“Dammi da Bere”
Meditazione di don Giorgio Mazzanti
27 febbraio 2005
Questo incontro di Cristo con la samaritana sicuramente è un incontro cercato, voluto, non è
un incontro casuale: sembra anche dal testo che, in qualche modo, Gesù abbia voluto proprio
passare dalla Samaria per questa città. Nello stesso tempo però mi sembra importante dire subito
che, ciò che è decisivo di questo brano, non è un incontro con una persona qualsiasi, ma è un
incontro con una donna ed è un incontro con una donna di quel genere lì. Non si deve smussare il
fatto che è una donna ed è una donna sistemata in quel modo. Che Cristo in qualche modo abbia
voluto questo tipo di incontro, si vede anche dal fatto che chi inizia a parlare, quando incontra la
donna, è proprio Gesù Cristo: la cosa è sufficientemente sorprendente. Vi ricordate che Gesù Cristo
diceva che andando per strada non salutate nessuno: sembra quasi che qui Cristo sospenda quello
che lui stesso aveva detto. sembra che voglia attaccare bottone e, quindi, infrange la sua stessa
norma per poter poi entrare in contatto con questa persona.
Adesso ci possiamo fare delle domande: cos’è che accade in questo tipo di incontro? Si
potrebbe dire che la prima cosa che emerge è che Gesù fa fare alla donna un percorso personale,
molto preciso; in tappe molto serrate Cristo fa fare alla donna quasi un itinerario di catechesi, di
conversione. Comincia con l’attirare l’attenzione sul bisogno immediato del bere: “dammi da bere”
questo “dammi da bere” nel contesto biblico poteva sembrare “dammi da bere l’acqua”, però poteva
anche essere per una donna una proposta provocante o perlomeno la donna può percepire in un
primo momento anche questo messaggio ambiguo. Vi ricordate che nel Siracide si dice di non dare
l’acqua della propria sorgente fuori della propria piazza, del proprio marito; la donna che nel
Cantico di Cantici viene vista come un giardino, come una sorgente e quindi la donna poteva capire
il doppio senso. Di qui la risposta della donna
«Come mai tu, che sei Giudeo, chiedi da bere a me, che sono una donna samaritana?»
Questa prima fase è la fase del bisogno immediato, un po’ come bella tentazione dì Gesù
Cristo, il pane: “ trasforma queste pietre in pane”. La cosa che emerge nell’incontro con Gesù Cristo
è il bisogno dell’immediato e, nello stesso tempo però, emerge che la persona a lungo andare sì
identifica con l’orizzonte del suo impegno quotidiano. Per la donna andare a prendere l’acqua
probabilmente era tutto il suo mondo, coincideva con il fare di tutti i giorni. In un certo senso, in
questo gesto dell’acqua, noi ci potremmo intravedere la routine di un giorno, dove uno crede che si
risolve la propria esistenza. Qui Gesù Cristo fa in modo che la donna capisca che dentro l’acqua o
dentro il bisogno, in realtà, freme un altro tipo di acqua, un altro tipo di desiderio: quello che lui
chiama “l’acqua viva” ed è interessante perché in tutto il nuovo testamento, quando c’è questa
parola, in qualche modo ci si riferisce alla vita divina. Vuol dire che dentro il bisogno fisiologico
del bere, si potrebbe percepire un altro bisogno di un’acqua ancora più importante. È a questo
mistero che Gesù cerca di introdurre la donna, anzi le dice
«Se tu conoscessi il dono di Dio e chi è colui che ti dice: “Dammi da bere!”, tu stessa
gliene avresti chiesto ed egli ti avrebbe dato acqua viva».
A questo punto la donna dice:
«Signore, tu non hai un mezzo per attingere e il pozzo è profondo;”.
Qui c’è questo bisogno immediato e Cristo cerca di perforarlo, di farlo aprire, ma la donna in
qualche modo non capisce. A me ha sorpreso molto che qui Cristo, quando arriva alla sorgente di
Giacobbe, non si dice che si mise a sedere sul pozzo, come è tradotto in italiano, ma in realtà c’è
scritto che “stanco, si sedette sulla sorgente”. Questo per il Vangelo di Giovanni è la strategia
normale che lui usa: da un punto di vista fisiologico - che Cristo si sieda sulla sorgente - è
impossibile; Giovanni con questa cosa paradossale ottiene un effetto molto forte, cioè tra Cristo e la
sorgente si determina una unità molto forte. Il Cristo che si siede sulla sorgente diventa tutt’uno con
la sorgente, per cui il vero pozzo, che potrebbe dare la vera acqua, è lui che si identifica con la
sorgente stessa, ma questo la donna lo capirà solo alla fine. Ma intanto è come se Giovanni,
attraverso questa piccola sottolineatura, crea nel lettore un’identità fra Cristo e la sorgente.
