L`evoluzione storica del Welfare State

Le Politiche di
assistenza sociale
Corso di Politiche Sociali
Facoltà di Scienze della Formazione
Università Milano Bicocca
Anno Accademico 2011-12

Con il termine assistenza genericamente si
indicano interventi di soccorso ad individui in
stato di bisogno/indigenza . Quello su cui
occorre porre attenzione non è il concetto
generale ma la declinazione specifica in
assistenza sociale.

La differenza è che nell’assistenza sociale vi
sono interventi organizzati, disciplinati da
norme.

Fino al XX secolo l’assistenza sociale è stata
intesa come strumento di regolazione sociale,
solo poi è diventata un diritto del cittadino
(riconoscendo necessità di supportare individui
penalizzati dal sistema socio-economico.)

Storicamente un primo esempio è nell’Act for
the relief of the Poor (1601), finanziato da
‘tassa sui poveri’ (obbligo comunità locali).

Stato di bisogno dovuto, non a “colpe” degli
individui (New Poor Law - workhouses
(1834), ma a causa di “fallimenti del mercato”

Il termine assistenza sociale (pubblica)
identifica oggi l’insieme degli interventi rivolti
a contrastare condizioni di indigenza
attraverso servizi sociali e prestazioni
monetarie tipicamente finanziati tramite
fiscalità
Per quanto riguarda l’accesso ai servizi
sociali la fruizione è potenzialmente aperta
a tutti, per le misure di sostegno economico
invece è condizionale l’accertamento di un
bisogno.
 Lo stato di bisogno non è però il solo
requisito d’accesso.
 Accesso
condizionale:
accertamento
bisogno + insufficienza risorse proprie
(prova dei mezzi)

→ Selettivi e residuali
Interventi selettivi e residuali; nonostante ciò
le prestazioni sociali sono veri e propri diritti
sociali in quanto vengono erogati attraverso
procedure standardizzate a chi si trovi nelle
condizioni previste.
Gli interventi possono essere anche
categoriali oltre che selettivi e residuali.
Gli interventi selettivi e residuali consentono una
maggior razionalizzazione delle risorse rispetto a
programmi universalistici ma non sono esenti da
problemi.
Efficacia degli interventi minata da:
 Trappola
della
povertà
(risposta:
disincentivo)
 Stigma e costi psicologici della prova dei
mezzi
 Problemi di informazione
 Oneri amministrativi / accertamento
 Rischi clientelismo
→ possibili problemi di giustizia sociale.


L’assistenza sociale è storicamente un settore
fortemente
connotato
dal
concetto
di
assistenzialismo
che successivamente sì è
trasformato in prevenzione.
L’assistenza sociale, all’interno della struttura del
welfare state si struttura attorno a due funzioni
principali:
 risposta
a povertà: prestazioni monetarie;
soggetta a condizioni (‘attivazione’ scolastica,
formativa, lavorativa x evitare ‘cronicizzazione’).
 promozione inclusione sociale: servizi con
priorità a specifiche categorie
Welfare e assistenza



Settore di politica complesso e articolato, in generale:
 gestione a livello locale
 livello centrale definisce indirizzi e principi generali
Diversi sistemi in base al mix/ruolo di Stato, famiglia,
mercato, terzo settore, abbiamo così:
 sistemi familisti (Stato solo ruolo sussidiario)
 de-familisti = ruolo rilevante Stato
Fondamentale nella nuova configurazione dei servizi
di assistenza sociale è il ruolo del terzo settore
 Modalità varie, da dominanza Stato che fissa
standard-accreditamento-, a rapporti negoziali nel
policy making)
Ruolo del terzo settore
Modello accreditamento
Attore pubblico decide standard quanti-qualitativi a tutti i
soggetto erogatori – ruolo dominate del pubblico
Sussidiarietà: laddove sistema pubblico e famiglia non
arrivano, interviene il privato sociale
Modello negoziazione
Privato sociale co-partecipa alle decisioni; risorsa strategica
x implementazione interventi e soprattutto come
espressione dei bisogni sociali da rappresentare
Integrazione: Pr. Soc. portatore di conoscenzecompetenze a livello di offerta e di domanda
ASSISTENZA SOCIALE ITALIA

