LIBERA UNIVERSITÀ DI LINGUE E COMUNICAZIONE IULM Corso di Laurea in Comunicazione, Media e Pubblicità MILANO L’arte di raccontare. L’evoluzione dello Storytelling, il suo utilizzo nella pubblicità e la case history HBO Docente che ha assegnato l’argomento della prova finale Chiar.mo Prof. Guido Cornara Prova finale di: Francesca Luglio Matr. N. 1003684 Anno Accademico 2011 / 2012 2 L’arte di raccontare. L’evoluzione dello storytelling, il suo utilizzo nella pubblicità e la case history HBO. Introduzione: Come nascono le storie?.…………………………………………….5 1 Storia dello Storytelling. C’era una volta un cantastorie 1.1 L’uomo dall’oralità alla scrittura.……………………………………..7 1.2 La narrazione e i mille modi di raccontare una storia.………….....9 1.3 Gli studi che hanno portato dalla narrazione allo Storytelling.….11 2 L’evoluzione dello Storytelling dagli anni Novanta a Oggi 2.1 Il boom degli anni Novanta…………………………………………15 2.2 Ogni marchio crea la sua storia…………………………………….18 2.3Due casi famosi di Storytelling 2.2.1 La Apple…………………………………………………..22 2.2.2 La Campagna Politica di Obama………………………31 3 Una televisione differente: la case history HBO 3.1 La nascita di una TV che non si definisce tale…………………...37 3.2 Le serie che hanno reso HBO una garanzia di qualità………….40 3.3 There are stories and there are HBO stories……………………..46 3.3.1 Sinossi……………………………………………………48 3.4 Conclusione……………………………………………....................63 Ringraziamenti………………………………………………………………65 Bibliografia…………………………………………………………………...67 Sitografia……………………………………………………………………..69 3 4 Introduzione: Come nascono le storie? Due persone, la voglia di conoscersi, di scambiarsi esperienze, pezzi di vita: così nascono le storie. Fin dalle origini l’uomo sente la necessità di raccontarsi e di tramandare ciò che gli viene raccontato, come se si sentisse responsabile di un’eventuale scomparsa del passato. Col tempo sono nati i cantastorie che andavano in giro per le città a raccontare storie, a volte vere a volte inventate, a seconda dell’occasione, del pubblico e dello scopo che si voleva raggiungere. I cantastorie erano ciò che ora sono i giornali, la televisione e gli scrittori, perché infondo non fanno altro che raccontarci storie più o meno vere in maniera più realistica e convincente, forse, sulla vita e sul mondo che ci circonda. Da piccoli ci vengono raccontate delle favole che ai nostri genitori raccontavano da piccoli i nostri nonni, che i nostri nonni avevano imparato dai nostri bisnonni e così via; queste favole sono insegnamenti per il nostro futuro. Cappuccetto Rosso ci insegna che non dobbiamo parlare o fidarci degli sconosciuti, Cenerentola che dobbiamo inseguire i nostri desideri per essere felici, Aladdin che è più importante la ricchezza interiore di quella materiale e Pinocchio che non dobbiamo dire le bugie. Per non parlare dei miti, delle leggende e delle religioni, perché nonostante tutto anche la Bibbia e il Corano sono soltanto una raccolta di storie, storie che ci devono ispirare e guidare nella vita e alle quali ci viene chiesto di credere ciecamente. Alla fine di tutto, quindi, ogni storia che ci viene raccontata e che raccontiamo è programmata per scatenare una determinata reazione nell’ascoltatore. È da qui che nasce il mio interesse nello Storytelling, che mi ha portata a scrivere questa tesi. Lo Storytelling o, in Italiano, il Narrare è il modo più semplice che abbiamo per raccontare noi stessi, per spiegare qualcosa che 5 abbia un determinato fine, una morale. Per molti studiosi e specialisti del settore lo Storytelling è un modo subdolo di arrivare a parlarci di un prodotto; per altri, e anche per me, è il modo più ingenuo e sincero che abbiamo per comunicare. La mia tesi, dunque, partirà da questo punto di vista differente e si articolerà in tre capitoli. Il primo verterà principalmente sulla storia dello Storytelling e sulla sua evoluzione di pari passo a quella dell’uomo. Il secondo sarà incentrato sullo sviluppo dello Storytelling nella pubblicità e nel marketing dal boom degli anni ‘80-‘90 a oggi, con vari esempi di campagne pubblicitarie a confermare il potere del raccontare una storia. Nel terzo capitolo mi concentrerò sulla case-history HBO e sulla sua campagna pubblicitaria “there are stories and there are HBO’s stories”, farò un’analisi della campagna nel dettaglio, dei vari sentimenti che va a toccare con le storie che racconta e di come essa funzioni sul pubblico. Infine, nella conclusione, spiegherò come la campagna HBO sia un esempio lampante di Storytelling. 6 1 Storia dello Storytelling. C’era una volta un Cantastorie. La narrazione è comunicazione d’esperienza che allo stesso tempo è anche comunicazione di senso. Ma di quale senso? Il senso della nostra stessa vita. D’Ambrosio Angelillo 1.1 L’uomo dall’oralità alla scrittura L’uomo può essere definito un “animale narrante”1 sia che racconti a voce una storia sia che la scriva. Il primo passo per analizzare l’evoluzione dello Storytelling, più in generale della narrativa, avvenuta nel corso della storia è spiegare il passaggio tra oralità e scrittura. A questo proposito è necessario citare il lavoro fatto da Walter Jackson Ong2, il quale distingue tra due tipi di culture: quelle a “oralità primaria” e quelle basate sulla scrittura. La differenza basilare sta nel fatto che l’oralità è una caratteristica intrinseca del linguaggio e della natura umana, mentre la scrittura è una vera e propria tecnologia. Le conseguenze maggiormente rilevanti sono che le culture a “oralità primaria” sono estremamente vincolate dai limiti della memoria, invece con la scrittura vengono superate la variabilità e la non permanenza dell’oralità e nascono le culture chirografiche. La scrittura è dunque vista come la tecnologia più importante nella storia dell’umanità poiché «Senza la scrittura un individuo alfabetizzato non saprebbe e non potrebbe pensare nel modo in cui lo fa» (Walter J. Ong, 1986). La scrittura raggiunge il suo massimo con l’invenzione della stampa, primo mezzo di massa per la diffusione della conoscenza e della narrativa. Con l’avvento di nuove tecnologie come la radio, il cinema, la 1 Andrea Fontana, Manuale di Storytelling. Raccontare con efficacia prodotti, marchi e identità di impresa, Etas, 2009, p.3. 22 Walter Jackson Ong (1912-2003) era un prete americano, professore di letteratura Inglese, filosofo e storico, il cui maggiore interesse era lo studio di come il passaggio dall’oralità alla scrittura influenzava la cultura e i cambiamenti nella coscienza umana. Nel 1982 scrisse Orality and Literacy: The Technologizing of the Word. 7 televisione e il computer si arriva a quella che Ong chiama “oralità secondaria”. Vi è quindi un ritorno a un mondo orale mediato però tramite l’esperienza alfabetica precedente. La nuova oralità si differenzia dalla vecchia per la vastità di pubblico che riesce a raggiungere. In questo processo di ri-mediazione la scrittura e l’oralità acquisiscono una le caratteristiche dell’altra ed entrambe vengono utilizzate dalle nuove tecnologie a seconda delle necessità e degli scopi che si vogliono raggiungere. La narrazione dunque, ha subito diversi cambiamenti. Quando le storie erano orali, la narrazione includeva sia il narratore che l’ascoltatore. Era il narratore in persona che creava l’esperienza di ascolto mentre gli altri recepivano il messaggio ed elaboravano delle immagini proprie basandosi sulle parole ascoltate e sui gesti del narratore. Con l’avvento della scrittura questo legame si spezzò; il racconto veniva prima elaborato e solo successivamente letto e quindi appreso. Oggi invece, con la nascita di nuovi media e, come affermato prima, con l’avvicinamento tra scrittura e oralità, le storie sono diventate multimediali e cross mediali. Ovunque volgiamo la nostra attenzione troviamo narrazioni visive, musicali, iper-testuali e aziende che ci chiedono di raccontarci e cercano di coinvolgerci nella costruzione dei prodotti che pensano per noi. Prima le aziende e il consumatore erano distaccati, l’una creava la pubblicità accattivante per convincere l’altro ad acquistare il proprio prodotto; ora invece con la convergenza di tutti i media il consumatore diventa prosumer, cioè produce e consuma i prodotti. In questo scenario, dove il consumatore sembra non avere più bisogno della pubblicità e di chi gli dice cosa e come deve comprare, i pubblicitari per ristabilire un equilibrio e per tornare a una divisione tra produttore e consumatore decidono di tornare alle nostre origini, e come faceva il cantastorie ci raccontano una storia credibile, giocando non più sul sedurre e convincere, ma sul produrre un effetto di credenza. 8 1.2 La narrazione e i mille modi di raccontare una storia La narrazione è un atto comunicativo che assume forme diverse in base a ciò che racconta e a seconda del mezzo che si sceglie. Si possono raccontare storie, fiabe, romanzi, novelle, gossip, etc. attraverso un film, un fumetto, una mail, un fotoromanzo, un ciclo di affreschi, la radio, l’esperienza teatrale e via dicendo (Umberto Eco, 2000). Una storia può essere raccontata in diversi modi e in base a come si sceglie di narrarla essa assume sfumature diverse. Nella narrazione cinematografica e televisiva, ad esempio, la scelta del montaggio è fondamentale per la resa della narrazione. Svariati esempi a sostegno di questa affermazione si possono trovare su YouTube dove alcuni trailer di film celebri sono stati rifatti usando le stesse immagini, montandole però in modo diverso e ribaltando il senso originario, creando così un “metaverso filmico” in cui gli stessi elementi (scene, musica, grafica), secondo un giochino del tutto simile al quasi secolare “effetto Kulešov”3, assumono una valenza narrativa opposta: The Shining (Shining, 1980) di Stanley Kubrick diventa la storia di una famigliola felice in vacanza, mentre Mary Poppins (Id., 1964) di Robert Stevenson un sinistro horror.4 Per costruire una narrazione di qualunque genere bisogna prima di tutto chiedersi che storia si vuole raccontare e a chi. Il “chi” è fondamentale perché già nel target a cui ci si vuole rivolgere risiedono molti indizi di una eventuale storia da raccontare, anche se non si bisogna sempre delegare agli altri la responsabilità di ciò che viene narrato. Le prime domande, quindi, che un narratore si deve porre sono: di cosa voglio parlare? Quali azioni, ambienti, personaggi, tempi, eventi devo prendere in considerazione? 3 L’effetto Kulešov consiste nell’accostamento di due inquadrature in sequenza attraverso l’uso della stessa immagine neutra di partenza, generando sensi e associazioni differenti nella mente dello spettatore a seconda di ciò che è montato successivamente. Tale procedimento è stato sperimentato nei primi anni Venti da Lev Kulešov al VGIK, la scuola cinematografica di Mosca. 4 Serafino Murri, Liberazione dello sguardo e trasmigrazioni di identità. L’orizzonte espressivo del web 2.0, in Drammaturgie Multimediali, a cura di Gianni Canova, Edizioni Unicopli, 2009, Milano, p.26. 