Teologia Morale Speciale Sociale

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Teologia Morale Speciale Sociale
23° Lez - 2° semestre
6° Lez - 26 Mar 09 - Ass.: SANTANGELO → (Don Domenico)
Riprendiamo il discorso da dove avevamo terminato, l’altra volta … i tre principi che discendono dal
primato della persona umana nel vivere in società. E allora avevamo individuato quelle tre applicazioni
fondamentali che alla luce dell’enciclica Redemptor Hominis (RH) potevamo applicare concretamente nel
vivere sociale. E cioè, l’uomo che trascende le istituzioni sociali, questa è la proprietà ontologica; le
istituzioni sociali sono per l’uomo, non, l’uomo per le istituzioni, e quindi la priorità di tipo finalistico; e in
fine, la priorità di tipo operativo, le istituzioni sociali, quindi, i contesti/istituzioni/strutture/funzioni sociali.
L’altra volta eravamo arrivati alla 3° sottoapplicazione, le istituzioni sociali sono opera dell’uomo, perché
trovano in lui il principio del loro autentico sviluppo. Infatti è da ribadire che le istituzioni, e quindi
metteteci tutto quello che abbiamo detto fino ad ora, strutture funzioni istituzioni, sono e restano al servizio
dell’uomo, solo se l’uomo continua a restare l’autore,… colui che ordina, che sovrintende, che dirige l’opera
delle istituzioni, dei contesti, delle strutture sociali. Solo quando l’uomo abdica alla sua responsabilità, la sua
dignità prioritaria, in questo caso operativa, le strutture le istituzioni si irrigidiscono, e perdono la loro
finalizzazione all’uomo, si ritorcono contro l’uomo. Questo può accadere quando i contesti sociali si
ritorcono contro l’uomo, tutte le volte in cui non si verifica nel contesto sociale, quella triplice priorità. Tutte
le volte in cui, non si concretizza che l’uomo è soggetto, è fondamento è fine delle istituzioni sociali, allora il
contesto sociale perde di vista ciò che lo struttura/caratterizza/ciò che lo rende operativo e lo finalizza.
Questo dal lato del soggetto, questi limiti vengono presi in considerazione nel momento in cui si perde di
vista l’elemento personale. Ma anche tutte le volte in cui consideriamo quelle concezioni riduttive di società.
allora, tutte le volte in cui c’è una priorità, non di tipo personale, ma c’è una priorità di tipo effiventista, c’è
una priorità di tipo funzionalista, … l’altra volta le abbiamo considerate una ad una queste forme di società,
e abbiamo detto… sono forme ideologiche, per questo concezioni riduttive, perché non prendono in
considerazione il contesto integrale, di verità di riferimento. Quindi, tutte le volte in cui si perde di vista la
triplice priorità, e assume priorità, invece una di queste concezioni riduttive, quindi: una priorità funzionale,
una priorità efficentistica, una priorità monista, una priorità giuridicista, una priorità razzista, una priorità
nazionalistica, una priorità individualista, una priorità collettivistica (queste erano le forme di riduzione che
avevamo considerato), quando si verifica questo le strutture / le istituzioni, smarriscono il senso per il quale
dovrebbero avere una connotazione di tipo morale. Quindi, tutta la nostra visione, quello che stiamo
spiegando, serve a dare un quadro teologico morale al discorso della società, per questo lo inquadriamo in
questo percorso di priorità e di riduzione, o di concetti riduttivi di società.
Cosa deve fare l’uomo, quando si verificano queste riduzioni, quando il contesto sociale, in un certo senso,
vuole progredire, vuole camminare, solo dal punto di vista istituzionale/funzionale, quindi l’elemento
personale, non è riconosciuto più nella sua priorità. Allora, l’uomo deve riconquistarle, dovrebbe recuperare,
ciò che dovrebbe essere a lui finalizzato, partecipando attivamente alla vita di queste istituzioni, di questi
contesti, di questi ambiti, di queste strutture sociali, ponendo questo contesto sociale, sotto il dinamismo
personale, ma strutturato /formato … quando l’uomo può ritenersi formato in se? Quando vive alla luce della
coscienza morale. Quando, la coscienza morale, rettamente formada, (dobbiamo sempre verificare se la
coscienza a cui noi leviamo l’arbitrio di esser giudice delle nostre scelte, però non è formata correttamente).
Quindi l’uomo deve partecipare attentamente alla vita delle istituzioni, sottoponendo questi contesti sociali
al giudizio della sua coscienza morale, ecco allora, il criterio di riferimento per poter anche quando, le
strutture vivono di vita autonoma, e quando invece le strutture finalizzano la loro realizzazione anche
morale, perché inserite in quelle priorità a cui facevamo riferimento prima. Infatti la RH afferma, proprio
questo, che: per poter riprendere i fili conduttori del suo mondo sociale. Avevamo inquadrato, quali erano i
problemi, quelli che il Papa poneva in evidenza, avevamo già detto che se facciamo riferimento al nostro
grande documento di riferimento, cioè la GS; avevamo detto, che c’era il rischio dell’alienazione, dal
sociale, o nel sociale. Questa sfaccettatura è sempre da tener presente nel nostro e confrontarci nella società.
e poi a questo si è aggiunto ciò che il contesto culturale, il contesto filosofico, contesto morale
contemporaneo evidenzia nelle prospettive attuali, e quindi il rischio di scetticismo, il rischio di relativismo.
