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Società italiana di Microbiologia
N.11
Anno 11
9 - -N.
Ottobre 2009
2007
37°
Congresso
Nazionale
della
Società
Italiana di
Microbiologia
Torino
11 - 14 ottobre 2009
RIASSUNTI
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37° Congresso della Società Italiana di Microbiologia SIM
11-14 ottobre 2009
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Comitato di Presidenza
Nicola Carlone
Rossana Cavallo
Anna Maria Cuffini
Giorgio Gribaudo
Santo Landolfo
Alessandro Negro Ponzi
Dianella Savoia
Comitato Organizzatore e Segreteria Scientifica
Nicola Carlone
Rossana Cavallo
Anna Maria Cuffini
Giorgio Gribaudo
Santo Landolfo
Alessandro Negro Ponzi
Dianella Savoia
David Lembo
Tiziana Musso
Vivian Tullio
Giuliana Banche
Massimiliano Bergallo
Patrizia Caposio
Marco De Andrea
Anna Luganini
Isa Mandras
Chiara Merlino
Mario Zucca
37°
Congresso Nazionale
della Società
Nazionale di
Microbiologia
Segreteria del Comitato di Presidenza
Università degli Studi di Torino
Dipartimento di Sanità Pubblica e Microbiologia
Via Santena 9, 10126 Torino
Elisa Piazza : Tel 011/6705641
Fax 011/6705648
e-mail : [email protected]
Giuliana Banche : Tel 011/6705634
Fax 011/2365634
e-mail : [email protected]
Segreteria Organizzativa
eac Srl
Via Sannio, 4
20137 Milano
Tel. 0259902320
Fax 0259900758
[email protected]
www.eac.it/sim2009.htm
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RELAZIONI
IMMUNIZZAZIONE VERSO I VIRUS DELL’INFLUENZA: PROBLEMI E PROSPETTIVE.
Alberta Azzi (Firenze)
I SISTEMI DI SECREZIONE DI TIPO VII DI MYCOBACTERIUM TUBERCULOSIS:
LORO POSSIBILE RUOLO NEL RAPPORTO CON L’OSPITE
Giovanna Batoni (Pisa) L’IMPORTANZA E IL SIGNIFICATO DELLE DETERMINAZIONI QUANTITATIVE IN
VIROLOGIA
Massimiliano Bergallo (Torino)
MICROARRAY DI PROTEINE IN AMBITO MICROBIOLOGICO: POTENZIALITÀ E LIMITI
Blasi Elisabetta (Modena)
ORIENTAMENTI TERAPEUTICI NEL TRATTAMENTO DELLE ESACERBAZIONI DI
BRONCHITE CRONICA: RUOLO DELLE BETA-LATTAMINE ORALI
Francesco Blasi, (Milano)
EZIOLOGIA E RESISTENZE : I DATI INTERNAZIONALI E LA REALTA’ ITALIANA
E. Concia (Verona)
I RISULTATI DELL'OSSERVATORIO EPIDEMIOLOGICO GIARIR (GRUPPO ITALIANO PER LO
STUDIO DELLE ANTIBIOTICO RESISTENZE NELLE INFEZIONI RESPIRATORIE)
2009:"RISULTATI DELL'ATTIVITÀ IN VITRO"
G. Tempera (Catania)
DIAGNOSI DI PARASSITOSI: METODI MOLECOLARI INNOVATIVI E METODI
CONVENZIONALI A CONFRONTO
Adriana Calderaro (Parma)
APPROPRIATEZZA PRESCRITTIVA E DIAGNOSI DELL’INFEZIONE DA EBV.
Adriana Calderaro (Parma)
NUOVE ATTIVITA’ IMMUNOMODULANTI DI PIDOTIMOD.
A. Caruso (Brescia)
INTERAZIONI MICROBICHE E QUORUM SENSING PER LA BIOPROTEZIONE
DEGLI ALIMENTI
Luca Cocolin, Valentina Alessandria, Kalliopi Rantisou (Torino)
PATOLOGIE VIRALI EMERGENTI NEI PAZIENTI SOTTOPOSTI A TRAPIANTO.
Cristina Costa (Torino)
PATOGENI INDIGENI DELLE ACQUE: I VIBRIONI
Luciana Croci (Roma)
MOLECOLE NON CONVENZIONALI NELLA PROFILASSI DELLE UTI RICORRENTI:
APPROCCIO IMMUNOLOGICO.
Roberto Di Marco (Campobasso)
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VIRUS DELL’EPATITE C: DALL’INFEZIONE ALLA REINFEZIONE NEL PAZIENTE
CON TRAPIANTO D’ ORGANO
Rosa Di Stefano (Palermo)
STREPTOCOCCUS SUIS
Bruna Facinelli (Ancona)
TERAPIE INNOVATIVE CON ANTICORPI MONOCLONALI E INFEZIONI DEL
SISTEMA NERVOSO CENTRALE: IL CASO DEL VIRUS JC
Pasquale Ferrante (Milano)
LE ADESINE DI TRICHOMONAS VAGINALIS: VERITA’ O LEGGENDA?
Pier Luigi Fiori (Sassari)
L'EPIDERMODISPLASIA VERRUCIFORME COME MODELLO DI CARCINOGENESI
CUTANEA ASSOCIATA ALL'INFEZIONE DA PAPILLOMAVIRUS
Marisa Gariglio (Novara)
LA DEFINIZIONE DEGLI OBIETTIVI DI SICUREZZA ALIMENTARE:
REALIZZAZIONE E MODELLAZIONE DI UNA EFFICACE ANALISI QUANTITATIVA
DEI RISCHI DA PATOGENI ALIMENTARI
M. Elisabetta Guerzoni (Bologna)
DISRUPTION OF PROTEIN-PROTEIN INTERACTIONS AS A NOVEL
ANTIVIRAL STRATEGY: FROM HERPESVIRUSES TO INFLUENZA
Arianna Loregian (Padova)
RUOLO DELLA VIA DI TRASDUZIONE DEL SEGNALE TLR7/TLR9/MyD88/IRF1
NELLA DIFESA DELL’OSPITE CONTRO INFEZIONI BATTERICHE E FUNGINE.
Giuseppe Mancuso (Messina)
USO DI PRODOTTI NATURALI SULLE VALVOLE FONETICHE
Narcisa Mandras (Torino)
RIATTIVAZIONE HBV NEL PAZIENTE IMMUNODEPRESSO.
Alfredo Marzano (Torino)
CLOSTRIDIUM DIFFICILE ED ANAEROBI
Paola Mastrantonio (Roma)
ANALISI
GENOTIPICA
E
CARATTERIZZAZIONE
MOLECOLARE
DI
DETERMINANTI DI VIRULENZA ESPRESSI DA CEPPI DI STENOTROPHOMONAS
MALTOPHILIA ISOLATI DA PAZIENTI AFFETTI DA FIBROSI CISTICA.
M. Nicoletti, (Chieti)
STATO DELL'ARTE DI PRINCIPI ATTIVI NATURALI DI ORIGINE VEGETALE IN
MICROBIOLOGIA
Antonia Nostro, Giuseppe Bisignano (Messina)
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SALTO DI SPECIE: FANTASIA O REALTÀ?
Riccardo Orusa (Torino)
RUOLO DELL'AUTOFAGIA NELLA PATOGENESI DELLE INFEZIONI DA
INFLUENZA VIRUS: SPUNTI PER L'INDIVIDUAZIONE DI STRATEGIE
ANTIINFLUENZALI INNOVATIVE.
A.T. Palamara (Roma)
PNEUMOCOCCO: LA SORVEGLIANZA MICROBIOLOGICA DELLE MALATTIE
INVASIVE PER LA VALUTAZIONE DI EFFICACIA E DI IMPATTO DEL VACCINO
CONIUGATO
A. Pantosti (Roma)
ASPETTI POSIZIONALI E DIMENSIONALI NELLA PERCEZIONE DEL QUORUM IN
BIOFILM BATTERICI
Elisa Polone (Padova)
RUOLO DELLE PROTEINE GAS/PHR NELLA MORFOGENESI E VIRULENZA DI
CANDIDA ALBICANS
Laura Popolo (Milano)
MECCANISMI
PATOGENETICI
ALLA
BASE
DELL’OSTEOPENIA NEI SOGGETTI HIV-1 INFETTI
Maria Carla Re (Bologna)
DELL’OSTEOPOROSI
E
RUOLO DELLA MP65, UNA ADESINA AD ATTIVITÀ β-GLUCANASICA, NELLA
MORFOGENESI E VIRULENZA DI CANDIDA ALBICANS.
Sandini Silvia (Roma)
MYCOBACTERIUM AVIUM SUBSPECIES PARATUBERCULOSIS E MALATTIE
AUTOIMMUNI:
POSSIBILE RUOLO NEL MORBO DI CROHN E NEL DIABETE MELLITO DI TIPO 1.
Leonardo A Sechi (Sassari)
IL RUOLO DEL LABORATORIO DI MICROBIOLOGIA NELLA SORVEGLIANZA
DELLE INFEZIONI CORRELATE ALL'ASSISTENZA: I MICRORGANISMI
SENTINELLA E L'ANTIBIOTICORESISTENZA
R.Serra (Torino)
NUOVE EZIOLOGIA ED EPIDEMIOLOGIA DELLE OTITI MEDIE
Annamaria Speciale (Catania)
LA CAPSULA DI CRYPTOCOCCUS NEOFORMANS. EFFETTI IMMUNOSOPPRESSIVI
ED ANTINFIAMMATORI:DUE FACCE DELLA STESSA MEDAGLIA.
Anna Vecchiarelli (Perugia)
IL QUORUM SENSING NEI BATTERI ASSOCIATI ALLE PIANTE
Vittorio Venturi (Trieste)
INTERAZIONI MICROBICHE NELL’AMBIENTE MARINO: ASPETTI EMERGENTI
Luigi Vezzulli (Genova)
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ANTAGONISMO BATTERI LATTICI-FUNGHI: SEGNALI UTILI AL BIOCONTROLLO
DEGLI ALIMENTI
Emanuele Zannini (Ancona)
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COMUNICAZIONI ORALI BATTERIOLOGIA
IL GENE ACE, CODIFICANTE UNA ADESINA DI ENTEROCOCCUS FAECALIS, È
REGOLATO DA ERS ED È COINVOLTO NELLA VIRULENZA
Sanguinetti M.1, Lebreton F.2, Torelli R.1, Riboulet-Bisson E.2, Serror P.3, Posteraro B.1, Hartke A.2,
Auffray Y.2, Giard JC.2, Fadda G.1
1
Istituto di Microbiologia, Università Cattolica del Sacro Cuore, L.go F. Vito 1, Roma, Italy
2
Laboratoire de Microbiologie de l’Environnement, Université de Caen, 14032 Caen Cedex, France
3
Unité des Bactéries Lactiques et Pathogènes Opportunistes, INRA, 78350 Jouy-en-Josas, France
PRINCIPALI CLONI DI A.BAUMANNII CARBAPENEMI-RESISTENTI CIRCOLANTI IN
ITALIA
Mezzatesta M.L.1, D’Andrea M.M.2, Migliavacca R.3, Giani T.2, Gona F.1, Marchese G.1, Nucleo E.3,
Pagani L.3, Rossolini G.M.2 and Stefani S.1
Dipartimento di Scienze Microbiologiche e Sc. Ginecologiche – Università di Catania1, Siena 2 e
Pavia3 , Italia
CARATTERIZZAZIONE CLINICA E MOLECOLARE DI CEPPI DI STAPHYLOCOCCUS
AUREUS METICILLINO-SENSIBILI E -RESISTENTI ISOLATI DA BATTERIEMIE
E. Borghi1, C. Biassoni1, F. Tordato2, M. Cainarca3, R. Sciota1, AD Monforte2, G. Morace1
1
Dip. Sa.Mi.Vi, Università di Milano, 2Dip. di Medicina, Chirurgia e Odontoiatria, Clinica di
Malattie Infettive, AO San Paolo, Università di Milano, , 3Lab.Microbiologia, AO San Paolo, Milano.
EFFETTO DELLA INATTIVAZIONE DI GENI DEL SISTEMA ESX-5 DI
MYCOBACTERIUM TUBERCULOSIS SULLA SECREZIONE DI PROTEINE PE/PPE
M. Di Luca, D. Bottai, G. Batoni, F. L. Brancatisano, G. Maisetta, W. Florio, C. Counoupas,
S. Esin, M. Campa.
Dipartimento di Patologia Sperimentale, Biotecnologie Mediche, Infettivologia ed Epidemiologia,
Università di Pisa
TRASFERIMENTO MEDIATO DA BATTERIOFAGO DI GENI DI RESISTENZA
ALL’ERITROMICINA E ALLA TETRACICLINA IN STREPTOCOCCUS PYOGENES.
M.C. Di Luca, D. Petrelli, S. D’Ercole, M. Prenna, S. Ripa, L.A. Vitali
Dip. di Biologia M.C.A., Università di Camerino.
STUDIO DELLE MUTAZIONI PATOADATTATIVE DEL GENE FIMH DI ESCHERICHIA COLI
Iebba V1., Conte MP1., Lepanto M1., Proietti Checchi M1., Totino V.1, Aleandri M.1, Longhi C.1,
Marazzato M.1, Cucchiara S.2, Schippa S1.
1Dipartimento di Scienze e Sanità Pubblica, Sapienza Università di Roma; 2 Dipartimenti di
Pediatria, Policlinico Umberto I, Sapienza Università di Roma
CORRELAZIONE TRA EMM/T, SOF, SPEA-C, PRTF1-F2 E RESISTENZA AI MACROLIDI
IN S.PYOGENES
Carolina Ferranti1, Gianna Tempera1, Giuseppe Bisignano2, Pio Maria Furneri1
1
Dipartimento di Scienze Microbiologiche e Scienze Ginecologiche, Università degli Studi Catania.
2
Dipartimento Farmacobiologico, Università degli Studi di Messina
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ACHROMOBACTER XYLOSOXIDANS ISOLATI DA PAZIENTI AFFETTI DA FIBROSI
CISTICA: CORRELAZIONE TRA GENOTIPI, VALORI SPIROMETRICI E FLORA
BATTERICA CONCOMITANTE.
Varesi P.2, Trancassini M.1, Schippa S.1, Iebba V.2, Pecoraro C.2, Quattrucci S.2 Magni A.1
1
Dipartimento di Scienze di Sanità Pubblica - Università “La Sapienza” Roma
2
Centro Regionale di Fibrosi Cistica Dipartimento di Pediatria - Università “La Sapienza” Roma
DETERMINAZIONE DELL’UNITA’ RIPETITIVA DEL CEPACIANO TRASLOCATA
NELLO SPAZIO PERIPLASMICO DA UNA FLIPPASI CODIFICATA DAL GENE bceQ
Furlanis L., Corich L., Cescutti P., Foschiatti M., Rizzo R., Dolzani L., Tonin E., Lagatolla C.
Dipartimento di Scienze della Vita, Università degli Studi di Trieste
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COMUNICAZIONI ORALI BATTERIOLOGIA 2 E MISCELLANEA
PATOGENICITÀ ED ANTIBIOTICO-RESISTENZA DI STAPHYLOCOCCUS AUREUS
ISOLATO DA DERMATITE ATOPICA
Cafiso V1, Spina D1, Bertuccio T1, Purrello S1, Vitale S1, Prignano G2, Capitanio B3, Pascolini C2, De
Santis A 2 , Di Carlo A 2 e Stefani S1
1
Dipartimento di Microbiologia e Ginecologia–Università di Catania (CT) e-mail:[email protected];
2
SSO Diagnostiche Microbiologiche, 3SSO Dermatologia Pediatrica-Istituto San Gallicano- IRCCSPolo Dermatologico IFO (RM)
UN MODELLO DI PERSISTENZA IN HELICOBACTER PYLORI IN UN CASO DI CANCRO
GASTRICO
R. Grande, M. Di Giulio, E. Di Campli, S. Di Bartolomeo, L. Cellini
Dipartimento di Scienze Biomediche, Facoltà di Farmacia, Università “G. d’Annunzio” Chieti –
Pescara
STUDIO DELLA FORMAZIONE DI BIOFILM E DELL’ADESIVITA’ A DIFFERENTI
CELLULE EUCARIOTICHE DI CEPPI SENSIBILI AI β-LATTAMICI E DI CEPPI
PRODUTTORI DI β-LATTAMASI
Fugazza G.1, Nucleo E.1, Migliavacca R.1, Spalla M.1, Pagani L.1, Debiaggi M.1
1
Dip. S.M.E.C. sez. di Microbiologia, Univ. di Pavia, Pavia
EFFETTO DEL 3-O-METHYLFUNICONE (OMF) DA PENICILLIUM PINOPHILUM SU
CELLULE STAMINALI DI CANCRO
Buommino E, De Filippis A, Tirino V, *Nicoletti R, Tufano MA.
Dipartimento di Medicina Sperimentale, Sezione di Microbiologia e Microbiologia Clinica, SUN
*C.R.A. – Istituto Sperimentale del Tabacco, Scafati
ATTIVAZIONE PRIMARIA DI LINFOCITI T IN SEGUITO A VACCINAZIONE
MUCOSALE
Medaglini Donata; Ciabattini Annalisa; Pettini Elena.; Pozzi Gianni.
LA.M.M.B, Dip. Biologia Molecolare, Università di Siena, Siena.
IDENTIFICAZIONE E CARATTERIZZAZIONE FUNZIONALE DELLA TOSSINA
CITOLITICA TVSAPLIP-5 DI TRICHOMONAS VAGINALIS
Paola Rappelli, Nicia Diaz, Daniele Dessì, Antonella Mura, Federica Riu, Pier Luigi Fiori
Dipartimento di Scienze Biomediche, Università di Sassari
ATTIVITÀ BATTERICIDA ED ANTI-BIOFILM DI PEPTIDI ANTIMICROBICI VERSO
PATOGENI MULTI-RESISTENTI ISOLATI DA PAZIENTI CON FIBROSI CISTICA.
Di Bonaventura G.,1,2 Pompilio A.,1,2 Picciani C., 1,2 Confalone P.,1,2 Benincasa M.,3 Scocchi M.,3
Fiscarelli E.,4 Piccolomini R.,1,2 Gennaro R.3
1
Dipartimento Scienze Biomediche, Università di Chieti-Pescara.
2
Centro Scienze sull’Invecchiamento, Fondazione Università di Chieti-Pescara.
3
Dipartimento Scienze della Vita, Università di Trieste.
4
Ospedale Pediatrico “Bambin Gesù”, Roma.
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INVASIONE E SOPRAVVIVENZA INTRACELLULARE DI CEPPI DEL BURKHOLDERIA
CEPACIA COMPLEX IN CELLULE DENDRITICHE
Antonietta Lambiase, Emanuela Roscetto, Laura Vitiello, Rosa Muoio, Maria Rosaria Catania,
Mariassunta Del Pezzo, Fabio Rossano
Dipartimento di Biologia e Patologia Cellulare e Molecolare “Luigi Califano”, Università di Napoli
“Federico II”
INDIVIDUAZIONE MOLECOLARE DI BABESIA EU1 E BABESIA DIVERGENS-LIKE IN
ZECCHE IXODES RICINUS RACCOLTE NEL FRIULI-VENEZIA GIULIA.
M. Cinco, R. Floris, Paola Cecco.
Dipartimento Scienze della Vita, Spirochete Laboratory, Univerisità di Trieste.
COMUNICAZIONE CELLULARE NEI BATTERI DEGLI ALIMENTI
Raffaella Di Cagno, Maria De Angelis, Maria Calasso, Fabio Minervini, Marco Gobbetti
Dipartimento di Protezione delle Piante e Microbiologia Applicata,
Università degli Studi di Bari
ANALISI DELLE PROPRIETA’ ADESIVE DI CANDIDA PARAPSILOSIS, CANDIDA
METAPSILOSIS E CANDIDA ORTHOPSILOSIS
Arianna Tavanti, Alessia Bertini, Lambert A.M. Hensgens e Sonia Senesi
Dipartimento di Biologia, Università di Pisa, Pisa
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COMUNICAZIONI ORALI VIROLOGIA
MUTATIONAL RESISTANCE PATTERN OF HIV-1 IN CD14+ MONOCYTES, CD4+
T CELLS AND PLASMA FROM TREATED PATIENTS
Francesca Falasca1, Claudia Montagna1, Francesca Graziano1, Mauro Bucci1, Paola Maida1, Gabriela
d’Ettorre2, Ivano Mezzaroma3, Guido Antonelli1, Ombretta Turriziani1.
1
Department of Experimental Medicine, Virology Section, 2Department of Clinical Medicine,
3
Department of Infectious Diseases, “Sapienza” University of Rome and Policlinico Umberto I, Rome Italy.
STUDIO DELL’ATTIVITÀ TRASCRIZIONALE DI TIMOSINA ALFA 1 (Tα1) SU
LINFOCITI PERIFERICI PROVENIENTI DA PAZIENTI HIV POSITIVI.
Matteucci C.1, Minutolo A.1, Grelli S.1, Macchi B.2, D'Ettorre G3., Vullo V.3, Mastino A.4,5,
Garaci E1.
(1) Dip. di Scienze Biochimiche e Medicina Sperimentale, Università di Roma “Tor Vergata”; (2)Dip.
di Neuroscienze, Università di Roma “Tor Vergata”; (3) Dip. di Malattie Tropicali ed infettive,
Università di Roma Sapienza; (4) Dip. di Scienze della Vita, Sez. di Sc. Microb., Gen e Mol, Univ. di
Messina; (5) IRCCS Centro Neurolesi “Bonino-Pulejo”, Messina.
RUOLO DELLA PROTEINA STAT3 NELLA CARCINOGENESI CUTANEA INDOTTA DA
PAPILLOMAVIRUS UMANI
M. De Andrea1,2, M. Rittà1,2, M. Landini2, C. Borgogna2, M. Mondini2,3, H. Pfister4, E. Marcuzzi4, M.
Baccarini5, M. Gariglio2, S. Landolfo1
1
Dip.to di Sanità Pubblica e Microbiologia, Università degli Studi di Torino, Italia; 2Dip.to di
Medicina Clinica e Sperimentale, Università del Piemonte Orientale “A. Avogadro”, Novara, Italia;
3
NoToPharm S.r.l, Bioindustry Park del Canavese, Colleretto Giacosa - Torino, Italia; 4Institute of
Virology, Università di Colonia, Germania; 5Max F. Perutz Laboratories, Dip.to di Microbiologia e
Immunobiologia, Università di Vienna, Austria.
REACTIVATION OF THE NOVEL KI, WU AND MC POLYOMAVIRUSES IN THE
IMMUNOCOMPROMISED PATIENTS
Muhammed Babakir-Mina 1, Massimo Ciccozzi 2, Massimiliano Bergallo 3, Cristina Costa 3, Rossana
Cavallo 3, Carlo Federico Perno 1, and Marco Ciotti 1
1
Laboratory of Molecular Virology, University Hospital Tor Vergata, Viale Oxford, 81-00133, Rome,
Italy. 2 Department of Infectious, Parasitic and Immunomediated Disease, Istituto Superiore di
Sanita’, Rome, Italy. 3 SCDU Virology, University of Turin, Italy.
ALTERAZIONI DELL’IMMUNITÀ INNATA IN RISPOSTA ALLA INFEZIONE CON
HERPESVIRUS IN PAZIENTI CON SCLEROSI MULTIPLA.
Rotola A., Caselli E., Gentili V., Rizzo R., Sattin E., Cellini A., Cassai E., Di Luca D.
Dipartimento di Medicina Sperimentale Diagnostica, Università di Ferrara INIBITORI DELLE ISTONE DEACETILASI DI CLASSE II RIDUCONO LA
REPLICAZIONE DEL VIRUS INFLUENZALE IN VITRO
Giovanna Simonetti1, Simona Panella1, Lucia Nencioni1, Antonello Mai 2, Enrico Garaci3, Anna
Teresa Palamara1
1
Dip. Scienze di Sanità Pubblica “G.Sanarelli,” 2Dip. Studi Farmaceutici “Sapienza”,
Università di Roma, 3Dip. Medicina Sperimentale, Università di Roma Tor Vergata
DETERMINAZIONE DEI POLYOMAVIRUS KI E WU IN LAVAGGI
BRONCOALVEOLARI DI SOGGETTI ADULTI MEDIANTE UNA REAL TIME PCR
HOME-MADE.
Sara Astegiano, Maria Elena Terlizzi, Cristina Costa, Massimiliano Bergallo, 1Muhammed BabakirMina, 1Carlo Federico Perno, 1Marco Ciotti, Rossana Cavallo.
SCDU Virologia, Azienda Ospedaliera Universitaria San Giovanni Battista, Torino; 1Laboratorio di
Virologia Molecolare, Università di Roma Tor Vergata, Roma.
ANALISI DELLA COMPETENZA FUNZIONALE DI CLONI GENOMICI DI PARVOVIRUS B19
Giorgio Gallinella, Francesca Bonvicini, Elisabetta Manaresi, Giovanna Gentilomi, Simona Venturoli,
Marialuisa Zerbini, Monica Musiani
Dipartimento di Ematologia e Scienze Oncologiche – Microbiologia
Università di Bologna. Via Massarenti, 9 40138 Bologna, Italia
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MODULAZIONE DELL’ESPRESSIONE DI GENI CELLULARI COINVOLTI NEL
PROCESSO INFIAMMATORIO DA PARTE DEI SOTTOTIPI A E C DI HHV-8
Matteoli B1-3, Scaccino A1, Bontempo L1, Broccolo F2, Vatteroni ML3, Ceccherini-Nelli L1-3
1 Dipartimento di Patologia Sperimentale BMIE, Università di Pisa, Pisa
2 Dipartimento di Medicina, Prevenzione e Biotecnologie, Università di Milano-Bicocca, Monza
3 U.O. Virologia, Azienda Ospedaleiro Universitaria Pisana, Pisa
IDENTIFICAZIONE DI NUOVI COMPOSTI PEPTIDICI MULTIMERICI COME
INIBITORI DELL’INFEZIONE DA PAPILLOMAVIRUS UMANI AD ALTO RISCHIO
Manuela Donalisioa, Andrea Giulianib, Giovanna Pirrib, Silvia Fabiole Nicolettob, Donatella
Allemandb, Antonella Bugattic, Marco Rusnatic, Santo Landolfod, David Lemboa.
a
Dipartimento di Scienze Cliniche e Biologiche, Università degli Studi di Torino; bSpider Biotech,
BioIndustry Park, Ivrea; cDipartimento di Scienze Biomediche e Biotecnologia, Università di Brescia;
d
Dipartimento di Sanità Pubblica e di Microbiologia, Università degli Studi di Torino
L’IMMUNIZZAZIONE CON LINFOCITI-T AUTOLOGHI TRASDOTTI EX-VIVO ED
ESPRIMENTI ENV INDUCE ALTI LIVELLI DI ANTICORPI NEUTRALIZZANTI E
CONFERISCE PROTEZIONE CONTRO L’INFEZIONE DA LENTIVIRUS
1
Mauro Pistello, 1Francesca Bonci, 1Elisa Zabogli, 1Francesca Conti, 1Giulia Freer, 1Fabrizio Maggi,
2
Mario Stevenson e 1Mauro Bendinelli
1
Centro Retrovirus e Sezione Virologia, Dipartimento di Patologia Sperimentale, Università di Pisa;
2
Program in Molecular Medicine, University of Massachusetts Medical School, Worcester, MA, USA
ATTIVITÀ ANTIVIRALE DI NUOVI FARMACI INIBITORI DELL’INTEGRASI IN
LINFOCITI E MACROFAGI PRIMARI UMANI ACUTAMENTE INFETTATI DA HIV-1.
Michela Pollicita1, Fernanda Scopelliti1, Francesca Ceccherini Silberstein1, Danilo Armenia1, CarloFederico Perno1, Stefano Aquaro1,2.
1
Dip. di Medicina Sperimentale e Scienze Biochimiche, Univ. di Roma Tor Vergata; 2Univ. della
Calabria, Dip. Farmaco-Biologico.
L’INVECCHIAMENTO MODIFICA LA PERMISSIVITA’ CELLULARE AL VIRUS
INFLUENZALE: RELAZIONE CON LO STATO REDOX
R. Sgarbanti1, K. Aquilano2, S. Piccirillo2, G. Simonetti1, M.R. Ciriolo2, A.T. Palamara1
1
Dip. Sc. San. Pubblica, Sapienza Univ. Roma; 2Dip. di Biologia, Univ. Roma Tor Vergata
STUDIO DELL’ATTIVITÀ ANTIVIRALE DI ANALOGHI DEL RESVERATROLO IN UN
MODELLO SPERIMENTALE IN VITRO DI INFEZIONE DA VIRUS INFLUENZALE A
I. Celestino1,2, L. Nencioni2, R. Di Santo3, R. Costi3, E. Garaci4, A.T. Palamara1,2
1
Ist. Pasteur_Cenci Bolognetti Fond, 2Dip. Sc. San. Pub. e 3Dip. Studi Farmaceutici-Sapienza Univ.
Roma; 4ISS_Roma
SVILUPPO DI UNA REAL TIME REVERSE TRANSCRIPTASE PCR (RRT-PCR) ED
ISOLAMENTO VIRALE NELLA DIAGNOSI DEI VIRUS INFLUENZALI AVIARI H5 E H7
Sidoti Francesca, 1Mandola Maria Lucia, 1Rizzo Francesca, Costa Cristina, Gambarino Stefano,
Astegiano Sara, Callea Stefano, Cavallo Rossana, Bergallo Massimiliano.
SCDU Virologia AOU San Giovanni Battista, Torino
1
Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta, Laboratorio Virologia e
Sierologia virologica, Torino
COMPARISON OF INDIRECT IMMUNOFLUORESCENCE ASSAY (IFA) AND REAL
TIME RT-PCR IN DIAGNOSIS OF HUMAN PARAINFLUENZA VIRUSES.
Maria Elena Terlizzi, Cristina Costa, Stefano Gambarino, Antonio Curtoni, Samantha Mantovani,
Franca Sinesi, Rossana Cavallo, Massimiliano Bergallo.
SCDU Virologia, Azienda Ospedaliera Universitaria S. Giovanni Battista Torino.
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VIREMIA DI TTV IN SOGGETTI IMMUNOCOMPROMESSI: UN NUOVO MARCATORE
DI DISFUNZIONE IMMUNE?
Maggi Fabrizio1, Albani Melania1, Focosi Daniele2, Fiorentini Simona3, Ricci Valentina1, Rocchi
Jara1, Macera Lisa1, Lanini Letizia1, Andreoli Elisabetta1, Bendinelli Mauro1, Rizzardini Giuliano4,
Clerici Mario5, Caruso Arnaldo3, Antonelli Guido6, Pistello Mauro1, Ceccherini-Nelli Luca1
1
Sezione di Virologia e Centro Retrovirus, Dip. di Patologia Sperimentale, Università di Pisa,
2
Divisione di Ematologia, Dip. di Oncologia, dei Trapianti e delle Nuove Tecnologie in Medicina,
Università di Pisa; 3Sezione di Microbiologia, Dip. di Medicina Sperimentale e Applicata, Università
di Brescia; 4Dip. Malattie Infettive, Ospedale Sacco, Milano;5Dip. di Immunologia, Scienze
Precliniche Laboratorio Integrato Tecnologie Avanzate Vialba, Università di Milano; 6Sezione di
Virologia, Dip. di Medicina Sperimentale, “Sapienza” Università, Roma.
DETECTION AND TYPING OF RESPIRATORY VIRUSES AND EVALUATION OF
INTERFERON RESPONSE IN CHILDREN SUFFERING FROM RESPIRATORY VIRUSES
INFECTIONS.
1Trombetti S, 1Scagnolari C, 1Pierangeli A, 1Soldà A, 1Selvaggi C, 1Carbone T, 1Chiavuzzo L,
1Monteleone K, 1Spano L, 2Midulla F, 2Moretti C, 1Antonelli G.
1Virology Section, Dpt of Experimental Medicine; 2Dpt of Pediatrics, Sapienza University, Rome,
Italy.
TERAPIA PRE-SINTOMATICA DELL’INFEZIONE SISTEMICA E POLMONARE DA
CITOMEGALOVIRUS UMANO IN RICEVENTI TRAPIANTO POLMONARE
G. Gernaa, D. Lilleria, V. Rognonia, M. Agozzinob, F. Melonic, T. Oggionnic, C. Pellegrinid, E.
Arbustinib, A.M. D’Arminid
a
Servizio di Virologia, b Servizio di Anatomia Patologica, Fondazione IRCCS Policlinico San Matteo
di Pavia,
c
Malattie dell’Apparato Respiratorio e d Cardiochirurgia, Università degli Studi di Pavia, Pavia,
Italia
STUDIO IN VITRO DELLA CAPACITÀ DI RIASSORTIMENTO DEL NUOVO VIRUS
UMANO DELL’INFLUENZA A DI ORIGINE SUINA H1N1
Simone Giannecchini, Valeria Clausi e Alberta Azzi
Sezione di Virologia, Dipartimento di Sanità Pubblica, Università di Firenze, Firenze
IMPORTANZA DEL SEQUENZIAMENTO GENICO DI DNA PROVIRALE ESTRATTO DA
SANGUE INTERO E DI RNA ESTRATTO DA PLASMA IN SOGGETTI SOTTO
TRATTAMENTO ANTIRETROVIRALE CON BASSI LIVELLI PLASMATICI DI HIVRNA.
R. Santangelo1, S. Marchetti1, S. Di Giambenedetto2, M. Colafigli2, A. Di Franco1, M.Fabbiani2, P.
Cattani1, A. De Luca2, G. Fadda1.
1
Istituto di Microbiologia e 2Istituto di Clinica delle Malattie Infettive, Università Cattolica del Sacro
Cuore, Roma.
PANDEMIA DA NUOVO VIRUS DELL’INFLUENZA A (H1N1)V: IDENTIFICAZIONE DEL
PRIMO CASO ITALIANO E MONITORAGGIO DELLA FASE “DIAGNOSTICA” DI
SORVEGLIANZA
Vatteroni ML, S. Frateschi, A. Scaccino, F. Maggi, P. Mazzetti, B. Matteoli, L. Ceccherini-Nelli U.O. Virologia Universitaria, Dipartimento di Patologia Sperimentale BMIE, AOUP, Pisa
SORVEGLIANZA EPIDEMIOLOGICO-MOLECOLARE DI PATOGENI VIRALI
ATTRAVERSO L’ANALISI DI LIQUAMI URBANI
Giuseppina La Rosa, Marcello Iaconelli, Manoochehr Pourshaban, Valentina Spuri Vennarucci, Marta
Fratini, Michele Muscillo.
Istituto Superiore di Sanità, Roma.
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EFFETTO DI AZIDOVUDINA, NEVIRAPINA ED INDINAVIR SU CELLULE DI
MELANOMA ESPRIMENTI HERV-K, SOTTOPOSTE A CONDIZIONI STRESSANTI DI
CRESCITA.
Balestrieri E.1, Sorrentino R.1, Matteucci C.1, Al Dossary R.1, Spadafora C.2, Garaci E.1, Sinibaldi
Vallebona P.1
(1) Dipartimento di Medicina Sperimentale e Scienze Biochimiche, Università di Roma “Tor
Vergata”; (2) Istituto Superiore di Sanità, Roma.
ALTERATA REGOLAZIONE DEL CICLO CELLULARE INDOTTA DA
CITOMEGALOVIRUS UMANO IN MODELLI CELLULARI PERMISSIVI IN ATTIVA
DIVISIONE O ALLO STADIO TERMINALE DI DIFFERENZIAMENTO
Arcangeletti M.C.1, Germini D.1, Rodighiero I.1, Mirandola P.2, Motta F.1, Dettori G.1, Chezzi C.1
1.Dipartimento di Patologia e Medicina di Laboratorio - Sezione di Microbiologia;
2.Dipartimento di Anatomia Umana, Farmacologia e Scienze Medico-Forensi - Sezione di Anatomia
Umana; Università degli Studi di Parma.
PERSISTENZA DI INFEZIONE DA VIRUS HERPES UMANO DI TIPO 8 (HHV-8) IN
PAZIENTI CON DIABETE DI TIPO 2 (DM2)
Ingianni A.1, Saddi M.1, Reina A.2,Contini P.P.3, Coghe F.4, Pompei R.1 1
Sezione di Microbiologia Applicata, Università di Cagliari. 2Servizio di Immunoematologia,
Ospedale Brotzu di Cagliari. 3Servizio di Diabetologia, Ospedale S. Giovanni di Dio, Cagliari.
4
Laboratorio analisi, Ospedale S. Giovanni di Dio, Cagliari
RUOLO DIFFERENZIALE DEL CITOSCHELETRO NELLA MODULAZIONE DI FASI
PRECOCI DELL’INFEZIONE DEL VIRUS INFLUENZA A/NWS/33 (H1N1) IN MODELLI
CELLULARI DI RENE DI MAMMIFERO
De Conto Floraa, Covan Silviaa, Arcangeletti M.Cristinaa, Gatti Ritab, Orlandini Guidob, Dettori
Giuseppea, Chezzi Carloa.
a
Sezione di Microbiologia - Dipartimento di Patologia e Medicina di Laboratorio; bSezione di
Istologia ed Embriologia Generale - Dipartimento di Medicina Sperimentale. Università degli Studi
di Parma.
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1. ANALISI MICROBIOLOGICA DI CAMPIONI DA TESSUTI MOLLI DI FERITE
LAPAROTOMICHE.
Minutolo M.1, Blandino G.1, Puleo S.2, Minutolo V.2
1
Dipartimento di Scienze Microbiologiche; 2Dipartimento di Scienze Chirurgiche,Trapianti
d’Organo e Tecnologie Avanzate –Università degli Studi di Catania.
2. ASPETTI MICROBIOLOGICI DELLE INFEZIONI INTRA-ADDOMINALI
Amodeo A,Caccamo F, Fichera E, Grassi P.,Grasso E.,Guardo G. Mastrojeni S., Patamia I,
Scriffignano V, Sciacca A., Nicoletti G.
Laboratorio Analisi Az. Policlinico Università Catania
3. BATTERI PATOGENI ISOLATI DA EMOCOLTURE: FREQUENZA E SENSIBILITÀ
AGLI ANTIBIOTICI (2007-2008)
Blandino G, Pisano M, Privitera S, Puglisi S, Nicolosi D, Sciacca A, Nicoletti G.
Dipartimento di Scienze Microbiologiche e Scienze Ginecologiche – Università degli Studi di
Catania
4. ISOLAMENTO DI CHLAMYDOPHILA PNEUMONIAE
NELLE FARINGOTONSILLITI DEGLI ADULTI
C. Bonaccorso, B. Bisignano, R. Timpanaro, A. Stivala.
Dipartimento di Scienze Microbiologiche e Ginecologiche, Università degli Studi di Catania
5. VALUTAZIONE DELLA PRESENZA DI CHLAMYDOPHILA ABORTUS IN TAMPONI
VAGINALI DI DONNE AFFETTE DA PROBLEMI D’INFERTILITÀ
S Appino*, S Rocca*, P Pregel§, L Vincenti§, S Zanetti#
* Dipartimento di Patologia e Clinica Veterinaria, Università di Sassari.
§
Dipartimento di Patologia Animale, Università di Torino
#
Dipartimento di Scienze Biomediche, Università di Sassari.
6. ENDOCARDITE DA STREPTOCOCCUS SANGUINIS SU VALVOLA PROTESICA.
Liberto M.C., Cugnetto G., Caruso E., Filice S., Zicca E., Pulicari M.C., Carrabba A., Puccio R.,
Giancotti A., Matera G., Quirino A., Focà A.
Cattedra di Microbiologia , Università di Catanzaro, via T. Campanella 115, 88100 Catanzaro.
7. TREPONEMA PALLIDUM : UN PATOGENO RIEMERGENTE. CINQUE ANNI DI
ESPERIENZA NELLA DIAGNOSI DI SIFILIDE
B. Pavone, M. Calapai, A. Arena, A. Speranza, G. Stassi e D. Iannello.
U. O. C. di Microbiologia Clinica, A.O.U. G. Martino, Messina.
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8. ISOLAMENTO DI MYCOBACTERIUM BOLLETII E MYCOBACTERIUM PORCINUM
DA PAZIENTI IMMUNO-COMPROMESSI
*
Bonura C.,**Mammina C.,*Calà C.,*Immordino R.,*Pitarresi G.L.,*Lipani G.,*Di Carlo E.,
***
Colomba C.,***Di Carlo P.,*Giammanco A.
Dipartimento di Scienze per la Promozione della Salute, *Sezione di Microbiologia, **Sezione di
Igiene, ***Sezione di Malattie Infettive, Università degli Studi di Palermo
9. VALUTAZIONE DEL T-SPOT. TB
NELL''INFEZIONE TUBERCOLARE
Amodeo A,Caccamo F, Fichera E, Grassi P.,Grasso E.,Guardo G. Mastrojeni S., Patamia I, Scriffignano
V, Sciacca A., Nicoletti G.
Laboratorio Analisi Az. Policlinico Università Catania
10. ELEVATA PREVALENZA DELLA COLONIZZAZIONE DI ARCOBACTER SPP. IN
SOGGETTI ASINTOMATICI CON DIABETE DI TIPO 2.
Fera M.T.1, Russo G.T.2, Orlando A.2, Perdichizzi G.2, La Camera E.3
Dipartimento di Patologia e Microbiologia Sperimentale1, Dipartimento di Medicina Interna2,
Facoltà di Farmacia3, Università di Messina.
11. PRESENZA DI STAFILOCOCCHI METICILLINO-RESISTENTI IN CAMPIONI
ISOLATI DAL CANE
M. Ferretti, E. Colombo, B. Lucchini, P.A. Martino
Dipartimento di Patologia Animale, Igiene e Sanità Pubblica Veterinaria, Sezione di Microbiologia
e Immunologia Veterinaria, Facoltà di Medicina Veterinaria, Università degli Studi di Milano
12. SEDIMENTI MARINI COME RISERVE AMBIENTALI DI VIBRIONI PATOGENI
PER L’UOMO NEL MAR MEDITERRANEO
E. Pezzati1, M.Stauder2, M. Moreno4, M. Fabiano4, L.Pane 3, M.M. Lleò1 ,C. Pruzzo3 , L. Vezzulli3
e “VibrioSea Consortium”.
1
Dipartimento di Patologia, Sezione di Microbiologia, Università di Verona; 2Istituto di
Microbiologia e Scienze Biomediche, Università Politecnica delle Marche, Ancona; 3DIBIO e
4
DIPTERIS, Università di Genova.
13. RUOLO DEL LABORATORIO DI MICROBIOLOGIA NELLA SORVEGLIANZA
DELLE INFEZIONI OSPEDALIERE ISOLAMENTO DI "BATTERI SENTINELLA"
NEGLI ANNI 2006-2009
Amodeo A,Caccamo F, Fichera E, Grassi P.,Grasso E.,Guardo G. Mastrojeni S., Patamia I,
Scriffignano V, Sciacca A., Nicoletti G.
Laboratorio Analisi Az. Policlinico Università Catania
14. SIEROLOGIA DELLA SIFILIDE: SIEROPREVALENZA IN UNA POPOLAZIONE
SELEZIONATA E CONSIDERAZIONI METODOLOGICHE SUL TEST EUROLINEWB
Amodeo A,Caccamo F, Fichera E, Grassi P.,Grasso E.,Guardo G. Mastrojeni S., Patamia I, Scriffignano
V, Sciacca A., Nicoletti G.
Laboratorio Analisi Az. Policlinico Università Catania
15. VALUTAZIONE COMPARATIVA DI METODI PER LA DIAGNOSI DELLA
SIFILIDE
Dott.ssa Daniela Zanella, Direttore struttura complessa Ospedale di Susa - Giaveno - Avigliana
Dott.ssa Laura Becchio, Dirigente biologo
Michela Didero, tirocinante del corso di laurea in Tecniche di laboratorio biomedico
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16. CARATTERIZZAZIONE DI STIPITI DI STAPHYLOCOCCUS AUREUS
METICILLINO-RESISTENTI CON SCCmec DI TIPO IVa ISOLATI IN OSPEDALI
PALERMITANI
*
Bonura C.,**Mammina C.,**Plano M.R.A.,*Calà C.,*Amato T., *Distefano S., *Virruso R., *Vella
A., ***Di Carlo P.,*Giammanco A.
Dipartimento di Scienze per la Promozione della Salute “G.D’Alessandro”, *Sezione di
Microbiologia, **Sezione di Igiene, ***Sezione di Malattie Infettive, Università degli Studi di Palermo
17. CARATTERIZZAZIONE MOLECOLARE DI CEPPI DI STREPTOCOCCUS
PYOGENES ISOLATI DA PAZIENTI CON FARINGOTONSILLITE E DA PORTATORI
Blandino G. 1, Musumeci R.2, Puglisi S. 1, Fazio D. 1, Speciale A. 1
1
Dipartimento di Scienze Microbiologiche e Scienze Ginecologiche – Università di Catania.
2
Dipartimento di Medicina Clinica e Prevenzione – Università di Milano-Bicocca, Monza.
18. ALLESTIMENTO DI UN METODO DI IDENTIFICAZIONE RAPIDA E
SAGGIO DI SUSCETTIBILITÀ ANTIMICROBICA DI COCCHI GRAM-POSITIVI IN
EMOCOLTURE PER INOCULO DIRETTO NEL SISTEMA
AUTOMATIZZATO PHOENIX
Antonella Lupetti,1* Simona Barnini,1 Barbara Castagna,1 Peter H. Nibbering,2 and Mario Campa1
1
Dipartimento di Patologia Sperimentale, Biotecnologie Mediche, Infettivologia ed Epidemiologia,
Università di Pisa, Pisa
2
Center of Infectious Diseases, Dept. of Infectious Diseases, Leiden University Medical Center,
Leiden, Olanda.
19. CARATTERIZZAZIONE DI ENTEROBATTERI VIM PRODUTTORI ISOLATI IN
QUATTRO OSPEDALI ITALIANI
Nucleo E.1, Migliavacca R.1, Spalla M.1, Fugazza G.1, Daturi R.2, Navarra A.3, Labonia M. 4,
Vismara C.5, Micheletti P.6, Pagani L.1.
1
Dip. S.M.E.C. Sez. di Microbiologia, Università di Pavia, 2Servizio Analisi Microbiologiche IRCCS
S. Matteo, Pavia; 3Lab. di Microbiologia, IRCCS S. Maugeri, Pavia; 4IRCCS Casa Sollievo della
Sofferenza, San Giovanni Rotondo (FG); 5Lab. Microbiologia, Fondazione IRCCS Istituto Tumori;
6
Dip. Medicina Sperimentale, Università di Pavia.
20. IDENTIFICAZIONE DI MICOBATTERI DA CAMPIONI DI LATTE
Simula G*, Cubeddu M**, Ruggeri M**, Molicotti P**, Mura A***, Bua A**, Sechi LA**,
Mantero G*, Zanetti S**.
* Isogem S.R.L. Porto Conte Ricerche; **Dipartimento Scienze Biomediche Università di Sassari;
***Azienda Sanitaria Locale N.2 di Olbia
21. ANALISI DEI BATTERI PRESENTI IN SEDIMENTI MARINI RACCOLTI NEL MAR
LIGURE: MESSA A PUNTO DI SAGGI MOLECOLARI BASATI SULLA REAL-TIME
PCR
Vezzulli L.1, Pezzati E.2, Moreno M.3, Stauder M.4, Schito G.C.5, e Pruzzo C.1
DIBIO, Università di Genova1, Dip.Patologia, Università di Verona2, DIPTERIS Università di
Genova3, Ist. Microbiologia e Scienze Biomediche, Università Politecnica delle Marche, Ancona4, e
DISCMIT Sezione di Microbiologia, Università di Genova5
22. SIERODIAGNOSI DI INFEZIONI A TRASMISSIONE VERTICALE MEDIANTE
MICROARRAY PROTEICO
Ardizzoni A., Baschieri M.C., Manca L., Cuoghi A., Cermelli C., Peppoloni S., Blasi E.
Dip. Scienze di Sanità Pubblica, Università di Modena e Reggio Emilia.
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23. STUDIO DELL’ESPRESSIONE DI GENI DI VIRULENZA IN CEPPI DI
LISTERIA MONOCYTOGENES DI DIVERSA ORIGINE
Valentina Alessandria, Kalliopi Rantsiou, Luca Cocolin
Di.Va.P.R.A - Settore di Microbiologia Agraria e Tecnologie Alimentari, Facoltà di Agraria,
Università di Torino
24. PORINA P2 DI HAEMOPHILUS INFLUENZAE REGOLA L’ESPRESSIONE DI
MOLECOLE DI ADESIONE E DI CITOCHINE PROINFIAMMATORIE IN ASTROCITI
UMANI DI LINEA
Emiliana Finamore, Maria Rao, Aikaterini Kampanaraki, Paolo Bevilacqua, Eleonora Mignogna,
Novella Incoronato, Marilena Galdiero
Dipartimento di Medicina Sperimentale, Sez. di Microbiologia e Microbiologia Clinica, Facoltà di
Medicina e Chirurgia, Seconda Università degli Studi di Napoli
25. MAPPA PROTEICA INDOTTA DALL’ATTIVAZIONE DA LOOP 7 DELLA PORINA
P2 DI HAEMOPHILUS INFLUENZAE IN MONOCITI UMANI DI LINEA
Mariateresa Vitiello1, Angela Chambery2, Valeria Severino2, Stefania Galdiero3, Marco Cantisani3,
Augusto Parente2, Massimiliano Galdiero1
1
Dipartimento di Medicina Sperimentale, Sezione di Microbiologia e Microbiologia Clinica,
Seconda Università di Napoli
2
Dipartimento di Scienze della Vita, Seconda Università di Napoli
3
Dipartimento di Scienze Biologiche & CIRPEB, “Università di Napoli Federico II”
26. ANALISI DELLA RISPOSTA CELLULARE INDOTTA DA PORINE ED LPS DI
SHIGELLA FLEXNERI IN CELLULE CACO-2
Grimaldi E., Perfetto B., Melito A., Donnarumma G.
Dipartimento Di Medicina Sperimentale Sez. Microbiologia e Microbiologia Clinica – Seconda
Università degli Studi di Napoli.
27. ESPRESSIONE DELLE ACQUAPORINE IN RELAZIONE ALLA PATOGENICITÀ
BATTERICA
Melito A.°, Perfetto B.°, Fusco A.°, Albano E.°, Braca A.*, Cartenì M.*, Tufano M.A°.
°Dipartimento Di Medicina Sperimentale Sez. Microbiologia e Microbiologia Clinica
*Dipartimento Di Medicina Sperimentale Sez. Biotecnologie
Seconda Università degli Studi di Napoli
28. DISTRIBUTION AND RELEVANCE OF SECRETION SYSTEMS IN Pseudomonas
aeruginosa ISOLATED FROM ACUTE INFECTIONS
Giovanna Scalet$*, Dinesh D. Sriramulu* and Olivier Jousson*
*CIBIO, University of Trento, Via delle Regole 101, Mattarello (TN) 38060, Italy
$
Pathology Department-Microbiology section, University of Verona, Strada Le Grazie 8 37134
Verona-Italy
29. CARATTERIZZAZIONE E ANALISI DELL’ESPRESSIONE DELL’OPERONE
GROESL DI STENOTROPHOMONAS MALTOPHILIA
De Carolis E.1, Prosseda G.2, Florio A. R..1, Renzetti Lorenzetti S.1, Posteraro B.1, Fadda G.1,
Colonna B.2, Sanguinetti M.1
1
Istituto di Microbiologia, Università Cattolica del Sacro Cuore, Roma e 2Dipartimento di Biologia
Cellulare e dello Sviluppo, Università La Sapienza, Roma.
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30. ANALISI DI ESCHERICHIA COLI ISOLATI DA PAZIENTI AFFETTI DA MORBO DI
CROHN.
T. Raso, S. Crivellaro, M.G. Chirillo*, P. Pais,** E. Gaia,** D. Savoia
Dipartimento di Scienze Cliniche e Biologiche, Facoltà di Medicina e Chirurgia
S. Luigi Gonzaga, Università di Torino
* Laboratorio, Ospedale S. Luigi Gonzaga, Orbassano (TO)
** Divisione di Gastroenterologia, Ospedale S. Luigi Gonzaga, Orbassano (TO)
31. EPIDEMIOLOGIA MOLECOLARE DEI CEPPI DI ESCHERICHIA COLI
PRODUTTORI DI B-LATTAMASI A SPETTRO ESTESO ISOLATI DA PAZIENTI CON
BATTERIEMIA
Rosaria Porta, Paola Cerini, Barbara Fiori, Rosa Martucci, Tiziana D’Inzeo, Maurizio Sanguinetti,
Teresa Spanu, Giovanni Fadda
Istituto Microbiologia, Università Cattolica del Sacro Cuore, Roma
32. INCIDENZA ED ECOLOGIA DI ESCHERICHIA COLI STEC (SHIGA LIKE TOXIN
PRODUCING E. COLI) IN PRODOTTI ALIMENTARI TRADIZIONALI
Kalliopi Rantsiou e Luca Cocolin
DI.VA.P.R.A., Sezione di Microbiologia Agraria e Tecnologie Alimentari, Facoltá di Agraria,
Universitá di Torino, tel. 011/6708553, fax 011/6708549, email: [email protected]
33. EXTRACELLULAR PROTEOMIC ANALYSES ON TWO ENTEROCOCCUS
FAECALIS STRAINS ISOLATED FROM A CHEESE AND FROM AN HOSPITAL
PATIENT HIGHLIGHT DIFFERENT PATHOGENICITY GRADE
Pessione A1, Barbiero I1, Lamberti C1, Riedel K2, Eberl L2, Bonetta S3, Andrini L4, Ferlini M4,
Giunta C1, Pessione E1
1
Human and Animal Biology Department, University of Torino, Torino, Italy
2
Department of Microbiology, University of Zurich, Zurich, Switzerland
3
Life and Science Department, University of Piemonte Orientale, Alessandria, Italy
4
Microbiology Laboratory, Hospital Mauriziano, Torino, Italy
34. VALUTAZIONE DEL SISTEMA MALDI-TOF-MS PER LA IDENTIFICAZIONE DI
CEPPI DI STAPHYLOCOCCUS SPP. RESPONSABILI DI BATTERIEMIA
B. Fiori, E. De Carolis, T. Spanu, B. Posteraro, T. D’Inzeo, R. Porta, M. Sanguinetti, G. Fadda
Istituto di Microbiologia, Università Cattolica del Sacro Cuore, Roma
35. ASPETTI MOLECOLARI DELLA FORMA PERSISTENTE DI CHLAMYDIA
PNEUMONIAE
De Santis F., Schiavoni G., Di Pietro M., De Biase D.1, Tramonti A.2 , Zagaglia C., del Piano M.,
Sessa R.
Dipartimento di Scienze di Sanità Pubblica e 1Dipartimento di Scienze Biochimiche, Sapienza
Università di Roma ; 2Istituto di Biologia e Patologia Molecolare CNR, Roma
36. STUDIO DELL’ESPRESSIONE GENICA DELLA FAMIGLIA DI PROTEINE
PPE-MPTR IN MYCOBACTERIUM TUBERCULOSIS.
Soldini S., Palucci I., Sali M., Fadda G., Delogu G.
Istituto di Microbiologia, Università Cattolica del Sacro Cuore, Roma
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37. LE PROTEINE PE_PGRS30 E PE_PGRS26 SONO ESSENZIALI PER LA PIENA
VIRULENZA DI M. TUBERCULOSIS.
Iantomasi R. 1, Palucci I. 1, Zumbo A. 1, Soldini S. 1, Sali M. 1, Cascioferro A. 2, Fadda G. 1,
Manganelli R. 2, Delogu G. 1
1
Istituto di Microbiologia, Università Cattolica del Sacro Cuore, Roma
2
Dipartimento di Istologia, Microbiologia e Biotecnologie Mediche, Università di Padova.
38. CARATTERISTICHE DI CEPPI DI VIBRIO ALGINOLYTICUS ISOLATI DA ACQUE
COSTIERE DEL MAR LIGURE
Debbia E.1, Schito A.M.1, Pruzzo C.2 e Schito G.C.1
DISCMIT, Sezione di Microbiologia1 e DIBIO2, Università di Genova
39. PERSISTENZA DI VIBRIO CHOLERAE EL TOR NELLE ACQUE: RUOLO DELLA
TEMPERATURA SULL’ESPRESSIONE GENICA DELLE ADESINE GBPA E MSHA.