9 Dopo aver risposto a queste domande si passa alla seconda cosa da fare altrettanto importante, poiché da essa derivano l’esito e l’efficacia di un nostro eventuale impatto comunicativo: considerare la storia in termini di discorso e capire quali strutture usare per la trasmissione narrativa e quali media scegliere. I livelli della trasmissione narrativa fondamentali sono: La soggettività del narratore, che può essere autore, narratore e personaggio all’interno della storia. Questi tre soggetti a volte coincidono e altre sono distinti, ma in ogni caso sono sempre una costruzione funzionale che non va confusa con l’autore reale della storia. Gli atti di parola, quindi la scelta della trama e la conseguente assegnazione di un genere, ma anche l’espressione gergale utilizzata nella storia che ne caratterizza il luogo dove essa si svolge. Il rapporto fra tempo della storia e tempo del discorso. Per tempo della storia si intende quello dello svolgimento dei fatti nella realtà, la loro reale durata, la loro sequenza cronologica. Il tempo del racconto si riferisce invece alla distanza tra i fatti narrati e il momento in cui essi si narrano, e l’ordine con cui essi vengono raccontati, rispettando quindi la loro sequenza cronologica o utilizzando artifici come il flashback (retrospezione) o il flashforward (anticipazione) La scelta fisica dei media, cioè la decisione su che mezzo utilizzare per raccontare una storia. Una storia può anche essere narrata su più piattaforme (da libro a film), ma sarà sempre percepita in maniera diversa in base al media scelto per narrarla. È evidente come la narrazione sia parte della nostra vita da sempre e per quale motivo essa sia stata studiata sin dall’antichità da filosofi, scienziati e anche politici contemporanei che si sono dovuti confrontare con il problema e lo studio della narrazione, non solo in quanto questione epistemologica, ma anche come questione ontologica. La narrazione se è costruita correttamente può influenzare l’identità e la percezione delle cose, diventando anche parte della tradizione e della cultura di alcuni gruppi sociali. È grazie al suo potere sulle 10 masse che la narrazione viene utilizzata in pubblicità per vendere un prodotto, sia che esso sia un telefono o un politico (la campagna pubblicitaria della Apple e la campagna elettorale di Barack Obama di cui parlerò nel prossimo capitolo). 1.3 Gli studi che hanno portato dalla narrazione allo Storytelling Come anticipato nel paragrafo precedente molti filosofi, scienziati e studiosi hanno studiato la narrazione e i suoi influssi sull’agire umano. È molto difficile stabilire un inizio di questi studi poiché da sempre si è cercato di affrontare il problema della narrazione. La cultura greca ha sicuramente influito tantissimo su questi studi come Omero che ha creato la narrazione occidentale definendo il ciclo narrativo dell’eroica del potere. Da Omero in poi tutta la storia narrativa occidentale si è basata sull’eroe che va alla ricerca di sé stesso, vive esperienze avventurose e a volte drammatiche, affronta mostri pericolosi, viene aiutato da qualcuno, si perde e cerca di tornare nella propria patria dove lo attendono i suoi famigliari e le persone care. Negli ultimi duecento anni la “questione narrativa” è esplosa portando alla nascita di nuove discipline quali l’analisi del discorso, la narratologia, la semiotica, che hanno cercato, da punti di vista differenti, di rispondere alla domanda sul come dire le cose. Grazie a queste indagini disciplinari, di cui vanno ricordate alcune correnti fondamentali come il formalismo russo, il neocriticismo statunitense, lo strutturalismo francese, la storiografia e la semiotica italiana, l’ermeneutica tedesca, oggi si può parlare di storytelling. Queste correnti hanno messo in evidenza che ogni cultura umana ha delle strutture narrative profonde che ricorrono nell’organizzazione e nella costruzione della vita quotidiana. La narratologia contemporanea è interessata soprattutto a capire le somiglianze e le differenze dei racconti sociali, politici, economici e organizzativi. 11 La narrazione è uno dei modi tramite cui pensiamo, costruiamo la nostra identità e ci autosperimentiamo a livello sociale e organizzativo. La narrazione è così importante nella nostra vita non solo perché è un processo compreso nella nostra memoria biologica, ma anche perché ogni cultura umana si fonda su alcuni schemi narrativi permanenti che interessano il dibattito psicologico contemporaneo. Gli schemi narrativi sopracitati sono dei propulsori biografici di senso sui quali costruiamo i nostri percorsi di vita personale, istituzionale e organizzativa. Senza i propulsori biografici non riusciremmo a riconoscerci e a decidere come comportarci. Spesso nelle nostre narrazioni personali o professionali ricorrono dei propulsori riconducibili a determinati elementi, quali l’eroe, l’antieroe, il conflitto etc. elementi che, come scritto all’inizio del paragrafo derivano dalle narrazioni di Omero. Questo schema narrativo è definito dalla scienza del linguaggio, dall’ermeneutica e dalla semiotica contemporanea lo “schema narrativo canonico”. Anche se non lo utilizziamo esplicitamente, questo schema ci aiuta a spiegare meglio a noi stessi e agli altri perché ognuno di noi non fa altro che raccontarsi e raccontare per tutta la durata della propria vita una storia di sé stesso nel mondo. Con l’avvento degli anni Settanta e Ottanta del Novecento le scienze narratologiche si specializzano e si diffondono trasversalmente in molte discipline scientifiche, alcuni esempi sono: nelle scienze psicologiche, mettendo in luce il problema narrazione-identità, alcuni psicoterapeuti come Bruner arrivano a evidenziare che la nostra personalità sia solo un prodotto metastorico delle narrazioni che abbiamo incontrato e che abbiamo reso nostre; nelle scienze politiche Fischer e Salmon pongono il tema della narrazione come elemento fondamentale del dibattito politico grazie al suo alto potere persuasivo ormai evidente; nelle scienze economiche in cui si apre l’era delle economie dell’esperienza, del desiderio e dei life styles, a causa dell’ingresso nel mercato di elementi simbolici e irrazionali, le quali suscitano diversi dibattiti e studi sulle componenti immaginarie e funzionali-narrative nei prodotti come fossero parti integranti dei processi produttivi. Alcuni studiosi parlano di acquistosfera come 12 insieme di luoghi fisici, virtuali e psicologici di consumo. Più recentemente se ne è discusso anche nelle scienze militari che dopo la fine della guerra fredda e l’inizio di guerre con supremazia di potere multipolare diventa fondamentale la capacità di gestire la percezione sociale e l’opinione pubblica. Nascono così molti sistemi di media-menagement e si sviluppano le teorie delle psychological operations, le PsyOps, tese a portare avanti un perception management. Negli ultimi decenni, quindi, c’è stato un progressivo interesse per i meccanismi della narrazione e per i suoi influssi sulla società. In una società complessa la narrazione è un mezzo retorico sofisticato di garanzia e scambio del potere, un modo per gestire la massa che diventa sempre più difficile da conquistare. Oggi si sono moltiplicati gli studi sulla narrazione e si è espansa la loro influenza su diversi ambiti, arrivando anche all’impresa e al modo di fare pubblicità, facendo così nascere il significato contemporaneo che si attribuisce al termine Storytelling. Ai giorni nostri acquistare un prodotto di un determinato brand significa acquistare sempre una storia, un mondo in cui immedesimarsi nella società contemporanea e raccontarsi con una forza persuasiva maggiore alle altre persone che sono ormai abituate ai codici della comunicazione pubblicitaria e massmediologica permanente che da tempo funziona secondo i parametri utilizzati dalla fiction. Un’impresa che sceglie di utilizzare lo storytelling come tecnica pubblicitaria non è solamente attenta allo share of wallet, ma desidera soprattutto conquistare il cuore dell’interlocutore e stabilire così un legame affettivo e solido, diventando per i consumatori un lovemark. 13 14 2 L’evoluzione dello Storytelling dagli anni Novanta a oggi. Il racconto è presente in tutti i tempi, in tutti i luoghi, in tutte le società; il racconto comincia con la storia stessa dell’umanità; non esiste, non è mai esistito in alcun luogo un popolo senza racconti; tutte le classi, tutti i gruppi umani hanno i loro racconti e spesso questi racconti sono fruiti in comune da uomini di culture diverse, talora opposte; il racconto si fa gioco della buon e della cattiva letteratura; internazionale, trans-storico, transculturale, il racconto è là come la vita. Roland Barthes 2.1 Il boom degli anni Novanta Dalla metà degli anni Novanta, soprattutto negli Stati Uniti, lo Storytelling fa la sua grande entrata nel mondo della pubblicità. Lo Storytelling era sempre stato considerato come una forma di comunicazione riservata solamente ai bambini, gli unici che si pensava credessero alle favole, o utilizzata dagli adulti soltanto nelle ore di svago. Al suo ingresso nella pubblicità esso ebbe un gran successo e venne definito come un trionfo e una rivoluzione nel modo di fare pubblicità. Lo Storytelling è una forma di discorso che si colloca in tutti i settori della società, trascendendo i confini politici, culturali o professionali, realizzando il narrative turn, definito così dai sociologi per evidenziare l’ingresso in una nuova epoca: l’epoca narrativa. 15 Di fatto lo Storytelling, come affermato nel capitolo precedente, è sempre esistito e l’uomo se l’ha sempre utilizzato. La storia americana è piena di esempi di impiego dello Storytelling come mezzo per comunicare un determinato messaggio; Ronald Reagan a volte durante i suoi discorsi evocava episodi di film di guerra come se essi fossero reali e facessero parte della storia degli Stati Uniti. Lo storytelling si è però modificato nel tempo espandendosi in diversi campi come scrive Lynn Smith5 nel 2001 nell’articolo intitolato “Not the Same Old Story”: Si può sempre far risalire l’arte dello storytelling alle pitture rupestri degli uomini delle caverne. […] Ma dal movimento letterario postmoderno degli anni Sessanta, venuto dalle università e diffusosi in una cultura più larga, il pensiero narrativo si è esteso ad altri campi: gli storici, i giuristi, i fisici, gli economisti e gli psicologi hanno riscoperto il potere delle storie di costruire una realtà. E lo Storytelling è giunto a rivaleggiare con il pensiero logico per comprendere la giurisprudenza, la geografia, la malattia o la guerra. […] Le storie sono divenute così convincenti che alcuni critici temono che diventino un sostituto pericoloso dei fatti e degli argomenti razionali. […] Storie seducenti possono essere volte in menzogne o in propaganda. Le persone mentono a sé stesse con le proprie storie. Una storia che offre una spiegazione rassicurante degli avvenimenti può anche ingannare, tacendo le contraddizioni e le complicazioni. […] Una volta, si diceva sempre: «È solo una storia, dammi i fatti», aggiunge Paul Costello6. Ora molti cominciano a realizzare che le storie possono avere degli effetti reali che devono essere presi sul serio.7 Nella metà degli anni Novanta la svolta narrativa nelle scienze sociali e in tutti gli altri campi è coinciso con l’esplosione di Internet e i progressi delle Nuove Tecnologie dell’Informazione e della Comunicazione, che hanno creato le 5 Lynn Smith era un editorialista del Los Angeles Times. Paul Costello è il cofondatore del Centro di studi narrativi a Washington, creato nel 1995 per analizzare i nuovi impieghi del racconto. 