La donna domanda:
“Da dove hai dunque quest’acqua viva? Sei tu forse più grande del nostro padre
Giacobbe, che ci diede questo pozzo e ne bevve lui con i suoi figli e il suo gregge?»
È chiaro che questo “da dove” per tutto il Vangelo di Giovanni è decisivo: “da dove vieni”,
perché se non sai da dove viene una realtà e dove porta, la realtà non la conosci. Per poter avere uno
sguardo su una cosa, devi conoscerne l’Alfa e l’Omega, l’inizio e la fine, ma se non ho lo sguardo
di questa globalità, non ci si riesce a conoscere nulla, si rimane sempre a mezz’aria. È interessante
per potere conoscere una realtà, bisogna conoscerne la sorgente, da dove viene, perché altrimenti io
non sono cosa è. E questa sorgente che Cristo potrebbe dare - quest’acqua viva - è la vita eterna.
Questa vita eterna per i cristiani non è quella che inizia dopo la nostra morte: è misterioso che nel
nostro cristianesimo degli ultimi secoli, sembra che la vita eterna inizi dopo che tu sei morto:
vorrebbe dire che Dio non è Dio, perché se la vita e eterna, è continuamente presente ancora oggi.
Mi ricordo che un monaco del deserto diceva “se non sei in paradiso oggi, non credere di andarci
domani”. Se per te la presenza in Dio è una presenza spaziale, in fondo in Dio non ci sei. Mi ricordo
che fuori della sacrestia scrivevano un cartello “prima della preghiera, prepara la tua anima”: allora
mi sono detto “ma prima cosa facevi, non pregavi?”. Se io percepisco Dio, solo quando entro in
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chiesa, vuol dire che per me Dio è un idolo. Se io mi compongo, perchè adesso vado a pregare, vuol
dire che la mia vita è pagana, è distratta perché o preghi sempre o non preghi mai. La preghiera è un
atteggiamento costante, la vita eterna è una presenza, un’attualità, non è un dopo. Già oggi io posso
entrare dentro questa vita eterna.
A questo punto, Gesù Cristo fa capire che questo bisogno immediato non risolve il problema:
proprio la prima tentazione “Dì che queste pietre diventino pane”. È il primo sguardo di Adamo ed
Eva sull’albero che era buono da mangiare e credi che, facendo questo primo passo, tu risolvi la
vita, ma in realtà il bisogno immediato non risolve l’esistenza.
Vista chela donna non capisce, a questo punto, Gesù Cristo decisamente cambia registro e le
dice.
«Va’ a chiamare tuo marito e poi ritorna qui».
Cristo è un provocatore, vive per primo la “cardio-gnosi”, la conoscenza del cuore, intuisce la
situazione della donna e la mette allo scoperto, la obbliga a tirar fuori se stessa: quindi sapendo che
situazione ha, Cristo le dice
“va a chiamare il tuo uomo. Rispose la donna: «Non ho marito». Le disse Gesù: «Hai
detto bene “non ho marito: infatti hai avuto cinque mariti e quello che hai ora non è tuo
marito; in questo hai detto il vero».
Gesù Cristo intanto svela il secondo bisogno dell’uomo: dopo il pane, il bisogno di un affetto;
perché senza l’affetto non vivi e per un po’ d’affetto uno cerca continuamente e non ha mai requie:
si potrebbe dire che la samaritana rappresenta la situazione sbandata della cultura di oggi. Tutti
questi grandi amori cercati, che sono tutte storie a fine; poi nello stesso tempo, questa continua
ricerca rivela cosa veramente l’uomo cerca. Tutte queste persone che si risposano o vanno a
convivere, in realtà, che cercano? È stupido fermarsi solo ad un’analisi negativa e non capire che
cosa sotto questa ricerca sbandata uno veramente cerca. Il segno dei tempi è qui, che cosa l’uomo
sta cercando: se la Chiesa fosse un po’ meno bigotta e i cristiani fossero più veri, forse
diventeremmo la risposta alla ricerca della cultura di oggi. Se voi che siete qui foste convinti di
essere sposati sul serio, e il diventare diaconi non vi rende né bigotti, né clericali, voi sareste un
lievito dentro la Chiesa, dentro la cultura in maniera incredibile.
