“Relazioni sindacali e bilateralità: nuove sfide per la rappresentanza” La recessione economica, il portato della globalizzazione, la tentazione della democrazia diretta, le difficoltà attraversate dal principio della rappresentanza, il tentativo di ricostituire luoghi di confronto e decisione in merito alla regolazione dei processi dell’economia e del lavoro, devono interrogare anche le Organizzazioni dell’artigianato e della piccola e media impresa. CNA Lombardia vuole pertanto provare a mettere a confronto le Parti Sociali, al di là delle logiche stringenti del negoziato, sapendo che le riflessioni di oggi hanno valore non impegnativo ma vogliono iniziare a dissodare un terreno fertile per i nostri impegni futuri. - Consentitemi di partire da una domanda: che senso ha oggi il nostro lavoro? Se viene meno il lavoro, se in alcuni casi viene addirittura meno l’oggetto della contrattazione, che fare? - Probabilmente la sfida che la crisi impone di raccogliere è quella di non lasciare le relazioni sindacali sulla difensiva. Non si tratta solo di giocare di rimessa, di incontrarsi per capire come chiudere nel modo meno doloroso rapporti di lavoro. - Non possiamo rinunciare al fatto che un accordo non contiene solo la disciplina dell’esistente – se così fosse, ne saremmo come schiacciati – ma porta in dote anche una preziosa indicazione su nuove condizioni che insieme le Parti si impegnano a realizzare. 1 - Nella crisi, abbiamo percorso la via di accordi che non rinunciano a immaginare forme più remunerative di flessibilità e produttività, scommettendo su uno scambio virtuoso che in genere appartiene alle fasi di crescita. I contratti collettivi regionali di lavoro siglati in Lombardia rappresentano in questo senso un tassello importante, in parte anticipando i contenuti di Accordi nazionali. - Il senso di questi accordi risiede nel tener vivo il filo delle relazioni sindacali, provando, anche nel pieno della recessione, a declinare la partita economica non solo sul piano salariale o del premio di produttività, ma anche sul terreno dell’incremento delle protezioni sociali. - Negli ultimi mesi abbiamo saggiato la difficoltà di contrattare quando c’è poco da spartire e la quantità di bene negoziabile tra le parti appare effimera. La flessibilità in più che il lavoro può offrire all’impresa viene svalutata dal contesto recessivo; d’altro canto, il cosiddetto salario di produttività assume inevitabilmente un valore monetario talora poco più che simbolico. - Ci sentiamo allora messi alle strette. I nostri margini sono ridotti. Se il tavolo offre poco ai negoziatori, forse possiamo uscire dall’angolo collocando il tavolo in un orizzonte più vasto. Le Parti Sociali possono produrre accordi utili all’incremento della competitività delle imprese e all’integrazione del welfare universale pubblico attraverso forme di welfare contrattuale. 2 - Dopo aver fatto buoni accordi tra di loro, le Parti sociali possono insieme mettere i propri accordi al centro di un più vasto scambio con le istituzioni, centrando obiettivi condivisi di rilancio della competitività sui terreni più diversi: politiche per le filiere produttive, infrastrutture formative, sostegni al reddito, politiche attive del lavoro, strumenti per l’accesso al credito. - In questa logica, la contrattazione si colloca quindi all’interno delle politiche per la competitività e può generare forme di lobby condivisa fra sindacati e rappresentanze datoriali. - Il collocarsi del nostro negoziato in un più vasto contesto in cui stiamo dalla stessa parte nel negoziare qualcosa con il sistema pubblico rafforza il nostro radicamento e la rappresentanza territoriale, trovando nella bilateralità il luogo naturale di sviluppo. - Così come lo scambio fra flessibilità e incentivo economico, anche l’incremento per via contrattuale delle tutele nei confronti di lavoratori e imprenditori concorre a liberare fiducia, coesione sociale e risorse per la domanda interna, la cui fragilità rappresenta il cuore della crisi. - Nella contrattazione regionale lombarda altri 5 euro per il welfare sociale e sanitario, in aggiunta alle 10,42 euro di Sanarti, hanno dal punto di vista di CNA un preciso significato: 3 1) non si tratta di optare per un welfare fragile, particolaristico, non all’altezza di un patto di cittadinanza; 2) si tratta piuttosto di prendersi cura dell’universalità del welfare, integrandolo dal basso, in via sussidiaria, con una piena responsabilizzazione delle Parti sociali. - Si ribadisce insomma il fine di un welfare universale, assicurandolo con un impegno diretto delle risorse sociali, alla luce di una nuova consapevolezza di ciò che è pubblico e dei vincoli che il mix fra crisi e globalizzazione ha posto a carico della capacità di spesa degli Stati. - La sfida di un welfare universale, egualitario, finanziariamente sostenibile, non è pertanto in antitesi con la via contrattuale di una sua integrazione con risorse di imprese e lavoratori. La dimensione