7 Lynn Smith, “Not the Same Old Story”, in «The Los Angeles Times», 11 Novembre 2001 6 16 condizioni per l’utilizzo dello Storytelling e gli hanno permesso una diffusione estremamente rapida. In questo modo sempre più agenzie governative e grandi aziende hanno scoperto l’efficacia dello Storytelling, come constatava Lori L. Silverman, consulente americana in management, nel 2006 affermando che: «La NASA, Verizon, Nike e Lands End considerano lo Storytelling come l’approccio oggi più efficace negli affari»8. Lo Storytelling management è ormai diventato fondamentale per chi svolge un ruolo decisionale in politica, in economia, nelle nuove tecnologie, nell’università o in diplomazia. Con l’avvento dello Storytelling si passa dal focus sulla brand image a quello sulla brand story. Una volta il prestigio di una marca veniva dal prodotto; la gente che amava la marca Ford guidava una sua macchina per tutta la vita; la Singer doveva il proprio successo alla macchina da cucire che fungeva allo stesso tempo da mobile e da utensile. Alla fine degli anni Quaranta si diffuse l’idea che un marchio non era soltanto una mascotte, uno slogan, una figurina stampata sull’etichetta del prodotto di una certa azienda, bensì l’azienda poteva incentrare sul marchio una forte identità e una coscienza aziendale. All’inizio degli anni Ottanta, nonostante alcune pubblicità raccontassero già delle storie, la pubblicità restava incentrata sul prodotto, sul suo uso e sulle sue qualità, mentre alcune imprese come Nike, Microsoft, Tommy Hilfiger e Intel se ne allontanavano già per produrre non più oggetti, ma immagini della propria marca. Negli anni Novanta i marchi cominciarono ad esprimersi attraverso segni grafici, loghi che dovevano imprimersi nella mente del consumatore: la mela della Apple, il baffo della Nike, la M di McDonald’s, la conchiglia della Shell, etc. Nel Duemila, nonostante i marchi siano diventati forti e quotati in borsa per decine di miliardi di dollari, i consumatori sono diventati meno fedeli passando da una marca all’altra. Questa instabilità rende fragili le marche affermate, dando allo stesso tempo una possibilità alle new entry. Un esempio lampante è la Nokia, che nel 2002 era al sesto posto nella classifica mondiale 8 Silverman L.L. (a cura di) (2006), Wake me up when the Data is Over. How Organizations Use Stories to Drive Results, Jossey-Bass, San Francisco. 17 delle marche, e l’anno dopo ha visto le sue vendite crollare con una perdita di sei miliardi di dollari. 2.2 Ogni marchio crea la sua storia Dal Duemila i responsabili dei grandi gruppi americani si lanciarono in imprese ambiziose di ricostruzione narrativa delle proprie marche a causa di scandali avvenuti negli anni precedenti ad alcune aziende come Nike e Disney , dove era stato esposto un lato delle marche fino a quel momento sconosciuto, raccontando purtroppo delle brutte storie di sfruttamento dei lavoratori. I teorici del branding che consigliavano queste aziende si convertono allo Storytelling. Ashraf Ramzy, che si definisce come un fabbricante di miti, ha aperto nel 2002 un’agenzia di consulenza in marketing che si chiama Narratività, con base ad Amsterdam. Lui sostiene che la gente non compra più i prodotti, ma le storie che questi prodotti rappresentano; così come, non comprano marche, ma i miti e gli archetipi che queste marche simboleggiano. Un esempio che Ramzy dà a sostegno della sua tesi è quello del produttore di whisky Chivas Brothers, marca che aveva perduto il suo prestigio alla fine degli anni Novanta. Il marchio era conosciuto, ma per la gente aveva perso ogni significato. Il direttore commerciale, Han Zantingh, spiega: «Noi volevamo rinforzare e nutrire l’essenza del nostro marchio, ricca e generosa. I fratelli Chivas avevano creato una bevanda ricca e generosa, perché avevano un atteggiamento ricco e generoso nei confronti della vita»9. Non c’è 9 Ashraf Ramzy, “What’s in a name?”, cit., pp. 170-184 18 niente di meglio che una buona storia. Gli analisti di mercato della Chivas decidono di riscrivere la storia della marca. Viene creato “The Chivas Legend”, un racconto nel quale si inquadrano dodici episodi della vita plurisecolare del whisky invecchiato dodici anni. La storia inizia con la concessione dell’etichetta regale nel XIX secolo, in occasione di una visita della regina a Balmoral, la culla della marca, quando Chivas Brothers diviene il fornitore ufficiale della corona d’Inghilterra; prosegue poi con altre storie che hanno reso il marchio ciò che è oggi. Ora “The Chivas Legend” circola nei bar e nelle discoteche, divulgata da storytellers, chiamati ambasciatori della marca, che come ai vecchi tempi la narrano ai consumatori. In tal modo la Chivas Brothers è riuscita a riconnettere la loro tradizione con il pubblico, invertendo la tendenza negativa che stava caratterizzando gli ultimi anni, tornando così a cavalcare il mercato. Per gli esperti di marketing non basta più rendere una marca famosa o conosciuta per una massa di consumatori anonimi, è necessario invece creare una relazione singolare, emozionale, tra una marca e i suoi consumatori. Per fare ciò è necessario che la marca ritrovi un’identità coerente e forte, che parli sia ai consumatori sia ai collaboratori dell’azienda e condensi in un racconto logico tutti gli elementi costitutivi dell’azienda, come la sua storia, la natura dei prodotti che vende e la qualità del servizio che offre. Le merci e i marchi, però, non sono spariti, anzi sono sempre presenti alla stessa maniera, ma hanno perso il loro status di oggetti o di immagini “retificate”. Ora ci parlano e ci rapiscono, ci raccontano storie che corrispondono alle nostre aspettative e alla nostra visione del mondo. Quando vengono utilizzate sul web trasformano anche noi in storytellers, poiché il fascino che suscitano, se ci raccontano una bella storia, ci spinge a ripeterla. Oggi, nei paesi industrializzati, i consumatori sono esposti a circa tremila messaggi commerciali al giorno. Le marche che vogliono emergere e sopravvivere in questo mare di pubblicità devono necessariamente distinguersi e costruirsi sulla base di una storia onesta, autentica e che richiami ai valori personali del compratore. Purtroppo alcune di queste storie sono create senza 19 alcun fondo di verità e vengono utilizzate solo per abbindolare il consumatore. Un esempio di questo comportamento “scorretto” è quello dei video educativi della Disney intitolati “Baby Einstein”, destinati a stimolare le capacità cognitive dei neonati, che dovrebbero assicurare loro un vantaggio competitivo sugli altri bambini trasformandoli, come afferma il titolo, in piccoli Einstein. Questi video hanno avuto un grande successo, facendo guadagnare alla Disney quattordici milioni di dollari, nonostante la loro efficacia fosse più che discutibile. Il loro successo era dovuto al fatto che la pubblicità era rivolta alle mamme e non ai bambini, rispondendo alle ambizioni intellettuali più che legittime che esse avevano per i propri figli. Comprando quei video, quindi, le madri compravano una storia di successo per il neonato e partecipavano così alla narrazione delle storie prodotte dalla Disney. 20 L’ambizione del marketing negli anni Duemila si espande fino ad abbracciare tutto il mondo. Esso non ha più la sola ambizione di promuovere i benefici della società dei consumi, ma vuole produrre una nuova società, un altro mondo. Rolf Jensen, futurologo danese, direttore del Copenhagen Institute for Futures Studies e autore di “The Dream Society” ha fondato nel 2001 la Dream Company Ltd, dove dirige il servizio immaginazione. L’obiettivo che si è posto è persuadere la maggior parte delle aziende di tutto il mondo che stiamo passando da una società a un’altra. Secondo lui, da qui al 2020, il prossimo stadio fondamentale della società sarà: l’era dei sogni. Rolf Jensen afferma che: «La società dei sogni mostra come una cultura del consumo, come la nostra, racconti storie attraverso i prodotti che compriamo, i trasporti, i divertimenti, le vacanze, gli interni delle nostre case. […] Nella società dei sogni, il nostro lavoro sarà guidato dalle storie e dalle emozioni»10. Lo scopo del marketing narrativo non è più semplicemente convincere il consumatore a comprare un determinato prodotto, ma anche immergerlo in un universo narrativo coinvolgendolo in una storia credibile. Non si tratta più quindi di sedurre o convincere, bensì di produrre un effetto di credenza. Le aziende offrono allora un racconto di vita che propone dei modelli di comportamento integrati, che comprendono, a loro volta, atti di acquisto, attraverso veri e propri ingranaggi narrativi. Il punto cruciale è che chiunque tu sia, tu sei l’eroe, tu sei la storia. 10 Jensen R. (2001), The Dream Society. How the Coming Shift from Information to Imagination Will Trasform Your Business, Londra, McGraw-Hill. 21 2.3 Due casi famosi di Storytelling 2.3.1 La Apple Il 12 giugno 2005, davanti ai laureandi della Stanford University, Steve Jobs iniziò il suo discorso dicendo: «Sono molto onorato di essere oggi tra voi per la consegna dei vostri diplomi, in una delle più belle università del mondo. Non mi sono mai laureato in alcuna università. A dire il vero, è la prima volta che assisto a una consegna dei diplomi. Oggi, vi racconterò tre storie della mia vita. Senza grandi discorsi. Solo tre storie»11. La prima storia è sull’unire i puntini, è il romanzo di formazione del fondatore della Apple: la storia di un bambino povero che viene adottato da una famiglia di classe media, la quale promette alla madre biologica di farlo andare all’università. Una volta diplomato, quindi, si iscrive all’università, ma dopo pochi mesi decide che questa non fa per lui e finisce per iscriversi, quasi casualmente, ad un corso di calligrafia, grazie al quale il Macintosh sarà il primo personal computer dotato di diversi fonts, caratteri. Steve Jobs conclude questa prima storia affermando che: «se non avessi mai mollato il college, non sarei mai riuscito a frequentare il corso di calligrafia e i personal computer potrebbero non avere quelle stupende capacità di tipografia che invece hanno. Certamente all’epoca in cui ero all’università era impossibile unire i puntini guardando il futuro, ma è diventato molto chiaro dieci anni dopo, quando ho potuto guardare all’indietro. Ancora: non potete unire i puntini guardando al futuro; potete solo unirli guardandovi indietro. Così dovete aver fiducia che in qualche modo, nel futuro, i puntini si potranno unire. Dovete credere in qualcosa – il vostro intuito, il destino, la vita, il karma, qualsiasi cosa – perché credendo che i puntini si uniranno lungo la strada vi darà il coraggio di seguire il cuore portandovi sulla strada giusta e questo farà tutta la differenza». La seconda storia è una storia d’amore e di perdita. Narra della leggenda della creazione del primo Macintosh nel garage dei suoi genitori, poi, in due anni, la storia di successo della Apple e l’incontro con quella che poi diventerà sua 11 Steve Jobs, “You’ve got to find what you love”, Università di Stanford, 2005 <http://www.youtube.com/watch?v=xmMU1OuWJao> 22 moglie, con la quale costruirà una famiglia. Ma appena conquistato il successo Steve Jobs, l’eroe di queste tre storie, viene tagliato fuori e viene costretto a lasciare l’azienda che lui stesso ha fondato. «Fui molto fortunato – Ho scoperto molto in fretta ciò che mi sarebbe piaciuto fare nella vita – Woz ed io fondammo la Apple nel garage dei miei genitori quando avevo appena vent’anni. Abbiamo lavorato duramente, e nel giro di dieci anni la Apple è cresciuta da noi due soli in un garage in una società da due miliardi di dollari con oltre quattromila dipendenti. Avevamo lanciato la nostra migliore creazione – il Macintosh – solo un anno prima, ed io avevo appena compiuto trent’anni quando venni licenziato. Come si può essere licenziati da una società che hai fondato? Beh, quando Apple era cresciuta assumemmo una persona che pensavo fosse dotata di grande talento perché gestisse la società con me, e per il primo anno le cose andarono bene, poi le nostre visioni sul futuro