È interessante che Cristo stana la donna dalla sua situazione: cos’è che mi colpisce? Mi
colpisce che Cristo con queste persone non sbraita, non aggredisce. Al contrario Cristo diventa
violento, sarcastico quando incontra i farisei, gli ipocriti, ma con le persone sbagliate - Zaccheo, la
peccatrice, l’adultera, la peccatrice - non dice mai nulla. Oggi noi come chiesa ci sentiamo più
zelanti a sparare contro queste persone che contro gli altri; è troppo facile sparare contro chi è già
ferito. E quasi umiliante che una chiesa e dei cristiani sparino contro queste persone: sparate contro
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i più potenti, non chi è ferito dalla vita. Allora, dovremmo reimparare a non massacrare la persona
che è ferita; qui da parte di Cristo, non c’è neppure una parola. È il figlio maggiore della parabola
che tira fuori la parola prostituta, ma non il padre quando il figlio torna. È sempre il moralista che
infierisce e che accusa l’altro. E ci si sente zelanti, quando si è solo fetenti.
Questa capacità di percepire che la dentro c’è un cuore ferito, che forse annaspa, che non
capisce - è inutile che tu intervieni moralisticamente. Cristo, in maniera molto signorile, non la
umilia, ma addirittura va a scoprire la parte intatta che c’è dentro il cuore suo:
questo hai detto il vero»
«Hai detto bene… in
L’unica cosa che sottolinea Gesù è la parte positiva di questa donna che, per
quanto sbandata, però guarda caso, è schietta, sincera. La verità non è la sincerità
dell’immediatezza, la verità e altro. La verità e la schiettezza dell’essere, non è una sensazione
immediata, non è il prurito, non si può confondere la verità con la sincerità del prurito.
Mi pare che nel nostro ministero sacerdotale la capacità più grossa che dovremmo fare è
quello di fare leva sul pulito intatto che c’è dentro il cuore di ogni persona. Se dovessimo usare
un’immagine dei Padri della Chiesa è che “dentro il cuore di ciascuno c’è una vena d’acqua intatta,
coperta da detriti, da terra, da sassi”. Dobbiamo andare a scoprire delle persone, anche delle più
delinquenti, la parte intatta che ancora c’è dentro queste persone. Questo vorrebbe dire diventare
veramente gente di Chiesa che ha imparato dal suo Signore come stare con queste persone.
Dovrebbe quasi diventare una specie di gusto, quasi, ad ignorare tutto il resto e andare a vedere
questa vena intatta che c’è.
Attraverso questo processo, Cristo fa vedere che il pane non basta, un affetto non basta,
perché molto affetto viene visto come il desiderio di un biberon e di un pelouche, per cui molta
gente oggi si sposa cercando una coccola o la gratificazione, ma questo non risolve il cuore
dell’uomo. A questo punto Gesù Cristo ottiene ciò che voleva, cioè che la donna tirasse fuori il
discorso principale. La donna s’accorge che Cristo è un profeta e gli fa la domanda essenziale. È
interessantissimo, perché qual’è la domanda essenziale? La domanda essenziale è proprio sulla
adorazione. La domanda ultima della vita non è perché vivo, ma la domanda ultima della vita,
stando al Vangelo, è tu di chi e di che cosa stai in adorazione? Cos’è o chi veramente adori? Perché
l’uomo è ciò o chi adora. Mi ha colpito in questi ultimi anni, stando fra le famiglie che, anche tra
due che si amano, prima o poi esce la frase “io ti adoro”. Allora cos’è che adori? La carriera, il
successo, il diventare diacono, cosa scegli? Il diventare diacono per te è una rivalsa nei confronti
della Chiesa, del parroco. Di chi è e di che cosa stai in adorazione? Ed è interessante, perché proprio
il discorso sull’adorazione tira fuori delle cose molto strane: ci potrebbe essere una caricatura
dell’adorazione o una conflittualità dell’adorazione, quella che noi chiamiamo una cosa formale, la
parola che a me piace di più in questi ultimi anni è la religione. L’esperienza cristiana non è una
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religione fortunatamente. È molto facile diventare religiosi e vivere la religione che vivere una vera
esperienza d’amore.: mi colpisce per es. che quando tra moglie e marito c’è qualcosa che non va, si
diventa formali, c’è bisogno di puntualizzare. Quando fate queste cose vuol dire che c’è qualcosa
che non torna; il giorno in cui si diventa formali è sicuro che c’è qualche cosa che si è corrotto. Qui
è uguale: la grande discussione, dove si adora? sul tempio? sul monte? Devo inchinarmi? Quanto
deve durare l’omelia? Paranoie, perché vuol dire che c’è un vuoto, che ha bisogno di sostenere con
queste cose.