Nell’ordinamento
italiano
l’assistenza
sociale è oggi concepita come insieme di
attività inerenti alla predisposizione ed
erogazione di servizi, gratuiti e a pagamento,
o di prestazioni economiche destinate a
rimuovere e superare situazioni di bisogno e
di difficoltà che una persona incontra nel
corso della propria vita.
Sistema istituzionale

Centrale:



Regionale:



Regioni (ca. 50% Fondo) definiscono:
 Piano sociale regionale, indirizzo e coordinamento tramite normative,
controllo enti locali;
Locale:
Comuni (ca. 2% Fondo)


Parlamento (Fondo nazionale Politiche Sociali istituito nel 1997)
Ministero/i (piano nazionale inclusione sociale, triennale) definisce
trasferimenti a favore di:
 INPS (GIAS Gestione interventi assistenziali e di sostegno alle
prestazioni previdenziali; nel 2004 > 40% Fondo nazionale)
implementazione, con altri (ASL, privati, ecc.); Piani di zona; risorse trasferite da
Stato e Regioni, talvolta vincolate.
Restante quota 1% circa a disposizione del ministero




Ogni Comune ha proprio sistema socio-assistenziale;
interventi diversi (assistenza economica, domiciliare,
abitativa, rette case di riposo, integrazione reddito al
minimo vitale, ecc.)
Dal 2001 con (riforma costituzionale) le regioni hanno
competenza esclusiva in materia di assistenza sociale, al
ministero spetta controllo e vigilanza sui LEP (livelli
essenziali di prestazioni).
Manca in Italia Reddito minimo garantito (RMG)
nazionale e obbligo di attuazione (difformità regionali).
Mentre gli schemi assicurativi hanno subito un processo
di accentramento, gli schemi assistenziali sono per
natura locali.
INTERVENTI SPECIFICI



Pensione sociale, sostituita nel 1995 dall’ Assegno
sociale (categoriale: anagrafico > 65 + reddito/prova
mezzi); unica forma di reddito minimo garantito
Pensione invalidità civile (categoriale: invalidi
fisici/psichici + non aventi diritto pensione invalidità
assicurativo + prova mezzi); Regioni + commissioni
mediche verifica requisiti; INPS: pagamento; ca. 25%
spesa assistenziale
Assegno familiare (categoriale: dipendenti e
pensionati ex dip.; finanziato da datori di lavoro);
prestazioni diverse in base tipologie di famiglie e
reddito; ca. 12% spesa assistenziale




Assegno familiare con almeno 3 figli minori
(1998): prova mezzi (ISE)
Integrazione al trattamento minimo
pensione (< minimo di legge); condizioni di
reddito; INPS: pagamento
Maggiorazioni sociali: anziani poveri per
garantire importo minimo per tutti pensionati
> 70; > 32% spesa assistenza
Assegno di maternità (1998) per donne che
non lavorano; prova mezzi; durata 5 mesi
Fondo sostegno abitazioni in locazione;
condizioni: reddito
Riduzione dell'incidenza affitto sul reddito
disponibile al 14% annuo, fino a un max
3.500 euro)

–
Riduzione al 24% se sopra soglia di reddito
ma nei limiti previsti per alloggio di edilizia
residenziale pubblica
MISURA
GESTIONE
DESTINATARI
LIVELLO NAZIONALE
Assegno sociale
INPS
Cittadini > 65 prova mezzi
Pensione invalidità civile
INPS REGIONI
Cittadini inabili prova mezzi
Assegno famiglie con almeno 3
figli minori
INPS COMUNI
Famiglie con 3 figli prova mezzi
Assegno maternità madri senza
copertura assicurativa
INPS COMUNI
Donne prova mezzi
Assegno nucleo familiare
INPS
Lavoratori dip ex lavoratori dip
prova mezzi
Trattamento integrazione minimo
pensioni
INPS
Pensionati tit pensioni lavoro prova
mezzi
Sostegno accesso abitazioni in
locazione
MINISTERO INFRASRUTTURE
– TRASPORTI E REGIONI
Titolari contratto locazione prova
mezzi
LIVELLO LOCALE
Minimo vitale e sussidi a famiglie
in disagio
COMUNI
Tutti nuclei familiari residenti in
situaz indigenza, discrezionalità e
possibilità bilancio

Fino al 2000 non esisteva una normativa
nazionale che orientasse l’azione dei livelli
sub-nazionali e che definisse dei diritti
soggettivi esigibili da parte di tutti i cittadini, i
livelli delle prestazioni e il grado di copertura,
l’organizzazione dei criteri di accesso e
l’esistenza di alcune specifiche misure.

