E. Montale, Non recidere, forbice, quel di seppia, Cigola la carrucola

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E. Montale, Non recidere, forbice, quel
volto (da "Le occasioni")
La poesia, scritta nel 1937, fa parte della
sezione intitolata Mottetti e ripercorre un
tema molto diffuso nel Decadentismo
europeo, ossia quello del recupero memoriale
e dell’illusorio contatto col passato, che per
molti artisti ha una valenza nostalgica e
consolatoria, quasi come se il passato
potesse rappresentare l’unico punto fermo di
contro allo svanire dei ricordi e al venir meno
di ogni certezza. Per Montale, il contatto col
passato è illusorio, il recupero dei ricordi
impossibile, la riflessione sulla memoria, lungi
dall’essere consolatoria, è foriera di angoscia
e solitudine.
L’incipit è un’apostrofe, quasi una preghiera,
alla forbice del tempo che tutto travolge e
annulla e che vorrebbe cancellare anche
quell’unica immagine rimasta nella mente del
poeta, quella della donna amata, Clizia, ossia
Irma Brandeis. Ma la memoria «si sfolla»
(v.2) e l’immagine diventa sempre più vaga e
si tramuta «nella nebbia di sempre» (v.4). Se
quel volto venisse reciso, al poeta
accadrebbe ciò che avviene alla natura,
quando, al sopraggiungere dei primi freddi di
novembre, un implacabile colpo di scure
recide la vetta dell’acacia, la pianta «ferita»
(v.6) lascia cadere nella «belletta» (v.8),
ossia nel fango, il guscio di una cicala ormai
morta, che trascina con sé il ricordo del «viso
in ascolto» del v.3. Come sempre, in
Montale, una situazione esterna, oggettiva,
diviene emblema di una situazione interiore,
secondo
la
tecnica
del
«correlativo
oggettivo».
La cicala, divenuta ormai solo il guscio vuoto
di un insetto che ha perso per sempre il dono
del canto, è il corrispettivo di ciò che
diverrebbe il caro volto, se la forbice del
tempo lo relegasse nell’oblio. Il testo
richiama
un’altra
poesia
degli Ossi
di seppia, Cigola la carrucola del pozzo , con
cui condivide il fallimento della mente che
non riesce a trattenere il ricordo della donna
amata che, a poco a poco, svanisce, nella
«nebbia di sempre» (v.4).
L’impossibilità del recupero memoriale si
riconnette al tema del male di vivere, acuito
dall’assenza della donna salvifica che
condanna il poeta a una solitudine infinita. Il
senso di smarrimento espresso nella poesia
non deriva solo dall’assenza della donna
amata, della donna-angelo che può dare un
senso all’esistenza, ma rivela una grande
condizione di smarrimento e alienazione,
stato tipico dell’uomo moderno.
La lirica è strutturata in due quartine di 3
endecasillabi ciascuna più 1 settenario ed
esemplifica molto bene il modo in cui sono
costruiti i Mottetti: due strofe brevi, che
presentano rispettivamente un’occasione
lirica (la forbice che vorrebbe eliminare il
ricordo) e una struttura oggettiva (l’acacia
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potata) che funziona da correlativo oggettivo
dei sentimenti espressi nella prima quartina.
Fin dagli Ossi di seppia è presente l’uso di
questa scelta espressiva, ma solo a partire
dalle Occasioni Montale ne esplicita l’uso. Era
stato il poeta statunitense T.S. Eliot a
teorizzare la tecnica del correlativo oggettivo
che aveva trovato applicazione sia nel
poema La terra desolata, pubblicato nel
1922, sia nelle sue Poesie, edite nel 1925.
Montale, però, dichiarò sempre di essere
giunto autonomamente alla poetica del
correlativo
oggettivo.
Nell’ Intervista
immaginaria del 1946 afferma: «[…] Fui
mosso dall’istinto non da una teoria (quella
eliotiana del «correlativo obiettivo» non
credo che esistesse ancora, nel ’28, quando il
mio Arsenio fu pubblicato) […]». Ma forse la
questione è in altri termini, come sostiene
Mario Martelli, secondo il quale la teoria di
Eliot risalirebbe addirittura al 1919. Il critico
ci informa che nel 1929 Montale avrebbe
letto le opere di Eliot in occasione della
pubblicazione della sua poesia Arsenio su
«Criterion», rivista diretta proprio da Eliot.
Sicuramente il nostro poeta fu molto
impressionato dalla tecnica eliotiana, anche
se già negli Ossi di seppia aveva largamente
sperimentato
questo
potente
mezzo
espressivo.
verso della seconda. La simmetria non è
perfetta perché finalizzata all’ottenimento di
una trama musicale: infatti le rime, a volte
imperfette, sono dislocate in vari punti del
testo. Oltre alle rime alla fine dei versi, se ne
hanno due al centro (cala/cicala e svetta/
belletta) a cui si aggiunge una serie di
rimandi fonetici interni (acacia/cicala).
Contributo
Carmen Lacco, Marta Branda, Francesco Esposito,
V A (L.C. A. Moro, Praia a Mare)
Bibliografia
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P.V. Mengaldo (a c. di), Poeti italiani del
Novecento, Milano, Mondadori, 1978
Collana I meridiani, Milano, Mondadori,
2010
Martelli, Eugenio Montale. Introduzione e
guida allo studio dell’opera montaliana ,
Firenze, Le Monnier, 1982
Sitografia
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http://www.altritaliani.net/
La lirica, come già detto, è composta da due
strofe di quattro versi: il settenario è posto in
chiusura della prima strofa e al penultimo
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