Cristo cerca di andare al di là della conflittualità, della contraddizione. Pensate com’è attuale:
se veramente adoriamo Dio e diciamo di essere adoratori di Dio, possiamo essere rivali fra di noi?
Può Dio dividere i suoi adoratori? Se fossimo dei veri adoratori, ci riconosceremmo
immediatamente,. ma se io m’impossesso persino di Dio – ed è questo che fa la magia e la religione
(logica di potere) - noi diventiamo dei rivali. Anche tra moglie e marito, quando c’è qualcosa che
non va, volete impossessarvi l’uno dell’altro e diventate rivali e anche i figli sono “miei”, “tuoi” e
non sono “i nostri”. La prima cosa che si vede come coppia è il linguaggio che usate nei confronti
dei figli: voi siete separati, perché non ti verrebbe neanche in mente di dire “il mio” e “il tuo”.
Che cos’è allora l’adorazione? È proprio la consegna totale di sè ad un altro. Ho capito che si
passa dal dono all’abbandono, uguale uguale alla vita coniugale. È molto facile fare doni è molto
difficile vivere l’abbandono di sé all’altro o a Dio. Quella che noi chiamiamo adorazione in realtà è
proprio la consegna totale di sé all’altro. È la preghiera di Charles de Foucauld “Padre, mi
abbandono te”: la perfezione ultima è l’abbandono di sé, che diventa la consegna di sè all’altro. In
fondo in fondo finché questo non è accaduto io non vivo una vita religiosa, vivo una farsa, vivo una
cerimonia, non vivo una fede, un amore vero. Vivo l’igiene di una casa pulita, ma c’è la freddezza
dell’incomprensione, manca il calore della festa di noi due.
Il nuovo testamento dice che anche il diavolo ha fede - altrimenti il diavolo non farebbe quel
mestiere -, solo che il diavolo non riesce a fare l’ultimo passaggio dell’abbandono di sè a Dio. San
Paolo dice “dal modo con cui voi state pregando, chi entra in Chiesa, dovrebbe dire: Qui c’è Dio! E
si sente spinto ad inginocchiarsi e ad adorare Dio”, Ma le nostre liturgie sono tali che un estraneo
entrando dice “qui c’è Dio”, non si sta facendo una coreografia, ma si sta adorando Dio? In che cosa
si manifesta questa adorazione? Nella verità e nello spirito, cioè la schiettezza totale di sè e la
profondità più profonda del proprio essere. Il gesto che fa su tutto parte dalla profondità stessa di
me; finché non si arriva a questo tipo di adorazione la nostra vita è inconsistente, è frantumata,
sfilacciata, si affastellano un sacco di riunioni, ma le riunioni non faranno mai crescere la
comunione. Il vero problema è di arrivare a questa comunione profondissima con Dio, che suscita la
comunione fra di noi.
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Cosa ha fatto Gesù Cristo in questo tipo di passaggio? Egli fa capire che lo schema feriale
della vita non risolve il cuore dell’uomo, perché c’è una vita divina più alta della semplice vita
feriale. C’è un amore vero che prima o poi deve esplodere: se noi analizzassimo meglio la
ripetizione dei gesti, uno potrebbe capire che cosa veramente cerchi. Dentro la ripetizione c’è una
ricerca di una trascendenza, perché se fosse il ripetere quello di ieri, saremmo già morti. Dietro la
ripetizione c’è una grande nostalgia, allora comincio a capire che dentro la nostalgia c’è la ricerca di
qualcosa di più alto, altrimenti diventerei formale, monotono. Allo stesso tempo, in qualche modo,
arrivi all’esperienza dell’adorazione e ci si comincia ad accorgere che c’è un dì più che trapela
dentro, c’è un oltre che cerca di entrare. Si tratterebbe di poter arrivare a questo tipo di esperienza.