Per questo la variabilità territoriale, anche
all’interno della stessa regione è elevata.

Si vedano capitoli 9-10 di Ascoli (2011)
Tipologie di intervento (categorie generali che
possono essere istituite e realizzate in modo
differente):









Informazione sociale e segretariato ai cittadini e agli
utenti dei servizi
Assistenza economica a persone e famiglie in
difficoltà attraverso trasferimenti monetari
Assistenza domiciliare di tipo sociale
Assistenza ai minori tramite affido familiare
Assistenza abitativa tramite alloggi protetti
Centri diurni socio-educativi per portatori di handicap
Inserimento sociale e lavorative di persone in
difficoltà
Centri accoglienza per situazioni emergenza
assistenziale
Pagamento rette nelle RSA per anziani con difficoltà
economiche
Spesa per l’assistenza sociale?
Guardando il sistema di protezione sociale nel suo
complesso, EUROSTAT stima che la spesa sociale
pubblica totale in percentuale sul PIL (2003) in Italia è
inferiore di più di due punti percentuali.






EU(15)
Italia
Svezia
Francia
Germania
Spagna
27,3%
25,2%
32,3%
29,7%
29,5%
20,1%




Oltre ad avere una spesa bassa in Italia vi è
un’altra anomalia definita dalla distribuzione
della spesa stessa.
Il 60% circa del totale della spesa viene
impiegato per le pensioni vecchiaia e
anzianità
Solo il 4% (1% del PIL) è destinato a
famiglia, abitazione ed esclusione sociale.
ISTAT: spesa vera e propria per
l’assistenza sociale rappresenta solo circa
1,8% del PIL
La spesa sociale pubblica in Italia 2004
Valore
assoluto
(mil euro)
% spesa
sociale
totale
% PIL
Spesa per la
protezione
sociale
321.691
100,0
24,9
Previdenza
215.619
67,0
16,7
82.516
25,7
6,4
7,3
1,8
Sanità
Assistenza
22.095
Fonte: Ministero economia e finanze
sociale
Va precisato che molti interventi, considerati come
assistenza sociale, vengono contabilizzati in
maniera differente (ripartite tra sanità, previdenza
e assistenza).
In particolare questo problema riguarda previdenza
e assistenza. Esempio: assegno per il nucleo
familiare e integrazione al trattamento minimo
delle pensioni vengono contabilizzate come
previdenza.
Senza queste distorsioni la spesa per l’assistenza
sociale sale al 3,1% del PIL e con un rapporto
sulla spesa totale che passa dal 7,3% al 13,4%.
•
Tab. 5.3 p. 245 Ferrera (fonte Commissione
d'indagine Esclusione sociale - 2005)
Ripartizione spesa per la protezione sociale
in % del totale della spesa sociale
Sanità
Media UE 15
23
26
Disoccupazione
2
7
Invalidità
6
8
Alloggio
0
2
Vecchiaia
51
39
0
2
11
5
Esclusione sociale
Sopravvivenza
Fonte: Barea-Cesana 2004
Italia
Ma quanto pesano le differenti prestazioni?
Spesa per le principali prestazioni assistenziali
2004
fondo sost
locazione; 0,6
altro ; 16,2
ass di
maternità; 0,7
ass fam 3 figli
minori; 1,0
ass nucleo
familare; 12,8
maggiorazione
sociale; 3,8
assegno sociale;
7,8
Integrazione
min pensioni;
32,4
invalidità civile
con accomp.;
24,8
Fonte: Ministero economia e finanze