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Dicevo semplicemente quali sono i problemi fondamentali, noi prendiamo in considerazione, evidenziamo il
problema e cerchiamo di porre una risposta, il nostro obbiettivo, fondamentalmente è questo. Quindi, per
poter riprendere i fili conduttori, e il suo mondo sociale, di ciò che l’uomo comunque ha creato con la sua
volontà, con la sua intelligenza, con la sua operatività, con tutto ciò che caratterizza proprio l’opera
dell’uomo. L’uomo deve, dice la RH, impegnarsi attivamente in una partecipazione multiforme. Ricordate
che la societalità, non è mai di tipo uniforme, non assume mai una sola forma, come se si potesse vivere in
un contesto sociale, tutti allo stesso modo. Pensate, tutti vivere allo stesso modo, sarebbe una omologazione,
sarebbe un ridurre quella dignità, e invece, noi abbiamo detto: no, c’è una priorità dell’elemento personale, il
fatto che siamo persone diverse, ognuna con le sue caratteristiche, con le sue modalità di relazionarsi gli
altri, di vivere questa sua vocazione, intrinsecamente sociale, allora, ci fa capire come una sana socialità può
essere solo di tipo pluriforme. E se dico pluriforme, non mi riferisco ovviamente al pluralismo morale,
quello è un altro discorso, anche qui, attenti quando diciamo: siamo tutti pluralisti. A quale pluralismo
facciamo riferimento? Perché se quel pluralismo diventa relativismo morale (ogni opinione uguale alle altre,
ogni vivere sociale è indifferente all’altro, perché non c’è una gerarchia di valori, nella vita sociale. Allora,
smarriamo il senso, quindi anche qui, sano pluralismo sociale, non è relativismo sociale. Come poter
recuperare questa partecipazione di tipo multiforme? Non uniformità, ma pluriformità, con quel principio,
che merita ancora di essere attualizzato, perché ancora è scarsamente attualizzato nella vita sociale, malgrado
i proclami di tipo politico, di tipo giuridico. Quindi chi vive in società e vive per esempio in un contesto
politico o in un contesto economico, anche se il termine a seconda del contesto sociale viene ripreso o
meno… il principio di sussidiarietà. È quel principio che è stato in un certo senso canonizzato nel magistero
sociale da Papa - Pio 11° nel 1931, con l’enciclica Quadragesimo Anno(QA), cioè il 40° anniversario della
Rerum Novarum (RN)la prima grande enciclica sociale, almeno della moderna dottrina sociale. Anche qui
facciamo attenzione a quando diciamo che la Chiesa per la prima volta si è espressa sul sociale nella RN,
errore. In epoca moderna, la Chiesa si è espressa in quel modo, in una forma specifica, al punto di dare inizio
a quello studio, che poi è stato sistematizato ed ha assunto una collocazione epistemologica chiara, cioè la
dottrina sociale della Chiesa. Ma la chiesa, ha sempre avuto, una sua parola, sul sociale, perché non è se
stessa che ha dato questo, ma sono le Sacre Scritture, è quanto Dio ha trasmesso all’uomo e ha rivelato
all’uomo che parla di una vocazione sociale, e quindi, di una parola sul sociale, quindi, anche questo, va
chiaramente compreso. Dicevo, il principio è quello di sussidiarietà, poi durante il corso capiremo meglio di
cosa si tratta. Semplicemente, per dare quell’accenno necessario per capire perché una partecipazione di tipo
responsabile, perché il principio di sussidiarietà, come dice il termine, subsidium, significa
sostenere/rafforzare, allora, la sussidiarietà, vuole rendere responsabile l’uomo che agisce, cioè, ognuno di
noi è dotato di certe capacità, e quindi è dotato di una sua libertà che è responsabile? Perché è consapevole?
E allora, quando l’uomo e gli uomini, sono dotati, di questa caratteristica, allora, sono chiamati a rendere
sempre più piena questa loro responsabilità. Quando parlavamo di umanesimo integrale sella persona umana,
dicevamo: che tipo di umanesimo è quello sociale, alla luce della fede cristiana? È un umanesimo integrale e
solidale. È un umanesimo integrale, perché sviluppa tutte le dimensioni della persona umana, la
sussidiarietà, va proprio in questo senso. Quindi sviluppare tutte le dimensioni della persona umana, rendere
responsabili, e quindi formate, tutti gli ambiti della vita personale dell’uomo, la sussidiarietà va proprio in
questa direzione, e poi invece la solidarietà implica invece l’apertura relazionale, e quindi un ampliamento a
livello orizzontale. Questo, solo per precisare un attimo cosa è. Poi lo vedremo meglio nel corso. Quindi
l’uomo deve attivamente, recuperare, impegnarsi nella partecipazione multiforme, che in conformità al
principio di sussidiarietà, esige che l’uomo eserciti questa sua responsabilità a diversi livelli. Ai diversi
ambiti, in cui l’uomo si relaziona con gli altri: comincia già in se stesso,nel momento in cui scopre di non
essere un’isola, quindi di avere una vocazione intrinsecamente sociale, già in se stessa, non può esaurirsi in
se stesso, e allora, già nel momento in cui, si apre all’altro, al tu diverso da me scopre già lì il nucleo di una
diversa società, e poi man mano questo contesto, tende ad ampliarsi sempre di più, per livelli e cerchi
concentrici, parlavamo della comunità famigliare, della comunità ecclesiale, della comunità civile, della
comunità politica, della comunità globale, il globo, il mondo, inteso nella sua configurazione oggi
predominante. Quindi, in tutti i diversi ambiti della vita sociale e a diversi livelli, la sussidiarietà insiste
proprio su questo: ci sono diversi livelli della vita sociale, si parte da un livello specifico, ma poi questo
livello tende ad estendersi sempre di più. Pensiamo al livello politico, dove la sussidiarietà viene
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generalmente applicata, e se ne parla in quel contesto. O a livello economico, dicevamo, dove si parte da un
livello locale, per esempio dal municipio (la prima comunità politica a livello locale), e poi man mano tende
ad estendersi sempre di più, perché dal livello locale, si passa al livello provinciale, si passa al livello
regionale, si passa al livello nazionale o statale, si passa al livello sovranazionale. Pensate ad esempio al
Trattato di Maastricht che regolamenta l’Unione Europea, prevede al suo interno il principio di sussidiarietà.
Quindi un principio sul quale noi, come cristiani, siamo arrivati prima, però ancora fatichiamo poi a tradurlo
concretamente, in opere concrete. A livello economico, pensate ai vari livelli di impresa, locale, in quel
contesto, e poi man mano l’impresa madre, l’impresa che controlla che controlla le imprese più piccole, e
quindi diversi livelli chiamano in causa, proprio la sussidiarietà. Quindi, il fatto che c’è una vita sociale, fatta
a strati. Come sono i diversi strati della persona umana, quando prima parlavamo, di vocazione integrale,
tutti i livelli della persona umana. E così la stessa cosa nella vita sociale e nei suoi diversi ambiti. Se
parliamo di partecipazione responsabile, quindi, non è una partecipazione qualsiasi, perché non ci vuole
niente a dire che siamo parte di una società. siamo cittadini. Tutti ci riteniamo cittadini di una comunità, di
una società, chi non si ritiene parte di una comunità? Tutti siamo parte di una comunità religiosa, tutti siamo
parte di una comunità più ampliamente civile e politica. Però una cosa è dire che siamo cittadini, una cosa è
poi dire che effettivamente noi realizziamo questa nostra partecipazione alla vita politica. Quindi sono due
discorsi, sempre molto diversi; anche qui c’è una concretizzazione da attualizzare sempre. Perché non basta
il riconoscimento giuridico, che la costituzione, o che la tal convenzione stabilisca che io ho il diritto