Come fa Gesù Cristo a far fare questo tipo di passaggio? Egli porta la donna ad avere piena
consapevolezza di se stessa e porta la donna a prendere coscienza di che cosa veramente cerca,
mettendo in evidenza l’aspetto vero che c’è dentro di lei. Solo che la cosa strana è che la donna, per
poter arrivare alla vera conoscenza di se stessa, ha bisogno di conoscere Gesù Cristo. È la stessa
cosa se volete di Santa Caterina da Siena “conosci me, conosce te”, cioè uno strano rapporto. Se voi
riprendete il racconto della samaritana - e andate a vedere cosa succede - è interessante che la
donna parte dall’incontrare un uomo, ha il sospetto che sia un profeta e poi arriva dire “forse è il
Messia”, poi vedete come termina il racconto. Sembra quasi che la conoscenza di sè ce l’ho, quando
guardo alla persona che mi ama: uno non arriva alla conoscenza di sè, trapanando se stesso. Uno
arriva alla conoscenza di sé, quando tiene i suoi occhi rivolti al Signore, perché man mano che
conosce Lui, entra la luce che mi fa vedere me. A questo punto egli fa vedere me alla sua luce,
quindi, nella verità.
È molto interessante questo processo che c’è qui nel Vangelo della samaritana; man mano
che approfondisci la conoscenza di lui, arrivi a conoscere sempre più in profondità te stesso. Quindi
la vera psicologia, la vera esperienza spirituale sarebbe “schiodati da te e comincia a guardare Lui”,
perchè man mano che vedi l’alba, l’aurora, il meriggio (l’ora in cui la donna incontra Gesù), man
mano che arriva la pienezza della luce, vedi anche in chiarezza te stesso. Questo probabilmente
toglierebbe, sia noi che la gente, da una certa ripiegamento su di sè, da una certa malinconia, da una
certa tristezza, dove uno crede che a furia di pensare a se stesso e su di sè, pare di poter arrivare
dovunque, ma spesso chi fa così rischia di vivere con un criceto: è sempre lì, gira sempre ma non si
muove di un attimo. Passi tutta la vita, 40 o 50 anni ad annaspare su questa rotta come un criceto.
Qui c’è la stessa cosa degli ultimi capitoli del vangelo di Giovanni, quando il Risorto appare: si
passa da un vedere, ad un vedere più approfondito, cioè “fino alla fine” (viene utilizzata una parola
in greco che ha la stessa radice di “vedere” e di “Dio”).
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L’atto di fede non è un atto razionale, è un atto di sguardo, per cui l’atto di fede non è la
conclusione di un ragionamento, ma è l’atto che ti scorga da una visione. Non è un problema di
capire e di comprendere, è un problema di contemplare, che ti porta alla fede. Quello che viene
tradotto con sapere, in realtà è la consapevolezza di chi ha veramente visto. Man mano che hai il
coraggio di non guardare te stesso e di guardare Lui, arrivi pian piano alla conoscenza di te ed hai
anche il coraggio di vedere le tue brutture, perché le guardi alla luce della sua presenza. Per cui le
tue brutture, la tua ombra non ti schiaccia, perché hai già la luce che ti abbraccia. Quand’è che
Cristo incontra la samaritana?: È mezzogiorno, cioè il massimo della luce, quando l’ombra cade
sotto i piedi. Gesù Cristo si presenta come Messia per la prima volta ad una donna pagana e
irregolare, addirittura il v. 20 termina, non con “Sono io”, ma con “Io sono che ti parlo”, cioè rifà
l’esperienza identica del roveto, di Dio che si fa conoscere a Mosè.
L’ombra, la tenebra del tuo peccato per quanto grande sia è già stato avvolto, sconfitto,
schiacciato sotto i piedi da Dio che ti si rivela. Mi pare che qui vengono fuori delle indicazioni:
forse saremmo dei cristiani più festosi e un po’ meno sentimentali. In una vita di coppia, quando
uno è sentimentale, ossessivo e insopportabile, si diventa permaloso. Si può rompere questa cosa,
perché tu hai fatto un salto, sei oltre. Una volta che hai incontrato e stai qua dentro, stai sulla roccia
dell’amore di Dio e non sulla sabbia delle tue illusioni e delle tue pretese. Sai che c’è una roccia
stabile, che è lui che ti ama e allora spiega perché tu devi a tutti i costi pensare solo a te stesso e
vedere in maniera testarda, stare sulle sabbie del tuo essere, delle tue illusioni. Stai sulla roccia, e
questa è una certezza, comincia ad edificare su questa roccia, sulla roccia della sua presenza, del
suo amore.