2004: 70% della spesa complessiva per
l’assistenza sociale è di tipo categoriale e interessa
le funzioni vecchiaia e invalidità.
La quota destinata alla funzione famiglia
rappresenta il 15% con 4 interventi principali:
assegno famiglie con 3 figli, maternità, sussidio
abitazione e assegno nucleo familiare.
Assegno nucleo familiare rappresenta la quota
maggiore e interessa lavoratori dipendenti e
pensionati ex lavoratori dipendenti
A livello nazionale le misure per la famiglie che non
hanno requisiti categoriali sono solo 3 e assorbono
complessivamente circa il 2% della spesa per
l’assistenza sociale e il 0,07% del PIL.
L’assistenza sociale in Italia.
Qualche riferimento sull’evoluzione storica

Lo sviluppo dell’Assistenza sociale coincide con il
mutamento dell’impostazione discrezionale (carità),
introducendo diritti di cittadinanza esigibili per:
 Colmare lacune degli schemi assicurativi
 Rispondere agli eventi determinati dai mutamenti
del mercato lavoro e famiglia: esigenza di fornire
sostegno a famiglie e individui

La crescente rilevanza dei servizi sociali ha
determinato un cambiamento per l’architettura
complessiva dei sistemi di welfare: gestione dal
centro (come era per le assicurazioni sociali) al
locale.

Trasformazioni sociali non hanno determinato
risposte omogenee tra paesi. In particolare
nell’Europa del sud si registrava e si registra una
differenza rispetto al resto del continente.


Situazione arretrata rispetto altri paesi europei;
quadro frammentato e ‘stratificato’
3 fattori esplicativi:
 domanda:
1)familismo;‘ammortizzatore sociale’
2) rilevanza economia periferica e informale
 offerta:
3) oneri amministr.-gestionali della prova dei mezzi
(capacità di accertamento); bassa capacità
Pubblica Amministrazione; rischi clientelari





Assistenza Sociale settore trascurato fino agli anni ’70
All’unificazione del paese: patrimonio di Istituzioni
private, numeroso e ricco, tra i più cospicui a livello
europeo (Opere Pie: 23.000 nel 1900 la metà circa
controllate da congregazioni religiose).
Primo intervento statale: legge Crispi 1890: riordino
Opere Pie (diventeranno IPAB Istituti Pubblica
Assistenza e Beneficienza); riconoscimento finalità
pubbliche, impostazione paternalistica e controllo
sociale; insieme Assistenza sociale e Sanità
Da fine ‘800: espansione misure previdenziali
Durante Fascismo: interventi per favorire maternità e
famiglie numerosi (es. ONMI); istituiti ECA Enti
Comunali di Assistenza cui spettava l’assistenza
generica (poveri, ciechi, minori abbandonati).
Dal dopo guerra agli anni ’80:




Repubblica: art. 38 Cost. ‘diritto al mantenimento e
all’assistenza sociale’, da parte dello Stato ma anche
di soggetti privati.
1968 (legge 132 “Mariotti”) definisce la separazione tra
sanità e assistenza
1969 viene istituita la pensione sociale (minimo
garantito dai 65 anni).
NON
venne
attuata
una
riforma
organica
dell’assistenza sociale (ma sovrapporsi ‘leggine’) né
politica contrasto povertà (da cui ricorso improprio a
strumenti
previdenziali:
come
l’indennità
di
disoccupazione e le pensioni di invalidità)


distorsione clientelare
sistema iniquo, inefficace e inefficiente
Motivi mancata riforma


Polarizzazione politica-ideologica
Orientamento ideologico partito di maggioranza relativa
(matrice cattolica molte IPAB).