M. Stauder1, E. Pezzati2, B. Repetto2, C. Pruzzo3, P. E. Varaldo1, L. Vezzulli3. Istituto di
Microbiologia e Scienze Biomediche, Università Politecnica delle Marche, Ancona1, Dipartimento
di Patologia, Sezione di Microbiologia, Università di Verona2, Dipartimento di Biologia,
Università di Genova3
40. IDENTIFICAZIONE DI CICLOMODULINE IN ESCHERICHIA COLI ISOLATI DA
ANIMALI
Sara Salvarani, Clara Tramuta, Patrizia Nebbia, Patrizia Robino
Dipartimento di Produzioni animali, Epidemiologia ed Ecologia, Facoltà di Medicina Veterinaria,
Università di Torino, Italia.
41. DIFFERENTE RISPOSTA DELLE CELLULE MICROGLIALI BV-2 VERSO
MICOBATTERI PATOGENI
Molicotti P* , Bua A*, Usai D*, Cannas S*, Sechi LA*, Blasi E**, Zanetti S*.
*Dipartimento Scienze Biomediche, Università di Sassari, ** Dipartimento di Scienze e di Sanità
Pubblica Università di Modena e Reggio Emilia
42. PREVALENZA DI DETERMINANTI DI RESISTENZA PLASMIDICI AI
FLUOROCHINOLONI IN CEPPI DI ESCHERICHIA COLI DI ISOLAMENTO URINARIO
1
R. Musumeci, 1D. Migliarino, 1A. Cialdella, 1B. Sibra, 2G. Giltri, 2S. Bramati e 1C.E. Cocuzza
1
Laboratorio di Microbiologia, Facoltà di Medicina e Chirurgia – Università di Milano-Bicocca
2
Unità di Microbiologia, Azienda Ospedaliera San Gerardo – Monza
43. NON PATHOGENIC VIBRIO ENVIRONMENTAL STRAINS CARRYING
VIRULENCE, FITNESS AND ANTIBIOTIC RESISTENCE GENES
M. Gennari, V.Ghidini, M.C Tafi, M.M. Lleo’
Department Of Pathology, Section Of Microbiology, University Of Verona, Verona, Italy.
44. CARATTERIZZAZIONE DEL MICROBIOTA FECALE E PROFILI METABOLICI IN
PAZIENTI CON FIBROSI CISTICA
Totino V.1, Iebba V.1, Macone A.3,Conte MP.1, Lepanto M.1, Proietti Checchi M.1, Aleandri M.1, Longhi C.1,
Matarese RM.3, Quattrucci S.2, Schippa S.1
1Dipartimento di Scienze e Sanità Pubblica, Sapienza Università di Roma;
2 Dipartimento di Pediatria, Policlinico Umberto I, Sapienza Università di Roma;
3 Dipartimento di Scienze Biochimiche, Sapienza Università di Roma
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45. FATTORI DI VIRULENZA E VARIABILITA’ GENETICA DEI CEPPI DI
ESCHERICHIA COLI UROPATOGENI ISOLATI DA CANI E GATTI
Tramuta C.1, Robino P. 1, Nucera D. 2, Salvarani S. 1, Nebbia P. 1
1
Dipartimento di Produzioni animali, Epidemiologia ed Ecologia, Università di Torino;
2
Dipartimento di Patologia animale, Università di Torino.
46. MIGLIORAMENTO DELLE PROPRIETÀ CATALITICHE DELLA CATECOLO 1,2
DIOSSIGENASI E SUA IMMOBILIZZAZIONE PER UN’APPLICAZIONE AMBIENTALE
R. Caglio1, F. Valetti1, C. Micalella2, S. Bruno2, A. Mozzarelli2, E. Pessione1, C. Giunta1
1
Dipartimento di Biologia Animale e dell’Uomo, Università degli Studi di Torino, Italia.
2
Dipartimento di Biochimica e Biologia Molecolare, Università degli Studi di Parma, Italia.
47. ISOLAMENTO DI CEPPI BATTERICI DA PRODOTTI AGRO-ALIMENTARI
PIEMONTESI CON ATTIVITA’ ANTAGONISTA VERSO MICRORGANISMI
PATOGENI E ALTERANTI
Dal Bello Barbara, Rantsiou Kalliopi, Ambrosoli Roberto, Zeppa Giuseppe, Cocolin Luca
Di.Va.P.R.A - Settore di Microbiologia agraria e Tecnologie alimentari, Facoltà di Agraria,
Università di Torino.
48. POTENZIALITÀ APPLICATIVE DI SUPERNATANTI CONCENTRATI DI COLTURE
LATTICHE PER L’INIBIZIONE DI ALCUNI PATOGENI DI INTERESSE
ALIMENTARE
FerriniA.M*.,
Aureli
P*.
,
Pontieri
E.**,
De
Paolis
L.**,Oliva
B.**
* Istituto Superiore di Sanità; Dip. Sanità Pubblica Veterinaria e Sicurezza Alimentare; Rome, Italy
**Università degli Studi dell’Aquila; Dip. Medicina Sperimentale; L’Aquila, Italy
49. RUOLO DI CAGA, VACA E HSPB DI HELICOBACTER PYLORI NELLA
MODULAZIONE
DELLA
RISPOSTA
INFIAMMATORIA
E
NELLA
TRASFORMAZIONE NEOPLASTICA DI CELLULE GASTRICHE UMANE.
Silvestri F, Buommino E, °Manente L, Brancato V, Petrazzuolo M, °De Luca A., Tufano M.A.
Dipartimento di Medicina Sperimentale, Sezione di Microbiologia e Microbiologia Clinica,
°Dipartimento di Medicina Pubblica, Clinica e Preventiva. Facoltà di Medicina e Chirurgia,
Seconda Università degli Studi di Napoli
50. LIPOLYTIC ACTIVITY DETECTION AND LOCALIZATION IN
ACINETOBACTER RADIORESISTENS S13
Riva Violetta M.1, Riedel K.2, Fattori P., Mazzoli R.1 Giuffrida G.3, Giunta C. 1,Pessione E 1.
1
Università di Torino, Lab. Biochimica e Proteomica dei microrganismi (DBAU)
2
University of Zurich, dep. of Microbiology
3
CNR-ISPA Bioindustry park Canavese
51. ARGININE MODULATION OF BIOGENIC AMINE PRODUCTION IN LACTIC ACID
BACTERIA
1
C. Lamberti, 1M. Purrotti, 1A. Pessione, 1M. Dufour, 2J.D. Coisson, 3V. Laroute, 1C. Giunta and 1E.
Pessione.
1
Dipartimento di biologia Animale e dell'Uomo, Università di Torino. Torino
2
Dipartimento di Scienze dell'Ambiente e della Vita. Università del Piemonte Orinetale. Novara
3
Laboratoire Biotechnologie-Bioprocédés- INSA Toulouse. Toulouse. France.
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52. SELECTION OF OMEGA-OXIDANT STRAINS ON ALIPHATIC SUBSTRATES TO
OBTAIN BIOPOLYMERS FROM WASTE.
Zapponi M.1, Fattori P.1, Mazzoli R.1, Riva Violetta M.1, Pessione E.1, Cocolin L.2 and Giunta C.1
1. Università degli Studi di Torino, Lab. Proteomica e Biochimica dei Microrganismi, DBAU
2.
Di.Va.P.R.A., via Leonardo daVinci 44, 10095 Grugliasco, Italy.
53. SEQUENTIAL STRATEGIES FOR OBTAINING PURE LACTIC ACID ISOMERS
STARTING FROM CELLULOSIC WASTES.
1
P. Fattori, 1R. Mazzoli, 1M. Zapponi, 1C. Giunta and 1E. Pessione.
1
Università degli Studi di Torino, Lab. Proteomica e Biochimica dei Microrganismi, DBAU
54. PRELIMINARY PROTEOMIC INVESTIGATION ON METAL-CHELATING LACTIC
ACID BACTERIA
Mangiapane E1, Lamberti C1, Genovese F1, Pessione A1, Pessione E1, Giunta C1
1
University of Torino, Department of Human and Animal Biology, Via Accademia Albertina 13,
10123, Torino, Italy
55. BIORECUPERO DI BENI CULTURALI: POSSIBILE IMPIEGO DI MATRICI
ORGANICHE ESTRATTE DA BATTERI CALCIFICANTI
C. Ercole, P. Bozzelli, *F. Altieri, P. Cacchio, M. Del Gallo, A. Lepidi
Dip. di B.B.A., Università degli Studi dell’Aquila, (Italy), *Dip. di Sc. Bioch., Università La
Sapienza di Roma (Italy)
56. ANALISI GENOMICA E FENOTIPICA DEL METABOLISMO DEI BETAGLUCOSIDI IN PNEUMOCOCCO
Mulas Laura1, Stefania Arioli2, Diego Mora2, Enrico Tatti3, Carlo Viti3, Gianni Pozzi1, Marco R.
Oggioni1
1
Lab. Microbiologia Molecolare e Biotecnologia, Dip. Biologia Molecolare, Università di Sien.
2
DiSTAM, sez. Microbiologia Industriale, Università di Milano
3
Dipartimento di Biotecnologie Agrarie, Università di Firenze
57. ADESIONE BATTERICA SU DIVERSI POLIETILENI PROTESICI IN RELAZIONE
ALLE SPECIFICHE PROPRIETÀ CHIMICO-FISICHE DEGLI STESSI
Valeria Allizond, Giuliana Banche, Michele Boffanoa, Alessandro Bistolfia, Elena Brach Del
Prevera, Pierangiola Braccob, Janira Roana, Narcisa Mandras, Vivian Tullio E Anna Maria Cuffini
Dipartimento di Sanità Pubblica e Microbiologia, Università degli Studi di Torino
a
Dipartimento di Ortopedia, Traumatologia e Medicina del Lavoro - AO CTO/Maria Adelaide,
Università degli Studi di Torino
b
Dipartimento di Chimica IFM, Università degli Studi di Torino
58. MECCANISMI MOLECOLARI COINVOLTI NELL’INTERAZIONE TRA
P.fluorescens AF181 E CELLULE A549
Fusco A, Donnarumma G, Paoletti I, , Metta G, Tufano MA
Dipartimento di Medicina Sperimentale, Sezione di Microbiologia e Microbiologia Clinica, Facoltà
di Medicina e Chirurgia, Seconda Università degli Studi di Napoli
59. IL BIOFILM PRODOTTO DA BURKHOLDERIA CEPACIA COMPLEX NELLE
INFEZIONI POLMONARI CRONICHE DI PAZIENTI AFFETTI DA FIBROSI CISTICA
Corich L., Furlanis L., Dolzani L., Tonin E., Lagatolla C.
Dipartimento di Scienze della Vita, Università degli Studi di Trieste
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60. CONTROLLO DELLA CRESCITA E FORMAZIONE DI BIOFILM SU FILM
POLIMERICI CONTENENTI NISINA.
Antonia Nostro1, Manuela D'Arrigo1, Roberto Scaffaro2, Giovanna Ginestra1, Luigi Botta2,
Andreana Marino1 e Giuseppe Bisignano1
1
Dipartimento Farmaco-Biologico, Università degli Studi di Messina,
2
Dipartimento di Ingegneria Chimica dei Processi e dei Materiali, Università degli Studi di
Palermo.
61. COMPORTAMENTO ADESIVO DI STAFILOCOCCHI COAGULASI NEGATIVI
ISOLATI DA FORMAGGI ITALIANI
L. Selan (1), R. Papa (1), C. Avanzolini (1), A. Cellini (1), E. Mileto (1), T. Bertuccio (2), V. Cafiso
(2), S. Stefani (2), P. S. Cocconcelli (3), M. Artini (1) G. L. Scoarughi (1)
1) Università degli Studi La Sapienza, Roma
2) Università degli Studi di Catania, Catania
3) Università Cattolica, Piacenza
62. ANALISI PROTEOMICA DEL BIOFILM FORMATO DA UN CEPPO DI
STENOTROPHOMONAS MALTOPHILIA ISOLATO DA FIBROSI CISTICA
Carla Picciani,1,2 Barbara Pavone,1,2 Elena De Carolis,3 Domenico Ciavardelli,1,2 Arianna
Pompilio,1,2 Gioviana Masciarelli,1,2 Andrea
Urbani,2,4 Maurizio Sanguinetti,3 Raffaele
Piccolomini,1,2 Giovanni Di Bonaventura1,2
1
Dipartimento di Scienze Biomediche, Università di Chieti-Pescara.
2
Centro Scienze sull’Invecchiamento, Fondazione Università di Chieti-Pescara.
3
Università Cattolica del Sacro Cuore, Roma
4
IRCCS-Fondazione Santa Lucia, Centro Europeo di Ricerca sul Cervello, Roma
63. I MATERIALI LEGNOSI UTILIZZATI NELL’INDUSTRIA LATTIERO-CASEARIA
PROMUOVONO LA FORMAZIONE DI BIOFILM DI S.AUREUS
Cafiso V1, Bertuccio T1, Spina D1, Purrello S1, Vitale S1, Carpino S2, Scoarughi GL3, Papa R3,
Cocconcelli PS4, Artini M3, Selan L3 and Stefania Stefani1
1
Dipartimento di Microbiologia, Università di Catania. [email protected] -2CoRFiLaC-Regione
Siciliana- Ragusa – Università La Sapienza, Roma – 4 Universita Cattolica, Piacenza. Italia
64. VALUTAZIONE DELL’ANTIBIOTICO RESISTENZA DI STAPHYLOCOCCUS
AUREUS IN FORMA PLANCTONICA E DI BIOFILM
Cafiso V, Bertuccio T, Spina D, Purrello S, Vitale S e Stefani S
Dipartimento di Microbiologia e Ginecologia–Università di Catania- via Androne 81–Catania
tel.095-2504742 e-mail:[email protected]
65. RUOLO DI CADF NEL MANTENIMENTO DELLE PROPRIETÀ ADESIVE NELLE
FORME VBNC DI CAMPYLOBACTER JEJUNI
Baffone W1., Patrone V1., Campana R1., Vallorani L2., Dominici S2., Federici S1., Casadei L3.,
Gioacchini A.M3 e Stocchi V3.
1
Dipartimento di Scienze Biomolecolari, Sezione di Scienze Tossicologiche Igienistiche ed
Ambientali;
2
Dipartimento di Scienze Biomolecolari, Sezione di Biochimica e Biologia Molecolare;
3
Dipartimento di Scienze Biomolecolari, Sezione di Scienze Motorie e della Salute.
Università degli Studi di Urbino “Carlo Bo”, Urbino
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66. SIGNIFICATIVA CORRELAZIONE TRA LA PRESENZA DEI GENI ICA, LA
PRODUZIONE DI BIOFILM E LA MULTI-RESISTENZA AGLI ANTIBIOTICI DI CEPPI
DI STAPHYLOCOCCUS EPIDERMIDIS ISOLATI DA CATETERE VENOSO CENTRALE
M. Cavallo1,2, F. Pagliai1,2, M. Rinaldi1,2, S. Andreoni3, G. Fortina3 e M.G. Martinotti1,2.
1
DiSCAFF – Università degli Studi del Piemonte Orientale “A. Avogadro” (Novara); 2DFB Center
(Novara); 3Azienda Ospedaliera “Maggiore della Carità” (Novara)
67. ANALISI DELL’ESPRESSIONE GENICA DELLE UROPLACHINE IN MODELLI
PRE-CLINICI DI VESCICA NEUROLOGICA.
Sferra D.1, Paterniti I.3, Scarselli P.2, Genovese T.3, Aiello C1., Milasi A1 Notartomaso S.1, Cece
G.1, Di Buono M.1, Cuzzocrea S.3 and Di Marco R.1.
1
Dipartimento di Scienze per la Salute, Università del Molise - Campobasso
2
Istituto Neurologico Mediterraneo Neuromed - Pozzilli (IS)
3
Dipartimento clinico Sperimentale di Medicina e Farmacologia , Università di Messina - Messina
68. RUOLO DELLA IL-17A SULLA PRODUZIONE DI IFN-γ IN CELLULE T CD4+
INFETTATE CON HELICOBACTER PYLORI.
Giovanna Stassi, Bernadette Pavone, Domenica Gazzara, Gaetano Costa, Daniela Iannello,
Adriana Arena.
Dipartimento di Discipline Chirurgiche sez. Microbiologia, Policlinico Universitario, Università di
Messina.
69. IL RUOLO DELLA PSEUDOMONAS AERUGINOSA NEL RILASCIO DI MEDIATORI
INFIAMMATORI DA PARTE DI CELLULE MONONUCLEATE UMANE
Rizzo A, Sorrentino S, Mazzola N, Paolillo R, Romano Carratelli C.
Dipartimento di Medicina Sperimentale Sezione di Microbiologia e Microbiologia Clinica Facoltà di Medicina e Chirurgia Seconda Università Studi di Napoli.
70. ALTERAZIONI FUNZIONALI E FENOTIPICHE DEI POLIMORFONUCLEATI
NELLA SINDROME DI SEZARY
Giuliana Banche, Maria Teresa Fierro*, Mauro Novelli*, Valeria Allizond, Alessandra
Comessatti*, Pietro Quaglino*, Daniela Scalas, Chiara Merlino, Maria G. Bernengo* E Anna Maria
Cuffini
Dip. Sanità Pubblica e Microbiologia, *Dip. Scienze Biomediche e Oncologia Umana – sez.
Dermatologia, Università degli Studi di Torino
71. HBHA COULD BE DISCRIMINATE BETWEEN ACTIVE AND LATENT TUBERCULAR
INFECTION?
Bua A1, Molicotti P1, Ruggeri M1, Pirina P2, Mura MS3, Delogu G4, Fortis C5, Zanett S1.
1
Department of Biomedical Science University of Sassari. 2Clinic of Respiratory Diseases,
University of Sassari. 3Institute of Infectious Diseases, Sassari. 4Institute of Microbiology, Catholic
University, Rome.
5
Scientific Institute San Raffaele of Milan
72. UN VETTORE EPISOMALE CONTENENTE IL GENE ECTO-5’-NUCLEOTIDASI
F. Monica Cavaliere, Carmen Cimmino
Dipartimento di Biologia Cellulare e dello Sviluppo, Università “La Sapienza”, Roma
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73. INVOLVEMENT OF THE AXL/GAS6 PATHWAY IN THE TLR-MEDIATED
IMMUNE RESPONSE
Scutera S.1, Fraone T. 2, Rossi S., Daniele R. 1, Zucca M.3 and Musso T. 1
1
Dept. of Public Health and Microbiology, University of Torino
2
Dept. of Medicine and Experimental Oncology, University of Torino
3
Dept. of Clinical and Biological Sciences, University of Torino, Italy
74. INFEZIONI BATTERICHE E ANTIBIOTICO-RESISTENZA IN UNA
POPOLAZIONE DI PAZIENTI
SOTTOPOSTI A TRAPIANTO DI RENE E RENE-PANCREAS
Veroux M, Scriffignano V, Giuffrida G, Gagliano M, Grassi P, Giaquinta A, Grasso E , Corona D,
Gona F, Amodeo A, Tallarita T, Guardo G, Veroux P. Sciacca A, Nicoletti G.
Dipartimento di Scienze Chirurgiche, Trapianto di organi e tecnologie avanzate, Centro
Trapianti d'Organo, Azienda Policlinico Università di Catania
75. RUOLO DELL’ERITROMICINA SULLA RISPOSTA DEI PMN NEI CONFRONTI DI
STREPTOCOCCUS PYOGENES ERITROMICINO-RESISTENTI
Nicola Carlone, Vivian Tullio, Giuliana Banche, Valeria Allizond, Narcisa Mandras, Daniela
Scalas, Janira Roana, Deborah Greco E Anna Maria Cuffini
Dipartimento di Sanità Pubblica e Microbiologia, Università degli Studi di Torino
76. DATI PRELIMINARI SULLE MODIFICAZIONI DI ALCUNI PARAMETRI DEL
SISTEMA IMMUNITARIO UMANO INDOTTE DAL TRATTAMENTO CON CEFACLOR
Di Marco R. 1, Meloscia A. 1., Sferra D. 1., Di Zazzo E. 1, Russo R2., Costanzo C. M 2., Scalia G2.,
Nicoletti G. 2
1
Dipartimento di Scienze per la Salute, Università degli Studi del Molise - Campobasso
2
Dipartimento di Scienze Microbiologiche e Scienze Ginecologiche; Università degli Studi di
Catania, Laboratorio
centralizzato, Azienda Ospedaliero-Universitaria Policlinico “G. Rodolico” di Catania
77. VALUTAZIONE DEI POTENZIALI EFFETTI IMMUNO-MODULANTI DEL
CEFACLOR: STUDIO IN VIVO DELLA CHEMIOTASSI.
Quattrocchi C.2, Aiello C.2 Notartomaso. S.1, Sferra D1. , Di Rosa M2, Mangano K.2, Di Buono
M.1, Cece G.1, Fagone P.2, Di Marco R.1
1
Dipartimento di Scienze per la Salute, Università del Molise – Campobasso
2
Dipartimento Scienze Biomediche, Università di Catania - Catania
78. VALUTAZIONE DELL’ATTIVITA’ DELLA RIFAMICINA SV IN RATTI CON
COLITE INDOTTA DA DNB E SULLA PRODUZIONE DI IFN-γ IN SPLENOCITI DI
RATTO STIMOLATI CON CON-A.
Quattrocchi C1., Mangano K1., Aiello C1., Milasi A1., Celasco G2., Moro L2., Bozzella R2., Surace
M. M.2, Sferra D3., Di Marco R3.
1
COSMO Research & Development Srl - Lainate
2
COSMO Pharmaceuticals S.p.A. - Lainate
3
Dipartimento di Scienze per la Salute, Università del Molise - Campobasso
79. MICRORGANISMI DI ORIGINE NOSOCOMIALE E TIGECYCLINA: RISULTATI DI
UN CENTRO SPERIMENTALE ITALIANO PARTECIPANTE AL “TIGECYCLINE
EVALUATION AND SURVEILLANCE TRIAL” (2005-2008)
R Iatta, T Cuna, C Napoli, MT Montagna
Dip. di Scienze Biomediche e Oncologia Umana, Sez. Igiene, Università degli Studi di Bari
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80. AMPLIAMENTO DELLO SPETTRO DI ATTIVITÀ DELLA VANCOMICINA NEI
CONFRONTI DI BATTERI GRAM-NEGATIVI MEDIANTE INCAPSULAZIONE IN
LIPOSOMI FUSOGENICI
Daria Nicolosi1, Giovanna Blandino1, Carlo Genovese1, Silvana Matrojeni1, Rosario Pignatello3,
Marina Scalia2, Vito Mar Nicolosi1
Dipartimento di Scienze Microbiologiche e Ginecologiche1,
Dipartimento di Scienze Biomediche, Sezione di Biologia Generale e Cellulare e Genetica
Molecolare “G. Sichel”2, Dipartimento di Scienze Farmaceutiche3, Università di Catania.
81. VALUTAZIONE DELLA PREVALENZA E RESISTENZA AI MACROLIDI DI
STREPTOCOCCUS PYOGENES ISOLATI IN UN’AREA RELATIVA AL MONREGALESE
(CUNEO)
Crocillà C., Vinai E., Fenoglio S., Cardone M.
82. CARATTERIZZAZIONE DI UN PLASMIDE CHIMERICO CHE VEICOLA ERM(B),
TET(O) E AAD(E) IN S.AGALACTIAE
1
M.Santagati 1 ,A.Lupo, 1M. Scillato, 1O. Tomasello, 1T. Triscari Barberi, , 2J. Northwood, 2D.
Farrell, e 1S. Stefani
1
Department of Microbiology- University of Catania
2
Quotient Bioresearch Ltd, Cambridgeshire
83. CARATTERIZZAZIONE DELLA REGIONE RESPONSABILE DELLA RESISTENZA
AI BENZOTIAZINONI IN ISOLATI CLINICI DI Mycobacterium tuberculosis
Maria Rosalia Pasca1, Giulia Degiacomi1, Ana Luisa de Jesus Lopes Ribeiro 1,2, Francesca Zara3,
Patrizia De Mori4, Maurizio Mirrione4, Roberto Brerra3, Laura Pagani3, Leopoldo Pucillo4, Panajota
Troupioti 5, Vadim Makarov6, Stewart T. Cole7, Giovanna Riccardi1
1
Dipartimento di Genetica e Microbiologia, Università di Pavia, Pavia; 2 DiSCAFF, Università del
Piemonte Orientale, Novara; 3 Dipartimento di Scienze Morfologiche Eidologiche e Cliniche,
Sezione di Microbiologia, Università di Pavia, Pavia; 4 Laboratorio di Analisi chimico Cliniche e
Microbiologiche, INMI "L. Spallanzani" IRCCS, Roma; 5 Laboratorio di Analisi Chimico Cliniche e
Microbiologia, Azienda Ospedaliera della Valtellina e della ValChiavenna, Presidio di Sondalo
(Sondrio), 6 A.N. Bakh Institute of Biochemistry, RAS, Moscow (Russia); 7 Global Health Institute,
EPFL, Lausanne (Switzerland).
84. CONFRONTO DELL’AZIONE DI DIFFERENTI PROTEASI SULLE PROPRIETÀ DI
VIRULENZA DI STAPHYLOCOCCUS AUREUS
M. Artini (1), G.L. Scoarughi (1), A. Cellini (1), T. Bertuccio (2), V. Cafiso (2), S. Stefani (2), L.
Selan (1) and R. Papa (1),
1) Università degli Studi La Sapienza, Roma, 2) Università degli Studi di Catania
85. EFFETTO DEL RESVERATROLO NELL’INFEZIONE SPERIMENTALE DA
SALMONELLA ENTERICA SEROVAR TYPHIMURIUM
Romano Carratelli C, Paolillo R, Mazzola N, Sorrentino S, Rizzo A.
Dipartimento di Medicina Sperimentale Sezione di Microbiologia e Microbiologia Clinica Facoltà di Medicina e Chirurgia Seconda Università degli Studi di Napoli.
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86.
VALUTAZIONE
DELL’ATTIVITA’
DEL
RESVERATROLO
E
DELL’IDROSSITIROSOLO NELLA FORMAZIONE DI CELLULE SCHIUMOSE
INDOTTA DA CHLAMYDIA PNEUMONIAE
Iannone M., Schiavoni G., Di Pietro M., Vanzetto A., Zagaglia C., Tofani D.*, del Piano M.,
Sessa R.
Dipartimento di Scienze di Sanità Pubblica, Sapienza Università di Roma; *Dipartimento di
Ingegneria Meccanica e Industriale, Università degli Studi “Roma Tre”
87. CHARACTERIZATION OF TWO ANTIMICROBIAL MOLECULES ACTIVE
AGAINST LISTERIA MONOCYTOGENES PRODUCED BY TWO STRAINS OF CHEESEISOLATED LAB
Genovese F.1, Lamberti C. 1, Coisson J. D. 2, Cocolin L. 3, Napolitano L. 4, Giuffrida M.G. 4, Giunta
C. 1, Pessione E. 1
1
Dipartimento di Biologia Animale e dell’Uomo, Università degli studi di Torino, Via Accademia
Albertina 13, 10123 Torino, Italy, 2DiSCAFF, Via Bovio 6, 28100 Novara, Italy, 3Di.Va.P.R.A., Via
Leonardo da Vinci 44, 10095 Grugliasco, Italy, 4ISPA-CNR, Via Ribes 5, 10010 Colleretto
Giacosa, Italy
88. PHOTODYNAMIC ACTIVITY OF A NEW Zn(II) PHTHALOCYANINE
DERIVATIVE:
A NEW APPROACH TO CONVENTIONAL ANTIMICROBIAL
TREATMENT OF PERIODONTAL DISEASES.
T. Scommegna, C. Alongi, L. Fantetti and G. Roncucci
Molteni Therapeutics, Via Fiorentina 1, 53100, Siena, Italy
[email protected]
89. CARATTERIZZAZIONE MICROBIOLOGICA DI UN PEPTIDE ANTIMICROBICO
RAMIFICATO
Fabiole Nicoletto S.1, Allemand D.1, Baster I.2, Guglierame P.3, Pirri G.1,
Pizzuto L.1, Giuliani A.1, Savoia D.4
1
Spider Biotech S.r.l., Colleretto Giacosa (TO)
2
Dipartimento di Microbiologia, Università di Cracovia, Polonia
3
NeED Pharma, Milano
4
Dipartimento di Scienze Cliniche e Biologiche, Facoltà di Medicina e Chirurgia
S. Luigi Gonzaga, Università di Torino
90. ALTERAZIONE DEI LIVELLI TESSUTALI DI IONI METALLICI IN UN MODELLO
MURINO DI INFEZIONE POLMONARE DA STENOTROPHOMONAS MALTOPHILIA.
Ciavardelli D.,1,2* Pompilio A.,1,2* Picciani C.,1,2 Fiscarelli E.,3 Piccolomini R.,1,2 Di Bonaventura
G.1,2
1
Centro Studi Sull’invecchiamento, Fondazione Università Di Chieti-Pescara.
2
Dipartimento Di Scienze Biomediche, Università Di Chieti-Pescara.
3
Ospedale Pediatrico “Bambin Gesù”, Roma.
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91. ATTIVITÁ ANTIBATTERICA
DI SUPERFICI VETROSE RICOPERTE DI
MONOSTRATI DI NANOPARTICELLE D’ARGENTO
C. Dacarro a , G. Dacarro b, Y. Diaz Fernandez c, P. Grisoli a, P. Pallavicini c, M. Patrini c, G.
Santucci c, A. Taglietti c
a) Diparitmento di Farmacologia Sperimentale ed Applicata; b) CILSOMAF; c) Dipartimento di
Chimica Generale; – Università degli Studi di Pavia, Via Taramelli 12-14. d) Dipartimento di
Fisica “A.Volta” - Università degli Studi di Pavia, Via Bassi 6.
92. ATTIVITÀ ANTIMICROBICA E COMPOSIZIONE FENOLICA DEI GALBULI DI
JUNIPERUS DRUPACEA LAB. DI ORIGINE TURCA
A. Marino, A. Nostro, V. Bellinghieri, P. Dugo*, F. Cacciola*, M.G. Celi, N. Miceli, M.F. Taviano
Dipartimento Farmaco-Biologico. *Dipartimento Farmaco-Chimico.
Università degli Studi di Messina
93. EFFETTI DELL’AGLIO (Allium sativum L.) SUI BATTERI INTESTINALI
Filocamo A.1; Nueno-Palop C.2; Mandalari G.1; La Camera E.3; Narbard A.2; Bisignano G.1
1
Dipartimento Farmaco-Biologico Università di Messina, Viale S.S. Annunziata, 98121 Messina,
Italia; 2Integrated Biology of the GI Tract Programme, Institute of Food Research, Norwich
Research Park, Colney, Norwich NR4 7UA, United Kingdom; 3Facoltà di Farmacia, Università di
Messina, Viale S.S. Annunziata, 98121 Messina, Italia.
94. STUDI DELL’ATTIVITÀ ANTIFUNGINA DELL’OLIO ESSENZIALE DI ACHILLEA
AGERATUM IN CANDIDA ALBICANS.
1
Vavala E., 2Ragno R., 2Sivric S., 2Sartorelli G., 1Palamara AT., 1Angiolella L.
1
Dipartimento di Scienze di Sanità Pubblica” G.Sanarelli”,
2
Dipartimento chimica e Tecnologia del farmaco. ”Sapienza” Università di Roma.
95. EFFETTO DI FANS SULLA FORMAZIONE DI BIOFILM DI CANDIDA ALBICANS E
POTENZIAMENTO DELLA ATTIVITÀ DI FARMACI ANTIFUNGINI
Emanuela Agus, Carmen C. Piras, Luisa Casula, Nadia Serra, Alessandro De Logu
Sezione di Microbiologia Medica, Dipartimento di Scienze e Tecnologie Biomediche, Università di
Cagliari
96. RUOLO IMMUNOMODULATORIO DEI TEGUMENTI DI MANDORLA (Amygdalus
communis L.)
Adriana Arenaa, Giovanna Stassia, Giuseppina Mandalarib, Martin S.J. Wickhamb, Carlo Bisignanoc.
a
Dipartimento di Discipline Chirurgiche sez. Microbiologia Policlinico Universitario, Messina,
b
Model Gut Platform, Institute of Food Research, UK e cDipartimento Farmaco-biologico,
Università di Messina.
97. PROPRIETA’ANTI-INFIAMMATORIE DI AV119, UNO ZUCCHERO ESTRATTO DA
AVOCADO GRATISSIMA.
Paoletti I, Buommino E, Baudouin C*, Msika P*, De Filippis A, Donnarumma G, Tufano MA
Dipartimento di Medicina Sperimentale, Sezione di Microbiologia e Microbiologia Clinica, Facoltà
di Medicina e Chirurgia, Seconda Università degli Studi di Napoli
*Laboratoires Expansciences Epernon, France
98. INFLUENZA MICROBICA SUL RILASCIO E SULL'IMMOBILIZZAZIONE DI
ARSENICO IN UN CO-PRECIPITATO NATURALE DI FERRO E ARSENICO.
R. Gorra, M. Martin
DIVAPRA, Università degli Studi di Torino
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99. DINAMICHE MICROBICHE IN PROVE DI DETERIORAMENTO AEROBICO DI
SILOMAIS
Dolci Paola1, Borreani Giorgio2, Tabacco Ernesto2, Piano Serenella2, Cocolin Luca1.
1
Dipartimento di Valorizzazione e Protezione delle Risorse agroforestali, Facoltà di Agraria,
Università di Torino
2
Dipartimento di Agronomia, Selvicoltura e Gestione del Territorio, Facoltà di Agraria, Università
di Torino
100. PROGETTO SIMIFF: SORVEGLIANZA ITALIANA MULTICENTRICA SULLE
INFEZIONI INVASIVE DA FUNGHI FILAMENTOSI
Montagna MT, Coretti C, Lovero G, Iatta R, Caggiano G & GdL Progetto SIMIFF*
Dip di Scienze Biomediche e Oncologia Umana, Sezione di Igiene, Università degli Studi di Bari
101. VALUTAZIONE DELLA FREQUENZA DI DERMATOFITI E ALTRI MICETI IN
SOGGETTI AFFERENTI AD UN CENTRO PODOLOGICO
Vivian Tullio, Janira Roana, Marco De Filippi, Giuliana Banche, Valeria Allizond, Narcisa
Mandras, Daniela Scalas E Nicola Carlone
Dipartimento di Sanità Pubblica e Microbiologia, Università degli Studi di Torino
102. SEPSI FUNGINA IN TERAPIA INTENSIVA NEONATALE: CONFRONTO TRA DUE
METODI DIAGNOSTICI
Trovato L., Oliveri S., *Betta P., *Romeo M., Nicoletti G.
Dipartimento di Scienze Microbiologiche e Scienze Ginecologiche, *Dipartimento di Pediatria
Università di Catania
U.O. Laboratorio Analisi,* U.O. Terapia Intensiva Neonatale
A.O.U. Policlinico “G. Rodolico” di Catania
103. IDENTIFICAZIONE E TIPIZZAZIONE MOLECOLARE DI CANDIDA AFRICANA
IN PAZIENTE CON CANDIDOSI VAGINALE RICORRENTE
Sardo V., Trovato L., Rapisarda M.F., Oliveri S.
Dipartimento di Scienze Microbiologiche e Scienze Ginecologiche
U.O. Laboratorio Analisi, A.O.U. Policlinico “G. Rodolico” Catania
104. DIAGNOSI MOLECOLARE DI ONICOMICOSI DA TRICHOPHYTON RUBRUM
Oliveri S., Trovato L., *Milici M.E.
Dipartimento di Scienze Microbiologiche e Scienze Ginecologiche - Università di Catania
U.O. Laboratorio Analisi, A.O.U. Policlinico “G. Rodolico” Catania
* Dipartimento di Scienze per la Promozione della Salute - Università di Palermo
105. DETERMINAZIONE DELL’INCIDENZA E DELLA BIODIVERSITA’ DI
BRETTANOMYCES BRUXELLENSIS IN 87 VINI ITALIANI TRAMITE METODICHE
DI BIOLOGIA MOLECOLARE.
Simona Campolongo, Kalliopi Rantsiou, Vincenzo Gerbi e Luca Cocolin
Università degli Studi di Torino
Facoltà di Agraria, Di.VA.PRA
Settore di Microbiologia Agraria e Tecnologie alimentari
Via Leonardo da Vinci 44, 10095, Grugliasco (To)
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106. INFLUENZA DELL’AMBROXOLO SULLA RESISTENZA AGLI AZOLI IN
ISOLATI DI C.PARAPSILOSIS E C.TROPICALIS
Pulcrano G., De Domenico G., Panellis D., Iula V.D., Catania M.R., Rossano F.
Dip. di Biologia e Patologia Cellulare e Molecolare “L. Califano” Facoltà di Medicina e
Chirurgia,
Università degli Studi di Napoli “Federico II”.
107. BLASTOCYSTIS HOMINIS: CONFRONTO FRA MORFOLOGIA, SOTTOTIPI E
SINTOMI CLINICI
Masucci Luca, Archibusacci Carola Maria, Graffeo Rosalia e Fadda Giovanni.
Istituto di Microbiologia – Università Cattolica del Sacro Cuore – Policlinico “A. Gemelli”.
108. IMPIEGO DEL TEST ISAGA IgM NELLA PREVENZIONE DELLA
TOXOPLASMOSI CONNATALE TARDIVA
a,c
Russo R., a,cCostanzo C.M., bGarozzo R., a,cZappalà D., a,cPalermo C.I, a,cSardo V., bBarone
P., a,cFranchina C., a,cScalia G.
a
Dipartimento di Scienze Microbiologiche e Scienze Ginecologiche, bDipartimento di
Pediatria, Università degli Studi di Catania e cU.O. di Virologia Clinica, Laboratorio
Centralizzato, Azienda Ospedaliero-Universitaria Policlinico “G. Rodolico” di Catania.
109. PRODUZIONE DI OSTEOPONTINA DA PARTE DI MACROFAGI E CELLULE
DENDRITICHE INFETTATI CON PROTOZOI DEL GENERE LEISHMANIA
Daniele R.1, Scutera S.1, Rossi S.1, Zucca M.2, Savoia D.2, Musso T.1
1
Dip. di Sanità Pubblica e Microbiologia, Università di Torino
2
Dip. di Scienze Cliniche e Biologiche, Università di Torino
110. EPIDEMIOLOGIA DI PATOGENI RESPIRATORI
Ingianni A.*, Madeddu M.A.*, Pittau M.**, Lauterio C.**, De Montis A.**, Passotti C.**, de
Virgiliis S.***, Pompei R.*.
* Department of Science and Biomedical Technology, Section of Applied Microbiology, University
of Cagliari
**
Research and Development Group, bcs Biotech S.p.A., Cagliari
*** Department of Paediatric Science and Clinic Medicine “G.Macciotta”, Chief 1st. Pediatric
Clinic, University of Cagliari
111. SORVEGLIANZA VIROLOGICA DELLE INFEZIONI DAL NUOVO VIRUS
INFLUENZALE A(H1N1)V
M. Sali, S. Manzara, V. Prete, R. Martucci, L. Vaccaro, G. Delogu, G. Fadda
Istituto di Microbiologia e Virologia, Università Cattolica del Sacro Cuore, Roma
112. VALUTAZIONE DELL’IMPATTO ANNUALE DEI RHINOVIRUS A LIVELLO
DELLE VIE AEREE INFERIORI.
Stefano Gambarino, Massimiliano Bergallo, Sara Astegiano, Salvatore Simeone, Maria Elena
Terlizzi, Daniela Libertucci, Cristina Costa, Rossana Cavallo.
SCDU Virologia; 1Divisione di Pneumologia, AOU San Giovanni Battista di Torino.
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113. EPIDEMIOLOGIA DI HPV IN SICILIA ORIENTALE:
GENOTIPIZZAZIONE E RILEVAMENTO DELL’mRNA
a,c
Costanzo C.M., bBruno M.T., a,cRusso R., a,cZappalà D., a,cPalermo C.I, a,cFranchina
C., a,cScalia G.
Dipartimento di Scienze Microbiologiche e Scienze Ginecologiche, aSezione di Microbiologia
b
Sezione di Ginecologia, Università degli Studi di Catania e cU.O. di Virologia Clinica,
Laboratorio Centralizzato, Azienda Ospedaliero-Universitaria Policlinico “G. Rodolico” di
Catania.
114. INFEZIONI DA PAPILLOMAVIRUS (HPV) E CARCINOMA ANALE IN PAZIENTI
HIV POSITIVI
D’onghia S., 1A. De Luca, 1S. Farina, R. Santangelo, V. Prete, 2G.F. Zannoni, 2V.G. Vellone, 3G.
Maria, R. Cauda, G. Fadda, P. Cattani
Istituto di Microbiologia, 1Malattie Infettive, 2Anatomia Patologica, 3Clinica Chirurgica,
Università Cattolica del Sacro Cuore, Roma, Italia
115. INFEZIONE GENITALE HPV E FERTILIZZAZIONE IN VITRO: UNA POSSIBILE
RELAZIONE?
A. Giardina1, L.Giovannelli1, R.Schillaci2, M.P.Caleca1, A.Perino1, G.Ruvolo3, E.Cefalù3,
D.Matranga4, e P.Ammatuna1.
Dipartimento di Scienze per la Promozione della Salute1, Dipartimento Materno Infantile2,
Dipartimento di Biotecnologie Mediche e Medicina Legale4, Università di Palermo; Centro
Biologia della Riproduzione, Clinica Candela, Palermo3.
116. EPIDEMIOLOGY OF HERPES SIMPLEX VIRUS INFECTION IN PREGNANCY: A
PILOT STUDY
1
Anzivino E, 1Bellizzi A, 2Fioriti D, 1Mischitelli M, 1Barucca V, 3Marcone V, 3Parisi A, 3Moreira
E, 4Osborn J, 1Chiarini F, 3Calzolari E, 1Pietropaolo V.
1
Department of Public Health Sciences, 2Department of Urology, 3Department of Gynaecology and
Obstetrics, 4Department of Public Health, "Sapienza" University of Rome, Italy.
117. DETERMINAZIONE DI HERPESVIRUS NEL TRATTO RESPIRATORIO
INFERIORE (LAVAGGIO BRONCOALVEOLARE E BIOPSIA TRANSBRONCHIALE)
DI TRAPIANTATI DI POLMONE: CORRELAZIONE TRA ESAME ISTOPATOLOGICO
E INFEZIONE VIRALE.
Antonio Curtoni, Massimiliano Bergallo, Maria Elena Terlizzi, 1Luisa Delsedime, Francesca Sidoti,
Samantha Mantovani, Stefano Callea, Rossana Cavallo, Cristina Costa.
SCDU Virologia; 1Dipartimento di Anatomia Patologica, Azienda Ospedaliera Universitaria San
Giovanni Battista, Torino
118.
PREVALENZA
DI
HHV6
NELLE
MALATTIE
INFIAMMATORIE
DELL’INTESTINO
a,b
Zappalà D., cSiringo S., a,bPalermo C.I, dInserra G., a,bRusso R., a,bCostanzo C.M.,
a,b
Franchina C., a,bScalia G.
a
Dipartimento di Scienze Microbiologiche e Scienze Ginecologiche, Università degli Studi di
Catania e bU.O. di Virologia Clinica, Laboratorio Centralizzato, Azienda OspedalieroUniversitaria Policlinico “Gaspare Rodolico” di Catania, cU.O. di Gastroenterologia Azienda
Ospedaliera “Garibaldi” di Catania, dU.O. di Medicina Interna Azienda OspedalieroUniversitaria Policlinico “Gaspare Rodolico” di Catania e Dipartimento di Medicina Interna e
Patologie Sistemiche, Università di Catania.
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119. RILEVAMENTO DI HUMAN HERPESVIRUS-7 (HHV-7) NEL TRATTO
RESPIRATORIO INFERIORE DI UNA PAZIENTE IMMUNOCOMPETENTE CON
ACUTE RESPIRATORY DISTRESS SYNDROME (ARDS).
Rossana Cavallo, Massimiliano Bergallo, Samantha Mantovani, Francesca Sidoti, Stefano
Gambarino, Salvatore Simeone, 1Luisa Delsedime, Cristina Costa.
SCDU Virologia; 1Dipartimento di Anatomia Patologica, Azienda Ospedaliera Universitaria San
Giovanni Battista, Torino
120. DETECTION OF EPSTEIN-BARR VIRUS IN BRONCHOALVEOLAR LAVAGE
FROM LUNG TRANSPLANT PATIENTS.
Cristina Costa, Massimiliano Bergallo, Maria Elena Terlizzi, Antonio Curtoni, Salvatore Simeone,
Stefano Gambarino, 1Sergio Baldi, Rossana Cavallo.
Virology Unit; 1Division of Pneumology, University Hospital San Giovanni Battista, Turin.
121. CAMBIAMENTO DELL’EPIDEMIOLOGIA DI HBV IN SICILIA: UNA ANALISI
FILOGENETICA DEGLI ISOLATI VIRALI
Ferraro D, Urone N, Pizzillo P, Di Marco V*, Cacopardo B^ , Craxì A*, Di Stefano R.
Dip. di Scienze per la Promozione della Salute “G. D’Alessandro”, Sezione di Microbiologia,
*Di.Bi.MI.S.,Cattedra di Gastroenterologia, Università di Palermo
^ Dip. di Medicina Interna e Specialità Mediche, Sezione di Malattie Infettive, Università di
Catania
122. SORVEGLIANZA DELLA CIRCOLAZIONE DI NOROVIRUS A PALERMO IN
BAMBINI CON ENTERITE ACUTA NEL PERIODO 2005-2008
V. Rotolo1, M.A. Platia1, S. Ramirez1, P. Aiello1, C. Colomba2, S. De Grazia1, G.M. Giammanco1
Dipartimento di Scienze per la Promozione della Salute “G. D’Alessandro”, Università di
Palermo, 1Sezione di Microbiologa e 2Sezione di Malattie Infettive
123. CMV AND EPIDEMIOLOGY IN LUNG TRANSPLANT RECIPIENTS
Costa Cristina, Bergallo Massimiliano, Astegiano Sara, Sidoti Francesca, 1Solidoro Paolo, Beata
Katia, Negro Ponzi Alessandro, Cavallo Rossana
SCDU Virologia AOU San Giovanni Battista, Torino
1
Divisione di Pneumologia, AOU San Giovanni Battista, Torino
124. EPIDEMIOLOGIA MOLECOLARE DEI POLYOMAVIRUS UMANI KI E WU
NELLA
POPOLAZIONE
PEDIATRICA
ED
IN
SOGGETTI
ADULTI
IMMUNOCOMPROMESSI
Debiaggi M, Canducci F, Brerra R, Sampaolo M, Marinozzi MC, Parea M, Nucleo E, Romero E,
Clementi M.
Dipartimento di Scienze Morfologiche, Eidologiche e Cliniche, Sez. Microbiologia, Università di
Pavia, Servizio Analisi Microbiologiche Fondazione IRCCS Policlinico San Matteo, Pavia e
Laboratorio di Microbiologia e Virologia, Università Vita-Salute San Raffaele e Istituto Scientifico
San Raffaele, Milano.
125. JC VIRUS AND CROHN’S DISEASE: DOES IT EXIST A CORRELATION?
1
Barucca V, 1Iebba V, 2Fioriti D, 1Schippa S, 1Conte MP, 1Proietti Checchi M, 1Chiarini F,
1
Pietropaolo V.
1
Dep. of Public Health Sciences, 2Dep. of Urology, “Sapienza” University, Rome, Italy.
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126. LA REAL-TIME NEL RILEVAMENTO DI HSV1 IN BAL DA PAZIENTI DI
RIANIMAZIONE
a,b
Palermo C.I, cCastiglione G., cPanascia E., a,bRusso R., a,bCostanzo C.M., a,bFranchina C.,
a,b
Zappalà D., a,bScalia G.
a
Dipartimento di Scienze Microbiologiche e Scienze Ginecologiche, Università degli Studi di
Catania e bU.O. di Virologia Clinica, Laboratorio Centralizzato, Azienda OspedalieroUniversitaria Policlinico “Gaspare Rodolico” di Catania, cUnità Operativa di Rianimazione
Azienda Ospedaliero-Universitaria “Vittorio Emanuele II”, Catania.
127. CONFRONTO TRA SAGGI QUANTITATIVI DI REAL TIME PCR ED UN KIT
COMMERCIALE PER LA RICERCA DI HPV DNA DA CAMPIONI CERVICALI.
Cocuzza C, Musumeci R, Sibra B, Cialdella A, Castelli D, Battistello M, Dell’Anna T, Mangioni C,
Piana A.
Dipartimento di Medicina Clinica e Prevenzione, Università degli Studi di Milano-Bicocca
Divisione di Ostetricia e Ginecologia, Ospedale San Gerardo, Monza
Istituto di Igiene e Medicina Preventiva, Università di Sassari
128. UTILIZZO DI REAL TIME PCR PER LA RICERCA DEI VIRUS
HERPES,ENTERO,BK: STUDIO EPIDEMIOLOGICO 2004-2009
Pollara P.C, Perandin F, Corbellini S, Terlenghi L, Bonfanti C, Manca N.
U.O. Microbiologia e Virologia Spedali Civili di Brescia e Università degli Studi di Brescia.
129. REAL TIME PCR DETECTION OF BK, JC AND MC HUMAN POLYOMAVIRUSES
IN METASTASES OF MELANOMA SKIN CANCER: PRELIMINARY DATA.
1
Bellizzi A, 1Anzivino E, 2Fioriti D, 1Barucca V, 1Mischitelli M, 3Panasiti V, 3Calvieri S, 1Chiarini
F, 1Pietropaolo V.
1
Department of Public Health Sciences, 2Department of Urology, 3Department of Dermatology,
"Sapienza" University, Rome, Italy.
130. SVILUPPO DI UNA METODICA ELISPOT PER LA DETERMINAZIONE DELLA
RISPOSTA LINFOCITARIA T BKV-SPECIFICA.
Massimiliano Bergallo, Maria Elena Terlizzi, Sara Astegiano, Francesca Sidoti, Stefano
Gambarino, Stefano Callea, Rossana Cavallo, Cristina Costa.
SCDU Virologia, Azienda Ospedaliera Universitaria San Giovanni Battista, Torino
131. CARATTERIZZAZIONE MOLECOLARE DELL’INTERO GENOMA DI
ROTAVIRUS G3P[9] IDENTIFICATI A PALERMO
M.A. Platia1, P. Aiello1, V. Rotolo1, C. Colomba1, G.M. Giammanco1, V. Martella2, S. De Grazia1
1
Dipartimento di Scienze per la Promozione della Salute – Università di Palermo; 2 Dipartimento
di Sanità Pubblica e Zootecnia, Università di Bari.
132. SEQUENZIAMENTO DEI GENI CODIFICANTI LA TRASCRITTASI INVERSA, LA
PROTEASI E LA GP41 DAL DNA PROVIRALE ESTRATTO DA SANGUE INTERO E
DALL’RNA VIRALE DI HIV, IN PAZIENTI CON BASSE CARICHE PLASMATICHE DI
HIV-RNA
A. Di Franco1, R. Santangelo1, S. Marchetti1, S. Di Giambenedetto2, M. Colafigli2, M.Fabbiani2, P.
Cattani1, A. De Luca2, G. Fadda1.
1
Istituto di Microbiologia e 2Istituto di Clinica delle Malattie Infettive, Università Cattolica del
Sacro Cuore, Roma.
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133. RILEVAMENTO DEI GENOTIPI 1 E 2 DI PARV4 IN CAMPIONI CLINICI
NORMALI E PATOLOGICI.
Massimiliano Bergallo, Cristina Costa, Francesca Sidoti, Sara Astegiano, Mariangela Lorusso,
1
Paolo Solidoro, 2Renata Ponti, Rossana Cavallo.
SCDU Virologia, 1Divisione di Pneumologia, 2Dipartimento di Scienze Biomediche e Oncologia
Umana, Sezione di Dermatologia; Azienda Ospedaliera Universitaria San Giovanni Battista,
Torino.
134. MODULAZIONE DELL’ESPRESSIONE GENICA DI CITOMEGALOVIRUS
UMANO IN RELAZIONE ALLA LOCALIZZAZIONE NUCLEOLARE DELLA
PROTEINA VIRALE PPUL83 ED AL CICLO CELLULARE
Arcangeletti M.C.1, Rodighiero I.1, Mirandola P.2, Germini D.1, De Conto F.1, Covan S.1, Dettori
G.1, Chezzi C.1
1.Dipartimento di Patologia e Medicina di Laboratorio - Sezione di Microbiologia;
2.Dipartimento di Anatomia Umana, Farmacologia e Scienze Medico-Forensi - Sezione di
Anatomia Umana;
Università degli Studi di Parma.
135. ANALISI MOLECOLARE DEI GENI NSP3, NSP4, VP4, VP6 E VP7 DI UN CEPPO DI
ROTAVIRUS RIVELATO NEL LIQUOR DI UNA BAMBINA CON GASTROENTERITE E
MENINGISMO.
Medici M.C., Abelli L.A., Guerra P., Dettori G. e Chezzi C.
Sezione di Microbiologia – Dipartimento di Patologia e Medicina di Laboratorio – Università degli
Studi di Parma.
136. INFEZIONE RESIDUA DA HCV DOPO RISPOSTA VIROLOGICA ALLA TERAPIA
: ESISTE REALMENTE?
Pizzillo P, Ferraro D, Urone N, Giglio M, Di Marco V*, Calvaruso V*, Almasio PL *, Craxì A *,
Di Stefano R.
Dip. di Scienze per la Promozione della Salute “G. D’Alessandro”, Sezione di Microbiologia,
*Di.Bi.MI.S., Cattedra di Gastroenterologia, Università di Palermo.
137. MODIFICATIONS OF SYMPATHETIC ACTIVITY IN PRION NEUROINVASION
Gianpietro Bondiolottia, Giuseppe Rossonia, Maria Puricellib, Elena Formentinb, Barbara Lucchinib,
Erica Cordab, Giorgio Polib, Wilma Pontib, and Silvio R Bareggia
a
Department of Pharmacology, Chemotherapy and Medical Toxicology, Faculty of Medicine and
Surgery, and bDepartment of Veterinary Pathology, Hygiene and Public Health, Faculty of
Veterinary Medicine, Centre of Excellence on Neurodegenerative Diseases, Università degli Studi,
Milano, Italy.
138. DIFFERENTE RISPOSTA ANTICORPALE AL VACCINO ANTI-INFLUENZALE
PER L’INVERNO 2008/2009 IN SOGGETTI ANZIANI RESIDENTI IN DUE DIVERSE
CASE DI RIPOSO
Camilloni B.*, Sigismondi N.°, Committeri V.°, Lepri E.*, Neri M.*, Basileo M.*, Iorio A.M.
([email protected])*
*Dip. Spec. Med. Chir. e Sanità Pubblica, Università Perugia, Perugia, ° ASL N.3, Umbria, Case di
Riposo “Bartolomei-Castori” e “Casa Serena”, Foligno
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139. INFLUENZA DEL MICROAMBIENTE SULLA PLASTICITÀ DI CELLULE DI
MELANOMA ESPRIMENTI HERV-K.
Matteucci C.1, Sorrentino R.1, Balestrieri E.1, Serafino A.2, Al Dossary R.1Spadafora C.3, Garaci
E.1, Sinibaldi Vallebona P.1
(1) Dipartimento di Medicina Sperimentale e Scienze Biochimiche, Università di Roma “Tor
Vergata”, (2) Istituto di . Neurobiologia e Medicina Molecolare, Consiglio Nazionale delle
Ricerche, Roma; (3) Istituto Superiore di Sanità, Roma.