iniziarono a divergere finché non ci scontrammo. Quando successe, il nostro consiglio di amministrazione si schierò dalla sua parte. Così, a trent’anni, ero fuori. E in maniera plateale. Ciò che era stato il centro della mia vita adulta se ne era andato e io ero devastato. Non sapevo davvero cosa fare per alcuni mesi. Mi sentivo come se avessi tradito la generazione di imprenditori prima di me, come se avessi lasciato cadere la fiaccola che mi era stata passata. Mi incontrai con David Packard e Bob Noyce [co-fondatore di Intel] e tentai di scusarmi per aver rovinato tutto così malamente. Era stato un fallimento pubblico e io presi anche in considerazione l’ipotesi di scappare via dalla Silicon Valley, ma qualcosa lentamente iniziò a crescere in me: amavo ancora quello che avevo fatto. La successione di eventi alla Apple non avevano affatto cambiato quello che provavo. Ero stato rifiutato, ma ero ancora innamorato. E così decisi di ricominciare. Allora non me ne accorsi, ma venne fuori che l’essere licenziato dalla Apple era la cosa migliore che mi sarebbe mai potuta capitare. La pesantezza del successo fu sostituita dalla leggerezza di essere di nuovo un debuttante, senza alcun tipo di certezze. Mi rese libero di entrare in uno dei periodi più creativi della mia vita. Nei cinque anni successivi fondai una società chiamata NeXT, un’altra chiamata Pixar, e mi innamorai di una donna 23 meravigliosa che sarebbe diventata mia moglie. La Pixar arrivò a creare il primo film di animazione interamente creato al computer, Toy Story, e ora è lo studio di maggior successo nel mondo. In una straordinaria successione di eventi, Apple comprò NeXT, io ritornai alla Apple e la tecnologia che avevamo sviluppato alla NeXT è al cuore dell’attuale rinascimento di Apple. E io e Laurene abbiamo una splendida famiglia. Sono abbastanza certo che nulla di tutto questo sarebbe accaduto se non fossi stato licenziato dalla Apple. E’ stata una medicina molta amara, ma credo che il paziente ne avesse bisogno. Ogni tanto la vita vi colpisce sulla testa con un mattone. Non perdete la fiducia, però. Sono convito che l’unica cosa che mi ha aiutato ad andare avanti sia stato l’amore per ciò che facevo. Dovete trovare le vostre passioni. E questo vale sia per il vostro lavoro che per i vostri affetti. Il vostro lavoro occuperà una grande parte della vostra vita, e l’unico modo per essere veramente soddisfatti è fare quello che riterrete un buon lavoro. E l’unico modo per fare un buon lavoro è amare quello che fate. Se non l’avete ancora trovato continuate a cercare. Non accontentatevi. Con tutto il cuore, sono sicuro che capirete quando lo troverete. E, come in tutte le grandi storie, diventerà sempre meglio con il passare degli anni. Perciò continuate a cercare e non accontentatevi». La terza è una storia di morte e resurrezione: una diagnosi di cancro al pancreas, al quale Steve Jobs sopravvive per miracolo. Alla fine della storia l’eroe ritrova la salute e l’azienda che aveva fondato, guidandola verso nuovi successi. «Quando avevo diciassette anni lessi una citazione che diceva: “Se vivrai ogni giorno come se fosse l’ultimo, sicuramente prima o poi avrai ragione”. Mi colpì molto e da allora, per gli ultimi trentatre anni, mi sono guardato ogni mattina allo specchio chiedendomi: “Se fosse l’ultimo giorno della mia vita vorrei fare quello che sto per fare oggi?” e ogni qualvolta la risposta è “no” per troppi giorni di fila, capisco che c’è qualcosa che deve cambiare. Ricordarmi che morirò presto è il più importante strumento che io abbia mai utilizzato per fare le grandi scelte della mia vita. Perché quasi tutte le cose – tutte le aspettative, tutto l’orgoglio, tutti gli imbarazzi e i timori di fallire – semplicemente svaniscono di fronte all’idea della morte, lasciando solo quello che c’è di realmente importante. Ricordarsi che 24 dobbiamo morire è il miglior modo che io conosca per evitare di cadere nella trappola di chi pensa che avete qualcosa da perdere. Siete già nudi. Non c’è ragione per non seguire il vostro cuore. Più o meno un anno fa, mi è stato diagnosticato un cancro. […] I dottori mi dissero che quasi sicuramente era incurabile e che avrei avuto un’aspettativa di vita non superiore ai tre o sei mesi. Il mio dottore mi consigliò di andare a casa e di mettere ordine tra i miei affari, che è il loro codice per dirti di prepararti a morire. Questo significa che devi provare a dire ai tuoi figli ogni cosa che pensavi di dirgli nei prossimi dieci anni, in pochi mesi. Questo significa essere sicuri che tutto sia stato organizzato in modo tale che per la tua famiglia sia il più semplice possibile. Questo significa prepararsi a dire ai tuoi “addio”. Ho vissuto con il responso di quella diagnosi tutto il giorno. La sera tardi è arrivata la biopsia, cioè il risultato dell’analisi effettuata infilando un endoscopio giù per la mia gola, attraverso il mio stomaco sino all’intestino per inserire un ago nel mio pancreas e catturare qualche cellula del tumore. Ero sotto anestesia, ma mia moglie – che era là – mi ha detto che quando i medici hanno visto le cellule sotto al microscopio hanno cominciato a gridare, perché è saltato fuori che si trattava di un cancro molto raro e curabile tramite intervento chirurgico. Ho fatto l’intervento e ora fortunatamente sto bene. Questa è stata la volta in cui sono andato più vicino alla morte e spero sia anche la più vicina per qualche decennio. Essendoci passato, posso parlarvi adesso con un po’ più di cognizione di causa di quando la morte era per me solo un concetto astratto e dirvi: nessuno vuole morire. Neanche le persone che vogliono andare in Paradiso non vogliono morire per andarci. E nonostante tutto, la morte è la destinazione che condividiamo. Nessuno gli è mai sfuggito. Ed è così che deve essere perché la morte è con tutta probabilità la più grande invenzione della vita. È l’agente di cambiamento della vita. Spazza via il vecchio per far posto al nuovo. Adesso il nuovo siete voi, ma un giorno non troppo lontano diventerete gradualmente il vecchio e sarete spazzati via. Mi dispiace essere così drammatico, ma è la pura verità. Il vostro tempo è limitato, quindi non sprecatelo vivendo la vita di qualcun altro. Non fatevi intrappolare dai dogmi, che vuol dire vivere seguendo i risultati del 25 pensiero di altre persone. Non lasciate che il rumore delle opinioni altrui offuschi la vostra voce interiore. E, cosa più importante, abbiate il coraggio di seguire il vostro cuore e la vostra intuizione; in qualche modo loro sanno che cosa volete realmente diventare. Tutto il resto è secondario.» Steve Jobs concluse questo suo discorso con una esortazione che aveva letto da bambino su “The Whole Earth Catalog” «Stay hungry, stay foolish [siate affamati, siate folli]». Steve Jobs è stato definito genio, visionario, artista, brand di se stesso, ma anche grande comunicatore, perché sapeva raccontare storie. Gli stessi keynote12, che per lui vennero soprannominati Stevenote, poiché Steve Jobs trasformava semplici presentazioni di nuovi prodotti a rappresentazioni testuali. La Apple si fonda sul principio che, il primo passo per vendere un prodotto è rendere partecipi i consumatori del sogno, della visione del futuro, coinvolgendoli emotivamente. In tal modo si crea un legame solido con il venditore/narratore e il consumatore attraverso le immagini che il racconto evoca ascoltandolo. Tutti i video di presentazione venivano montati con l’uso di una regia razionale che non lasciava nulla al caso. La relazione con il pubblico/consumatore si instaurava in un contesto basato sulla semplicità, dove tutto veniva calibrato per celebrare un’armonia minimalista. Tutto doveva essere semplice: il palcoscenico, il linguaggio usato, il prodotto presentato. Poiché un grande prodotto non viene creato tenendo in considerazione solo il punto di vista della tecnologia, ma anche quello del consumatore, lo Stevenote, cioè la presentazione del prodotto fatte direttamente da Steve Jobs, diventa un 12 Keynote è un’applicazione che permette di creare presentazioni sviluppata dalla Apple. 26 primo test in cui si offre il privilegio di provare l’esperienza d’uso del prodotto stesso. Il docente di Storytelling e Narrazione d’Impresa all’Università di Pavia nonché autore di diversi libri sull’utilizzo dello Storytelling, Andrea Fontana, sostiene che la narrazione aiuta a riflettere meglio sulla realtà e a raccontarla meglio. Farlo ai giorni nostri significa costruire un racconto che diventi un dispositivo di connessione tra i prodotti e i consumatori. Il passo successivo non è solo fare storie che emozionino, ma racconti molto simili alle storie di vita delle persone in modo da far immedesimare il consumatore. In questo modo, all’Università di Stanford, Steve Jobs diventa il protagonista del proprio racconto, indossando le vesti dell’eroe che affronta senza perdere la fede le difficoltà che la vita gli presenta, proprio come nella più classica delle storie. Ogni esperienza negativa diviene una possibilità di evoluzione: la caduta si trasforma quindi in salita, il fallimento in successo. La sua storia diviene la storia di ognuno di noi. Riesce ad emozionarci attraverso l’immedesimazione. Un secondo esempio straordinario di Storytelling, nato sempre dalla Apple, è quello che parla della campagna pubblicitaria “Think Different”, che tradotto in italiano significa: pensa diversamente. 27 Durante il periodo in cui Steve Jobs era stato licenziato, la Apple si rivolse a una delle agenzie pubblicitarie più importanti del mondo, la BBDO (Batten, Barton, Durstine & Osborn), più in linea con il nuovo orientamento che l’azienda aveva adottato. Fecero delle pubblicità in cui si massificavano i prodotti della Apple soffermandosi solo sulle loro caratteristiche tecniche e il loro prezzo, invece che sulla loro brand identity come avrebbe fatto Steve Jobs. Quando quest’ultimo venne riassunto e tornò a dirigere la Apple, per il suo rilancio, conosciuto anche come suo rinascimento, si ascoltarono le preposte di tre agenzie pubblicitarie. La Apple scelse la TWBA Chiat-Day, nata dalla fusione 28 dell’agenzia di Lee Clow e della TWBA WorldWide, che propose un nuovo slogan e una nuova immagine per far rinascere con successo la Apple: “Think Different”. Questa fu probabilmente scelta per andare contro lo slogan “Think” della IBM. Lo sviluppo dell’intera campagna pubblicitaria, sia televisiva che cartacea, fu seguita interamente da Steve Jobs, che concesse solo diciassette giorni di tempo per la sua realizzazione, un tempo veramente limitato. Il concetto fondamentale che andava focalizzato era quello di “risvegliare” il marchio Apple, insistendo ancora una volta sull’esperienza d’uso del consumatore, su ciò che può fare con il suo prodotto e non tanto su ciò che il prodotto può o non può fare. È proprio per questo motivo che i protagonisti della campagna, provenienti sia dal presente sia dal passato, furono scelti tra artisti, pensatori, geni; insomma, tra gente creativa che avrebbe trovato un modo altrettanto creativo e differente di usare il computer. Lo spot televisivo veniva accompagnato da un poema scritto da Craig Tanimoto, l’art director della TWBA, intitolato “To the Crazy Ones”, che nella versione originale fu recitato da Richard Dreyfuss, un attore americano; mentre in quella italiana da Dario Fo. Il poema recitava: Questo film lo dedichiamo ai folli, agli anticonformisti, ai ribelli, ai piantagrane, a tutti coloro che vedono le cose in modo diverso. Costoro non amano le regole, specie i regolamenti e non hanno alcun rispetto per lo