte secondo una precisa gerarchia, dal
comandante supremo Geronte a
Clindoro, valletto di Matamoro (e
per parlare delle donne, dalla figlia
del comandante, Isabella, alla sua
cameriera, Lisa); mentre, dall’altra,
il discorso sull’arte e sull’autoritarismo si svolge sullo sfondo di un
mondo in guerra simile a quello di
cui noi oggi leggiamo quotidianamente sui giornali, ma che per chi
vive a Bagdad o in alcuni paesi
africani è un dato molto più drammatico e concreto.
Credo che una novità di questo
nostro spettacolo possa essere individuata nel fatto che Pridamante è
in scena, soffocato dall’azione, sino
alla fine del quarto atto. Questo fa
sì che il suo punto di vista non si
identifica con quello dello spettatore, essendo egli al centro degli
eventi, circondato dai fantasmi
evocati da Alcandro. Spettatore privilegiato della narrazione di Alcandro, Pridamante diventa così
parte dello spettacolo agli occhi del
pubblico, che insieme agli eventi
narrati assiste anche alle sue reazioni. Sino a che, verso la fine, quando
Alcandro mostra a Pridamante la
realizzazione delle sue promesse di
successo per il figlio, per la prima
volta, lo porta in platea, facendo sì
che il suo punto di vista coincida
con quello degli altri spettatori. È il
momento in cui ci si sta avvicinando al “coup de théâtre”, alla rivelazione che Clindoro e tutti gli altri
sono degli attori, al denudamento
della finzione scenica. E a questo
punto, Pridamante, depositario
della responsabilità morale nei
confronti di suo figlio e dell’arte,
quindi della vita, consegna questa
sua responsabilità al pubblico: mi
auguro senza pedanteria alcuna,
con leggerezza.
Il “miracolo” di Sanguineti
Il lavoro fatto da Sanguineti ha
qualcosa di miracoloso. Avevo già
avuto la gioia e l’onore di mettere
in scena la sua traduzione del Don
Giovanni; però, trattandosi di un’opera in prosa si poteva là ancora
parlare di un’impresa certo meravigliosa, ma ancora possibile, pur
illuminata dalla straordinaria scelta
linguistica fatta per la scena di
Pierotto e Carlotta. Qui, però, il
Corneille padre e figlio
Avventure amorose
La bellezza dei fantasmi evocati da
Alcandro sta nel fatto che non sono
solo dotati di parola e movimento,
come lui dice; ma, replicanti perfetti, provano anche emozioni e
hanno sentimenti di straordinaria
vitalità.Tra questi l’amore, anche se
mi è sembrato di individuare nei
personaggi, soprattutto in Clindoro
e in Isabella, un interessante sottofondo di insincerità. Prendiamo
Isabella, ad esempio: in lei ci sono
sfumature che consentono di vederla come un’eroina un po’ nevrotica e capricciosa, molto narcisista,
portata a innamorarsi di Clindoro
soprattutto per quel di perverso e di
provocatorio che c’è nell’amare un
proprio subalterno. È la padroncina
che trasgredisce innamorandosi del
cameriere; e in questo suo atto, pur
forse sincero, rivela insieme qualcosa di malato e di comico. Di converso, e a maggior ragione, mi sembra si possa molto dubitare della
sincerità amorosa di Clindoro, donnaiolo in carriera, il quale appena la
padrona esce dalla stanza mette le
mani sulla servetta e, quando la
moglie si distrae, ne approfitta subito per sedurre la figlia del suo protettore. In questo contesto sentimentale, completato dal narcisismo
di Matamoro e dalla cinica concretezza del nobile Adrasto, la più sincera mi sembra ancora essere Lisa:
Eros Pagni (Alcandro)
maestro ha superato se stesso, consegnandoci più di millesettecento
versi dalla dirompente forza teatrale, capaci insieme di una totale aderenza all’originale e di un’assoluta
libertà. Recitare in versi, soprattutto in versi come questi, è davvero
una meraviglia, perché impedisce
all’attore qualsiasi orpello. Il verso
richiama l’attore a testimoniare
davvero il testo: le parole da dire
sono quelle, ma con la libertà di
dirle come ci si sente di doverle
dire. Non sarà facile per me, qualora come mi auguro ritornassi a
lavorare su un classico, non poter
contare su una traduzione di
Sanguineti.
a cura di Aldo Viganò
estratti dalla conversazione pubblicata
nel volume che accompagna lo spettacolo
Pierre Corneille ha solo 29 anni quando nel 1636 crea questo padre che si
pente, che racconta la sua disperazione. Quel genitore potrebbe essere il
padre che avrebbe voluto avere al posto del suo che ne fece un uomo di pandette e di incarichi statali ostacolandolo nel seguire la sua passione per il
teatro? È lecito pensare che Pierre fosse fuggito dall’atmosfera oppressiva
della casa paterna di Rouen, impregnata di solide tradizioni e ricca, se non
di beni patrimoniali, di figli e di relazioni influenti, una famiglia che aveva
dato avvocati, funzionari al re e ministri alla Chiesa? Qualche forte dubbio
su questa ipotesi credo che sia più che legittimo. Il padre, che pure si chiamava Pierre, questo gran dispotico borghese dalle idee ristrette non sembra
lo fosse. Era “advocat du roi à la Table de Marbre du Palais”, e come “maître”
delle acque e delle foreste si dice si fosse palesato un magistrato vigoroso
che aveva soppresso il brigantaggio e i saccheggi senza alcun riguardo per
la propria incolumità personale. Fu fatto nobile nel 1637 e il titolo passò
anche ai due figli Pierre e Thomas. Pierre non sembra ne abbia mai fatto
uso. Aiuta il figlio Pierre a farsi una posizione come “advocat” funzionario
statale, ma non gli impedisce di dedicarsi al teatro. Come non si frapporrà a
che anche l’altro figlio Thomas, di 19 anni più giovane del fratello, si dedichi pure lui al teatro. Ad andarsene Pierre non ci pensava neppure. Restò
nella casa natale di rue de la Pie fino all’età di 56 anni! Col fratello Thomas,
poeta e drammaturgo rivale, meno dotato, ma più agile nel trovare una
rima, andava molto d’accordo. Avevano sposato due sorelle, sia a Rouen che
a Parigi vivevano praticamente sotto lo stesso tetto. Nessuna storia su
Corneille è meglio conosciuta della botola tra le due abitazioni e del fatto
che quando Pierre era in difficoltà gridava al fratello: «Sans-souci, une
rime!». Se Pierre è stato tramandato come piuttosto libero d’invidia, Thomas
non sembra fosse geloso del successo incomparabilmente superiore del fratello. Possibile non rendere merito di questa concordia anche ai genitori?
Ognuno di noi porta dentro di sé i propri genitori, l’ipotesi che farei è che
Pierre ospitasse nel suo animo non un cattivo rapporto ma un buon rapporto con suo padre. Se poté immaginare una scena come quella che dà inizio
a L’illusion comique, così lontana dalla tradizione barocca, fu anche perché
aveva avuto un padre diverso.
Roberto Speziale-Bagliacca
estratti dal saggio pubblicato nel volume, edito da Il Melangolo
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Chi ha paura diVirginia Woolf?