Forse di questo bisognerebbe andarsi a confessare: ciò di cui in genere ci si confessa
probabilmente non sono mica i veri i peccati: uno va a confessare i sintomi, non si dice mai la
radice ultima. Questo incontro che tipo di incontro è? Dovremmo ritornare all’inizio del racconto
Giunse pertanto ad una città della Samaria chiamata Sicàr, vicina al terreno che
Giacobbe aveva dato a Giuseppe suo figlio: qui c’era il pozzo di Giacobbe
I patriarchi nel vecchio testamento hanno sempre incontrato la sposa attorno al pozzo, attorno
alla sorgente: Abramo, Mosè, anche Sara che deve trovare moglie ad Isacco. Qui accade un grande
mistero; Cristo si presenta come Messia, che è lo Sposo., la saldatura tra il Messia è lo Sposo mi
pare molto chiaro. Cosa viene a fare al pozzo Gesù in realtà? È uno che viene a sposare l’umanità,
che è vedova, che non ha il vero marito, che è sbandata. Allora Cristo, quando arriva, si presenta
come il vero Dio, il vero Sposo, il vero Messia come colui che può realizzare la totalità dei desideri
più veri del cuore dell’uomo. Cosa significa che Dio è venuto a salvarci? San Ignazio dice “quando
sarò con te, sarò un uomo perfetto”: la salvezza si vede nell’umanità pienamente realizzata,
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altrimenti sono tutte caricature. La cosa più incredibile della salvezza è che Dio compie la pienezza
dei desideri che lui stesso ha messo dentro l’uomo che ha creato. Si potrebbe dire che la salvezza è
che finalmente si vede realizzato l’uomo, come Dio l’ha pensato, da quando l’ha creato. Chi non
diventa pienamente uomo, come fa a dire di essere cristiano, sta ingannando! C’è questa pienezza
esplosa dell’umano che fa capire che ha incontrato Dio. È una serenità costante, perché ti senti
custodito, amato e abbracciato da Dio; a poco a poco la tua umanità esplode e non cammini più con
il freno tirato, che brucia tutto, ma cominci a lasciare spazio alla verità di te. È interessante che
questo Messia che arriva, è la realizzazione dei desideri più veri, più essenziali del cuore dell’uomo,
che coincide con le cose che Dio stesso ha messo dentro di noi.
Cristo si rivela per la prima volta come Messia alla samaritana e appare per la prima volta da
Risorto, non al discepolo prediletto e neanche a Pietro suo successore, ma alla Maddalena, perché
erano le due donne sbagliate. Non poteva apparire a sua madre, in maniera così ufficiale, evangelica
per la missione: se Cristo fosse apparso a Maria, sarebbe tutto scontato, perché lei è una santa, è
l’Immacolata, ma decidersi di manifestarsi come Messia, come Risorto a queste due donne, vuole
con chiarezza far capire a che cosa porta la persona che l’accoglie.
La donna trova tutto: Dio, lo Sposo. Qual è il segno di tutto questo? Perché la donna lascia la
barocca, se era venuto per quello? Probabilmente è molto semplice: potrebbe esserci sia l’aspetto
caritatevole, cioè lascia la brocca per gli apostoli che stanno tornando, oppure perché ha trovato il
tesoro, ha trovato tutto. Il segno è molto bello e, se lo hai trovato,, diventi caritatevole, non
accumuli e non pensi solo a te stesso. Se hai trovato veramente Dio, il resto lo lasci, ma non perché
non devi possedere una vita decorosa, ma l’accumulo, il possesso non serve. Lasci tutto quello che
hai, perché hai trovato il tesoro nel campo, quindi è il segno che hai trovato l’Assoluto, Dio, e che ti
sciogli da tutto quello che prima ti sembrava importante; non perché tu lo disprezzi o sei un asceta,
ma perché, avendolo trovato, ti resta quasi istintivo lasciare il resto, non ha più senso.