status quo. Potete citarli o essere in disaccordo con loro, potete glorificarli o denigrarli, ma l’unica cosa che non potrete mai fare è ignorarli. Perché riescono a cambiare le cose, perché fanno progredire l’umanità. E mentre qualcuno potrebbe definirli folli, noi ne vediamo il genio. Perché solo coloro che sono abbastanza folli da pensare di poter cambiare il mondo, lo cambiano davvero. L’identità della stessa Apple era folle, anticonformista, ribelle e piantagrane. Essa avrebbe venduto i suoi prodotti alla gente che voleva cambiare il mondo. La campagna pubblicitaria “Think Different”, pur non mostrando mai i prodotti della Apple, è stata la campagna pubblicitaria che maggiormente si è avvicinata alla funzione narrativa di uno Storyteller. “Think Different” ha coinvolto 29 emotivamente lo spettatore facendolo immedesimare con i personaggi che gli venivano proposti. Tutto ciò permise ai consumatori di vedere il personal computer, in particolare il Macintosh, come un dispositivo realmente alla portata di tutti e con differenti finalità d’uso, cosa che fino a quel momento non si era pensato di un personal computer. L’alto livello di comunicazione e di narrazione di questa campagna è stato il trampolino di lancio da cui far ripartire l’identità dell’azienda, facendo capire tanto agli acquirenti quanto ai propri dipendenti che la vena ribelle e contro-culturale della Apple continuava a pulsare. La forza del brand, in realtà, non aveva mai ceduto, nemmeno nel momento in cui, come disse Fred Anderson, amministratore delegato della Apple, «La società era in una spirale di morte». Quello che faceva la Apple, in fin dei conti, non era vendere prodotti, ma vendere sogni. La Apple è un brand che definisce uno stile di vita, e questo perché pensa differente. La cosa che forse ha aiutato di più a creare il culto della Apple è stata la sua dimensione “emotiva”. Tutto ciò le ha permesso di avvicinarsi sempre di più ai suoi utenti/consumatori, mettendosi al loro livello, creando prodotti che avessero la loro esperienza d’uso come obiettivo da raggiungere. Si può asserire che Apple è l’azienda in cui la brand identity e la brand image corrispondono maggiormente. La Apple è come se fosse una di noi. Apparteniamo allo stesso mondo, abbiamo gli stessi valori; ciò si nota sin dagli inizi, poiché la sua cultura controcorrente che è stata l’input per il suo essere e “pensare differente”, è diventata la spinta per concretizzare la visione di un futuro informatico diverso e positivo. Il fatto di prendere di mira la IBM, sia negli slogan che nelle pubblicità, è stato un modo per far urlare alla Apple: «Noi siamo liberi, siamo creativi e non ci omologhiamo perché non siamo ancorati al passato ma guardiamo al futuro. Ognuno di voi è un artista a cui noi diamo la possibilità di creare la propria arte». Steve Jobs è stato il folle genio carismatico che, nel bene e nel male, ha reso la Apple ciò che è, grazie alle sue creature definite dai suoi stessi colleghi «insanely great [follemente grandiose]». La sua passione, la sua mania per il dettaglio e la sua ossessione per il controllo del 30 prodotto devono essere intesi come il desiderio di guidare i propri utenti verso la giusta direzione perché, come dice il giornalista americano Leander Kahney, appassionato della Apple: «La gente non sa cosa vuole, lui sì». Tutto ciò ha reso la Apple uno tra i più grandi love mark, cioè un marchio a cui ci si lega innanzitutto a livello affettivo, creando un gruppo di “fedeli” che aumenta ogni giorno. La Apple, quindi, attraverso l’utilizzo dello Storytelling è riuscita a trasformare il prodotto che vuole vendere; non vende più semplici oggetti, bensì emozioni e sogni con cui poter cambiare il mondo. 2.3.2 La Campagna di Obama Il 4 Novembre 2008 Barack Obama è stato eletto quarantaquattresimo Presidente degli Stati Uniti d’America. La sua vittoria è stata possibile grazie ad una campagna elettorale basata sull’interazione con i propri elettori tramite le nuove piattaforme multimediali come, i Social Network, Facebook e Twitter, ma anche grazie alle storie che Obama ha raccontato al popolo americano coinvolgendolo emotivamente. Il rapporto che ha creato Obama con i suoi elettori è come quello che la Apple ha instaurato con i propri consumatori; un rapporto di reciproca fiducia, nato grazie ad un legame emotivo e di immedesimazione. 31 Lo scopo principale di Obama era apparire differente dagli altri candidati del passato. Il messaggio che doveva arrivare a tutto il popolo americano era: «Questa non è una campagna elettorale qualsiasi, ma è la campagna di un intero movimento e solo un vasto movimento può cambiare l’America». Questo messaggio e tutta la campagna elettorale dovevano essere supportati e rinforzati da storie e fatti reali. La cosa ancora più importante è che queste storie non vengano raccontate solo a pochi attivisti, ma che siano rese note all’intero corpo elettorale, quindi potenzialmente all’intera nazione. Obama, quindi, scelse come strategia comunicativa quella di compiere alcune azioni simboliche, registrarle e trasmettere questi video sui social media come YouTube, successivamente creò un sito chiamato ObamaTV (www.barackobama.tv) dove pubblicare i video della sua vita da condividere con gli elettori. In tal modo Obama riuscì, con un investimento ridotto di tempo, a dimostrare a tutti chi era realmente. Visto che la strategia era vincente la utilizzò più e più volte pubblicando video di cene e telefonate con i suoi sostenitori, facendo così vedere a tutti la straordinaria umanità che lui emanava. Nonostante ciò, il vero punto forte della sua campagna non erano le sue storie, bensì quelle dei suoi sostenitori. Obama aveva capito che c’erano centinaia e centinaia di attivisti che avevano delle storie commoventi e interessanti da raccontare. La strategia della campagna era, quindi, quella di dare massimo risalto alle storie del movimento sul suo blog, ObamaTV e sui Social Network. Solo in questo modo tutta l’America avrebbe capito che dietro Obama non c’era una lobby del petrolio o delle sigarette, ma c’erano persone comuni proprio come loro. Il blog veniva aggiornato quotidianamente in modo da far tornare i lettori/elettori più volte sul sito con le storie di chi partecipava sul campo alla campagna elettorale. Tramite queste storie si capivano le diverse motivazioni che avevano spinto le persone a votare per Obama; c’era chi aveva deciso di sostenerlo perché rappresentava una speranza per il futuro, chi lo sosteneva perché aveva trovato finalmente un politico sincero, chi aveva perso il posto di lavoro e in lui vedeva un futuro migliore. La differenza con le campagne degli altri candidati era che questi gruppi di persone, volontari, non venivano tenuti dietro le quinte, ma erano 32 ammessi a esibirsi sul palco, davanti al pubblico. La dimostrazione che dietro il candidato ci fossero dei volontari composti da gente comune era la migliore forma di pubblicità che Obama potesse farsi. La sua campagna era arrivata talmente in profondità nel cuore e negli animi degli elettori da non essere più considerata semplicemente la campagna di Obama, ma divenne la campagna degli Americani. Per la prima volta nella storia politica americana l’enfasi non veniva posta sul candidato, ma sui suoi sostenitori. Questa campagna, però, non avrebbe avuto lo stesso effetto se non ci fosse stato l’utilizzo di una tecnologia fondamentale: il video. Il video era lo strumento perfetto per questa campagna perché faceva leva su quelle che sono le capacità oratorie del candidato, mettendone in luce il suo profondo fascino. I sostenitori di Obama erano invitati a creare dei video con le loro storie dei momenti vissuti nel periodo della campagna elettorale. Il canale di Obama di YouTube aveva accumulato alla fine della campagna ben 1500 video con un totale di visite superiore ai 20 milioni. Ogni video non doveva durare più di cinque minuti, per non appesantire il messaggio, e gli utenti venivano invitati a rispondere con dei video di risposta, una pratica molto comune su YouTube. Il team di collaboratori di Obama non mise il copyright sui video in modo tale da permettere agli utenti di remixarne il contenuto e creare dei nuovi video da diffondere nella Rete. Il video più famoso tra quelli remixati fu quello del cantante Will.i.am che prese il video del discorso di Obama “Yes we Can” e lo remixò integrandolo con una sua canzone, coinvolgendo moltissimi famosi personaggi quali: Scarlett Johansson, John Legend, Herbie Hancock, Kate Walsh, Kareem Abdul 33 Jabbar, Adam Rodriquez, Kelly Hu, Adam Rodriquez, Amber Valetta, and Nick Cannon. Questo video ricevette 17 milioni di visualizzazioni. Oltre a YouTube, Facebook, Twitter e ObamaTV nacquero anche: My.BarackObama.com, il sito ufficiale della campagna, con 15 milioni di membri circa. Il sito rinominato MyBO ha consentito ai simpatizzanti di Obama di entrare in contatto tra loro e di organizzarsi autonomamente per gestire degli eventi nelle loro rispettive città in favore di Obama. Vote for Change, un’iniziativa di registrazione al voto operante in tutti gli Stati Americani. Obama Organizing Fellows, un’organizzazione di volontariato nata per formare gli studenti del college nelle tattiche di mobilitazione a favore della campagna elettorale. Centralized Funding Technology, un sistema di donazioni centralizzato e computerizzato che ha permesso di generare un gigantesco database completo di nomi, indirizzi, dati anagrafici e occupazione dei donatori. Poco dopo le elezioni Robert Putman, professore di politica ad Harvard, disse: «Mentre ci avvicinavamo alla stagione delle presidenziali 2008, i giovani americani mostravano di essere, in effetti, pronti all’azione civica. […] Le competizioni per la nomina presidenziale eccezionalmente vivaci di quest’anno hanno acceso di una fiammata incandescente un’esca giovanile che era stata accatastata ed era pronta a divampare da oltre sei anni.» Obama riuscì a coinvolgere i giovani come nessun altro leader politico avesse fatto prima. Il legame tra Obama e i suoi giovani elettori fu talmente forte che per indicare i suoi sostenitori più giovani si usava l’espressione Greatest Generation o Generazione Obama. In conclusione Obama creò un nuovo modo di fare una campagna elettorale rendendo partecipi attivamente i suoi elettori tramite l’utilizzo del Web 2.0 e raccontando e facendo raccontare storie. In ogni suo discorso Obama menzionava la speranza e il cambiamento; i suoi discorsi esaltavano lo spirito 34 americano e lo portarono a divenire un modello da seguire per gli Americani che erano tornati a nutrire speranza verso il futuro e voglia di cambiare. Tutto questo portò Barack Obama a diventare il primo Presidente afroamericano nella storia degli Stati Uniti. 