C H I H A P A U R A D I V I R G I N I A W O O L F ? a l Te a t r o d e l l a C o r t e d a l 3 1 m a g g i o a l 1 9 g i u g n o
LA MELATO RITORNA NEL «SUO» TEATRO
L’incidente alla colonna vertebrale occorso in scena a Mariangela Melato, durante la rappresentazione in anteprima a
Pisa di Chi ha paura di Virginia
Woolf?, l’ha costretta a rimanere
lontana dal teatro per quasi tre
mesi, impedendo le previste rappresentazioni dello spettacolo a
Genova, Venezia, Bergamo, Bologna, Rimini e Roma. Ora,
però, l’attrice ha ottenuto dai
medici l’autorizzazione a riprendere l’attività e con entusiasmo si
accinge a riunirsi con i suoi
compagni di lavoro in base a un
programma che, prevede la presenza di Chi ha paura di Virginia
Woolf? sui palcoscenici di Padova
e Milano prima di arrivare al
Teatro della Corte - Ivo Chiesa
dal 31 maggio al 19 giugno.
Come già ampiamente raccontato nel numero 18 di Palcoscenico
& Foyer, che viene ridistribuito
insieme con questo giornale, Chi
ha paura di Virginia Woolf? vede
per la prima volta insieme Mariangela Melato e Gabriele Lavia,
per iniziativa del Teatro Stabile di
Genova che ha prodotto lo spettacolo insieme con la Compagnia
Lavia, in collaborazione con il
Teatro Verdi di Pisa.Al loro fianco
due giovani emergenti: Agnese
Nano ed Emiliano Iovine.
Quartetto ideale per raccontare
una intensa storia di paura e di
rabbia, di violenza e di fragilità
esistenziale, che l’inventiva regia
dello stesso Lavia spinge verso
N U O V O C A L E N DA R I O D E L L E R E C I T E
La caduta in scena di Mariangela Melato ha modificato il calendario delle recite di Chi ha paura di Virginia Woolf?, che riprenderanno a pieno ritmo alla fine
di aprile. Tra aprile e giugno, sono previste rappresentazioni a Padova (Teatro
Verdi, dal 26 aprile al 1° maggio), Milano (Teatro Strehler, dal 3 al 29 maggio) e Genova, dove lo spettacolo rimarrà in scena alla Corte dal 31 maggio
al 19 giugno, con automatica validità nei giorni corrispondenti dei biglietti
acquistati per le previste rappresentazioni di febbraio.
Lo spettacolo sarà ripreso per una lunga tournée nella prossima stagione.
risonanze, ora tragiche e ora
esplicitamente comiche, che
hanno molto a che fare anche
con lo stretto rapporto esistente
tra la crisi del “sogno americano”
e la realtà attuale dell’Occidente.
Scritta nel 1962 e resa celeberrima dall’omonimo film interpretato da Elizabeth Taylor e
Richard Burton diretto da Mike
Nichols, Chi ha paura di Virginia
Woolf? di Edward Albee è una
delle commedie più note di tutto
il teatro statunitense. George e
Martha sono due coniugi della
borghesia intellettuale del New
England. L’azione si svolge nel
salotto dei due protagonisti, che
una sera, dopo un ricevimento a
casa del padre di lei, ricevono la
visita di un’altra coppia più giovane. Tra bicchieri di whisky,
atroci derisioni, giochi sadici e
scherzi crudeli, la coppia americana esibisce il proprio disfacimento e l’”american dream” naufraga
nella solitudine, nell’angoscia e
nella nostalgia. La scenografia
dello spettacolo è firmata da
Carmelo Giammello e gli eleganti costumi da Andrea Viotti;
musiche originali di Andrea
Nicolini e luci di Pietro Sperduti.
Chi ha paura di Virginia Woolf?
(Foto di scena di Giuseppe D’Angelo).
A sinistra Gabriele Lavia e Mariangela
Melato. A destra Mariangela Melato e gli
altri interpreti dello spettacolo; Mariangela
Melato e Gabriele Lavia; Gabriele Lavia
(di spalle) con Mariangela Melato,
Emiliano Iovine e Agnese Nano.
La passione
per l’energia
ci ha permesso
di diventare grandi.
ERG è uno dei grandi operatori dell’energia con una
storia imprenditoriale che, da oltre 65 anni, evolve
nella continuità. Quotata in Borsa, impegnata a creare
valore per i propri azionisti, oggi ERG trasforma il
greggio in prodotti e li vende in tutto il mondo,
possiede e gestisce reti di distribuzione di carburante
in Italia e in Spagna, produce energia elettrica. 5000
milioni di Euro di ricavi consolidati, 2700 dipendenti,
20 milioni di tonnellate di greggio lavorate all’anno
(secondo operatore italiano), 2000 stazioni di servizio,
5 miliardi di kilowattora anno, 750 milioni di
investimenti programmati: questi sono i numeri di
ERG. I numeri di un grande gruppo multienergy.
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A fianco degli spettacoli allestiti alla Corte e
al Duse con registi internazionali, grandi
attori e collaboratori artistici di alto livello,
il Teatro Stabile di Genova dedica ogni anno
una particolare attenzione alla drammaturgia contemporanea, proponendo una rassegna di «mises en espace» intese come speri-
mentazione non solo di nuovi autori, ma
anche di nuovi interpreti (registi e attori) e
di un diverso rapporto con il pubblico. Le
«mises en espace» del Teatro di Genova
hanno permesso di conoscere numerose
opere della drammaturgia contemporanea
nazionale e internazionale (con quest’anno
saranno complessivamente trentuno), favorendo per alcune di queste (ad esempio, La
bella regina di Leenane, Der Totmacher, Mojo
Mickybo, Galois) il passaggio a una vera e
propria messa in scena con autonoma vita sui
palcoscenici italiani. Quest’anno la rassegna
delle «mises en espace» affronta per la prima
volta la drammaturgia dei paesi extra-europei, proponendo testi provenienti dal Perù,
dal Congo e dall’Australia. Al fine soprattutto
di favorire la partecipazione di un pubblico
giovanile e grazie alla collaborazione della
Banca Carige, tutte le “mises en espace” vengono proposte a ingresso libero.
“Mises” da paesi lontani
TEATRO DUSE da martedì 24 a sabato 28 maggio ore 20.30
TEATRO DUSE da martedì 31 maggio a sabato 4 giugno ore 20.30
TEATRO DUSE da martedì 7 a sabato 11 giugno ore 20.30
La Chunga
La donna e il colonnello
Holy Day
di Mario Vargas Llosa
versione italiana di Ernesto Franco
di Emmanuel Dongala
versione italiana di Paola Pioli
di Andrew Bovell
versione italiana di Pietro Bontempo
regia di Ugo Maria Morosi
con Roberto Alinghieri, Arianna Comes, Gianluca Gobbi, Enzo Paci, Gaetano
Sciortino, Pietro Tammaro
regia di Flavio Parenti
con Fiammetta Bellone, Nicola Pannelli, Fabrizio Careddu
regia di Marco Sciaccaluga
con gli allievi neo-diplomati dell’ultimo anno della Scuola di Recitazione
dello Stabile
Che cosa accadde quella notte a Piura, nella camera da letto sopra il bar della Chunga, tra questa
donna selvatica e solitaria e la dolce e remissiva
Meche? Tra una partita di dadi e una bevuta, l’interrogativo infiamma l’immaginazione dei quattro
avventori - il Mono, José, Josefino e Lituma - che
hanno potuto assistere solo ai preliminari del fatto.