Allo stesso tempo, l’altro segno è che appena lo hai trovato e diventi la sposa, diventi una
madre, diventi fecondo ed inizia la missione. La samaritana è la madre di tutto il suo paese. Avendo
incontrato lo Sposo, genere i figli allo Sposo, al Messia: va in paese e racconta. Fa in modo che gli
altri si mettano sulla stessa strada dell’incontro che lei ha vissuto con il Messia. La frase finale che
può sembrare ironica è un capolavoro:
«Non è più per la tua parola che noi crediamo; ma perché noi stessi abbiamo udito e
sappiamo che questi è veramente il salvatore del mondo».
Vuol dire che è una donna eccezionale, perché non ha legato le persone a sè, ma le ha portate
tutte a Gesù Cristo, perché il cuore vero dell’apostolato non è legare le persone a te, ma di condurle
a Gesù Cristo. Chi ha fatto un vero incontro con il Cristo Messia ed ha incontrato il vero Sposo
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diventa talmente fecondo che taglia il cordone ombelicale con le persone che tu generi alla verità.
Bisognerebbe vivere in maniera molto semplice, molto festosa, senza contare nulla, senza dire “ho
fatto qui, ho fatto là”, non conta niente: conta che gli altri hanno incontrato il Signore.
La donna sa scomparire, non ingombra la scena, non si intromette tra lei e Cristo, si mette da
parte, è uguale alla Maddalena, alla quale il Signore dice “non trattenermi, ma va dai miei fratelli”,
diventa madre, annunzia il kerigma che io ti ho dato, cioè il contenuto dell’incontro che abbiamo
vissuto, come nell’episodio della samaritana. Cosa vai a raccontare? L’incontro, non la teoria.
La conclusione del brano del Vangelo è molto forte:
“abbiamo udito e sappiamo”
sono i due
verbi che la prima lettera di Giovanni riprenderà. La fede che cos’è? È un camminare verso, un
vederlo così, un ascoltarlo e un arrivare alla piena consapevolezza di fede. E abbiamo scoperto che
lui stesso è il Salvatore del cosmo, del mondo. C’è proprio tutta una cristologia, appare tutta la
figura di Gesù Cristo.
Accanto a questa donna, oltre ai suoi concittadini, ci sono i discepoli: la cosa sorprendente è
che i discepoli, al loro livello, si ritrovano nella stessa condizione della donna, cioè non capiscono
niente neanche loro. Intanto sono sorpresi di vedere Cristo stare solo con una donna e
“Nessuno tuttavia gli disse: «Che desideri?», o: «Perché parli con lei?».
La cosa strana poi è che la donna non capisce dell’acqua, mentre discepoli non capiscono
niente del pane
Intanto i discepoli lo pregavano: «Rabbì, mangia». Ma egli rispose: «Ho da mangiare un
cibo che voi non conoscete». E i discepoli si domandavano l’un l’altro: «Qualcuno forse gli ha
portato da mangiare?». Gesù disse loro: «Mio cibo è fare la volontà di colui che mi ha
mandato e compiere la sua opera.
Anche loro sono molto lontani da uno sguardo di fede, non si sono resi conto. Cos’è questo
pane? È proprio l’opera del Padre, l’evangelizzazione, l’apostolato. C’è un desiderio dell’uomo –
che va anche bene-, ma prima o poi c’è anche una missione, perchè la vita vale in quanto te la
spendi per qualcosa. Ogni vita è mandata, ogni vita è una missione. C’è un’opera, c’è un pane, non
basta solo l’acqua e il pane è l’opera da compiere. Questo “compiere” è lo stesso verbo che Gesù
dirà, quando sta per morire: non è un non avere esaurito, ma è avere portato al massimo dello
splendore ciò che doveva fare. Portare l’altro alla sua perfezione, quando Cristo grida sulla croce
“Tutto è compiuto” usa lo stesso verbo, cioè ho portato al massimo delle cose che potevo. Non è
quindi l’esecuzione puramente formale - ho conseguito il mio dovere - ma ho portato alla pienezza.
Dopo c’è tutto il discorso di mietere, del portare frutto, Gesù dice di guardare:
Levate i vostri occhi e guardate i campi che già biondeggiano per la mietitura. E chi
miete riceve salario e raccoglie frutto per la vita eterna, perché ne goda insieme chi semina e
chi miete. Qui infatti si realizza il detto: uno semina e uno miete. Io vi ho mandati a mietere
ciò che voi non avete lavorato; altri hanno lavorato e voi siete subentrati nel loro lavoro».
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“Faticato” è lo stesso verbo dell’inizio del racconto, ove è scritto che
sedette sul pozzo”.