140. L'INIBIZIONE DELL'ATTIVAZIONE DI NF-KB POTENZIA L'AZIONE PROAPOPTOTICA DELLA 3’-AZIDO-3’-DEOSSITIMIDINA (AZT)
Matteucci C.1, Minutolo A.1, Balestrieri E.1, Marino-Merlo F.2, Grelli S.1, Macchi B. 3,4, Mastino
A.2,5
1
Dip. di Medicina Sperimentale e Sc. Biochimiche, Univ. di Roma “Tor Vergata”; 2Dip. di Scienze
della Vita, Sez. di Sc. Microb., Gen e Mol, Univ. di Messina; 3Dip. di Neuroscienze, Univ. di Roma
“Tor Vergata"; 4IRCCS, S. Lucia, Roma; 5IRCCS Centro Neurolesi “Bonino-Pulejo”, Messina.
141. SINTESI ED ATTIVITÀ ANTIVIRALE DI ALCUNI DERIVATI DELL’ ETILE 1HINDOLO 3-CARBOSSILATO.
Brunella Perfetto*, Rosanna Filosa°, Grazia Sellitto°, Aurora Faruolo°, Paolo de Caprariis°,
Vincenza De Gregorio*, Maria Antonietta Tufano*.
°Dipartimento Scienze Farmaceutiche Università di Salerno
*Dipartimento di medicina Sperimentale Sezione di Microbiologia e Microbiologia Clinica,
Seconda Università degli Studi di Napoli.
142. EFFETTO DELLA TERAPIA FOTODINAMICA SULL’INFEZIONE DA HSV-1 IN
CHERATINOCITI UMANI
De Gregorio V, Iovene MR, Pagano A, Montanino G., Donnarumma G.
Dipartimento di Medicina Sperimentale, Sezione di Microbiologia e Microbiologia Clinica, Facoltà
di Medicina e Chirurgia, Seconda Università degli Studi di Napoli
143. SINTESI E STUDIO DI NUOVE MOLECOLE ATTIVE CONTRO DIVERSE SPECIE
DI ENTEROVIRUS
S. Laconia, R. Timpanarob, A. Garozzob, B. Bisignanob, A. Castrob, R. Pompeia
a
Sezione di Microbiologia Applicata, Università di Cagliari,, bDipartimento di Scienze
Microbiologiche e Scienze Ginecologiche, Università di Catania
144. THE ELK-1 AND SERUM RESPONSE FACTOR SITES IN THE MAJOR
IMMEDIATE-EARLY PROMOTER OF THE HUMAN CYTOMEGALOVIRUS ARE
REQUIRED FOR EFFICIENT VIRAL REPLICATION IN QUIESCENT CELLS
P. Caposio, A. Luganini, M. Bronzini, S. Landolfo and G. Gribaudo
Department of Public Health and Microbiology, University of Turin, Turin, Italy
145. ROLE OF IFI16 DOMINANT NEGATIVE PROTEINS IN SIGNAL TRANSDUCTION
OF PRO-INFLAMMATORY AND PRO-APOPTOTIC PATHWAYS BY USING A
LENTIVIRAL MODEL
Gariano G.R.1, De Andrea M.2, Mondini M.3, Gugliesi F.1, Gariglio M.2, Landolfo S.1
1
Department of Public Health and Microbiology, University of Turin, Italy;2Department of Clinical
and Experimental Medicine. University of Eastern Piedmont,Italy; 3NoToPharm S.r.l, Bioindustry
Park, Colleretto Giacosa (TO), Italy
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146. THE INTERFERON-INDUCIBLE GENE IFI16 DRIVES THE EARLY STEPS OF
THE INFLAMMATORY RESPONSE AND MEDIATES IMMUNOMODULATORY AND
PROINFLAMMATORY ACTIVITIES OF INTERFERONS IN ENDOTHELIAL CELLS.
Baggetta R.1, De Andrea M.2, Mondini M.3, Gugliesi F.1, Gariglio M.2, Landolfo S.1
1
Department of Public Health and Microbiology, University of Turin, Italy; 2Department of Clinical
and Experimental Medicine. University of Eastern Piedmont, Italy; 3NoToPharm S.r.l, Bioindustry
Park, Colleretto Giacosa (TO), Italy.
147. HIGH BETA-HPV DNA LOADS AND STRONG SEROREACTIVITY ARE PRESENT
IN EPIDERMODYSPLASIA VERRUCIFORMIS
Borgogna C.1, V. Dell’Oste1, B. Azzimonti1, M. De Andrea1,2, M. Mondini3, E. Zavattaro1,
G.Leigheb1, S.J. Weissenborn4, H. Pfister4, K.M. Michael5, T.Waterboer5, M. Pawlita5, S.Landolfo2
and M.Gariglio1*.
1
Department of Clinical and Experimental Medicine, Medical School of Novara, Novara, Italy;
2
Department of Public Health and Microbiology, Medical School of Turin, Turin, Italy;
3
NoToPharm S.r.l, Bioindustry Park del Canavese, Colleretto Giacosa (TO), Italy;
4
Institute of Virology, University of Cologne, Cologne, Germany;
5
Infection and Cancer Program, German Cancer Research Center (DKFZ), Heidelberg, Germany.
148. ELUCIDATION OF NATURAL β-HPV-HOST INTERACTIONS IN ORGANOTYPIC
CULTURES AND SKIN BIOPSIES FROM EPIDERMODYSPLASIA VERRUCIFORMIS
PATIENTS
V. Dell’Oste1, B. Azzimonti1, E. Zavattaro1, C. Borgogna1, M. M. Landini1, S. Costa1,2, M.
Mondini1,2, M. De Andrea1,3, S. Landolfo3, M. Gariglio2.
1
Department of Clinical and Experimental Medicine, Medical School of Novara, Novara, Italy;
2
NoToPharm S.r.l, Bioindustry Park del Canavese, Colleretto Giacosa (TO), Italy; 3Department of
Public Health and Microbiology, Medical School of Turin, Turin, Italy.
149. GENERAZIONE DI UN MODELLO MURINO PER LA COMPRENSIONE DEI
MECCANISMI PATOGENETICI COINVOLTI NELLA CARCINOGENESI CUTANEA
INDOTTA DA HPV
M. Rittà1,2, M. De Andrea1,2, M. Landini1, C. Borgogna1, M. Mondini1,3, H. Pfister4, E. Marcuzzi4,
M. Baccarini5, S. Landolfo2, M. Gariglio1
1
Dip.to di Medicina Clinica e Sperimentale, Università del Piemonte Orientale “A. Avogadro”,
Novara, Italia; 2Dip.to di Sanità Pubblica e Microbiologia, Università degli Studi di Torino, Italia;
3
NoToPharm S.r.l, Bioindustry Park del Canavese, Colleretto Giacosa - Torino, Italia; 4Institute of
Virology, Università di Colonia, Germania; 5Max F. Perutz Laboratories, Dip.to di Microbiologia
e Immunobiologia, Università di Vienna, Austria.
150. UTILIZZO DI IMMUNOGLOBULINE MURINE PER L’IDENTIFICAZIONE DELLA
GLIOTOSSINA DI ASPERGILLUS FUMIGATUS
Bugli F., Graffeo R., Paroni F., Torelli R., Posteraro B., Sanguinetti M., Fadda G.
Istituto Microbiologia, Università Cattolica del Sacro Cuore, Roma
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IL GENE ACE, CODIFICANTE UNA ADESINA DI ENTEROCOCCUS FAECALIS, È
REGOLATO DA ERS ED È COINVOLTO NELLA VIRULENZA
Sanguinetti M.1, Lebreton F.2, Torelli R.1, Riboulet-Bisson E.2, Serror P.3, Posteraro B.1, Hartke A.2,
Auffray Y.2, Giard JC.2, Fadda G.1
1
Istituto di Microbiologia, Università Cattolica del Sacro Cuore, L.go F. Vito 1, Roma, Italy
2
Laboratoire de Microbiologie de l’Environnement, Université de Caen, 14032 Caen Cedex,
France
3
Unité des Bactéries Lactiques et Pathogènes Opportunistes, INRA, 78350 Jouy-en-Josas, France
Enterococcus faecalis è un patogeno opportunista che causa frequente di infezioni nell’uomo ed è
tra i più importanti agenti di infezioni nosocomiali. In questo lavoro dimostriamo che il regolatore
trascrizionale Ers (PrfA-like), da noi recentemente identificato, noto per essere nel metabolismo
cellulare e nella virulenza di E. faecalis, riveste anche il ruolo di repressore del gene ace che
codifica per una collagen binding protein. A tale scopo la caratterizzazione della regione promotrice
del gene ace, mediante analisi trascrizionale in RT-qPCR e gel mobility shift assay, ha evidenziato
che Ers regola direttamente l’espressione di ace. Inoltre la trascrizione di ace è indotta dalla
presenza di sali biliari, probabilmente attraverso la deregolazione di ers. Utilizzando mutanti deleti
e ricostituiti del gene ace in un modello di virulenza di insetto (Galleria mellonella) e in un modello
in vivo/in vitro di fagocitosi nel topo, è stato dimostrato che ace può essere considerato un fattore di
virulenza di E. faecalis. Infine, esperimenti condotti con opportuni modelli murini hanno dimostrato
che ace è coinvolto nella patogenesi delle infezioni del tratto urinario causate da E. faecalis ma non
nella patogenesi delle infezioni sistemiche.
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PRINCIPALI CLONI DI A.BAUMANNII CARBAPENEMI-RESISTENTI CIRCOLANTI IN
ITALIA
Mezzatesta M.L.1, D’Andrea M.M.2, Migliavacca R.3, Giani T.2, Gona F.1, Marchese G.1, Nucleo
E.3, Pagani L.3, Rossolini G.M.2 and Stefani S.1
Dipartimento di Scienze Microbiologiche e Sc. Ginecologiche – Università di Catania1, Siena 2 e
Pavia3 , Italia
Email [email protected]
Acinetobacter baumannii è un microrganismo caratterizzato da bassa virulenza ma attualmente
riconosciuto come rilevante patogeno opportunistico in un’ampia varietà di infezioni nosocomiali,
in modo particolare nei pazienti immunocompromessi delle unità di terapia intensiva.
Gli isolati clinici di A. baumannii sono spesso caratterizzati da una multi-resistenza antimicrobica,
inclusi i carbapenemi utilizzati come antibiotici di elezione nella terapia clinica.
Per valutare la diffusione di ceppi di A.baumannii carbapenemi-resistenti circolanti in Italia, sono
stati utilizzati 2 metodi di tipizzazione: la Sequence Typing (ST) e la PFGE.
In questo studio sono stati inclusi 119 A.baumannii isolati durante il 2004-2005 e provenienti da 8
regioni italiane. Tutti i ceppi erano resistenti ai carbapenemi e i geni di resistenza sono stati
caratterizzati mediante PCR. La PFGE è stata eseguita secondo metodiche standard e lo schema
utilizzato per MLST era basato sui frammenti dei 6 geni housekeeping pubblicati sul sito web
MLST del Pasteur (http://www.pasteur.fr/recherche/genopole/PF8/mlst/), mentre i primers utilizzati
per l’amplificazione del gene rpoB sono stati disegnati con il Vector NTI sulla base della sequenza
pubblicata (accession number CU459141). Come ceppi di controlli sono stati utilizzati i 2 principali
cloni europei RUH875 e RUH134.
Dall’analisi dei profili di macrorestrizione dei ceppi inclusi nello studio, mediante PFGE, è stato
possibile identificare tre cloni epidemici di A. baumannii MDR A, B e C. Tutti gli isolati,
appartenenti ai 3 cloni, contenevano il gene blaOXA-58 mentre quelli appartenenti al clone C erano
positive anche per il gene blaOXA-23. Nessun isolato è risultato positivo per il gene blaOXA-24. Anche
con MLST sono stati ottenuti 3 ST: 1, 2 e 20.
I nostri risultati hanno dimostrato che le metodiche di PFGE e MLST hanno lo stesso potere
discriminante, la stessa riproducibilità e sono epidemiologicamente concordanti tra di loro: in
particolare i cloni A (ST 2) e B (ST 1), maggiormente diffusi, sono simili rispettivamente ai cloni
europei RUH134 e RUH875.
n. strains
PFGE
type
PFGE
subtype
ST
Allelic profile
cpn60 fusA gltA pyrG recA rpIB rpoB
OXAs content
109
A
3
2
2
2
2
2
2
2
2
OXA 51-like, 58
4
B
0
1
1
1
1
1
5
1
1
OXA 51-like, 58
6
RUH 134
RUH 875
C
A
B
2
─
─
20
2
1
3
2
1
1
2
1
1
2
1
1
2
1
5
2
5
1
2
1
1
2
1
OXA 51-like, 58, 23
─
─
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CARATTERIZZAZIONE CLINICA E MOLECOLARE DI CEPPI DI STAPHYLOCOCCUS
AUREUS METICILLINO-SENSIBILI E -RESISTENTI ISOLATI DA BATTERIEMIE
E. Borghi1, C. Biassoni1, F. Tordato2, M. Cainarca3, R. Sciota1, AD Monforte2, G. Morace1
1
Dip. Sa.Mi.Vi, Università di Milano, 2Dip. di Medicina, Chirurgia e Odontoiatria, Clinica di
Malattie Infettive, AO San Paolo, Università di Milano, , 3Lab.Microbiologia, AO San Paolo,
Milano.
Staphylococcus aureus (SA) rappresenta uno dei più comuni agenti responsabili di batteriemie.
Sebbene qualsiasi ceppo di SA colonizzante l'uomo possa trasformarsi in un patogeno pericoloso,
alcuni cloni sono più virulenti di altri. I pattern di antibiotico-resistenza, unitamente al corredo di
tossine e di altri determinanti patogenetici sono responsabili della capacità del singolo ceppo di SA
di provocare infezioni di diversa origine e gravità.
Al fine di produrre una fotografia epidemiologico-molecolare dei ceppi responsabili di batteriemie,
sono stati raccolti, presso l'ospedale San Paolo di Milano, 41 ceppi di SA, 33 dei quali corredati da
adeguata documentazione clinica. Gli isolati sono stati tipizzati, mediante PCR, per la presenza di
alcuni determinanti di virulenza: tre geni codificanti per adesine (fnbA, fnbB, cna), nove per tossine
(sea-see; eta ed etb; tst, e pvl), ed ica. Nei ceppi meticillino-resistenti (MRSA) si è provveduto
anche alla tipizzazione della cassetta SCCmec.
L’età media dei pazienti era 67 anni (range 2-99); la patologia di base più frequente è risultata
essere il diabete (36%), seguita da emodialisi (21%) e cancro (18%). Il 37% delle batteriemie era
correlato alla presenza di catetere venoso centrale (CVC); mentre 12/33 (36%) erano sostenute da
ceppi MRSA (8 SCCmec di tipo IV e 4 di tipo I). I pazienti con infezioni da MRSA erano più
anziani di quelli con batteriemie da MSSA (75 vs 66 anni; p=0.04); mentre le patologie di base
erano comparabili. Il tasso di mortalità cruda è stato del 24%, unicamente in batteriemie MRSAcorrelate (67% vs 0%, p=<0.0001). Il 52% dei ceppi mostrava la presenza di un gene per le adesine
ed il 42% almeno un’enterotossina. Solo ceppi MSSA sono risultati positivi per eta (5%) e tst
(14%). Nessuno degli isolati è risultato pvl-positivo, mentre tutti hanno mostrato la presenza del
locus ica.
Nel complesso, le batteriemie sostenute da MRSA sembrano essere associate ad una più elevata
mortalità. Sebbene non siano state dimostrate differenze significative in termini di tossigenicità tra
ceppi MRSA e MSSA, né tra MRSA tossigeni e mortalità, è interessante notare che, tra i decessi
MRSA-correlati, il 75% (6/8) mostrava almeno un gene per enterotossine e quattro (tutti SCCmec
IV) il gene codificante per proteine leganti la fibronectina (fnbB).
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EFFETTO DELLA INATTIVAZIONE DI GENI DEL SISTEMA ESX-5 DI
MYCOBACTERIUM TUBERCULOSIS SULLA SECREZIONE DI PROTEINE PE/PPE
M. Di Luca, D. Bottai, G. Batoni, F. L. Brancatisano, G. Maisetta, W. Florio, C. Counoupas,
S. Esin, M. Campa.
Dipartimento di Patologia Sperimentale, Biotecnologie Mediche, Infettivologia ed Epidemiologia,
Università di Pisa
Le proteine PE/PPE rappresentano due classi particolarmente interessanti di proteine di
Mycobacterium tuberculosis. Esse, infatti, sono specifiche del genere Mycobacterium e, sebbene la
loro esatta funzione biologica non sia stata ancora chiarita, sono ritenute particolarmente importanti
nell’interazione del microrganismo con l’ospite.
Studi recenti condotti in M. marinum hanno indicato che tali proteine sono secrete o trasportate
sulla parete del batterio ad opera di uno specifico sistema di secrezione, denominato sistema di
secrezione ESX-5.
Allo scopo di valutare il ruolo del sistema ESX-5 nel trasporto/secrezione di proteine PE/PPE in M.
tuberculosis sono stati allestiti quattro ceppi mutanti di M. tuberculosis, caratterizzati dalla
distruzione di geni codificanti per proteine che rappresentano alcuni componenti dell’apparato di
secrezione. In particolare, sono stati ottenuti ceppi mutanti per i geni: i) Rv1794; ii) Rv1795 e
Rv1797, codificanti per due differenti proteine di membrana; iii) Rv1798, codificante per una
proteina dotata di attività ATPasica. Tutti i ceppi mutanti ottenuti (H37Rv1794ko, H37Rv1795ko,
H37Rv1797ko e H37Rv1798ko) hanno mostrato una cinetica di crescita in terreno liquido
Middlebrook 7H9 paragonabile a quella del ceppo parentale. Al contrario, il ceppo H37Rv1798ko,
analogamente a quanto descritto per altri ceppi di M. tuberculosis mutanti per proteine ad attività
ATPasica, ha mostrato una ridotta capacità di crescita su terreno solido rispetto al ceppo parentale.
Per studiare l’effetto dell’inattivazione dei geni Rv1794, Rv1795, Rv1797 e Rv1798 sulla
secrezione di proteine PE/PPE, i filtrati di coltura ed i lisati totali dei ceppi mutanti ottenuti sono
stati analizzati mediante Western blot per la presenza della proteina PPE41 e delle proteine
PE_PGRS, scelte come modello per lo studio della localizzazione delle proteine PPE e PE,
rispettivamente. I risultati ottenuti hanno indicato che la distruzione di singoli geni del sistema di
secrezione ESX-5 di M. tuberculosis, a differenza di quanto descritto in M. marinum, non ha effetto
sul trasporto/localizzazione di proteine PPE/PE_PGRS. Sono attualmente in corso studi volti a
chiarire le differenze osservate tra M. marinum e M. tuberculosis.
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TRASFERIMENTO MEDIATO DA BATTERIOFAGO DI GENI DI RESISTENZA
ALL’ERITROMICINA E ALLA TETRACICLINA IN STREPTOCOCCUS PYOGENES.
M.C. Di Luca, D. Petrelli, S. D’Ercole, M. Prenna, S. Ripa, L.A. Vitali
Dip. di Biologia M.C.A., Università di Camerino.
Nello Streptococcus pyogenes, i geni che conferiscono la resistenza all’eritromicina mediata
dall’efflusso (mefA/msr) sono veicolati da profagi funzionali e possono essere associati al
determinante di resistenza alla tetraciclina tetO.
Lo scopo del presente lavoro era quello di dimostrare il trasferimento lisogenico “ex vivo” della
eritromicino- e tetraciclino-resistenza in S. pyogenes.
Quarantuno ceppi eritromicino-sensibili appartenenti a 12 tipi emm sono stati impiegati come
riceventi. Il ceppo K56 (emm12) è stato usato quale ricevente di riferimento e come indicatore delle
preparazioni di fago. Il ceppo m46 (emm4, eritromicino- e tetraciclino-resistente) è stato scelto
quale donatore del fago Φ-m46 (tetO+mefA+). Dopo induzione con mitomicina C (0.2 mg/L), il
sopranatante ottenuto è stato filtrato, trattato con DNAsi/RNAsi, concentrato mediante
precipitazione con PEG/NaCl, e, infine, aggiunto a colture dei ceppi riceventi. Dopo opportuna
incubazione, queste sospensioni sono state mescolate con soft agar e versate su piastre di BHI agar
per la visualizzazione e la conta delle placche di lisi. Parallelamente, le stesse sono state piastrate su
BHI agar contenente eritromicina al fine di selezionare cloni lisogeni eritromicino-resistenti.
La PCR è stata impiegata per controllare l’emm-tipo, e la presenza dei geni mefA e tetO prima e
dopo gli esperimenti di trasferimento lisogenico e per la rilevazione del DNA del Φ-m46 nel
sopranantante delle colture indotte del ceppo donatore.
Il K56 e l’85.4% (n = 35) dei ceppi testati hanno acquisito la resistenza dopo infezione con Φ-m46.
Tutti i ceppi emm1 (n = 7), emm12 (n = 6), emm75 (n = 2), emm18 (n = 1), emm94 (n = 1) e una
parte degli emm3 (5/7), emm4 (1/3), emm5 (1/2), emm6 (4/7) sono stati lisogenizzati e convertiti a
fenotipo eritromicino- e tetraciclino-resistente. Non sono stati isolati cloni da dopo infezione di
riceventi di emm-tipo 77, 78 e 89. Solo i ceppi emm12 sono risultati sensibili alla lisi mostrando
placche dopo infezione.
In conclusione, la resistenza all’eritromicina e alla tetraciclina veicolata dal fago Φ-m46 può essere
efficientemente trasferita da un ceppo di S. pyogenes ad un altro. Questa è la prima dimostrazione
diretta di trasferimento genetico orizzontale fago-mediato di antibiotico-resistenza in S. pyogenes.
Nel gruppo di ceppi analizzati, non è stata osservata una barriera al trasferimento liso genico
dipendente dall’emm-tipo del ceppo ricevente.
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STUDIO DELLE MUTAZIONI PATOADATTATIVE DEL GENE FIMH
DI
ESCHERICHIA COLI
Iebba V1., Conte MP1., Lepanto M1., Proietti Checchi M1., Totino V.1, Aleandri M.1, Longhi C.1,
Marazzato M.1, Cucchiara S.2, Schippa S1.
1Dipartimento di Scienze e Sanità Pubblica, Sapienza Università di Roma; 2 Dipartimenti di
Pediatria, Policlinico Umberto I, Sapienza Università di Roma
Le malattie infiammatorie croniche intestinali (MICI) sono caratterizzate da una non funzionale
interazione tra la microflora ed il sistema immuno mucosale intestinale. Molti studi indicano la
possibilità che ceppi di Escherichia coli associati alla mucosa siano coinvolti nell’avvio o
progressione di queste patologie. L’analisi colturale di campioni bioptici dell’ileo e del colon
hanno infatti confermato la presenza di elevate concentrazioni di E. coli nei pazienti con MICI,
molti dei quali hanno mostrato spiccate proprietà adesive-invasive su linee cellulari epiteliali umane
e colture primarie di enterociti. Elementi strutturali, comuni in tali ceppi, indispensabili al processo
adesivo/invasivo sono risultati essere i pili di tipo 1. Le fimbrie di tipi 1 mediano il legame,
suscettibile al mannosio, a differenti superfici dell'ospite. Il legame è dovuto alla componente della
fimbria FimH. In natura esistono molte varianti della proteina FimH diversamente selezionate per
la loro capacità di riconoscere specifici recettori. Alcune di queste varianti, associate a fenotipi
patogenetici adattativi, conferirebbero particolari tropismi di tessuto, con aumento drammatico
della capacità dei ceppi di colonizzare ad esempio la mucosa del tratto urinario o condurre tali ceppi
verso fenotipi virulenti. La virulenza dei batteri potrebbe quindi essere incrementata da queste
mutazioni risultando adattative in ambienti patologici ( come la una mucosa intestinale fortemente
infiammata). Quindi, la transizione da fenotipo commensale a fenotipo virulento potrebbe quindi
essere mediata, non solo dall'acquisizione di geni correlati alla virulenza, ma anche attraverso la
selezione di varianti genetiche, in un tratto commensale, che risultano essere favorite da un
ambiente patologico. Lo scopo del presente lavoro è stato quello di caratterizzare varianti della
proteina FimH espresse da ceppi di E.coli isolati dalle biopsie di pazienti con MICI, al fine di
studiare eventuali associazioni tra mutazioni pato-adattative del gene e i diversi habitat intestinali
che si incontrano nelle due forme di MICI, malattia di Crohn (MC) e colite ulcerosa (CU). I primi
risultati ottenuti mostrano una forte relazione tra i profili mutazionali del gene fimH e il tipo di
patologia ( CU o MC) . Le variazioni, che avvengono naturalmente in questo gene, sono mutazioni
adattative ad habitat che variano da commensali a patologici e diventano un fattore chiave per la
sopravvivenza della specie in questa transizione.
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Pagina 43 di 288
CORRELAZIONE TRA EMM/T, SOF, SPEA-C, PRTF1-F2 E RESISTENZA AI
MACROLIDI IN S.PYOGENES
Carolina Ferranti1, Gianna Tempera1, Giuseppe Bisignano2, Pio Maria Furneri1
1
Dipartimento di Scienze Microbiologiche e Scienze Ginecologiche, Università degli Studi
Catania. 2Dipartimento Farmacobiologico, Università degli Studi di Messina
119 ceppi di Streptococcus piogene (GAS), isolati da tamponi tonsillari provenienti da diverse
regioni d’Italia, sono stati sottoposti ad indagine fenotipica-genotipica volta a stabilirne le
caratteristiche di eritromicino-resistenza e la possibile correlazione con i principali fattori di
virulenza emm/T, sof, speA-C, prtF1-F2.
Nella nostra casistica il fenotipo di resistenza all’eritromicina più frequente e stato il cMLSB
(40,91%), seguito da iMLSB (36,36%) con il determinante di resistenza erm(B) prevalente rispetto
ad erm(A) e dal fenotipo M (22,72%) caratterizzato dalla presenza di mef(A). La caratterizzazione
molecolare della proteina M svolta attraverso l’emm sequencing ha consentito di individuare 18
emm tipo diversi e due nuovi sottotipo: l’emm5.66 e l’emm12.43. Gli emm tipo 1, 89, 12, 22, 28, 75
e emm 4, ricorrono complessivamente in oltre l’80% dei GAS in esame.
I GAS risultati positivi alle esotossine pirogeniche speA e speC sono particolarmente frequenti e
con percentuali che si attestano al 60.8% per speA e all’81.7% per speC. Il profilo dei geni spe per
un dato emm tipo, delinea una distribuzione chiaramente non randomizzata e pattern geno-fenotipici
di eritromicino-resistenza ricorrenti: nei ceppi emm 2, 4 6, 9 44 e 75 la presenza di speC è quasi
sempre costante mentre speA è quasi sempre assente. I ceppi emm2, 4, 44, non presentano mai
fenotipo cMLSb o iMLSb. Nessuno dei ceppi emm 12 è sensibile all’eritromicina; in nessuno dei
ceppi emm22 emm28 è stato riscontrato il fenotipo M ed i ceppi con emm tipo 77 presentano tutti
fenotipo iMLSb con genotipo erm(A).
I determinanti genici prtF1 e prtF2, codificanti le FBPs, sono presenti in percentuali elevate e
paragonabili sia nei GAS sensibili sia nei GAS resistenti all’eritromicina. In particolare, prtF1 è
stato rilevato nel 100% dei ceppi con fenotipo M. L’analisi di distribuzione delle FBPs, in relazione
ai fattori di virulenza, sia al genotipo/fenotipo di resistenza ai macrolidi ha evidenziato l’esistenza
di pattern genetici comuni nei diversi emm tipo. Infine, il Multilocus Sequence Typing eseguito su
un pool di ceppi rappresentativi per dato emm/T tipo ha permesso di esaminare il background
genetico dei ceppi e di scoprire quattro nuovi ST 461, 462, 463, 464, di cui due generati da nuove
varianti del locus dei geni housekeeping gtr e muts.
Questo studio è stato, in parte, finanziato con fondi PRIN-2007: Prot. 2007RXJN5N_001
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Pagina 44 di 288
ACHROMOBACTER XYLOSOXIDANS ISOLATI DA PAZIENTI AFFETTI DA FIBROSI
CISTICA: CORRELAZIONE TRA GENOTIPI, VALORI SPIROMETRICI E FLORA
BATTERICA CONCOMITANTE.
Varesi P.2, Trancassini M.1, Schippa S.1, Iebba V.2, Pecoraro C.2, Quattrucci S.2 Magni A.1
1
Dipartimento di Scienze di Sanità Pubblica - Università “La Sapienza” Roma
2
Centro Regionale di Fibrosi Cistica Dipartimento di Pediatria - Università “La Sapienza” Roma
Negli studi epidemiologici i metodi di tipizzazione molecolari su ceppi batterici sono divenuti
essenziali negli ultimi anni. Nel nostro lavoro 106 ceppi di A.xylosoxidans, isolati da pazienti affetti
da Fibrosi Cistica (FC) sono stati tipizzati mediante tecnica di Randomly Amplified Polymorphic
DNA (RAPD). I profili ottenuti sono stati successivamente analizzati mediante Agglomerative
Hierarchical Classification (AHC) e Factorial Discriminant Analysis (FDA) per valutare eventuali:
a. correlazioni genetiche tra i profili RAPD;
b. correlazioni tra questi profili e i valori spirometrici (FEV1);
c. correlazioni con la concomitante colonizzazione cronica con Pseudomonas aeruginosa e
Staphylococcus aureus.
I risultati finali di questo studio mostrano una forte associazione tra i profili RAPD dei ceppi di A.
xylosoxidans e le variabili da noi prese in esame.
Una possibile spiegazione dei nostri risultati potrebbe essere cercata in quel particolare habitat qual
è il polmone del paziente con FC capace di forgiare e selezionare la flora batterica colonizzante.
Molti studi recenti mettono, infatti, in evidenza la potenzialità di un habitat di indurre e di produrre
pressioni selettive che promuovono la colonizzazione di certe specie o ceppi batterici invece di altri.
Nel nostro lavoro i ceppi con profili RAPD correlati condividono comuni tratti genetici che
potrebbero permettere la loro sopravvivenza nel tessuto polmonare del paziente con FC.
La persistenza di A.xylosoxidans nell’ambiente ostile del polmone dei paziente FC potrebbe
selezionare varianti di A.xylosoxidans meglio adattate al tessuto polmonare infiammato di questi
pazienti. I nostri risultati, quindi, potrebbero essere spiegati con i cambiamenti adattativi nella
fisiologia di A.xylosoxidans nel corso di infezioni polmonari persistenti nei pazienti con FC.
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Pagina 45 di 288
DETERMINAZIONE DELL’UNITA’ RIPETITIVA DEL CEPACIANO TRASLOCATA
NELLO SPAZIO PERIPLASMICO DA UNA FLIPPASI CODIFICATA DAL GENE bceQ
Furlanis L., Corich L., Cescutti P., Foschiatti M., Rizzo R., Dolzani L., Tonin E., Lagatolla C.
Dipartimento di Scienze della Vita, Università degli Studi di Trieste
La maggior parte delle specie che appartengono al Burkholderia cepacia complex (Bcc) producono
un esopolisaccaride (EPS) chiamato cepaciano, importante nel determinare l’espressione del
fenotipo mucoide da parte di questi microrganismi. È documentato l’isolamento di ceppi Bcc che
alternano l’espressione del fenotipo mucoide e di quello non mucoide: i fattori responsabili del
passaggio dall’uno all’altro non sono ancora chiariti ma è probabile che siano responsabili
dell’evoluzione in senso acuto oppure cronico delle infezioni respiratorie provocate. L’ipotesi che il
cepaciano costituisca un importante fattore di patogenicità per questa specie batterica ha stimolato
lo studio dei geni coinvolti nella sua biosintesi: un cluster di 16 kb, codificante per 12 geni (bceAbceL) e localizzato nel cromosoma 2 nelle specie di Bcc è stato inizialmente descritto da Moreira.
Successivamente è stata identificata una seconda regione localizzata nello stesso cromosoma a 150
kb di distanza. Tramite esperimenti di transposon mutagenesis di un ceppo mucoide derivato da un
paziente afferente al Centro Regionale per la Fibrosi Cistica del Friuli Venezia Giulia (BTS7), è
stato ottenuto un isolato incapace di produrre esopolisaccaride (BTS7C). Il gene inattivato mostra
alta percentuale di omologia (94%) con un gene codificante una “polysaccharide biosynthesis
protein” ritrovata in due ceppi di riferimento, J2315 e B. sp. 383. Analisi in silico mostrano che
questa regione localizzata nel secondo cluster è di circa 15 kb e contiene 9 geni, chiamati bceMbceU. Alcuni di questi corrispondono a geni già descritti precedentemente, con eccezione di tre che
codificano per acetiltransferasi e che non hanno omologia fra loro. La “polysaccharide biosynthesis
protein” è codificata dal gene bceQ e mostra alta omologia (26% identità/48% positività) con la
proteina Wzx di E. coli, una proteina integrale di membrana, nota anche come “flippasi”, che media
il trasferimento degli zuccheri dal citoplasma verso lo spazio periplasmico. Quindi, l’inattivazione
del gene bceQ dovrebbe portare all’accumulo dell’unità ripetitiva legata al lipide carrier nella
membrane interna. Nel presente lavoro abbiamo studiato la funzione della proteina codificata del
gene bceQ nell’isolato BTS7, ricercando l’unità ripetitiva del cepaciano legata alla membrana
citoplasmatica sia nel ceppo wild type che nel ceppo mutato.
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Pagina 46 di 288
PATOGENICITÀ ED ANTIBIOTICO-RESISTENZA DI STAPHYLOCOCCUS AUREUS
ISOLATO DA DERMATITE ATOPICA
Cafiso V1, Spina D1, Bertuccio T1, Purrello S1, Vitale S1, Prignano G2, Capitanio B3, Pascolini C2,
De Santis A 2 , Di Carlo A 2 e Stefani S1
1
Dipartimento di Microbiologia e Ginecologia–Università di Catania (CT) e-mail:[email protected];
2
SSO Diagnostiche Microbiologiche, 3SSO Dermatologia Pediatrica-Istituto San GallicanoIRCCS-Polo Dermatologico IFO (RM)
La Dermatite Atopica (DA) è una affezione cutanea nella quale la colonizzazione di Staphylococcus
aureus rappresenta un fattore aggravante la malattia. La caratteristica xerosi determina, infatti, un
aumento dell’esposizione di adesine tissutali a cui S.aureus aderisce attraverso fattori di virulenza
(adesine, tossine, capsula e biofilm) tipici del microrganismo. S.aureus, attraverso un meccanismo
d’interferenza microbica dovuto al locus agr (accessory-genes-regulator), può determinare
l’adesione al sito di infezione di ceppi di uno specifico gruppo di interferenza agr (I-II-III-IV) per
competizione con la flora microbica residente.
Il nostro lavoro ha valutato il patotipo di 70 ceppi di S.aureus isolati da lesioni cutanee, fosse nasali
e cute sana di pazienti con DA in cura presso l’Istituto San Gallicano IRCCS di Roma.
A tale scopo è stato determinato: il tipo di antigene capsulare (cap5-cap8), l’agr-group, il contenuto
di adesine e tossine (hls-spa-icaA-atl-cna-sdrE-sdrC-fnbA-clfA/B-eta-sea-sej-sec-sed-sek-seq-tstsplB-lukE) e la presenza della leucocidina-PVL (lukS/F) mediante Multiplex-PCR; la produzione di
biofilm secondo Christensen et al.; l’antibiotico-resistenza (OXA-E-DA-CN-SXT-CIP-LEV-TETRD-C) mediante Kirby-Bauer (CSLI-2009).
I nostri risultati mostrano che tutti gli isolati sono meticillino-sensibili e, quindi, ampiamente
sensibili a tutti agli antibiotici saggiati. Era evidente una predominanza di Cap8 (75.5 %), agr-I
(48.57 %) e ceppi biofilm-produttori (82.85%) mentre solo il 5.7% presentava la leucocidina-PVL
(lukS/F). Si riscontravano, inoltre, geni di virulenza presenti in tutti gli isolati tra cui le adesine: spaicaA-atl-sdrC-clfA/B e tutte le emolisine, e geni presenti in percentuale variabile tra cui le adesine
fnbA (77 %), sdrE (73 %), cna (61 %), e le tossine sek/seq (64.28 %), splB/lukE (47.5 %), tst (47
%), sec (31.4 %), sea (24.2 %), sej (18 %), sed (11.42 %), eta (4.28 %).
Il campione presentava, quindi, un cospicua percentuale di adesine che ne supportano l’elevata
invasività, una notevole diffusione della tossina esfoliativa TSST-1 e di entero-tossine tra cui
sek/seq caratteristiche dei Community Acquired-MRSA.
I ceppi isolati dallo stesso paziente ma da siti di contaminazione diversi presentavano
prevalentemente un patotipo simile.
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UN MODELLO DI PERSISTENZA IN HELICOBACTER PYLORI IN UN CASO DI
CANCRO GASTRICO
R. Grande, M. Di Giulio, E. Di Campli, S. Di Bartolomeo, L. Cellini
Dipartimento di Scienze Biomediche, Facoltà di Farmacia, Università “G. d’Annunzio” Chieti –
Pescara
Scopo: Helicobacter pylori è coinvolto nell’insorgenza della gastrite cronica attiva, ulcera
duodenale, cancro gastrico e linfoma di MALT. Il carcinoma gastrico è la seconda causa di morte
per cancro nel mondo e, la sua associazione con H. pylori è confermata da numerosi studi
epidemiologici. Nell’infezione associata ad H. pylori, un ruolo importante è attribuito ai geni di
virulenza vacA e cagA. I ceppi di H. pylori che possiedono l’isola di patogenicità cagPAI sono
associati a patologia gastroduodenale più severa soprattutto quando la proteina CagA, antigene
immunodominante di CagPAI, traslocata all’interno di delle cellule epiteliali, viene fosforilata da
parte delle chinasi della cellula ospite in corrispondenza dei motivi di fosforilazione della tirosina
contenenti la sequenza EPIYA.
Lo scopo del presente studio è stato quello di analizzare cloni di H. pylori, isolati da un paziente con
cancro gastrico, per valutarne: i) la variabilità genetica, ii) i principali fattori di virulenza, iii) la
sensibilità antimicrobica nei confronti dei farmaci più comunemente utilizzati nella terapia verso H.
pylori.
Metodi: Sono stati studiati 32 cloni di H. pylori provenienti da una biopsia antrale di una paziente
con cancro gastrico, precedentemente trattata per l’infezione da H. pylori e analizzati per: la
variabilità genetica con Amplified Fragment Lenght Polymiforfism (AFLP) analysis; i fattori di
virulenza vacA e cagA con PCR; la sensibilità (CMI) verso Amoxicillina, Claritromicina,
Levofloxacina e Tinidazolo con il metodo delle diluizioni in agar.
Risultati: La paziente con cancro gastrico presentava un’ infezione mista con almeno 3 ceppi diversi
di H. pylori. I cloni isolati presentavano i principali fattori di virulenza con differenti combinazioni
alleliche (vacA s1i1m1; s1i1i2m1; s2i2m2; s2i1i2m2) unitamente alla presenza di motivi EPIYA
ripetuti P1P2P3P3P3 e resistenze multiple verso Levofloxacina e Claritromicina.
Conclusioni: La presenza di ceppi diversi che colonizzano lo stesso paziente, caratterizzati dalla
presenza dei maggiori marker di virulenza e da una marcata multiresistenza ai farmaci utilizzati
nella terapia anti-H. pylori, sottolinea la grande capacità del microrganismo di adattarsi all’ospite
attraverso micro e macroevoluzioni finalizzate alla persistenza nel tempo.
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STUDIO DELLA FORMAZIONE DI BIOFILM E DELL’ADESIVITA’ A DIFFERENTI
CELLULE EUCARIOTICHE DI CEPPI SENSIBILI AI β-LATTAMICI E DI CEPPI
PRODUTTORI DI β-LATTAMASI
Fugazza G.1, Nucleo E.1, Migliavacca R.1, Spalla M.1, Pagani L.1, Debiaggi M.1
1
Dip. S.M.E.C. sez. di Microbiologia, Univ. di Pavia, via Brambilla 74, 27100 Pavia
Introduzione
Le infezioni del tratto urinario (UTI) da P. mirabilis produttori delle β-lattamasi TEM-92 e CMY16 sono in aumento in Italia . Nei pazienti cateterizzati tali infezioni possono cronicizzare. Scopo
del lavoro è stato valutare la formazione di biofilm e l’adesività a due diverse linee cellulari da parte
di ceppi produttori degli enzimi TEM-92 e CMY-16.
Metodi
La formazione di biofilm è stata valutata in 10 isolati clinici responsabili di UTI: 4 erano CMY-16
e 3 TEM-92 produttori, i rimanenti erano β-lattamasi negativi. I ceppi sono stati studiati mediante
saggi di adesione in tre terreni: Luria-Bertani (LB), LB diluito ed urina. La formazione di biofilm è
stata saggiata anche in presenza di imipenem e piperacillina-tazobactam in LB ed urina. L’adesività
a due linee cellulari (LLC-MK2 ed epiteliali tubulari renali umane) è stata testata per un ceppo
CMY-16 produttore, un TEM-92 produttore e un isolato sensibile. La presenza del gene codificante
per le fimbrie MR/P è stata verificata mediante PCR.
Risultati
Tutti i ceppi sono risultati buoni produttori di biofilm. Gli isolati CMY-16 e TEM-92 positivi sono
risultati essere più abili nella formazione di fattori di adesione rispetto ai ceppi β-lattamasi negativi,
indipendentemente dal terreno di crescita. Tutti gli isolati presentavano un incremento dei livelli di
adesione in concentrazioni sub-inibenti di antibiotico. Il gene codificante la subunità maggiore delle
fimbrie MR/P è stato rilevato in tutti gli isolati. I saggi in coltura hanno evidenziato per tutti gli
isolati la tendenza, indipendentemente dal fenotipo di resistenza, ad aderire a superfici inerti rispetto
alle cellule, dando origine alla formazione di coaggregati, evidenti negli spazi intercellulari. Questo
comportamento si è verificato sia verso la linea cellulare LLC-MK2 che verso la tubulare epiteliale
renale.
Conclusioni
La maggiore formazione di biofilm in ceppi β-lattamasi produttori oltre che, più in generale, la
capacità di aderire a superfici inerti, stimolata anche dalla presenza di concentrazioni sub-MIC di
antibiotici β-lattamici, sono tutti fattori che concorrono all’aumento ed alla cronicizzazione delle
UTI. Studi ulteriori su linee cellulari diverse, atti a evidenziare specifiche caratteristiche di
tropismo, sono comunque necessari.
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EFFETTO DEL 3-O-METHYLFUNICONE (OMF) DA PENICILLIUM PINOPHILUM SU
CELLULE STAMINALI DI CANCRO
Buommino E, De Filippis A, Tirino V, *Nicoletti R, Tufano MA.
Dipartimento di Medicina Sperimentale, Sezione di Microbiologia e Microbiologia Clinica, SUN
*C.R.A. – Istituto Sperimentale del Tabacco, Scafati
I metaboliti secondari prodotti da microrganismi che colonizzano l’ambiente hanno suscitato
l’interesse della comunità scientifica allo scopo di individuare nuove molecole da aggiungere al
panel di chemioterapici attualmente in uso nelle terapie antitumorali. La recente scoperta di cellule
con caratteristiche staminali all’interno dei tumori solidi ha aperto nuovi scenari per una migliore
comprensione dei meccanismi che regolano la crescita, l’invasione tumorale e le recidive in loco. In
questo studio, abbiamo analizzato l’effetto del 3-O-methylfunicone (OMF), un metabolita
secondario prodotto dal fungo Penicillium pinophilum, su cellule staminali ottenute da una linea di
carcinoma mammario (MCF7). Le capacità antitumorali dell’OMF sono state già analizzate dal
nostro gruppo di ricerca. In particolare, è stata dimostrata la capacità dell’OMF di inibire la crescita
e la migrazione delle MCF7, non alterando, invece, la crescita della linea epiteliale normale,
MCF10.
Le staminali sono state isolate mediante crescita in sospensione delle MCF7; tale tecnica ci ha
consentito di ottenere le mammosfere, particolari aggregati cellulari che presentano caratteri di
staminalità. L’effetto dell’OMF è stato confrontato con un noto chemioterapico, il cisplatino. Le
mammosfere sono state trattate con OMF (80 μg/ml) e cisplatino (40 μM) per 48 ore e i risultati
analizzati mediante RT-PCR, per valutare l’induzione dell’apoptosi, e citometria a flusso per
valutare i marcatori di staminalità e di differenziamento (CD44, CD24, CD133, CD184) nei diversi
passaggi della coltura. Dai risultati ottenuti si evince che l’OMF induce una maggiore percentuale
di mammosfere in apoptosi rispetto al cisplatino e, inoltre, induce una down-regolazione dei
markers di staminalità come CD133, CD44 e del CD184. Anche lo studio sulla linea adesa (MCF7)
dimostra che l’OMF ha una maggiore capacità ad indurre apoptosi e ridurre i marcatori di
staminalità rispetto al cisplatino.
In conclusione, l’effetto dell’OMF sulle mammosfere fa ipotizzare un possibile uso di tale molecola
nel cancro della mammella, essendo capace di agire non solo sulle MCF7, ma anche sulla
popolazione di staminali presenti.
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ATTIVAZIONE PRIMARIA DI LINFOCITI T IN SEGUITO A VACCINAZIONE
MUCOSALE
Medaglini Donata; Ciabattini Annalisa; Pettini Elena.; Pozzi Gianni.
LA.M.M.B, Dip. Biologia Molecolare, Università di Siena, 53100 Siena.
L’induzione di cellule T attivate è di cruciale importanza per lo sviluppo di vaccini. A questo scopo
è stata studiata e caratterizzata l’attivazione primaria in vivo dei linfociti T helper e T citotossici
antigene-specifici in seguito a vaccinazione per via intranasale, impiegando il modello di
trasferimento adottivo di linfociti T transgenici CD4+ e CD8+ specifici per epitopi noti della
proteina ovalbumina (OVA). L’immunizzazione è stata effettuata utilizzando un ceppo
ricombinante di Streptococcus gordonii che esprime in superficie gli epitopi OVA fusi ad un
antigene vaccinale modello. Il priming delle cellule T è stato saggiato nel tessuto linfoide associato
al naso (NALT), nei linfonodi cervicali, iliaci e mesenterici e nella milza.
Una singola somministrazione intranasale di S. gordonii ricombinante induceva il priming di
linfociti T sia a livello dei siti drenanti che dei distali e nella milza. La proliferazione T appariva nel
NALT e nei linfonodi cervicali già 3 giorni dopo l’immunizzazione intranasale, mentre nei
linfonodi iliaci e mesenterici e nella milza appariva solo dopo 5 giorni; questi dati, insieme alla
modulazione nell’espressione del marker CD62L da parte delle cellule T in divisione, suggerivano
una possibile migrazione delle cellule T dal sito drenante verso i siti distali. Dall’analisi fenotipica i
linfociti T risultavano CD44+CD45RBlow confermando la loro attivazione. Nei singoli animali si
osservava inoltre una significativa correlazione tra la percentuale di linfociti T helper e T citotossici
proliferanti.
Questi dati dimostrano l’efficienza dell’immunizzazione intranasale con lo S. gordonii ricombinante
nell’indurre il priming di cellule T CD4+ e CD8+ non soltanto nel tratto respiratorio, ma anche nel
tratto genitale e intestinale, nonché a livello sistemico.
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IDENTIFICAZIONE E CARATTERIZZAZIONE FUNZIONALE DELLA TOSSINA
CITOLITICA TVSAPLIP-5 DI TRICHOMONAS VAGINALIS
Paola Rappelli, Nicia Diaz, Daniele Dessì, Antonella Mura, Federica Riu, Pier Luigi Fiori
Dipartimento di Scienze Biomediche, Università di Sassari
Trichomonas vaginalis è il protozoo responsabile della tricomoniasi, una delle malattie a
trasmissione sessuale più diffuse. L’infezione è caratterizzata da un importante effetto citopatico a
carico dell’epitelio vaginale. Evidenze sperimentali indirette indicano che nel meccanismo di
patogenicità del protozoo sono coinvolte proteine formanti poro (PFP), suggerendo un’omologia
con altri protozoi, quali Entamoeba histolytica e Naegleria fowleri, che producono PFP
appartenenti alla famiglia delle saposin-like proteins. Il recente sequenziamento del genoma di
T.vaginalis ha permesso di individuare 12 geni (denominati TvSaplip da 1 a 12) che mostrano un
altissimo grado di omologia con i geni delle saposin-like proteins di E.histolytica e di N.fowleri. In
questo lavoro è stato verifcato l’effettivo ruolo dei geni Tvsaplip nei meccanismi patogenetici del
protozoo. Il meccanismo di patogenicità di T.vaginalis è fortemente dipendente dall’adesione alla
cellula bersaglio e da valori di pH intorno a 6.0. E’ stato perciò valutato se adesione e pH fossero in
grado di modulare la trascrizione dei geni TvSaplip 1-12. I risultati ottenuti hanno messo in
evidenza un incremento dei livelli di trascrizione in seguito a stimolazione per i geni TvSaplip 5,
TvSaplip 6, TvSaplip 10 e TvSaplip 12. Lo studio è stato quindi focalizzato sul gene TvSaplip 5, che
mostra un incremento dei livelli di trascrizione particolarmente significativo. TvSaplip5 è stata
ottenuta in forma ricombinante ed è stata utilizzata per la produzione di anticorpi specifici
monoclonali e policlonali. Studi di immunolocalizzazione con anticorpi anti-TvSaplip5 hanno
permesso di dimostrare la presenza della proteina nativa nel citoplasma del protozoo. Le immagini
ottenute dimostrano che essa è confinata all'interno di granuli intracitoplasmatici, analogamente a
quanto riscontrato per Amoebapore e per Naegleriapore. Il contatto con le cellule bersaglio induce
in una prima fase un aumento del numero dei granuli, seguita da una loro graduale scomparsa. La
proteina è inoltre presente sulle membrane delle cellule bersaglio dopo il contatto con T.vaginalis. I
dati ottenuti hanno così permesso di confermare le evidenze sperimentali indirette, ottenute in
precedenza, che suggerivano il coinvolgimento di proteine formanti poro nel meccanismo di
patogenicità del microrganismo. TvSaplip5 è la prima proteina di T.vaginalis finora individuata
coinvolta direttamente nella lisi della cellula bersaglio.
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ATTIVITÀ BATTERICIDA ED ANTI-BIOFILM DI PEPTIDI ANTIMICROBICI VERSO
PATOGENI MULTI-RESISTENTI ISOLATI DA PAZIENTI CON FIBROSI CISTICA.
Di Bonaventura G.,1,2 Pompilio A.,1,2 Picciani C., 1,2 Confalone P.,1,2 Benincasa M.,3 Scocchi M.,3
Fiscarelli E.,4 Piccolomini R.,1,2 Gennaro R.3
1
Dipartimento Scienze Biomediche, Università di Chieti-Pescara.
2
Centro Scienze sull’Invecchiamento, Fondazione Università di Chieti-Pescara.
3
Dipartimento Scienze della Vita, Università di Trieste.
4
Ospedale Pediatrico “Bambin Gesù”, Roma.
Background: L’infezione cronica del tratto respiratorio è la causa principale di morbilità e
mortalità nei pazienti affetti da fibrosi cistica (FC). La massiva esposizione a terapie antibiotiche
ripetute ha causato la comparsa di patogeni multi-resistenti agli antibiotici convenzionali, rendendo
quindi necessaria l’individuazione di approcci terapeutici alternativi. Obiettivi: Saggiare in vitro
l'attività battericida ed anti-biofilm di sei peptidi antimicrobici [LL-37, SMAP-29, BMAP-27,
BMAP-28, indolicidina e Bac7(1-35)] nei confronti di ceppi multi-resistenti di Stenotrophomonas
maltophilia (n=3), Pseudomonas aeruginosa (n=4), e Staphylococcus aureus (n = 4) isolati da
pazienti FC. Materiali e Metodi: L'attività battericida dei peptidi è stata saggiata utilizzando il
metodo della microdiluizione in brodo, in accordo con le linee guida CLSI. L'effetto di
concentrazioni sub-inibenti di peptidi sulla formazione di biofilm in micropiastra è stato misurato
mediante saggio con cristalvioletto. Risultati: SMAP-29 è risultato il più attivo tra i peptidi saggiati
(MIC range: 2-32 µg/ml; MIC90: 8 µg/ml), seguito da BMAP-28 (MIC range: 4 - ≥ 64 µg/ml;
MIC90: 16 µg/ml) e BMAP-27 (MIC range: 2 - ≥ 64 µg/ml; MIC90: ≥ 64 µg/ml). Al contrario,
indolicidina, LL-37 e Bac7 (1-35) non hanno mostrato alcuna attività nei confronti dei ceppi
saggiati (MIC ≥ 64 µg/ml). SMAP-29 e BMAP-27 sono risultati particolarmente attivi nei confronti
di P. aeruginosa (MIC range: 2-4 µg/ml) e BMAP-28 vs S. aureus (MIC range: 4-8 µg/ml). A
concentrazione pari a 1/2xMIC questi tre peptidi hanno significativamente ridotto la formazione di
biofilm da parte di S. maltophilia e P. aeruginosa (riduzione: 26-93% e 28-83% vs controllo,
rispettivamente; P<0.05). SMAP-29 saggiato a 1/2xMIC è stato l'unico peptide in grado di ridurre
significativamente la formazione di biofilm da parte di S. aureus (riduzione: 70-72% vs controllo;
P<0.05). Al contrario, concentrazioni sub-inibenti di indolicidina, LL-37, e Bac7 non hanno avuto
alcun effetto sulla formazione di biofilm. Conclusioni: I nostri risultati suggeriscono il potenziale
terapeutico delle catelicidine SMAP-29, BMAP-27 e BMAP-28 nel trattamento dell’infezione
polmonare in FC.
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INVASIONE E SOPRAVVIVENZA INTRACELLULARE DI CEPPI DEL BURKHOLDERIA
CEPACIA COMPLEX IN CELLULE DENDRITICHE
Antonietta Lambiase, Emanuela Roscetto, Laura Vitiello, Rosa Muoio, Maria Rosaria Catania,
Mariassunta Del Pezzo, Fabio Rossano
Dipartimento di Biologia e Patologia Cellulare e Molecolare “Luigi Califano”, Università di Napoli
“Federico II”
Il Burkholderia cepacia complex (Bcc) è un gruppo di batteri Gram-negativi (genomovar I–IX)
riportati come patogeni polmonari opportunisti in fibrosi cistica (FC) già dal 1980. All’acquisizione
di infezioni o colonizzazioni sostenute da questi batteri è generalmente associato un incremento
della morbilità e della mortalità. L’outcome clinico di pazienti infettati o colonizzati da batteri del
Bcc è molto eterogeneo, andando da una lenta progressione della malattia polmonare ad un
repentino deterioramento associato a batteriemia, polmonite necrotizzante e morte, (“sindrome da
cepacia”). Isolati batterici del Bcc sono generalmente multi-resistenti agli antimicrobici ed
altamente cross-trasmissibili tra pazienti.
All’interno del Bcc, la maggior parte delle infezioni polmonari in FC vede come agenti eziologici
B. multivorans (genomovar II), B. cenocepacia (genomovar III) e B. vietnamiensis (genomovar V).
Dati di letteratura indicano la capacità di Bcc di invadere e sopravvivere all’interno di cellule
umane (Burns et al Infect Immun 1996; 64: 4054-59, Lamothe et al Cell Microbiol 2006; 9: 40-53,
Savoia et al Curr Microbiol 2007; 54: 440-444). Conseguentemente a queste indicazioni, il nostro
studio prevede due steps: in primo luogo viene valutato se isolati clinici del Bcc riescono ad
invadere e sopravvivere all’interno di cellule dendritiche, successivamente, se esistono differenze
all’interno del Bcc in tale capacità di invasione e sopravvivenza. Il metodo che è stato utilizzato è
quello descritto da Martin e Mohr (Infect Immun 2000; 68: 24-29). Attualmente sono stati analizzati
ceppi di B. cenocepacia ed i dati sono suggestivi sia di capacità invasiva che di sopravvivenza.