In un alternarsi tra presente e passato, tra realtà e
sogno, ciascuno di loro partecipa alla messa in scena
della propria fantasia, manifesta il proprio desiderio, dà la propria interpretazione all’improvvisa scomparsa dell’incantevole Meche dopo quella notte che nessuno potrà dimenticare. Soltanto la Chunga sa e tace. Lei
che non ha amici e non vuole amare, che non accetta confidenze e
galanterie, che parla poco e sorride raramente, è la detentrice del segreto e diventa la ruffiana dell’immaginario altrui. Protagonista di un dramma dall’eccentrica struttura narrativa, ricco di sospensioni e di ciclici
ritorni come una danza sudamericana, la Chunga è il polo intorno al
quale si costruisce una forte idea di teatro che Vargas Llosa aveva già anticipato in La signorina di Tacna e in Kathie e l’ippopotamo.
A causa di un banale guasto alla sua automobile, il
colonnello di un paese africano è costretto a chiedere ospitalità nella casa più vicina, mentre il suo
attendente va a cercare aiuto. La donna che lo ospita si rivela essere un fantasma appartenente al suo
passato, quando con il grado di sergente combatteva nella guerra civile con motivazioni di pulizia
etnica. Ora, la guerra sembra finita, ma restano le
colpe subite dalle vittime e commesse dai carnefici. Forte delle ricchezze facilmente accumulate, il colonnello non riconosce più il proprio passato e la sua ospite, la quale però gli si rivela ben
presto essere colei che, quando era sergente, violentò davanti al marito e
al figlio di dieci anni per la sola colpa di aver voluto difendere delle persone appartenenti al gruppo etnico rivale. E non contento, le annientò
anche la famiglia. Cadenzata intorno ai temi della responsabilità, della
memoria e del perdono, la commedia si dipana con ritmo intenso e
drammatico, costruendo con le modalità drammaturgiche di un thriller
lo scontro etico e civile tra due concezioni del mondo antitetiche, ma
non per questo necessariamente votate alla reciproca negazione.
In Australia verso la metà del secolo diciannovesimo, lungo la frontiera che separa il mondo dei
bianchi da quello degli indigeni. Una donna, sola e
ferita, arriva a un ricovero per viaggiatori nel corso
di una violenta tempesta del deserto. Qui incontra
la gestrice del posto, dove hanno trovato rifugio
anche tre fuorilegge in fuga. La donna racconta
una storia sconvolgente: gli aborigeni le hanno
ucciso il marito e rapito il figlio neonato. La sola
testimone di un racconto diverso è una ragazza di colore. Cosa costringe la donna a mentire? Quale credibilità può avere la parola di un’indigena contro la sua? Il terrore dei bianchi e la resistenza degli aborigeni.
Ritratto di quattro donne straordinarie - c’è anche un’altra ragazza allevata come una figlia dalla donna che gestisce l’avamposto dove tutto si
svolge - in un mondo dominato dalla violenza degli uomini. Lotta per
la sopravvivenza, sullo sfondo di un paesaggio ostile e incompreso. Un
dramma ricco di tensione, tenero e terribile, sul tema della verità e della
menzogna. Un grido teatrale che invita a trovare il coraggio di capire il
proprio passato.
Mario Vargas Llosa nasce in Perù, ad Arequipa, nel 1936. Trascorre l’infanzia in Bolivia, studia a Lima e si trasferisce poi a Madrid. Finita
l’Università, va a Parigi, dove si fa ben presto apprezzare negli ambienti
intellettuali. Scrittore, giornalista e politico, Vargas Llosa è noto soprattutto
come romanziere, ma la sua attività spazia anche nel cinema, nella saggistica e nel teatro. Nel 1990, concorre alle elezioni presidenziali in Perù, ma
viene sconfitto. Presidente del Pen Club International, tiene corsi di letteratura all’Università di Cambridge.
Emmanuel Dongala nasce nel 1941, da padre congolese e madre centrafricana. Compie gli studi negli Stati Uniti e in Francia. Tornato in patria, insegna chimica molecolare all’Università di Brazzaville. Nel 1997, è costretto a
lasciare il Congo per motivi di sicurezza e si trasferisce negli Usa dove attualmente insegna chimica al Simon’s Rock College del Massachusetts e letteratura africana francofona al Bard College di New York. Affermato come
romanziere, è autore teatrale ancora poco conosciuto. La femme et le colonel è stato scritto nel 2000.
Andrew Bovell nasce a Perth in Australia nel 1962. È autore di numerosi testi
teatrali, tra i quali The Ballad of Lois Ryan (1988), Distant Lights from
Dark Places (1994), Scenes from a Separation (1995) e Confidantially
Yours (1998). Dalla sua commedia Speaking in Tongues è stato tratto nel
2001 il film Lantana, diretto da Ray Lawrence e da lui stesso sceneggiato. Le
sue opere per il teatro sono state premiate più volte con il prestigioso AWGIE
Award. Rappresentato sui palcoscenici di tutti i paesi di lingua inglese, Bovell
si sta affermando anche nel resto del mondo.
ESERCITAZIONE SU SHAKESPEARE
SAGGIO DELLA SCUOLA DI RECITAZIONE
Le “esercitazioni” su testi classici sono una componente significativa del lavoro produttivo dello Stabile di Genova.
Nate dalla finalità didattica di evidenziare il lavoro teatrale nel suo farsi e la complessità dei rapporti che in ogni
allestimento scenico si stabilisce tra il testo e gli attori chiamati a interpretarlo, le “esercitazioni” sono realizzate
all’interno del lavoro della Scuola di Recitazione e si rivolgono innanzitutto agli spettatori più giovani, ma si aprono anche a un pubblico più vasto per la loro componente sperimentale di ipotesi di messa in scena.
La Scuola di Recitazione dello Stabile di Genova è considerata a livello nazionale una delle migliori “botteghe” per la
formazione di giovani attori. Al lavoro didattico unisce una completa esperienza di palcoscenico. Il programma di studi
si articola in due fasi distinte: un corso di Orientamento e un biennio di Qualificazione Professionale per Attori.
Mentre gli allievi neo-diplomati partecipano alle esercitazioni e alle “mise en espace”, quelli che concludono il primo
anno di Qualificazione sono protagonisti del Saggio, messo in scena dalla direttrice della scuola Anna Laura Messeri.