35 36 3 Una televisione differente: la case history HBO HBO is more than a place; it’s an idea… I’ve even tought about this: in certain cases, it’s like Medicis, we’re patrons of the arts Chris Albrecht 3.1 La nascita di una TV che non si definisce tale A metà degli anni Settanta, in un periodo di grandi rivoluzioni economiche e tecnologiche, Charles Dolan, proprietario della Sterling Manhattan Cable, propose la sua idea di creare un nuovo canale via cavo alla Time Life Channel (Time Inc.) chiamato Green Channel. Con l’aiuto di Gerald Levin, avvocato di Wall Street e Tony Thompson, trasforma questo progetto in HBO, Home Box Office, concependo un canale a pagamento che si basava sull’offerta di eventi sportivi e film in prima visione. HBO a differenza di CBS, NBC e ABC, i tre maggiori canali degli Stati Uniti, modifica fin dalle origini il rapporto tra marketing e audience. I tre networks devono proporre programmi che piacciano alla maggioranza del pubblico, dato che vivono del sostentamento derivato dalla pubblicità, mentre HBO ha come unico referente colui il quale sottoscrive l’abbonamento e che vuole vedere qualcosa di diverso, paga per vedere quello che gli altri canali non possono offrire. HBO inizia le sue trasmissioni l’8 Novembre del 1972 con un film uscito al cinema l’anno prima, Sfida senza paura (Sometimes a Great Notions) diretto e interpretato da Paul Newman, e con una partita della Lega Nazionale di Hockey. In questo primo periodo gli abbonati a HBO sono solamente 365, tutti limitati in una zona della Pennsylvania. Poco tempo dopo la Time Inc. licenzia 37 Charles Dolan mettendo al suo posto Gerald Levin. Grazie a Levin HBO firma un contratto per lo sfruttamento del satellite Satcom 1. HBO manda inizia così a diffondersi in tutto il paese. Il primo programma via satellite risale all’ottobre del 1975 e fu un incontro di boxe tra Muhammad Ali e Joe Frazier. L’incontro riscuote un grande successo tra il pubblico e dopo tre anni dalla sua nascita HBO entra a pieno titolo nel sistema televisivo e inizia la sua scalata verso il successo. Con il passaggio di HBO al satellite si entrò in una seconda era della televisione statunitense. La prima, quella precedente, andava dal 1948 al 1975 e venne definita l’Era dei Networks poiché la televisione era divisa, quasi in un oligopolio, da i tre networks storici. La seconda, quella che appunto inizia nel 1975 con il passaggio al digitale di HBO, è definita Era del Digitale e si concluderà solo nel 1994. Questa nuova Era è caratterizzata dalle nuove tecnologie. Sull’esempio del grande salto di HBO dal cavo terrestre al satellite, molte emittenti come la WTBB di Ted Turner, la WGN, l’appena nata Showtime, la CBN, la Usa Network, la ESPN, la CNN, la Nickelodeon e MTV compiono lo stesso passaggio. Il successo di HBO la rende il canale portante di questo cambiamento e trasforma l’idea stessa della televisione satellitare, trasformandola da mezzo utilizzato esclusivamente per raggiungere luoghi non servibili via cavo, a mezzo di distribuzione di una segnale pulito e virtualmente infinito quanto a offerta. Oggi HBO è sinonimo di qualità, come solo pochi altri networks riescono a essere. Questa associazione tra HBO e televisione di qualità è stata paradossalmente raggiunta attraverso il distacco del network dalla televisione, dagli altri canali. Il claim più famoso di HBO è infatti: “It’s not TV. It’s HBO”. Il fatto che un network si emancipi dalla sua reale natura può sembrare ironico e addirittura ipocrita, ma è anche indicativo dell’atteggiamento assunto dalla compagnia verso il tipo di programmi che si vuole offrire, dei programmi diversi, spesso audaci che altri network non avrebbero mai mandato in onda. HBO crea un suo stile specifico facilmente riconoscibile scegliendo un tipo di programmi, soprattutto tra quelli seriali, che rappresentano il prodotto per eccellenza nella 38 contesa competitiva dei networks, differenti. HBO è riuscita a modificare la percezione che il pubblico ha dei suoi prodotti. Se gli eventi sportivi e i film fatti per la TV sono stati, per tutti i networks, la prima fonte di contenuti, HBO e Showtime invece, in questi ultimi anni, si sono distinte producendo in proprio film, serie, serial e sit-com. Lo spettatore quindi decide di sottoscrivere il contratto di abbonamento solo se ottiene prodotti differenti da quelli che può vedere nella TV gratuita; e con HBO sa di avere un prodotto di qualità con programmi differenti. Basandosi su questa regola di essere differente, HBO nel 1990 iniziò la propria produzione seriale con Dream On, una sit-com per adulti con frequenti scene di nudo che fu tra le prime in America ad adoperare le parolacce senza l’utilizzo della censura. Iniziò così la produzione di prodotti altamente ricercati per contenuti, messa in scena e scrittura. A oggi possiamo affermare che la produzione media di HBO, nel panorama della TV seriale contemporanea, è sicuramente quella più simile al panorama cinematografico. La strategia produttiva di HBO si basa sul tentare di percorrere sempre nuove strade nel creare una televisione differente, una “non TV”. Un esempio della creazione di un prodotto originale e differente è la serie “Six Feet Under” 13. Per Jane Feuer14 “Six Feet Under” nonostante sia una serie costruita puntando sulla lunga serializzazione, su un cast molto ampio e sulla presenza di più stoylines, tutti elementi comuni alla serie tv “normale”, ha un legame estetico più diretto con l’art cinema e con il teatro modernista, rendendola strutturalmente più simile al cinema non mainstream. HBO, quindi, può essere definita una “non TV” perché fa tesoro delle strutture della televisione, le assimila e le rielabora creando un prodotto nuovo, seppur fortemente radicato nella tradizione del mezzo. Anche nella ridefinizione dei generi televisivi, come nota Al Auster, HBO si distacca dai comuni trend della televisione contemporanea, sia discostandosi da quelli usualmente praticati dai networks, sia ripescando generi classici ormai 13 Six Feet Under è una serie TV andata in onda dal 3 Giugno 2001 al 21 Agosto 2005 diretta da Alan Ball, autore che dirigerà anche True Blood, una serie TV sempre prodotta dall’emittente televisiva HBO. 14 Jane Feuer è una Professoressa di cinema all’Università di Pittsburgh, USA. Autrice di diversi libri tra cui MTM: Quality Television. 39 quasi dimenticati. HBO ha creato un sotto-genere, un genere ibrido, facendo si che un prodotto solo essendo di HBO sia un prodotto, a prescindere, di qualità. 3.2 Le serie che hanno reso HBO una garanzia di qualità La lista delle serie televisive offerte da HBO è davvero impressionante: dalle storiche “Sex and the City” e “I Soprano” alle più innovative “In Treatment” e “Curb your Enthusiasm”, fino a capolavori del piccolo schermo come “Deadwood” e “Six Feet Under”. E poi “Big Love”, “The Wire”, “Rome”, “Angels in America”, “True Blood” e molte altre ancora. Tutte queste serie hanno riscosso molto successo rendendo HBO uno dei pochi canali che può vantare una tradizione così lunga di qualità, sperimentazione e originalità. Come accennato nel paragrafo precedente, la produzione seriale di HBO inizia nel 1990 con la sit-com “Dream On”, scritta dal duo Crane-Kauffman, che dopo pochi anni crearono la serie di enorme successo “Friends”, e prodotta da John Landis, che appare anche come regista in diversi episodi. La strategia produttiva del network sui prodotti seriali si presenta inusuale fin da subito, 40 poiché invece di privilegiare la quantità, per coprire un maggior arco di palinsesto, HBO punta su alti investimenti, arrivando ai quattro milioni di dollari, sulla realizzazione di pochi episodi per stagione e non ponendo limiti sul genere e sul formato. Nel passaggio dalla messa in onda di film hollywoodiani alla creazione di prodotti originali, HBO ottenne lo status di “fenomeno culturale”15 con programmi destinati ad un pubblico di cultura medio-alta. Per raggiungere questa validazione HBO applicò la strategia del riconoscimento dell’autorialità, incoraggiando il pubblico a conoscere gli autori e i retroscena delle proprie serie TV. Nel sito web dell’emittente è infatti possibile accedere a moltissime ore di contenuti extra, realizzati tra interviste, backstages e documentari. HBO legittimando l’autorialità dei propri autori riesce a legittimare sé stessa. Il passaggio naturale che deriva da questo bisogno di distinguersi qualitativamente, porta alla realizzazione in proprio di programmi seriali, dato che l’acquisto di prodotti da compagnie esterne non è sufficiente a garantire quella qualità e quella quantità necessarie a costruire un palinsesto degno del canale HBO. La prima produzione da un’ora avvenne nel 1997 con la serie “Oz”. Questa serie è ambientata in un carcere e, sin dalle prime immagini, si distingue per durezza e realismo. “Oz” si svolge esclusivamente in un carcere e la vita all’interno di esso è messa in scena senza alcun tipo di censura. La serie creata da Tom Fontana, presenta un cast ampio nel quale manca un personaggio in cui identificarsi. Tra guardie e detenuti nessuno è completamente innocente e tutti i personaggi, nel corso delle sei stagioni, spariscono, mutano o muoiono. La maggior parte delle scene si svolgono nello spiazzo che raccoglie le celle dei detenuti, le quali non consentono alcun tipo di privacy o isolamento. Tutto accade sotto gli occhi di tutti e di conseguenza del pubblico: stupri, omicidi e iniziazioni. “Oz” è strutturato come una scena teatrale dove tutto è visibile e non si può nascondere niente all’occhio dello spettatore. L’unico tipo di fuga verso l’esterno del carcere è dato dai flashback che, in forma didascalica, presentano 15 Christopher Anderson, Drama Overview, p.34, in The Essential HBO Reader, a cura di Gary R. Edgerton e Jeffrey P. Jones, University Press of Kentucky, 2008. 41 uno ad uno i detenuti indicandone i crimini commessi. “Oz” racchiude in sé tutti i tratti distintivi di un tipico prodotto di HBO: è originale, provocatorio, non risparmia la violenza verbale e visuale. È qualcosa di mai visto fino a quel momento. L’anno successivo HBO produce uno dei più grandi successi nella storia della TV: “Sex and the City”, che dal punto di vista comedy rappresenta l’altro lato di HBO. La serie fu realizzata da Darren Star, autore di “Beverly Hills 90210”, programma che aveva ridefinito esteticamente e narratologicamente i termini della soap opera prime-time. In “Sex and the City” il tema centrale è un postfemminismo virato sul glamour e sulle nuove tendenze, dove le donne parlano liberamente di sesso, proprio come facevano gli uomini, e dove per la prima volta anche la città è una viva protagonista. Poche serie Tv hanno avuto come “Sex and the City” un impatto sulla cultura contemporanea tale da influenzare le mode del tempo. HBO comincia così a definire un suo stile riconoscibile. HBO raggiunge il suo apice con le serie successive: “I Soprano” nel 1999, “Six Feet Under” nel 2001 e “Deadwood” nel 2004. Queste produzioni ribaltano il panorama televisivo in tre forme diverse. “I Soprano” è opera di David Chase, che con esso porta in primo piano un genere poco frequente in televisione, ma con una salda e autoriale tradizione al cinema: il mob drama. La serie diventa subito il prodotto di punta di HBO e pone solide basi per consolidare lo stile dell’emittente. “Six Feet Under”, pur aggirandosi nell’ambito del drama, propone una forma narrativa originale e sofisticata. La serie firmata Alan Ball affronta un realismo che fa del sogno una parte rilevante della sua narrazione. Infine “Deadwood” prende spunto dal più classico dei generi, il western, che aveva dominato il piccolo schermo fino agli anni Cinquanta. Con “Deadwood” David Milch realizza un western adulto che non lesina in violenza, sia verbale che fisica. Tra le serie di punta “Deadwood” è quella che ottiene meno successo per il pubblico, ma il testo di Milch incarna perfettamente i limiti di ciò che si può, o non si può mostrare in televisione. 