Nel 1967 le IPAB erano ancora più di 7.000 (circa
11.000 nel 1880). IPAB equivaleva al sistema socioassistenziale italiano

Anni ’70: segni di modernizzazione con nascita Regioni
ordinarie, competenti in materia di ‘beneficienza pubblica e
assistenza sanitaria e ospedaliera’ (ma gestione diretta
delegata agli Enti Locali)

Anni ’80: riduzione spesa; prestazioni ≠ Regioni e Enti Locali;
sistema molto differenziato
Nuovi rischi e nuovi Bisogni
Il settore dell’ assistenza sociale oggi è sotto
pressione a causa dei bisogni crescenti e
differenziati (trasformazioni socio-demografiche –
nuovi rischi: invecchiamento;
fragilità famiglie;
disoccupazione, precarietà lavorativa):
− aumento rischio povertà
− cambiamenti fisionomia (ciclo di vita, area
territoriale)
− contemporaneamente carenza di risorse causa
rallentamento economia

Diritti sociali legati alla posizione occupazionale;
a differenza di altri paesi l’ Italia non ha adattato
il sistema ai nuovi bisogni:
 forte squilibrio a favore degli insiders
 eterogeneità territoriale fra Regioni (spesa
sociale pro-capite)
 Misure nazionali di assistenza sociale risultano:
 poco efficienti in termini di redistribuzione
verticale.
 poco efficaci nel ridurre il rischio di caduta in
povertà.



Reddito Minimo Garantito (assenza del) è
un’anomalia Italiana rispetto a UE (dove è un
diritto esigibile: corrisposto a tutti gli aventi i
requisiti richiesti)
Sperimentazione RMI 1998-2000 e 2000-2:
primo schema non categoriale contro povertà
Comparazione con altri paesi UE: buona
capacità pensioni riduzione rischio povertà,
ma contributo Assistenza Sociale molto
basso
Negli Anni ’90:

Raccomandazioni per un
(Commissione Onofri 1997)
‘universalismo
selettivo’

Istituzione sperimentale RMI (primo schema non
categoriale contro povertà; condizionato a programmi
inserimento)

Introduzione specifici strumenti:
 ISE per determinare eleggibilità

Legge quadro (328/00) riforma servizi sociali definisce
priorità e indirizzi; superamento impostazione categoriale,
sviluppo servizi in natura, prestazioni e servizi di base da
garantire in tutto il paese, generalizzazione RMI (ma arresto
per cambio maggioranza e Riforma Titolo V: competenza
esclusiva Regioni, salvo LEP).
Uno dei principali snodi del cambiamento è
definito dalla programmazione partecipata
negli interventi sociali (L. 328/00)

Il processo di programmazione partecipata richiede di
assumere un’ ottica progettuale e strategica, e allo stesso
tempo di porsi in un atteggiamento di ricerca, di attenzione
all’efficacia e ai risultati di ogni specifico intervento, in
una
logica
di
accountability
(trasparenza
rendicontazione) e di ricerca dell’utilità comune.
Caratteri della 328/00

grande importanza all’integrazione istituzionale:

L’integrazione gestionale che si realizza tramite
le Reti integrate dei servizi

L’integrazione professionale nel dispiegarsi dei
progetti di assistenza individualizzati
Caratteri della 328/00 (2)
Sancisce l’unità di programma in relazione ai servizi
socio-sanitari
Stabilisce, in analogia con gli interventi sanitari,
livelli essenziali delle prestazioni socioassistenziali (LEP) da erogare in modo
integrato (integrazione socio-sanitaria) per
realizzare la Rete dei servizi
La 328/2000 prevede
riorganizzazione/decentramenti/integrazio
ne di interventi economici e territoriali:
Stato: identifica i Leps x dare uniformità
Regioni: coordinano e valutano gli interventi
Comuni: attuano, creano la rete
Il sistema programmatorio nella L. 328/00

Piano nazionale degli interventi e servizi sociali
(art. 18)

Piano regionale degli interventi e dei servizi sociali
(art. 18)

Piano di Zona (art. 19)

Fondo nazionale dei servizi sociali FNPS (art. 21)

Sistema informativo dei servizi sociali (art. 21)
Principali innovazioni del sistema


Il PN, il PR ed il PdZ (Piano di Zona) sono
strumenti strategici per governare le politiche
sociali
Il compito del PdZ è quello di organizzare, a
livello territoriale, soggetti diversi, con interessi
specifici rispetto alla posta in gioco, che
intervengono sui bisogni e sulla domanda sociale,
per la costruzione di una “politica integrata di
comunità”
Obiettivi del Piano di Zona