collettiva di accordi e contratti costituisce infatti un’ulteriore garanzia di universalità: intere categorie saranno incluse e più tutelate, secondo logiche non particolaristiche e non mercatiste, al di fuori di quella solitudine dell’individuo di fronte alla sfera del welfare e della sanità, che caratterizza modelli extra-europei. - Che non vi sia contraddizione fra il concorso delle risorse private delle parti sociali e l’universalità del sistema delle tutele lo dimostrano d’altronde alcuni orizzonti normativi emergenti anche nella Legge Fornero, che pare muovere dall’ambizione di universalizzare gli ammortizzatori. Proprio questa Legge di riforma indica l’esperienza della nostra bilateralità come un luogo esemplare di integrazione della mano pubblica. 4 - Su questo terreno, abbiamo bisogno di costruire un rapporto organico tra la cornice nazionale e quella territoriale delle nostre relazioni. Le ipotesi di impianto dei Fondi di solidarietà bilaterale previsti dalla Legge 92 per l’integrazione della tutela del reddito sono state articolate anche a partire dall’esigenza di fare massa critica a livello nazionale senza rinunciare a far valere le esperienze della bilateralità regionale. D’altronde, come dimostra la previsione contrattuale regionale di un ulteriore accantonamento sociale e sanitario, il livello regionale può costituire un terreno di affinamento delle prestazioni standard previste dal livello nazionale. In questo schema, come in un Patto di cittadinanza, le intese bilaterali non abdicheranno al principio di una uniformità dei livelli essenziali delle prestazioni, ma sapranno tuttavia fondare una serie di prestazioni su misura del territorio, realizzando un modello di autentica prossimità al lavoratore e all’impresa. - Cedendo a qualche suggestione esterofila, ma anche alla nostalgia per alcune indicazioni dei Costituenti, potremmo intravedere nella bilateralità una forma di partecipazione dei lavoratori alla vita delle imprese compatibile con le particolari dimensioni e la natura spesso familiari del nostro tessuto imprenditoriale. - Possiamo decidere insieme di sviluppare ulteriormente quanto accade già per la sicurezza nel contesto della pariteticità: che la bilateralità assuma su di sé anche un ruolo “pubblico” di promozione e controllo della conformità dei comportamenti di imprese e lavoratori rispetto agli standard definiti dalle norme (come nel caso della conformità piani formativi apprendistato). 5 - Non dobbiamo avere timori nemmeno di incarnare nella bilateralità una nostra versione della “democrazia economica”, non tanto nel senso di far accedere il lavoratore a forme di cogestione delle imprese, quanto di far partecipare lavoratore e imprese a momenti della governance dei territori, individuandoli come interlocutori di politica e istituzioni e rendendoli attori delle politiche del territorio. - Crediamo si possano riconoscere alcune linee di lavoro alla bilateralità artigiana lombarda. Alcune direttrici già sviluppate, altre ancora per lo più in potenza. 1) Una funzione di integrazione degli ammortizzatori sociali e di pilastro all’interno di un sistema di welfare che si vuole universale, pur nell’ibridazione fra pubblico e privato. 2) Una funzione di riequilibrio all’interno delle politiche del lavoro. Un riequilibrio che consente di raccordare le politiche passive con interventi selezionati di politica attiva, sostenuti da una forte coerenza fra offerta di servizi e fabbisogni del mercato del lavoro. Dentro queste politiche attive si colloca a pieno titolo la cura per lo sviluppo dell’apprendistato, che nell’artigianato realizza un connubio totale tra vocazione professionale, mestiere, arte e formazione. 3) Una funzione di lobby e rappresentanza generale delle opportunità e dei fabbisogni di policy del comparto. La bilateralità può infatti non solo garantire un monitoraggio puntuale delle vocazioni e dei fabbisogni territoriali, ma anche rappresentare la culla di alleanze fra imprese, lavoratori, istituzioni locali, capaci di stimolare e orientare meglio gli investimenti pubblici. 6 - In altre parole, la bilateralità potrebbe aiutarci a rovesciare in modo virtuoso un modello di sussidiarietà spesso troppo “diretto dall’alto” e a realizzarne una versione “dal basso”. - Concedetemi un’ultima tentazione, prima del dibattito. E’ un’affermazione che troverà forse in disaccordo alcuni di voi, ma che vorrei utilizzare per aprire ancora un po’ di più l’orizzonte: per realizzare questo livello di relazioni e sviluppare appieno la bilateralità, dobbiamo rinunciare a concepirla solo come strumento della contrattazione fra le Parti. Senza per questo conferirle una soggettività autonoma, dobbiamo iniziare a viverla non solo come strumento, ma come il Luogo in cui i Soggetti delle relazioni sindacali concordano insieme strategie e strumenti per il progresso, su cui chiamare anche l’azione della politica e del sistema pubblico. Stefano Binda, Milano, 6 giugno 2013 7