richiedere al potere di turno che mi vengano garantiti certi diritti, è necessario, poi che questo diventi vita
concreta, anche mediante l’opera di ciascuno di noi, quindi, non una partecipazione qualsiasi, ma una
partecipazione orientata dalla coscienza morale. Illuminata, dice la RH vedi n°15 e 16, e conscia del
carattere fondamentalmente sociale. Allora, da questo, cosa prendiamo? Dal fatto che l’uomo deve vivere
con una partecipazione che sia formata. È necessario allora formare l’uomo, questo è un compito
pedagogico, che tutti siamo chiamati ad assumere ad interiorizzare e ad assolvere, quindi, con un
movimento, con una direzione che parte dall’interiore dell’uomo, perché è sempre dal di dentro che l’uomo
deve prendere consapevolezza di ciò di cui è fatto ciò per cui è fatto, ciò a cui serve la sua vita, e la sua vita
sociale. Se prima non è consapevole di questo, e questo lo può fare solo interiorizzando anche quelle che le
verità di fede gli dischiudono sul suo progetto di vivere in società. Ma se prima non lo assume, non lo
interiorizza, non può poi, svilupparlo e portarlo fuori nel vivere relazionale con gli altri. Quindi la necessità
di una priorità di tipo interiore e di una formazione e di tipo interiore, dal cuore dell’uomo, (dice sempre la
RH 15 e16) dalla sua interiorità per diffondersi poi sulla realtà sociale e compenetrarla. Anche qui, non basta
dire che siamo parte di una società, ma quanto del mio contributo, di persona che ha determinate
caratteristiche, determinate attitudini alla vita sociale, determinati talenti, anche da sviluppare nella vita
relazionale, quanto poi io metto a disposizione queste mie qualità, queste mie caratteristiche realmente a
beneficio degli altri. O faccio come nella parabola dei talenti, il talento seminato sotto terra. Attenzione,
perché se anche noi facciamo così, questo è mio e me lo tengo io, me lo gestisco io, come voglio io, anche lì
poi troveremo quel qualcuno che ci dice? Che hai fatto di quello che io ti avevo dato? Invece pensate, quella
diffusione, quella operatività, siamo sempre attenti a non estremizzare i discorsi, come quello che dice:
allora, tutto quello che ho lo do ai banchieri … attenti ai banchieri (ne abbiamo già parlato qualche lezione
fa). Anzi, mi viene in mente una cosa, c’è una banca cattolica irlandese “Clann Credo” banca cattolica
fondata dalle suore della presentazione, negli anni 1996, in questo tempo di crisi, è una delle banche che non
ha subito le conseguenze. E loro dicevano: ma perché noi facciamo investimenti di tipo etico. Cioè, se noi
avessimo fatto investimenti, come quelli del mercato immobiliare, il mercato finanziario americano ha
evidenziato… perché ha sbagliato a fare scelte, dal punto di vista non solo etico, ma anche dal punto di vista
economico e finanziario, per questo si sono trovati nei guai, noi invece facciamo attenzione a questo. Quindi
chi volesse investire, ditelo alle vostre madri generali, chi volesse investire, troviamo su internet “Clann
Credo” banca cattolica irlandese, almeno cerchiamo di proteggere un po’ di più i nostri risparmi.
E allora, andando a specificare ancora di più il discorso, si tratta allora, in questo ruolo di partecipazione
attiva, sempre da recuperare, da promuovere, da attivare, in un certo senso, questa dimensione attiva da
promuovere e da vivere nel contesto sociale significa far evolvere quindi le istituzioni, le strutture, i contesti
sociali, sotto la guida degli uomini, in questo modo le si rende più umane. Ricordate che la finalità del
contesto sociale è sempre quello di umanizzare, quindi le strutture vanno umanizzate. Chi di voi disponesse
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di scuole cattoliche o cose di questo tipo, o proprietà di altro tipo, ma che asserisce a beni terreni, che noi
gestiamo, in un certo modo a servizio, di una certa società, o di certi livelli di società, beh allora anche qui,
facciamo attenzione a renderle più umane. La sfida è quella, umanizzare quei contesti in cui noi ci inseriamo
o di cui disponiamo, penso alle case religiose, o a chiunque dispone di beni di strutture di contesti sociali di
riferimento. Quindi, l’uomo è chiamato a guidare le istituzioni, sottoponendole alla sua linea di evoluzione e
di sviluppo, quando sono animate dagli uomini, dice la RH, quando sono animate dagli uomini, le strutture e
le istituzioni, sono sottomesse ad una forza di potente ed ordinata trasformazione, ed è questa del resto la
finalità, una forza di potente ed ordinata trasformazione. Cioè, le strutture vanno rese poi operative, e quindi
conseguentemente anche trasformate, cioè sviluppate. Quindi, quando sono soggette a questa forza di
potenza e ordinata trasformazione, allora, in questo senso vuol dire che sono animate dagli uomini, è
necessario allora correggere le deviazioni, dove esistano in quei contesti sociali in cui appunto non si verifica
questa guida, questo ruolo di guida, di coordinazione, di formazione, da parte dell’uomo al contesto sociale
in cui appunto si inserisce e assumere quindi in proprio, anche ciò che i segni dei tempi evidenziano. Questo
cosa significa? Che vivere in un contesto sociale, 50 anni fa, poteva significare una cosa, oggi, vivere nel
contesto sociale, dominato da certe forze di potere, da certi elementi culturali, da certi elementi di altro tipo,
allora richiede anche di adattarsi anche ad altre situazioni. O almeno di rendesi comunque presenti in questo
contesto. Questo lo diremo ancora meglio quando parleremo della differenza di impostazione, anche in
TMSo e in dottrina sociale della Chiesa, nei documenti del magistero, c’è stato un cambiamento, a livello
pedagogico, lo diremo quando ne tratteremo. N° 17 della RH, è l’uomo che costituisce l’essenziale criterio,
ecco allora la sua priorità, ribadito perché abbiamo parlato anche di una priorità… è l’uomo che costituisce
l’essenziale criterio di tutti i programmi, i sistemi e i regimi. Quindi, nel nostro uso indifferenziato, abbiamo
detto prima, facciamo riferimento anche al fatto che la nostra RH usa più volte un linguaggio di questo tipo:
regime, strutture, sistemi, anche per indicare la poisemanticità del discorso sociale. Quindi, abbiamo detto, è
l’uomo, che costituisce l’essenziale criterio di tutti i programmi, sistemi e regimi. E in particolare, nello
stesso n° 17 si ripete per 2 volte (quando qualcosa si ripete vuol dire che è particolarmente importante),
quando si dice: i suoi diritti oggettivi ed inviolabili. E: i suoi diritti inviolabili ed oggettivi. Quindi sono ciò
che deve fare da giudizio a ciò che viviamo e portiamo nella stessa società.
Allora, con questa triplice priorità, le riduzioni della società, questa triplice individuazione di principi che
concretizzano quelle verità che abbiamo detto, vorrei ora soffermarmi su: come articolare e presentare alla
società in cui viviamo, (ognuno attualizzi questo discorso nel contesto sociale in cui si inserisce, e a cui fa
riferimento). Come articolare e presentare alla società in cui viviamo la nostra proposta fondativa? Fino ad
ora abbiamo parlato di questo, abbiamo detto che ci sono dei fondamenti di tipo, biblico teologico morale, e
li abbiamo individuati in 2 tipi di fondamento, abbiamo detto, il fondamento remoto ed il fondamento
prossimo. Bene, ma questi fondamenti, come si relazionano con la società, in cui noi ci inseriamo? E quindi,
noi come cristiani, come portiamo fuori, rendiamo attuali e concreti, questi fondamenti, perché non si riduca
puramente ad un discorso idealistico o appunto astratto, essenzialista e basta. Quindi la sfida è questa: come
articolare e presentare alla società in cui noi viviamo la nostra proposta sul vivere sociale, ma da cristiani.