Questi dati, in linea anche con la letteratura riportata, indicano che B. cenocepacia, maggiore
responsabile all’interno del Bcc delle infezioni polmonari in FC, risulta anche invasivo e capace di
sopravvivere in cellule umane e, nel nostro caso, in cellule dendritiche. Perciò, anche se preliminari,
tali dati potrebbero corroborare la validità dell’associazione tra outcome clinico, genomovar e
capacità invasive e di sopravvivenza intracellulare anche in cellule diverse da quelle epiteliali.
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INDIVIDUAZIONE MOLECOLARE DI BABESIA EU1 E BABESIA DIVERGENS-LIKE
IN ZECCHE IXODES RICINUS RACCOLTE NEL FRIULI-VENEZIA GIULIA.
M. Cinco, R. Floris, Paola Cecco.
Dipartimento Scienze della Vita, Spirochete Laboratory, Univerisità di Trieste.
Sebbene la babesiosi – trasmessa mediante morso di zecca - rappresenti un’importante infezione in
campo veterinario, si registrano anche alcuni casi umani sia negli USA che in Europa. Due pazienti
sono stati individuati anche nel Nord Italia e sono stati attribuiti alla varietà Babesia EU1. Casi di
babesiosi umana sono stati registrati anche in Slovenia, nella regione confinante con il Friuli
Venezia Giulia. Poiché mancano totalmente dati sulla presenza di Babesia nel territorio giuliano, in
questo studio ci siamo proposti di ricercare la presenza di questo microrganismo nel suo vettore
Ixodes ricinus, raccogliendo 1861 esemplari di zecche in stazioni prestabilite. La ricerca di Babesia
è stata fatta utilizzando una nested PCR amplificante un tratto del gene codificante per la betatubulina, ed anche sequenze del gene codificante per la subnità 18S dell’ rRNA. I risultati dopo due
anni di sperimentazione indicavano che la prevalenza media di Babesia nelle zecche variava da 0.8
a 1.1%. La genospecie di Babesia è stata desunta confrontando le sequenze degli amplificati tra loro
e con sequenze di riferimento. Dall’analisi dell’albero filogenetico sviluppato è risultato che dodici
sequenze positive appartenevano alla genospecie EU1, mentre le due rimanenti formavano un
cluster nell’ambito del gruppo B. divergens/B. capreoli. Si tratta del primo rapporto sulla presenza
di Babesia in zecche raccolte in Italia.
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Pagina 55 di 288
COMUNICAZIONE CELLULARE NEI BATTERI DEGLI ALIMENTI
Raffaella Di Cagno, Maria De Angelis, Maria Calasso, Fabio Minervini, Marco Gobbetti
Dipartimento di Protezione delle Piante e Microbiologia Applicata,
Università degli Studi di Bari
Il comportamento sociale dei batteri ed in particolare la loro capacità a comunicare è di recente
acquisizione. Conseguentemente, l’approccio allo studio della comunità microbica è stato in
parte mutato. I batteri sintetizzano, rilasciano, rilevano e rispondono a molecole simil-ormonali
chiamate autoinduttori. La concentrazione di tali molecole aumenta proporzionalmente
all’intensità della popolazione fino a quando, raggiunta una specifica soglia o “quorum”, la
percezione di tali segnali si traduce in una cascata di reazioni che determinano cambiamenti
dell’espressione di geni target. La comunicazione cellulare tra i batteri si può avere a livello
intra- ed inter-specie mediante meccanismi differenti in funzione dei batteri Gram-negativi e
Gram-positivi. La presente comunicazione ha per oggetto alcuni dei meccanismi di quorum
sensing identificati nei batteri degli alimenti. In particolare saranno considerati i meccanismi che
regolano le interazioni microbiche (es. batteri lattici del lievito naturale, bifidobatteri di alimenti
funzionali) in ecosistemi alimentari complessi. La comprensione dei segnali extracellulari
potrebbe fornire uno strumento utile per il controllo dei processi molecolari e cellulari e, quindi,
per l’uso o la prevenzione dei microrganismi degli alimenti.
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ANALISI DELLE PROPRIETA’ ADESIVE DI CANDIDA PARAPSILOSIS, CANDIDA
METAPSILOSIS E CANDIDA ORTHOPSILOSIS
Arianna Tavanti, Alessia Bertini, Lambert A.M. Hensgens e Sonia Senesi
Dipartimento di Biologia, Università di Pisa, Via S. Zeno 35-39, 56127 Pisa
L’epidemiologia delle infezioni provocate dalle specie di recente definizione Candida orthopsilosis
e Candida metapsilosis non è ancora del tutto delucidata, anche se recenti studi indicano che queste
specie sono responsabili di infezione nell’uomo in circa l’1-10% delle infezioni erroneamente
attribuite a Candida parapsilosis. Poco è noto riguardo ai fattori di virulenza espressi da questi
lieviti ed al loro contributo all’insorgenza e progressione dell’infezione, anche se delle tre specie, C.
parapsilosis sembra quella più adattata all’ospite umano e caratterizzata da un maggior potenziale
di virulenza. Al fine di meglio caratterizzare la virulenza del complesso “psilosis”, in questo studio
sono state valutate le proprietà adesive di ceppi di C. ortho-meta- e parapsilosis in un saggio in
vitro di adesione a cellule epiteliali buccali umane. Poiché per C. parapsilosis è stata descritta una
attività ectofosfatasica, positivamente correlata alle capacità adesive di questo patogeno
opportunista, parallelamente ai saggi di adesione, è stata quantificata spettrofotometricamente tale
attività nei ceppi in studio, dopo 45 minuti di incubazione in presenza di cellule epiteliali buccali. I
risultati ottenuti hanno indicato che, delle tre specie, C. metapsilosis è quella caratterizzata dalla
minore capacità adesiva, in accordo con quanto osservato in un modello di tessuto epiteliale umano
ricostituito. Per quanto riguarda l’esistenza di una correlazione tra proprietà adesive ed attività
ectofosfatasica, dai dati ottenuti non è emersa, nelle tre specie in studio, una stretta correlazione tra
questi due fattori, almeno nel modello sperimentale utilizzato.
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MUTATIONAL RESISTANCE PATTERN OF HIV-1 IN CD14+ MONOCYTES, CD4+
T CELLS AND PLASMA FROM TREATED PATIENTS
Francesca Falasca1, Claudia Montagna1, Francesca Graziano1, Mauro Bucci1, Paola Maida1,
Gabriela d’Ettorre2, Ivano Mezzaroma3, Guido Antonelli1, Ombretta Turriziani1.
1
Department of Experimental Medicine, Virology Section, 2Department of Clinical Medicine,
3
Department of Infectious Diseases, “Sapienza” University of Rome and Policlinico Umberto I,
Rome Italy.
Background: There is a need to fully understand the molecular nature of the virus population that
persists in cellular reservoirs. The aim of this study was to characterize the patterns of resistance of
HIV-1 in CD14+ monocytes, CD4+ T cells and plasma.
Methods: Blood samples were collected from 42 patients treated for HIV. Levels of viremia were
undetectable in ten and 32 were in virological failure. CD14+ monocytes and CD4+ T cells were
isolated using magnetic beads. Genotyping of the reverse transcriptase and protease gene of HIV-1
was undertaken using the fluorescent dideoxy-terminator method.
Results: Of the 32 patients’ samples analysed, 24 (75%) had resistance mutations in at least one
compartment. The numbers and types of mutations from monocytes were the same as those detected
in both CD4+ T cells and plasma in only 8%. In 71%, monocytes exhibited a mutation pattern
different from those detected in both plasma and CD4+ T cell-associated virus. In 21% of patients,
the profile of drug-resistant mutations in the virus from both blood monocytes and plasma was
identical. In the 71% of patients with virological suppression, the genotypic resistance pattern
differed between monocytes and CD4+ T cells.
Conclusions. Circulating monocytes may harbour a viral dominant population different from those
viruses circulating in blood and archived in CD4+ T cells. HIV-infected monocytes can be an
indirect source of HIV-1 by carrying the virus and differentiating into tissue macrophages where
HIV may replicate. Hence, monocytes might serve as an indirect source of a drug-resistant viral
variant.
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Pagina 58 di 288
STUDIO DELL’ATTIVITÀ TRASCRIZIONALE DI TIMOSINA ALFA 1 (Tα1) SU
LINFOCITI PERIFERICI PROVENIENTI DA PAZIENTI HIV POSITIVI.
Matteucci C.1, Minutolo A.1, Grelli S.1, Macchi B.2, D'Ettorre G3., Vullo V.3, Mastino A.4,5, Garaci E1.
(1) Dip. di Scienze Biochimiche e Medicina Sperimentale, Università di Roma “Tor Vergata”;
(2)Dip. di Neuroscienze, Università di Roma “Tor Vergata”; (3) Dip. di Malattie Tropicali ed
infettive, Università di Roma Sapienza; (4) Dip. di Scienze della Vita, Sez. di Sc. Microb., Gen e
Mol, Univ. di Messina; (5) IRCCS Centro Neurolesi “Bonino-Pulejo”, Messina.
La Timosina alfa-1 (Tα1) mostra una varietà di effetti su cellule e vie di segnale del sistema
immunitario, in particolare come effettore della maturazione dei linfociti T e delle cellule NK,
nonché sull’attivazione delle cellule dendritiche. Diversi studi clinici su pazienti con infezioni o
altre malattie, hanno dimostrato l’alta tollerabilità e la sicurezza della Tα1. Ciò nonostante, le
informazioni riguardanti l’uso della Tα1 come immunomodulante in pazienti con infezione da
HIV è molto limitata. Scopo di questo studio è stato analizzare l’attività trascrizionale di Tα1 su
linfociti di pazienti HIV+ per meglio comprendere lo stato di compromissione della risposta
immunitaria in questi pazienti e verificare un possibile uso della Tα1, in combinazione con
l’ART, per il controllo dell’infezione da HIV. A tale scopo, linfociti di sangue periferico
(PBMC) di pazienti HIV+ sono stati utilizzati in parte a fresco, per l’analisi in citometria a flusso
dell’espressione delle molecole di superficie CD4 e CD8, e in parte sono stati coltivati per 48h in
presenza di Tα1 per poi analizzare l’espressione di numerosi geni coinvolti della risposta
immunitaria mediante microarray. L'attività trascrizionale di alcuni geni risultati modulati è stata
in seguito quantificata con RealTime PCR. I risultati hanno confermato la capacità di Tα1 di
regolare la risposta trascrizionale di un elevato numero di geni coinvolti nella risposta
immunitaria, nei linfociti di pazienti HIV+, come nei donatori sani. Il grado di modulazione è
risultato però differente tra i due gruppi, suggerendo una diversa risposta in base allo stato di
attivazione cellulare dei PBMC e alla distribuzione delle cellule bersaglio della Tα1. La
stimolazione della produzione di chemochine indotta dalla Tα1 in PBMC di pazienti HIV+,
indica, inoltre, un possibile doppio ruolo di questo peptide, nell’attività antivirale ed
immunomodulatoria. La Tα1, capace allo stesso tempo di agire come adiuvante immunitario e
simultaneamente opporsi all’infezione, potrebbe rappresentare un interessante nuovo approccio
terapeutico da affiancare alla terapia ART.
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Pagina 59 di 288
RUOLO DELLA PROTEINA STAT3 NELLA CARCINOGENESI CUTANEA INDOTTA
DA PAPILLOMAVIRUS UMANI
M. De Andrea1,2, M. Rittà1,2, M. Landini2, C. Borgogna2, M. Mondini2,3, H. Pfister4, E. Marcuzzi4,
M. Baccarini5, M. Gariglio2, S. Landolfo1
1
Dip.to di Sanità Pubblica e Microbiologia, Università degli Studi di Torino, Italia; 2Dip.to di
Medicina Clinica e Sperimentale, Università del Piemonte Orientale “A. Avogadro”, Novara,
Italia; 3NoToPharm S.r.l, Bioindustry Park del Canavese, Colleretto Giacosa - Torino, Italia;
4
Institute of Virology, Università di Colonia, Germania; 5Max F. Perutz Laboratories, Dip.to di
Microbiologia e Immunobiologia, Università di Vienna, Austria.
Il ruolo dei Papillomavirus umani (HPV) nella carcinogenesi cutanea è tuttora oggetto di studi
approfonditi, complicati dalla dimostrazione della presenza di HPV come commensali a livello
cutaneo nella popolazione sana. Studi recenti hanno dimostrato un probabile nesso causale tra HPV
appartenenti al genere beta (β-HPV) e tumori cutanei di origine epiteliale (NMSC, Nonmelanoma
skin cancer). Un modello sperimentale che ha permesso di dimostrare alcune delle attività
trasformanti dei β-HPV è rappresentato dai topi transgenici esprimenti le proteine oncogene E6 ed
E7 in maniera specifica a livello dell’epidermide. In particolare, l’espressione dei geni precoci di
HPV8 sotto il controllo del promotore della cheratina 14 determina la comparsa spontanea di lesioni
papillomatose a livello cutaneo, che frequentemente degenerano in carcinoma. Stat3 è una proteina
citoplasmatica latente che in seguito a stimolazione trasloca a livello nucleare per attivare la
trascrizione di numerosi geni. Molteplici lavori hanno dimostrato il suo ruolo in attività biologiche
quali la proliferazione, la migrazione, la sopravvivenza cellulare e l’oncogenesi. Inoltre,
l’attivazione costitutiva di Stat3 è stata dimostrata in un ampio spettro di patologie maligne umane,
compresi i tumori della cute. Per chiarire il ruolo di Stat3 nella carcinogenesi cutanea indotta da
HPV8, nel nostro laboratorio abbiamo generato linee di topi con inattivazione costitutiva del gene
Stat3 a livello dell’epidermide e li abbiamo incrociati con topi esprimenti le oncoproteine di HPV8.
Subito dopo la nascita, sia i topi Stat3-/- che i topi Stat3-/-:HPV8 mostravano riduzione nella
crescita e letargia, e morivano prematuramente, rendendo impossibile l’eventuale comparsa di
lesioni. Al contrario, i topi con una parziale riduzione di Stat3 (Stat3+/-:HPV8) mostravano una
ridotta e ritardata comparsa di tumori cutanei (80.25% vs 20.74%) se confrontati con la controparte
normale (Stat3+/+:HPV8, p<0.0001). Nell’insieme, i dati presentati dimostrano che la riduzione di
Stat3 a livello della cute conferisce resistenza alla trasformazione indotta dai β-HPV.
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REACTIVATION OF THE NOVEL KI, WU AND MC POLYOMAVIRUSES IN THE
IMMUNOCOMPROMISED PATIENTS
Muhammed Babakir-Mina 1, Massimo Ciccozzi 2, Massimiliano Bergallo 3, Cristina Costa 3,
Rossana Cavallo 3, Carlo Federico Perno 1, and Marco Ciotti 1
1
Laboratory of Molecular Virology, University Hospital Tor Vergata, Viale Oxford, 81-00133,
Rome, Italy. 2 Department of Infectious, Parasitic and Immunomediated Disease, Istituto Superiore
di Sanita’, Rome, Italy. 3 SCDU Virology, University of Turin, Italy.
Recently, three novel human polyomaviruses have been discovered: KIPyV, WUPyV and MCPyV.
The first two viruses have been identified in the respiratory secretions of pediatric patients with
acute respiratory symptoms, while MCPyV has been found monoclonally integrated in a rare skin
tumor named Merckel cell carcinoma. To investigate the reactivation of KIPyV, WUPyV and
MCPyV in immunocompromised patients, samples from different body sites (stool, lower
respiratory tract, lung and paranasal tissues, blood) were collected and screened by real-time PCR.
Of the 31 patients with hematological disorders examined, KIPyV and WUPyV were detected in the
stool of 13 transplanted patients as single infection or in combination with BKV, CMV, and
adenovirus. In addition 1 of these patients were positive for KIPyV in paranasal tissue. In lung
cancer patients, KIPyV was detected in 9/20 lung biopsies. MCPyV-DNA was detected in 15 out of
87 lower respiratory tract samples.Most of the infected patients were over 50 years old. Finally,
2/62 and 1/62 HIV-1 infected patients were KIPyV and WUPyV positive, respectively. Taken
together these data suggest that
the novel polyomaviruses reactivate frequently in
immunocompromised patients. Whether these findings reflect a causal role of the viruses in human
pathology remains to be established as further investigations are needed to determine their tissue
tropism and the site of latency.
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ALTERAZIONI DELL’IMMUNITÀ INNATA IN RISPOSTA ALLA INFEZIONE CON
HERPESVIRUS IN PAZIENTI CON SCLEROSI MULTIPLA.
Rotola A., Caselli E., Gentili V., Rizzo R., Sattin E., Cellini A., Cassai E., Di Luca D.
Dipartimento di Medicina Sperimentale Diagnostica, Università di Ferrara Recentemente si è iniziato a riconoscere il ruolo dell’Immunità Innata (II) nelle malattie
autoimmuni ed, in particolare, nella Sclerosi Multipla (SM). Una risposta alterata dell’II, innescata
dai Toll Like Receptors (TLR), potrebbe rappresentare un elemento critico nello sviluppo di
reazioni autoimmuni. Diversi studi indicano che pazienti con SM spesso sviluppano infezioni o
riattivazioni da parte di Herpesvirus Umani (HHV); queste osservazioni sono state interpretate da
alcuni come indizi di associazioni eziopatogeniche. Tuttavia, l’associazione fra HHV e SM
potrebbe indicare un difetto nelle risposte antivirali dell’II, e non un ruolo causale. Per verificare
tale ipotesi, abbiamo studiato la risposta in vitro dei linfociti di pazienti con SM dopo infezione con
HHV. Gli HHV inducono risposte antivirali di II mediante l’attivazione di TLR9, indotta da
particolari sequenze CpG non metilate del genoma virale. Il nostro modello sperimentale prevede la
stimolazione in vitro di cellule mononucleate del sangue periferico (PBMC) con CpG, la successiva
infezione con herpesvirus e la titolazione del virus prodotto. Abbiamo analizzato 10 donatori sani e
37 pazienti con SM, ottenuti al momento della prima diagnosi di malattia. Infatti nostri dati
precedenti avevano dimostrato che questi pazienti possono avere dei piccoli focolai di infezione
con HHV-6 (clinicamente asintomatici) nel SNC. Come atteso, i PBMC dei controlli stimolati con
CpG erano più resistenti all’infezione virale e la produzione di virus era circa un logaritmo (log)
inferiore rispetto alle cellule non trattate dello stesso donatore. Diciassette pazienti con SM (46%)
mostravano lo stesso comportamento dei donatori sani, ma in 20 pazienti (54%) la stimolazione
con CpG produceva un’aumentata sensibilità all’infezione virale e la quantità di virus prodotta era
all’incirca un log superiore rispetto ai PBMC non stimolati dello stesso paziente. Il follow-up di un
anno su 12 pazienti SM ha evidenziato una sostanziale stabilità di comportamento nel gruppo di
pazienti con risposta al CpG simile a quella dei donatori sani; il 57% dei soggetti con SM
manteneva una maggiore suscettibilità all’infezione dopo il trattamento con CpG. Questi risultati
preliminari suggeriscono che alcuni pazienti con SM hanno delle alterazioni funzionali nella
risposta immunitaria indotta da TLR9. Il passo successivo sarà lo studio dei meccanismi molecolari
che sono alla base di questo fenomeno.
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INIBITORI DELLE ISTONE DEACETILASI DI CLASSE II RIDUCONO LA
REPLICAZIONE DEL VIRUS INFLUENZALE IN VITRO
Giovanna Simonetti1, Simona Panella1, Lucia Nencioni1, Antonello Mai 2, Enrico Garaci3, Anna
Teresa Palamara1
1
Dip. Scienze di Sanità Pubblica “G.Sanarelli,” 2Dip. Studi Farmaceutici “Sapienza”,
Università di Roma, 3Dip. Medicina Sperimentale, Università di Roma Tor Vergata
L'acetilazione delle proteine istoniche e non istoniche è regolata a livello cellulare da una azione
coordinata di istone acetil trasferasi (HAT) ed istone deacetilasi (HDAC). L'interazione delle istone
deacetilasi (HDAC) con le proteine target è fondamentale nei processi cellulari che regolano la
replicazione di numerosi virus. A differenza degli enzimi HDAC di classe I, a localizzazione
nucleare, gli HDAC di classe II sono a localizzazione prevalentemente citoplasmatica ed acetilano
diverse proteine cellulari compresa HSP90. Obiettivo del nostro studio è stato quello di verificare se
e con quale meccanismo gli HDAC di classe II potessero interferire con la replicazione del virus
dell’influenza A. A tal fine abbiamo utilizzato concentrazioni non citotossiche di HDAC inibitori di
classe II noti e di nuova sintesi. I nostri risultati mostrano una riduzione dose dipendente del titolo
virale. In particolare abbiamo dimostrato una significativa riduzione del titolo virale utilizzando
MC1568, un inibitore di nuova sintesi, alla concentrazione di 5μg/ml dopo 24 ore dall'infezione in
cellule MDCK. Visto il ruolo di HSP90 nella traslocazione nucleare delle polimerasi virali, ne
abbiamo studiato la localizzazione utilizzando MC1568. Con esperimenti di western blot effettuati
su estratti nucleari e citoplasmatici abbiamo dimostrato nell’infetto trattato una riduzione delle
polimerasi PB-1 e PB-2 nel nucleo. Lo studio dell’espressione delle proteine virali, ha evidenziato
una riduzione significativa della nucleoproteina (NP) e sorprendentemente un incremento della
proteina di matrice (M1) e dell’emoagglutinina (HA). Questa differenza nell’espressione delle
proteine virali può essere correlata all’aumento di trascrizione di specifici mRNAs e alla diminuita
trascrizione di vRNA che si ottiene utilizzando inibitori di HSP90. Tali dati lasciano ipotizzare che
l’iperacetilazione di HSP90, indotta dagli inibitori utilizzati, sia coinvolta nella diminuita
replicazione del virus inluenzale. Visto che recenti dati della letteratura hanno messo in luce il ruolo
di HSP90 nella fosforilazione di chinasi coinvolte nel processo infiammatorio, ulteriori studi
saranno volti ad approfondire l’efficacia di HDAC inibitori di classe II nell’inibire la produzione di
citochine.
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DETERMINAZIONE
DEI
POLYOMAVIRUS
KI
E
WU
IN
LAVAGGI
BRONCOALVEOLARI DI SOGGETTI ADULTI MEDIANTE UNA REAL TIME PCR
HOME-MADE.
Sara Astegiano, Maria Elena Terlizzi, Cristina Costa, Massimiliano Bergallo, 1Muhammed BabakirMina, 1Carlo Federico Perno, 1Marco Ciotti, Rossana Cavallo.
SCDU Virologia, Azienda Ospedaliera Universitaria San Giovanni Battista, Torino; 1Laboratorio
di Virologia Molecolare, Università di Roma Tor Vergata, Roma.
Introduzione. I polyomavirus KI e WU sono stati identificati per la prima volta nelle vie aeree di
bambini con sintomi respiratori acuti; tuttavia l'epidemiologia e il loro ruolo patogenetico risultano
ancora incerti, per questo lo sviluppo di metodi molecolari, come la PCR Real Time, può essere
importante per stabilire il loro ruolo nei diversi contesti clinici.
Metodi. In questo studio è stata valutata la presenza di KIV e WUV in 173 lavaggi broncoalveolari
(BAL) di 129 pazienti mediante una PCR Real Time home-made.
Risultati. Trenta BAL (17.3%) di altrettanti pazienti (23.2%) sono risultati positivi al KIV, mentre
27 campioni (15.6%) di 27 pazienti (19.4%) erano positivi al WUV, entrambi spesso in coinfezione
con altri virus, in particolare nel 18.2% (per KIV e WUV) dei pazienti con infezioni delle vie aeree
inferiori (LRTI), e nel 17.3% (per KIV) e 13.5% (per WUV) dei soggetti asintomatici in follow-up
(p=n.s.). Non è stata rilevata alcuna differenza significativa di prevalenza e carica virale tra pazienti
trapiantati e non. Considerando i 34 pazienti in terapia intensiva, 10 casi avevano LRTI e di questi il
20% era positivo a KIV e il 40% a WUV, mentre nei restanti il 16.7% e il 12.5% era positivo
rispettivamente a KIV e WUV.
Conclusione. La presenza di KIV/WUV negli adulti non differisce tra pazienti con o senza LRTI o
tra soggetti trapiantati e non, ed è significativamente maggiore rispetto a quella nei bambini
riportata in letteratura. Questo può suggerire che KIV/WUV non siano responsabili di LRTI negli
adulti, e potrebbero quindi essere latenti nel polmone.
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ANALISI DELLA COMPETENZA FUNZIONALE DI CLONI GENOMICI DI
PARVOVIRUS B19
Giorgio Gallinella, Francesca Bonvicini, Elisabetta Manaresi, Giovanna Gentilomi, Simona
Venturoli, Marialuisa Zerbini, Monica Musiani
Dipartimento di Ematologia e Scienze Oncologiche – Microbiologia
Università di Bologna. Via Massarenti, 9 40138 Bologna, Italia
Le basi del tropismo cellulare di parvovirus B19 sono legate alla specificità del riconoscimento
recettoriale e alla presenza di fattori intracellulari di permissività, ancora non caratterizzati.
L’infezione di cellule sensibili, anche ad alta molteplicità di infezione, è principalmente
contraddistinta dalla restrittività della replicazione, correlata sia alla dipendenza dalla fase S del
ciclo cellulare, sia al differenziamento cellulare.
La disponibilità di cloni genomici di parvovirus B19 funzionalmente competenti in un sistema
modello di cellule permissive, UT7/Epo-S1, consente di condurre un’indagine a livello molecolare
sulle capacità replicative e trascrizionali del genoma virale e sulle caratteristiche dell’interazione
virus cellula in ambienti cellulari caratterizzati da diversi gradi di restrizione alla moltiplicazione
virale.
In tale sistema sperimentale, inserti virali escissi da cloni plasmidici sono utilizzati in saggi di
trasfezione e di infettività, ottenendo una valutazione della relativa competenza funzionale mediante
una determinazione quantitativa degli acidi nucleici virali sintetizzati, con impiego di tecniche di
real-time PCR.
Sono stati analizzati inserti virali di differente costruzione, contenenti l’intera regione genomica,
codificante per le proteine virus-specifiche, fiancheggiata da frazioni di diversa estensione,
conformazione, simmetria e sequenza delle sequenze terminali ripetute, che costituiscono l’origine
replicativa del genoma virale.
L’osservazione in parallelo e il confronto fra i diversi inserti virali, ha prodotto una valutazione
quantitativa in termini di attività replicativa e trascrizionale, anche associata alla rivelazione della
produzione di proteine virus-specifiche, e ha quindi permesso di intraprendere una dettagliata
analisi dei requisiti e del ruolo delle sequenze terminali nel ciclo replicativo virale.
Il sistema sperimentale così sviluppato può costituire uno strumento essenziale per l’indagine delle
caratteristiche biologiche e delle interazioni virus-cellula di parvovirus B19.
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MODULAZIONE DELL’ESPRESSIONE DI GENI CELLULARI COINVOLTI NEL
PROCESSO INFIAMMATORIO DA PARTE DEI SOTTOTIPI A E C DI HHV-8
Matteoli B1-3, Scaccino A1, Bontempo L1, Broccolo F2, Vatteroni ML3, Ceccherini-Nelli L1-3
1 Dipartimento di Patologia Sperimentale BMIE, Università di Pisa, Pisa
2 Dipartimento di Medicina, Prevenzione e Biotecnologie, Università di Milano-Bicocca, Monza
3 U.O. Virologia, Azienda Ospedaleiro Universitaria Pisana, Pisa
Il virus erpetico umano 8 (HHV-8) è l’agente eziologico del sarcoma di Kaposi (KS), del linfoma
ad effusione primaria (PEL/BCBL) e della malattia di Castleman. Esistono 4 varianti del KS:
endemica, iatrogena, epidemica, cronica o classica, caratterizzate da vari gradi di: aggressività, di
incidenza a seconda del sesso, dell’età e della distribuzione geografica.
HHV-8 può essere trasmesso: per contatto diretto (sessuale, saliva), per via iatrogena, raramente da
madre a feto o attraverso il latte materno.
L’analisi filogenetico-epidemiologica della regione ipervariabile ORF K1 del genoma virale ha
identificato 5 genotipi di HHV-8 (A, B, C, D, E) associati ad una diversa prevalenza geografica;
solo recentemente il sottotipo A è stato correlato ad una forma più aggressiva del KS classico.
Nel presente studio sono stati analizzati il tasso replicativo e il grado di espressione antigenica
virale dei sottotipi A1 e C3 di HHV-8 nei citotipi linfoide (PBMC) ed epiteliale (HEK293) infettati
in vitro. I saggi di Real-Time PCR e immunofluorescenza (IFA), hanno rilevato che il sottotipo A1
sembra infettare le cellule di origine epiteliale con maggiore efficienza.
Poiché l’infiammazione è alla base della patogenesi virale e può essere indotta sia direttamente dal
virus che dalla cellula in reazione all’infezione, nel presente studio è stato valutato anche il pattern
di espressione dei geni cellulari coinvolti in questo processo nelle colture cellulari epiteliale e
linfoide infettate con i due sottotipi.
L’espressione genica è risultata alterata in modo statisticamente significativo rispettivamente per
104 e 93 geni nei PBMC e per 169 e 131 geni nelle HEK293 infettate con i sottotipi A1 e C3. I
geni che sono risultati maggiormente modulati sono coinvolti nel pathway delle MAPK, del ciclo
cellulare e della regolazione del Actina citoscheletrica. Analizzando il totale dei geni modulati nelle
due linee cellulari infettate con entrambe i ceppi, 11 geni sono risultati comunemente modulati.
Nonostante i risultati non siano estendibili a tutti gli isolati, i dati ottenuti suggeriscono che
l’infezione con i due ceppi virali modulerebbe diversamente l’espressione di alcuni geni coinvolti
nel processo infiammatorio in cellule dello stesso citotipo, la cui entità e grado dipende
probabilmente dal ceppo infettante ed è probabilmente alla base di un diverso meccanismo
patogenetico.
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IDENTIFICAZIONE DI NUOVI COMPOSTI PEPTIDICI MULTIMERICI COME
INIBITORI DELL’INFEZIONE DA PAPILLOMAVIRUS UMANI AD ALTO RISCHIO
Manuela Donalisioa, Andrea Giulianib, Giovanna Pirrib, Silvia Fabiole Nicolettob, Donatella
Allemandb, Antonella Bugattic, Marco Rusnatic, Santo Landolfod, David Lemboa.
a
Dipartimento di Scienze Cliniche e Biologiche, Università degli Studi di Torino; bSpider Biotech,
BioIndustry Park, Ivrea; cDipartimento di Scienze Biomediche e Biotecnologia, Università di
Brescia; dDipartimento di Sanità Pubblica e di Microbiologia, Università degli Studi di Torino
I Papillomavirus umani (HPV) genitali rappresentano i più comuni agenti a trasmissione sessuale e
sono responsabili dello sviluppo di lesioni benigne e maligne, in particolare del carcinoma delle
cervice uterina. L’impiego di un microbicida topico può affiancare la recente introduzione del
vaccino al fine di prevenire nuove infezioni da HPV contro cui il vaccino non risulta efficace o
ridurre la carica virale in donne già infette. In questo studio è stato eseguito lo screening di una
nuova classe di molecole polivalenti, dette dendrimeri, al fine di identificare molecole che
impediscano l’interazione virus-cellula.
I dendrimeri peptidici risultano particolarmente interessanti come agenti terapeutici per la loro
stabilità metabolica, la relativa facilità di sintesi e la capacità di disporre di copie multiple di gruppi
di superficie (multivalenza) per processi di riconoscimento biologico e applicazioni antivirali. Tali
molecole sono costituite da un core peptidico di residui di lisina radialmente ramificate cui sono
legate diverse copie di peptidi lineari utilizzando tecniche di sintesi in fase solida. Il risultato è una
struttura ramificata, il cui rivestimento superficiale costituito di peptidi lineari è in grado di
interagire con un target specifico. In particolare, alcuni dei derivati oggetto del presente studio,
presentano attività antivirale contro un ampio spettro di patogeni virali e microbici.
In saggi cellulari basati su pseudovirioni di HPV (PsV), la molecola SB105-A10 ha dimostrato una
potente capacità inibitoria nei confronti di PsV di HPV umani (HPV-16, HPV-18, HPV-6) e bovini
(BPV-1) ed una bassissima tossicità. La tecnologia di risonanza plasmonica di superficie e saggi
cellulari indicano che SB105-A10 previene l’infezione virale formando complessi con gli
eparansolfati di superficie impedendo quindi l’interazione virus-cellula. Sulla base dei dati ottenuti
riteniamo che la molecola identificata possa essere un valido candidato per lo sviluppo di un
microbicida topico ad ampio spettro nei confronti delle patologie virali sessualmente trasmesse.
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L’IMMUNIZZAZIONE CON LINFOCITI-T AUTOLOGHI TRASDOTTI EX-VIVO ED
ESPRIMENTI ENV INDUCE ALTI LIVELLI DI ANTICORPI NEUTRALIZZANTI E
CONFERISCE PROTEZIONE CONTRO L’INFEZIONE DA LENTIVIRUS
1
Mauro Pistello, 1Francesca Bonci, 1Elisa Zabogli, 1Francesca Conti, 1Giulia Freer, 1Fabrizio
Maggi, 2Mario Stevenson e 1Mauro Bendinelli
1
Centro Retrovirus e Sezione Virologia, Dipartimento di Patologia Sperimentale, Università di
Pisa; 2Program in Molecular Medicine, University of Massachusetts Medical School, Worcester,
MA, USA
Le glicoproteine dell’envelope (Env) di HIV ed altri lentivirus contengono svariati epitopi
protettivi. Alcuni di questi inducono anticorpi neutralizzanti estremamente efficaci nel bloccare
l’infettività virale. Eppure, nonostante Env sia stato impiegato in innumerevoli tentativi di
vaccinazione, non si è ancora trovato il modo di indurre immunità protettiva con questo
immunogeno. Abbiamo quindi voluto affrontare il problema da un approccio diverso studiando la
risposta anti-Env indotta esponendo il sistema immune ai propri linfociti T ingegnerizzati per
esprimere Env sulla superficie cellulare esattamente come accade nell’infezione naturale. Questa
strategia è stata testata con il virus dell’immunodeficienza felina (FIV) che causa nell’ospite
naturale un’infezione cronica e progressiva del tutto sovrapponibile a quanto si osserva con il virus
dell’immunodeficienza umana nell’uomo.
Un gruppo di 7 animali specific-pathogen-free, inizialmente vaccinati per via intradermica con un
plasmide che esprime Env e granulocyte-macrophage colony stimulating factor (priming), sono stati
sottoposti a boost per via intraperitoneale con linfociti-T autologhi trasdotti ex-vivo con un vettore
che codifica lo stesso immunogeno Env ed interleuchina-15 come immunoadiuvante. Mentre le
risposte pre-boost erano molto flebili, l’inoculo dei linfociti trasdotti ha indotto una forte risposta
umorale e cellulo-mediata con livelli particolarmente elevate di anticorpi neutralizzanti. I 7 animali
vaccinati, 4 animali inoculati con plasmide vuoto e linfociti-T mock-trasdotti e 4 animali naïve sono
stati sfidati per via sistemica con un isolato FIV altamente virulento. Mentre gli 8 animali di
controllo si sono prontamente infettati (uno di questi è morto a due settimane dalla sfida), 5 dei 7
animali vaccinati sono risultati protetti dalla malattia. La protezione si è dimostrata correlata al
titolo di anticorpi neutralizzanti alla sfida.
I risultati confermano che Env è un ottimo candidato vaccinale ma per essere efficace questo
immunogeno deve essere somministrato con modalità che permettono la piena espressione del suo
potenziale protettivo.
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ATTIVITÀ ANTIVIRALE DI NUOVI FARMACI INIBITORI DELL’INTEGRASI IN
LINFOCITI E MACROFAGI PRIMARI UMANI ACUTAMENTE INFETTATI DA HIV-1.
Michela Pollicita1, Fernanda Scopelliti1, Francesca Ceccherini Silberstein1, Danilo Armenia1, CarloFederico Perno1, Stefano Aquaro1,2.
1
Dip. di Medicina Sperimentale e Scienze Biochimiche, Univ. di Roma Tor Vergata; 2Univ. della
Calabria, Dip. Farmaco-Biologico.
Gli inibitori dell’integrasi (INIs) sono una nuova classe di farmaci antiretrovirali con potente attività
anti-HIV sia nei pazienti naïve sia in quelli trattati. Obiettivo dello studio è stato investigare
sull’attività di INIs di nuova generazione (MK-2048, L870,70, IN2 e IN5) in cellule monocitomacrofagiche (MDM), mononucleate del sangue periferico (PBMCs) e linfociti (C8166), valutare la
capacità di tali composti nel prevenire la trasmissione virale da MDM a cellule linfocitarie e
l’induzione di apoptosi. MDM, PBMCs e cellule linfocitarie CD4+T (C8166) sono state infettate
con ceppi di HIV in presenza di diverse concentrazioni di INIs. La produzione virale di HIV-1 p24
è stata valutata tramite test ELISA. L’apoptosi cellulare è stata analizzata tramite analisi
citofluorimetrica in PBMC cocoltivati con MDM infettati con HIV-1, trattati o non trattati con
INIs. Nei MDM è stato osservato che MK-2048 e L870,70 inibivano potentemente la replicazione
virale, con una concentrazione di farmaco capace di inibire il 90% della replicazione virale (EC90)
pari a di 4.8 e 37.5 nM, rispettivamente. La concentrazione di farmaco capace di inibire il 50% della
replicazione virale (EC50) nelle C8166 era di 7.7 nM, per MK-2048 e L-870,70, mentre 26.8 nM e
9.6 nM per IN2 e IN5. I valori di EC90 nelle C8166 erano di 43 nM, 38 nM, 194.3 nM, 19.7 nM,
per MK-2048, L-870,70, IN2 e IN5, rispettivamente. MK-2048, L-870,70 e IN5 (62 nM) sono in
grado di prevenire completamente la formazione di sincizi in C8166 infettate con HIV-1. Inoltre la
formazione di sincizi e l’induzione di apoptosi in PBMCs cocoltivati con MDM infettati con HIV-1
e pretrattati con INIs è fortemente inibita. In particolare con MK-2048 e L870,70 (123.2 nM) la
protezione dall’apoptosi raggiungeva i valori di 70% e 67%, rispettivamente. Alla stessa
concentrazione di farmaci, la produzione di HIV-1 dovuta alla cocultura era completamente
soppressa.
Questi risultati mostrano che INIs riducono fortemente la produzione di HIV-1 sia in MDM che in
PBMC e che tali farmaci sono in grado di prevenire il danno cellulare correlato e la trasmissione
virale da MDM infettati con HIV-1 a cellule linfocitarie CD4+T.
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L’INVECCHIAMENTO MODIFICA LA PERMISSIVITA’ CELLULARE AL VIRUS
INFLUENZALE: RELAZIONE CON LO STATO REDOX
R. Sgarbanti1, K. Aquilano2, S. Piccirillo2, G. Simonetti1, M.R. Ciriolo2, A.T. Palamara1
1
Dip. Sc. San. Pubblica, Sapienza Univ. Roma; 2Dip. di Biologia, Univ. Roma Tor Vergata
L’espressione clinica dell’infezione da virus influenzale è variabile ed è influenzata non solo dal
tipo di ceppo ma anche dall’età, dallo stato fisiologico e dall’immunità dell’ospite. Uno squilibrio
dello stato redox in senso pro-ossidante è stato identificato come una delle caratteristiche più
comuni nel corso dell’invecchiamento che può condizionare anche la risposta alle infezioni virali.
Studi effettuati nei nostri laboratori hanno infatti dimostrato che la permissività di diverse
popolazioni cellulari per la replicazione virale è inversamente proporzionale ai livelli di glutatione
(GSH), principale antiossidante intracellulare.
L’obiettivo del presente studio è stato quindi quello di valutare se e con quali meccanismi
l’invecchiamento cellulare potesse condizionare il ciclo replicativo del virus influenzale. A tal fine,
cellule SH-5Y6Y senescenti e non sono state infettate con virus influenzale A/PR8/H1N1 a diverse
molteplicità di infezione. Sorprendentemente, i risultati ottenuti dimostrano che le cellule senescenti
infettate sono meno suscettibili all’infezione rispetto alle cellule di controllo. Infatti, 24 e 48 ore
dopo l’infezione, si osserva una riduzione del titolo virale dell’80%. Tale effetto è associato ad una
diminuzione dell’espressione intracellulare dell’emoagglutinina, principale glicoproteina
dell’envelope virale. Inoltre, il dosaggio di GSH eseguito mediante HPLC in entrambi tipi cellulari
ha dimostrato che le cellule senescenti hanno livelli fisiologici di GSH più alti rispetto alle non
senescenti. A questo si associa una maggiore espressione della proteina antiapoptotica Bcl-2 e una
minore espressione di Hsp90, chaperone molecolare implicata nella risposta allo stress.
Complessivamente i dati ottenuti suggeriscono che il processo di invecchiamento induce
l’espressione di fattori di sopravvivenza cellulare (GSH e Bcl-2), mentre riduce la capacità di
rispondere allo stress (Hsp90). E’ possibile ipotizzare che tali alterazioni siano coinvolte con
meccanismi diversi nel determinare la diminuita replicazione virale nelle cellule senescenti
contribuendo alla cronicizzazione dell’infezione, fenomeno riscontrato spesso negli anziani.
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STUDIO DELL’ATTIVITÀ ANTIVIRALE DI ANALOGHI DEL RESVERATROLO IN UN
MODELLO SPERIMENTALE IN VITRO DI INFEZIONE DA VIRUS INFLUENZALE A
I. Celestino1,2, L. Nencioni2, R. Di Santo3, R. Costi3, E. Garaci4, A.T. Palamara1,2
1
Ist. Pasteur_Cenci Bolognetti Fond, 2Dip. Sc. San. Pub. e 3Dip. Studi Farmaceutici-Sapienza Univ.
Roma; 4ISS_Roma
Il Resveratrolo (3,5,4’-triidrossi-trans-stilbene) (RV) è un polifenolo naturale presente nella buccia
dell’uva nera ed altri frutti. I suoi benefici sulla salute includono effetti cardioprotettivi, neuro
protettivi, anticarcinogeni e antivirali. In particolare, il nostro gruppo di ricerca ha dimostrato che
RV è in grado di inibire sia in vitro che in vivo la replicazione del virus influenzale A attraverso un
meccanismo specifico che coinvolge il blocco della traslocazione nucleo-citoplasmatica dei
complessi ribonucleoproteici virali e l’inibizione dell’attività cellulare della PKC e dei suoi
pathways dipendenti. Tuttavia la porzione della molecola di RV responsabile dell’attività antivirale
è tuttora sconosciuta.
A tal fine scopo di questo studio è stato quello di valutare in cellule MDCK infettate con il virus
influenzale A PR8/H1N1, l’efficacia antivirale e l’eventuale citotossicità di alcuni derivati neo
sintetizzati di RV (RDS: 1168, 1175, 1189, 1205, 1190, 1332).
Dopo uno screening iniziale le molecole RDS 1175, 1189, 1205 e 1332 sono state escluse per
l’elevata citotossicità dei composti sul monostrato cellulare. Gli studi sono quindi proseguiti con le
sostanze RDS 1168 e RDS 1190. I risultati ottenuti hanno dimostrato che il trattamento con
entrambe le molecole inibiva, in maniera dose-dipendente, la replicazione virale. In particolare, il
titolo virale era inibito del 80% in cellule trattate con 10 μg/ml RDS 1168 e del 70% in quelle
trattate con 20 μg/ml RDS 1190, rispetto a cellule non trattate.
L’analisi in immunofluorescenza della nucleoproteina virale (NP) ha mostrato che in cellule
infettate e trattate con RDS 1190, la NP era trattenuta maggiormente nel nucleo a 6 p.i. rispetto alle
cellule infettate non trattate e tale effetto era ancora più evidente nelle cellule trattate con RDS
1168. Infine l’analisi in western blot delle proteine virali ha dimostrato che mentre il trattamento
con RDS 1168 provocava una lieve inibizione dell’espressione di alcune proteine virali, l’aggiunta
di RDS 1190 alle cellule infettate ne inibiva l’espressione del 50%.
Tali dati dimostrano che entrambe le sostanze esplicano un’attività antivirale e suggeriscono che la
loro diversa struttura chimica possa interferire con steps diversi del ciclo replicativo virale. Ulteriori
studi sono in corso al fine di definire i meccanismi molecolari alla base dell’attività antivirale dei
singoli composti.
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SVILUPPO DI UNA REAL TIME REVERSE TRANSCRIPTASE PCR (RRT-PCR) ED
ISOLAMENTO VIRALE NELLA DIAGNOSI DEI VIRUS INFLUENZALI AVIARI H5 E
H7
Sidoti Francesca, 1Mandola Maria Lucia, 1Rizzo Francesca, Costa Cristina, Gambarino Stefano,
Astegiano Sara, Callea Stefano, Cavallo Rossana, Bergallo Massimiliano.
SCDU Virologia AOU San Giovanni Battista, Torino
1
Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta, Laboratorio Virologia
e Sierologia virologica, Torino
Introduzione. L’influenza aviaria colpisce volatili selvatici e domestici in forme a bassa
patogenicità che possono evolvere, per mutazioni, in forme ad alta patogenicità fortemente
contagiose. Fino ad oggi, tutte le epidemie di influenza altamente patogena sono state causate da
virus di tipo A dei sottotipi H5 e H7. Questo studio è stato effettuato al fine di allestire protocolli
RRT-PCR in grado di riconoscere il maggior numero di ceppi influenzali aviari H5 e H7 registrati a
partire dal 2000 ad oggi. Si sono inoltre voluti confrontare, in termini di sensibilità, i metodi
sviluppati rispetto alla metodica “gold standard” di isolamento virale (VI) su uova embrionate di
pollo.
Metodi. La messa a punto dell’RRT-PCR ha previsto tre disegni manuali di primers e sonde. In
particolare, sequenze virali codificanti l’emoagglutinina sono state importate in un software di
allineamento e sulla base della sequenza consensus sono stati selezionati primers e sonda in grado
di riconoscere i ceppi H5N1, H5NX (H5N2, H5N3, H5N5, H5N6, H5N7, H5N8, H5N9) e H7. Il
frammento del gene di H5N1, H5N2, H7N3 è stato clonato. Diluizioni seriali del plasmide (1-1010)
sono state amplificate per determinare il range dinamico. Diluizioni seriali di ceppi aviari (10-4-102),
titolati su uova embrionate di pollo per la valutazione dell’EID50, sono state sia inoculate su uova
sia amplificate con RRT-PCR e messe a confronto. 118 campioni clinici provenienti da uccelli
selvatici e domestici (70 tamponi cloacali, 18 tamponi tracheali e 30 pools di organi sono stati
testati mediante RRT-PCR ed isolamento virale.
Risultati. L’RRT-PCR si è rivelata sensibile, specifica e in grado di identificare 134 ceppi H5 e 204
ceppi H7. Il range dinamico plasmidico è risultato essere di 10-1010 copie/reazione sia per H5 che
per H7. La sensibilità dell’RRT-PCR è risultata di 0.1 EID50 vs 5 EID50 in VI per H5N1, 0.01
EID50 vs 100 EID50 per H5NX, 0.1 EID50 vs 10 EID50 per H7. Nessun campione clinico è
risultato positivo per H5N1; 1/70 (1.4%) tampone cloacale e 1/18 (5.6%) tamponi tracheali sono
risultati positivi per H5NX in RRT-PCR; 1/70 (1.4%) tampone cloacale, 7/18 (38.9%) tamponi
tracheali e 6/30 (20%) pools di organi sono risultati positivi per H7 in RRT-PCR. Solo 2/18
(11.1%) tamponi tracheali sono risultati positivi per H7 in VI.
Conclusioni. Entrambe le tecniche si sono rivelate utili per la diagnosi dei ceppi aviari. In
particolare l’RRT-PCR ha mostrato una più alta sensibilità rispetto all’isolamento. L’RRT-PCR
potrebbe permettere di comprendere i modelli di trasmissione di ceppi aviari dai volatili all’uomo e
l’eventualità che un riassortimento genetico tra specie differenti possa generare una pandemia
umana letale.
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COMPARISON OF INDIRECT IMMUNOFLUORESCENCE ASSAY (IFA) AND REAL
TIME RT-PCR IN DIAGNOSIS OF HUMAN PARAINFLUENZA VIRUSES.
Maria Elena Terlizzi, Cristina Costa, Stefano Gambarino, Antonio Curtoni, Samantha Mantovani,
Franca Sinesi, Rossana Cavallo, Massimiliano Bergallo.
SCDU Virologia, Azienda Ospedaliera Universitaria S. Giovanni Battista Torino.
Introduction. Human Parainfluenza viruses (HPIVs) are RNA-viruses of the Paramyxoviridae
family. Clinical manifestations range from URI (upper respiratory illness) in infants, children and
adults to LRI (less respiratory illness) in immunocompromised and elderly. HPIVs are the second
cause of hospitalization for viral LRI, after RSV, in USA.
The aim of this work is to develop a Real Time RT-PCR and an IFA assay for HPIV1,2,3 detection.
Methods. HPIV1,2,3 (ATCC VR-94, VR-92, VR-93 respectively) were expanded on Hep-2 and
Vero cells. Serial 10-fold dilutions of recovered virus for TCID50 were used. To evaluate test
sensitivity, each TCID50 (range 100-0.01) was analysed using a generic HPIVs MoAb at 3-fold
concentrations (1:40-80-160) and days of incubation (2 to 4 days). Alignment of virus-specific
sequences (CLC free Workbench 3) was analysed. Virus-specific primers and FAM-probe (Primer
Express 3.0) were designed. A fragment of conserved regions (HN gene) of each virus in TOPO-TA
cloning vector was cloned. Standardization of each Real Time RT-PCR was performed using tenfold dilutions of plasmid (101-1010) to evaluate dynamic range of viral plasmids. Intra and interassay variability of each Real Time RT-PCR protocol were analyzed. Amplification of TCID50
dilutions (range 100-0.0001) were used for comparison between IFA and Real Time RT-PCR.
Results. HPIV1 dynamic range was from 101 to 108 copies/reaction (R2=0,992-slope 3,06). HPIV2
ranged from 102 to 108 copies/reaction (R2=0,992-slope 2,98) while HPIV3 from 101 to 107
copies/reaction (R2=0,996-slope 3,44).TCID50 values on different cell lines were calculated. HPIV1
showed a sensitivity of 0,01 TCID50 at day 3 (antiPIVs 1:80, Hep-2), HPIV2 0,01 TCID50 at day 4
(antiPIVs 1:40, Vero), HPIV3 0,1 TCID50 at day 4 (antiPIVs 1:40). Molecular sensitivity of Real
Time RT-PCR was 10-4 TCID50 for HPIV1-2 and 10-3 TCID50 for HPIV3.
Conclusion. Sensitivity, expressed on TCID50, evidenced that molecular methods are more suitable
for HPIVs detection in comparison to IFA assays.
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VIREMIA DI TTV IN SOGGETTI IMMUNOCOMPROMESSI: UN NUOVO
MARCATORE DI DISFUNZIONE IMMUNE?
Maggi Fabrizio1, Albani Melania1, Focosi Daniele2, Fiorentini Simona3, Ricci Valentina1, Rocchi
Jara1, Macera Lisa1, Lanini Letizia1, Andreoli Elisabetta1, Bendinelli Mauro1, Rizzardini Giuliano4,
Clerici Mario5, Caruso Arnaldo3, Antonelli Guido6, Pistello Mauro1, Ceccherini-Nelli Luca1
1
Sezione di Virologia e Centro Retrovirus, Dip. di Patologia Sperimentale, Università di Pisa,
2
Divisione di Ematologia, Dip. di Oncologia, dei Trapianti e delle Nuove Tecnologie in Medicina,
Università di Pisa; 3Sezione di Microbiologia, Dip. di Medicina Sperimentale e Applicata,
Università di Brescia; 4Dip. Malattie Infettive, Ospedale Sacco, Milano;5Dip. di Immunologia,
Scienze Precliniche Laboratorio Integrato Tecnologie Avanzate Vialba, Università di Milano;
6
Sezione di Virologia, Dip. di Medicina Sperimentale, “Sapienza” Università, Roma.
Torquetenovirus (TTV) è il prototipo di un vasto gruppo di agenti virali, globalmente diffusi nel
mondo, che instaurano infezione cronica senza apparente malattia in circa 2/3 della popolazione
generale. I livelli ematici di TTV variano da individuo ad individuo (da 102 a più di 108 genomi per
ml di plasma) e si mantengono stabili o subiscono ampie fluttuazioni. Recenti osservazioni
suggeriscono che tali variazioni possono dipendere dall’assetto del sistema immunitario dell’ospite
infettato e che la capacità di replica del virus correla con lo status dell’immunità. In questo studio,
la presenza e i livelli di TTV sono stati monitorati mediante real-time PCR nel sangue periferico di
soggetti sottoposti a trapianto autologo di cellule staminali ematopoietiche e di pazienti con
infezione da HIV. La replica di TTV è stata correlata con vari parametri immunologici fra i quali
alcune sottopopolazioni linfocitarie, la cui espansione nel post-trapianto e/o in corso d’infezione è
ritenuta indicativa di uno status d’alterata funzionalità del sistema immune. Nei soggetti
ematologici, l’incremento post-trapianto della viremia di TTV è risultato influenzato dal grado di
severità dell’immunodepressione e correlava significativamente nel tempo con l’espansione dei
linfociti T CD8+57+. Nei pazienti sieropositivi, i titoli di TTV erano direttamente correlati ai livelli
pre-trattamento di HIV ed al numero/percentuale dei linfociti B CD21-27- circolanti.
Interessantemente, nei pazienti negativi per HIV RNA dopo terapia anti-retrovirale, i titoli medi di
TTV risultavano più bassi nei soggetti che ricostituivano immunologicamente rispetto a quelli in cui
la ricostituzione non avveniva. In conclusione, i risultati dello studio dimostrano che la misurazione
della viremia di TTV può rappresentare un valido aiuto per definire la funzionalità del sistema
immune in soggetti con differenti condizioni d’immunodepressione.
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Pagina 74 di 288
DETECTION AND TYPING OF RESPIRATORY VIRUSES AND EVALUATION OF
INTERFERON RESPONSE IN CHILDREN SUFFERING FROM RESPIRATORY
VIRUSES INFECTIONS.
1Trombetti S, 1Scagnolari C, 1Pierangeli A, 1Soldà A, 1Selvaggi C, 1Carbone T, 1Chiavuzzo L,
1Monteleone K, 1Spano L, 2Midulla F, 2Moretti C, 1Antonelli G.
1Virology Section, Dpt of Experimental Medicine; 2Dpt of Pediatrics, Sapienza University, Rome,
Italy.
Detection of viral respiratory agents has improved in the last decade due to new molecular
techniques and availability of monoclonal antibodies for a number of different viral species.
Nonetheless, the majority of all episodes of acute respiratory infection have none of the pathogen
identified in pediatric as well as in adult populations. On the other hand there is also a continuously
increasing list of new respiratory pathogens, identified by molecular techniques that can contribute
significantly to the burden of acute respiratory infections. Interestingly in 2005 was detected Human
bocavirus (HBoV) in several samples although its role in clinically relevant diseases has still to be
clearly defined.
In addition it must be considered that little is known about the viro/immunological markers
associated to respiratory virus infections in infancy.
On the light of the aforementioned considerations, a surveillance program for viral agents was
conducted from November 2004 to May 2009, in 629 children hospitalized for acute respiratory
infection in a Pediatric Department at the Sapienza University hospital of Rome. A molecular
approach was adopted using specific RT-PCR assays detecting 13 respiratory viruses including
nearly all respiratory viruses. Results obtained indicate that viral pathogens were detected in 308
children (49.0%), 30.4% being respiratory syncytial virus (RSV) and 8.7% being rhinovirus (RV)
positive.
HBoV was the third most common virus detected: of the 41 children (6.5%) who tested positive for
HBoV, 22 (53.6%) were co-infected with another respiratory virus, mainly RSV. HBoV was the
only pathogen identified in 5 pneumonia, 8 bronchiolitis and 1 bronchitis cases and was also
detected in one child hospitalized with gastroenteritis and in another with erythema. One case of
NL63 infection has been reported, documenting that NL63 circulates also in central Italy.
