Dopo Giorgione e Savoldo. Note di un ritratto amoroso, e Fra’ Bartolomeo. Sacra Famiglia a
modello, il progetto A Brescia opere da grandi musei. Rinascimento, a cura di Paolo Bolpagni ed
Elena Lucchesi Ragni, con Roberta D’Adda, si conclude con questo terzo ambizioso ‘episodio’,
con il quale, partiti da Venezia e passati da Firenze, approdiamo in Umbria, a Città di Castello,
dove un giovanissimo Raffaello, appena diciassettenne ma già qualificato come “magister” in
un documento dell’epoca, realizza tra il 1500 e il 1501 la sua prima opera documentata, la
pala di San Nicola da Tolentino per la cappella del mercante e notabile Andrea Baronci in
Sant’Agostino.
La storia di questa grande tavola, a partire da un preciso e terribile giorno, è travagliata: il 30
settembre 1789 un terremoto devasta l’Alta Valle del Tevere. Tra gli altri disastri, crolla la
chiesa che ospitava da quasi tre secoli l’opera di Raffaello; l’altare dedicato a San Nicola è in
rovina, e la pala, evidentemente, subisce gravi perdite e guasti strutturali. I padri agostiniani
allora pensano di recuperare fondi per la ricostruzione del loro convento, e, d’accordo con la
famiglia che nel frattempo era diventata titolare della cappella già dei Baronci, vendono il
dipinto danneggiato al papa Pio VI (che aveva offerto per esso una notevole cifra), a patto di
ottenerne una copia – della cui realizzazione è incaricato l’anziano artista Ermenegildo
Costantini, che morirà nel 1791 poco dopo aver portato a termine l’impresa.
A Roma l’opera è sezionata in vari pezzi (quelli meglio conservatisi dal terremoto) dal pittore
Giovan Battista Ponfreni, ma il pontefice non ha modo di godere a lungo di questi superstiti
frammenti del giovanile capolavoro di Raffaello: nel 1798 arrivano i soldati napoleonici,
s’instaura l’effimera Repubblica Romana, e le diverse parti di quella che era stata la pala
Baronci, che probabilmente erano state tutte trasformate in ‘quadri da stanza’, prendono
strade differenti e vanno via via disperse, fino a che di esse si perde memoria.
Il filo della nostra storia riprende nel 1821, quando il nobile e collezionista Paolo Tosio, cui si
deve in larga parte il patrimonio della Pinacoteca di Brescia, s’invaghisce di un piccolo dipinto
ritenuto da alcuni della prima maniera di Raffaello, e lo compra tramite l’intermediazione di
un mercante fiorentino; ma sarà soltanto nel 1912 che lo studioso tedesco Oskar Fischel
riconoscerà in esso l’Angelo della perduta ‘opera prima’ di Raffaello, e lo collegherà a due altri
frammenti, le figure del Padre eterno e della Vergine Maria, che erano finiti a Napoli nel Museo
di Capodimonte, scambiati per lavori di un non meglio precisato allievo del Perugino.
L’ultimo ritrovamento è relativamente recente: nel 1981 un tassista porta al Louvre la
fotografia di una tavola, un altro Angelo, ereditato da una parente, monaca in un convento del
sud della Francia. Sylvie Béguin, conservatrice del dipartimento di pittura italiana del museo,
lo riconosce, e comunica al mondo la scoperta.
Oggi, grazie a questa mostra, questi tasselli si ricongiungono, insieme con la copia tardosettecentesca di Costantini (documento utile per immaginare come fosse la composizione
originale d’insieme dell’opera) e con un preziosissimo e mirabile disegno preparatorio della
pala Baronci proveniente dal Palais des Beaux Arts di Lille. L’occasione di questa straordinaria
ricomposizione è servita ad avviare nuovi studi, indagini, approfondimenti intorno alla figura
di Raffaello (nel quale vediamo giustamente uno dei vertici del Rinascimento italiano e
dell’intera storia della civiltà europea, una sorta di Mozart della pittura, universale e
irraggiungibile, soave e forte al contempo, sul quale tanto è stato scritto, ma tanto c’è ancora
da indagare, analizzare, meditare): sulla formazione, sull’attività, sullo stile del giovane
Raffaello (questioni trattate da Vittoria Garibaldi e Giovanni Luca Delogu nel saggio
introduttivo in catalogo); sulle vicende del dipinto (nel secondo testo, di Elena Luchesi Ragni);
sul gusto collezionistico di Paolo Tosio e della Brescia della prima metà dell’Ottocento, dove
dominava il classicismo ed era fortemente presente il ‘culto’ di Raffaello (tema sviluppato
nell’ultimo saggio in catalogo, di Roberta D’Adda).
Il lascito che Rinascimento vuol consegnare è proprio questo: si è partiti dalla valorizzazione
della Pinacoteca Tosio Martinengo di Brescia e dei suoi capolavori, ma si è anche voluto
coinvolgere studiosi ed esperti in nuove ricerche iconografiche, attributive, filologiche, di
storia collezionistica e del gusto figurativo, e comunicare a un pubblico il più vasto possibile i
contenuti dell’attività scientifica degli specialisti. Perché l’arte, la cultura sono – e siano
sempre, e sempre di più – patrimonio di tutti, elemento fondamentale della nostra identità ed
eredità da godere e da tramandare.
Opere esposte:
Raffaello Sanzio
Busto d’angelo
1500-1501
olio su tavola trasferito su tela, 31 × 26,5 cm
Brescia, Pinacoteca Tosio Martinengo, inv. 149
Raffaello Sanzio
Busto d’angelo con cartiglio
1500-1501
olio su tavola, 58 × 36 cm
Parigi, Musée du Louvre, inv. RF 1981-55
Raffaello Sanzio, Evangelista di Pian di Meleto
Padre eterno
1500-1501
olio su tavola, 112 × 75
Napoli, Museo di Capodimonte, inv. Q 50
Raffaello Sanzio, Evangelista di Pian di Meleto
Vergine Maria
1500-1501
olio su tavola, 51 × 41 cm
Napoli, Museo di Capodimonte, inv. Q 50
Raffaello Sanzio
Studio di composizione per l’Incoronazione di San Nicola da Tolentino
matita nera, punta metallica, quadrettatura a matita
Studio di testa d’uomo, studi di drappeggi, campata di un cortile di palazzo, uccelli
matita nera, penna e inchiostro marrone
1500 circa
409 × 263 mm
Lille, Palais des Beaux Arts, recto e verso, invv. 474, 475
Ermenegildo Costantini
San Nicola da Tolentino che calpesta il demonio (copia parziale della pala di San Nicola da Tolentino
di Raffaello)
1791
olio su tela, 310 × 176 cm
Città di Castello, Pinacoteca comunale, inv. 110