Questo è l’elemento che deve distinguere un po’ tutto il resto. Perchè troverete altri progetti, altre modalità,
del vivere sociale, ma la nostra sfida è proprio quella di dire: si ma io come cristiano che cosa porto di mio
nella società? E la Teologia Morale, che cosa mi dice in questo senso qui, quale contributo la fede ci ispira?
E allora, la proposta, io credo, ma ovviamente mi attengo a ciò che stabilisce il magistero, dovrà articolarsi,
come condivisione, (assumo questo dallo stile proprio che la Chiesa ha fatto suo nel rinnovamento del CVII,
lo stile della GS). Come condivisione, ricordate come inizia la GS al n°1 ? le gioie e le speranze, le fatiche e
le angosce degli uomini e delle donne di oggi, sono della Chiesa. e questo è stato un terremoto negli anni
’60. per noi oggi questo sembra scontato, quando parliamo di Chiesa, lo diciamo tutti, nelle nostre
parrocchie, negli ambienti formativi, che la Chiesa deve stare nel mondo. Mettiamo da parte invece tutti
quelli che vorrebbero che fossimo ritirati in sacrestia. Ma questo è un discorso a parte, però ormai è
abbastanza diffuso che la Chiesa i cristiani. Quindi allora, stavo dicendo, è stata una rivoluzione il fatto che
la Chiesa negli anni ’60, il concilio abbia detto questo, che le giurie le preoccupazioni le fatiche e le angosce
degli uomini e delle donne di oggi sono quelle della Chiesa, questa è condivisione, è solidarietà. Al punto
che la GS lo dice nei primi numeri, la chiesa vive in intima unione, sono parole che dovremmo tenere
sempre presenti, non solo quando ci diciamo, la Chiesa cosa fa o cosa dovrebbe fare nel sociale? Ma quando
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attualizziamo quelle parole a noi. Perché non dimentichiamoci che il concilio parla della Chiesa in tutte le
sue dimensioni, dimensione gerarchica, e anche dimensione laicale, dimensione più pratica, gli uomini e le
donne che facciamo parte della Chiesa, delle comunità dei credenti, indipendentemente se hanno ricevuto o
no l’ordine o la consacrazione ecc, basta il battesimo. Quindi la condivisione a cui noi dobbiamo far
riferimento, è proprio ispirata a quelle parole, uno stile di condivisione e di annunzio, perché io cosa porto
all’altro, quando mi relaziono all’altro? Quando voglio essere solidale all’altro, alle sue fatiche, alle sue
gioie alle sue angosce, alle sue speranze, o alle sue disperazioni. Cosa gli porto io? Gli porto l’annunzio più
proprio della fede, ecco allora, l’annunzio del cristiano, che cosa deve testimoniare? Evitando tutto ciò, in
questa pedagogia di approccio al contesto sociale, dobbiamo evitare di far percepire proprio questo stile
cristiano di relazionarci e di vivere nel sociale come ideologia. Perché il rischio è sempre, appunto, fin che il
nostro cuore porta dentro di sé l’inclinazione al male e cioè, fin che non saremo assunti alla visione beatifica,
questo elemento ovviamente c’è sempre, per ciò deve stare sempre sottoposto a maturazione, deve essere
sottoposto a purificazione, direbbe Benedetto XVI, la purificazione della ragione. Quindi, evitando di far
percepire la nostra presenza come una ideologia tra le altre. Ma ce ne sono già altre, e già altre lo fanno
peggio, quindi, perché anche noi abbassarci a fare peggio degli altri? O ancora di più, come poter, la logica
del potere, che guardate, non significa necessariamente avere una impresa, e quindi potere economico,
potere finanziario, ognuno di noi ha potere… che significa, poter dire a qualcuno: tu rientri nelle mie
simpatie, tu non rientri nelle mie simpatie. Anche quello è potere, io posso dire all’altro: tu per me non vali
niente. Oppure io ti osanno perché tu la pensi come me, a che bravo che sei, hai capito la vita perché la pensi
come me, questa è ideologia, questo è potere, e questo non si fa, è quello stile che proprio va evitato
assolutamente, perché non è questo il modo con cui ci relazioniamo e siamo chiamati a relazionarci gli uni
gli altri, quindi evitando questi eccessi, allora vediamo di contestualizzare un po’ questo percorso. Come
vogliamo sviluppare allora, questa nostra proposta teoretica fondativa sul vivere sociale da cristiani? Io
individuo un duplice percorso. Il primo è da Cristo all’Uomo, il secondo dall’Uomo a Cristo. Abbiamo
parlato di fondamento remoto, la fede cristiana è fondamento remoto del nostro agire da cristiani in società,
ma poi c’è l’elemento prossimo, la dignità di ogni uomo, dignità, comunque trascendente, è sempre
trascendente, anche quando quell’uomo non lo sa. Per tanti motivi non lo sa, ma quella dignità è sempre
trascendente, che lo sappia o che non lo sappia. Quindi, il duplice percorso, deve mettere in relazione
feconda, perché la nostra proposta sul vivere da cristiani sia credibile, perché la sfida è sempre quella, perché
altrimenti ci riduciamo anche noi a fare come fanno gli altri. O a monopolizzare, le coscienze degli altri, ma
questo non vogliamo farlo, allora, perché la proposta sia credibile allora, la proposta deve evidenziare, deve
mettere in relazione feconda proprio questi fondamenti. Se non mettiamo in questione questi due fondamenti
che abbiamo evidenziato, allora, certo il percorso del vivere sociale sarà, limitato, sarà riduttivo, come quelle
riduzioni che abbiamo già evidenziato. E allora, il primo percorso, entriamo nel merito del duplice percorso
che secondo me è necessario attualizzare nella vita sociale. Il primo percorso lo pensiamo in una linea che va
dal fondamento remoto (da Cristo), al fondamento prossimo (l’Uomo), un percorso discendente. Ma perché
vogliamo fare così? Abbiamo detto, l’ho detto nelle prime lezioni, quale è il contributo essenziale del nostro
ruolo di cristiani nella vita sociale? Vi ho letto nelle prime lezioni due numeri del compendio…14 e 15, dove
si dice proprio questo: Quale è il contributo che il cristiano è chiamato a dare nel vivere sociale? Un
contributo di verità. Questo è il nostro contributo di cristiani, a livello fondativo è questo che ci caratterizza
come cristiani, un contributo di verità, sul posto, che l’Uomo occupa nella natura e nella società. Allora, per
trovare questa verità nella vita sociale? Cosa deve fare? Dove trova la verità del suo essere, del suo esistere,
del suo agire? Allora se mette in moto quello che la fede gli ispira deve andare al fondamento remoto della
sua vita di fede, rivelata in Cristo, Cristo è la sua verità. È la verità del fondamento remoto, è la verità del