In the second part of the study we determine whether there is an airway IFN response in infants
with acute bronchiolitis. Specifically we measured by using RT/Real time PCR the expression of
some IFN-induced genes in the cells collected from nasopharyngeal washes of 157 infants suffering
from acute bronchiolitis. The results indicate that in infants with a virus-associated acute
bronchiolitis there is a strong activation of IFN system.
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Pagina 75 di 288
TERAPIA PRE-SINTOMATICA DELL’INFEZIONE SISTEMICA E POLMONARE DA
CITOMEGALOVIRUS UMANO IN RICEVENTI TRAPIANTO POLMONARE
G. Gernaa, D. Lilleria, V. Rognonia, M. Agozzinob, F. Melonic, T. Oggionnic, C. Pellegrinid, E.
Arbustinib, A.M. D’Arminid
a
Servizio di Virologia, b Servizio di Anatomia Patologica, Fondazione IRCCS Policlinico San
Matteo di Pavia,
c
Malattie dell’Apparato Respiratorio e d Cardiochirurgia, Università degli Studi di Pavia, Pavia,
Italia
Sono stati valutati l’incidenza e il trattamento dell’infezione sistemica e polmonare da
citomegalovirus umano (HCMV) così come la risposta immune T-cellulare HCMV-specifica in 57
pazienti sottoposti a trapianto polmonare (LTR). L’infezione da HCMV è stata trattata utilizzando i
seguenti cut-offs della terapia pre-sintomatica: 300 000 copie di DNA virale/ml di sangue intero per
l’infezione sistemica, 100 000 copie di DNA virale/ml di liquido di lavaggio broncoalveolare per
l’infezione polmonare. I risultati indicano che 29/57 LTR (50.9%) hanno necessitato di terapia presintomatica, 15 (51.7%) raggiungendo il cut off nel sangue, 8 (27,6%) il cut off polmonare e 6
(20,7%) entrambi i cut offs (3 contemporaneamente e 3 in tempi differenti). La ricostituzione della
risposta T-cellulare HCMV-specifica è stata più precoce per le cellule T CD8+ rispetto alle cellule
CD4+. Tuttavia, la protezione nei confronti della riattivazione dell’infezione da HCMV è stata
conferita dalla risposta di entrambe le componenti dell’immunità T-cellulare. In due LTR che hanno
raggiunto il cut off polmonare per la terapia pre-sintomatica ma non sono stati trattati, la presenza di
una risposta T-cellulare sia CD4+ che CD8+ è stata accompagnata dalla risoluzione dell’infezione
polmonare. La terapia steroidea anti-rigetto ha soppresso la risposta immune T-cellulare, favorendo
così la riattivazione dell’infezione da HCMV. In conclusione, negli LTR il monitoraggio
dell’infezione sia sistemica che polmonare può migliorare l’efficacia della terapia pre-sintomatica.
Inoltre, il monitoraggio della risposta immune T-cellulare HCMV-specifica sembra essere utile per
predire il controllo dell’infezione da HCMV nel periodo post-trapianto.
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Pagina 76 di 288
STUDIO IN VITRO DELLA CAPACITÀ DI RIASSORTIMENTO DEL NUOVO VIRUS
UMANO DELL’INFLUENZA A DI ORIGINE SUINA H1N1
Simone Giannecchini, Valeria Clausi e Alberta Azzi
Sezione di Virologia, Dipartimento di Sanità Pubblica, Università di Firenze, Firenze
Recentemente un nuovo virus dell’influenza H1N1v di origine suina è stato isolato dall’uomo in
Messico. Sebbene fino ad oggi la sua patogenicità si sia dimostrata bassa, il suo assetto genetico
determinato da un riassortimento multiplo e l’alta capacità di trasmissione nella popolazione umana,
ampiamente suscettibile, ne ha determinato il carattere pandemico. In questo studio, è stata
analizzata la capacità di questo nuovo virus H1N1v di generare riassortanti virali con altri virus
influenzali umani H1N1 e H3N2 stagionali come anche con virus influenzali aviari H7N3 di
particolare interesse. Per investigare la capacità di riassortimento virale in condizioni selettive simili
a quelle delle vie respiratorie umane in cui tale evento può avvenire in natura, è stato usato il ceppo
virale A/Italy/05/09, isolato nel nostro laboratorio a maggio da un paziente di ritorno dal Messico,
geneticamente caratterizzato e con sensibilità agli inibitori della neuraminidasi paragonabile ai virus
stagionali umani. Per il nostro scopo, il virus H1N1v è stato inoculato con rapporto di moi 1:1 con
un virus umano H1N1 o H3N2 o aviaro H7N3 su cellule epiteliali umane A549 in presenza di
fetuina usata come fonte di analoghi recettoriali, conducendo le co-infezioni in assenza o in
presenza dell’inibitore della neuraminidasi Oseltamivir o di un pool di sieri umani immuni. Tutti gli
esperimenti sono stati condotti in laboratorio BSL3. Analisi molecolari della progenie virale
ottenuta dai singoli esperimenti di co-infezione e clonata biologicamente su placche hanno
permesso di caratterizzare geneticamente i differenti riassortanti virali ottenuti. Dei 90 cloni
biologici esaminati, 35 erano riassortanti. Tra essi, 5 possedevano il sottotipo H1N1v, 6 il sottotipo
H7N3 e 24 mostravano un nuovo sottotipo/variante determinato da differenti combinazioni della
HA e NA. Di nota, la maggior parte dei differenti sottotipi/varianti sono stati ottenuti in presenza di
sieri umani immuni. Infine, la maggioranza dei geni interni presenti nei riassortanti ottenuti erano di
origine H1N1v quando questo era inoculato con i virus umani, o di origine aviaria H7N3 quando il
virus H1N1v era inoculato con questo ultimo. La capacità di riassortimento e di sviluppo di nuovi
sottotitpi/varianti osservata in caso di co-infezione evidenzia la necessità di ulteriori studi
molecolari per poter controllare l’emergere di nuovi virus influenzali riassortanti con caratteristiche
pandemiche per la popolazione umana.
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Pagina 77 di 288
IMPORTANZA DEL SEQUENZIAMENTO GENICO DI DNA PROVIRALE ESTRATTO
DA SANGUE INTERO E DI RNA ESTRATTO DA PLASMA IN SOGGETTI SOTTO
TRATTAMENTO ANTIRETROVIRALE CON BASSI LIVELLI PLASMATICI DI HIVRNA.
R. Santangelo1, S. Marchetti1, S. Di Giambenedetto2, M. Colafigli2, A. Di Franco1, M.Fabbiani2, P.
Cattani1, A. De Luca2, G. Fadda1.
1
Istituto di Microbiologia e 2Istituto di Clinica delle Malattie Infettive, Università Cattolica del
Sacro Cuore, Roma.
Nella pratica clinica, tradizionalmente, una carica virale di 1000 copie/ml è considerata necessaria
per poter effettuare una analisi del genotipo virale, nei pazienti HIV positivi. Inoltre, lo studio del
“reservoir” di HIV nelle cellule mononucleate del sangue periferico è considerato un interessante
marcatore della risposta alla terapia antiretrovirale.
Lo scopo di questo lavoro è stato, sia quello di verificare la possibilità e l’importanza clinica del
sequenziamento dell’RNA virale in campioni con bassi livelli plasmatici di HIV–RNA, che
verificare se l’analisi del DNA provirale ottenuto da campioni di sangue intero, potesse rilevare
varianti resistenti archiviate potenzialmente in grado di compromettere l’attività delle opzioni
terapeutiche future.
E’ stato quindi condotto uno studio su 136 pazienti con infezione da HIV, afferenti all’ambulatorio
di Malattie Infettive del Policlinico Universitario “A. Gemelli“ dell’Università Cattolica del Sacro
Cuore di Roma, nel periodo 2007-2009. I pazienti analizzati presentavano una carica virale (CV)
inferiore alle 1500 copie/ml (c/ml) (6.6% CV >1000 c/ml, 7.4% CV 500-1000 c/ml, 23.5% CV 50500 c/ml e 62.5% CV <50 c/ml). L’RNA virale è stato sequenziato nel 34.5% dei pazienti, di cui il
14.8% con viremia <50 c/ml. Per 62 dei 136 pazienti è stato possibile analizzare anche il DNA
provirale estratto da sangue intero risultando sequenziabile nel 96.7%, di cui il 55% con viremia
<50 c/ml. Il sequenziamento genico in pazienti con viremie basse o non determinabili ha permesso
in diversi casi di individuare mutazioni di farmaco-resistenza estremamente importanti per la
gestione del paziente. Il campione di sangue intero è risultato essere un materiale idoneo per il
sequenziamento del DNA virale, fornendo informazioni aggiuntive all’analisi dell’RNA ottenuto
dallo stesso campione; informazioni risultate importanti nel predire un potenziale fallimento
virologico.
In conclusione, la diagnosi precoce delle mutazioni potrebbe avere una notevole rilevanza clinica
evitando l’aumento severo della viremia e diminuendo il rischio di fallimento terapeutico. Inoltre,
l’analisi del DNA può avere un valore pratico molto importante in pazienti con cariche virali basse
non sequenziabili con i sistemi correnti di genotipizzazione.
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Pagina 78 di 288
PANDEMIA DA NUOVO VIRUS DELL’INFLUENZA A (H1N1)V: IDENTIFICAZIONE
DEL PRIMO CASO ITALIANO E MONITORAGGIO DELLA FASE “DIAGNOSTICA”
DI SORVEGLIANZA
Vatteroni ML, S. Frateschi, A. Scaccino, F. Maggi, P. Mazzetti, B. Matteoli, L. Ceccherini-Nelli
U.O. Virologia Universitaria, Dipartimento di Patologia Sperimentale BMIE, AOUP, Pisa
Il 25 Aprile 2009 l’Organizzazione Mondiale della Sanità annunciava l’inizio di una probabile
pandemia, dichiarata poi l’11 Giugno u.s., per la comparsa in Messico di un triplo riassortante
capace di diffondersi nella popolazione. Pertanto il Laboratorio è stato allertato come struttura
deputata alla sorveglianza dell’infezione nell’Area Vasta Nord-Occidentale della Toscana.
Abbiamo quindi stabilito un algoritmo che prevedeva, in una prima fase:
1) estrazione di RNA con tecnica manuale (Qiagen viral RNA mini kit)
2) real time RT-PCR per i virus dell’influenza A, già disponibile in laboratorio, con
primers dedotti dalla regione M in grado di differenziare i sottotipi H1N1 da quelli
H3N2, e utili per rilevare anche la nuova variante
3) sequenziamento dell’amplicon ottenuto e comparazione con le sequenze depositate in
banca dati.
Questa procedura è stata applicata fin dai primi campioni arrivati in laboratorio, e il 28 Aprile ha
permesso di identificare il primo caso di infezione in Italia da nuovo virus dell’Influenza A H1N1v
in un uomo di 52 anni reduce da un lungo soggiorno a Città del Messico. L’uomo era ricoverato
presso il reparto di Malattie Infettive dell’Ospedale di Massa con lievi sintomi influenzali,
prontamente regrediti dopo somministrazione di Oseltamivir. L’arrivo del nuovo virus in Italia è
stata resa nota il 2 Maggio dopo che i dati di laboratorio sono stati confermati e validati da parte
dell’Istituto Superiore di Sanità, come richiesto dal Ministero della Salute. La sequenza è stata
recepita in banca dati Gene Bank con in seguente numero di accesso FJ982434
La successiva disponibilità di set di primers e probes indicati dalla CDC, ha permesso di introdurre
in laboratorio real time RT-PCR specifiche per la nuova variante umana.
Nel periodo 28 Aprile-28 Luglio, sono stati complessivamente esaminati 368 campioni provenienti
da 183 pazienti. 43 pazienti (23%) sono risultati positivi. Il 28 Luglio il Ministero della Salute ha
ritenuto terminata la fase diagnostica, limitando la diagnosi di infezione da parte del nuovo virus ai
solo criteri clinici (fase sintomatica), data la quantità di soggetti rientrati da zone endemiche.
Nonostante ciò, nel periodo 29 Aprile-10 Settembre, il laboratorio ha esaminato 218 campioni
provenienti da 109 pazienti, di cui 24 sono risultati positivi (22%).
I soli criteri clinici non sono quindi sufficienti ad identificare l’infezione da H1N1v, dato che la
sintomatologia è al momento assolutamente sovrapponibile a quella dei comuni virus respiratori.
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SORVEGLIANZA EPIDEMIOLOGICO-MOLECOLARE DI PATOGENI VIRALI
ATTRAVERSO L’ANALISI DI LIQUAMI URBANI
Giuseppina La Rosa, Marcello Iaconelli, Manoochehr Pourshaban, Valentina Spuri Vennarucci,
Marta Fratini, Michele Muscillo.
Istituto Superiore di Sanità, Roma.
Le malattie virali a diffusione oro-fecale rappresentano un problema importante di sanità pubblica.
In particolare, adenovirus e norovirus sono considerati “patogeni emergenti” in quanto recenti dati
mostrano un aumento nell’incidenza e/o nella virulenza delle patologie da essi provocate.
Gli adenovirus sono responsabili di un ampio spettro di manifestazioni cliniche (infezioni a carico
dell’occhio e degli apparati gastro-intestinale, genito-urinario e respiratorio) che possono dare
forme assai gravi o letali nei bambini e nei pazienti immunocompromessi. Recenti dati hanno
evidenziato l'emergenza di nuovi tipi (es. il sierotipo 14) responsabili di casi di polmonite grave e
morte in pazienti di tutte le età, compresi giovani adulti sani.
I norovirus sono i più comuni agenti virali responsabili di gastroenteriti epidemiche e sporadiche.
Le infezioni causate da norovirus si manifestano soprattutto in contesti comunitari quali ospedali,
scuole e navi da crociera. Recentemente si è registrato un aumento della morbilità e mortalità di
questi patogeni soprattutto in pazienti anziani.
In Italia non esiste un sistema organico di rilevamento delle patologie infettive da virus enterici e i
dati relativi all'epidemiologia di questi patogeni sono scarsi e frammentari.
Il presente lavoro è svolto nell’ambito di un progetto del Centro nazionale per la prevenzione e il
Controllo delle Malattie (CCM), che ha come obiettivo la sorveglianza epidemiologico-molecolare
dei virus enterici in Italia, attraverso il monitoraggio di reflui urbani provenienti da impianti di
depurazione. 138 campioni provenienti da 11 impianti localizzati in diverse regioni sono stati
analizzati mediante tecniche molecolari mirate alla ricerca e alla caratterizzazione di sequenze
geniche virali.
L’86% dei campioni (100% degli ingressi e 71% delle uscite) sono risultati positivi per adenovirus,
con prevalenza della Specie F (circa il 39%), seguita dalle Specie A, C e D (>10%); le specie B ed
E sono state osservate raramente.
L’analisi per norovirus ha mostrato positività nel 59% dei campioni (75% in entrata e 43% in
uscita) con prevalenza del genogruppo I. Tale dato è in contrasto con dati clinici che indicano il
genogruppo II quale principale responsabile di epidemie in Europa e di casi sporadici in Italia.
La sorveglianza degli agenti virali nell’ambiente rappresenta uno strumento integrativo alla
sorveglianza clinica, per comprendere l’epidemiologia dei patogeni circolanti nella popolazione.
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EFFETTO DI AZIDOVUDINA, NEVIRAPINA ED INDINAVIR SU CELLULE DI
MELANOMA ESPRIMENTI HERV-K, SOTTOPOSTE A CONDIZIONI STRESSANTI DI
CRESCITA.
Balestrieri E.1, Sorrentino R.1, Matteucci C.1, Al Dossary R.1, Spadafora C.2, Garaci E.1, Sinibaldi
Vallebona P.1
(1) Dipartimento di Medicina Sperimentale e Scienze Biochimiche, Università di Roma “Tor
Vergata”; (2) Istituto Superiore di Sanità, Roma.
I retrovirus endogeni umani (HERV) e altri retroelementi trasponibili svolgono numerose funzioni
biologiche e pertanto sono stati proposti quali cofattori nell'eziologia di alcune patologie umane.
In un nostro precedente studio abbiamo dimostrato che la trascrittasi inversa (RT) codificata dai
retroelementi è coinvolta nel controllo della proliferazione e del differenziamento cellulare
(Sinibaldi-Vallebona P, 2006; Genes Chromosomes Cancer, 45:1-10), infatti il trattamento di
cellule trasformate con efavirenz e nevirapina determina la riduzione della proliferazione cellulare,
induce il differenziamento delle cellule e blocca la progressione del tumore in topi nude (Sciamanna
I, 2005; Oncogene, 24:3923-31). In un altro studio recentemente pubblicato dal nostro gruppo,
abbiamo messo in evidenza che cellule di melanoma, coltivate in condizioni di stress (basse
concentrazioni di siero), modificano il loro fenotipo di crescita, acquisendo una maggiore capacità
proliferativa ed invasiva. Questi cambiamenti fenotipici risultano accompagnati da un importante
aumento dell’espressione di mRNA di HERV-K e l’associazione tra i due fenomeni è dimostrata
dall’assenza di cambiamenti fenotipici, nel caso in cui l'espressione di HERV-K sia bloccata
mediante RNA interference (Serafino A.L. 2009; Exp. Cell Res. 315:849-62). Nel presente studio è
stato valutato l’effetto del trattamento con i farmaci antiretrovirali azidovudina, nevirapina ed
indinavir sulla modificazione fenotipica indotta dalla condizione di stress. In tal modo è stato
evidenziato che anche il trattamento con inibitori della RT e delle proteasi è in grado di bloccare il
passaggio delle cellule verso il fenotipo più aggressivo, seppure con diversa efficienza. Inoltre il
trattamento con antiretrovirali (azidovudina e nevirapina) induce modificazioni morfologiche
correlate con un maggior grado di differenziamento cellulare. I risultati ottenuti suggeriscono un
possibile utilizzo di tali farmaci nella terapia del melanoma.
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ALTERATA
REGOLAZIONE
DEL
CICLO
CELLULARE
INDOTTA
DA
CITOMEGALOVIRUS UMANO IN MODELLI CELLULARI PERMISSIVI IN ATTIVA
DIVISIONE O ALLO STADIO TERMINALE DI DIFFERENZIAMENTO
Arcangeletti M.C.1, Germini D.1, Rodighiero I.1, Mirandola P.2, Motta F.1, Dettori G.1,
Chezzi C.1
1.Dipartimento di Patologia e Medicina di Laboratorio - Sezione di Microbiologia;
2.Dipartimento di Anatomia Umana, Farmacologia e Scienze Medico-Forensi - Sezione di
Anatomia Umana; Università degli Studi di Parma.
Citomegalovirus umano (HCMV) è un patogeno ubiquitario che persiste nell’ospite in una
condizione di latenza dopo l’infezione primaria. La vasta gamma di patologie sostenute da HCMV è
da mettere in relazione con la sua capacità di infettare differenti tipi di cellule in vivo, dando luogo
ad interazioni diverse, in relazione alla tipologia cellulare coinvolta. In particolare, è noto come
HCMV sia in grado di sostenere un ciclo litico in cellule epiteliali e fibroblastiche, mentre i
monociti del sangue periferico rappresentano sedi di latenza e serbatoi utili per la disseminazione
virale a seguito di differenziamento a macrofagi e conseguente riattivazione di HCMV.
Numerosi dati di letteratura supportano l’ipotesi di una spiccata capacità del virus di modificare il
“signaling” intracellulare, in particolare quello relativo alla regolazione del ciclo cellulare. Tale
strategia è sicuramente vincente in quanto permette al virus di manipolare a suo vantaggio il ciclo
cellulare stesso, verso la proliferazione o il differenziamento della cellula ospite.
Al fine di valutare eventuali azioni di interferenza sul ciclo cellulare da parte di HCMV, in questo
studio sono stati considerati, a confronto, due modelli sperimentali di infezione litica costituiti dallo
stesso stipite virale di riferimento (Towne) e, alternativamente, da cellule in attiva replicazione
(fibroblasti MRC5) o da cellule allo stadio terminale di differenziamento (monociti THP-1
differenziati a macrofagi). I dati ottenuti dimostrano che in fibroblasti MRC5 il virus è in grado di
arrestare il ciclo cellulare in fase G1 o alla transizione G1/S, bloccando la sintesi di DNA cellulare.
Al contrario, i monociti THP-1 differenziati (fase G0) sono spinti a rientrare nel ciclo cellulare.
Altro aspetto saliente messo in evidenza dai risultati di questo studio è che nei suddetti modelli
cellulari infettati parallelamente con HCMV inattivato mediate raggi ultravioletti, si osserva un
andamento del ciclo cellulare analogo a quello riscontrato in cellule non infettate.
Tale osservazione conferma il fatto che la perturbazione del ciclo cellulare è un fenomeno indotto
esclusivamente dal virus attivo e supporta l’importanza di tale strategia a vantaggio della
replicazione di HCMV.
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PERSISTENZA DI INFEZIONE DA VIRUS HERPES UMANO DI TIPO 8 (HHV-8) IN
PAZIENTI CON DIABETE DI TIPO 2 (DM2)
Ingianni A.1, Saddi M.1, Reina A.2,Contini P.P.3, Coghe F.4, Pompei R.1
1
Sezione di Microbiologia Applicata, Università di Cagliari. 2Servizio di Immunoematologia,
Ospedale Brotzu di Cagliari. 3Servizio di Diabetologia, Ospedale S. Giovanni di Dio, Cagliari.
4
Laboratorio analisi, Ospedale S. Giovanni di Dio, Cagliari
Introduzione: l’infezione da HHV-8 è talvolta associata allo sviluppo di diverse neoplasie, tra le
quali il sarcoma di Kaposi, la malattia multicentrica di Castleman, i linfomi diffusi (PEL) e i linfomi
primitivi della cavità sierosa (BCBL). Il passaggio dall’infezione latente a quella litica è considerato
un momento fondamentale nel processo della cancerogenesi e l’open reading frame 50 (orf50), che
codifica per la proteina Rta, è uno dei geni chiave di tale switch. Il presente studio intende verificare
la permanenza di HHV-8 nei soggetti diabetici (DM2) ed una sua eventuale evoluzione verso una
trasformazione neoplastica.
Metodi: lo studio è stato eseguito su 440 campioni di sangue provenienti da pazienti affetti da DM
2 e come controlli sono stati esaminati 108 donatori sani di sangue provenienti dal centro
trasfusionale di Cagliari. La rilevazione di HHV-8 è stata condotta analizzando la presenza del gene
di latenza orf 26, che codifica per la proteina capsidica minore, mediante PCR del DNA estratto dai
leucociti. Un potenziale switch del virus da fase latente a fase litica è stato verificato attraverso
l’analisi dell’espressione del gene orf50 mediante RT-PCR. I pazienti risultati positivi per HHV-8
sono stati monitorati nel tempo.
Risultati e conclusioni: nei pazienti diabetici la percentuale di positività di HHV-8 è risultata
significativamente superiore (46.6%) rispetto a quella riscontrata nei soggetti di controllo (12%,
p<0.01). Nessuna sostanziale differenza è stata evidenziata tra individui di sesso maschile e
femminile, mentre una lieve diminuzione di HHV-8 è stata rilevata nei DM2 con il progredire
dell’età. Dal monitoraggio temporale dei pazienti diabetici risultati positivi per HHV-8 si evince che
il genoma virale permane latente e che in nessuno dei DM2 finora analizzati vi è stato uno switch
del virus. Viene fatta una valutazione critica della elevata frequenza di infezione da HHV-8 nei
pazienti diabetici in relazione allo stato immunitario e ad un possibile aumento del rischio di
insorgenza di forme neoplastiche.
Ringraziamenti. Lavoro finanziato dalla Regione Sardegna e dalla Fondazione Banco di
Sardegna, programma Genetica e Biotecnologie.
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Pagina 83 di 288
RUOLO DIFFERENZIALE DEL CITOSCHELETRO NELLA MODULAZIONE DI FASI
PRECOCI DELL’INFEZIONE DEL VIRUS INFLUENZA A/NWS/33 (H1N1) IN MODELLI
CELLULARI DI RENE DI MAMMIFERO
De Conto Floraa, Covan Silviaa, Arcangeletti M.Cristinaa, Gatti Ritab, Orlandini Guidob, Dettori
Giuseppea, Chezzi Carloa.
a
Sezione di Microbiologia - Dipartimento di Patologia e Medicina di Laboratorio; bSezione di
Istologia ed Embriologia Generale - Dipartimento di Medicina Sperimentale. Università degli Studi
di Parma.
Numerosi studi hanno messo in luce la capacità dei virus di cooptare meccanismi cellulari di
segnalazione molecolare e di internalizzazione, allo scopo di favorire il superamento di “barriere”,
quali la membrana citoplasmatica ed il citoscheletro corticale, e rendere possibile il loro ingresso
nella cellula ospite.
In questo studio è stata effettuata un’analisi comparativa delle fasi precoci dell’infezione dello
stipite umano NWS/33 di virus influenza A (NWS) in modelli cellulari di rene di mammifero
(MDCK: rene di cane; LLC-MK2: rene di scimmia; NSK: rene di suino) caratterizzati da un diverso
grado di permissività all’infezione. In particolare, è stato valutato il possibile ruolo dei meccanismi
di internalizzazione e di specifiche componenti del citoscheletro [i.e. microfilamenti (MF) e
microtubuli (MT)], correlate all’espletamento dell’endocitosi e del trasporto citoplasmatico, nel
modulare l’esito dell’infezione. Sono, a tal fine, stati impiegati inibitori delle principali vie di
ingresso, oltre che sostanze in grado di indurre la selettiva depolimerizzazione dei MF e dei MT.
I risultati ottenuti hanno messo in evidenza la diversa durata dell’internalizzazione del virus NWS,
come anche la selezione di vie preferenziali di ingresso dipendentemente dal modello cellulare
esaminato. In cellule LLC-MK2 e NSK è stata, in particolare, appurata l’esistenza di meccanismi di
entrata non funzionali a consentire l’ingresso del virus NWS che potrebbero rendere ragione della
bassa efficienza dell’infezione riscontrata in tali cellule, a differenza del modello MDCK. I dati
ottenuti depongono, inoltre, per un ruolo differenziale svolto dai MF e dai MT nel corso di fasi
precoci dell’infezione virale, in quanto si è visto che la depolimerizzazione dei MF aumenta la resa
dell’infezione in cellule LLC-MK2 e non esercita effetti di rilievo in NSK, mentre la variazione di
assetto dei MT promuove la replicazione virale in entrambi i modelli LLC-MK2 e NSK.
Tale studio, evidenziando la complessità delle interazioni che intercorrono tra virus e cellula ospite,
mette in luce l’intervento attivo di specifiche funzioni/componenti cellulari quali possibili
meccanismi regolatori nei confronti dell’infezione virale.
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Pagina 85 di 288
ANALISI MICROBIOLOGICA DI CAMPIONI DA TESSUTI MOLLI DI FERITE
LAPAROTOMICHE.
Minutolo M.1, Blandino G.1, Puleo S.2, Minutolo V.2
1
Dipartimento di Scienze Microbiologiche; 2Dipartimento di Scienze Chirurgiche,Trapianti
d’Organo e Tecnologie Avanzate –Università degli Studi di Catania.
L’insorgenza di una infezione del sito chirurgico rappresenta la complicanza postoperatoria più
frequente.L’analisi batteriologica della ferita chirurgica potrebbe costituire un metodo predittivo di
infezione del sito chirurgico dopo chirurgia elettiva addominale.In questo studio viene effettuata
l’analisi microbiologica dei tamponi prelevati da tessuti molli delle ferite laparotomiche,dopo
chiusura della parete addominale.Il valore predittivo dell’analisi viene valutato correlando i germi
più frequentemente coinvolti nella contaminazione della ferita e i fattori di rischio di infezione
chirurgica.I tamponi del tessuto sottocutaneo,prelevati da 78 pazienti dopo la chiusura della fascia
addominale e prima della sutura della cute,sono stati sottoposti ad indagine microbiologica con
tecniche standardizzate e VITEK system,utilizzato,anche,per saggiare l’antibiotico sensibilità.Tutti
gli interventi chirurgici sono stati classificati come puliti o puliti/contaminati.La profilassi
antibiotica è stato eseguita solo in 48 pazienti 60 minuti prima dell’intervento.La presenza di
infezione della ferita è stata documentata durante la degenza ospedaliera e,per un massimo di 4
settimane dopo l’intervento chirurgico,in ambulatorio.
Dei 48 tamponi positivi all’analisi microbiologica soltanto 4 sono stati associati ad una infezione
della ferita (2 ceppi di Escherichia coli,1 di Enterobacter cloacae ed 1 di Candida albicans).Inoltre
in due interventi,in cui il tampone della ferita non aveva mostrato crescita microbica,si è avuta
un’infezione causata da Bacteroides fragilis.L’infezione è insorta nei pazienti sottoposti ad
interventi chirurgici di classe II e III e dalla durata media di 127,5 minuti.I batteri contaminanti
isolati sono stati 36 aerobi Gram-positivi e 10 aerobi Gram-negativi;inoltre è stato isolato un ceppo
di Candida albicans.Per quanto riguarda la sensibilità agli antibiotici tutti gli stafilococchi isolati
erano sensibili a synercid e vancomicina,ma 14/36 erano resistenti > 4 classi di antibiotici.L’88%
degli stafilococchi coagulasi negativi era resistente ad oxacillina e 61% ad eritromicina.Tutti gli
enterobatteri isolati erano resistenti ad amoxicillina ma sensibili a imipenem, aztreonam,
netilmicina e levofloxacina.
I risultati mostrano un più alto rischio di infezione chirurgica in presenza di batteri Gram-negativi
ed in pazienti con interventi di classe III e della durata superiore a due ore.
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Pagina 86 di 288
ASPETTI MICROBIOLOGICI DELLE INFEZIONI INTRA-ADDOMINALI
Amodeo A,Caccamo F, Fichera E, Grassi P.,Grasso E.,Guardo G. Mastrojeni S., Patamia I,
Scriffignano V, Sciacca A., Nicoletti G.
Laboratorio Analisi Az. Policlinico Università Catania
Le infezioni intra-addominali (IAI) (o endo-addominali) rappresentano la seconda causa di
infezione in ambiente ospedaliero, con conseguenze anche severe sulla salute del paziente: sono
quindi infezioni associate ad elevata morbilità e mortalità, nonché responsabili di un uso
importante delle risorse ospedaliere.
Materiali Nel nostro studio il campione in esame è costituito da 91 ceppi batterici responsabili di
infezioni intra-addominali, isolati presso il laboratorio di batteriologia dell’Azienda Ospedaliero
– Universitaria Policlinico “Gaspare Rodolico” di Catania, dal 2004 al 2008. I materiali
patologici presi in considerazione (ascessi, drenaggi, liquidi addominali, liquidi ascitici, liquidi
peritoneali, stomie, tegole) sono stati inviati al laboratorio dai reparti di Chirurgia, Trapianti,
Terapia Intensiva, Terapia Intensiva Neonatale ed Ematologia del nosocomio. In particolare,
sono stati studiati 75 casi di peritonite (82%), 10 casi di ascesso viscerale (11%) e 6 casi di
colangite/colecistite (7%).
Risultati Gli stafilococchi coagulasi negativi presentano una percentuale maggiore di isolati (24%),
seguiti da Enterococcus spp. (13%), Pseudomonas aeruginosa (12%) e Acinetobacter baumannii
(11%). In percentuale minore sono stati riscontrati anche: Stenotrophomonas malthophilia (8%),
Escherichia coli (7%), Klebsiella spp. (7%), ed anche Enterobacter spp. (4%) e S.aureus (4%).
Dalla distribuzione dei microrganismi coinvolti nelle IAI, in relazione ai differenti reparti
ospedalieri, si evince che questi sono stati isolati per la maggior parte in pazienti ricoverati nei
reparti di Chirurgia (49%), seguiti dai Trapianti (24%) e dalla Terapia Intensiva (14%), mentre sia
nel reparto di Terapia Intensiva Neonatale che di Ematologia si è avuta una minore percentuale di
isolamento, rispettivamente del 9% e del 4%.
Conclusioni La diagnostica microbiologica delle IAI è complessa, ed ha un ruolo importante
soprattutto in certe situazioni (es. presenza di corpi estranei, sospetto di patogeni resistenti o insoliti,
infezioni nosocomiali in soggetti con fattori di rischio).
Problemi di antibiotico-resistenza si riscontrano attualmente nella maggioranza delle specie
patogene responsabili di IAI. Le chemioresistenze interessano tutte le principali classi di antibiotici
e sono spesso associate, configurando fenotipi di resistenza complessi per i quali restano attivi solo
pochissimi farmaci.
L’uso di antibiotici ad ampio spettro è necessario per il trattamento empirico delle infezioni
complicate, spesso polimicrobiche, causate da batteri non identificabili nelle 24-48 ore e spesso da
patogeni resistenti. Come è noto, un trattamento tempestivo ed adeguato ha un impatto
significativamente positivo sulla risoluzione dell’infezione e sulla riduzione del rischio di morte.
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Pagina 87 di 288
BATTERI PATOGENI ISOLATI DA EMOCOLTURE: FREQUENZA E SENSIBILITÀ
AGLI ANTIBIOTICI (2007-2008)
Blandino G, Pisano M, Privitera S, Puglisi S, Nicolosi D, Sciacca A, Nicoletti G.
Dipartimento di Scienze Microbiologiche e Scienze Ginecologiche – Università degli Studi di
Catania
La sorveglianza sull’antibiotico-resistenza di ceppi batterici isolati da emocolture può essere utile
nella scelta terapeutica empirica antimicrobica in ambiente ospedaliero. Scopo di questo studio era
valutare i patogeni predominanti nelle batteriemie ed i loro pattern di antibiotico-resistenza.
Sono stati analizzati 443 ceppi batterici isolati consecutivamente da batteriemie durante il periodo
Gennaio 2007 – Dicembre 2008. Il sistema Vitek (bioMerieux) è stato utilizzato per
l’identificazione delle specie e per determinarne la sensibilità agli antibiotici.
Le specie più frequentemente isolate sono state Escherichia coli 32%, Pseudomonas aeruginosa
18%, Klebsiella pneumoniae 13% e Staphylococcus aureus 10%
Tra i batteri Gram-positivi, il 50% dei ceppi di S. aureus era oxacillino-resistente; il 33% dei ceppi
di Enterococcus spp. era resistenti ad ampicillina ma nessuno era resistente a vancomicina ; tutti i
ceppi di S. pneumoniae erano sensibili ad ampicillina e 43% era resistente ad eritromicina. La
resistenza di S. aureus all’oxacillina presentava valori più elevati incrementando l’età; la resistenza
di S. pneumoniae alla eritromicina era, invece, più alta nei bambini con meno di 5 anni. Per quanto
riguarda le Enterobacteriacee, la causa più frequente di antibiotico-resistenza era la produzione di
ESBL (5% in E. coli, 29% in K. pneumoniae e 57% in E. cloacae); 12% dei ceppi era resistente a
gentamicina e 17% a ciprofloxacina. Per quanto riguarda P. aeruginosa 20% dei ceppi era resistente
a ceftazidime, 13% a piperacillina/tazobactam e ad imipenem, 10% a ciprofloxacina e 5% ad
amikacina.
Le percentuali di resistenza a molti antibiotici riscontrate nei patogeni più frequentemente
responsabili di batteriemie sono simili a quelle riportate da altri studi nazionali ed internazionali,
confermando così l’incremento di antibiotico-resistenza soprattutto fra i Gram-negativi.
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Pagina 88 di 288
ISOLAMENTO DI CHLAMYDOPHILA PNEUMONIAE
NELLE FARINGOTONSILLITI DEGLI ADULTI
C. Bonaccorso, B. Bisignano, R. Timpanaro, A. Stivala.
Dipartimento di Scienze Microbiologiche e Ginecologiche, Università degli Studi di Catania
Chlamydophila pneumoniae è una causa comune di infezioni acute delle vie respiratorie.
Il suo ruolo nelle faringotonsilliti dei bambini è stato ampiamente accertato ma sono ancora pochi i
dati riguardati l’incidenza negli adulti.
Lo scopo dello studio è stato quindi quello di valutare la frequenza di isolamento di C.pneumoniae
in tamponi faringei di pazienti di età compresa tra i 20 ed i 65 anni affetti da faringotonsilliti
confrontando differenti metodiche diagnostiche.
Sono stati analizzati 94 tamponi faringei provenienti da pazienti a cui era stata diagnosticata una
faringotonsillite acuta.
La presenza delle inclusioni clamidiali in colture cellulari è stata valutata mediante colorazione di
Giemsa e MAb-IFA.
I dati ottenuti sono stati confrontati con due differenti PCR, una single-step ed una Nested aventi
come target il gene codificante 16S rRNA.
La percentuale di isolamento colturale di C.pneumoniae da tampone faringeo è risultata pari al
15.95% (15/94) con la colorazione di Giemsa e all’11.70% (11/94) con MAb-IFA.
La 16S rRNA Nested PCR ha dato una percentuale di positività pari al 12.76% (12/94) e solo 2
campioni sono risultati positivi anche alla PCR single-step.
La diagnosi di infezioni da C.pneumoniae risente ancora della mancanza di un “gold standard” che
possa essere utilizzato come metodica di riferimento.
Le colture cellulari sono spesso poco utilizzate poiché richiedono laboratori attrezzati, tempi molto
lunghi e una buona esperienza e praticità dell’operatore. Tuttavia riteniamo di poter affermare che
il loro utilizzo rimanga un riferimento essenziale.
L’amplificazione degli acidi nucleici tramite PCR è una tecnica molto rapida ma, come è
evidenziato anche dai nostri risultati, ogni protocollo ha una sua specificità e sensibilità; netta è
stata infatti la superiorità della Nested PCR rispetto alla single-step nella capacità di identificare
DNA clamidiale, pur avendo entrambe lo stesso target.
Va comunque sottolineato che i nostri dati indicano una diffusione di C.pneumoniae negli adulti
affetti da faringotonsilliti, e che in corso di trattamento terapeutico bisognerebbe tener conto anche
di questo agente eziologico.
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Pagina 89 di 288
VALUTAZIONE DELLA PRESENZA DI CHLAMYDOPHILA ABORTUS IN TAMPONI
VAGINALI DI DONNE AFFETTE DA PROBLEMI D’INFERTILITÀ
S Appino*, S Rocca*, P Pregel§, L Vincenti§, S Zanetti#
* Dipartimento di Patologia e Clinica Veterinaria, Università di Sassari.
§
Dipartimento di Patologia Animale, Università di Torino
#
Dipartimento di Scienze Biomediche, Università di Sassari.
I microrganismi appartenenti alla famiglia Chlamydiaceae sono patogeni intracellulari obbligati,
Gram-negativi, responsabili di numerose malattie nell’uomo e negli animali. Le infezioni genitali
causate da tali batteri costituiscono un problema per la salute pubblica mondiale poiché, per la
maggior parte asintomatiche, possono determinare complicazioni che compromettono la fertilità,
soprattutto nei soggetti femminili. È stato stimato che tali forme rappresentino circa il 70%-75%
delle infezioni da Chlamydia trachomatis. Alla famiglia Chlamydiaceae appartengono due generi:
Chlamydophila (che include le specie C. abortus, C. psittaci, C. felis, C. caviae, C. pecorum e C.
pneumoniae) e Chlamydia (che comprende le specie C. trachomatis, C. suis e C. muridarum).
Chlamydophila abortus rappresenta un agente eziologico capace di causare numerose zoonosi, tra
cui riveste particolare importanza l’aborto nella donna. Tale microrganismo è particolarmente
insidioso per il personale femminile che accudisce le greggi infette o viene a contatto con organi e
tessuti infetti al macello. In ambienti rurali, come in Sardegna, le probabilità di contagio aumentano,
per le maggiori attività di allevamento. I rischi maggiori derivano dal contatto con animali infetti
nel gregge e dall’assistenza degli animali al parto, per inalazione dell’aerosol infetto prodottosi.
Al fine di verificare la presenza di C. abortus in tamponi vaginali di donne infertili, sono stati
analizzati 167 campioni di DNA risultato in precedenza negativo per C. trachomatis. Il DNA è stato
valutato mediante nested PCR per evidenziare la presenza di un tratto del 5’ del gene MOMP
(omp1). I risultati ottenuti hanno evidenziato la presenza dell’amplificato in 4 campioni, mentre i
restanti 163 sono risultati negativi.
C. abortus è l’agente causale di OEA e di aborto sporadico nella bovina, ma può causare aborto
anche nella donna, rappresentando una pericolosa zoonosi. I risultati ottenuti evidenziano che la
potenziale zoonosi determinata da C. abortus può essere correlata anche ad infertilità e non solo
all’aborto. Va pertanto sottolineata l’utilità del test qui descritto per la diagnosi di infertilità
femminile, in affiancamento all’identificazione di C. trachomatis, di cui si ben conosce la
patogenicità.
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11-14 ottobre 2009
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ENDOCARDITE DA STREPTOCOCCUS SANGUINIS SU VALVOLA PROTESICA.
Liberto M.C., Cugnetto G., Caruso E., Filice S., Zicca E., Pulicari M.C., Carrabba A., Puccio R.,
Giancotti A., Matera G., Quirino A., Focà A.
Cattedra di Microbiologia , Università di Catanzaro, via T. Campanella 115, 88100 Catanzaro.
L’endocardite infettiva è una infezione dell’endotelio cardiaco, la cui lesione tipica è la
vegetazione; può interessare le valvole native o le protesi valvolari. Sebbene gli agenti eziologici
più comuni di endocardite infettiva su valvola nativa siano gli Streptococchi viridanti,
Staphylococcus aureus è la causa più frequente di endocardite su valvola protesica. Riportiamo un
caso di endocardite infettiva da Streptococcus sanguinis in una paziente di 57 anni affetta da anemia
sideropenica, diabete mellito di tipo II e portatrice di protesi valvolare mitralica, con un’anamnesi
positiva per malattia reumatica. Emocolture seriali sono state allestite in concomitanza di episodi
febbrili. Campioni di vegetazione valvolare e protesi della valvola mitralica sono stati posti in
coltura. L’identificazione batterica è stata eseguita con il sistema semi-automatico Vitek 2®
(Biomerieux, Italia) e l’antibiogramma con il sistema Mini Api® (Biomerieux, Italia). Campioni di
sangue sono stati prelevati al ricovero e durante la degenza, i linfociti CD25+ e i livelli di IL-10
sono stati valutati mediante fluorocitometria (FACScan; Becton Dickinson) e test ELISA (Bender
MedSystems, Vienna, Austria) rispettivamente; la proteina C-reattiva (PCR), le frazioni C3 e C4 del
complemento utilizzando un test nefelometrico (Nephelometer BN ProSpec Dade Behring,
Marburg, Germany) e la procalcitonina (PCT) con metodica ELFA (VIDAS BRAHMS PCT® ,
bioMerieux, France). Streptococcus sanguinis è stato isolato ed identificato contemporaneamente
dai campioni di sangue periferico, da vegetazione valvolare e dalla protesi mitralica espiantata. I
mediatori solubili dell’infiammazione sistemica presentavano i seguenti valori al momento del
ricovero e durante la degenza: procalcitonina (PCT) 0.16 - 2.02 ng/ml, proteina C-reattiva (PCR)
38.2 - 58.4 μg/ml, IL-10 1.01 - 11.1 pg/ml, C3 1.04 - 0.58 g/l e C4 0.25 - 0.13 g/l; mentre i
linfociti CD25+ 8.5 - 20.2%. L’isolamento di Streptococcus sanguinis sia da emocoltura, che da
vegetazione valvolare e da protesi testimonia l’accuratezza della diagnosi etiologica. Peraltro
l’endocardite su valvola protesica è raramente sostenuta da S. sanguinis. Il dosaggio dei mediatori
dell’infiammazione sistemica ha consentito di seguire la progressione della sepsi. Il decremento
progressivo dei livelli di C3 è stato già riportato in corso di endocardite batterica (Arq.
Bras.Cardiol. 2001;vol. 76: doi : 10.1590/S0066), mentre è spesso assente in altri episodi settici non
a partenza dall’endocardio.
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TREPONEMA PALLIDUM : UN PATOGENO RIEMERGENTE. CINQUE ANNI DI
ESPERIENZA NELLA DIAGNOSI DI SIFILIDE
B. Pavone, M. Calapai, A. Arena, A. Speranza, G. Stassi e D. Iannello.
U. O. C. di Microbiologia Clinica, A.O.U. G. Martino, Messina.
A partire dal 1990, l’incidenza di casi di sifilide in numerosi paesi europei è aumentata. A causa
delle difficoltà nella diagnosi diretta, dovuta alle caratteristiche biologiche di Treponema pallidum
ed alla evoluzione in stadi della stessa patologia, la diagnosi di sifilide è basata fondamentalmente
sulla dimostrazione di anticorpi mediante l’uso di diversi metodi sierologici.. Questi metodi,
classicamente definiti come “non treponemici” (RPR, VDRL) o “treponemici” ( TPHA, ELISA,
FTA-ABS, Western Blot ) a seconda del tipo di antigene impiegato, vengono usati da molti anni
come test di screening, a scopo diagnostico specifico ed eventualmente di conferma. Le
problematiche connesse alla diagnosi sierologica di sifilide, tuttavia, non sono ancora state risolte
definitivamente, come riportato in numerosi studi, anche recenti, sull’argomento. In particolare, la
diagnosi può essere difficile in seguito al possibile verificarsi di risultati falsamente positivi o
falsamente negativi, indipendentemente dalle metodiche sierologiche impiegate. Scopo di questo
studio, basato su dati preliminari riportati in precedenza, è la valutazione comparativa di diverse
metodiche sierologiche impiegate presso la U.O.C. di Microbiologia Clinica: RPR, TPHA, ELISA
(screening per la ricerca di anticorpi anti T. pallidum e test per le corrispondenti IgG ed IgM) e
Western Blot per IgG e IgM ( test di conferma), nei sieri di soggetti risultati positivi nel test di
screening. Sono stati esaminati i dati relativi al periodo Settembre 2004 - Agosto 2009. I test di
screening nell’ambito di esami preconcezionali (RPR e/o TPHA) hanno dato generalmente risultati
negativi, concordanti quando erano eseguiti sullo stesso campione di siero. Nel periodo preso in
esame, rispetto agli anni precedenti, si è osservata una maggiore incidenza di positività per anticorpi
anti T. pallidum. Nell’ambito di indagini diagnostiche specifiche, il metodo ELISA si è dimostrato
più sensibile, come test di screening per anticorpi totali, rispetto al TPHA ed all’ RPR. Il Western
Blot, a sua volta, eseguito su sieri di soggetti risultati positivi nel test di screening, si è confermato
più sensibile nella dimostrazione di IgG anti T. pallidum e più specifico nel rilievo di IgM, rispetto
ai corrispondenti test ELISA. In base alla nostra esperienza, l’impiego combinato dei diversi test
disponibili può facilitare il riconoscimento di casi falsamente negativi o positivi, consentendo una
maggiore accuratezza diagnostica.
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ISOLAMENTO DI MYCOBACTERIUM BOLLETII E MYCOBACTERIUM PORCINUM DA
PAZIENTI IMMUNO-COMPROMESSI
*
Bonura C.,**Mammina C.,*Calà C.,*Immordino R.,*Pitarresi G.L.,*Lipani G.,*Di Carlo E.,
***
Colomba C.,***Di Carlo P.,*Giammanco A.
Dipartimento di Scienze per la Promozione della Salute, *Sezione di Microbiologia, **Sezione di
Igiene, ***Sezione di Malattie Infettive, Università degli Studi di Palermo
I micobatteri a rapida crescita (o RGM, Rapidly Growing Mycobacteria) sono microrganismi
ampiamente diffusi nell’ambiente, principalmente presenti in acque dolci, lacustri e fluviali ed
anche in numerose sorgenti di acqua potabile. I più frequenti quadri morbosi sostenuti da tali
microrganismi patogeni opportunisti comprendono patologie a carico della cute e dei tessuti molli,
infiammazioni di tipo granulomatoso lentamente progressive, linofoadenite, batteriemie ed, infine,
malattie polmonari. La maggior parte delle infezioni umane da RGM è causata da specie già
inquadrate nell’ambito dei gruppi Mycobacterium fortuitum, Mycobacterium chelonae-abscessus
complex (MCAC) e Mycobacterium smegmatis. Recentemente sono stati descritti casi attribuiti a
nuovi isolati clinici di RGM di difficile identificazione ed affiliazione tassonomica; fra questi
Mycobacterium bolletii, classificato nel gruppo MCAC come nuova specie particolarmente
resistente ai farmaci antimicobatterici, inclusa la claritromicina, attivi nei confronti delle altre specie
inserite nello stesso complesso, e Mycobacterium porcinum, originariamente ed esclusivamente
associato a malattia degli animali, oggi riconosciuto appartenente alla stessa specie patogena umana
precedentemente considerata come terza biovariante nel gruppo degli stipiti D-sorbitolo negativi di
Mycobacterium fortuitum.
Le infezioni opportunistiche da RGM, per la loro crescente incidenza e la gravità dei quadri che
possono manifestarsi, soprattutto in pazienti immuno-compromessi ed in presenza di stipiti
farmaco-resistenti, assumono un’importanza sempre maggiore; è opportuno quindi segnalarne il
riscontro e definire tassonomicamente l’isolato. A tal fine riportiamo due casi di isolamento di
Mycobacterium bolletii da campioni respiratori provenienti rispettivamente da un paziente affetto
da ICL (Idiopathic CD4+ T-lymphocytopenia) e uno HIV-positivo, e di Mycobacterium porcinum
da un campione di espettorato proveniente da un altro paziente, anch’egli HIV-positivo.
Sottolineamo, altresì, l’ausilio ottenuto attraverso l’impiego di tecniche biomolecolari, ed in
particolare del sequenziamento di una regione del gene rpoB, finalizzate all’identificazione di
specie altrimenti difficilmente discriminabili, nell’ambito dei gruppi di appartenenza, con metodi
fenotipici convenzionali.
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VALUTAZIONE DEL T-SPOT. TB
NELL''INFEZIONE TUBERCOLARE
Amodeo A,Caccamo F, Fichera E, Grassi P.,Grasso E.,Guardo G. Mastrojeni S., Patamia I, Scriffignano
V, Sciacca A., Nicoletti G.
Laboratorio Analisi Az. Policlinico Università Catania
La tubercolosi (TB) rappresenta, ancor oggi, un problema sanitario di grande rilievo sia nei paesi in
via di sviluppo, sia in quelli industrializzati. Di non secondaria importanza, in quest’ambito, sono da
considerare le problematiche legate ai portatori di un’infezione latente (LTBI). Questi soggetti,
soprattutto se appartenenti a “categorie ad alto rischio di riattivazione,” ( HIV+/Aids,pazienti
sottoposti a terapie immunosoppressive, bambini di età inferiore a 5 anni, etc.) potrebbero trarre
notevoli vantaggi da un trattamento profilattico che ridurrebbe certamente il rischio di progressione
verso fasi attive di TB. A tal fine risulta però indispensabile porre diagnosi di LTBI con sicurezza.
Tale diagnosi si è sinora basata principalmente sulla intradermoreazione tubercolinica secondo
Mantoux. La specificità di questo test è alquanto bassa , essendo influenzata da precedente
vaccinazione con BCG o da pregresso contatto con mott. Anche la sensibilità risulta modesta
soprattutto nei pazienti immunocompromessi. Questi limiti implicano che soggetti che potrebbero
trarre beneficio da una chemioterapia profilattica eseguita con isoniazide 300 mg/die per 9 mesi o
con rifampicina 10 mg kg/die per 4 mesi, possano essere difficilmente identificati quali portatori di
LTBI con conseguente possibilità di sviluppare Tb attiva Altri soggetti, non portatori di LTBI,
potrebbero di converso essere esposti agli eventi avversi di una profilassi non necessaria.
Recentemente, sono stati proposti per la diagnosi della TB e della LTBI, nuovi test basati sulla
evidenziazione e conta delle cellule produttrici di interferone gamma (IFN-y) in seguito a
stimolazione con specifici antigeni tubercolari (Early Secretory
Antjgenic Target 6ESAT-6 ,Culture Filtrated Protein 10- CFP-10)
Materiali e metodi
Nel periodo compreso gennaio-giugno 2009 sono stati effettuati nel nostro laboratorio 70 T spot TB
effettuati su pazienti trapiantati o in lista per trapianto, extracomunitari provenienti da aree ad alta
prevalenza per TB, pazienti sottoposti o in attesa di intraprendere una terapia immunosoppressiva,
pazienti con HIV/Aids. Sono stati inoltre sottoposti al test tre pazienti con sospetto
clinico/radiografico di TB attiva e 3 pazienti con test alla tubercolina positivo e riscontro
batterioscopico di micobatteri, risultati in seguito non appartenenti al complesso MTB, nel
sedimento urinario
Risultati
In due pazienti, con sintomatologia suggestiva di TB in atto, il test ha evidenziato più di 100 spot. I
pazienti candidati al trapianto renale sono risultati 4 negativi e 6 positivi. Alta positività al T
spotTb in due pazienti con patologia autoimmune testati prima della somministrazione di terapia
immunosoppressiva. In 4 dei soggetti di età pediatrica ed in uno dei pazienti con HIV/Aids il TspotTB ha dato esito sicuramente negativo, in accordo con l’evidenza di controllo interno con
fitoemoagglutinina positivo evidenziante la normale produzione di interferon da parte delle cellule
linfocitarie.
Conclusioni
In questo studio preliminare, il T-SPOT.TB ha dimostrato sensibilità e specificità elevate. Sia pur
con i limiti legati alla modesta numerosità dei casi, ha fornito risultati inequivocabilmente negativi
anche in soggetti che presentavano anamnesi positiva per pregressa vaccinazione con BCG. Questo
test, infine, essendo dotato di un controllo interno che può evidenziare la produzione di IFN-γ da
parte dei linfociti del soggetto testato, sottoposti a stimolo aspecifico con fitoemoagglutinina,
fornisce, a differenza dell’intradermoreazione secondo Mantoux, un risultato altamente attendibile
anche in bambini e immunodepressi.
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ELEVATA PREVALENZA DELLA COLONIZZAZIONE DI ARCOBACTER SPP. IN
SOGGETTI ASINTOMATICI CON DIABETE DI TIPO 2.
Fera M.T.1, Russo G.T.2, Orlando A.2, Perdichizzi G.2, La Camera E.3
Dipartimento di Patologia e Microbiologia Sperimentale1, Dipartimento di Medicina Interna2,
Facoltà di Farmacia3, Università di Messina.
Recenti ricerche hanno confermato il coinvolgimento di alcune specie del genere Arcobacter nelle
infezioni umane, soprattutto enteriche ed occasionalmente setticemiche. Dal punto di vista
epidemiologico è stato dimostrato che l’acqua, il cibo e la trasmissione interumana giocano un
importante ruolo nella trasmissione delle infezioni da Arcobacter.
Lo scopo del nostro studio è stato quello di indagare la prevalenza della colonizzazione di
Arcobacter spp. su campioni di feci di pazienti ambulatoriali, provenienti tutti dall’area dello Stretto
di Messina in cui è stata dimostrata l’esistenza di un serbatoio ambientale di questi microrganismi.
Sono stati reclutati 99 soggetti senza evidenza di sintomi e/o patologie gastrointestinali (38 con e 61
senza diabete di tipo 2). Di tutti i pazienti sono stati raccolti campioni di feci per la ricerca colturale
e molecolare di Arcobacter spp. La ricerca colturale è stata eseguita inoculando i campioni
opportunamente trattati in terreni selettivi per la crescita di Arcobacter spp. La tipizzazione
fenotipica delle colonie presuntive è stata confermata dalla PCR con l’utilizzazione di primers
specifici per l’identificazione di A. butzleri, A. cryaerophilus e A. skirrowii.
L’indagine molecolare è stata condotta mediante PCR sul DNA estratto dai campioni di feci, con i
primers specifici. Tutti i prodotti di PCR risultati positivi sono stati poi confermati mediante
sequenziamento.
Complessivamente è stata riscontrata nei soggetti asintomatici un’alta prevalenza di colonizzazione
di Arcobacter spp. (46.5%). La specie più frequentemente riscontrata era A. buzleri. In tutti i
campioni esaminati la ricerca di A. skirrowii è risultata negativa. In particolare, l’esame colturale è
risultato positivo in 3 soggetti (3%). Due colture erano positive per A. butzleri e A. cryaerophilus
rispettivamente e la terza era positiva per entrambe le specie.