TEATRO DUSE da martedì 17 a sabato 21 maggio (ore 11 e ore 20.30) Ingresso Libero
TEATRO DUSE da mercoledì 15 a sabato 18 giugno, ore 20.30
Rappresentazioni di mattina per le Scuole di tutti gli ordini e gradi, previ accordi con l’Ufficio Rapporti con il Pubblico
Rappresentazioni alla sera per tutto il pubblico
Ingresso Libero
Enrico V
Fidanzati in erba e Sarto per signora
di William Shakespeare
traduzione di Anna Laura Messeri
traduzione e regia di Anna Laura Messeri
regia di Massimo Mesciulam
con Alex Sassatelli, gli allievi dell’ultimo anno della Scuola di Recitazione del Teatro Stabile di Genova (Fabrizio
Careddu, Federico Ferrario, Daniele Gatti, Kati Markkanen, Barbara Moselli, Stefania Pascali, Pier Luigi Pasino,
Fiorenza Pieri, Vito Saccinto, Marco Taddei) e alcuni allievi del 1° anno del Corso di Qualificazione (Andrea
Bonella, Maurizio Lastrico, Paolo Li Volsi, Michele Maganza)
Introdotto dal celebre Coro che
chiama in causa l’immaginazione dello spettatore nel dare credibilità e verosomiglianza a quello che accade sul palcoscenico
(«su questa O di legno»), Enrico V
è un dramma storico che evoca
una fase della guerra dei Cent’anni. Il giovane re Enrico Platageneto risponde a un’offesa del
Delfino di Francia, portando le
armi sul Continente. Sepolto il suo passato gaio e spensierato, con grande dolore di Falstaff che ne muore di
crepacuore, Enrico si rivela un sovrano pienamente
consapevole del proprio ruolo. Sbarcato in Francia,
conquista Harfleur ed entra in Piccardia; infine, fronteggia l’esercito ben più potente del nemico nella pianura di Azincourt. Durante la notte, Enrico travestito si
aggira tra le truppe, interrogando se stesso e rincuorando i soldati stremati e impauriti. La mattina dopo, la vittoria arride agli inglesi e il dramma si conclude con il
Una serata con Feydeau
tenero colloquio tra il sovrano e
la bella Caterina di Francia, sua
promessa sposa. Testo dall’andamento fortemente epico, con il
Coro che concorre insieme ad
alzare e a oggettivare il tono del
racconto,Enrico V viene messo in
scena da Massimo Mesciulam
con gli allievi dell’ultimo anno
della Scuola di Recitazione dello
Stabile genovese. La dimensione
corale, innanzitutto. Con i singoli attori, molti dei quali
impegnati anche in più ruoli, intesi a restituire la oggettiva verità della parola scespiriana. Uno spettacolo teatrale nudo ed essenziale che, nel portare consapevolmente in primo piano la parola, restituisce nel modo
più semplice l’essenzialità del teatro, il quale proprio
attraverso la sua forza immediatamente evocativa è, non
solo in questo caso, capace anche di proporsi come preziosa occasione per riflettere sulla Storia, oltre che sul
comportamento e sulle passioni degli esseri umani.
con gli allievi del 1° Anno del Corso di Qualificazione della Scuola di Recitazione del Teatro Stabile di Genova (Alice Arcuri,
Andrea Bonella, Maurizio Lastrico, Zhora Mouij Lebbar, Paolo Li Volsi, Michele Maganza, Francesca Masella, Maria
Grazia Pompei, Silvia Quarantini)
Con Fidanzati in erba e Sarto per signora seguiamo i primi
passi di Georges Feydeau drammaturgo. La prima è una «comédie
enfantine» come l’ebbe a chiamare lui stesso e venne recitata per la
prima (forse unica?) volta davanti a un pubblico di amici nella Salle
Kriegelstein il 29 marzo 1886. Feydeau aveva 24 anni ed era un
perfetto sconosciuto. Pochi mesi dopo, il 17 dicembre di quello stesso anno, il Théâtre de la Renaissance gli metteva in scena il suo
primo tentativo di commedia in tre atti, Sarto per signora. Era il
debutto su di un grande palcoscenico. Naturalmente il nome di
Feydeau non bastava per attirare il pubblico, e un po’ anche per
ovviare alla relativa brevità della pièce, a Sarto per signora fu premesso quella sera un «lever de rideau» - come si usava a quel
tempo, cioè un brevissimo atto unico che serviva come da stuzzichino in attesa del piatto forte - e naturalmente la scelta cadde su
di un autore di assoluta garanzia: Labiche. Lo spettacolo che impegna oggi gli allievi della Scuola di Recitazione presenta - come allora - Sarto per signora preceduto da un «lever de rideau», ma poiché nel frattempo la storia ha detto la sua, quale più opportuna scelta che una piccola pièce dello stesso autore? Fidanzati in erba,
dedicata alla sorellina Henriette, con la sua grazia maliziosa resta
un esemplare unico e singolare nella scintillante produzione dramAnna Laura Messeri
matica di questo celebre autore.
LA SCUOLA AD ATENE
Anche quest’anno la Scuola di Recitazione del Teatro Stabile di Genova rappresenterà l’Italia nel “Rencontre des Ecoles
d’Art Dramatique de la Méditérranée”,
iniziativa promossa dall’ECUME di Marsiglia. L’appuntamento questa volta è ad
Atene dal 19 al 24 aprile prossimi; tema
specifico sarà «Il mito drammatico come
specchio delle mitologie dei popoli
mediterranei». Il progetto prevede una
fitta successione di seminari, conferenze
e la presentazione di brevi spettacoli a
opera delle varie scuole. La Scuola di
Genova sarà presente con la sua direttrice Anna Laura Messeri e tre allievi del
1°Corso di Qualificazione: Alice Arcuri,
Zhora Mouij Lebbar e Michele Maganza.
aprile | giugno 2005
TGE07605 Giornale n°19
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In aprile ritornano alla Corte le serate dedicate alla Rivoluzione francese
Grandi Parole che hanno cambiato la Storia
Lunedì 11 aprile (ore 20.30) riprendono al Teatro della Corte gli
appuntamenti con la Rivoluzione
francese con la serata dedicata al tema della Fraternità, condotta da
Enzo Bianchi, priore della Comunità di Bose, e con una ricca
antologia di testi interpretati da
Maddalena Crippa e Ugo Maria
Morosi. Iniziato il 21 febbraio, il
decimo ciclo di incontri intitolati
alle Grandi Parole dell’Umanità ha
fatto registrare anche quest’anno
un grande interesse della stampa e
del pubblico che ha sempre riempito il teatro ascoltando con grande partecipazione sia i relatori
(nell’ordine, Luciano Canfora, Lucio Villari, Mario Capanna) che si
sono succeduti sul palcoscenico,
sia gli attori (Anna Bonaiuto,
Eugenio Allegri, Paola Gassman,
Ugo Pagliai, Laura Marinoni, Eros
Pagni) che hanno letto le ricche
antologie scelte, con la collaborazione dello storico Sergio Luzzatto, a documentare e commentare
come la Rivoluzione francese abbia portato in primo piano i valori della Libertà e dell’Uguaglianza o
la contraddittoria strategia del Terrore. Nel corso delle ultime due
serate - in programma rispettivamente l’11 e il 18 aprile - il ciclo
soffermerà l’attenzione sui temi
della Fraternità e della Giustizia,
che hanno attraversato tutto il periodo della Rivoluzione dal 1789
al Termidoro, vivificandolo con la
partecipazione popolare e proiettandone i sogni e le speranze verso
i secoli futuri. Come negli appuntamenti precedenti, i testi dell’apparato antologico comprendono
testimonianze storiche, lettere e
discorsi dei protagonisti, pagine di
romanzi e dialoghi teatrali, per
aprirsi infine - nella serata conclusiva condotta da Aldo Schiavone,
con Vittorio Franceschi e Massimo
Venturiello - alle testimonianze di
due grandi intellettuali del tempo:
Kant, di cui si narra che avendo
appresa la notizia della presa della
Bastiglia avesse rotto la ferrea consuetudine della sua passeggiata
quotidiana, uscendo di casa anzitempo con grande sorpresa dei
vicini; e Hegel, che studente a
Tubinga corse per la stessa notizia
a piantare l’albero della libertà nel
prato del locale Ateneo.
aprile | giugno 2005
«HELLZAPOPPIN»
NEL FOYER DELLA CORTE
Proseguono per tutto il mese di aprile gli appuntamenti di «Hellzapoppin - Arte e artisti nel foyer della Corte», che prevedono ancora due incontri «Teatro e Università»,
due iniziative in collaborazione con il Conservatorio Musicale (Musica nel foyer) e con
il Circolo Viaggiatori del Tempo (Poesie, vocali e consonanti) e la presentazione di un
libro che affronta temi consonanti con quelli trattati da Corneille in L’illusione comica.