fondamento prossimo. Perché il fondamento remoto sta a fondamento, anche del fondamento prossimo. E
quindi la centralità di Cristo allora, è quanto, secondo me essenziale, mettere in luce, evidenziare, come
cristiani. E lo facciamo in questa prima parte del percorso, perciò partiamo dalla centralità di Cristo, da
Cristo all’Uomo, l’Uomo deve ricercare questa verità… allora la trova nel fondamento della fede, nel
fondamento remoto. Da Cristo poi però deve ritornare all’uomo, da dove si è partiti, altrimenti facciamo
anche noi discorsi astratti, ed essenzialistici, e invece no. La centralità del mistero di Cristo è la vera luce che
illumina quella verità che l’Uomo ricerca. La centralità di Cristo dove la troviamo? La centralità di Cristo è
talmente essenziale, perché è la via di comprensione dell’uomo, e dell’umano. E infatti leggeremo qualche
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numero che evidenzia proprio questa centralità fondamentale, la centralità di Cristo quale via definitiva per
la comprensione dell’uomo, cioè, l’Uomo vuole capire se stesso? Bene ala luce della fede, deve
necessariamente a quel fondamento remoto che è la luce della fede in cristo. E questa centralità è ricorrente
nei documenti del CVII, in particolare nella GS. Abbiamo detto la GS ha due parti, c’è una parte di tipo
fondativo, e poi c’è una parte più pastorale, lo si legge nella prima nota. La prima parte fondativa è quella
che va, dopo il proemio iniziale, dal n° 1 al n° 10, va quindi dal N° 11 al N°45, è la parte a cui ci atteniamo
in questa presentazione di questo primo percorso. Lì viene evidenziata in maniera particolare la centralità di
Cristo, nella storia, nella vita sociale, per ciò ne parliamo, per ciò io credo possa costituire la prima parte di
un percorso che può mostrare la credibilità della fede cristiana nel sociale. Proprio questa prima parte della
GS offre le basi del nostro discorso sociale fondativo. E noi possiamo capire ancora meglio, perché partiamo
dalla centralità di Cristo, perché basta scorrere la parte fondativa della costituzione pastorale e capire perché
possiamo andare da Cristo all’Uomo, dal fondamento remoto al fondamento prossimo. Se analizziamo tutti e
4 i capitoli, che fanno parte della 1° parte fondativa, della costituzione, il primo capitolo, è la dignità della
persona umana, inizia al n° 12 termina al n° 22. Il primo capitolo parte: la dignità della persona umana
(n°12), l’Uomo ad immagine di Dio, e poi evidenzia quelli che sono gli elementi essenziali, che
caratterizzano la costituzione dell’uomo. Si parla del peccato, Uomo corpo e anima, dignità dell’intelligenza,
verità e saggezza, dignità della coscienza morale, grandezza della libertà, il mistero della morte, poi si
sofferma sull’ateismo in più numeri. Alla fine conclude, il primo capitolo della pare fondativa: Cristo l’uomo
nuovo. Questo è lo stile del concilio, l’Uomo cerca la sua verità, allora si parte dall’uomo, n° 12. quale
Uomo? Quello creato ad immagine e somiglianza di Dio, perché se non sappiamo di quale Uomo stiamo
parlando, allora, non sappiamo a chi riferirci, anche nel contesto sociale, ma l’uomo dove trova la sua verità?
n°22, Cristo l’uomo nuovo, e lo leggeremo dopo, perché è centrale, nella nostra impostazione, di riferimento,
l’uomo vuole capire se stesso, allora viene considerato a partire da Cristo, l’uomo nuovo.
Secondo capitolo:_ la comunità degli uomini. Quindi si allarga, il primo capitolo parla della dignità
dell’uomo, intesa nel senso più personale, il secondo capitolo si allarga ad una considerazione più di tipo
sociale, per ciò ne parliamo, non perché io mi sia svegliato sta notte su queste cose. La comunità degli
uomini, quindi, fa riferimento al contesto sociale. Allora, parte, anche qui, dal n° 23, quindi dopo il
moltiplicarsi delle relazioni fra gli uomini, l’indole comunitaria, inizia con il dire che cosa intende il
concilio, e parla dell’indole comunitaria degli uomini, quindi questa molteplicità di relazioni, abbiamo detto,
l’uomo intrinsecamente sociale, quindi sviluppa progressivamente delle relazioni di tipo comunitario, quindi
l’indole comunitaria dell’Umana vocazione, dimensione sociale. E poi continua, l’interdipendenza della
persona, e dell’umana società; che rapporto esiste, tra la persona e la società… interdipendenza. Promuovere
il bene comune, rispetto della persona umana, uguaglianza, rispetto ed amore per gli avversari, tutti gli
uomini, e la giustizia sociale, superare l’etica individualistica, responsabilità e partecipazione. E come
conclude il capitolo secondo? Il Verbo incarnato e la solidarietà umana, io penso che i padri, non abbiano
scelto a caso, queste caratteristiche, se pensate quante redazioni hanno avuto i documenti conciliari. Anzi,
proprio sulla GS, se farete poi studi di approfondimento e specializzazione, vedrete che è stato uno di quei
documenti, che ha avuto più versioni, più bozze, fin che poi non è stato approvato a larghissima
maggioranza, questo schema. L’ultimo capitolo della seconda parte è il n° 32 – il Verbo incarnato e la
solidarietà umana. Quindi capite la pedagogia del documento, parte sempre dall’uomo, lo ha fatto nel primo
capitolo, e arriva a Cristo l’uomo nuovo. Secondo capitolo, l’indole comunitaria, quindi le relazioni sociali
… arriva a Cristo, il verbo incarnato e la solidarietà umana.
Terzo capitolo, l’attività umana nell’universo. L’attività umana nell’universo, cioè come esercita il suo
vivere sociale l’uomo? Con una attività umana. Terzo capitolo, n°33 l’attività umana nell’universo, parte
evidenziando il problema dell’attività umana, e noi questi aspetti li abbiamo già un po’ evidenziati, quindi
quando andrete a leggere vi troverete in un certo senso a casa. Continua: il valore dell’attività umana, le
norme dell’attività umana. Quindi parte sempre da un livello descrittivo, dei tipo fenomenologico, parte dalla
realtà, ciò che si concretizza nel vivere sociale, il valore dell’attività umana, norme dell’attività umana,
l’autonomia delle autorità terrene, quando abbiamo parlato della laicità, abbiamo detto, fa riferimento a
questo numero, l’autonomia delle realtà terrene, l’autonomia delle scienze, l’autonomia dei saperi,
l’autonomia dei vari ambiti perché hanno leggi proprie. L’attività umana corrotta dal peccato, l’attibvità
umana elevata a perfezione nel mistero pasquale(n°38), n° 39 finisce il capitolo, terra nuova e celo nuovo.