La ricerca molecolare è risultata positiva in 46 soggetti su 99 (46.5%). In particolare la positività
riguardava 30 soggetti (79%) con diabete di tipo 2 e 15 soggetti (24.6%) senza diabete di tipo 2.
I nostri dati indicano che l’elevato riscontro di Arcobacter spp. nelle acque dello Stretto di Messina
si traduce in un’elevata prevalenza di colonizzazione in soggetti asintomatici. I soggetti con diabete
di tipo 2, soprattutto quelli più anziani sono esposti ad un rischio maggiore di infezione da parte di
Arcobacter spp.
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PRESENZA DI STAFILOCOCCHI METICILLINO-RESISTENTI IN CAMPIONI
ISOLATI DAL CANE
M. Ferretti, E. Colombo, B. Lucchini, P.A. Martino
Dipartimento di Patologia Animale, Igiene e Sanità Pubblica Veterinaria, Sezione di Microbiologia
e Immunologia Veterinaria, Facoltà di Medicina Veterinaria, Università degli Studi di Milano
La meticillino-resistenza riveste una notevole importanza in medicina umana, mentre è un problema
ancora emergente in medicina veterinaria. Lo scopo di questo lavoro è la valutazione della
diffusione dei ceppi di stafilococchi meticillino-resistenti (MR) nel cane, con un confronto tra i dati
ottenuti e quelli della letteratura. I campioni da noi raccolti provenivano per la maggior parte da
tamponi cutanei, auricolari e campioni di urine, che rappresentano la tipologia di prelievo più
sottoposta ad indagine microbiologica. Nell’ambito del presente lavoro, concordemente a quanto
indicato anche dalla letteratura, il microrganismo più isolato è stato S. intermedius (84,78%) rispetto
a S. aureus (15,22%) che rimane la specie tipicamente presente nell’uomo. S. intermedius è anche la
specie in cui si è osservata una percentuale maggiore di ceppi MR (8/39 ceppi pari al 20,51%).
Questo risultato concorda con quanto riportato in letteratura sulla comparsa di tali ceppi nel cane e
questa situazione sembra essersi mantenuta pressoché invariata rispetto a quanto da noi ottenuto in
passato. Inoltre, in accordo con la letteratura, tutti i ceppi di S. intermedius MR da noi isolati in
questo studio hanno mostrato resistenza anche ad altri principi attivi (amoxicillina+acido
clavulanico, cefalexina, enrofloxacina, sulfamidico+trimethoprim). Non ci è stato possibile
verificare se i ceppi isolati dai cani fossero presenti anche sui loro proprietari; nella letteratura più
recente, infatti, sono riportati studi che dimostrano la trasmissibilità tra cane e uomo degli
stafilococchi MR attraverso il trasferimento orizzontale del gene mecA, responsabile della
meticillino-resistenza. Si tratta di un dato di grande interesse nell’ambito delle zoonosi, in quanto
sottolinea la potenziale funzione del cane di reservoir per S. aureus e S. intermedius in ambito
domestico e ospedaliero (pet-therapy). D’altro canto lo staff delle cliniche veterinarie è
identificabile come una prima possibile fonte di infezione da stafilococchi per il cane e altri animali
domestici. E’ pertanto necessario continuare l’attività di monitoraggio sui ceppi MR, in accordo con
le più recenti direttive UE sulla sorveglianza delle resistenze agli antibiotici (Direttiva 2003/99/EC
e seguenti), per poter valutare un eventuale trend in ascesa, identificare le possibilità di controllo
della loro diffusione e il loro reale impatto zoonosico.
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SEDIMENTI MARINI COME RISERVE AMBIENTALI DI VIBRIONI PATOGENI PER
L’UOMO NEL MAR MEDITERRANEO
E. Pezzati1, M.Stauder2, M. Moreno4, M. Fabiano4, L.Pane 3, M.M. Lleò1 ,C. Pruzzo3 , L. Vezzulli3
e “VibrioSea Consortium”.
1
Dipartimento di Patologia, Sezione di Microbiologia, Università di Verona; 2Istituto di
Microbiologia e Scienze Biomediche, Università Politecnica delle Marche, Ancona; 3DIBIO e
4
DIPTERIS, Università di Genova.
I vibrioni sono batteri indigeni delle acque e comprendono numerose specie patogene per l’uomo,
come Vibrio cholerae, Vibrio vulnificus e Vibrio parahaemolyticus. L’esistenza di riserve
ambientali nelle quali questi batteri sopravvivono e si sviluppano al di fuori dell’ospite (e.g.,
plancton, larve e uova di insetti) rende difficile il loro controllo e l’attuazione di misure adeguate
per impedirne la trasmissione all’uomo. E’stato condotto uno studio in situ di 16 mesi per studiare
la presenza di vibrioni patogeni e non in sedimenti costali del Mar Mediterraneo, e analizzare i
parametri ambientali che ne regolano maggiormente la persistenza nell’ambiente bentonico. E’
stata inoltre esaminata l’associazione tra vibrioni e organismi della meiofauna che rappresentano la
componente più ampia dell’ecosistema bentonico. La quantificazione dei vibrioni coltivabili e totali
effettuata mediante MPN-PCR e Real Time PCR, rispettivamente, ha messo in evidenza la
presenza di vibrioni in concentrazioni maggiori nel sedimento rispetto alla colonna d’acqua. Nel
sedimento, sono state anche ritrovate le specie V. cholerae, V. vulnificus e V. parahaemolyticus.
Utilizzando un’analisi di regressione multipla, è stato osservato che nell’ambiente pelagico, il 60%
della varianza totale dei vibrioni coltivabili è spiegata dalla temperatura superficiale dell’acqua
(40%), dalla salinità (13%) e dalla concentrazione della sostanza organica (7%); nell’ambiente
bentonico, la temperatura dell’acqua è l’unico fattore che sembra avere un ruolo significativo. Non
è stata trovata alcuna correlazione fra la concentrazione di Vibrio spp. coltivabili e copepodi
arpacticoidi nel sedimento, mentre è stata evidenziata una correlazione negativa tra Vibrio spp. e
nematodi, organismi che rappresentano il 90% della meiofauna totale. L’analisi tassonomica ha
mostrato che quasi il 50% della comunità di nematodi è composta da individui che si nutrono
selettivamente di batteri, caratteristica che potrebbe avere un ruolo nell’influenzare la presenza di
vibrioni nel sedimento. In conclusione, i nostri dati indicano che il sedimento rappresenta una
riserva di Vibrio spp. e di vibrioni patogeni la cui presenza in questo compartimento è influenzata
da fattori differenti da quelli dell’ambiente pelagico.
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RUOLO DEL LABORATORIO DI MICROBIOLOGIA
NELLA SORVEGLIANZA DELLE INFEZIONI OSPEDALIERE
ISOLAMENTO DI "BATTERI SENTINELLA" NEGLI ANNI 2006-2009
Amodeo A,Caccamo F, Fichera E, Grassi P.,Grasso E.,Guardo G. Mastrojeni S., Patamia I,
Scriffignano V, Sciacca A., Nicoletti G.
Laboratorio Analisi Az. Policlinico Università Catania
La sorveglianza delle infezioni nosocomiali è riconosciuta, da parte di tutti gli operatori come
una componente fondamentale dei programmi di controllo ospedalieri. Si discute però sulle
modalità di questo controllo, gli strumenti da utilizzare e gli eventi da monitorare. Il Laboratorio è
una fonte sicura ed economica per tale sorveglianza che prevede la segnalazione dei germi
“sentinella” al fine di orientare la pratica clinica e assistenziale verso idonei comportamenti .
Materiali e Metodi
I dati che vengono riportati in questo studio si riferiscono al periodo di tempo che va dal
01/01/2006 al 01/07/2009. In tale periodo di tempo, è stata valutata la frequenza di isolamento dei
microrganismi, il loro comportamento verso gli antibiotici di uso comune e l’andamento nel tempo
dei valori della MIC per i microrganismi più frequentemente isolati appartenenti alla categoria dei
germi “sentinella”.I batteri sentinella considerati sono: A. baumannii, P. aeruginosa multiresistente,
Stafilococchi meticillino resistenti, Enterococchi vancomicino resistenti , Gram negativi con EBSL.
In particolare abbiamo focalizzato la nostra attenzione sugli isolati provenienti dai reparti con
pazienti a rischio maggiore di contrarre un’infezione: rianimazione, terapia intensiva neonatale,
chirurgia, trapianti, ematologia. I materiali biologici indagati sono rappresentati da: urine, feci,
broncoaspirati, espettorati, cateteri venosi, emocolture, materiale ferita, liquor.
Risultati Sono stati segnalati P. aeruginosa quando è risultato resistente ad almeno 3 classi di
antibiotici ed A. baumanni sensibile solamente a colistina e tigiciclina. Enterobatteri ESBL positivi
sono stati isolati soprattutto nei pazienti trapiantati ospedalizzati e ambulatoriali. Si sono riscontrati
pochi casi di Enterococchi vancomicino resistenti e nessun isolamento di S. aureus resistente alla
meticillina
Gli isolati ripetuti dallo stesso paziente sono stati conteggiati una sola volta al fine di non avere una
stima distorta da quella vera, perché dipendenti dal numero di controlli ripetuti fatti sullo stesso
paziente o dal numero di colture di sorveglianza effettuate in reparto.
Conclusioni I batteri sentinella sono stati riscontrati sia nei reparti con pazienti a rischio ( terapia
intensiva trapianti, ematologia, neonatologia) sia nei reparti di day hospital e ambulatoriali
esterni(trapianti). Questo dato evidenzia come la farmaco resistenza non è solo un problema di
pertinenza ospedaliera ma è diffuso anche nei pazienti ambulatoriali. Nei reparti ospedalieri si
evidenzia solo la punta di un iceberg si ha cioè un numero di pazienti relativamente piccolo con una
infezione da batteri resistenti e in concomitanza un vasto numero di pazienti asintomatici ma
colonizzati da patogeni resistenti.
Il supporto informatico, con la possibilità di disporre dei dati in tempo reale, viene oggi in aiuto
al laboratorio di microbiologia. Si ha infatti la possibilità di avere dati aggiornati sulle resistenze
batteriche, sui patogeni nosocomiali resistenti, sulla prevalenza di un patogeno opportunista in un
reparto. Di conseguenza è più facile la predisposizione di piani di controllo e sorveglianza delle
infezioni.
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SIEROLOGIA DELLA SIFILIDE:
SIEROPREVALENZA IN UNA POPOLAZIONE SELEZIONATA E CONSIDERAZIONI
METODOLOGICHE SUL TEST EUROLINEWB
Amodeo A,Caccamo F, Fichera E, Grassi P.,Grasso E.,Guardo G. Mastrojeni S., Patamia I, Scriffignano
V, Sciacca A., Nicoletti G.
Laboratorio Analisi Az. Policlinico Università Catania
La diagnosi della sifilide primaria si basa su dati clinici, ma nelle forme secondarie tardive e ancor più nelle
forme latenti l’impegno dei test sierologici è fondamentale. L’impiego di test basati sulla ricerca nel paziente di
anticorpi che riconoscono sia antigeni treponemici che reaginici aumenta le possibilità diagnostiche.
Materiali e metodi Presso il nostro laboratorio sono stati analizzati 224 sieri e 2 liquor (122 Fe 104 M). N°155
provenienti da soggetti a basso rischio per infezione luetica tra cui donne in gravidanza, pazienti sottoposti o
candidati a trapianti d’organo, pazienti esterni o ospedalizzati sottoposti ad analisi sierologiche di routine e n°71
da pazienti con sifilide accertata tra cui 4 donne in gravidanza in trattamento antibiotico, pazienti con malattia
sospetta, HIV positivi e afferenti a reparti a rischio .
Tutti i sieri sono stati testati con test ELISA Anti-Treponema pallidum Screen (IgG/IgM) e in parallelo con
test di agglutinazione VDRL e TPHA. Su tutti i sieri positivi è stato testato Euroline-WB EUROIMMUN e la
lettura effettuata con il programma EuroLineScan.
Valutazione di una strip con EuroLineScan
Risultati con il test ELISA anti-Treponema pallidum Screen IgG/ IgM 142 sieri sono risultati negativi, 84
sieri positivi (37
%) così distribuiti: 34(40%) con un valore superiore a 200 RU/ml, 36(43%) con un
valore > 22 RU/ml e 14(17%) con un valore borderline compreso tra >16 a <22 RU/ml
Nella tab. sono confrontati i risultati riscontrati con i test VDRL, TPHA e Anti-Treponema pallidum
EUROLINE-WB.
ELISA VDRL TPHA EUROLINE-WB
84+
53+
57+
74+ 25 cardiolipina +
312710142142142L’esecuzione del Blot IgG ha evidenziato:10 sieri negativi, 6 con un valore borderline con una sola banda
degli antigeni specifici (p15, p45, p47 o p17), mentre 68, tra cui i 2 liquor (neurolue), sono risultati
sicuramente positivi presentando più di una banda anticorpale agli antigeni treponemici. Non sono state
riscontrate positività nette nelle bande proteiche IgM, e solamente 4 positività per Cardiolipina IgM indice
che nessuno dei pazienti presentava in atto, al momento dello screening, una prima infezione. Cardiolipina
IgG è stata riscontrata con una positività elevata in 25 sieri.
Commenti Il test immunoenzimatico ha dato delle informazioni utili a livello epidemiologico e clinico
infatti è stato in grado di identificare sia le infezioni luetiche recenti che le forme latenti e le pregresse
infezioni trattate e superate. 10 sieri positivi al test di screening sono falsi positivi non presentando questi
nessuna tra le bande proteiche dell’antigene treponemico. L’approfondimento con un test di conferma con
antigeni proteici e cardiolipina individua le false reattività e le possibili interferenze in una popolazione ma
soprattutto indica la reattività specifica a un’infezione pregressa e una migliore caratterizzazione nelle varie
fasi della malattia. Nel nostro studio nelle forme latenti si hanno le maggiori discrepanze tra i vari test
effettuati. La positività ai test VDRL e RPR indica una diagnosi di sifilide primaria o recente. La positività
degli anticorpi anti-cardiolipina nel test di conferma da noi usato ha il vantaggio, rispetto ai metodi
tradizionali, di una interpretazione non soggettiva ma elaborata con il programma Eurolinescan.
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37° Congresso della Società Italiana di Microbiologia SIM
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VALUTAZIONE COMPARATIVA DI METODI PER LA DIAGNOSI DELLA
SIFILIDE
Dott.ssa Daniela Zanella, Direttore struttura complessa Ospedale di Susa - Giaveno - Avigliana
Dott.ssa Laura Becchio, Dirigente biologo
Michela Didero, tirocinante del corso di laurea in Tecniche di laboratorio biomedico
La sifilide è una malattia a trasmissione sessuale il cui agente eziologico è un batterio appartenente
all'ordine delle Spirochaetales, il Treponema Pallidum. La diagnosi di laboratorio viene effettuata
attraverso test diretti, che mettono in evidenza l’agente eziologico, e test indiretti, cioè con l'utilizzo
di reazioni sierologiche capaci di evidenziarne gli anticorpi.
Lo scopo del nostro lavoro è stato la valutazione comparativa di due metodi sierologici utilizzati
nella routine con un metodo automatico in chemiluminescenza.
Sono stati valutati 130 sieri giunti in laboratorio durante lo svolgimento degli esami di routine per i
quali era richiesta un'indagine per la sifilide. Su tutti i campioni sono stati effettuati il test RPR
(Rapid Plasma Reagin), che è una variazione della tecnica standard VDRL al quale vengono
aggiunte particelle di carbone che favoriscono la lettura dei dati e il test TPHA (Treponema
Pallidum Haemoagglutination) che consiste nella agglutinazione di emazie rivestite di antigeni
specifici per il Treponema pallidum. Successivamente i campioni sono stati processati con il test
Liaison Treponema Screen (Diasorin) che utilizza la tecnologia della chemiluminescenza (CLIA) in
un saggio immunologico per la determinazione qualitativa di anticorpi totali specifici diretti contro
il Treponema pallidum.
La valutazione comparativa dei campioni presi in esame è risultata concordante per 129 sieri mentre
per 1 siero si è ottenuta una positività con la metodica Liaison rispetto ad una negatività con le
metodiche RPR e TPHA.
Si è quindi dimostrato che il test Liaison Treponema Screen, rispetto alle metodiche tradizionali
(RPR e TPHA), è un metodo molto sensibile e specifico per la diagnosi di laboratorio della sifilide.
Il test Liaison, rilevando gli anticorpi anti-Treponema pallidum che possono persistere per sempre,
può infatti fornire risultati positivi che risultano essere negativi con test come RPR. Questa
metodica, inoltre, è completamente automatizzabile e quindi può offrire dei vantaggi operativi e di
sicurezza.
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CARATTERIZZAZIONE DI STIPITI DI STAPHYLOCOCCUS AUREUS METICILLINORESISTENTI CON SCCmec DI TIPO IVa ISOLATI IN OSPEDALI PALERMITANI
*
Bonura C.,**Mammina C.,**Plano M.R.A.,*Calà C.,*Amato T., *Distefano S., *Virruso R., *Vella
A., ***Di Carlo P.,*Giammanco A.
Dipartimento di Scienze per la Promozione della Salute “G.D’Alessandro”, *Sezione di
Microbiologia, **Sezione di Igiene, ***Sezione di Malattie Infettive, Università degli Studi di
Palermo
Il ruolo degli stipiti di Staphylococcus aureus meticillino-resistente (MRSA) come causa di
infezioni nosocomiali di origine sia endogena che esogena è stato confermato anche da indagini
condotte in diversi ospedali italiani.
Nella maggioranza dei casi la resistenza alla meticillina è dovuta alla produzione di una Penicillin
Binding Protein modificata, codificata da un gene cromosomale, mecA, contenuto all’interno di un
elemento genetico mobile denominato SCCmec (Staphylococcal Chromosome Cassette mec). Tale
tipo di resistenza si esprime sia nei ceppi di origine nosocomiale (HA-MRSA) che in quelli di
origine comunitaria (CA-MRSA). I ceppi HA-MRSA, tuttavia, sono più resistenti agli antibiotici e
solitamente contengono una SCCmec di tipo I, II, o III, mentre quelli CA-MRSA che sembrano
presentare una SCCmec di tipo IV o V, sono caratterizzati da più bassi livelli di resistenza e sono
frequenti produttori di tossina di Panton-Valentine. Proprio per la capacità di produrre tale tossina,
il sempre più frequente riscontro di isolati di CA-MRSA da strutture ospedaliere desta
preoccupazione per il loro grado di virulenza potenzialmente più elevato, oltre che per la possibilità
che essi possano proprio in ambiente ospedaliero acquisire resistenze e, per effetto della pressione
selettiva degli antibiotici, andare incontro ad ulteriore diffusione.
Nel corso di un’indagine finalizzata alla valutazione della circolazione nella nostra area geografica
di stipiti di MRSA, isolati da campioni clinici provenienti da pazienti ricoverati in differenti reparti
dei più importanti nosocomi palermitani, abbiamo tipizzato 94 ceppi caratterizzandoli da un punto
di vista sia genotipico che fenotipico, nel primo caso ricorrendo all’uso di tecniche biomolecolari
(SCCmec typing, PFGE, MLVA), nell’altro mediante la valutazione dei pattern di resistenza
farmacologica.
Diciassette stipiti che presentavano una SCCmec di tipo IVa, e, quindi, correlabili ad una possibile
origine comunitaria, sono stati ulteriormente tipizzati mediante multi locus sequence typing
(MLST) allo scopo di approfondirne le relazioni genetiche ed epidemiologiche.
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CARATTERIZZAZIONE MOLECOLARE DI CEPPI DI STREPTOCOCCUS PYOGENES
ISOLATI DA PAZIENTI CON FARINGOTONSILLITE E DA PORTATORI
Blandino G. 1, Musumeci R.2, Puglisi S. 1, Fazio D. 1, Speciale A. 1
1
Dipartimento di Scienze Microbiologiche e Scienze Ginecologiche – Università di Catania.
2
Dipartimento di Medicina Clinica e Prevenzione – Università di Milano-Bicocca, Monza.
S. pyogenes presenta diverse proteine di superficie in grado di legarsi alla fibronectina delle cellule
ospiti, favorendo in alcuni casi l’internalizzazione e, quindi, l’instaurarsi dello stato di portatore.
Scopo di questo studio è stato quello di determinare la presenza del gene sof (serum opacity factor)
ed il tipo di gene emm presente in 58 ceppi di S. pyogenes isolati da portatori (29) e da pazienti con
faringotonsillite (29). Questi ceppi erano stati precedentemente studiati per valutare la presenza
delle proteine F1 (gene prtF1) e F2 (gene prtF2), ed il fenotipo di resistenza all’eritromicina.
Il gene sof è stato evidenziato ed amplificato mediante PCR; i frammenti amplificati sono stati
separati su gel d’agarosio all’1% mediante corsa elettroforetica, e visualizzati secondo tecniche
standardizzate. L’“emm-typing” è stato eseguito preparando lisati dei ceppi, amplificando il gene
emm mediante PCR e sequenziando i frammenti ottenuti.
Il gene sof è stato individuato più frequentemente nei ceppi di S. pyogenes isolati da
faringotonsillite (51,7% vs. 41,3%); inoltre, in questo gruppo i geni codificanti per le proteine F1,
F2 e SOF sono stati riscontrati contemporaneamente con una frequenza più alta che non nel gruppo
dei portatori (31,0% vs. 17,2%). In quest’ultimo gruppo sono stati riscontrati, invece, con maggiore
frequenza ceppi contenenti i geni prtF1 e prtF2, ma non il gene sof (44,8% vs. 27,5%). Nei ceppi
isolati da faringotonsillite i più frequenti tipi emm sono stati: emm1 (31%), emm89 (24,1%), emm6
(10,3%) ed emm28 (10,3%). Nei ceppi isolati da portatori i più frequenti tipi emm sono stati: emm12
(51,7%) ed emm94 (10,3%). Paragonando i due gruppi in esame, il tipo emm28 è stato trovato
soltanto nei ceppi isolati da faringotonsilliti, mentre emm77 ed emm87 soltanto nei ceppi isolati da
portatori. La correlazione con i fenotipi di resistenza ha evidenziato che l’88,8% dei ceppi emm89
ed il 93,7% dei ceppi emm12 era resistente all’eritromicina.
I risultati di questo studio suggeriscono una maggiore virulenza dei ceppi di S. pyogenes
appartenenti al tipo emm 89, isolati soprattutto da faringotonsilliti e positivi per i geni prtF1, prtF2
e SOF, ed un probabile ruolo dei ceppi di tipo emm 12 nell’instaurarsi dello stato di portatore.
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Pagina 102 di 288
ALLESTIMENTO DI UN METODO DI IDENTIFICAZIONE RAPIDA E SAGGIO DI
SUSCETTIBILITÀ
ANTIMICROBICA
DI
COCCHI
GRAM-POSITIVI
IN
EMOCOLTURE PER INOCULO DIRETTO NEL SISTEMA
AUTOMATIZZATO PHOENIX
Antonella Lupetti,1* Simona Barnini,1 Barbara Castagna,1 Peter H. Nibbering,2 and Mario Campa1
1
Dipartimento di Patologia Sperimentale, Biotecnologie Mediche, Infettivologia ed Epidemiologia,
Università di Pisa, Pisa
2
Center of Infectious Diseases, Dept. of Infectious Diseases, Leiden University Medical Center,
Leiden, Olanda.
Al fine di consentire al clinico di selezionare precocemente la terapia antimicrobica più appropriata
per l’agente che sostiene batteriemia/setticemia è stato condotto uno studio per allestire un metodo
rapido per l’identificazione microbica e il saggio di suscettibilità antimicrobica dell’agente
patogeno, utilizzando direttamente il terreno di una emocoltura positivizzata al Bactec 9240. Una
aliquota del terreno di tale flacone di emocoltura che sia risultata, al microscopio ottico,
monomicrobica per cocchi Gram positivi, è stata trattata con saponina. Dopo 15 minuti di
incubazione, i batteri sono stati raccolti e utilizzati per l’allestimento degli appropriati pannelli di
identificazione e saggio di suscettibilità antimicrobica con il sistema automatizzato Phoenix. Con
questo metodo rapido, sono state concordemente o correttamente (dopo test di conferma)
identificate 56 (82%) delle 68 colture monomicrobiche, usando come controllo i risultati ottenuti
con il metodo correntemente utilizzato in laboratorio, 2 (3%) degli isolati non è stato identificato e
10 (15%) sono stati erroneamente identificati. Le categorie cliniche (suscettibile, intermedio,
resistente) o i valori di MIC tra il saggio di suscettibilità antimicrobica eseguito con il metodo
rapido e il metodo corrente sono risultati perfettamente corrispondenti per 32 (55%) dei 58 isolati. Il
test di conferma, eseguito tramite E-test, ha indicato che il profilo di suscettibilità antimicrobico era
corretto per 13 delle restanti 26 emocolture. Pertanto, 45 (77%) delle 58 emocolture hanno mostrato
un profilo di suscettibilità antimicrobico concorde/corretto per tutti gli agenti antimicrobici saggiati.
L’indice di errore complessivo è risultato essere 1.9%. Essendo i risultati ottenuti con il metodo
rapido disponibili con 12-24 ore di anticipo rispetto al metodo correntemente utilizzato, questo
metodo rapido può essere rilevante per il trattamento dei pazienti affetti da batteriemia/setticemia.
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Pagina 103 di 288
CARATTERIZZAZIONE DI ENTEROBATTERI VIM PRODUTTORI ISOLATI IN
QUATTRO OSPEDALI ITALIANI
Nucleo E.1, Migliavacca R.1, Spalla M.1, Fugazza G.1, Daturi R.2, Navarra A.3, Labonia M. 4,
Vismara C.5, Micheletti P.6, Pagani L.1.
1
Dip. S.M.E.C. Sez. di Microbiologia, Università di Pavia, 2Servizio Analisi Microbiologiche IRCCS
S. Matteo, Pavia; 3Lab. di Microbiologia, IRCCS S. Maugeri, Pavia; 4IRCCS Casa Sollievo della
Sofferenza, San Giovanni Rotondo (FG); 5Lab. Microbiologia, Fondazione IRCCS Istituto Tumori;
6
Dip. Medicina Sperimentale, Università di Pavia.
La resistenza ai carbapenemi negli enterobatteri può essere dovuta alla produzione di metallo-βlattamasi (MBL), che conferiscono MIC tipicamente basse o variabili.
Obiettivo del lavoro è stato caratterizzare isolati clinici di enterobatteri con ridotta sensibilità ai
carbapenemi.
Metodi. Nel periodo 2007-2009, 32 isolati di Klebsiella pneumoniae ed 1 di Enterobacter cloacae
con MIC dell’imipenem (IPM) > 1 mg/L mediante Vitek 2, sono stati raccolti da 4 ospedali italiani.
La produzione di MBL e di β-lattamasi a spettro esteso (ESBL) è stata valutata mediante test di
sinergia IPM-EDTA e del doppio disco. Le MIC dell’IPM sono state determinate con E-test e
macrodiluizione in brodo (CLSI 2009). Le β-lattamasi, caratterizzate mediante IEF, sono state
identificate mediante PCR e sequenziamento. La trasferibilità dei geni di resistenza è stata stabilita
con coniugazione e gli isolati MBL positivi sono stati sottoposti a PFGE.
Risultati. Il test di sinergia IPM-EDTA è risultato positivo per 16/32 isolati di K. pneumoniae e per
il ceppo di E. cloacae, con MIC dell’IPM comprese fra 2-128 mg/L. PCR e sequenziamento hanno
rilevato il gene blaVIM-1 nei 17 isolati IPM-EDTA positivi ed il gene blaCTX-M-1 in 8/16 K.
pneumoniae VIM positive. VIM-1 produttori erano presenti in tutti gli ospedali. In K. pneumoniae
il gene blaVIM-1 era presente su un plasmide coniugativo, in 8/16 casi associato al determinante
blaCTX-M-1. Sono stati individuati due cloni di K. pneumoniae, entrambi responsabili di outbreak. Gli
isolati di K. pneumoniae provenienti da differenti reparti dell’ospedale S. Matteo e dalla clinica S.
Maugeri di Pavia, clonalmente correlati, albergavano differenti plasmidi coniugativi (80-90 Kb); un
plasmide delle dimensioni di 85 Kb era caratteristico del clone presente dell’ospedale di S.
Giovanni Rotondo.
Conclusioni. Abbiamo rilevato l’emergere di enterobatteri produttori degli enzimi trasferibili VIM1 e CTX-M-1. Al fine di individuare tali isolati e contrastarne la diffusione in strutture per acuti e di
lungodegenza, è auspicabile l’utilizzo routinario di test fenotipici specifici o metodi di screening
molecolari.
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IDENTIFICAZIONE DI MICOBATTERI DA CAMPIONI DI LATTE
Simula G*, Cubeddu M**, Ruggeri M**, Molicotti P**, Mura A***, Bua A**, Sechi LA**,
Mantero G*, Zanetti S**.
* Isogem S.R.L. Porto Conte Ricerche; **Dipartimento Scienze Biomediche Università di Sassari;
***Azienda Sanitaria Locale N.2 di Olbia
I microrganismi patogeni che possono essere trasmessi attraverso gli alimenti costituiscono un serio
problema di sanità pubblica. Tra questi agenti patogeni ci sono Mycobacterium bovis e
Mycobacterium avium spp. paratuberculosis.
In diversi lavori è stato dimostrato che M. bovis, l’agente eziologico della tubercolosi bovina, e M.
paratuberculosis, agente eziologico della malattia di Johne’s nei ruminanti, possono essere presenti
nel latte di animali infetti. Di conseguenza il latte e i prodotti che derivano da esso, potrebbero
costituire una via di trasmissione di tali microrganismi dall’animale all’uomo.
In questo studio abbiamo valutato la presenza di M. bovis, M. tuberculosis e M. paratuberculosis, in
37 campioni di latte prelevati da animali con sospetta infezione tubercolare, appartenenti ad
allevamenti del Nord Sardegna.
Da tutti i campioni è stato estratto il DNA ed eseguita la Nested PCR e la Real Time PCR
utilizzando come sequenze target la 500bp per M. bovis, la IS6110 per M. tuberculosis e la IS900
per M. paratuberculosis.
I risultati ottenuti con la Nested PCR hanno indicato una positività per M. bovis, una per M.
paratuberculosis, tutti i campioni sono risultati negativi per M. tuberculosis. La Real Time PCR è
risultata negativa per M. bovis e per M. tuberculosis mentre 10 campioni sono risultati positivi per
M. paratuberculosis.
I nostri dati hanno indicato una maggiore sensibilità della Real Time PCR nell’identificare M.
paratuberculosis, inoltre la presenza di micobatteri nel latte sottolinea l’importanza di un controllo
sanitario sugli animali sospetti e sui prodotti di loro derivazione.
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ANALISI DEI BATTERI PRESENTI IN SEDIMENTI MARINI RACCOLTI NEL MAR
LIGURE: MESSA A PUNTO DI SAGGI MOLECOLARI BASATI SULLA REAL-TIME
PCR
Vezzulli L.1, Pezzati E.2, Moreno M.3, Stauder M.4, Schito G.C.5, e Pruzzo C.1
DIBIO, Università di Genova1, Dip.Patologia, Università di Verona2, DIPTERIS Università di
Genova3, Ist. Microbiologia e Scienze Biomediche, Università Politecnica delle Marche, Ancona4, e
DISCMIT Sezione di Microbiologia, Università di Genova5
Il sedimento marino rappresenta un sito preferenziale di concentrazione e sopravvivenza di molti
batteri acquatici anche in forma latente non coltivabile. Allo scopo di valutarne correttamente la
presenza, è necessario utilizzare saggi molecolari (PCR e real time PCR) alternativi a quelli
colturali che potrebbero sottostimare la reale concentrazione batterica. Prima dell’applicazione di
tali saggi è però opportuno valutarne l’efficienza e il limite di rilevamento. Sono stati utilizzati
sedimenti marini raccolti nel Mar Ligure a circa 10 m di profondità, nel corso di diversi
campionamenti. Le reazioni di PCR sono state eseguite utilizzando due coppie di primer delle quali
una, universale, era diretta verso l’rRNA 16S batterico, l’altra, specie-specifica, verso il gene toxR
di Vibrio parahaemolyticus. Aliquote di sospensioni di cellule batteriche bersaglio, a
concentrazione nota, sono state inoculate nei vari campioni di sedimento. Come standard sono state
utilizzate colture batteriche diluite in acqua di mare o aggiunte a sedimenti calcinati (trattati a
450°C per 2h). L’estrazione del DNA è stata eseguita secondo tecniche standardizzate nel nostro
laboratorio. In generale, l’efficienza della “real-time” PCR ottenuta con i sedimenti marini si è
mostrata inferiore a quella ottenuta con le sospensioni batteriche in acqua di mare, ma superiore a
quella ottenuta con il sedimento calcinato; in entrambi i casi, le differenze erano attribuibili a
inibitori della reazione di amplificazione. I valori di efficienza più elevati sono stati ottenuti con i
primer specie-specifici. Come atteso, la sensibilità della “real- time” PCR è risultata fino a 10 volte
superiore a quella della reazione di PCR tradizionale. Questi risultati suggeriscono che per
quantificare le cellule microbiche in campioni di sedimento marino mediante “real-time” PCR, è
necessario misurare l'efficienza della reazione sia negli standard che nei campioni in esame ed,
eventualmente, applicare opportuni fattori di correzione ai risultati ottenuti nella quantificazione.
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SIERODIAGNOSI DI INFEZIONI A TRASMISSIONE VERTICALE MEDIANTE
MICROARRAY PROTEICO
Ardizzoni A., Baschieri M.C., Manca L., Cuoghi A., Cermelli C., Peppoloni S., Blasi E.
Dip. Scienze di Sanità Pubblica, Università di Modena e Reggio Emilia.
La diagnosi precoce e precisa, nella madre, delle infezioni a trasmissione verticale è di primaria
importanza, poiché i patogeni che ne sono responsabili possono provocare nel nascituro sindromi
congenite severe. Per questo motivo, recentemente nel nostro laboratorio è stato messo a punto un
test sierologico basato sui microarray proteici (Ardizzoni et al., Eur J Clin Microbiol Infect Dis,
2009) per la determinazione simultanea e quantitativa degli anticorpi sierici specifici (IgM e IgG)
contro patogeni (microbici e virali) responsabili di malattie a trasmissione verticale. Il microarray
consiste di 7 estratti antigenici (T. gondii, Rosolia, CMV, HSV1, HSV2, VZV, C. trachomatis),
curve di diluizione IgG e IgM umane, controlli positivi e negativi. Una volta allestito, all’array si
aggiunge il siero e successivamente un anticorpo secondario (anti-IgG o anti-IgM umane), marcato
in fluorescenza, per la determinazione quali-quantitativa degli immunocomplessi formatisi. Il nostro
studio ha comportato l’ottimizzazione delle condizioni di deposizione e del protocollo di
processazione e successivamente la validazione del test sul siero. I parametri analitici hanno fornito
i seguenti risultati: sensibilità analitica 400 fg (test IgG) e 40 fg (test IgM); specificità analitica
>98%; riproducibilità media dal 4,4% al 10%; ripetibilità media dal 7,9% al 18%; precisione media
tra differenti batches di vetrini dall’8% al 20,2%. I parametri clinici hanno fornito i seguenti valori
medi: sensibilità 78%; specificità >96%; valori predittivi >73%; efficienza >88%. Al momento
stiamo valutando l’applicabilità di questo sistema ad altre matrici biologiche; in particolare, stiamo
analizzando fluidi follicolari di pazienti sottoposte a fertilizzazione in vitro, il cui esito è correlato
negativamente con infezioni da patogeni a trasmissione verticale. In conclusione, consentendo
analisi multiparametriche nei confronti di tutti i patogeni inclusi nell’array con un solo prelievo,
riducendo tempi e costi, il microarray ha tutte le potenzialità per l’impiego nella diagnostica clinica
di routine in parallelo (e in futuro come possibile alternativa) agli ELISA, anche e particolarmente
nello screening di massa.
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STUDIO DELL’ESPRESSIONE DI GENI DI VIRULENZA IN CEPPI DI
LISTERIA MONOCYTOGENES DI DIVERSA ORIGINE
Valentina Alessandria, Kalliopi Rantsiou, Luca Cocolin
Di.Va.P.R.A - Settore di Microbiologia Agraria e Tecnologie Alimentari, Facoltà di Agraria,
Università di Torino
Listeria monocytogenes è un batterio ben conosciuto per la sua patogenicità verso l’uomo.
Microrganismo ubiquitario, isolato più comunemente in alimenti di origine animale, data la sua
capacità di sviluppo a temperature di refrigerazione, rappresenta un potenziale pericolo in seguito a
consumo di alimenti “ready to eat”. L’incidenza della malattia dipende da numerosi fattori
compresi la dose infettante e lo stato immunitario dell’ospite. E’ stata ampiamente dimostrata la
variabilità della virulenza a seconda dei ceppi in causa.
Il presente lavoro è incentrato sull’analisi di espressione di 4 geni codificanti fattori di virulenza e di
risposta agli stress (hly, sigB, plcA e iap) in 11 differenti ceppi di L. monocytogenes, tra cui 3 ceppi
di collezione (EGDe, NCTC, SCOTT A), 7 isolati da matrici alimentari (di cui 4 isolati da prodotti
a base di carne e 3 da prodotti lattiero caseari) e un ceppo isolato da umani (V7). In particolare si è
valutata l’espressione in vitro, coltivandoli in brodo di coltura BHI (Brain Heart Infusion) al fine di
individuare possibili differenze di espressione dei geni considerati. Per questo scopo è stata
utilizzata la tecnica della trascrittasi inversa e PCR quantitativa (qRT-PCR) con l’uso di primers
specifici per ciascun gene in analisi.
Differenze di espressione significative sono emerse per i geni sigB e plcA, dove il primo è risultato
espresso maggiormente nei ceppi 3 e 36 isolati da prodotti carnei mentre il secondo nel 5 e nel 70
isolati rispettivamente da prodotti carnei e da prodotti lattiero caseari. Il gene plcA é risultato inoltre
sotto-espresso nel ceppo V7 isolato da umani. Nel caso dei geni iap e hly non sono risultate
differenze significative di espressione.
Dai risultati ottenuti non è emersa alcuna associazione significativa tra i profili di espressione dei
geni studiati e l’origine di provenienza dei vari ceppi, tuttavia si è osservato un certo livello di
eterogeneità nella loro espressione genica.
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Pagina 108 di 288
PORINA P2 DI HAEMOPHILUS INFLUENZAE REGOLA L’ESPRESSIONE DI
MOLECOLE DI ADESIONE E DI CITOCHINE PROINFIAMMATORIE IN ASTROCITI
UMANI DI LINEA
Emiliana Finamore, Maria Rao, Aikaterini Kampanaraki, Paolo Bevilacqua, Eleonora Mignogna,
Novella Incoronato, Marilena Galdiero
Dipartimento di Medicina Sperimentale, Sez. di Microbiologia e Microbiologia Clinica, Facoltà di
Medicina e Chirurgia, Seconda Università degli Studi di Napoli
I batteri gram-negativi rappresentano una causa importante di infezioni del sistema nervoso
centrale (SNC) sia con manifestazioni patologiche acute che probabilmente croniche. In seguito a
batteriemie, i batteri possono aderire e successivamente attraversare la barriera ematoencefalica
penetrando nello spazio subaracnoideo, determinando processi infiammatori acuti. La reazione
infiammatoria risulta definita dall’interazione di numerosi fattori tra cui citochine, monochine,
molecole di adesione espresse da differenti cellule del SNC. Haemophilus influenzae è un coccobacillo gram negativo; nella maggior parte dei casi si limita alla colonizzazione asintomatica delle
alte vie respiratorie, a volte, però, le forme capsulari possono rendersi responsabili di infezioni
invasive quasi sempre sostenute da Haemophilus influenzae di tipo b (Hib). In più della metà dei
casi la malattia invasiva si manifesta con un quadro di meningite con caratteristiche cliniche e
prognostiche gravi ma gli eventi patofisiologici che generano tale malattia non sono stati ancora del
tutto chiariti. Gli astrociti rivestono un ruolo centrale nella risposta immunitaria del SNC agli
stimoli batterici poiché in grado di sintetizzare e secernere diverse molecole proinfiammatorie ed
immunoregolatrici. Abbiamo precedentemente dimostrato che in cellule di linea astrocitaria umana,
U-87 MG, il loop 7 della porina P2 di Haemophylus influenzae induce l’attivazione delle chinasi
ERK1/2 e p38. Pertanto, in questo lavoro, abbiamo ritenuto opportuno approfondire lo studio
riguardante i meccanismi coinvolti nella meningite e nelle complicanze da sepsi valutando la
produzione di citochine proinfiammatorie e l’espressione di molecole di adesione quali ICAM-1,
VCAM-1 ed E-selettina.
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MAPPA PROTEICA INDOTTA DALL’ATTIVAZIONE DA LOOP 7 DELLA PORINA P2
DI HAEMOPHILUS INFLUENZAE IN MONOCITI UMANI DI LINEA
Mariateresa Vitiello1, Angela Chambery2, Valeria Severino2, Stefania Galdiero3, Marco Cantisani3,
Augusto Parente2, Massimiliano Galdiero1
1
Dipartimento di Medicina Sperimentale, Sezione di Microbiologia e Microbiologia Clinica,
Seconda Università di Napoli
2
Dipartimento di Scienze della Vita, Seconda Università di Napoli
3
Dipartimento di Scienze Biologiche & CIRPEB, “Università di Napoli Federico II”
Sebbene sia ampiamente documentato che il lipopolisaccaride (LPS) rivesta un ruolo fondamentale
nella patologia associata alle infezioni mediate dai batteri Gram-negativi, numerosi lavori
dimostrano che anche altri componenti di superficie, tra cui le proteine della membrana esterna,
sono direttamente coinvolte nell’interazione con l’ospite. Negli ultimi anni abbiamo dimostrato che
una delle componenti più abbondanti della membrana esterna dell’Haemophilus influenzae di tipo b
(Hib), la porina P2, ed in particolare uno tra i suoi loop superficiali, il loop 7 attivano il pathway
delle Mitogen-Activated Protein Kinase ed inducono il rilascio di citochine coinvolte nel processo
infiammatorio. Per poter meglio delineare le basi molecolari di questi fenomeni, il presente lavoro
di ricerca è stato finalizzato alla comparazione, mediante tecniche di proteomica e spettrometria di
massa, dei profili di espressione proteica di monociti umani di linea, cellule U937, stimolati con la
porina P2, con il loop 7 o con l’LPS di Hib. Dopo aver messo a punto i parametri operativi per la
separazione, mediante 2D-PAGE, degli estratti proteici dei campioni in esame, è stata effettuata
un’analisi comparativa dei pattern bidimensionali ottenuti evidenziando la presenza di proteine
differenzialmente espresse sia a livello qualitativo che quantitativo. Queste proteine sono state
successivamente identificate tramite la spettrometria di massa MALDI-TOF mediante l’approccio
del “peptide mass fingerprint”. L’analisi comparativa del proteoma delle cellule U937, trattate con i
diversi stimoli, ha evidenziato che la maggior parte delle proteine differentemente espresse sono
direttamente o indirettamente implicate nelle risposte infiammatorie ed immunologiche
permettendo l’identificazione delle molecole coinvolte negli eventi fisiopatologici che
caratterizzano la meningite o le complicanze da sepsi.
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37° Congresso della Società Italiana di Microbiologia SIM
11-14 ottobre 2009
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ANALISI DELLA RISPOSTA CELLULARE INDOTTA DA PORINE ED LPS DI
SHIGELLA FLEXNERI IN CELLULE CACO-2
Grimaldi E., Perfetto B., Melito A., Donnarumma G.
Dipartimento Di Medicina Sperimentale Sez. Microbiologia e Microbiologia Clinica – Seconda
Università degli Studi di Napoli.
Nella membrana esterna dei batteri Gram negativi sono presenti LPS e proteine idrofobiche, le
porine, che, rilasciate durante la replicazione e la lisi batterica interagiscono con la membrana
plasmatica delle cellule dell’ospite. Porine purificate posseggono attività immunomodulatorie e
procoagulanti dose-dipendente e sono considerate determinanti di patogenicità. In cellule epiteliali
intestinali, l’attivazione del fattore trascrizionale NF-kB è mediata dal riconoscimento tra
componenti batterici (PAMPs) e alcuni recettori di membrana appartenenti alla famiglia dei Tolllike receptors (TLRs). Scopo del nostro lavoro è stata l’ analisi della risposta cellulare indotta da
porine ed LPS di Shigella flexneri. A questo fine abbiamo analizzato il pathway di traduzione del
segnale proinfiammatorio in cellule di adenocarcinoma di colon (Caco2) dopo stimolazione con
porine ed LPS di Shigella flexneri, l’espressione di alcune citochine (IL-8, TNF-alfa e IL-1beta), di
molecole di adesione (ICAM-1), di peptidi antimicrobici (HBD-2) e della forma inducibile
dell’ossido nitrico sintetasi (iNOS). I risultati ottenuti indicano che, nel nostro modello
sperimentale, l’attivazione di NFkB si verifica mediante due differenti pathways: attraverso
l’incremento di espressione del recettore TLR2 e MyD88 in seguito a stimolazione con porine, e
attraverso la formazione del complesso TLR4/MD2 e l’attivazione di MyD88 in seguito a
stimolazione con LPS. Abbiamo inoltre evidenziato una differente espressione del pattern
citochinico, di ICAM1 , di iNOS e delle HBD in risposta alla stimolazione con le porine rispetto a
quella indotta dal trattamento con LPS. Questi risultati suggeriscono che TLR2 e non TLR4 svolge
un ruolo centrale nella risposta immune indotta dalle porine e che TLR4, invece, in stretta
associazione con la molecola di secrezione MD2, abbia un chiaro coinvolgimento nella risposta
indotta da LPS. Sebbene i pathways di trasduzione a monte siano in parte differenti, porine ed LPS
sono entrambi necessari per la produzione ed il rilascio di mediatori infiammatori del colon durante
l’invasione di Shigella flexneri in cellule epiteliali intestinali.
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ESPRESSIONE DELLE ACQUAPORINE IN RELAZIONE ALLA PATOGENICITÀ
BATTERICA
Melito A.°, Perfetto B.°, Fusco A.°, Albano E.°, Braca A.*, Cartenì M.*, Tufano M.A°.
°Dipartimento Di Medicina Sperimentale Sez. Microbiologia e Microbiologia Clinica
*Dipartimento Di Medicina Sperimentale Sez. Biotecnologie
Seconda Università degli Studi di Napoli
Patogeni enterici come Shigella flexneri ed i ceppi enteropatogeni ed enteroemorragici di E.coli
(EPEC, EHEC) colonizzano le cellule gastrointestinali causando fenomeni diarroici talvolta gravi.
Le acquaporine sono glicoproteine transmembrana con un peso molecolare di 36 – 78 KDalton, il
cui nome riflette il ruolo di canali molecolari dell’acqua, presenti in ogni forma di vita, dai batteri
alle alghe, dalle piante all’uomo. Alcuni autori hanno studiato il loro nella disidratazione delle feci
durante l’ infezione da batteri enteroinvasivi in un modello murino. Ammontano a 12 le
acquaporine conosciute nei mammiferi (AQP 0-11), espresse in differenti linee cellulari mentre
l’acquaporina Z (AQPZ) e l’acquagliceroporina (GLPF) sono quelle note nei batteri. Le
informazioni sulle acquaporine batteriche derivano da studi condotti sul batterio E.coli, in cui è
stata individuata la prima acquaporina (AqpZ)
Nei batteri espletano un ruolo nella risposta osmoregolatrice sia a breve che a lungo termine in
seguito a cambiamenti ambientali come uno stress ipoosmotico e durante le varie fasi di crescita
cellulare. Il nostro lavoro si prefigge un duplice scopo: 1) valutare l’espressione delle acquaporine
in ceppi batterici enteroinvasivi (Shigella flexneri e E. coli enteroinvasivo) e non (E.coli spp)
correlandola alle diverse fasi di crescita. 2) valutare la modulazione dell’espressione delle
acquaporine in cellule intestinali infettate e non con i differenti ceppi batterici e/o con i surnatanti
delle brodocolture. IL modello sperimentale prevede l’ utilizzo di un ceppo di Shigella flexneri, un
ceppo di E. coli enteroinvasivo, transfettato con il plasmide di Shigella ed un ceppo di Escherichia
coli spp. coltivati in terreno liquido Lattosate Broth (LB), e cellule di carcinoma del colon Caco 2. I
risultati ottenuti mostrano un differente andamento dell’ espressione di AQPZ e GLPF in relazione
alle diverse fasi di crescita (latenza, logaritmica e stazionaria) nei differenti ceppi batterici. Inoltre
nelle cellule intestinali, delle acquaporine testate 2,3,4,5 e 8, risultano espresse e modulate in
risposta all’invasione dei monostrati con germi enteroinvasivi e/o non invasivi solo la AQP3 e
AQP8. Ulteriori esperimenti saranno necessari per aumentare i dati in nostro possesso che correlino
l’espressione delle acquaporine con la patogenicità di alcuni microrganismi enteroinvasivi.
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DISTRIBUTION AND RELEVANCE OF SECRETION SYSTEMS IN Pseudomonas
aeruginosa ISOLATED FROM ACUTE INFECTIONS
Giovanna Scalet$*, Dinesh D. Sriramulu* and Olivier Jousson*
*CIBIO, University of Trento, Via delle Regole 101, Mattarello (TN) 38060, Italy
$
Pathology Department-Microbiology section, University of Verona, Strada Le Grazie 8 37134
Verona-Italy
P. aeruginosa possesses an arsenal of virulence factors and displays a remarkable range of
virulence, from non-virulent to highly virulent broad spectrum strains. Protein secretion systems are
among virulence determinants that mediate interactions between bacteria and eukaryotic host cells,
and contribute to the severity of infections. There are 6 secretion systems known in gram negative
bacteria. Type I, II, III, IV, V and VI have been detected in P. aeruginosa. Whereas some secretion
systems of P. aeruginosa have been intensively studied in a small number of reference strains, there
is, with the exception of type III secretion system, a lack of data regarding their distribution and
relevance in clinical strains. This study focused on the analysis of the protein secretion systems in
clinical isolates of P. aeruginosa involved in acute infections. Our collection consists of 113 P.
aeruginosa strains isolated from 69 patients: 65% from intensive care unit, 29% from hematology
and 6% from other clinical departments. 55% of strains were isolated from severe infections (e.g
septicemia) while the remaining isolates originated from cases of suspected respiratory tract
colonization. Genotyping using rep-PCR allowed to identify 13 clusters in our collection, but 37
strains showed an unrelated unique rep-PCR profile. Strains that were not unambiguously identified
by rep-PCR, that showed an unrelated unique rep-PCR profile, as well as one strain of each repPCR type (from A to O) were subsequently characterized by PFGE. Rep-PCR results were
confirmed by PFGE, supporting the reliability of the method. Genotyping revealed the presence of a
clone (rep-PCR clone A) isolated both from Haematology and Intensive Care Unit demonstrating
that it has been cross-transmitted in the nosocomial environment. 70% of the clinical strains were
resistant to carbapenems, 60% to cephalosporins, 57% to aminoglycosides and 53% were
multiresistant strains. Though the bacterial isolates showed variable distribution of effector proteins
belonging to the type I-IV secretion systems, all isolates carried the genes that encode effector
proteins associated with the type V and VI secretion system.
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CARATTERIZZAZIONE E ANALISI DELL’ESPRESSIONE DELL’OPERONE GROESL
DI STENOTROPHOMONAS MALTOPHILIA
De Carolis E.1, Prosseda G.2, Florio A. R..1, Renzetti Lorenzetti S.1, Posteraro B.1, Fadda G.1,
Colonna B.2, Sanguinetti M.1
1
Istituto di Microbiologia, Università Cattolica del Sacro Cuore, Roma e 2Dipartimento di Biologia
Cellulare e dello Sviluppo, Università La Sapienza, Roma.
Per caratterizzare l’interazione ospite-patogeno e la virulenza di Stenotrophomonas maltophilia,
agente microbico emergente in particolare nei pazienti affetti da fibrosi cistica, sono stati comparati
i proteomi del ceppo di riferimento K279a coltivato a temperatura ambiente (26°C) e a quella
dell’ospite (37°C). Sebbene l’espressione di diverse proteine sia risultata aumentata in risposta alla
variazione di temperatura, ne sono state identificate tre aventi elevata omologia con le quelle
coinvolte nella risposta allo stress in E. coli, denominate GroEL, DegP e GrpE.
Una regione del cromosoma di S. maltophilia contenente l’operone groESL è stata clonata ed
utilizzata per trasformare due ceppi di E. coli con mutazioni nei geni groES e groEL che non
permettono la crescita del fago λ e la formazione di colonie normali alla temperatura di 42°C. Il test
di complementazione effettuato alle temperature di 26°C, 37°C e 42°C ha mostrato come i geni
groES/groEL di S. maltophilia siano in grado di complementare i mutanti groES e groEL di E. coli
consentendo la formazione di colonie normali a 42°C e la crescita del fago λ. L’analisi Northern
blot ha poi consentito di determinare che groES e groEL risultano co-trascritti in un singolo mRNA.
Mediante esperimenti di ‘primer extension’ effettuati in E. coli trasformato con l’operone groESL di
S. maltophilia e la sua regione promotrice, sono state individuate due sequenze omologhe alle
sequenze ‘consensus’ di E. coli riconosciute dai fattori σ32 e σ70. Si è osservata una più elevata
induzione del promotore σ32 alla temperatura di 42°C rispetto a quella di 30°C, è stato inoltre
valutato il livello dell’espressione dell’mRNA di groESL in cellule di S. maltophilia cresciute per
una notte a 26°C e poi sottoposte a shock termico a 37°C, 42°C e 50°C a diversi intervalli di tempo
(10, 30, 60 e 180 minuti). Il livello più alto di espressione di groESL veniva raggiunto entro 10
minuti dallo shock termico a 42°C.
Alla luce dei dati ottenuti e dell’importante ruolo svolto dalle proteine ‘heat-shock’nella
patogenicità microbica, sarà in futuro valutata l’immunogenicità della proteina GroESL di S.
maltophilia al fine di sviluppare un vaccino per prevenire le infezioni causate da tale patogeno.
Questo studio è stato finanziato in parte dalla Fondazione per la ricerca sulla fibrosi cistica (grant
FFC#7/2007)
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Pagina 114 di 288
ANALISI DI ESCHERICHIA COLI ISOLATI DA PAZIENTI AFFETTI DA MORBO DI
CROHN.
T. Raso, S. Crivellaro, M.G. Chirillo*, P. Pais,** E. Gaia,** D. Savoia
Dipartimento di Scienze Cliniche e Biologiche, Facoltà di Medicina e Chirurgia
S. Luigi Gonzaga, Università di Torino
* Laboratorio, Ospedale S. Luigi Gonzaga, Orbassano (TO)
** Divisione di Gastroenterologia, Ospedale S. Luigi Gonzaga, Orbassano (TO)
Il morbo di Crohn (MC) è un’infiammazione cronica granulomatosa ad eziologia ignota che si
manifesta con ulcere, fistole e stenosi del tratto gastrointestinale. Molti studi indicano alcuni
microorganismi quali agenti eziologici e ipotizzano che una infezione lenta possa determinare una
risposta immunitaria tissutale autolesiva.
I due organismi prevalentemente investigati sono Mycobacterium paratuberculosis e Escherichia
coli aderenti/invasivi (AIEC). Gli AIEC sono stati trovati frequentemente associati con la mucosa
dell’ileo nei pazienti affetti da MC.
