Un contributo editoriale per lo studio della coscienza umana

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N.13/02
Un contributo editoriale per lo studio della coscienza umana
IL VALORE DELLA COSCIENZA E
DELL’ESPERIENZA MORALE
La coscienza continua ad essere oggetto di
riflessione e di studio di filosofi e teologi
moralisti. La cultura offre una pluralità di
saggi e di monografie. Nella teologia cristiana
la coscienza ha il fondamento etico nella
parola di Dio. I teologi scolastici hanno
elaborato trattati per rivelarne la natura, il
valore del giudizio e la produzione etica. In
rapporto alla legge, la coscienza ha il suo
spazio di autonomia. Infatti il cristiano sa che
la coscienza, rettamente informata, non può
emettere mai un giudizio che contraddica il
Vangelo e i suoi valori. Nell’esperienza
pratica sorgono problemi quando è la legge
positiva dello Stato a consentire o a imporre
una scelta che per fede o motivi religiosi non
si condivide; sorge allora l’obiezione di
coscienza. Il caso più noto è quello relativo
alla legge dell’aborto e dell’eutanasia. Un
operatore sanitario onesto e fedele ai valori
del Vangelo e alla dignità e diritti dell’uomo
non accetterà mai di trasformarsi in esecutore
o notaio di morte. I casi di obiezione di
coscienza sono oggi considerati da non poche
legislazioni anche nell’ambito militare. Sulla
coscienza disquisisce Faustino Parisi nel libro
“Il valore della coscienza e dell’esperienza
morale”, Levante Editori Bari (euro 25,00). Il
lavoro è maturato negli ultimi anni
universitari a contatto soprattutto di docenti di
cui Parisi è stato allievo. Ne ricorda
principalmente due: Romeo Crippa a Genova
e Domenico Capone a Roma. Questi due
hanno fatto penetrare nella sua cultura due
filoni o retaggi: quello filosofico e quello
teologico-morale. Questa «dipendenza» è
«rilevabile nella sua trattazione». A dir la
verità la parte teologico-morale è una specie
di excursus o di «ricognizione» nel
patrimonio culturale cristiano, con particolare
tendenza all’analisi del pensiero dei grandi
Scolastici, come San Tommaso d’Aquino. Per
il magistero sono stati studiati e approfonditi i
Sommi Pontefici del ventesimo secolo, in
particolare Pio XII e Giovanni Paolo II. Del
primo si citano, quali fonti, i discorsi sulla
coscienza, contro l’etica di situazione. Del
secondo si citano le due Encicliche Veritatis
splendor e Fides et ratio. Spicca, ovviamente,
il magistero del Concilio Vaticano II, che alla
coscienza ha dedicato il n.16 della Gaudium
et spes, trattandone pure in altri documenti.
Parisi ha pure fatto riferimento a degli schemi
preconciliari
o
delle
commissioni
preparatorie, che sono stati poi abbandonati
né presentati. Nelle analisi considera altresì
gli autori moralisti che sono stati emergenti
sia immediatamente prima che dopo il
Concilio Vaticano II. Il vasto spazio preso in
esame lo ha costretto a seguire più
l’estensione che la profondità del tema
principale e dare adeguata attenzione alle
correlazioni applicative. La coscienza infatti è
chiamata, interpellata a pronunciare il suo
giudizio nelle situazioni concrete, dove la
persona umana impegna la sua responsabilità,
dovendo dare scelte. Teologi scolastici di
grido, come San Bonaventura, definiscono la
coscienza «araldo di Dio» (praeco Dei) – per
sottolineare il ruolo, la funzione propria della
coscienza. Del resto anche Pio XII in un suo
discorso definisce la coscienza il «sacrario
dell’uomo». L’espressione è stata ripresa dal
Concilio Vaticano II, che l’ha ulteriormente
sviluppata. Afferma il Vaticano II: «La
coscienza è il nucleo più segreto e il sacrario
dell’uomo, dove egli si trova solo con Dio, la
cui voce risuona nell’intimità propria»
(Gaudium et spes, 16). In nota il testo
conciliare rinvia a Pio XII e al suo discorso
del 23 marzo 1952. La coscienza dunque è la
«voce» autentica di Dio. Ma ad una
condizione: che sia sintonizzata sulla
lunghezza d’onda di Dio. Per questo i teologi
moralistici scolastici e moderni specificano
che per essere tale, deve essere libera da
pregiudizi ideologici o da interessi inquinanti.
E poi che sia «rettamente formata». Tale
requisito reclama il riferimento alla Sacra
Scrittura, al patrimonio che custodisce la
parola di Dio, la Rivelazione. Ed inoltre che
sia sempre docile al Magistero della Chiesa.
La coscienza, che è una facoltà
dell’individuo, senza questi due riferimenti
rischia di essere sopraffatta dall’errore e così
avallare la prevaricazione etica. Il Concilio
Vaticano II, sempre nella Gaudium et spes,
dedica un paragrafo alla verità oggettiva e alla
necessità di superare l’etica individualistica.
L’individualismo etico infatti può essere
fattore di abominevoli delitti. Giustamente
Parisi, esaminando la dottrina del Vaticano II,
spiega che nel «sacrario della sua coscienza»
l’uomo si trova solo con Dio. «Solo» non sta
per solitudine, isolamento, autonomia,
soggettivismo». Questa solitudine va intesa in
senso di intimità profonda, di stretta
relazione. «In questo locus intimitatis, afferma Parisi – mi pare ci sia qualcosa di più
del trascendentale «uditore della parola», in
attesa di un possibile e assai probabile
messaggio da parte di Dio». Il significato
reale dell’espressione di Pio XII e del
Concilio Vaticano II va perciò considerato in
rapporto alla dignità della persona umana,
creata ad immagine di Dio e redenta da Cristo
e corroborata dai doni e dalle grazie dello
Spirito Santo. Sorge il dovere di considerare
la relazione con Dio e con i fratelli creati da
Dio e redenti da Cristo. Scrive Parisi:
«L’essere in dialogo relazionale con Dio, da
parte dell’uomo, è dunque consustanziale al
suo esistere, fa parte ontologicamente della
sua stessa natura, è costituito dal suo essere
persona». Ed è anche per questa ragione che i
teologi scolastici, con San Bonaventura,
assegnano una priorità al giudizio della
coscienza sulla legge positiva quando questa
ordina di compiere una scelta in contrasto con
il Vangelo. Facendo proprio l’insegnamento
di San Pietro: «Si deve prima obbedire a Dio
che agli uomini». Si deve obbedire solo a Dio,
non agli uomini, quando i loro ordini sono
illeciti o in contrasto con il Vangelo.
L’evidenza era data, oltre che dalla ragione,
dal confronto con la Parola di Dio e dai
pronunciamenti del Magistero della Chiesa.
Sottolineando l’aspetto cristocentrico della
morale, Parisi sostiene che «la coscienza
cristiana matura nell’incontro personale con il
Cristo e nel rapporto con la comunità cristiana
e la Chiesa. Si modella sul vissuto etico del
Cristo così come offerto dai Vangeli e come
compreso nella fede e nella teologia del
popolo di Dio». Aggiunge che «si possa
parlare di una morale cristiana di tipo filiale:
il Cristo non è (solo) modello e legislatore di
vita morale, ispiratore di comportamenti
morali, in sintonia e coerenti con il suo
messaggio evangelico, è la sua stessa
esperienza di Figlio, il suo vissuto etico, a
diventare riferimento per l’azione morale del
cristiano».
GINO CONCETTI
(tratto da L’Osservatore Romano di sabato 7 giugno
2003)