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Quarto capitolo (ultimo della parte fondativa): La missione della Chiesa nel mondo contemporaneo. E qui un
po’ riprende quanto ha già detto nei primi capitoli, quando al n° 40 legge: la mutua relazione, vedete anche
qui le parole non sono messe a caso, quando parlavamo di solidarietà, intima unione, tra chiesa e mondo, qui
si parla di mutua relazione, tra chiesa e mondo, non c’è qualcuno che sta ad un livello superiore e qualcuno
che sta ad un livello inferiore. No, mutua relazione tra Chiesa e Mondo, e dice: tutto quello che abbiamo
detto a proposito della dignità della persona umana(1°cap), la comunità degli uomini (2° cap), del significato
profondo dell’attività umana (3° cap). Sono i 3 principali ambiti. Costituisce il fondamento del rapporto tra
Chiesa e Mondo. Quindi tutto ciò che si riferisce alla dignità della persona umana, la comunità degli uomini,
l’attività umana nell’universo, sono quegli aspetti basilari, alla cui luce, ne possiamo comprendere ed
incarnare il vivere sociale da credenti. Quindi, inizia con l’evidenziare quale è questa mutua relazione, parte
da qui, dall’esperienza, dall’elemento descrittivo, fenomenologico, mutua relazione fra Chiesa e Mondo,
l’aiuto che la Chiesa intende offrire, l’aiuto che la Chiesa intende dare alla società umana, l’aiuto che la
chiesa intende dare all’attività umana per mezzo dei cristiani, l’aiuto che la Chiesa riceve dal mondo
contemporaneo. Anche questi sono numeri che andrebbero veramente meditati a fondo. Come conclude?
Cristo, l'alfa e l'omega. N° 45. Quindi, siamo partiti dall’uomo, ad immagine e somiglianza di Dio, ecco ci
arrivati a Cristo, l'alfa e l'omega. E anche qui le parole non sono messe a caso. Quando sempre nel n° 45,
vado alla parte centrale, ama sarebbe da leggere tutto, quando dice: il Signore è fine della storia umana, il
punto focale dei desideri della storia e della civiltà, il centro del genere umano. Quindi il centro della società.
genere umano, se non si intende nella sua dimensione strettamente individualista, ma in questa dimensione
aperta alla relazione con gli altri, è il fine della storia umana, è il centro del genere umano. Per questo
torniamo a Lui e alla Sua verità. Da Cristo all’Uomo, questo è lo stile dei documenti conciliari. Per ciò vi
facevo riferimento. Da notare, visto che abbiamo l’opportunità, lo dicevo prima quando abbiamo parlato
della rivoluzione che questo documento è stato per gli anni ’60, e perciò è stato soggetto anche a tante
modifiche a tante redazioni, perché non si riusciva a trovare una versione che potesse creare consenso un po’
tra tutti i padri che erano convocati. Ma è un segno svolta questo, che a rigor di logica dovremmo cominciare
da Papa Giovanni XXIII, quindi il fatto che il concilio sia arrivato nel ’65 a dire queste parole, però per
obbiettività, dovremmo dire che il merito di questa impostazione conciliare, va data indubbiamente a
Giovanni XXIII. Chi ha un po’ dimestichezza con le sue encicliche o con i testi del suo magistero, un po’
avrà la possibilità di verificare come, non è… molto spesso noi riduciamo quello che il Papa Buono ha detto
e ha fatto, quasi a prenderlo per un sempliciotto … e invece quell’uomo è stato quello che ha convocato il
concilio, e ha scritto parole non indifferenti. Nella Mater et magistra del ’61 e nella Pacem in terris del ’63,
che sono le due principali encicliche sociali di questo Papa. Ve ne parlo, perché è stato lui con la logica dei
segni dei tempi. È stato colui che ha cambiato proprio dal punto di vista pedagogico lo stile della Chiesa. Se
voi andate a leggere, per essere breve, mi fermo al magistero del 1800, per capire questa evoluzione.
Altrimenti non riusciamo a capire, che tipo di passaggio c’è stato tra un prima e un dopo. Andate
all’enciclica Mirari vos di Gregorio XVI, siamo circa a metà del 1800, e di lì, giù giù, poi, Papa Pio IX, Papa
Leone XIII, a cui vanno tanti meriti, per carità, però a livello di stile pedagogico, siamo ancora lontani.
Leone XII, PIO XI, Benedetto XV, e così via. Mi fermo ai grandi della questione sociale, ma dovremmo
parlare di Benedetto XV, di Pio X, ecc… ma non ne parliamo. Quindi: Pio XI, Pio XII… fino a Pio XII
quale era l’impostazione dominante, lo stile della Chiesa? Uno stile di tipo deduttivo. Lo stile degli stessi
documenti sociali, lo stile degli stessi documenti sociali, era uno stile di denuncia e di critica, il Papa rileva
gli errori del mondo. Pensate a quello che la Quanta cura (enciclica di Papa Benedetto XIV, del 1741) e il Sillabo
(elenco contenente i principali errori del nostro tempo, l'elenco di ottanta proposizioni che papa Pio IX pubblicò insieme
all'enciclica Quanta cura nella ricorrenza della solennità dell'Immacolata Concezione, l'8 dicembre 1864) ha costituito negli
anni 60 del 1800, in cui si dice, la Chiesa…e il pontefice non potrà mai venire a conciliazione con il mondo
contemporaneo. Quello che si dice nel Sillabo, l’elenco degli errori, dell’epoca moderna e contemporanea.