Al fine di meglio definire il ruolo patogenetico, ancora controverso, di tali batteri, frammenti
bioptici, ottenuti per endoscopia da bordi di ulcere ileali e coliche di pazienti con MC, sono stati
trattati con gentamicina per eliminare i batteri di superficie e quindi lisati con Triton X-100; da
alcuni campioni sono stati isolati ceppi di E.coli rappresentativi di cloni intracellulari. Tali
organismi sono stati confrontati con ceppi di E.coli provenienti da isolamenti clinici diversi al fine
di valutare la presenza di particolari caratteri di virulenza. I ceppi sono stati sottoposti ad analisi
genetica mediante PFGE. Sul DNA estratto è stata inoltre effettuata mediante PCR la ricerca dei
geni chuA e yjaA al fine di definire il gruppo filogenetico dei batteri e dei geni escV e bfpB, correlati
rispettivamente al sistema di secrezione di tipo III e al plasmide che codifica per il pilo di tipo IV.
La capacità di aderenza e invasività degli E.coli alle cellule epiteliali è stata saggiata mediante
infezione di cellule Caco-2.
I risultati ottenuti hanno evidenziato che alcuni ceppi di E.coli provenienti dagli isolamenti bioptici
appartengono al gruppo filogenetico B2 e una relazione è stata riscontrata con l’invasività cellulare.
I nostri dati confermano l’esistenza di AIEC all’interno dei tessuti di pazienti affetti da MC. Le
caratteristiche di aderenza e la capacità di invasione delle cellule da parte dei microorganismi
suggeriscono un coinvolgimento causale nel MC legato all’espressione di un fattore di virulenza.
Gli AIEC potrebbero quindi svolgere un ruolo nell’inizio del processo infiammatorio e non solo
come invasori secondari; potrebbero essere quindi importanti organismi target e gli antibiotici
potrebbero rappresentare un logico approccio e supporto alla terapia del MC.
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Pagina 115 di 288
EPIDEMIOLOGIA MOLECOLARE DEI CEPPI DI ESCHERICHIA COLI PRODUTTORI
DI B-LATTAMASI A SPETTRO ESTESO ISOLATI DA PAZIENTI CON BATTERIEMIA
Rosaria Porta, Paola Cerini, Barbara Fiori, Rosa Martucci, Tiziana D’Inzeo, Maurizio Sanguinetti,
Teresa Spanu, Giovanni Fadda
Istituto Microbiologia, Università Cattolica del Sacro Cuore, Roma
Escherichia coli è un commensale intestinale che è causa di severe infezioni nell’uomo. I ceppi
virulenti extraintestinali appartengono principalmente al gruppo filogenetico B2 e meno
frequentemente al gruppo D, mentre la maggior parte dei ceppi commensali appartengono ai gruppi
filogenetici A e B1. Negli ultimi anni si è osservato un incremento delle batteriemie nosocomiali e
comunitarie causate da ceppi di E. coli produttori di β-lattamasi a spettro esteso (ESBL) tipo CTXM. In questo studio è stata analizzata la correlazione tra gruppo filogenetico, presenza di
determinanti di patogenicità e presenza di ESBL in ceppi di E. coli isolati dalle emocolture di
pazienti ricoverati presso il Policlinico Universitario “A. Gemelli” negli anni 2006- 2008.
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INCIDENZA ED ECOLOGIA DI ESCHERICHIA COLI STEC (SHIGA LIKE TOXIN
PRODUCING E. COLI) IN PRODOTTI ALIMENTARI TRADIZIONALI
Kalliopi Rantsiou e Luca Cocolin
DI.VA.P.R.A., Sezione di Microbiologia Agraria e Tecnologie Alimentari, Facoltá di Agraria,
Universitá di Torino, tel. 011/6708553, fax 011/6708549, email: [email protected]
Anche se Escherichia coli é un componente dell’ecosistema dell’intestino umano, esistono ceppi
che sono patogeni per l’uomo. La specie é eterogenea ed una seria di ceppi, con diverse
carateristiche di virulenza, possono causare malattie, anche gravi, in seguito all’ingestione di
alimenti contaminati. Per questo motivo, lo sviluppo di metodi che possano rilevare la presenza di
popolazioni di E. coli patogeni e la loro quantificazione in maniera rapida e sicura, é di primaria
importanza per il controllo di questo microrganismo nella filiera alimentare. In questo studio, si é
ottimizzato un metodo, basato sulla PCR quantitativa (qPCR), per la rilevazione e quantificazione
di popolazioni di E. coli e di E. coli STEC (ceppi che producono le tossine ‘Shiga’, responsabili per
patologie gastrointestinali) in alimenti. Il metodo amplifica i geni rpoB (presente in tutti i ceppi di
E. coli), stx1, stx2 ed eae (determinanti di virulenza, specifici per STEC). Per studiare l’incidenza di
E. coli STEC in prodotti alimentari tradizionali della regione Piemonte, i protocolli di qPCR sono
stati applicati, assieme al metodo tradizionale, basato sulla la conta in piastra e seguita da
identificazione e caratterizzazione di ceppi con metodi molecolari. Dopo analisi di 102 campioni di
prodotti di origine animale (formaggi e salumi), la presenza di E. coli STEC é risultata elevata. Il
52% dei campioni era positivo con la qPCR applicata direttamente sui campioni (senza
coltivazione), mentre con il metodo tradizionale la percentuale era del 42%. I salumi hanno
presentato una contaminazione piú alta rispeto ai formaggi. Dall’identificazione molecolare dei
ceppi isolati dal terreno selettivo per E. coli, é emersa una distribuzione di geni stx diversa tra
formaggi e salumi. In particolare, i ceppi isolati da formaggi presentavano principalmente il gene
stx2, mentre per i ceppi isolati da salumi si é vista una distribuzione piú omogenea dei tre geni. In
base alla caratterizzazione molecolare dei ceppi é possibile asserire che le popolazioni di E. coli
STEC erano eterogenee. Inoltre, é di relevante importanza, l’isolamento ed identificazione, dai
prodotti tradizionali studiati, di ceppi appartenenti al sierotipo O157:H7.
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EXTRACELLULAR PROTEOMIC ANALYSES ON TWO ENTEROCOCCUS FAECALIS
STRAINS ISOLATED FROM A CHEESE AND FROM AN HOSPITAL PATIENT
HIGHLIGHT DIFFERENT PATHOGENICITY GRADE
Pessione A1, Barbiero I1, Lamberti C1, Riedel K2, Eberl L2, Bonetta S3, Andrini L4, Ferlini M4,
Giunta C1, Pessione E1
1
Human and Animal Biology Department, University of Torino, Torino, Italy
2
Department of Microbiology, University of Zurich, Zurich, Switzerland
3
Life and Science Department, University of Piemonte Orientale, Alessandria, Italy
4
Microbiology Laboratory, Hospital Mauriziano, Torino, Italy
The interest towards Enterococcus faecalis species is increasing because of both its employment in
food industries and its impact on human health. The importance of E. faecalis in fermented food
industry is mainly due to its lypolitic and proteolytic activities useful in cheese industry.
Furthermore some strains may be interesting being able to produce bacteriocins active towards
bacterial food contaminants. On the contrary other strains of this same species are potentially
pathogens being often involved in nosocomial infections; furthermore they may be particularly
dangerous because of their natural resistance towards antibiotics. Bacterial pathogenicity mainly
depends by the secreted molecules that directly interact with the host. For this reason we compare
the extracellular proteomes of E. faecalis DISAV 1022 and E. faecalis H1 isolated from a Piedmont
cheese and from an open surgical wound exudate, respectively. Both the strains were grown in M17
medium at 37°C without shaking. Supernatants were recovered in the exponential phase and
proteins were precipitated with TCA. Proteomic analyses were performed by two-dimensional
electrophoresis coupled with MALDI TOF/TOF mass spectrometry. The results highlighted the
presence of proteins linked to pathogenicity only in E. faecalis H1: in particular an extracellular
serine protease and the coccolysin, a gelatinase, which are among the main virulence factors of this
species, were produced. Furthermore it expresses also a superoxide dismutase and some glycolytic
enzymes probably present in extracellular broth as moonlighting proteins which are known to be
virulence factors. On the contrary the food strain didn’t produce potentially dangerous extracellular
proteins but rather pheromones and other cross-comunication molecules. The expression of serine
protease and coccolysin (in E. faecalis H1) were confirmed also by phenotypical assays. This
preliminary study highlights as two strains belonging to the same species may be very different: if
this difference is linked to differential expression of virulence characters or rather to genetical
acquisition of pathogenicity island is under investigation.
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Pagina 118 di 288
VALUTAZIONE DEL SISTEMA MALDI-TOF-MS PER LA IDENTIFICAZIONE DI
CEPPI DI STAPHYLOCOCCUS SPP. RESPONSABILI DI BATTERIEMIA
B. Fiori, E. De Carolis, T. Spanu, B. Posteraro, T. D’Inzeo, R. Porta, M. Sanguinetti, G. Fadda
Istituto di Microbiologia, Università Cattolica del Sacro Cuore, Roma
Le infezioni causate da Staphylococcus aureus e dagli stafilococchi coagulasi-negativi (CoNS) sono
un problema crescente in ambito nosocomiali e comunitario. Una rapida e affidabile identificazione
di specie è essenziale per la diagnosi, il trattamento e la sorveglianza epidemiologica delle infezioni
da essi causate. Il metodo di riferimento di Kloos e Schleifer è indaginoso, e grava sulla
diagnostica routinaria microbiologica, e sul tempo dei risultati. Il potere discriminatorio dei metodi
fenotipici automatici, comunemente utilizzati nei laboratori, è insufficiente per l’accurata
identificazione di tutte le specie e sottospecie. Al fine di superare i limiti dell’approccio fenotipico,
negli ultimi anni sono stati sviluppati numerosi metodi molecolari che hanno differenti target quali
l’ rRNA 16S, il gene sodA, il gene gap, il gene rpoB, ed il gene tuf. Recentemente è emersa una
nuova tecnologia, MALDI-TOF-MS, che attraverso l’analisi delle componenti proteiche delle
cellule batteriche, consente l’identificazione rapida, accurata e riproducibile dei principali patogeni
umani. Obiettivo di questo studio è stato la valutazione del sistema MALDITOF (Brkler Daltonik
GmbH, Bremen). Sono stati saggiati 270 ceppi di Staphylococcus spp. (102 S. aureus , 168 CoNS),
isolati negli anni 2008-2009 nel Laboratorio di Microbiologia del Policlinico Universitario “A.
Gemelli” dalle emocolture di pazienti con batteriemia. I risultati ottenuti con il sistema MALDITOF-MS sono stati confrontati con i risultati dei metodi molecolari. Il sistema ha correttamente
identificato il 99,2% (268/270) dei ceppi analizzati. Il tempo medio di identificazione per ceppo è
stato di 6 minuti. I risultati di questo studio suggeriscono che il sistema MALDI-TOF-MS
identifica accuratamente e rapidamente le principali specie di stafilococchi isolati dalle emocolture.
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Pagina 119 di 288
ASPETTI MOLECOLARI DELLA FORMA PERSISTENTE DI CHLAMYDIA
PNEUMONIAE
De Santis F., Schiavoni G., Di Pietro M., De Biase D.1, Tramonti A.2 , Zagaglia C., del Piano M.,
Sessa R.
Dipartimento di Scienze di Sanità Pubblica e 1Dipartimento di Scienze Biochimiche, Sapienza
Università di Roma ; 2Istituto di Biologia e Patologia Molecolare CNR, Roma
Negli ultimi anni Chlamydia pneumoniae è stata implicata nella patogenesi dell'aterosclerosi ed il
suo coinvolgimento sembra essere correlato alla capacità del microrganismo di dar luogo a forme
persistenti, quindi, ad infezioni croniche. C. pneumoniae, patogeno intracellulare obbligato,
presenta un ciclo di sviluppo peculiare caratterizzato dall'alternarsi di due forme funzionalmente e
morfologicamente distinte: il corpo elementare ed il corpo reticolato. Recentemente, oltre al corpo
elementare e al corpo reticolato, è stata evidenziata mediante studi in vitro, una forma persistente in
grado di permanere nella cellula ospite per lungo tempo, di eludere la risposta immunitaria e al
tempo stesso di resistere all'azione degli antibiotici.
Lo scopo della nostra ricerca è stato quello di studiare i meccanismi molecolari coinvolti nello
sviluppo della forma persistente di C. pneumoniae, mediante l’immunofluorescenza diretta, per la
valutazione delle progenie infettanti e la real-time PCR per la determinazione della quantità di DNA
di Clamidia. E’ stato, quindi, analizzato il profilo di espressione di differenti geni implicati nella
differenzazione fra forma persistente e forma replicativa di C. pneumoniae.
Dall’analisi dei risultati è stato evidenziato che la forma persistente rispetto alla forma replicativa è
caratterizzata da una marcata riduzione di progenie infettanti e di DNA genomico clamidiale e da
uno specifico profilo genico.
I risultati di questi studi potranno contribuire all’identificazione di marker molecolari e, quindi,
all’individuazione di nuovi target per la diagnosi e il trattamento terapeutico di infezioni croniche
da C. pneumoniae.
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STUDIO DELL’ESPRESSIONE GENICA DELLA FAMIGLIA DI PROTEINE PPE-MPTR
IN MYCOBACTERIUM TUBERCULOSIS.
Soldini S., Palucci I., Sali M., Fadda G., Delogu G.
Istituto di Microbiologia, Università Cattolica del Sacro Cuore, Roma
La sotto-famiglia di proteine PPE-MPTR appartiene ad una grande famiglia multigenica di
proteine, le PPE, la cui funzione è sconosciuta e che, insieme alle proteine PE, rappresentano circa
il 10% del potenziale codificante del M.tuberculosis. Tali proteine sono altamente conservate,
risultano distribuite su tutto il genoma e fatto molto importante, sono presenti soltanto in
micobatteri del Mtb complex ed in pochi altri micobatteri patogeni.
La determinazione dei livelli di espressione di tali proteine in vivo ed in vitro potrebbe fornire
importanti informazioni per comprendere il ruolo di queste nella patogenesi di M. tuberculosis.
A tal proposito sono stati analizzati i livelli di espressione mediante Real Time RT-PCR di 10 geni
appartenenti alla famiglia delle PPE-MPTR in polmoni e milze di topi infettati con un ceppo
virulento di M. tuberculosis, TMC 107, sacrificati a diversi time points (14-21-28-70 giorni). Tutti i
geni analizzati mostrano diversi profili di espressione ma significative differenze si sono osservate
in 4 dei 10 geni ( rv0305c, rv1135c, rv1917, rv3159c), che presentano una significativa upregulation al progredire dell’infezione sia nel polmone che nella milza.
Il ruolo delle proteine PPE nell’infezione tubercolare non è noto ma si ipotizza che siano associate
alla parete cellulare del M.tuberculosis e che siano coinvolte nell’interazione con i tessuti
dell’ospite. A tale proposito sono stati studiati i livelli di espressione di questi 4 geni in vitro in
condizioni di stress e in presenza di sostanze capaci di alterare la parete cellulare, osservando
un’alta variabilità nei livelli di espressione.
I risultati di questo studio mostrano che M. tuberculosis può differentemente regolare i livelli di
espressione dei geni PPE-MPTR nelle cellule e nei tessuti dell’ospite.
I 4 geni selezionati in questo studio saranno utilizzati per creare costrutti plasmidici know out allo
scopo di valutarne la patogenicità in modelli murini.
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Pagina 121 di 288
LE PROTEINE PE_PGRS30 E PE_PGRS26 SONO ESSENZIALI PER LA PIENA
VIRULENZA DI M. TUBERCULOSIS.
Iantomasi R. 1, Palucci I. 1, Zumbo A. 1, Soldini S. 1, Sali M. 1, Cascioferro A. 2, Fadda G. 1,
Manganelli R. 2, Delogu G. 1
1
Istituto di Microbiologia, Università Cattolica del Sacro Cuore, Roma
2
Dipartimento di Istologia, Microbiologia e Biotecnologie Mediche, Università di Padova.
Circa l’8% del genoma di Mycobacterium tubercolosis codifica per due famiglie proteiche
chiamate PE/PPE. Di questo, 67 geni codificano per le proteine PE_PGRS. Tali proteine sono
caratterizzate da un dominio conservato PE all’N-terminale e da una regione C_terminale con
ripetizioni multiple in tandem di Gly-Gly-Ala o Gly-Gly-Asn di diverse dimensioni. Non è chiaro
se ciascuna delle proteine svolge un ruolo unico e preciso nella biologia del batterio o se vi sia una
ridondanza nella loro funzione, così come rimane da comprendere il loro coinvolgimento nella
patogenesi della tubercolosi.
Per comprendere il ruolo singolo di queste proteine abbiamo ottenuto, mediante ricombinazione
omologa, ceppi knock-out di M. tuberculosis per i due geni. PE_PGRS26 e PE_PGRS30.
Per valutare il ruolo nella replicazione intracellulare, cellule J774 sono state infettate con i ceppi di
Mtb KO e WT e la persistenza valutata in termini di CFU a 4 ore, 3 giorni e 10 giorni di infezione.
Abbiamo così notato una differente capacità di infezione dei ceppi knock-out, soprattutto per la
PE_PGRS30 rispetto al ceppo wild-type H37Rv che trova riscontro anche a livello citopatologico.
Studi successivi condotti in vivo infettando per via aerogena topi BalbC sacrificati al giorno1, 14,
28 e 70 hanno ancor più evidenziato una ridotta capacità di colonizzazione polmonare del ceppo
knock-out per la proteina PE_PGRS30 con una riduzione al giorno 70 di 2 logaritmi, risultata
statisticamente significativa (p<0.05).
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CARATTERISTICHE DI CEPPI DI VIBRIO ALGINOLYTICUS ISOLATI DA ACQUE
COSTIERE DEL MAR LIGURE
Debbia E.1, Schito A.M.1, Pruzzo C.2 e Schito G.C.1
DISCMIT, Sezione di Microbiologia1 e DIBIO2, Università di Genova
Il nostro gruppo sta conducendo da tempo uno studio sulle variabili ambientali che modulano la
presenza di Vibrio spp. nelle acque costiere e sulle caratteristiche di patogenicità degli isolati. E’
noto che i batteri appartenenti al genere Vibrio sono indigeni dell’ambiente marino da dove possono
essere isolati sia in forma libera che in associazione con diversi organismi acquatici. In questo
lavoro abbiamo proseguito l’analisi dei ceppi di Vibrio alginolyticus isolati da campioni di acqua e
plancton raccolti lungo la costa del Mar Ligure. I ceppi (n=35) sono stati dapprima analizzati per la
capacità di aderire a monostrati cellulari (Caco e Intestino 407) e di formare biofilm su piastre multi
pozzetto di polivinilcloruro (PVC). Venticinque ceppi si sono mostrati in grado di aderire alle
cellule intestinali con un’efficienza variabile da 25 cfu/monostrato a >120 cfu/monostrato. Risultati
comparabili sono stati ottenuti con entrambi i monostrati. Nessuno dei ceppi in esame si è mostrato
in grado di formare biofilm su PVC. Sugli stessi ceppi sono state eseguite reazioni di PCR
utilizzando coppie di primer diretti contro i geni tdh e trh di V. parahaemolyticus, vvhA e vllY di V.
vulnificus, ctx, zot, ace, tcpA, toxR, toxT e toxS di V. cholerae. Quattro isolati hanno prodotto
amplificati delle dimensioni attese per geni toxT e toxS di V. cholerae e altri tre per trh di V.
parahaemolyticus. I geni di V. vulnificus non sono stati amplificati in nessuno dei ceppi esaminati.
Questi dati sostengono l’ipotesi che V. alginolyticus possa rappresentare un serbatoio di geni
derivanti da altri batteri indigeni delle acque.
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PERSISTENZA DI VIBRIO CHOLERAE EL TOR NELLE ACQUE: RUOLO DELLA
TEMPERATURA SULL’ESPRESSIONE GENICA DELLE ADESINE GBPA E MSHA.
M. Stauder1, E. Pezzati2, B. Repetto2, C. Pruzzo3, P. E. Varaldo1, L. Vezzulli3. Istituto di
Microbiologia e Scienze Biomediche, Università Politecnica delle Marche, Ancona1, Dipartimento
di Patologia, Sezione di Microbiologia, Università di Verona2, Dipartimento di Biologia,
Università di Genova3
Vibrio cholerae, l’agente eziologico del colera, è un batterio marino in grado di persistere a lungo
nell’ambiente acquatico mediante varie strategie di sopravvivenza quali l’attivazione dello stato
vitale ma non coltivabile e la colonizzazione di substrati biotici e abiotici. In particolare, la
formazione di biofilm su superfici nutritive (es., chitina) consente al batterio di proteggersi dallo
stress e di recuperare, mediante la degradazione del substrato, i nutrienti necessari per la propria
crescita. Nel presente studio, è stato valutato l’effetto della temperatura e della salinità (saggiate a
valori corrispondenti alle condizioni tipiche dell’ambiente acquatico) sull’attacco di V. cholerae O1
El Tor alla chitina e sulla formazione di biofilm su superfici di polivinilcloruro (PVC). In
particolare, è stato analizzato il ruolo, in tali interazioni, delle adesine GbpA (N-acetylglucosaminebinding protein A) e MSHA (mannose-sensitive haemoagglutinin), i due principali fattori di
colonizzazione della chitina di V. cholerae. Lo studio dei mutanti gbpA- e mshA- difettivi ha
evidenziato per entrambi, in tutte le condizioni ambientali, una riduzione significativa
nell’efficienza di attacco alla chitina rispetto al ceppo selvaggio ma, solo per il ceppo mancante di
mshA, una riduzione nell’efficienza di formazione di biofilm. L’aumento della temperatura da 15°C
a 25°C, oltre a indurre un aumento nell’ attacco alla chitina e nella formazione del biofilm da parte
del ceppo parentale, ha causato un incremento dell’espressione genica di entrambe le adesine,
GbpA e MshA. Dati in situ, ottenuti dall’analisi di campioni di zooplankton e acqua di mare raccolti
nell’arco di un anno nel Mar Ligure di fronte a Genova, hanno mostrato che la percentuale di V.
cholerae associata allo zooplankton rispetto al numero totale presente nell’acqua di mare è correlata
positivamente con la temperatura di superficie dell’acqua, aumentando in modo rilevante a
temperature maggiori di 22°C. In conclusione, i nostri risultati suggeriscono che il ruolo della
temperatura nella persistenza di V. cholerae nelle acque sia legato, almeno in parte, al suo effetto
sull’attacco alla chitina e sull’espressione dei geni che codificano per le adesine GbpA e MSHA.
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IDENTIFICAZIONE DI CICLOMODULINE IN ESCHERICHIA COLI ISOLATI DA
ANIMALI
Sara Salvarani, Clara Tramuta, Patrizia Nebbia, Patrizia Robino
Dipartimento di Produzioni animali, Epidemiologia ed Ecologia, Facoltà di Medicina Veterinaria,
Università di Torino, Italia.
Le ciclomoduline sono una famiglia di tossine presenti in molti batteri che interferiscono con il
ciclo delle cellule eucariote. In Escherichia coli si riconoscono al momento tre tipi di
ciclomoduline: cif (cycle inhibiting factor) e cdt (cytolethal distending toxin) che hanno un effetto
inibitorio sul ciclo cellulare e cnf (cytotoxic necrotizing factor) che promuove la proliferazione
cellulare interferendo con il processo di differenziazione. Diversi studi evidenziano che i ceppi di E.
coli possono essere distribuiti in quattro gruppi filogenetici (A, B1, B2, D) a seconda della
differente patogenicità; i ceppi EPEC, EHEC e UPEC appartengono principalmente al gruppo B2,
mentre la maggior parte dei ceppi commensali appartiene al gruppo A e B1. La maggior parte dei
dati bibliografici riferiscono sulla presenza di ciclomoduline in E. coli isolati da infezioni umane.
Scopo di questo lavoro è stato esaminare la presenza, la distribuzione filogenetica e la funzionalità
delle ciclomoduline cif, cdt e cnf in E. coli isolati da infezioni intestinali e urinarie di animali da
compagnia e da reddito.
Sono stati selezionati 85 ceppi di E. coli, di cui 44 appartenenti a ceppi intestinali (EHEC ed EPEC)
isolati da feci di animali diarroici (23 bovini, 16 suini, 5 cani) e 41 appartenenti a ceppi urinari
(UPEC) isolati da 30 cani e 11 gatti. Per il riconoscimento dei geni codificanti le ciclomoduline
sono state utilizzate metodiche PCR e la distribuzione all’interno dei gruppi filogenetici e’ stata
analizzata mediante multiplex PCR.
Sul totale dei campioni esaminati 14 sono risultati positivi alla ricerca del gene cif, 7 alla presenza
di cdt e 27 a cnf. I ceppi EHEC si sono distribuiti prevalentemente nei gruppi A e B1, i ceppi EPEC
nei gruppi B1 e B2, i ceppi UPEC soprattutto nel gruppo filogenetico B2 e nel gruppo A.
I ceppi di origine urinaria sono stati sierotipizzati e sono state effettuate prove di citotossicità sulle
linee cellulari Hep-2 e Vero.
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DIFFERENTE RISPOSTA DELLE CELLULE MICROGLIALI BV-2 VERSO
MICOBATTERI PATOGENI
Molicotti P* , Bua A*, Usai D*, Cannas S*, Sechi LA*, Blasi E**, Zanetti S*.
*Dipartimento Scienze Biomediche, Università di Sassari, ** Dipartimento di Scienze e di Sanità
Pubblica Università di Modena e Reggio Emilia
La tubercolosi (TB) del sistema nervoso centrale (SNC), interessa circa l’1-10% dei pazienti con
TB attiva e costituisce la forma più grave di TB sistemica a causa del suo alto tasso di mortalità e
delle possibili gravi complicazioni neurologiche. In vitro è stato dimostrato che Mycobacterium
tuberculosis infetta le cellule della microglia mentre sono poche le informazioni riguardanti la
risposta di queste cellule all’infezione. Lo scopo di questo lavoro è stato quello di valutare la
capacità di M. tuberculosis H37Rv, M. bovis e M. paratuberculosis di infettare e sopravvivere
all’interno di cellule microgliali BV-2 murino-derivate, nonché di valutare il pattern di citochine
prodotte a seguito dell’infezione micobatterica. La capacità dei ceppi micobatterici di infettare e
persistere all’interno delle cellule BV-2 è stata valutata determinando il numero delle colonie su
terreno solido 7H10. Inoltre, dopo 6 ore di incubazione, è stata aggiunta la kanamicina per
verificare l’effetto sulla moltiplicazione batterica. Il pattern delle citochine è stato valutato tramite
saggio ELISA. Confrontando la capacità di M. paratuberculosis, M. bovis e M. tuberculosis, di
moltiplicarsi all’interno delle cellule, non è stata riscontrata nessuna differenza significativa fra M.
bovis e M. tuberculosis. Mentre per quanto riguarda M. paratuberculosis è stata registrata crescita
solo dopo 6 ore dall’infezione. L’aggiunta della kanamicina determina una riduzione della crescita
batterica di circa un logaritmo. Le cellule BV-2 infettate con M. paratuberculosis, M. bovis e M.
tuberculosis producono una buona quantità di IL-1a. M. bovis induce la produzione di IL-6 e solo
M. paratuberculosis stimola le cellule a produrre IL-1b. Sia M. bovis che M. tuberculosis
determinano la produzione di TNF-alfa, G-CSF e GM-CSF. I risultati ottenuti dimostrano che M.
paratuberculosis, a differenza di M. tuberculosis e M. bovis, non ha la capacità di sopravvivere e
moltiplicarsi all’interno delle cellule microgliali. Inoltre dai nostri dati, seppure preliminari, è
emerso che M. bovis e M. tuberculosis, rispetto a M. paratuberculosis, stimolano una maggiore
risposta delle cellule BV-2 inducendo in particolar modo la produzione delle citochine IL-1, TNFalfa, G-CSF e GM-CSF.
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Pagina 126 di 288
PREVALENZA
DI
DETERMINANTI
DI
RESISTENZA
PLASMIDICI
AI
FLUOROCHINOLONI IN CEPPI DI ESCHERICHIA COLI DI ISOLAMENTO URINARIO
1
R. Musumeci, 1D. Migliarino, 1A. Cialdella, 1B. Sibra, 2G. Giltri, 2S. Bramati e 1C.E. Cocuzza
1
Laboratorio di Microbiologia, Facoltà di Medicina e Chirurgia – Università di Milano-Bicocca
2
Unità di Microbiologia, Azienda Ospedaliera San Gerardo – Monza
Negli ultimi anni è stata riportata da diversi Autori in tutto il mondo la diffusione di ceppi batterici
tra le Enterobacteriaceae e non, esprimenti un particolare profilo di resistenza determinato dalla
presenza di uno o più geni di origine plasmidica.
Enzimi quali l'aminoglucoside acetil-transferasi, responsabile delle resistenza ad alcuni
aminoglucosidi nella sua variante aac(6’)-Ib-cr, sono stati associati ad un nuovo meccanismo di
resistenza specifico per la classe dei fluorochinoloni, grazie alla proprietà di acetilare l’azoto non
sostituito nell’anello piperazinico in posizione C7 della struttura fondamentale, proprio di alcuni
membri (norfloxacina e ciprofloxacina) di questa classe antibiotica.
Sono state ampiamente descritte le proteine codificate dai geni qnrA, qnrB, qnrC, qnrD, e qnrS,
appartenenti alla famiglia dei pentapeptidi che si legano alla DNA-girasi e alla topoisomerasi IV
proteggendole dal legame dei fluorochinoloni ed infine è stata più recentemente descritta la pompa
d'efflusso codificata dal gene qepA.
La contemporanea presenza di associazioni tra questi determinanti correlati alla resistenza ai
fluorochinoloni e di geni plasmidici codificanti per beta-lattamasi ed ESBL (blaTEM, blaOXA, blaSHV
e blaCTX-M), nonché geni codificanti per la resistenza al cotrimossazolo, su integroni veicolati da
plasmidi ad alto peso molecolare, propone un nuovo problema nel trattamento terapeutico di questi
ceppi multiresistenti. Appare quindi indispensabile monitorare la loro diffusione e caratterizzare sia
questi plasmidi che verificare la clonalità dei batteri recanti tali determinanti.
Sono stati valutati 148 ceppi di Escherichia coli acido nalidixico-resistenti collezionati da
urinocolture positive raccolti nel 2004 e nello stesso periodo del 2006 presso l’Ospedale San
Gerardo di Monza.
La positività per il gene aac(6’)-Ib-cr è stata confermata solo nei ceppi con valori di MIC alla
norfloxacina e alla ciprofloxacina rispettivamente > 16 e > 4 μg/ml e ha evidenziato una prevalenza,
per i ceppi del 2004, del 3,9% (3/76), mentre per i ceppi del 2006 tale percentuale è salita al 11,1%
(8/72). Non si sono riscontati ceppi positivi per il gene qepA. I ceppi aac(6’)-Ib-cr-positivi sono
risultati tutti positivi per la presenza dei geni blaTEM-1, blaOXA-1/30 e blaCTX-M15. L'analisi PFGE ha
dimostrano la presenza di un clone comune tra questi ceppi.
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NON PATHOGENIC VIBRIO ENVIRONMENTAL STRAINS CARRYING VIRULENCE,
FITNESS AND ANTIBIOTIC RESISTENCE GENES
M. Gennari, V.Ghidini, M.C Tafi, M.M. Lleo’
Department Of Pathology, Section Of Microbiology, University Of Verona, Verona, Italy.
Vibrios are important members of the autochthonous flora of marine and estuarine environments
and include non pathogenic bacteria and pathogenic species causing human diseases. Recent studies
report that some Vibrio species found in the environment, and up to date considered non
pathogenic, instead carry virulence, fitness and antibiotic resistance genes usually found in clinical
strains. On the basis of these data, we have considered of interest to screening a collection of nonpathogenic vibrios as regards genes generally found in clinical strains.
Vibrio strains were isolated from water, plankton and sediment samples obtained in the northern
Adriatic Sea. A battery of genes, usually found in V.cholerae and V.parahaemolyticus, was
selected: two of the virulence genes, yopP and trh are considered virulence determinants in
V.parahaemolyticus while the nanH gene from V.cholerae encodes a neuraminidase. flrA is a gene
involved in the regulation of V.cholerae flagella synthesis and response to environmental changes.
V.cholerae vpsR is involved in biofilm formation and environmental persistence, while V.cholerae
luxA gene is involved in bioluminescent expression. int15’cs is a gene included in a cassette of
antibiotic resistance determinants in V.cholerae.
About 40/114 strains resulted positive to PCR using primers selected on the described genes: 11
strains carried the gene nanH and 3 the yopP gene while no strains carried the trh gene. 13, 6 and 7
strains presented respectively the expected amplicons for flrA, vpsR and luxA while 7 strains carried
int15’cs, a sequence from an integron involved in antibiotic resistance. Some of the PCR products
were analyzed by sequencing and demonstrated to be exactly the expected DNA fragment.
Further analysis of the strains resulting positive to the presence of the gene nanH, which in V.
cholerae is located in the pathogenicity island VPI-2, showed that 5 out of 11 strains carried the
mobile genetic element.
Biochemical and molecular methods were applied to the PCR-positive strains in order to identify
them at the species level: 32 strains resulted to be V.alginolyticus, 5 V.metschnikovii, 1 V.mimicus, 1
V.campdellii and 1 P.damselae. One strain was eliminated from the study in that resulted to be
V.cholerae.
The results obtained in this study indicate that environmental vibrios strains could constitute a
marine reservoir of virulence and antibiotic resistance genes and thus could represent a risk for
human health. Moreover, the data obtained provide further support to the fact that gene exchange
occurs in the aquatic environment between pathogenic and non pathogenic bacterial species.
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Pagina 128 di 288
CARATTERIZZAZIONE DEL MICROBIOTA FECALE E PROFILI METABOLICI IN
PAZIENTI CON FIBROSI CISTICA
Totino V.1, Iebba V.1, Macone A.3,Conte MP.1, Lepanto M.1, Proietti Checchi M.1, Aleandri M.1, Longhi C.1,
Matarese RM.3, Quattrucci S.2, Schippa S.1
1Dipartimento di Scienze e Sanità Pubblica, Sapienza Università di Roma;
2 Dipartimento di Pediatria, Policlinico Umberto I, Sapienza Università di Roma;
3 Dipartimento di Scienze Biochimiche, Sapienza Università di Roma
La principale manifestazione clinica della fibrosi cistica (FC), riconducibile a mutazioni nel gene
regolatore della conduttanza transmembranale (fibrosis transmembrane conductance regulator:
CFTR), consiste nell’accumulo di muco alla superficie delle cellule epiteliali del tratto respiratorio
del pancreas e del tratto gastrointestinale. In particolare, nell’intestino tale fenomeno induce uno
stato di disidratazione del lume che si ritiene possa contribuire alla non solubilizzazione del muco e
delle glicoproteine secrete, con insorgenza di diversi disturbi intestinali. Numerosi dati della
letteratura riportano una eccessiva moltiplicazione batterica nell’intestino tenue di pazienti con
fibrosi cistica che potrebbe svolgere un ruolo rilevante nelle complicanze descritte a livello
intestinale. In topi affetti da FC, riducendo la carica microbica con la somministrazione di
antibiotici a largo spettro, è stata ottenuta sia una riduzione dell’infiltrazione da parte di cellule
immuni che dell’espressione di geni dell’infiammazione, con conseguente aumento di peso degli
animali. É’ oramai accertato che alterazioni nella composizione di gruppi microbici intestinali
dominanti hanno forti influenze sulla salute dell’ospite e sono coinvolti nell’eziopatogenesi di
diverse sindromi con effetto sul metabolismo, tossicità e efficacia di medicinali. Cooperazioni tra il
metabolismo del microbiota e dei mammiferi sono elementi di studio essenziali per la comprensione
della metabolomica degli esseri umani. Il metabolismo umano, infatti, coinvolge l’integrazione di
processi metabolici indigeni ( codificati dal genoma dell’ospite ), con i processi metabolici del
microbiota. Tutto ciò risulta in un ampio cometabolismo di molti substrati. Lo scopo della presente
ricerca è stato quello di caratterizzare molecolarmente il microbiota dominante intestinale da
campioni fecali di pazienti pediatrici con FC e contemporaneamente determinare i profili metabolici
da campioni urinari e fecali degli stessi pazienti, al fine di avere una migliore conoscenza del
dell’ecosistema microbico in tali pazienti e delle sue interazioni metaboliche con la fisiologia
dell’ospite. Analisi di statistica multivariata sono state utilizzate per mettere in relazione
composizione del microbiota intestinale e fenotipo metabolico. I risultati preliminari mostrano
interessanti differenze nel microbiota dominante nei due gruppi studiati ( pazienti con FC e controlli
) indicando che alterazioni della flora intestinale potrebbero svolgere un ruolo rilevante nelle
complicanze descritte a livello intestinale in questa patologia.
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Pagina 129 di 288
FATTORI DI VIRULENZA E VARIABILITA’ GENETICA DEI CEPPI DI ESCHERICHIA
COLI UROPATOGENI ISOLATI DA CANI E GATTI
Tramuta C.1, Robino P. 1, Nucera D. 2, Salvarani S. 1, Nebbia P. 1
1
Dipartimento di Produzioni animali, Epidemiologia ed Ecologia, Università di Torino;
2
Dipartimento di Patologia animale, Università di Torino.
Escherichia coli è una delle principali cause di patologie nell’uomo, nel cane e nel gatto, e
rappresenta una importante fonte di infezione del tratto urinario (UTI). I ceppi di E. coli che
causano UTI sono definiti uropatogeni (UPEC) e possono essere considerati un sottogruppo dei
ceppi di E. coli extraintestinali (ExPEC). Le caratteristiche biologiche e genetiche dei ceppi UPEC
includono la produzione di emolisina, di aerobactina, l’espressione delle fimbrie P, S e di tipo 1 e di
ciclomoduline (CNF, CDT).
Recenti studi hanno mostrato che E. coli può essere distinto in quattro gruppi filogenetici
principali:A, B1, B2 e D. I ceppi UPEC appartengono principalmente al gruppo B2, mentre la
maggior parte dei ceppi commensali appartiene al gruppo A e B1.
L’amplificazione di regioni ripetitive disperse lungo il genoma batterico, dette REP (Ripetitive
Extragenic Palindromic sequences) ed ERIC (Enterobacterial Ripetitive Intergenic Consensus),
permette una chiara distinzione tra ceppi batterici.
Lo scopo del lavoro è stato caratterizzare ceppi UPEC mediante amplificazione di sequenze ripetute
sul genoma e comparare i risultati ottenuti sia con patterns biologici (fattori di virulenza) che
filogenetici.
Sono stati esaminati 40 ceppi di UPEC isolati da urina di cani (n=30) e gatti (n=10) prelevata
mediante cistocentesi. Il DNA estratto dalle colonie è stato utilizzato per evidenziare, tramite PCR,
i geni codificanti: fimA, papC, cdt, sfa, afa, iutA, hlyA, e cnf1. Per discriminare i gruppi filogenetici
e’ stata utilizzata una multiplex PCR, infine REP-PCR ed ERIC-PCR sono state eseguite su tutti gli
stipiti e le immagine dei gel ottenuti dalle corse elettroforetiche sono state analizzate mediante
l’impiego del software BioNumerics.
Per quanto riguarda la diffusione di fattori di virulenza, i nostri risultati hanno mostrato le seguenti
frequenze: 85% fimA, 57.5% sfa, 52.5% cnf1, 37.5% pap, 37.5% iutA, 27.5% hly, 7.5% cdt and
2.5% afa. L’analisi filogenetica ha mostrato che il 65% degli isolati apparteneva al gruppo
filogenetico B2, il 10% al gruppo D, il 15% a B1 e il 10% al gruppo A. Le PCR REP ed ERIC
hanno permesso di distinguere i batteri in due cluster principali, uno corrispondente ai gruppi
filogenetici B2 e D, l’altro in cui rientravano i gruppi A e B1.
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Pagina 130 di 288
MIGLIORAMENTO DELLE PROPRIETÀ CATALITICHE DELLA CATECOLO 1,2
DIOSSIGENASI E SUA IMMOBILIZZAZIONE PER UN’APPLICAZIONE AMBIENTALE
R. Caglio1, F. Valetti1, C. Micalella2, S. Bruno2, A. Mozzarelli2, E. Pessione1, C. Giunta1
1
Dipartimento di Biologia Animale e dell’Uomo, Università degli Studi di Torino, Italia.
2
Dipartimento di Biochimica e Biologia Molecolare, Università degli Studi di Parma, Italia.
Le diossigenasi sono enzimi con ruolo rilevante nei processi di degradazione di composti tossici
derivanti sia dagli inquinanti di origine industriale sia dall’uso di fertilizzanti, erbicidi e pesticidi.
La catecolo 1,2 diossigenasi (C1,2O) è un enzima prodotto dal batterio Acinetobacter radioresistens
S13, in grado di promuovere la scissione dell’anello aromatico del catecolo e liberare acido cis-cis
muconico. Al fine di ampliare la capacità dell’enzima di riconoscere substrati più tossici quali
catecoli con residui alchilici e diclorurati, si sono applicate delle tecniche di mutagenesi sito
specifica e random mutagenesi ottenendo 8 mutanti (L69A, L69G A72G, A72S, A72T, A72G,
A72P, A72D e A72N). I mutanti della posizione 69 presentano un’inversione di specificità verso il
4-clorocatecolo (abbassamento della KM di un fattore 20 rispetto al catecolo) e il riconoscimento di
un nuovo composto il 4,5- diclorocatecolo. Inoltre il mutante L69A ha acquisito la capacità di
riconoscere il 4-terz-butilcatecolo, un contaminante nocivo nella preparazione dei cosmetici la cui
presenza è regolamentata da un decreto della Comunità Europea. Le mutazioni della posizione 72
conferiscono una maggiore affinità per i composti clorurati1.
Nell’ottica di trovare un’applicazione ambientale, la C1,2O wt ed alcuni mutanti (L69A, A72G,
A72S), più promettenti per il riconoscimento di clorocatecoli, sono stati immobilizzati in gel di
silossano; le proprietà catalitiche sono state analizzate e paragonate a quelle degli enzimi in
soluzione. Si sono utilizzate due miscele di gel, il tetrametilortosilicato e l’ormosile che differiscono
per la capacità di legare molecole più idrofobiche. I risultati ottenuti dimostrano come l’ormosile
riesca a stabilizzare l’enzima aumentando considerevolmente la sua capacità catalitica2,3. Maggiori
informazioni si otterranno a breve dalla risoluzione della struttura cristallografica degli enzimi.
Bibliografia
1
R. Caglio, F. Valetti, P. Caposio, G. Gribaudo, E. Pessione, C. Giunta, ChemBioChem, 2009, 10,
1015-1024.
2
R. Caglio, C. Giunta, E. Pessione, F. Valetti, S. Bruno, C. Micalella, A. Mozzarelli, Domanda di
brevetto depositata alla Camera di Commercio di Torino in data 09/02/2009 numero
TO2009A000082.
3
C. Micalella, S. Bruno, A. Mozzarelli, R. Caglio, F. Valetti, E. Pessione, C. Giunta, 2009 (article
submitted)
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Pagina 131 di 288
ISOLAMENTO DI CEPPI BATTERICI DA PRODOTTI AGRO-ALIMENTARI
PIEMONTESI CON ATTIVITA’ ANTAGONISTA VERSO MICRORGANISMI
PATOGENI E ALTERANTI
Dal Bello Barbara, Rantsiou Kalliopi, Ambrosoli Roberto, Zeppa Giuseppe, Cocolin Luca
Di.Va.P.R.A - Settore di Microbiologia agraria e Tecnologie alimentari, Facoltà di Agraria,
Università di Torino.
I batteri lattici sono i principali microrganismi coinvolti nella produzione di molti alimenti
fermentati. Essi contribuiscono alla salvaguardia delle caratteristiche nutritive degli alimenti e
possono inibire la crescita di batteri patogeni ed alteranti. Questa inibizione è dovuta alla
produzione di alcuni metaboliti come acidi organici (acido lattico e acetico), acqua ossigenata e
diacetile, o attraverso la produzione di molecole proteiche di sintesi ribosomiale ad attività
antimicrobica come le batteriocine. La famiglia delle batteriocine comprende un’ampia gamma di
proteine che si differenziano in termini di dimensioni, struttura chimica, cellule target, modalità di
azione e meccanismi immunitari indotti. La loro produzione è effettuata indifferentemente da batteri
Gram-positivi e Gram-negativi. Negli ultimi anni su queste sostanze a spiccata attività
antimicrobica si è focalizzata l’attenzione soprattutto per il loro possibile utilizzo sia in campo
clinico che in quello alimentare. In campo alimentare le batteriocine possono essere utilizzate come
bio-conservanti per controllare e contenere popolazioni batteriche indesiderate, responsabili di
intossicazioni e/o deterioramento della matrice alimentare.
Lo studio qui presentato ha riguardato l’ecologia microbica di prodotti fermentati piemontesi
(formaggi e prodotti a base di carne) cui è seguito l’isolamento e la caratterizzazione di batteri con
attività antagonista nei confronti di microrganismi patogeni e/o alteranti dei prodotti alimentari, tra
cui Staphylococcus aureus, Escherichia coli O157:H7, Clostridium tyrobutyricum, Listeria
monocytogenes, Salmonella enteritidis e Brochotrix thermosphacta. Sono stati isolati e
caratterizzati 104 ceppi produttori di batteriocine di cui 41 con attività inibente nei confronti di
Staphylococcus aureus ATCC® 6538™, 32 verso Brochotrix thermosphacta ATCC® 11509™, 27
verso Listeria monocytogenes e 4 verso Clostridium tyrobutyricum DSM 2637. Considerando
l’elevato potenziale applicativo delle batteriocine, l’approfondimento della ricerca riguarderà il
futuro utilizzo dei ceppi attivi come starters o co-starters in differenti produzioni alimentari.
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POTENZIALITÀ APPLICATIVE DI SUPERNATANTI CONCENTRATI DI COLTURE
LATTICHE PER L’INIBIZIONE DI ALCUNI PATOGENI DI INTERESSE
ALIMENTARE
FerriniA.M*., Aureli P*. , Pontieri E.**, De Paolis L.**,Oliva B.**
* Istituto Superiore di Sanità; Dip. Sanità Pubblica Veterinaria e Sicurezza Alimentare; Rome, Italy
**Università degli Studi dell’Aquila; Dip. Medicina Sperimentale; L’Aquila, Italy
Da lunga i batteri lattici (LAB) sono utilizzati nell’industria alimentare nella preparazione e
conservazione dei prodotti alimentari fermentati ed inoltre, recentemente, hanno ricevuto ulteriore
attenzione per i loro effetti benefici sulla salute.
Al fine di verificare l’applicabilità di tali microrganismi - in qualità di conservanti naturali - anche
nella preparazione alimenti non fermentati, è stato saggiato l’ effetto inibente di supernatanti
concentrati su specifici microrganismi di interesse alimentare (patogeni e non patogeni) mediante
metodo di diffusione in agar. I surnatanti, selezionati per la maggiore attività antibatterica, sono
stati testati per la loro capacità di inibire o rallentare la crescita in coltura in brodo di differenti
microrganismi test (tra cui S.aureus, E.coli, Salmonella typhimurium e Salmonella enteriditis)
mediante conta delle C.F.U.con e senza aggiunta dei supernatanti concentrati (5X incoltura) ottenuti
mediante liofilizzazione
I supernatanti di Lactococcus garviae ISS19 and Lactobacillus casei ISS51 sono stati in grado di
produrre una riduzione di 3 Lg in 4 h su colture in brodo di Salmonella typhimurium e S.entiritidis a
10°C e rispettivamente in 48-4 ore in latte a 10°C. Colture in brodo di E.coli a 10°C sono ridotte di
4 lg in 8 h . S.aureus enterotossigeno risulta nel latte per 24h a 30°C e o per 21 giorni a 10 °C.
L’attività antimicrobica non è risultata correlata a pH, produzione di acido e perossido di idrogeno.
Questi risultati suggeriscono una possibile applicazione nell’industria alimentare dei surnatanti
concentrati di colture lattiche (bio-conservanti) per prodotti alimentari non fermentati
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RUOLO DI CAGA, VACA E HSPB DI HELICOBACTER PYLORI NELLA
MODULAZIONE
DELLA
RISPOSTA
INFIAMMATORIA
E
NELLA
TRASFORMAZIONE NEOPLASTICA DI CELLULE GASTRICHE UMANE.
Silvestri F, Buommino E, °Manente L, Brancato V, Petrazzuolo M, °De Luca A., Tufano M.A.
Dipartimento di Medicina Sperimentale, Sezione di Microbiologia e Microbiologia Clinica,
°Dipartimento di Medicina Pubblica, Clinica e Preventiva. Facoltà di Medicina e Chirurgia,
Seconda Università degli Studi di Napoli
L’infezione di Helicobacter pylori è la causa più frequente di gastrite, ulcera peptica e
adenocarcinoma gastrico nel mondo. Studi epidemiologici hanno dimostrato un rischio sei volte
maggiore di sviluppare adenocarcinoma in pazienti infettati da H. pylori, suggerendo un legame tra
le infezioni gastriche croniche da H. pylori e sviluppo di carcinoma gastrico. H. pylori ospita geni di
virulenza, come CagA, VacA, HspB. Nostre ricerche preliminari hanno evidenziato che l’overespressione di due proteine, CagA ed HspB, trasfettate in cellule gastriche AGS, è in grado di
influenzarne la crescita cellulare inducendo proliferazione del ciclo cellulare attraverso un aumento
della fase S-G2-M. Inoltre, abbiamo osservato, con lo stesso modello sperimentale, che l’overespressione di VacA induce un aumento dell’apoptosi in cellule gastriche.
Scopo della ricerca è stato di analizzare il ruolo svolto dai geni CagA, VacA e HspB, trasfettati
in cellule epiteliali gastriche AGS singolarmente ed in diverse combinazioni tra loro,
nell’attivazione della risposta infiammatoria e nella espressione differenziale delle varie citochine
coinvolte nei processi infiammatori. Inoltre, è stato valutato se le proteine VacA, CagA e HspB
possono influenzare la capacità migratoria delle cellule epiteliali gastriche AGS, accelerando il
processo metastatico.
L’analisi della risposta infiammatoria nelle cellule AGS trasfettate con i tre geni di H.pylori , è
stata valutata mediante RT-PCR. I risultati mostrano un aumento dell’espressione delle citochine
pro-infiammatorie IL8 e IL1β, del gene della osteopontina OPN, noto marker tumorale, e del fattore
proangiogenico VEGF, nelle cellule trasfettate con la combinazione dei tre geni rispetto alla doppia
e singola trasfezione. Inoltre, il saggio di chemiotassi ha evidenziato una maggiore capacità
migratoria delle cellule con tripla trasfezione rispetto a quelle con doppia e singola trasfezione.
Tali risultati mostrano un’azione additiva delle tre proteine nell’indurre una risposta
infiammatoria, nell’attivare l’angiogenesi e la migrazione di cellule AGS. Questa ricerca porrà le
basi per uno studio più approfondito dei pathway molecolari in cui sono coinvolte tali proteine allo
scopo di individuare terapie geniche mirate.
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LIPOLYTIC ACTIVITY DETECTION AND LOCALIZATION IN ACINETOBACTER
RADIORESISTENS S13
Riva Violetta M.1, Riedel K.2, Fattori P., Mazzoli R.1 Giuffrida G.3, Giunta C. 1,Pessione E 1.
1
Università di Torino, Lab. Biochimica e Proteomica dei microrganismi (DBAU)
2
University of Zurich, dep. of Microbiology
3
CNR-ISPA Bioindustry park Canavese
A. radioresistens S13 is able to degrade aromatics and therefore is very interesting for
bioremediation processes. This genus is known in the literature for its ability to synthesize lipases
belonging to the subfamily I.1, water-soluble enzymes catalyzing hydrolysis of ester bonds in
water-insoluble lipid substrates. The lypolitic activity could play an important role in the release of
a surface-bound glycoprotein (Alasan) with surfactant activity in the extracellular enviroment. This
glycoprotein can improve bioavailability and intracellular uptake of very hydrophobic substrates
such as Phenol and Benzoate.
The aim of the study was to investigate the production and the localization of lypolitic enzymes and
to characterize the substrate selectivity.
To evaluate the production of lipases the bacteria was grown on plates using several lipidic
substrates (tributyrin, egg-yolk emulsion and Tween 80); only tributyrin was hydrolyzed suggesting
an esterase activity. This result was also confirmed by the API ZYM® semi-quantitative
micromethod system which revealed two esterasic activities: esterase C 4 and an esterase-lipase C8.
In order to find out the localization of the esterase activity, samples coming from different
subcellular fractions (intracellular, membrane and extracellular) were tested by a zymogram
associated to monodimensional electrophoresis gels.
The bacteria was grown on Luria Bertani medium, the cells harvested in the middle of the
exponential phase to avoid intracellular contaminations in the supernatants. The supernatants were
filtered and concentrated before loading on SDS-page. The pellet resuspended in a Tris-HCl buffer
and cells broked using a French press. The intracellular fraction was separated by the membranes by
high speed centrifugation. The soluble membrane extracts were prepared by treatment of the cell
debris pellet with SDS. The samples coming from the intracellular, membrane and extracellular
fractions were loaded on a SDS-page in double in order to perform a zymogram. One gel was
stained with Comassie brilliant blu and the other incubated with MUF-butyrate in DMF after the
rinaturation by whashing with isopropanol. Esterase activity was detected in both the intracellular
and membrane fractions but not in the extracellular compartment.
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ARGININE MODULATION OF BIOGENIC AMINE PRODUCTION IN LACTIC ACID
BACTERIA
1
C. Lamberti, 1M. Purrotti, 1A. Pessione, 1M. Dufour, 2J.D. Coisson, 3V. Laroute, 1C. Giunta and 1E.
Pessione.
1
Dipartimento di biologia Animale e dell'Uomo, Università di Torino. Torino
2
Dipartimento di Scienze dell'Ambiente e della Vita. Università del Piemonte Orinetale. Novara
3
Laboratoire Biotechnologie-Bioprocédés- INSA Toulouse. Toulouse. France.
Lactic Acid Bacteria (LABs) are microaerophylic Gram-positive microorganisms involved in
several industrial processes like fermented food production. They lack the ability to biosynthesise
heme, so the can't obtain metabolic energy by respiration without external heme supplementation.
For these reasons they have developed alternative strategies to complementate glycolysis in energy
production. Among these systems the best known are the PLP- or pyruvoyl-dependet
decarboxylation of amino acids and the ADI (Arginine deiminase) pathway. In this work we tried,
by means of a proteomic approach, to understand whether these two metabolic pathways can go on
in parallel, as a global response to high energy requirement, or if competitive interactions among
them occur. To gain this goal we worked on two different LABs: Lactobacillus hilgardii ISE 5211
able to decarboxylate histidine into histamine and Lactococcus lactis NCDO 2118 able to produce
γ-aminobutyric acid (GABA) from glutammic acid. Both strains are reported in literature as able to
perform ADI pathway. we analyzed both cytosolic and membrane districts for L.lactis and only
cytosolic proteins for L.hilgardii. We set up comparative proteomic experiments based on twodimensional electrophoresis followed by mass spectrometry identification (MALDI and ESI). We
observed an up-regulation of histidine decarboxylase in presence of precursor amino acid, in
L.hilgardii; on the contrary, glutamate decarboxylase was not expressed in a significantrly different
ratio among the two conditions in L.lactis either in cytosolic or membrane extracts. We also
observed a down-regulation of ADI pathway enzymes and glycolitic enzymes in the stimulted
conditions in both strains. The overall results suggest a biosynthetic control exerted by the precursor
amino acids on histidine decarboxylase in L.hilgardii and a catalytic control on L.lactis glutamate
decarboxylase. Furthermore the modulation exerted by both glutamate and histidine on ADI
pathway and glycolisis underline that a competition among these energy producing pathways
eixists.
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Pagina 136 di 288
SELECTION OF OMEGA-OXIDANT STRAINS ON ALIPHATIC SUBSTRATES TO
OBTAIN BIOPOLYMERS FROM WASTE.