“Cristo affaticato, si
Si comincia allora a capire che chi ha faticato in realtà è Gesù Cristo, perché
l’opera redentrice di Gesù Cristo è stata una grande fatica.
A me pare che sia molto forte che in fondo noi ci troviamo a lavorare, a raccogliere dove
qualcuno ci ha preceduto, sicuramente Gesù Cristo, che ha dato la vita per tutti e per sempre, perché
lui è diventato il vero Salvatore del mondo, ha già fatto lui in maniera decisiva l’atto redentore
definitivo. L’apostolo è quello che in fondo non fa altro che raccogliere quello che il Signore ha
ottenuto e realizzato.
È molto bello: da una parte non tira scoraggi, cioè stai dentro la certezza che, comunque, Dio
è il Salvatore del mondo, ha dato la vita per tutti e per sempre; non ti senti possessore di nessuno,
non ti senti bravo e non hai bisogno di nessun riconoscimento e di nessuna gratificazione. Sei felice
che Dio si sia servito di te per continuare ad agire la sua opera di redenzione. Questo dà una libertà
così grande al prete, al diacono, al cristiano che uno non la baratterebbe con nulla e ti accorgi che
non è tanto un problema di pianificare, ma dire essere. Puoi essere un grande organizzatore, ma non
necessariamente un salvatore.
Potrebbe valere per noi che chi pianta, chi irriga, cioè i vari lavori apostoli sono diversi, allora
non c’è una rivalità tra i vari ministeri, tra i vari apostoli: è una grande tristezza vedere le rivalità tra
preti, vescovi, tra parrocchie. È perfettamente inutile e rivela solo che, invece di preoccuparci di lui,
siamo preoccupati di noi. Io credo che “gioisce insieme chi ha faticato e chi raccoglie” dovremmo
sistematicamente ritrasferirlo nella nostra vita pastorale. Quando vanghi vedi, quando raccogli vedi,
ma quando devi annaffiare non vedi nessun risultato, ma se tu tutte le mattine e le sere non annaffi,
non cresce niente. Ti pare di stare lì e di non per fatto niente e di non vedere nessun risultato. Forse
è il momento più grande della vita: senza quel gesto appartato, silenzioso, umile e indispensabile
non matura niente. E sei felice di stare ad annaffiare: un gesto che forse non vede nessuno. In
periodi diversi della vita, questo Dio ce lo fa vivere: la contentezza che qualcun’altro abbia
incontrato Gesù Cristo. A me pare che, a questo punto, qui Cristo tenga insieme
- gli apostoli,
- la donna,
- un paese
cioè il mistero da vivere è lo stesso: è il mistero nuziale e ognuno deve arrivare ad incontrare Gesù
Cristo. Qualcuno dice che lo scopo della vita cristiana è diventare figli di Dio; allora, a messa dopo
la recita del Padre nostro, potremmo andar via! Chi dice così rende inutile la comunione, cioè il
mistero nuziale, si diventa una carne sola con il Signore. Lo scopo ultimo della vita è la comunione,
è l’unione nuziale; il diventare figli è solo una premessa indispensabile, è l’abito che devi indossare
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per poter andare alle nozze. Non basta aver messo su un bell’abito, devo andare a celebrare le
nozze. L’abito che mi viene dato - questa vita nuova, la vita eterna - è perché io entri dentro la
danza del ministero nuziale. Che è il mistero della Trinità.
Cristo è la sorgente e se tu arrivi alla fede diventi anche tu la sorgente: sia che fai
un’esperienza mistica – S. Ignazio dì Antiochia “senti dentro di te un’acqua che ti gorgoglia e ti
dice “qui al Padre”, cioè diventi tu l’intimo di Dio ed è l’esperienza mistica più alta ed è Lui che ti
sgorga dentro di te. Diventando sorgente, diventi una sorgente per gli altri, diventi la fontana del
paese e ringrazi di essere la fontana del paese. Sei felice che gli altri passando vengono a prendere
l’acqua e riempiono la brocca dei loro desideri e sei felice che quest’acqua l’hai fatta scaturire.
Allora voi diaconi diventate la fontana del paese ed, essendo sposi, questo mistero nuziale dovreste
farlo intravedere di più; non stare a parlare dei rovi che ci sono nella vita, ma notare lo splendore e
il calore di Dio che vi abbraccia. Sarebbe bello se come sposi riusciste ad essere un pochino la
trasparenza di questo mistero che Dio prepara per tutti
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