Quello stile si è portato avanti, con sviluppi e modifiche, io estremizzo per farvi capire il problema, non
fermiamoci necessariamente al dato, perché nel corso del tempo c’è stata anche una evoluzione, non è un
cammino piatto. Però lo stile è stato quello, evidenziare gli errori, c’è un problema? Torniamo all’ordine
immutabile del Creatore. Fino a Pio XII questa è stata la proposta che la Chiesa ha fatto, c’è un ordine
immutabile a cui bisogna tornare, l’ordine del Creatore, questo detto in estrema sintesi. In modo particolare
sarà Pio XI e Pio XII a insistere molto su questo ordine naturale da ricreare, a immagine di quello che il
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creatore ha messo nella natura umana, creandola, quindi lo stile è questo, è uno stile di tipo deduttivista. Ci
sono dei principi immutabili, a cui bisogna ritornare, i principi della retta ragione, i principi che erano stati
individuati nella Aeterni Patris di Leone XIII, la filosofia neotomista, l’approccio di San Toammaso,
l’approccio scolastico, bisogna precisare in maniera chiara quali sono le verità, da lì poi trarre ciò che serve
per applicarle, questa era l’impostazione, questo è il principio, ora si applica, e allora di individua tutto
quello che serve per applicarlo. Questa è stata la metodologia dei documenti del magistero sociale fino a Pio
XII. Con Giovanni XXIII il discorso è cambiato, perché non si è partiti più da questo discorso astratto,
essenzialista. Sicuramente anche positivo, io non sto criticando fine a se stesso il discorso, sto solo
evidenziando un problema. Perché il merito grande invece, dell’impostazione riduttivista era quello di
individuare quali erano i principi del discorso, a che cosa bisognava ritornare, quello è importante che è stato
chiarito, quali sono i principi, quali sono le verità di fondo, che non vanno mai perse, quindi l’utile di
quell’approccio, era proprio questo. Invece, con Giovanni XXIII, il discorso cambia, perché questa lettura
dei segni dei tempi, cioè di ciò che l’evoluzione, la socializzazione, gli sviluppi tecnici. Se vi capita di
leggere la Mater et magistra vedete, perché il Papa mette in evidenza proprio questa novità della questione
sociale, la socializzazione, gli sviluppi tecnici scientifici, nell’enciclica, parte con l’evidenziare questa
nuova realtà, al punto che poi da questa nuova metodologia, da parte del magistero, si è parlato di un triplice
criterio, su cui impostare ogni discernimento, del vivere e dell’agire sociale. Un discernimento sociale che
deve essere basato su tre criteri/principi: Vedere, Giudicare e Agire. È stato lui che li ha canonizzati, ma
anche lì non era roba sua, dobbiamo dirlo con molta umiltà, il Papa li ha presi dalla JOC: Jeunesse Ouvrière
Chrétienne di provenienza franco belga del cardinale Joseph-Léon Cardijn proprio sulla gioventù operaia
cristiana. Che aveva individuato già negli anni ’20 la “revisione di vita”. Cioè, bisogna confrontarsi e partire
sempre dal dato sociale, ciò che l’evidenza mette sotto gli occhi, il Papa fa suo questo discorso di tipo
fenomenologico. E allora dice: per comprendere la vita sociale, per inserirsi nella vita sociale bisogna
sempre leggere il dato, cioè, bisogna capire appunto chi ho davanti a me. Ecco il discorso fenomenologico,
quali sono i segni dei tempi? Oggi, che cosa mi evidenzia, lo sviluppo, la tecnica la scienza, l’economia, la
politica mi mette sotto gli occhi e mi evidenzia come ambiti della questione sociale? Quindi Vedere è il
primo aspetto. Ma non basta, il vedo e poi che faccio? E poi dico va beh me ne torno alla mia sacrestia. E no,
devo giudicare quell’ambito. Come lo giudico? Alla luce di quello che la stessa Optatam Totius riprenderà
successivamente, ma alla luce di quello che la Sacra Scrittua e la Tradizione hanno stabilito come criterio,
per la vita morale e per altri ambiti sulla fede e sulla morale. Quindi Sacra Scrittura, Tradizione e Magistero
(STM). Come giudicare, secondo quali principi, secondo quali criteri una vita morale formata e consona a
quei criteri e principi. Giudicare secondo una duplice caratteristica, di tipo profetico e di tipo critico,
l’elemento critico non va mai messo da parte, quindi non è che il Papa dice, va bene da oggi in poi non ci
sono più errori, la vita sociale è perfetta, è matura a sufficienza, non ci sono più cose da dire in negativo. No,
l’elemento critico esiste sempre, c’è sempre qualche aspetto della questione sociale che crea problema, però
lo si fa in un’ottica profetica, cioè lo si legge alla luce del messaggio che le Sacre Scritture e Tradizione ha
consegnato al Magistero della Chiesa, come deposito della fede. Allora, che germe di bene però
quest’ambito della vita sociale presenta al suo interno? È possibile che tutto è negativo? Che tutto non va
bene? No, l’elemento profetico insiste proprio in questo senso, cosa fa il profeta? Vede con gli occhi di Dio,
guarda la storia come la guarda Dio. È tutto lì, il principio è sempre molto elementare, è chiaro che poi c’è la
fatica di attualizzarlo, ma il principio è sempre quello, di immediata validità e verifica anche storica, quindi
Giudicare, e poi Agire. Allora, una volta che ho capito, so quale è il problema che ho davanti a me, lo
analizzo alla luce di quello che la fede la tradizione il magistero mi dice, mi illumina in tal senso, alla fine so
individuare gli orientamenti pratici, come devo poi tradurre concretamente in pratica, quella condotta, 1quei
principi? Quindi capite, che il passaggio è diverso, parto dalla storia la rileggo, ritorno alla storia. È questa la
pedagogia propria, che da allora, è classica nei documenti del magistero successivo. Quindi, da Giovanni
XXIII in poi, questa è la logica, si parla di logica induttiva; quindi se prima l’approccio era di tipo deduttivo,
ci sono delle verità, messe lì, fondamentali, evidenti, perché la retta ragione li comprende, applichiamoli.
Ora no, il discorso è diverso, partiamo dal contesto sociale e ci ritorniamo con tutta la densità del dato di
fede, per ciò è importante ritornare sempre lì e far parlare la nostra coscienza di cristiani, quando è
rettamente formata. È sempre quello il criterio di riferimento. La GS arriva già dopo un qualcosa che
Giovanni XXIII aveva già anni prima con la Mater et magistra ma ancora prima con il convocare il CVII,
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ma se avete la possibilità, leggete la Mater et magistra e vi rendete conto , dello stile colloquiale del
pontefice, non sempliciotto, perché sa evidenziare i problemi reali con una appropriatezza anche di
linguaggio, e vi sfido a farlo, chi è interessato lo faccia, perché è importante anche questo, togliere alcuni
tabù, quando ci riferiamo ad alcune persone, come dire va bè quello era il parroco, quanta gente lo
considerava così… il parroco. Per dire che era a livello più basso rispetto ai dottori e ai grandi teologi, e
invece no, perché sa porsi in uno stile di assoluta e sincera vicinanza alle problematiche reali della società. le
sa pronunciare con un discorso chiaro, semplice evidente che non ha bisogno di elucubrazioni filosofiche o
teologiche. No, sa evidenziare concretamente il problema, per questo è anche punto di riferimento.
Dicevo, il centro di tutto il discorso, parte dall’uomo, n° 12, termina (n°45) Cristo l’uomo, l'alfa e l'omega,
ma il numero centrale è il 22.
Domanda. L’ultima volta aveva detto che non c’erano documenti conciliari….
Prof: ho detto questo, Pio XII non ha scritto encicliche sociali, ha scritto encicliche di altro tipo, però, anche
lì andrebbero recuperati i suoi 19 radiomessaggi, non conosciuti, dal ‘39 al ‘57, ed è un papa che andrebbe
un po’ recuperato. Io ne parlo anche per un altro aspetto, perché il Papa per la prima volta nella storia del
magistero sociale stabilisce la preferenza etica per la democrazia, come sistema di governo. Il primo Papa
che in maniera chiara evidenzia l’opzione della Chiesa per la democrazia. I Papi di prima avevano fatto
un’apertura timida. Però veramente c’è un magistero sociale nel pontificato di Pio XII non canonizzato in
encicliche sociali, ma ci sono tutti questi testi, per non parlare poi di tutti i vari discorsi, che lui ha fatto per
esempio a tante categorie sociali, agli operai alle donne ai medici, alle infermiere, veramente c’è una marea
di discorsi sociali, di Pio XII ma non c’è una vera e propria enciclica sociale. Si fa passare come suo testo
del magistero sociale il radiomessaggio del 1941, perché sono 50 ani dalla Rerum Novarum. Allora in quella
data il 15 Maggio 1941, anzi viene pubblicato più tardi in occasione della festa di pentecoste, però è quello il
testo che generalmente si fa passare come testo del magistero sociale, ma di per se è più amplio il magistero
sociale di Pio XII.