Favorire la creazione di una rete di servizi e
interventi flessibili, stimolando le risorse della
Comunità locale

Qualificare la spesa attivando anche risorse locali

Ripartire la spesa tra i soggetti firmatari

Prevedere formazione, aggiornamento e progetti
di sviluppo dei servizi (leggi di settore)
Gli attori coinvolti nel PdZ

Attori istituzionali:
- Comuni
- ASL
- Provincia
 Attori della società civile:
- Terzo settore
- Volontariato
- Associazioni di tutela
Principali aree di intervento dei PdZ








Anziani
Disabili
Famiglie
Minori e adolescenti
Immigrazione
Povertà – esclusione sociale
Dipendenze
Salute mentale
Il Piano di Zona
Strumento strategico volto a promuovere la
programmazione integrata dei soggetti pubblici e la
partecipazione del terzo settore al governo territoriale
delle politiche sociali;
Deve dare priorità agli anziani, ai disabili e all'età
evolutiva (famiglia deve essere soggetto attivo)
Predisposto dal Sindaco, coinvolge TUTTI i soggetti
presenti sul territorio e disponibili.
46
Il Piano di Zona
3 fasi di lavoro:
Analisi problema e bisogni, risorse e soggetti
(predisporre strumenti per raccolta dati>analisi
dati> def. obiettivi e priorità);
Messa a punto del piano (obiettivi, risultati attesi,
soggetti coinvolti, oneri, tempi, momenti di
verifica e valutazione) stipula accordo
Avviamento e gestione integrata
La programmazione del PdZ




Obiettivi, priorità, strumenti e mezzi
Organizzazione dei servizi socio-assistenziali,
risorse e requisiti di qualità
Rilevazione dei dati nell’ambito del sistema
informativo (monitoraggio e controllo)
Modalità per garantire integrazione fra servizi e le
prestazioni
Il Piano di Zona: 4 novità principali
Si sintetizzano interventi e politiche di settore, unendo
tradizioni programmatorie e fonti di finanziamento
considerate in modo separato ed autonomo (es. il fondo
sociale, i fondi ex l.285 per l’infanzia e l’adolescenza, i
fondi ex l. 45 per la lotta alle tossicodipendenze ecc.).
Si passa da una programmazione del settore sociale nella
prospettiva di government (funzione di governo esclusiva
del soggetto pubblico), ad una prospettiva di governance
(governo attraverso la mobilitazione di una serie di
soggetti pubblici, di privato sociale, della società civile).
49
Il Piano di Zona: 4 novità principali
Si programma in un’ottica di promozione
dello sviluppo locale, ponendosi al nuovo
livello dell’ambito territoriale;
Si programma in modo congiunto anche con
l’Azienda Sanitaria Locale, non più nella
logica della delega ma in quella
dell’integrazione di governance operativa a
livello territoriale.
Riformare il welfare (criticità)
Finanziamenti
Mancata attuazione organica della riforma, finanziamenti in
diminuzione, incertezze e ritardi sulla definizione quote >
impossibilità di programmare per i servizi e quindi anche per le
famiglie
Istituzione di fondi ad hoc depotenzia Fnps, frammenta spesa, nn
compensa tagli
Problemi legati alla distribuzione della spesa (Inps/Stato…) per
l’assistenza sociale solo in parte gestite dalla GIAS
«la complessità legislativa che regola i flussi finanziarie e gli
interessi legati alle singole voci di spesa rendono la questione
finanziaria uno dei nodi più difficili da scogliere»
51
Riformare il welfare (criticità)
LEPS (Livelli essenziali delle prestazioni sociali)
«livelli delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che
devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale»
MA manca una definizione unitaria, ci sono solo interventi
frammentati. PERCHE’?
Tanti fattori, tra cui la frammentazione del sistema di politiche
sociali > nuovo impulso dato da legge su federalismo fiscale,
che impone riorganizzazione finanziamenti
RISCHIO: per accelerare tempi di attuazione del federalismo
fiscale, LESP istituzionalizzano le frammentazioni esistenti >
Mezzogiorno con meno diritti, meno risorse, meno servizi
52