PROGRAMMA
Giovedì 7 aprile ore 17.30
Teatro e psicanalisi
Figli in fuga
Un padre del Seicento
e una madre celebre analista
in drammatico confronto
(intorno a L’illusione comica)
a cura di Roberto Speziale-Bagliacca
Massimo Mesciulam legge alcuni passi da «Ubi maior» di Roberto Speziale-Bagliacca
(Astrolabio Editore)
in collaborazione con l’Associazione Amici del Teatro Stabile
Venerdì 8 aprile ore 19.00
Musica nel Foyer
con Renato Procopio e Valentina Giacosa
in collaborazione con il Conservatorio Musicale “Niccolò Paganini”
Il Teatro della Corte tutto esaurito per le serate dedicate alla Rivoluzione Francese
Giovedì 14 aprile ore 17.30
Teatro nel teatro e messa in scena:
«L’illusione comica» di Corneille
con Pierluigi Pinelli e Marco Sciaccaluga
introduce Marco Salotti
Incontri Teatro e Università
Mercoledì 20 aprile ore 17.30
“Poesie vocali e consonanti” 4
La pastorale moderna:
Robert Frost, Ted Hughes e Seamus Heaney
a cura di Massimo Bacigalupo
in collaborazione con il Circolo Viaggiatori del Tempo
Giovedì 28 aprile ore 17.30
Luciano Canfora, Lucio Villari, Mario Capanna relatori delle prime tre serate delle Grandi Parole al Teatro della Corte - Ivo Chiesa
a cura di Pierluigi Pinelli
introduce Marco Salotti
Incontri Teatro e Università
I N G R E S S O
LA FRATERNITÀ
LA GIUSTIZIA
Lunedì 11 aprile
ore 20.30
Lunedì 18 aprile
ore 20.30
relatore Enzo Bianchi
relatore Aldo Schiavone
letture di Maddalena Crippa
e Ugo Maria Morosi
letture di Vittorio Franceschi
e Massimo Venturiello
TESTI
J. Michelet, La festa della Federazione
La strage di Campo di Marte
L. Desmoulins, Lettera
V. Hugo, Mille franchi di ricompensa
La Marsigliese
P.Weiss, Marat/Sade
F. Zardi, I giacobini
J. Michelet, Le donne, i preti e la Vandea
H. de Balzac, Un episodio durante il Terrore
TESTI
Costituzioni del 1791 e del 1793
«La rivoluzione è finita»
M. Robespierre, Per la Costituzione
L. Saint-Just, Non si può regnare senza colpa
F. Zardi, I giacobini
Lettere dei condannati a morte
J. Portalis, Preliminari al Codice Civile
I. Kant, Elogio della Rivoluzione
G. F. W. Hegel, Diritto e Ragione
RORE
Il teatro fa male?
Rousseau contro D’Alembert
L TER-
L I B E R O
TGE07605 Giornale n°19
6-04-2005
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I mestieri del teatro: I n c o n t ro c o n F a b i o Pa ro d i e S a n d ro S u s s i , re s p o n s a b i l i d e l l a d i re z i o n e t e c n i c a d e l l o S t a b i l e
L’Ufficio Soluzione Problemi
S i c o n c l u d e c o n q u e s t a c o n v e r s a z i o n e a d u e v o c i i l n o s t r o “ v i a g g i o ” a l l a s c o p e r t a d e i m e s t i e r i c h e s i s v o l g o n o d i e t r o l e q u i n t e d e l t e a t r o. P r o t a g o n i s t i d i q u e s t a
u l t i m a p u n t a t a s o n o Fa b i o P a r o d i e S a n d r o S u s s i , a i q u a l i è a f f i d a t a l a d i r e z i o n e t e c n i c a d e l Te a t r o S t a b i l e d i G e n o v a , c o n c o m p e t e n z e d i s t i n t e , a n c h e s e c o n t i g u e .
“Ufficio soluzione problemi” è la
definizione - scherzosa ma non
troppo - che Fabio Parodi e
Sandro Sussi hanno inventato per
l’ufficio che condividono al Teatro
Stabile di Genova «perché - spiegano - tutti i problemi che riguardano cose materiali passano di
qui, dai lacci delle scarpe che si
rompono in scena, alla lampadina
che non si accende, al sistema
informatico che va in tilt».
Un lavoro
teatro, accettai. Adesso - spiega sono responsabile di tutto ciò che
riguarda la gestione dei due teatri:
manutenzione di impianti elettrici, porte, ascensori, impianti di
condizionamento, rispetto delle
normative per la sicurezza sul
lavoro, stipula di contratti con
ditte esterne a condizioni adatte
alle esigenze di un teatro, che sono
soprattutto quelle di risolvere i
problemi nel minor tempo possibile. Organizzo inoltre il lavoro
ad arrivare i progetti di allestimento, che diventano via via più definiti. Dobbiamo fare in modo che
vengano rispettati gli obiettivi di
ottimizzazione decisi: tempi, costi,
lavoro, indicando per esempio
soluzioni meno gravose, dal punto
di vista economico, per la produzione, oppure tecnicamente migliori sotto altri profili, e ogni esigenza di scena va concordata con
Fabio. Il mio ruolo - sottolinea - è
abbastanza delicato, perché si trat-
blema dovrebbe essere risolto
quando si presenta e quindi la
soluzione migliore è anche quella
più rapida. Questo forma una
mentalità che ti porta a voler
risolvere tutto subito. Bisogna
capire, perciò, quali sono le priorità da affrontare e cercare di prevenire il più possibile gli inconvenienti che possono verificarsi. Per
me - aggiunge - è gratificante il
fatto che, quando si segue tutto
con attenzione, tutti lavorano
passati da zero a cinquanta computer» spiega Parodi. «Ma il punto
è che, a volte, i problemi che si
presentano sono risolvibili soltanto da chi ha progettato il programma, perché ci sono troppi
elementi su cui non si può avere il
controllo. Questo mi mette più in
ansia, mentre in tutti gli altri settori so come intervenire, dove andare a cercare il problema e come
risolverlo».
Per Sussi, invece, i disagi maggiori
di squadra
Parodi e Sussi da circa due anni e
mezzo sono responsabili, infatti,
con competenze diverse, della
direzione tecnica dello Stabile,
dividendosi un ruolo che, prima,
era affidato ad una sola persona,
Piero Niego, adesso in pensione.
Parodi si occupa di ciò che riguarda la gestione dei teatri della
Corte e Duse, dalla manutenzione
ordinaria e straordinaria delle
strutture, all’organizzazione del
personale tecnico, alla “gestione”
del sistema informatico, all’accoglienza degli spettacoli delle compagnie ospiti; Sussi è responsabile
della direzione tecnica degli allestimenti, di coordinare cioè gli
aspetti tecnici di tutti gli spettacoli di produzione dello Stabile,
mediando fra le esigenze artistiche
e tecniche e quelle della produzione. Quasi quotidianamente,
però, il lavoro dell’uno sconfina,
inevitabilmente, in quello dell’altro e per questo - sottolineano - il
rispetto e la fiducia reciproci, oltre
alla passione comune, sono stati
fondamentali per creare, in questi
anni, l’intesa e lo spirito di collaborazione che consente alla loro
“squadra” di funzionare.