Domanda: questo è il periodo in cui padre ?-CARDEN-? parla anche di pastorale di insieme sono
contemporanei con il metodo Vedere Giudicare e Agire.
Prof: si, già dagli anni 20 in poi, dal 1920 in poi…
Domanda: quindi anche la questione del territorio, come le parrocchie si sviluppano…
Prof: certo, ma la stessa vicenda poi diventerà un grande riferimento, quella dei preti operai. Da dove troverà
riferimento? Proprio in quello stile in quella pedagogia che la JOC aveva già individuato e già viveva al suo
interno.
Domanda: ora non so se poi avrà uno sviluppo il metodo Vedere Giudicare Agire, comunque mi viene in
mente che all’inizio quando fu adottato dalle scienze sociali, ma dopo poco tempo fu articolato in diverso
modo, nel senso che il vedere non era puro, nel senso che si vedeva sempre secondo certi schemi. Quindi il
vedere non è mai sciolto da un principio. Non so se poi questa logica verrà sviluppata e articolata meglio.
Prof: no, questa è una critica che dice tutto e dice niente, è ovvio che quando vedo una certa situazione la
vedo secondo certi criteri e secondo certi presupposti, però di per sé, se ci riferiamo al magistero sociale, è
chiaro possiamo applicare il discorso anche alle scienze sociali e altri ambiti. Però, se parliamo del ministero
sociale, come io ho fatto riferimento, tu ti troverai che i Papi, analizzano quali questioni sociali? Questioni
oggettive, problemi della vita sociale, quindi quello che il papa evidenzia in quel testo, o in quei testi, non
erano questioni astratte, ma erano questioni legate al vivere sociale.
Domanda: questo metodo applicato in America Latina portò a leggere la realtà per quello che era e dare una
interpretazione considerandola oggettiva.
Prof: ma lì forse ci si è fermati troppo alla 1à e ultima parte, Vedere e Agire, il Giudicare… ma considera
che io ho fatto riferimento a tutto il discorso, cioè: Sacra Scrittura Tradizione Magistero. Tu ricordi la prima
lezione cosa abbiamo detto? Quando abbiamo detto, fedeltà al dato biblico, comprensione della tradizione…
tutti e 3 vanno presi insieme, è chiaro che se tu ti fermi solo su un aspetto della questione, oltre a fare
ideologia, perché il rischio è sempre quello. Allora, però non rendi neanche ragione del dato. Perché ti fermi
su un aspetto. La stessa cosa che ha fatto la teologia della liberazione. Si è soffermata su un aspetto, lo ha
giudicato secondo una visione comunque limitata, e poi ha orientato le coscienze, ma secondo quella
formazione comunque ristretta, non ha dato ragione del dato di fede nella sua integralità, no, questo non lo
ha fatto. Per ciò poi anche la CDF è intervenuta con 2 documenti dell’ ’84 e ’86, i 2 documenti della
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Congregazione per la Dottrina della Fede sulla teologia della fede, per giudicate quello che la teologia della
liberazione aveva fatto almeno in alcune frange. Perciò anche qui non bisogna essere ideologi, e quindi
assolutizzare il discorso. Vi sono anche lì contenuti e contributi.
Domanda: l’anno scorso il professor Lanza ci diceva che il Vedere Giudicare ed Agire non possono essere
pensati separatamente, ma tutti e 3 devono rientrare nella valutazione iniziale, perché la valutazione, seguita
dalla dimensione cairologica, quindi del tempo opportuno ecc… che comprende tutti e 3. rispetto a quello
che diceva, è chiaro che non può essere neutro il vedere, però la critica che lui faceva è che non si utilizzava
il metodo teologico per vedere, ama a priori si utilizzavano i metodi della sociologia e delle altre scienze,
allora lui diceva che il teologo che servendosi della sua teologia eventualmente… ma non il sociologo che
dovrebbe fare questo giudicare…(Prof: guarda, ogni scienza ha il suo statuto epistemologico,) … e allora
diceva, un falso metodo induttivo quindi diventa deduttivo, era questa la critica…
Prof: io non lo condivido, nel senso che è il magistero che ha fatto questa scelta e secondo me
opportunamente ha saputo ri-orientare il percorso. No ma sicuramente non vanno separati, se io ho potuto
far percepire… i 3 passaggi non sono separati, ma vanno ovviamente letti insieme, e prendendo appunto lo
specifico di ognuno. È chiaro che se tu fai riferimento, tornando al discorso delle scienze sociali, tu parlerai
con un sociologo che ti dirà che la sociologia non è solo una scienza di tipo descrittivo, ma ti dirà che per
esempio stabilisce ed afferma anche giudizi di valore. Ma anche lì tu dici, si ma sulla base di che cosa? Cioè
ti limiti al vedere… oppure, lì quali criteri stanno dietro al tuo vedere? nella tua impostazione che scegli e
che usi come criterio di riferimento, allora per valutare quella situazione, qui i 3 passaggi evidentemente
fanno parte di un circolo che è convergente e deve essere progressivamente riavvicinato nei suoi elementi,
per me comunque manifesta la sua vivacità ed il suo interesse.
Domanda: questo è il metodo che tuttora è utilizzato nella JOC ed anche noi nei giovani lavoratori, quindi il
vedere è molto concreto,…
Prof: si certo, non sono astratti, perciò si passati da quell’astrattismo generale, essenzialista, dei principi
validi per tutti. Perché i principi generali sono valori per tutti indipendentemente da ogni altra cosa, invece,
questo consente però di verificare meglio il chi ho davanti a me, che non è detto viva di tutta quella
essenzializazione che i principi generali invece volevano evidenziare. E ripeto, conserva anche lì la sua
importanza, cioè, io non voglio ridurre l’importanza dell’impostazione deduttivista. Perché ogni lettura deve
essere sempre storica, cioè, deve essere sempre valutata in quel contesto, quindi per quel tipo di
impostazione cioè da Gregorio XVI fino a Pio XII, poteva conservare la sua autorità, è chiaro che però oggi
secondo me quel metodo non sarebbe … ma questo lo diceva gia il CVII che non era più valida come
impostazione di tipo pedagogico, quella. Quindi ci fa capire lo sforzo in cui siamo chiamati continuamente a
riattualizzare, anche a modificare impostazioni /pedagogie e a non dare mai per scontato tutto, ormai è tutto
chiaro, è tutto evidente è tutto preciso. No, a metterci veramente in ascolto della realtà per comprenderla a
analizzarla nelle sue impostazioni. OK buona serata.
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