42 Nel 2005 esce la serie “Rome” prodotta da HBO in collaborazione con BBC e Rai Fiction, con un budget dichiarato di cento milioni di dollari e girata in digitale con una risoluzione pari all’alta definizione. “Rome” si pone come un Blockbuster del piccolo schermo e rinnova una cooperazione tra HBO e BBC che unisce due modi diversi di interpretare la televisione entrambi votati alla qualità. La coproduzione tra HBO e BBC aveva già creato “Band of Brothers” nel 2001, una miniserie che prende spunto da “Salvate il Soldato Ryan” e che vede anche la collaborazione della Dreamworks e di Steven Spielberg. La collaborazione HBO-BBC è fruttuosa e lo confermano anche i loro prodotti, due miniserie, del 2008 intitolati “House of Saddam”, che parla della vita privata del dittatore Iracheno, e “Generation Kill”. La miniserie è frutto della ricostruzione dei racconti e delle testimonianze di un reporter e di diversi Marines americani che hanno vissuto in prima linea la guerra d'Iraq; è prodotta e diretta da Ed Burns e David Simon, già artefici di un altro successo di HBO, “The Wire”, che è un racconto duro, realistico e spietato della società americana nel suo rapporto con il crimine legato al traffico della droga. In “Generation Kill” non ci sono scene spettacolari, attacchi eroici o ostentazione della virilità, come in molti film sulla guerra. Il punto focale narrativo è incentrato sui militari, sulla loro quotidianità e sulle problematiche che devono affrontare. L’occhio esterno è dato dal reporter del “Rolling Stones”, interpretato da Lee Tergesen, che segue la truppa e annota scrupolosamente tutto quello che succede. Uno sguardo più neutrale è quello delle telecamere che i soldati utilizzano nelle loro azioni per documentare le loro imprese. La serie presenta molte affinità, di stile e ideologia, con recenti film come “Jarhed”, di Sam Mendes del 2005 e “Redacted”, di Brian de Palma del 2007 e si pone all’avanguardia rispetto ad un’altra serie sull’argomento intitolata “Over There” della Fox. HBO sempre in collaborazione con BBC produce una serie comedy chiamata “Extras”, di Ricky Gervais, una divertente satira e critica dell’ambiente televisivo che, in forma autoriflessiva, mette in scena le fatiche di un attore per entrare nel mondo dello spettacolo. 43 Sul tema meta riflessivo del mondo dello spettacolo, già nel 2004 HBO aveva prodotto la serie “Entourage”, creata da Mark Wahlberg, che punta l’obiettivo sui successi e fallimenti di un attore che cerca di farsi strada a Hollywood. Pur mostrando le ipocrisie del mondo dello spettacolo, la serie mantiene comunque i toni della commedia. Nel mondo ovattato delle celebrità il gruppo ricrea le dinamiche familiari tradizionali. La caratterizzazione dei personaggi è accurata e realistica anche se spesso eccessiva. I protagonisti passano le loro giornate tra feste di “Playboy” e locali esclusivi, mentre i loro unici pensieri ruotano intorno alla prossima conquista. La vita da Star è messa in primo piano con le stesse contraddizioni che essa porta con sé, ma la serie non perde occasione di criticare il mondo di cui è un prodotto. Nonostante il tono apparentemente leggero, anche in questa occasione è evidente la complessità dello stile firmato HBO, basti notare che, se la critica definisce la serie come «dramedy» 16, nelle competizioni per i premi televisivi, come dimostrano le candidature agli Emmy Awards del 2008, essa viene etichettata come “comica”. Ancora in coproduzione con la BBC è il progetto che ha portato alla versione statunitense di “Little Britain”, acclamata sit-com creata da David Walliams e Matt Lucas. La serie intitolata in America “Little Britain USA” si pone la sfida di presentare al pubblico statunitense un’opera fortemente radicata nella cultura britannica. Essa è composta da una serie di mini episodi che mostrano i pregi, ma soprattutto i difetti del popolo britannico. “Little Britain USA” riesce comunque a declinare il suo stile originale d’oltreoceano grazie a una rielaborazione del testo, che in parte ripropone personaggi già visti e in altra parte di nuovi. All’interno di un formato normalmente dedicato ai prodotti leggeri, va notato il meccanismo narrativo ideato dagli autori, fa della critica sociale e politica il principale obiettivo. Risulta ormai chiaro che HBO ha allargato i confini della televisione e, nonostante non sia una “non TV”, è un’emittente differente, con un canone 16 M. Ryan, Entourage gets some of its bite back, in Chicago Tribune, 5 Settembre 2008. 44 molto più alto di qualità rispetto agli altri canali TV e con un coraggio di rischiare attribuibile a pochi. Lo spirito di HBO si ritrova, ovviamente, anche nella produzione di documentari, eventi musicali, sportivi e special comedy. Lo scopo imperativo dell’emittente, più volte dichiarato anche dai vertici della compagnia, è quello di far si che uno spettatore, facendo zapping, possa esclamare «Questo è un prodotto HBO». I prodotti HBO sono riconoscibili perché altamente di qualità e perché si pone come autore a tutti gli effetti dei suoi prodotti. Più di ogni altro network, HBO infonde uno stile comune alle sue produzioni proprio per il fatto di non dover vendere spazi pubblicitari e, quindi, di non dover modellare la sua produzione solo per un determinato target di vendita. Anche la collaborazione con la BBC è indice della continua ricerca qualitativa e di un’apertura europea che può garantire un mercato differente. Lo stile di HBO è un esempio lampante di come la televisione americana e inglese siano diventate, negli ultimi quindici anni, migliori del cinema. I motivi che hanno portato a questo sviluppo sono svariati: i fattori economici e produttivi, la maggior consapevolezza degli spettatori, una maturità finalmente completa degli sceneggiatori televisivi, la legittimazione del mezzo televisivo non più visto come “idiot box”. La tattica adoperata da HBO sembra funzionare: dopo anni di investimenti il network ha ormai raggiunto un livello di penetrazione negli Stati Uniti molto alto. In alcuni casi i rating di ascolto delle serie di HBO si avvicinano a quelli dei programmi trasmessi in chiaro, un risultato certamente premiante. Per l’immediato futuro, HBO punta alla fidelizzazione del pubblico già acquisito, rinnovando serie che hanno riscosso dei buoni ascolti nelle stagioni precedenti, “True Blood” ne è l’esempio più lampante, la conferma di serie storiche e l’ingresso di alcune interessanti novità, come “Treme”, la nuova creatura di David Simon, già creatore di “The Wire”, ambientata nella New Orleans postKatrina. I presupposti per continuare una consolidata tradizione di qualità ci 45 sono tutti, anche se la concorrenza dei canali via cavo, Showtime e AMC in testa, è agguerritissima. Questa stagione sarà cruciale nel ridisegnare o confermare gli equilibri di questo canale e per comprendere se HBO sarà riuscita ad assorbire in maniera costruttiva la scomparsa dagli schermi del suo programma di punta: “I Soprano”. 3.3 There are stories and there are HBO stories HBO pubblicizza il suo essere differente tramite diverse campagne pubblicitarie, tutte caratterizzate dalla messa in evidenza di storie all’apparenza semplici che poi prendono una piega inaspettata. La campagna pubblicitaria che impiega maggiormente la tecnica dello Storytelling evidenziando le capacità narrative degli storitellers di HBO, i quali rendono il canale unico e di qualità superiore, è quella intitolata “There are stories and there are HBO stories”. Questa campagna si articola in una serie di video che raccontano diverse storie. Ogni video narra prima una storia, poi con l’emblematico “fruscio” caratteristico del marchio HBO si arriva ad un cambio di scenario: la storia ricomincia, ma questa volta va in modo diverso e prende una piega del tutto inaspettata, elevando così l’arte dello Storytelling oltre l’ordinario. La differenza tra una storia e una storia di HBO è che della seconda se ne parla; e solo una storia di cui poi si parla vale la pena di essere raccontata. Questa campagna pubblicitaria è stata sviluppata dalla BBDO di New York dai capi dell’ufficio creativo David Lubars e Bill Bruce, dal direttore creativo Don Schneider, dall’art director Matt Vescovo e dal copywriter Colin Nissan. Il regista della campagna che ha realizzato i video è Sam Mendes della RSA Films di New York e il direttore della fotografia è John Mathieson. 46 La campagna pubblicitaria di HBO ha vinto il Leone d’Oro al Festival Internazionale della Pubblicità a Cannes. La campagna è divisa in quattro video che raccontano quattro storie differenti. La prima narra di un uomo che entra in una caffetteria e ordina la colazione a una giovane cameriera, c’è lo stacco con il brusio grigio e l’uomo spiega che ha ritrovato sua figlia dopo quattordici anni e ogni volta che la vede l’unica cosa che riesce a dirle è che cosa vuole per colazione. La prima, quindi, si basa sul farci emozionare, ci fa commuovere e ci cambia la prospettiva inizialmente banale di come potrebbe andare a finire la storia. La seconda racconta di una coppia di anziani che sta cenando, ad un certo punto il marito si sente male e l’anziana signora chiama l’ambulanza. Brusio grigio, stesso scenario, ma la signora quando compone il numero attacca senza farsi vedere e fa finta di parlare con l’ambulanza. Questa pubblicità gioca sulla psicologia per la quale un’associazione differente di immagini riesce a scatenare in noi sentimenti totalmente differenti. Le scene sono identiche, ma se nella prima parte interpretiamo lo sguardo della vecchietta come un gesto di apprensione, nella seconda lo vediamo come uno sguardo malvagio. Lo sguardo è esattamente lo stesso, ma è bastato un minimo gesto a farci cambiare l’opinione che ci eravamo fatti sulla signora e a farci rivalutare ogni gesto precedente come malvagio. La terza storia gioca sul farci ridere e sul tempismo. Un uomo sta tornando a casa dal lavoro, è il suo compleanno e gli amici, la fidanzata e i parenti gli hanno organizzato una festa a sorpresa. Lui entra dal portone, prende la posta ed entra in casa. Suona il telefono, ma non risponde perché viene accolto con l’urlo: «Sorpresa!» e dalla fidanzata con la torta. Brusio grigio, stesso scenario solo che gli cade la posta e nel raccogliere ritarda ad entrare in casa, il telefono squilla, parte la segreteria telefonica; è il suo capo che lo chiama per dirgli che hanno trovato un video della sorveglianza in cui lui si masturba nella sala riunioni e che l’indomani vuole vederlo nel suo ufficio. Questa notizia 47 naturalmente crea stupore ed enorme imbarazzo nelle persone che lo stanno aspettando nascoste e al suo arrivo si alzano facendo un urlo un po’ forzato accompagnato da sorrisi falsi e imbarazzati. Vista dall’esterno questa storia provoca ilarità in chi la guarda, ma allo stesso tempo crea imbarazzo perché ognuno di noi ha dei segreti di cui gli altri non sono a conoscenza e l’idea che vengano svelati ci terrorizza facendoci immedesimare nel festeggiato, il quale non verrà più guardato nello stesso modo da parenti e amici. La quarta storia si svolge su un aereo. Ci sono un uomo e una donna che fanno l’amore nel bagno, poi uno alla volta escono, si siedono al loro posto, uno accanto all’altra, e si danno la mano: sono marito e moglie. Brusio grigio, la coppia nel bagno è la stessa, ma quando tornano ai loro posti lui si siede accanto a un’altra, sua moglie, mentre la donna con cui ha fatto sesso è una sconosciuta del sedile accanto. Mentre nella prima parte pensavamo fosse una coppia appassionata e felicemente sposata, nella seconda vediamo l’ipocrisia e le falsità che si celano dietro ad una coppia apparentemente felice, entrando nel tema molto discusso del tradimento. Anche in questo caso i creatori giocano con i nostri sentimenti, facendo leva da una parte sull’intrigo di fare una cosa proibita di nascosto e dall’altra sull’immedesimazione delle donne nella moglie tradita, con conseguente odio verso l’uomo visto come “maiale fedifrago”, mentre per gli uomini con l’uomo che si destreggia tra la moglie e l’amante, facendo scaturire una sorta di ammirazione nei suoi confronti. Ognuna di queste storie è abilmente raccontata e ci fa capire come HBO sia capace di raccontare storie fuori dal comune e allo stesso tempo di farci immedesimare con i personaggi di cui racconta. Questa campagna pubblicitaria racchiude alla perfezione le caratteristiche dello Storytelling e che una storia deve avere per essere una buona storia da raccontare. Una storia deve essere capace di far nascere in noi un’emozione, un sentimento che ci commuova, che ci faccia arrabbiare, che ci coinvolga, che ci faccia riflettere sulla realtà e che ci faccia sognare. HBO è un canale capace di far sognare i propri telespettatori, di emozionarli, di far nascere in loro un sentimento, anche negativo, ma pur 48 sempre un sentimento. I suoi programmi riescono a catturare lo spettatore, rendendolo fedele al canale. 