Garanti
della qualità
«Io ho iniziato a lavorare allo
Stabile nel 1991, dopo l’inaugurazione del Teatro della Corte», racconta Parodi. «Prima ero dipendente di una ditta che realizzava
impianti elettrici e che partecipò
alla costruzione del nuovo teatro.
Rimasi affascinato dalla passione
con cui Sandro e gli altri lavoravano in teatro e così, quando mi
proposero di lasciare il mio lavoro
per venire allo Stabile, poiché
conoscevo tutti i segreti del nuovo
Fabio Parodi
del personale tecnico, esamino le
richieste contenute nelle schede
che c’inviano le compagnie ospiti
per predisporre le cose in modo
che possano lavorare al meglio nei
nostri teatri, il che è facile alla
Corte molto più difficile al Duse.
Essendo poi amministratore di
rete mi occupo anche del sistema
informatico». Parodi è, insomma, il
punto di riferimento per la soluzione di tutti gli inconvenienti, i
guasti e i disservizi tecnici che
possono verificarsi alla Corte e al
Duse ed entra in gioco anche
quando si tratta di definire scelte
tecniche per gli spettacoli.
Sussi, invece, che è anche realizzatore delle luci per lo Stabile, lavora a più stretto contatto con la
componente artistica del teatro, a
cominciare dagli scenografi.
«Sono responsabile del coordinamento delle esigenze tecniche di
tutti gli spettacoli di produzione e
sono il punto di riferimento fra le
esigenze artistiche e tecniche,
dello scenografo per esempio o
del light designer, e quelle produttive. Già diversi mesi prima del
debutto di uno spettacolo di produzione nel mio ufficio iniziano
Sandro Sussi
ta di trasferire le idee di qualcuno
in strutture solide, in cose materiali, cercando di avere sempre un
risultato di qualità molto alta. A
teatro nessuno si aspetta gli effetti
speciali, perché esistono delle convenzioni, però quando qualcosa
non funziona gli spettatori se ne
accorgono e, quindi, serve un supporto tecnico adeguato alle nuove
capacità di percezione del pubblico. Bisogna far credere che tutto
funzioni come per magia».
«Tutto deve funzionare
come per magia»
Proprio per questo il direttore
tecnico degli allestimenti segue
anche l’avvio delle tournée «per
essere il garante - spiega Sussi della qualità dello spettacolo,
anche quando occorrono degli
aggiustamenti per adattarlo alla
struttura del teatro ospite».
E, visto che il lavoro consiste
soprattutto nel risolvere i problemi piccoli e grandi che sorgono
via via, da qui derivano anche le
maggiori soddisfazioni. «Sul palcoscenico - spiega Sussi - il pro-
meno e meglio e il risultato è
migliore. Nel teatro di prosa questa è una novità, ma noi cerchiamo di lavorare così, per quanto ci
è possibile.Anche con uno spettacolo complesso come La
Centaura, per esempio, tutti sono
stati contenti del loro lavoro, senza
aver dovuto sopportare sofferenze
di alcun genere, e lo spettacolo è
stato un successo».
Per Parodi, «l’aspetto più gratificante è la soluzione del problema
che via via devo affrontare. Il mio
lavoro dovrebbe permettere agli
altri di lavorare al meglio e al pubblico di essere a suo agio e, quando mi sembra di essere riuscito ad
ottenere questo, mi sento gratificato.Anche avere, per esempio, un
teatro pulito è un segno di qualità. E quando uno spettacolo va in
scena e il pubblico applaude,
applaude tutto il lavoro che c’è
dietro quello spettacolo, anche
quello che non conosce ma che
serve comunque alla realizzazione».A procurargli i maggiori grattacapi è, invece, il sistema informatico: «È sicuramente la cosa che
mi dà più preoccupazioni anche
perché in dieci anni qui siamo
sono provocati «dai rapporti poco
chiari con le persone».
«Nell’allestimento di uno spettacolo in cui sono anche il realizzatore delle luci - aggiunge - quello
che, invece, mi dà più sofferenza è
il fatto che, avendo io un conflitto
d’interessi per il duplice ruolo che
ricopro, alla fine quello che a volte
tendo a sacrificare di più sono
proprio le esigenze artistiche, e
questo è un po’ frustrante». Una
sofferenza che, invece, cerca di
risparmiarsi è quella di assistere
alla prima degli spettacoli che
Ministero Beni e Attività Culturali
soci fondatori
COMUNE DI GENOVA
PROVINCIA DI GENOVA
REGIONE LIGURIA
socio sostenitore
segue: «Il ruolo tecnico che ho
adesso esclude, necessariamente,
un coinvolgimento emotivo nello
spettacolo e questo un po’ mi dispiace» osserva. «Preferisco, quindi, non assistere alle prime, perché
ormai a quel punto tutto è stato
consegnato a un’altra persona e io
non posso fare più niente, quindi
mi evito una sofferenza inutile».
«Siamo figli
dello Stabile»
A caratterizzare il lavoro di Parodi
e Sussi, rispetto ad altri ruoli tecnici all’interno del teatro, c’è
anche il fatto che, dovendo seguire la costruzione di uno spettacolo fin dalla sua iniziale gestazione
e poi anche, almeno in parte, nelle
tournée, per loro non ci sono
quasi pause nel ritmo di lavoro.
«Per noi non esistono tempi di
recupero» dice Parodi. «In questi
ultimi anni poi, sono aumentate
sia le produzioni che le compagnie ospiti, quindi, il ritmo di
lavoro è molto più intenso che in
passato».A renderlo meno pesante
c’è, però, la condivisione degli
obiettivi. «In questo teatro abbiamo la fortuna di lavorare con persone che hanno passione e che
hanno a cuore un obiettivo comune» afferma Parodi. «Siamo
tutti “figli” dello stile di gestione
del Teatro Stabile» gli fa eco Sussi.
«Qui bisogna fare bene perché è il
modo di lavorare di tutti e fortunatamente capita ancora di riuscire ad essere persuasivi sulla qualità. E poi siamo tutti abbastanza
giovani e questo facilita i rapporti
personali e rende la comunicazione fra noi più chiara».
a cura di Annamaria Coluccia
numero 19 • aprile-giugno 2005
Edizioni Teatro Stabile di Genova
Piazza Borgo Pila, 42 • 16129 Genova
www. teatrostabilegenova.it
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Collaborazione Annamaria Coluccia
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n° 34 del 17/11/2000
partner della stagione
Progetto grafico:
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art: Bruna Arena, Genova (076/05)
Stampa: Ortolan, Opera (MI)
aprile | giugno 2005
TGE07605 Giornale n°19
6-04-2005
10:40
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Appunti sul teatro contemporaneo nell’Africa nera: dai riti tribali alla rivoluzione dei giovani drammaturghi
«Totalmente assente dall’editoria e dai palcoscenici italiani fino a vent’anni fa,
il teatro africano ha fatto qualche passo avanti grazie a rassegne specializzate
e ad eventi e pubblicazioni sporadiche che tentano di dare visibilità ai drammaturghi provenienti dall’Africa. Non è certo agevole orientarsi, anche a grandi linee, nell’ambito di un intero continente come quello africano che com-
prende più di cinquanta stati ed è composto di migliaia di comunità con culture e lingue diverse, senza correre il rischio di cadere in generalizzazioni tali da
invalidare qualunque riflessione sull’argomento. Anche dal punto di vista
metodologico, risulta spesso inadeguato applicare all’Africa strumenti critici
basati sulla distinzione dei generi letterari occidentali, sicché periodicamente
si vede risorgere il fatidico interrogativo sull’esistenza o meno di un teatro
africano. Ma il vero nodo della questione risiede in realtà nello sgombrare
il campo dai numerosi e tenaci pregiudizi che impediscono un approccio schietto del fenomeno» scrive Marie-José Hoyet dell’Università dell’Aquila che ci aiuta
a entrare in questo continente culturale ancora in gran parte sconosciuto.