3.3.1 Sinossi Qui di seguito riporto la sinossi delle quattro pubblicità con i relativi fotogrammi. La prima intitolata “Dinner”: Un uomo con capelli e barba bianca entra in una classica caffetteria americana. Cammina e si siede ad un tavolo in fondo. Parte una sinfonia col pianoforte e c’è un primo piano sul viso dell’uomo, che dall’espressione risulta triste e turbato. 49 Arriva la cameriera, una giovane ragazza, lui alza lo sguardo e facendole un sorriso le dice: «Posso avere due uova grandi con bacon, toast e caffè per favore?» e lei con un sorriso gli risponde: «Certamente» e si allontana. Lui la guarda allontanarsi e il suo sguardo torna triste. C’è l’interruzione con il white noise. Ricomincia la storia con l’uomo che entra nella caffetteria. Parte la musica e lui inizia a raccontare la sua storia: «Ci sono voluti quattordici anni, sei mesi e otto giorni per trovare mia figlia; e ogni mattina da quel momento tutto quello che riesco a dirle è: Posso avere due uova grandi con bacon, toast e caffè per favore?» Lei con un sorriso gli risponde: «Certamente». 50 La figlia si allontana e come tutte le mattine non sa che quell’uomo che le ha appena chiesto la colazione è suo padre. Lui la guarda allontanarsi con uno sguardo triste. Anche questa mattina non è riuscito a dire la verità a sua figlia. Schermata nera. Sulla sinistra dello schermo compare la scritta “There are stories” poi si dissolve e compare dall’altro lato dello schermo la scritta “and there are HBO stories”. Si dissolve anche questa. Schermo nero e la scritta “It’s not TV. It’s HBO.” 51 La seconda intitolata “Heart Attack”: Rumore di posate. Una coppia di due anziani a cena seduti ai capi opposti del tavolo. Senza tovaglia, in una casa cupa. Un’ambientazione che trasmette tristezza e noia. Lui tossisce e si capisce che qualcosa non va. Lei lo guarda e preoccupata esclama ripetutamente il suo nome: «Arold, Arold, Arold!». Lui si accascia sul tavolo ed è evidente che si tratta di un infarto. 52 Lei si alza esclamando: «Oh mio Dio!» Va verso il telefono e compone il 911. Dall’altra parte risponde una voce di donna che dice: «911 Emergenza». La signora risponde: «Mio marito sta avendo un attacco di cuore» La signorina:«Qual è il suo indirizzo signora?» Lei risponde:«Meaple Drive numero 54 e fate in fretta per favore» Infine la signorina risponde: «Siamo già per strada». La signora attacca il telefono e guarda con sguardo preoccupato il marito. C’è l’interruzione con il white noise. 53 La scena ricomincia esattamente come la precedente, solo che nel momento in cui la signora si alza per telefonare invece di comporre il numero attacca il telefono e fa finta di parlare con la signorina del 911 rispondendo alle sue domande: «Si, mio marito sta avendo un attacco di cuore. Meaple Drive numero 54 e sbrigatevi per favore». Attacca il telefono, si volta verso il marito come nella scena precedente e si rigira con la medesima faccia di prima; solo che ora non la interpretiamo come preoccupata, bensì come malvagia. Schermo nero e sulla sinistra compare la scritta “There are stories” poi si dissolve e dall’altro lato dello schermo compare la scritta “and there are HBO stories”. Si dissolve anche questa. Schermata nera e la scritta “It’s not TV. It’s HBO.” 54 La terza si intitola “Surprise”: Un uomo sta camminando verso casa sua. Si vedono due donne che stanno guardando dalla finestra e vedendolo esclamano:«È qui! È qui! Shh! Shh! Nascondetevi, nascondetevi!» Tutti si accovacciano e si legge la scritta “Tanti auguri Dan” facendo capire così all’osservatore che è una festa a sorpresa. Lui entra dal portone e prende la posta. In casa sono tutti nascosti e c’è la fidanzata con la torta con le candeline accese che lo attende. Suona il telefono mentre entra in casa, parte la segreteria: «È la segreteria di Dan lasciate un messaggio» e il messaggio dice: «Ehi 55 Dan sono Alex…». Si gira e tutti si alzano urlandogli: «Sorpresa!» sovrastando il suono del messaggio in segreteria. Tutti sono allegri. C’è l’interruzione con il white noise. La situazione è la stessa fino al punto in cui lui prende la posta. 56 Gli scivola la posta dalle mani e ritarda a entrare in casa per raccoglierla. Suona il telefono. Sono tutti in attesa. Parte la segreteria e il messaggio dice: «Ehi Dan sono Alex dal lavoro. Dobbiamo parlare. Ho appena visto il video della telecamera di sicurezza dove ti si vede chiaramente mentre ti masturbi nella sala conferenze. Vieni nel mio ufficio domani mattina per favore». Mentre si sente il messaggio sono tutti schifati e allibiti. L’imbarazzo cresce e nessuno è più felice di essere lì a fare la festa a sorpresa a Dan. 57 Dan entra in casa e tutti titubanti si alzano dicendo: «Sorpresa!», ma con un tono messaggio ancora in sconvolto segreteria dal appena ascoltato. Lui non si rende conto di niente ed esulta contento della sorpresa. Schermo nero e sulla sinistra compare la scritta “There are stories” poi si dissolve e dall’altro lato dello schermo compare la scritta “and there are HBO stories”. Si dissolve anche questa. Schermata nera e la scritta “It’s not TV. It’s HBO.” 58 La quarta si intitola “Airplane”: Siamo su un aereo. Dei rumori provengono dal bagno. Un uomo e una donna stanno facendo sesso nel bagno dell’aereo. Si baciano appassionatamente. Lei è una donna giovane mora, lui un uomo coetaneo. Ridono e si baciano, complici in questa situazione. Alla fine si rivestono frettolosamente cercando di ricomporsi prima di uscire dal bagno. 59 Esce prima lei, poi lui. Entrambi si guardano attorno per controllare che nessuno li veda. Lui si siede e scopriamo che lei è la sua vicina sull’aereo. Capiamo poi che i due sono in realtà felicemente sposati. 60 Finisce la storia con loro due felici e la vicina che legge un libro ignara di quello che è successo in bagno. C’è l’interruzione con il white noise. Ricomincia la storia. Stessa situazione. Lei e lui che fanno l’amore in bagno. Ma c’è una differenza, lui quando torna a sedersi è vicino ad una donna bionda. La donna bionda lo guarda sorridendo e lo spettatore percepisce che qualcosa non va in questo quadro. 61 La donna gli prende la mano e vediamo l’anello. Lei è sua moglie. L’inquadratura ruota verso la vicina dell’altro sedile. È la donna del bagno che guarda dritta in camera con sguardo ammiccante. Schermo nero e sulla sinistra compare la scritta “There are stories” poi si dissolve e dall’altro lato dello schermo compare la scritta “and there are HBO stories”. Si dissolve anche questa. Schermata nera e la scritta “It’s not TV. It’s HBO.” 62 3.4 Conclusione Ho scelto di analizzare la case history HBO perché racchiude il significato che lo Storytelling ha e la sua importanza nella pubblicità. Lo Storytelling viene utilizzato per raccontare una storia che riesca a coinvolgerci, ad emozionarci, a farci sentire legati sentimentalmente al marchio che ha fatto quella determinata pubblicità, ed HBO ci riesce meravigliosamente. La campagna pubblicitaria “There are stories and there are HBO stories” è l’emblema dello Storytelling: inizialmente ti racconta una storia che è banale e che non ti coinvolge, mentre successivamente, cambiando semplicemente qualche dettaglio, la storia cambia e si evolve in maniera inaspettata, innescando in noi un sentimento, facendoci convincere che HBO è un canale differente, con storie diverse dal comune, interessanti e originali. Spesso lo Storytelling viene utilizzato in maniera “subdola” per vendere un prodotto, ma in questo caso la situazione è differente: HBO vuole si vendere un prodotto, ma il prodotto che vende sono delle storie. È vero anche che vuole vendere i suoi abbonamenti, ma per quello che il canale mostra, per i programmi che trasmette. HBO punta sulla qualità, l’ha sempre fatto e sempre lo farà. È un canale come pochi in America e come nessun canale in Italia, i nostri canali si basano sull’uomo medio, sul banale e non sull’originale; HBO, invece, si basa sul crearsi un pubblico che apprezzi il suo lavoro, i suoi programmi, un pubblico che sia in cerca di qualcosa di unico, di diverso e non del banale. Lo Storytelling è il modo di comunicare per eccellenza, ogni giorno della nostra vita raccontiamo storie agli altri e a noi stessi, così HBO fa dello Storytelling la propria ragione di vita, il proprio punto di forza per distinguersi, per uscire fuori dal mucchio. Lo Storytelling è, e resterà, il modo più semplice per comunicare e come HBO tanti altri marchi lo utilizzeranno per le proprie campagne pubblicitarie. 63 64 Ringraziamenti Innanzitutto vorrei ringraziare il Professore Guido Cornara che mi ha seguita durante la stesura di questa tesi e che, grazie al suo corso, mi ha fatto capire che lavoro avrei voluto fare nella vita. Ringrazio i miei genitori perché senza di loro tutto questo non sarebbe stato possibile. Mi hanno permesso di studiare in una città lontana da casa, spronandomi ad andare avanti. Vi voglio bene. Un grazie va a tutti i miei amici nuovi e vecchi senza i quali questa esperienza non sarebbe stata la stessa. Un grazie particolare a Michela che mi è stata vicina nonostante la distanza e a Gloria con cui ho passato giornate intere a studiare e ripetere e con la quale ci siamo sempre spalleggiate. Abbiamo passato tre anni insieme, vivendo mano nella mano quest’esperienza. Infine, ma non per importanza, ringrazio il mio ragazzo che mi ha spronata e sopportata in questi ultimi anni, che ha studiato con me spagnolo e che mi è stato vicino quando credevo di non farcela. Ha vissuto ogni esame con me, calmandomi e facendomi sorridere. Mi ha tenuto la mano nei momenti più importanti e mi ha aiutata a rialzarmi quando ero in difficoltà. Grazie a tutti per far parte della mia vita e per aver reso questa esperienza unica. 65 66 Bibliografia Ambrosio G. (2006), Siamo quel che diciamo. Il pensiero di qualità in pubblicità, Meltemi Editore, Roma. Brown L. M. (1986), Storytelling. A Cultural Studies Approach, University of Toronto Press, Toronto. Canova G. (a cura di) (2009), Drammaturgie multimediali. Media e forme narrative nell’epoca della replicabilità digitale, Edizioni Unicopli, Milano. Crompton A. (1997), Il Mestiere del copywriter, Lupetti – Editori di Comunicazione, Milano. Edgerton G. R., Jones J. P. (2008), The Essential HBO Reader, The University Press of Kentucky, Lexington. Fabris G. (2003), Il nuovo consumatore: vero il postmoderno, Franco Angeli, Milano Fontana A. (2009), Manuale di Storytelling. Raccontare con efficacia prodotti, marchi e identità d’impresa, Etas – RCS Libri, Milano. Fontana A., Quaglia A. M. (a cura di) (2006), Diversità. 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