FERMENTI DELLA SCENA AFRICANA
Esistono da tempi immemorabili
in Africa, come d’altronde in Occidente, forme di teatralità, sacre o
profane, colte o popolari, in mezzo
alle quali non sempre si può distinguere fra liturgia, cerimonia ritualizzata e semplice rappresentazione. In certe zone, la differenziazione appare più netta e si registrano,
anche se con codificazioni precise,
vere e proprie drammatizzazioni
collettive che, privilegiando la dimensione corale, coinvolgono una
comunità in canti, danze e forme
varie di recitazione e di gestualità.
Presso alcune società esistevano anche forme più elaborate con funzione didattica e ludica nonché,
nei grandi imperi come quello del
Mali, un teatro di corte con un
ricco repertorio, recitato da attori
secondo una trama prestabilita, tramandata oralmente.
Un’infinità di forme teatrali
che si diversificano
per zone geografiche
e lingue utilizzate
Tutto o quasi cambia con la spartizione del continente tra le grandi
potenze europee e la colonizzazione che impone le nuove lingue, in
particolare il francese e l’inglese,
anche se persistono forme di teatro
tradizionale in lingue africane che,
rivolgendosi a popolazioni poco o
affatto alfabetizzate, rivestono un
ruolo di primo piano. Così tra gli
anni ‘30 e gli anni ‘50 ci troviamo
di fronte a un’infinità di forme teatrali che si diversificano a seconda
delle zone geografiche e delle lingue utilizzate (locali, europee o arabe), nelle quali la teatralità autoctona tradizionale si fonde con elementi occidentali. Ciò avviene in
particolare nelle aree francofone,
prima con l’influenza dei missionari, poi di istituzioni coloniali
quali la famosa scuola WilliamPonty del Senegal. Dopo alcune
esperienze di tipo etnologico, si
allestiscono spettacoli che contrappongono le società consuetudinarie alla cosiddetta civiltà del progresso, ma quasi immediatamente
nasce, sempre in lingua francese, un
teatro di rivendicazione anticoloniale. Il che non esclude che nel
contempo, nell’allora Congo belga, il popolare attore e drammaturgo Albert Mongita, scrivendo e
recitando le sue pièce in lingala,
una delle principali lingue del
Paese, possa esplorare con successo
vie del tutto originali. Dopo le
aprile | giugno 2005
indipendenze degli anni ‘60, si
afferma un’abbondante produzione nel filone del teatro storico.
Con grande entusiasmo, si rivalutano le fonti orali e si riscoprono le
gesta di eroi africani più o meno
mitizzati che hanno resistito alla
colonizzazione. Il personaggio più
noto, oggetto di un vero e proprio
culto, è senz’altro il re zulù Chaka,
al quale vengono dedicati testi
epici in lingue africane, in inglese e
in francese da autori in parte legati al movimento della Negritudine, come il poeta presidente del
Senegal, Léopold Sédar Senghor.
Verso la fine degli anni ‘70, stati
quali Senegal, Mali, Costa d’Avorio, Togo e Congo si dotano di
compagnie teatrali nazionali e
sembrano voler puntare sullo sviluppo culturale della società proprio tramite le arti dello spettacolo, attivando un teatro di ricerca
che si trasforma in breve tempo in
teatro ideologico se non di propaganda. Alcuni drammaturghi non
esitano tuttavia a formulare violente critiche nei confronti del potere, dando l’avvio a un teatro di
denuncia dell’oppressione e della
corruzione, che esiste tuttora, ma
essi devono far i conti con i regimi
Emmanuel Dongala, a sinistra, protagonista
di Il medico per forza in una recita del 1959
dittatoriali e la loro feroce censura.
Nello stesso periodo, escludendo
l’Africa mediterranea che ha una
storia culturale completamente
diversa, si notano differenze rilevanti nell’Africa sub-sahariana, tra
l’area occidentale e quella orientale. Ad esempio, in Kenya, un romanziere e drammaturgo come
Ngugi Wa Thiong’o decide, per
accelerare la decolonizzazione, anche linguistica, di scrivere nella
propria madrelingua, il kikuyu,
mentre esperienze del genere sono
molto più limitate nelle ex colonie
francesi, i cui drammaturghi sono
stati accusati di produrre essenzialmente “brutte copie”del teatro europeo. Tanto per l’area anglofona
che per quella francofona, il periodo cardine della drammaturgia
africana, è rappresentato dalla grande svolta degli anni ‘80, che vede
nascere oltre a numerose pièce, la
riflessione critica dei due padri
fondatori del moderno teatro africano, il nigeriano Wole Soyinka,
premio Nobel nel 1986, e il con-
In Congo
Emmanuel Dongala crea
il “Théâtre de l’Eclair”
golese Sony Labou Tansi. Entrambi
uomini di teatro a tutti gli effetti,
autori di grandi testi e creatori di
compagnie teatrali, insegnanti di
regia e di recitazione, essi riscuoteranno nel corso degli anni un
enorme successo in varie parti del
mondo, non senza incorrere negli
strali dei politici che costringeranno il primo a esiliarsi in Francia per
un lungo periodo e il secondo,
idolatrato e contestato nello stesso
tempo, a dichiarazioni e atteggiamenti paradossali. Wole Soyinka
attinge alla ricca cosmogonia yoruba per sviluppare un discorso teorico sul mito, il teatro e l’orizzonte
culturale africano in un famoso
saggio del 1976, Mito e letteratura
(Milano, Jaca Book, 1995). In particolare, nel capitolo intitolato Il
quarto stadio, getta le basi di una
nuova drammaturgia, saldamente
radicata nell’humus africano da lui
stesso già anticipata in numerose
pièce da La morte e il cavaliere del Re
a La strada e a A Play of Giants
(1984), senza dimenticare la famosa riscrittura del teatro antico che,
con Le Bacchae di Euripide (Grafo 7,
1996), introduce commistioni del
tutto imprevedibili tra modelli europei e tradizioni ancestrali africane. Sony Labou Tansi crea nel
1979 a Brazzaville la compagnia
del Rocado Zulu Théâtre, che
contribuirà a fare conoscere le sue
pièce scritte tra il 1981 e il 1987 in
Africa e altrove. Nelle pièce La
parenthèse de sang, Je sous signé cardiaque e Moi,veuve del’Empire,mette in
scena un universo centrato sul
tema dell’alienazione, estremamente inventivo ma complesso e suscettibile di molteplici interpretazioni. Morto prematuramente nel
1995, ha lasciato numerosi inediti e
un’eredità prodigiosa attraverso la
sua particolare abilità nell’attuare
una mescolanza di modalità espressive, dall’allegorico al burlesco e al
tragico, che sfida con forza tanto gli
atteggiamenti occidentali quanto il
compiacimento di alcuni africani.
In questi due Paesi, Nigeria e
Congo, sulla scia di tali esperienze
militanti, si instaura un clima favorevole che, accanto alle due figure
tutelari, vedrà fino a oggi fiorire
molti talenti. Liberati dal retaggio
del colonialismo e del neocolonialismo, sono promotori di un teatro
giunto ormai a maturazione, con
un’identità propria, che non esclude né le più svariate contaminazioni, né una costante evoluzione. Per
la Nigeria, fra le altre figure di spicco, occorre menzionare oltre Bode
Sowande (Flamingo, 1987; Ajantala-Pinocchio, La Rosa, 1997), anch’egli direttore di una compagnia
teatrale, gli attivissimi Femi Osofisan e Ola Rotimi e, più recentemente, alla prima drammaturga del
paese, Zulu Sofola, si è affiancata
un’altra donna, Tess Onwuem
con The Broken Calabash (1984) e
Legacies (1999).
Sempre per l’area anglofona, il
sudafricano più noto è senz’altro
Athol Fugard (My Children! My
Africa, 1989; Valley Song, 1995) che
fin dal suo esordio pratica un teatro
di contestazione, in cui lui, regista
bianco, dirige una compagnia di
attori neri e che, in piena apartheid, si scontrerà violentemente
con la censura. In Congo, negli
stessi anni ‘80, Emmanuel Dongala crea il “Théâtre de l’Eclair”
attivo fino alla partenza forzata dell’autore per gli Stati Uniti nel 1997
e Matondo Kubu Turé la compagnia del “Ngunga”, mentre sulla
scena parigina trionfano i lavori di
Tchicaya U Tam’si (V. il nostro
articolo, Emmanuel Dongala e la
rinascita del teatro congolese, in Africa e
Mediterraneo,n°46,2004).Una voce
africana femminile notissima è
quella della camerunese installata a
Abidjan, Werewere Liking che,
dopo essersi dedicata al teatro
rituale, ha creato nel 1983, il “KyYi M’bock”, che riunisce numerosissimi artisti non solo di teatro.
Orientata verso una forma di teatro totale (Un Touareg s’est marié à
une Pygmée, 1992; Parlare cantando,
L’Harmattan Italia, 2003), abolisce
talvolta la distinzione fra attore e
personaggio e persino quella tra
spettatore e attore. Accompagnata
da musicisti lei stessa si esibisce
spesso in performance di grande
impatto, mescolando lingue, toni e
livelli del discorso. Un altro creatore, Sénouvo A. Zinsou (Akakpovi
reviendra, 1984; La tortue qui chante,
1985; Le bal des fous, 1989), dopo
aver diretto per vent’anni la
“Troupe Nationale du Togo”, si è
dovuto esiliare in Germania, dove
prosegue nel suo progetto al confine tra vari generi, ispirandosi ai
racconti tradizionali ma anche a
forme popolari di teatro togolese.
Oggi, fra i francofoni, una nuova
generazione di drammaturghi,
caratterizzata da una produzione
alquanto diversificata, riesce a operare con grande impegno tra
Europa e Africa, grazie a una moltiplicazione di eventi specifici a
sostegno della creazione drammaturgica. Antesignano è il “Festival
International des Francophonies”
di Limoges (Francia) creato nel
1980 e centrato sulla creazione
contemporanea con annessa residenza di scrittura per autori di teatro che, con nuovi appuntamenti
in Belgio, come la stagione
“Africalia” di Bruxelles o “Les rencontres d’Octobre” di Liegi promuovono le produzioni africane di
qualità. Anche in Africa, rassegne
teatrali di alto livello riuniscono
artisti di tutto il continente: il
“Festival Mindelact” di Mindhelo
(Capo Verde), “Il Masa” (Mercato
delle arti e degli spettacoli) di Abidjan, il “RETIC” (Incontri internazionali di teatro del Camerun) di
Esiste oggi una
letteratura teatrale
prodotta da
autori africani
Yaoundé allo stesso modo dei numerosi eventi che si svolgono tra
Brazzaville e Kinshasa,come il “FIA”
(Festival internazionale dell’attore).
Tutte manifestazioni quelle che i
recenti eventi politici in Costa
d’Avorio e la situazione di continua emergenza nella zona dei
Grandi Laghi, rischiano di compromettere, distruggendo quello
che è stato faticosamente costruito
nell’ultimo decennio del Novecento. La funzione importante del
teatro nella vita delle comunità
africane è comunque testimoniata
dall’esistenza di un vasto repertorio, dinamico e di grande efficacia,
destinato a un pubblico esclusivamente africano - che include tanto
il “Concert-party” in Togo e in
Ghana, il teatro dello sviluppo in
Burkina Faso, il teatro terapeutico
in Congo, quanto il teatro di strada
itinerante, amatoriale o professionale un po’ ovunque - che riflette
la complessa realtà politico-sociale
del continente e esprime visioni
del mondo legate in un modo o
nell’altro all’immaginario dei popoli africani. Nonostante le posizioni estreme di scrittori come il
togolese Kossi Efoui (Récupérations, 1992; Que la terre vous soit légère, 1996) che si pronuncia contro il
concetto di africanità e di autenticità - certamente oggi più che mai
difficili da definire - esiste una letteratura teatrale prodotta da autori
africani che vivono in Africa o
fuori (dove più facilmente vengono pubblicati), che viene rappresentata nel continente e altrove,che
continua tuttavia a coesistere, in
precisi contesti locali, con espressioni radicate nelle società ancestrali e nello stesso tempo con
un’infinità di pratiche sceniche
che, puntando sul potere della
parola, dialogica o non, si rinnovano continuamente. Fra le nuove
leve della creazione drammaturgica
in lingua francese, che si ritengono
emancipate sia dalle tradizioni africane che dal modello europeo,
autori quali il già citato Kossi Efoui
e l’avoriano Koffi Kwahulé (Cette
vieille magie noire, 1993; Bintou,
1997; Fama, 1998) preconizzano
un teatro universale che senza rinnegare le proprie origini sia in
grado di superarle, denunciando le
violenze e le contraddizioni dell’epoca contemporanea. Insieme al
malgascio Raharimanana che ha
recentemente creato una sua compagnia a Parigi, allo ciadiano Koulsy Lamko (Tout bas... si bas,
1995),al congolese Caya Makhélé
(La fable du cloître des cimetières,
1995) al togolese Kangni Alem
(Atterissage, 2002), essi rivelano le
mille sfaccettature di un teatro
dinamico in Francia e in Africa
dove nascono ogni mese nuove
seppur piccole compagnie teatrali,
dove il giovane avoriano Liazérè
con la sua scrittura poetica si dedica a problematiche femminili e
dove un altro giovane, il togolese
Florent Couao Zotti (Ce soleil où
j’ai toujours soif, 1995; La diseuse de
malespérance, 2001) ha scelto di
rimanere per dar voce agli emarginati della società africana contemporanea che sono, secondo lui, i
veri portatori di umanità. Teatro
africano plurimo quindi, o forse
sarebbe il caso di parlare ormai di
teatri africani, tanto è vero che cominciano a circolare testi drammaturgici scritti in lingua italiana da
autori immigrati che stanno conquistando un po’ alla volta un loro
spazio sulle scene del nostro paese,
modificando così anche il paesaggio teatrale italiano.
Marie-José Hoyet