Zapponi M.1, Fattori P.1, Mazzoli R.1, Riva Violetta M.1, Pessione E.1, Cocolin L.2 and Giunta C.1
3. Università degli Studi di Torino, Lab. Proteomica e Biochimica dei Microrganismi, DBAU
4. Di.Va.P.R.A., via Leonardo daVinci 44, 10095 Grugliasco, Italy.
Polyesters find application in a number of commercial products such as bottles, sheets, films, fibres,
adhesives, resins, plasticizing and lubricating agents. To overcome limitations of synthetic
polyesters, biodegradable polyesters may be obtained from vegetable oils, a renewable source of
supply of fatty acids (FA) representing an interesting substrate thanks to their large availability,low
cost, and biodegradability. However, to make FA suitable to polycondensation, a second chemical
function is needed besides the carboxyl group. This implies a terminal or subterminal oxidation to
produce dicarboxylic (D) or hydroxyl (H) acids from the monocarboxylic FA.
Chemical processes capable to produce dicarboxylic or hydroxyl acids starting from FA already
exist, nevertheless all these processes have intrinsic drawbacks. As a consequence, new oxidative
processes are needed, capable of introducing a second chemical function besides the carboxyl group
in natural FA.
The purpose of this study is to select microorganisms able to oxidize FA in ω position and to
maximize this reaction minimizing β-oxidation.
We selected two strains able to grow on an alkane (Nonane, decane, dodecane, hexadecane and
octadecane) as sole carbon source.
The first strain isolated is Acinetobacter radioresistens S13, a Gram negative bacterium able to
hydroxylate aromatic compounds (phenol, benzoate) and to grow on surfactants like Tween 40, 60,
80 (Pessione et al. 1997).
The second strain is a Gram positive bacillus, now under identification. It was selected from a
freeze-dried obtained from the soil surrounding an activated sludge pilot plant.
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Pagina 137 di 288
SEQUENTIAL STRATEGIES FOR OBTAINING PURE LACTIC ACID ISOMERS
STARTING FROM CELLULOSIC WASTES.
1
P. Fattori, 1R. Mazzoli, 1M. Zapponi, 1C. Giunta and 1E. Pessione.
1
Università degli Studi di Torino, Lab. Proteomica e Biochimica dei Microrganismi, DBAU
The demand of lactic acid (LA) has been considerably increasing recently, owing to the promising
applications of its polymer, the polylactic acid or polylactide (PLA), as an environment-friendly
alternative to plastics derived from petrochemicals. High biodegradability and biocompatibility of
such materials, render them particularly suitable for surgical (e.g. orthopaedic, cardiovascular and
sutures) applications. For synthesizing polylactides with adequate physical properties, it is essential
to polymerize optically pure LA: the best way to obtain optically pure LA is by microbial
fermentation, while chemical synthesis always results in a racemic mixture of LA.
LAB prove to be optimal candidates for these fermentations because of their safety and acid pH
tolerance.
The present project is aimed to set up a consolidate bio-processing for the conversion of
lignocellulosic wastes into lactic acid. Lactic acid bacteria (LAB) are among the chief sources of
lactic acid: unfortunately, natural LAB strains are not able to degrade cellulose.
Among the LAB present in the microbial collection of our laboratory, a Lactococcus lactis strain
(110A) has been selected for its ability to catabolize both xylose (the main constituent of
hemicellulose) and cellobiose (the repeating unit of cellulose) besides glucose. Heterologous
expression of the main components of the cellulosome (the protein complex responsible for
cellulose hydrolysis) of Clostridium cellulovorans in L. lactis 110A is currently underway. The aim
is to express a minicellulosome containing the minimum number of components needed for a
functional cellulase system.
At the same time a metabolic engineering approach leads us to maximize L-LA production in
L.lactis 110A. The main parameters considered where oxygenation, pH and acetate
supplementation: only this latter proved to be effective in stereoisomers selection, enhancing
production of the L-LA form.
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Pagina 138 di 288
PRELIMINARY PROTEOMIC INVESTIGATION ON METAL-CHELATING LACTIC
ACID BACTERIA
Mangiapane E1, Lamberti C1, Genovese F1, Pessione A1, Pessione E1, Giunta C1
1
University of Torino, Department of Human and Animal Biology, Via Accademia Albertina 13,
10123, Torino, Italy
Selenium (Se) is an essential dietary trace element for both humans and microorganisms. While
toxic at high concentrations, it is a required micronutrient and the recommended human intake is
about 55 μg/die. It is well known in the literature that Se deficiency is associated with various
chronic diseases including cancer. Generally, Se may be considered as an anticarcinogenic agent.
Moreover it has strong antioxidant properties that depend on its chemical form. In nature Se occurs
in four oxidation states: selenate Se(VI), selenite Se(IV), elemental selenium Se(0) and selenide
Se(-II). In proteins Se is incorporated as selenocysteine or selenomethionine: human glutathione
peroxidase, involved in the protection from oxidative stress, has a selenocysteine in its active site.
To reduce Se deficiency it’s possibile to employ some food integrators, such as yeasts or lactic acid
bacteria, able to accumulate Se and then to release it at gut level.
We focused our attention on a strain of Lactobacillus buchneri, able to over-accumulate Se during
its growth in a MRS modified medium supplemented with sodium selenite. Our purpose was to
understand, by means of comparative proteomic analysis, if Se addition could modify protein
expression causing variations in the metabolism of our strain. Two-dimensional electrophoresis
followed by MALDI-TOF/TOF mass spectrometry were performed on Lactobacillus buchneri 26
grown in a MRS medium fortified with Se (2,19 g/l of sodium selenite) and in a control condition
(same medium without Se). We analyzed cytosolic fractions in the acidic pI range (4-7). 20
differentially expressed proteins were detected comparing the two conditions: 15 up-regulated and 5
down-regulated in the stimulated condition. We divided these proteins in 7 main functional groups:
sugar, RNA and metal metabolisms, ADI pathway, transport proteins, stress proteins and other
proteins. We highlighted a general up-regulation of sugar metabolism and a down-regulation of
ADI pathway, an alternative route used by LABs to produce energy. We also observed the upregulation of a selenocysteine lyase, a specific enzyme involved in the Se insertion in proteins as
selenocysteine and of a protein translocase subunit SecA. Finally we found an up-regulation of
GroEL, a chaperonin usually involved in stress events, suggesting that Se represents a stress source
for bacteria, even when added in low amounts.
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Pagina 139 di 288
BIORECUPERO DI BENI CULTURALI: POSSIBILE IMPIEGO DI MATRICI
ORGANICHE ESTRATTE DA BATTERI CALCIFICANTI
C. Ercole, P. Bozzelli, *F. Altieri, P. Cacchio, M. Del Gallo, A. Lepidi
Dip. di B.B.A., Università degli Studi dell’Aquila, (Italy), *Dip. di Sc. Bioch., Università La
Sapienza di Roma (Italy)
In opportune condizioni, naturali e sperimentali, numerose specie batteriche, appartenenti a gruppi
tassonomici diversi, sono in grado di depositare cristalli di calcite.
La carbonatogenesi batterica, può trovare importanti applicazioni: nella protezione e
consolidamento di monumenti lapidei e del patrimonio in terra cruda, nel biorisanamento di falde
acquifere, nella coibentazione di pozzi petroliferi; infine essa può intervenire negli equilibri interni
alla trasformazione della CO2 che controllano l’effetto serra.
L’impiego di tali batteri, denominati calcinogeni, su manufatti artistici di natura calcarea degradati,
permette di operare un riconsolidamento bioindotto, ricostruendo la matrice minerale del manufatto
tramite la deposizione di strati di materiale neogenico a struttura simile a quella della pietra.
Sono riportati diversi casi di applicazione biotecnologica dei batteri calcificanti su superfici calcaree
degradate.
Nel nostro laboratorio stiamo sviluppando un nuovo approccio d’intervento che esclude l’utilizzo
delle cellule vive e fa uso di matrici cellulari estratte da ceppi batterici calcificanti.
I microrganismi utilizzati in questo lavoro derivano da campionamenti effettuati nelle Grotte di
Stiffe (L’Aquila), tra questi sono stati selezionati due ceppi batterici: Bacillus firmus e Nocardia
calcarea.
Tali ceppi microbici crescono come biofilm di cellule adese a supporti e come tali agiscono da
centri di nucleazione per la formazione di cristalli di calcite, tenuti insieme da una matrice mucosa.
I batteri sono stati fatti crescere in mezzo di coltura con e senza ioni calcio, quindi sono state isolate
sostanze esopolimeriche capsulari (EPS), e polisaccaridi capsulari (CPS); tali frazioni cellulari sono
state caratterizzate e utilizzate per verificare l’efficacia di ognuna quale fattore di nucleazione di
cristalli di calcite in vitro.
Studi condotti al SEM dimostrano che i cristalli depositati sono strettamente legati alle matrici
organiche. Alcune proteine isolate da tali matrici e prodotte da entrambi i ceppi batterici, sono
sovraespresse o inducibili quando i ceppi sono coltivati su mezzi di coltura contenenti ioni calcio.
Attualmente stiamo isolando e caratterizzando le suddette proteine. Ciò consentirà di chiarire le loro
funzioni e sviluppare una nuova tecnologia che permetta, mediante l’applicazione in situ, il
consolidamento e il ripristino delle superfici degradate dei manufatti lapidei.
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Pagina 140 di 288
ANALISI GENOMICA E FENOTIPICA DEL METABOLISMO DEI BETA-GLUCOSIDI
IN PNEUMOCOCCO
Mulas Laura1, Stefania Arioli2, Diego Mora2, Enrico Tatti3, Carlo Viti3, Gianni Pozzi1, Marco R.
Oggioni1
1
Lab. Microbiologia Molecolare e Biotecnologia, Dip. Biologia Molecolare, Università di Sien.
2
DiSTAM, sez. Microbiologia Industriale, Università di Milano
3
Dipartimento di Biotecnologie Agrarie, Università di Firenze
Streptococcus pneumoniae è capace di utilizzare un’ampia varietà di carboidrati come fonte di
carbonio. L’analisi dell’informazione genomica nei diversi ceppi di pneumococco ha rivelato un
alto grado di variabilità nei phosphoenolpyruvate transport systems (PTS), sistemi responsasbili
dell’uptake degli zuccheri.
La valutazione della capacità di fermentare 44 carboidrati diversi da parte dei 26 ceppi di
pneumococco con genoma sequenziato, ha mostrato un’ampia variabilità nell’utilizzo dei betaglucosidi e degli alpha-galattosidi.
L’utilizzo di ceppi wild-type, di mutanti nei sistemi PTS e di ceppi complementati ha permesso di
caratterizzare il trasporto, il metabolismo dei beta glucosidi e la loro regolazione. I dati mostrano
che cellobioso, arbutina, amigdalina e gentibioso sono trasportati dal medesimo PTS, mentre l’uptake della salicina e dell’acido ialuronico è a carico di altri sistemi. Confrontando la capacità di
formare acido, le curve di crescita e la formazione di ATP e NADH in presenza di diversi substrati
abbiamo potuto definire una serie di parametri per valutare l’utilizzo metabolico e la repressione da
catabolita. Questi dati indicano come carboidrati trasportati dallo stesso sistema possono avere
effetti diversi sulla regolazione genica e sul metabolismo centrale.
Studi epidemiologici hanno indicato un’associazione tra l’operone dei betaglucosidi ed il carriage.
Per valutare questa ipotesi siamo partiti da un ceppo privo dell’operone per i betaglucosidi ed
abbiamo isolato un ceppo isogenico utilizzando la capacità di metabolizzare questi zuccheri come
sistema di selezione. Esperimenti in vivo con il ceppo wild type ed il suo mutante isogenico hanno
mostrato che la presenza dell’operone non influenza il carriage oltre il 4 giorno dalla colonizzazione
e che la sua presenza era sempre correlata negativamente durante la colonizzazione del nasofaringe
per più di una settimana.
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Pagina 141 di 288
ADESIONE BATTERICA SU DIVERSI POLIETILENI PROTESICI IN RELAZIONE
ALLE SPECIFICHE PROPRIETÀ CHIMICO-FISICHE DEGLI STESSI
Valeria Allizond, Giuliana Banche, Michele Boffanoa, Alessandro Bistolfia, Elena Brach Del
Prevera, Pierangiola Braccob, Janira Roana, Narcisa Mandras, Vivian Tullio E Anna Maria Cuffini
Dipartimento di Sanità Pubblica e Microbiologia, Università degli Studi di Torino
a
Dipartimento di Ortopedia, Traumatologia e Medicina del Lavoro - AO CTO/Maria Adelaide,
Università degli Studi di Torino
b
Dipartimento di Chimica IFM, Università degli Studi di Torino
In chirurgia ortopedica la maggior parte delle protesi utilizzano come superficie articolare un
inserto in polietilene ad altissimo peso molecolare (UHMWPE), caratterizzato da ottime proprietà
chimico-fisiche e meccaniche. La capacità batterica di aderire ad un biomateriale, formare colonie
di biofilm e disseminare a distanza in forma planctonica, oggi inizia a dare ragione a molte malattie
di tipo cronico, ma soprattutto si è visto che con tale meccanismo i batteri competono per la
colonizzazione sia dei tessuti sia degli impianti protesici. I fattori favorenti l’adesione batterica sui
biomateriali utilizzati in ortopedia sono la rugosità della superficie, l’idrofilia e la carica elettrica,
parametri variabili a seconda dei materiali usati nel corso dell’intervento e ciò spiega la loro
differente sensibilità alle infezioni. Lo scopo di questo studio è stato quello di valutare l’eventuale
diversa capacità adesiva di due ceppi di Staphylococcus epidermidis (ATCC 35984 produttore di
biofilm e ATCC 12228 non produttore di biofilm), su vari tipi di polietilene protesici (UHMWPE
tradizionale, ossidato e stabilizzato con vitamina-E) per diversi tempi di incubazione, supponendo
che una diversa superficie del biomateriale corrisponda ad una diversa adesività da parte dei batteri
stessi. Per quanto riguarda lo S. epidermidis produttore di biofilm, i dati relativi alle cariche
batteriche riscontrate sui biomateriali, riferibili al confronto tra l’UHMWPE tradizionale, ossidato e
quello stabilizzato con vitamina-E, mostrano per quest’ultimo valori decisamente inferiore rispetto a
quelli ottenuti per gli altri due biomateriali saggiati. Al contrario, confrontando i dati relativi agli
stafilococchi non produttori di biofilm, non emergono differenze significative tra i tre materiali
protesici. Questi risultati preliminari suggeriscono che l’UHMWPE stabilizzato con vitamina-E
potrebbe, quindi, essere un valido biomateriale innovativo nell’ambito della chirurgia ortopedica in
ragione delle sue proprietà antiossidanti e della minor capacità adesiva da parte dei batteri.
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Pagina 142 di 288
MECCANISMI MOLECOLARI COINVOLTI NELL’INTERAZIONE TRA P.fluorescens
AF181 E CELLULE A549
Fusco A, Donnarumma G, Paoletti I, , Metta G, Tufano MA
Dipartimento di Medicina Sperimentale, Sezione di Microbiologia e Microbiologia Clinica, Facoltà
di Medicina e Chirurgia, Seconda Università degli Studi di Napoli
L’interazione dei batteri patogeni con le cellule umane è solitamente un passaggio essenziale nel
processo d’ infezione.L’invasione intracellulare di numerosi batteri patogeni è stimolata dal legame
tra il microrganismo e alcune delle proteine della matrice extracellulare, come la vitronectina o la
fibronectina, e dalle integrine, loro recettori naturali. Le integrine sono una classe di recettori
eterodimerici transmembranari, costituiti da due subunità, alfae beta, di natura glicoproteica. La
stimolazione delle integrine dovuta al legame col ligando è tradotta in una varietà di segnali
intracellulari che consistono, almeno in parte, in riarrangiamenti del citoscheletro e attivazione delle
tirosin chinasi.
Pseudomonas fluorescens, specie strettamente correlata al patogeno opportunista P. aeruginosa, è
un bacillo Gram-negativo ambientale, isolato in ambiente ospedaliero, da acque e disinfettanti o
dalle superfici di strumentazioni mediche, e capace di moltiplicarsi durante la conservazione a
freddo di campioni di sangue, tanto da essere ritenuto responsabili di setticemie post-trasfusionali.
In questo studio, utilizzando cellule epiteliali polmonari di linea A549, è stato analizzato il
coinvolgimento di integrine, quali alfavbeta5, alfavbeta3 e alfavbeta1, nel processo di adesione di
P. fluorescens AF181. La modulazione delle singole catene integriniche è stata valutata mediante
real time PCR, e confermata mediante western blot e immunoprecipitazione. Inoltre, utilizzando
specifici inbitori, quali genestein (inibitore delle tirosin chinasi) e citocalsina D (inibitore della
formazione del citoscheletro) è stato valutato anche l’eventuale coinvolgimento del citoscheletro e
delle tirosin chinasi nel processo di adesione e invasione di P. fluorescens. A tal fine, monostrati
semiconfluenti di A549, sono stati pretrattati con gli specifici inbitori e successivamente infettati
con P. fluorescens AF181. La capacità adesiva ed invasiva è stata valutata mediante conta di unità
formanti colonie (CFU). I dati ottenuti, indicano che alfavbeta5 è il dimero integrinico coinvolto
nell’interazione di P. fluorescens AF181 con le A549; inoltre i nostri risultati suggeriscono che l’
interazione microrganismo/cellula ospite induce modificazioni citoscheletriche e attivazione delle
tirosin chinasi.
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Pagina 143 di 288
IL BIOFILM PRODOTTO DA BURKHOLDERIA CEPACIA COMPLEX NELLE
INFEZIONI POLMONARI CRONICHE DI PAZIENTI AFFETTI DA FIBROSI CISTICA
Corich L., Furlanis L., Dolzani L., Tonin E., Lagatolla C.
Dipartimento di Scienze della Vita, Università degli Studi di Trieste
Dagli anni ’80 i microrganismi appartenenti al Burkholderia cepacia complex (Bcc) sono stati
annoverati tra i patogeni rilevanti di pazienti affetti da fibrosi cistica. Nell’epitelio polmonare di tali
pazienti, la maggior parte dei microrganismi si trova in una condizione sessile che si sviluppa
all’interno di biofilm. Nel 1999 abbiamo iniziato uno studio epidemiologico in collaborazione con il
Centro per la Fibrosi Cistica del Friuli-Venezia Giulia per caratterizzare i ceppi di Bcc isolati
dall’espettorato dei pazienti afferenti a tale centro. Si è valutata la loro capacità di produrre
esopolisaccaridi (EPS), principali costituenti della matrice del biofilm. Coltivati in diversi terreni,
molti ceppi evidenziavano eterogeneità tra gli EPS prodotti, a differenza di precedenti studi che
indicavano il cepaciano come l’unico EPS presente.
Abbiamo analizzato la produzione di biofilm di isolati di Bcc, in funzione della loro capacità di
produrre EPS. Risultati preliminari indicano un ruolo marginale del cepaciano nella formazione del
biofilm: non si sono riscontrate differenze significative tra l’isolato BTS7, buon produttore di
cepaciano, e i suoi derivati BTS7C e BTS7E, ottenuti mediante transposon mutagenesis, incapaci di
produrre cepaciano. Questo risultato ha stimolato l’inizio di un’indagine per identificare la
produzione, da parte di questa specie batterica, di EPS diversi a seconda che cresca all’interno del
biofilm oppure allo stato planctonico.
Un altro risultato preliminare interessante riguarda il cambiamento nella capacità di produrre
biofilm da parte di un altro isolato clinico, BTS2, che risulta ottimo produttore nel prelievo del
2000 mentre mostra una significativa diminuzione di tale capacità a distanza di anni. Tale riduzione
non sembra associata alla mancanza dei fattori richiesti per l’adesione iniziale alla superficie, in
quanto la produzione di biofilm nelle prime 8 ore risulta pressoché la stessa. Si prevede di
investigare i fattori responsabili della modificazione fenotipica identificata seguendo
contemporaneamente, in collaborazione con i clinici, eventuali modificazioni dello stato del
paziente, per ottenere informazioni sull’importanza della produzione del biofilm nell’evoluzione
dell’infezione in senso acuto oppure nel mantenimento dello stato cronico.
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CONTROLLO DELLA CRESCITA E FORMAZIONE DI BIOFILM SU FILM
POLIMERICI CONTENENTI NISINA.
Antonia Nostro1, Manuela D'Arrigo1, Roberto Scaffaro2, Giovanna Ginestra1, Luigi Botta2,
Andreana Marino1 e Giuseppe Bisignano1
1
Dipartimento Farmaco-Biologico, Università degli Studi di Messina,
2
Dipartimento di Ingegneria Chimica dei Processi e dei Materiali, Università degli Studi di
Palermo.
I film polimerici, noti per le loro applicazioni in campo biomedico, alimentare e industriale, sono,
tuttavia, facili alla colonizzazione batterica. Creare film contenenti molecole antibatteriche che
permettano il controllo della crescita e adesione batterica rappresenta una tematica di grande
attualità. La nisina è un polipeptide naturale con documentata efficacia nei confronti di batteri
Gram-positivi. Tuttavia, poco si conosce sulla sua attività quando adsorbita o incorporata in un film
polimerico. Lo scopo di questo studio è stato quello di valutare l'effetto di polimeri di etilene
contenenti nisina sulla crescita e formazione di biofilm. A tal fine sono stati studiati copolimeri di
etilene e acido acrilico (EAA) trattati in soluzione acquosa di nisina in ambiente acido e basico e
copolimeri di etilene e vinilacetato (EVA) trattati mediante incorporazione della nisina (1%-0,1%)
nella matrice durante un’operazione di filmatura in bolla. L'attività antibatterica dei films (1 cm2) è
stata valutata su Staphylococcus epidermidis ATCC 35984, S. epidermidis ATCC 12228, S. aureus
815 e Listeria monocytogenes ATCC 7644 mediante prove di diffusione in terreno agarizzato e
quantificazione della crescita espressa come densità ottica. La produzione di biofilm è stata rilevata
collocando i tasselli in TSB inoculato con i ceppi in esame e valutando alle 24 ore il biofilm
formato mediante colorazione della biomassa con safranina 0,1% e successiva solubilizzazione in
acido acetico 30% (v/v) e mediante colorazione fluorescente differenziale delle cellule vive/morte
(Live/Dead Kit). Gli studi sono stati completati mediante osservazione della morfologia dei films
(SEM) e misure delle proprietà di superficie.
Le prove di diffusione hanno evidenziato una leggera attività per i polimeri EAA e EVA contenenti
nisina 1% nei confronti di L. monocytogenes, aloni di inibizione di 11±0,5 mm, ed una generale
riduzione della crescita del 5-15% nei confronti dei batteri studiati. Di rilievo è, invece, l’effetto dei
films EVA contenenti nisina sulla formazione di biofilm. Sono state registrate, infatti, riduzioni del
70%, 40% e 30% della biomassa per S. epidermidis, S. aureus e L. monocytogenes rispettivamente.
I films EAA non hanno mostrato attività inibente il biofilm. Tali risultati sono stati confermati dalle
immagini al microscopio a fluorescenza.
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COMPORTAMENTO ADESIVO DI STAFILOCOCCHI COAGULASI NEGATIVI
ISOLATI DA FORMAGGI ITALIANI
L. Selan (1), R. Papa (1), C. Avanzolini (1), A. Cellini (1), E. Mileto (1), T. Bertuccio (2), V. Cafiso
(2), S. Stefani (2), P. S. Cocconcelli (3), M. Artini (1) G. L. Scoarughi (1)
1) Università degli Studi La Sapienza, Roma
2) Università degli Studi di Catania, Catania
3) Università Cattolica, Piacenza
Scopo: Gli stafilococchi coagulasi negativi (CNS) sono saprofiti della cute e delle mucose degli
animali a sangue caldo e dell’uomo, ma possono essere isolati anche da materiale alimentare, come
carne, formaggio e latte (1). Durante la caseificazione del formaggio, la maggior parte dei ceppi con
un riconosciuto valore tecnologico coinvolti in reazioni favorevoli per la formazione del gusto e
dell’aroma appartengono a specie di CNS. In particolari circostanze, alcuni CNS possono tuttavia
comportarsi come patogeni (2). Per esempio S. saprophyticus, una specie ubiquitaria nell’ambiente,
può causare infezioni acute del tratto urinario.
È stato studiato il comportamento adesivo di CNS isolati da vari formaggi, a differenti temperature
corrispondenti alla caseificazione, alla maturazione e alla temperatura dell’ospite.
Metodi: Sono stati usati 112 ceppi CNS isolati da 5 tipi differenti di formaggi italiani e 4 ceppi di
riferimento. La crescita planctonica e la formazione del biofilm è stata studiata a 8°C, 20°C e 37°C.
Le proteine di superficie di alcuni ceppi selezionati sono state separate mediante SDS-PAGE e i
pattern autolitici sono stati studiati mediante zimografia. È stato disegnato uno studio proteomico
per evidenziare proteine di superficie presenti alle differenti temperature analizzate.
Risultati: Nei 112 ceppi di CNS erano prevalenti 4 specie: S. saprophyticus, S. vitulinus, S.
equorum e S. caprae. Per ogni ceppo è stata analizzata la capacità di crescere e formare biofilm a
20°C e 37°C. Tra questi, 8 ceppi (capaci di formare biofilm a 8°C) sono stati selezionati per
ulteriori studi. È stato analizzato il pattern proteico di superficie alle varie temperature. Inoltre, è
stato effettuata un’analisi genomica del locus icaADBC e di atlE.
Conclusioni: ceppi appartenenti alla stessa specie hanno mostrato differenti proprietà di adesione;
inoltre, la temperatura ottimale per la crescita planctonica non necessariamente risultava ottimale
per la crescita nel fenotipo sessile. Le proteine di superficie e i pattern autolitici non hanno mostrato
cambiamenti rilevanti alle differenti temperature studiate. Questi pattern non mostrano correlazione
all’interno della stessa specie o con la sorgente dell’isolamento.
Bibliografia:
1
Irlinger. Int J Food Microbiol 2008;126:302.
2
Piette, et al., Vet Microbiol 2009;134:45.
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ANALISI PROTEOMICA DEL BIOFILM FORMATO DA UN CEPPO DI
STENOTROPHOMONAS MALTOPHILIA ISOLATO DA FIBROSI CISTICA
Carla Picciani,1,2 Barbara Pavone,1,2 Elena De Carolis,3 Domenico Ciavardelli,1,2 Arianna
Pompilio,1,2 Gioviana Masciarelli,1,2 Andrea
Urbani,2,4 Maurizio Sanguinetti,3 Raffaele
1,2
1,2
Piccolomini, Giovanni Di Bonaventura
1
Dipartimento di Scienze Biomediche, Università di Chieti-Pescara.
2
Centro Scienze sull’Invecchiamento, Fondazione Università di Chieti-Pescara.
3
Università Cattolica del Sacro Cuore, Roma
4
IRCCS-Fondazione Santa Lucia, Centro Europeo di Ricerca sul Cervello, Roma
Background: Stenotrophomonas maltophilia è un patogeno opportunista il cui impatto, in termini
di morbilità e mortalità, è particolarmente rilevante nei pazienti neutropenici. Recenti evidenze
cliniche indicano un costante incremento della frequenza di isolamento del microrganismo dalle vie
respiratorie di pazienti con fibrosi cistica (FC), sebbene il suo ruolo patogenetico non sia stato
ancora chiarito. Recentemente, è stata dimostrata la capacità di S. maltophilia di formare biofilm sia
su plastica che alla superficie dell’epitelio bronchiale. Obiettivo: Valutare, mediante analisi
proteomica, le differenze tra i profili di espressione proteica esibiti dalla forma sessile (biofilm) e
planctonica di un ceppo di S. maltophilia isolato da paziente FC. Materiali e Metodi: Dopo
l’estrazione e la purificazione le proteine sono state separate mediante elettroforesi 2-D. Sono stati
considerati soltanto gli spots con intensità > 1000 PPM e fold planctonico/biofilm > 3. Le proteine
differenzialmente espresse sono state quindi identificate mediante spettroscopia di massa (MALDITOF-MS) e ricerca in banca dati. Risultati: L’analisi comparativa delle mappe elettroforetiche ha
evidenziato significative differenze nel profilo proteico espresso dai due fenotipi esaminati: nel
fenotipo “biofilm” 15 proteine sono risultate iper-espresse e 31 down-espresse, rispetto alla forma
planctonica. Inoltre, 16 e 7 proteine risultavano essere espresse soltanto nel biofilm o nella forma
planctonica, rispettivamente. L’analisi funzionale degli spots di interesse rivelava la presenza di
enzimi del metabolismo (urocanato-idratasi, serina-idrossimetil-transferasi, corismato-sintasi,
isocitrato-deidrogenasi, isopropilmalato- deidrogenasi), proteine di risposta allo stress (chaperonina
dello shock termico), proteine associate alla patogenesi ed alla motilità (OmpA/MotB).
Conclusioni: Le variazioni dei profili proteici osservati nella forma libera ed in quella sessile
suggeriscono come lo sviluppo di biofilm in S. maltophilia sia probabilmente controllato da
regolazioni specifiche dell’espressione proteica. L’identificazione di proteine in grado di modulare
criticamente il processo di formazione del biofilm da parte di S. maltophilia potrebbe rappresentare
un interessante approccio per l’individuazione di nuove strategie terapeutiche in FC.
Questo studio è stato, in parte, finanziato dalla Fondazione per la Ricerca sulla Fibrosi Cistica (Progetto FFC 7/2007,
adottato da Vicenzi Biscotti Spa).
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I MATERIALI LEGNOSI UTILIZZATI NELL’INDUSTRIA LATTIERO-CASEARIA
PROMUOVONO LA FORMAZIONE DI BIOFILM DI S.AUREUS
Cafiso V1, Bertuccio T1, Spina D1, Purrello S1, Vitale S1, Carpino S2, Scoarughi GL3, Papa R3,
Cocconcelli PS4, Artini M3, Selan L3 and Stefania Stefani1
1
Dipartimento di Microbiologia, Università di Catania. [email protected] -2CoRFiLaC-Regione
Siciliana- Ragusa – Università La Sapienza, Roma – 4 Universita Cattolica, Piacenza. Italia
S.aureus, produttore di biofilm, rappresenta una importante fonte di contaminazione batterica
nell’industria alimentare ed in particolare nel settore lattiero-caseario, dove il suo isolamento è stato
riscontrato in differenti varietà di formaggio così come nelle attrezzature impiegate nella sua
produzione.
Lo scopo del nostro lavoro è stato quello di studiare la virulenza di 28 ceppi di S.aureus provenienti
dall’industria lattiero-casearia isolati dal CorFilaC-Ragusa-Latte.
Il campione in studio era isolato da latte non pastorizzato, superfici legnose di attrezzature usate per
i processi di lavorazione del formaggio e latte non pastorizzato dopo contatto con queste.
In tali ceppi, è stata analizzata la produzione di biofilm, l’agr-typing, il contenuto di adesine,
tossine e l’antibiotico-resistenza.
I saggi condotti per l’analisi del campione sono stati: 1) il saggio spettrofotometrico quantitativo per
la produzione di biofilm secondo il metodo Christensen et al.; 2) l’agr-typing mediante MultiplexPCR e ScaI-RFLP; 3) l’analisi del contenuto dei geni della virulenza (spa-cna-atl-sdrE-sdrC-fnbAclfA/B-icaA-sea-sej-sec-sed-sek-seq) mediante Multiplex-PCR; 4) i saggi di antibiotico-resistenza
(OXA-E-DA-CN-SXT-CIP-LEV-TET-RD) tramite KB secondo le linee guida del CLSI 2009.
I nostri risultati evidenziavano la presenza di ceppi produttori di biofilm tra gli isolati da superfici
legnose (80%) e da latte dopo contatto con queste (75%).
In tutto il campione, indipendentemente dal sito di isolamento, l’agr-group I era il più diffuso (75100%), mentre il 20-25% degli isolati provenienti dagli altri siti di isolamento appartenevano
all’agr-type III.
Una simile distribuzione dei geni di adesione era evidente in tutti i ceppi in studio per tutti i geni
analizzati. Si riscontrava, inoltre, una elevata diffusione dei geni codificanti le tossine sej, sec e sed,
mentre non sono erano mai presenti i geni sea, sek-seq.
Il campione in studio, infine, presentava un diffusa antibiotico-sensibilità a tutti gli antimicrobici
saggiati.
In conclusione, i nostri studi supportano l’ipotesi che i materiali legnosi utilizzati per la lavorazione
del formaggio nell’industria lattiero-casearia promuovano la produzione di biofilm da parte di ceppi
di S.aureus.
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Pagina 148 di 288
VALUTAZIONE DELL’ANTIBIOTICO RESISTENZA DI STAPHYLOCOCCUS AUREUS
IN FORMA PLANCTONICA E DI BIOFILM
Cafiso V, Bertuccio T, Spina D, Purrello S, Vitale S e Stefani S
Dipartimento di Microbiologia e Ginecologia–Università di Catania- via Androne 81–Catania
tel.095-2504742
e-mail:[email protected]
I biofilm batterici rappresentano comunità sessili e “pluricellulari” con caratteristiche metaboliche e
fisiologiche diverse dalle forme planctoniche tra cui un’aumentata resistenza agli agenti
antimicrobici con meccanismi di resistenza essenzialmente riconducibili a problemi di penetrazione
dell’antibiotico nella matrice biofilm.
Scopo del nostro lavoro è stato quello di valutare l’antibiotico-resistenza di Staphylococcus aureus
meticillino-resistente (MRSA) in forma planctonica e di biofilm di un gruppo di isolati verso
levofloxacina, linezolid, daptomicina, tigeciclina, tobramicina e rifampicina. A tale scopo, sono
state determinate, per le forme planctoniche, le MIC e le MBC secondo metodologie standard, e per
i biofilm le MBIC (Minimum-Biofilm-Inhibent-Concentration) e le MBEC (Minimum-BiofilmEradication-Concentration), modificando la metodica standard “Calgary-Biofilm-Device” (CBD).
Considerando i risultati ottenuti nei saggi planctonici, tutti gli antibiotici saggiati, ad eccezione del
linezolid, sono risultati battericidi, con valori di MIC90 sovrapponibili a quelli di MBC90.
Si evidenzia, inoltre, che la MIC90 e la MBIC90 di tigeciclina e rifampicina differiscono per una sola
diluizione, quelle di linezolid, daptomicina e tobramicina per 2 o 4 diluizioni, mentre quelle di
levofloxacina coincidono e sono pari a 16 mg/L. E’ interessante sottolineare che la MBIC90 di
tigeciclina è pari a 0.5 mg/L e quella di rifampicina è <2 mg/L.
I saggi antimicrobici sui biofilm stafilococcici maturi mostrano che i valori di MBEC90 sono più alti
di almeno due diluizioni rispetto alle MBC90 per tutti gli antibiotici saggiati. E’ da considerare,
però, che mentre la MBEC90 di daptomicina e rifampicina è pari a 16 mg/L, quelle di levofloxacina,
linezolid, tobramicina e tigeciclina risultano ≥128 mg/L.
In conclusione, il nostro lavoro dimostra come sia importante saggiare l’attività degli antibiotici nei
confronti di microrganismi organizzati in biofilm dimostrando, inoltre, come questi saggi
divengano necessari laddove l’infezione sia sostenuta da “biofilm microbici”. Inoltre, rifampicina
presenta una spiccata attività sia inibente che eradicante, mentre tigeciclina e daptomicina
presentano, rispettivamente, una buona attività inibente ed una eradicante nei confronti dei biofilm
maturi prodotti da MRSA.
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RUOLO DI CADF NEL MANTENIMENTO DELLE PROPRIETÀ ADESIVE NELLE
FORME VBNC DI CAMPYLOBACTER JEJUNI
Baffone W1., Patrone V1., Campana R1., Vallorani L2., Dominici S2., Federici S1., Casadei L3.,
Gioacchini A.M3 e Stocchi V3.
1
Dipartimento di Scienze Biomolecolari, Sezione di Scienze Tossicologiche Igienistiche ed
Ambientali;
2
Dipartimento di Scienze Biomolecolari, Sezione di Biochimica e Biologia Molecolare;
3
Dipartimento di Scienze Biomolecolari, Sezione di Scienze Motorie e della Salute.
Università degli Studi di Urbino “Carlo Bo”, Urbino
Il processo patogenetico di Campylobacter jejuni, uno dei principali agenti responsabili di infezioni
gastroenteriche, inizia con la colonizzazione del tratto intestinale mediante adesione alla superficie
degli enterociti. Fra le molecole implicate nell’adesione alla cellula ospite, importanza assume
CadF, una proteina legante la fibronectina. La conservazione della capacità di aderire alle cellule
intestinali e, quindi, di dare inizio al processo infettivo, è un aspetto ampiamente dibattuto per
questo microrganismo anche quando, in condizioni ambientali sfavorevoli, adotta strategie di
sopravvivenza entrando in uno stato vitale ma non coltivabile (VBNC). Lo scopo del presente
lavoro, pertanto, è stato quello di studiare in vitro la persistenza delle capacità adesive di ceppi di C.
jejuni indotte alla forma VBNC, e di valutare se CadF possa contribuire al processo adesivo delle
cellule non coltivabili ottenute. A questo proposito, contestualmente alla valutazione in vitro della
efficienza di adesione a monostrati di Caco-2, è stata determinata l’espressione del gene cadF
mediante una tecnica di RT-PCR. Lo studio è stato condotto su due ceppi di C. jejuni, uno di
riferimento (C. jejuni ATCC 33291) e uno di origine umana (C. jejuni 241) conservati ciascuno in
specifico microcosmo a 4°C per l’induzione dello stato VBNC e periodicamente monitorati per
valutare i cambiamenti nelle loro capacità adesive. Parallelamente è stata determinata l’espressione
del gene cadF mediante una tecnica di RT-PCR.
Oltre al mantenimento da parte dei ceppi di C. jejuni della capacità di aderire alle Caco-2, anche se
con una più modesta efficienza durante l’evoluzione verso lo stato VBNC, un frammento di 400 bp,
indicante la presenza dell’mRNA per CadF, è stato osservato nei campioni prelevati da entrambi i
microcosmi raccolti ai tempi 0, 7, 21, 35 e 46. Negli stessi campioni è stata effettuata la valutazione
dell’espressione della proteina CadF mediante elettroforesi bidimensionale. Nella mappa 2D, la
proteina CadF è stata localizzata tramite western blot utilizzando un anticorpo anti-CadF;
l’identificazione è stata confermata attraverso analisi di spettrometria di massa.
La continua amplificazione dell’mRNA per CadF durante tutto il periodo che porta all’entrata in
VBNC dimostra che il gene cadF è mantenuto ed espresso persino in questo particolare stato
fisiologico. Inoltre, la sua ricerca con metodi molecolari potrebbe risultare di grande utilità
nell’individuazione di questi batteri nell’ambiente anche in forma non coltivabile.
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Pagina 150 di 288
SIGNIFICATIVA CORRELAZIONE TRA LA PRESENZA DEI GENI ICA, LA
PRODUZIONE DI BIOFILM E LA MULTI-RESISTENZA AGLI ANTIBIOTICI DI CEPPI
DI STAPHYLOCOCCUS EPIDERMIDIS ISOLATI DA CATETERE VENOSO CENTRALE
M. Cavallo1,2, F. Pagliai1,2, M. Rinaldi1,2, S. Andreoni3, G. Fortina3 e M.G. Martinotti1,2.
1
DiSCAFF – Università degli Studi del Piemonte Orientale “A. Avogadro” (Novara); 2DFB Center
(Novara); 3Azienda Ospedaliera “Maggiore della Carità” (Novara)
La capacità di ceppi di Staphylococcus epidermidis di aderire alla superficie dei cateteri venosi
centrali (CVC) e di produrre biofilm rappresenta un importante fattore di virulenza associato ad un
significativo incremento della morbilità e mortalità, specialmente nei pazienti
immunocompromessi. Inoltre, la resistenza agli antibiotici rappresenta un ulteriore importante
fattore di virulenza nei ceppi produttori di biofilm. In questo lavoro sono stati investigati 59 S.
epidermidis isolati da CVC di differenti pazienti con lo scopo di: a) valutare la capacità di produrre
biofilm e rilevare la presenza dei geni coinvolti nella produzione di biofilm (atlE, icaADBC e aap);
b) evidenziare la presenza del gene per la resistenza all’oxacillina (mecA); c) correlare la presenza
dei geni icaADBC e la multi-resistenza agli antibiotici.
Il 51% dei ceppi di S. epidermidis sono risultati positivi per la presenza di icaADBC, circa il 90%
per aap e il 100% per atlE. La presenza di icaADBC è risultata fortemente correlata con la
produzione di slime (p-value ≤0.001). L’ottantatre percento dei ceppi è risultato mecA+; tutti i ceppi
icaADBC+, atlE+ e aap+ erano resistenti alla penicillina e circa il 90% all’oxacillina: nessun ceppo
era resistente alla vancomicina. Infine, circa il 47% dei ceppi icaADBC+ e solo il 20% degli
icaADBC- sono risultati resistenti ad almeno 5 antibiotici su 7 saggiati.
Una significativa correlazione tra la presenza di icaADBC e la produzione di biofilm suggerisce che
questi geni possono essere utilizzati come markers di virulenza dei ceppi di S. epidermidis associati
ai CVC; al contrario, i geni aap e atlE non sembrano essere candidati affidabili. La significativa
correlazione tra la produzione di biofilm e la multi-resistenza agli antibiotici sottolinea l’importanza
di questi markers per caratterizzare la virulenza dei ceppi.
Questo lavoro è stato eseguito con i fondi del progetto “Ricerca Sanitaria Finalizzata 2006”Regione Piemonte.
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Pagina 151 di 288
ANALISI DELL’ESPRESSIONE GENICA DELLE UROPLACHINE IN MODELLI PRECLINICI DI VESCICA NEUROLOGICA.
Sferra D.1, Paterniti I.3, Scarselli P.2, Genovese T.3, Aiello C1., Milasi A1 Notartomaso S.1, Cece
G.1, Di Buono M.1, Cuzzocrea S.3 and Di Marco R.1.
1
Dipartimento di Scienze per la Salute, Università del Molise - Campobasso
2
Istituto Neurologico Mediterraneo Neuromed - Pozzilli (IS)
3
Dipartimento clinico Sperimentale di Medicina e Farmacologia , Università di Messina - Messina
Le modificazioni morfo fisiologiche della mucosa vescicale secondarie a trauma midollare possono
contribuire all’instaurarsi di infezioni batteriche. Recenti dati di letteratura supportano l’ipotesi
secondo cui la discinesia vescicale conseguente alla denervazione non è l’unico elemento in grado
di favorire la colonizzazione batterica. In seguito al trauma si assiste ad un cambiamento
morfologico e funzionale dell’uroepitelio, caratterizzato da perdita superficiale delle cellule a
ombrello, rapido differenziamento delle cellule dello strato intermedio ed incremento
dell’espressione di alcune molecole di superficie, le uroplachine, le quali sembrano possano essere
coinvolte nella più frequente ricorrenza di episodi di cistite batterica tra i pazienti con lesione
midollare.
Le uroplachine (UPs) Ia, Ib, II, IIIa sono le quattro proteine transmembrana delle placche uroteliali,
che ricoprono la superficie apicale delle cellule ad ombrello e che appaiono di notevole interesse
per la loro interazione con specie batteriche uropatogene; contribuendo alla formazione del
glicocalice nell’urotelio, costituiscono una barriera fisica che respinge e previene l’invasione di
batteri nel lume urinario. Inoltre, le uroplachine 1a e 1b hanno anche importanti funzioni
immunologiche nella vescica, agendo come recettori di ceppi di E. coli uropatogeni provvisti di
fimbrie di tipo 1. Obiettivo dello studio è stato quello di verificare i livelli di espressione delle
quattro maggiori uroplachine in modelli murini di vescica neurologica e in cellule uroteliali isolate
da modelli murini di sclerosi multipla (EAE), anche al fine di monitorare la cinetica di
colonizzazione batterica conseguente a trauma midollare.
L’espressione di tutte le uroplachine nelle vesciche dei topi traumatizzati o affetti da encefalite
allergica sperimentale ha mostrato profondi cambiamenti durante il time course stabilito, riflettendo
i diversi cambiamenti morfologici a cui va incontro l’uroepitelio in seguito a danni midollari, nel
confronto con i tessuti di controllo.
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Pagina 152 di 288
RUOLO DELLA IL-17A SULLA PRODUZIONE DI IFN-γ IN CELLULE T CD4+
INFETTATE CON HELICOBACTER PYLORI.
Giovanna Stassi, Bernadette Pavone, Domenica Gazzara, Gaetano Costa, Daniela Iannello,
Adriana Arena.
Dipartimento di Discipline Chirurgiche sez. Microbiologia, Policlinico Universitario, Università di
Messina.
Helicobacter pylori è un bacillo gram negativo che può colonizzare la mucosa gastrica. I quadri
clinici successivi ad un infezione da H. pylori sono estremamente variabili. L’infezione da H. pylori
determina una marcata infiltrazione nella lamina propria della mucosa gastrica di T linfociti che
contribuiscono alla patogenesi della gastrite sintetizzando citochine di tipo Th1, come IL-12 e
IFN-γ.
Evidenze recenti hanno documentato, in corso malattie infiammatorie sostenute da microrganismi
extracellulari, la co-presenza di una popolazione linfocitaria T CD4+ caratterizzata dalla
produzione di IL-17 e chiamata per tale motivo Th17. Una risposta di tipo Th17 è documentata
anche per le gastriti da H. pylori.
Scopo del nostro progetto è quello di studiare, in un sistema in “vitro”costituito da linfociti T
CD4+ , la produzione di IL-17A e di IFN-γ allo scopo di valutare un’ eventuale correlazione della
risposta Th 1/Th 17 indotta dall’infezione con H. pylori .
I risultati ottenuti mostrano che l’infezione da H. pylori induce un significativo incremento di
produzione di IL-17A tempo dipendente, con picco di produzione alle 72 ore. Parallelamente
l’andamento della cinetica di IFN-γ mostra un picco di produzione alle 12 ore dall’infezione
seguito da un significativo decremento fino alle 72 ore. Allo scopo di capire se esisteva una
correlazione tra la produzione della IL-17A e dell’IFN-γ, in una prima serie di esperimenti abbiamo
dosato i livelli di produzione di IFN-γ sia in seguito alla neutralizzazione di IL-17A con anticorpi
monoclonali che all’addizione di IL-17A ricombinante. I risultati ottenuti in seguito alla
neutralizzazione di IL-17A mostrano un incremento della produzione di IFN-γ, mentre, l’addizione
di IL-17A ricombinante, determina un modesto decremento di IFN-γ. In un’altra serie di
esperimenti abbiamo dosato i livelli di produzione di IL-17A sia in seguito alla neutralizzazione
di IFN-γ con anticorpi monoclonali che all’addizione di IFN-γ ricombinante. I risultati ottenuti
mostravano che IFN-γ non influenza la produzione di IL-17A. In conclusione i nostri risultati
indicano che l’ infezione “in vitro” con H. pylori induce sia una risposta Th1 [IFN-γ] che una
risposta di tipo Th17 [IL17A] e che tali risposte sembrano agire in concerto nel determinare il
processo infiammatorio. Inoltre, i nostri dati suggeriscono un possibile ruolo della IL-17A nel
modulare la produzione di IFN-γdurante l’infezione da H.pylori.
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IL RUOLO DELLA PSEUDOMONAS AERUGINOSA NEL RILASCIO DI MEDIATORI
INFIAMMATORI DA PARTE DI CELLULE MONONUCLEATE UMANE
Rizzo A, Sorrentino S, Mazzola N, Paolillo R, Romano Carratelli C.
Dipartimento di Medicina Sperimentale Sezione di Microbiologia e Microbiologia Clinica Facoltà di Medicina e Chirurgia Seconda Università Studi di Napoli.
Pseudomonas aeruginosa è un patogeno opportunista che può infettare piante ed animali.
In particolare, P. aeruginosa provoca infezioni nei pazienti immunocompromessi ed è di
considerevole importanza nelle infezioni nosocomiali rappresentando un grave problema nelle unità
di cura intensiva. Durante il processo della malattia, nell’ospite le prime cellule ad essere infettate
sono i macrofagi alveolari ed i monociti (MN). Il microrganismo stimola la liberazione di una vasta
gamma di prodotti extracellulari come elastasi, fosfolipasi C, ramnolipidi, lipopolisaccaridi e lipasi,
che risultano essere importanti nella stimolazione della risposta immune cellulo-mediata.
Nel presente studio si è dimostrato che supernatanti provenienti dalla cultura batterica in fase di
crescita stazionaria risultano possedere un potente effetto proliferativo ed essere induttori di IL-23
in cellule mononucleate umane, indicando la presenza di fattori solubili coinvolti nel processo di
attivazione cellulare. Cellule U937 e MN esposti a P. aeruginosa (MOI = 20, 50, 100) mostrano un
incremento dose-dipendente della secrezione di IL-23 rispetto ai controlli. Allo stesso modo cellule
U937 e MN esposti ai supernatanti provenienti dalla cultura batterica rilasciano IL-23 ad una
concentrazione quasi simile a quella indotta da soli batteri. In aggiunta, i supernatanti provenienti
dalla cultura batterica inducono proliferazione di cellule U937 e MN, determinata mediante saggio
colorimetrico 3-[4.5-dimethyl-2.5 thiazolyl]-2.5 diphenyl tetrazolium bromide (MTT), in rapporto
alle concentrazioni usate. Le cellule U937 e MN esposte ai supernatanti ottenuti dalla cultura
batterica in presenza di hexadecylsulfonyl fluoride, potente inibitore dell’enzima lipasi, presentano
una diminuzione della proliferazione e del rilascio di IL-23 del 50% e 70%, rispettivamente, rispetto
ai controlli (supernatanti di cultura non trattati). I nostri risultati suggeriscono che i supernatanti
provenienti dalle culture di P. aeruginosa presentano fattori solubili che potrebbero intervenire
nella stimolazione della difesa dell’ospite. Ulteriori studi sono necessari per chiarire il meccanismo
mediato dalle varie molecole presenti nei supernatanti della coltura batterica ed il loro effetto sulle
cellule effettrici dell’infiammazione.
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Pagina 154 di 288
ALTERAZIONI FUNZIONALI E FENOTIPICHE DEI POLIMORFONUCLEATI NELLA
SINDROME DI SEZARY
Giuliana BANCHE, Maria Teresa FIERRO*, Mauro NOVELLI*, Valeria ALLIZOND, Alessandra
COMESSATTI*, Pietro QUAGLINO*, Daniela SCALAS, Chiara MERLINO, Maria G.
BERNENGO* e Anna Maria CUFFINI
Dip. Sanità Pubblica e Microbiologia, *Dip. Scienze Biomediche e Oncologia Umana – sez.
Dermatologia, Università degli Studi di Torino
La Sindrome di Sézary (SS) è una rara forma di linfoma primitivo cutaneo a cellule T a evoluzione
infausta, caratterizzata da eritrodermia desquamativa generalizzata, proliferazione di linfociti T
neoplastici e linfoadenopatia generalizzata. La prima linea di difesa nei confronti degli agenti
patogeni infettanti è rappresentata dall’attività dei polimorfonucleati (PMN) che si esplica anche
attraverso il riconoscimento di profili molecolari microbici (PAMP, componenti molecolari dei
patogeni) mediante l’espressione dei Toll-like receptors (TLR). Le scarse segnalazioni in letteratura
su eventuali deficit dei PMN nella SS ci hanno indotto a studiare i PMN mediante un approccio
multifattoriale. L’attività funzionale è stata valutata mediante test di fagocitosi e killing intraPMN.
Il pattern di espressione di membrana dei TLR (2,4,5,8,9) e l’attivazione fenotipica (CD11b,
CD62L e CD66b) sono stati studiati in citometria a flusso. I PMN derivati da 17 pazienti affetti da
SS hanno mostrato un’attività fagocitaria nei confronti di K. pneumoniae comparabile a quella dei
soggetti sani solo nei primi 30’ ma diminuita nei tempi successivi (15.8% vs 19.7% a 60’e 12.5% vs
15.5% a 90’; p<0.01) associata ad una ridotta efficienza nel killing intraPMN. Inoltre, il deficit
fagocitario dei PMN è risultato più accentuato nei pazienti più immunocompromessi con frequenti
infezioni rispetto a quelli senza infezioni. Il fenotipo dei PMN non ha evidenziato differenze
percentuali dell’espressione di CD11b, CD62L, CD66b, mentre è stata riscontrata una netta downregolazione di CD62L (p=0.001) e un moderato incremento dell’intensità di espressione di CD11b e
di CD66b. Lo studio del pattern di espressione dei TLR ha mostrato un’aumentata espressione
percentuale di TLR5, ligando della flagellina (88.1 vs 75.55, p=0.0087) e di TLR9, recettore del
CpGDNA non metilato (85.1 vs 71.2, p=0.053). Nessuna differenza è stata riscontrata
nell’espressione di TLR 2, 4 e 8. I dati sinora ottenuti evidenziano la presenza di numerose
alterazioni dei PMN nel controllo delle infezioni batteriche, per minor capacità di extravasazione
dovuta alla down-regolazione di CD62L e per ridotta attività di fagocitosi e killing. L’aumento
percentuale dell’espressione dei TLR 5 e 9 potrebbe rappresentare un tentativo di compensare i
deficit funzionali sopracitati.
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HBHA COULD BE DISCRIMINATE BETWEEN ACTIVE AND LATENT TUBERCULAR
INFECTION?
Bua A1, Molicotti P1, Ruggeri M1, Pirina P2, Mura MS3, Delogu G4, Fortis C5, Zanett S1.
1
Department of Biomedical Science University of Sassari. 2Clinic of Respiratory Diseases,
University of Sassari. 3Institute of Infectious Diseases, Sassari. 4Institute of Microbiology, Catholic
University, Rome.
5
Scientific Institute San Raffaele of Milan
In this study we compared, in subjects with suspect tubercular infection, the production of
interferon-γ induced by antigens ESAT-6, CFP-10 and TB7 used in the QuantiFERON Gold in
tube, with the one induced by HBHA and by a pool of five peptides (MTPs) deriving from the
sequence of ESAT-6 and CFP-10.
Blood specimens were collected from different subjects and stimulated with QuantiFERON Gold-in
tube antigens, with HBHA and with the pool of five peptides. IFN- concentration was calculated
by ELISA assay as indicated by the manufacturer of QuantiFERON Gold-in tube.
The response found in patients with active disease to QuantiFERON Gold-in tube and the pool of
five peptides was statistically different from that to HBHA, whereas there was not a statistically
difference among the response found in subjects with latent infection of Group II between
QuantiFERON Gold-in tube, the pool of five peptides and HBHA. In the healthy subjects between
QuantiFERON Gold-in tube and HBHA was observed a statistically difference but no between the
pool of five peptides and HBHA.
Our results indicated that HBHA could distinguish between latent and active tuberculosis and might
be an antigen that could improve the immunological assay now available.
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UN VETTORE EPISOMALE CONTENENTE IL GENE ECTO-5’-NUCLEOTIDASI
F. Monica Cavaliere, Carmen Cimmino
Dipartimento di Biologia Cellulare e dello Sviluppo, Università “La Sapienza”, Roma
I principali ostacoli per gli xenotrapianti sono il rigetto iperacuto (HAR), il rigetto umorale
ritardato acuto (AHXR) ed il rigetto mediato da cellule. Mentre l’HAR è stato ampiamente
debellato nei maiali privati dell’antigene alfa1,3Gal od in maiali che sovraesprimono i regolatori
umani del complemento quali hDAF, gli altri due aspetti del problema rimangono insoluti.
L’enzima ecto-5’-nucleotidasi (E5’N), presente sulla superficie delle cellule endoteliali, regola la
conversione dei nucleotidi extracellulari in adenosina che ha effetti citoprotettivi,
immunosoppressivi ed antiinfiammatori e contrasta anche l’attività citotossica delle cellule NK;
per questo può contribuire al controllo del rigetto. L’attività di E5’N è molto più debole nei
maiali rispetto a quella presente nell’uomo, particolarmente nel cuore, differenza che può creare
problemi nello xenotrapianto di organi, tessuti e cellule.
Ci siamo proposti di clonare il gene umano E5’N (hE5’N) in un vettore con l’intento di inserire
questo gene in maiali precedentemente modificati per l’HAR. Per lo xenotrapianto sono
particolarmente indicati vettori episomali in grado di replicarsi autonomamente nelle cellule
ospiti e che pertanto non modificano il genoma, evitando così danni negli organi da trapiantare.
pEPI-eGFP è un vettore episomale mitoticamente stabile in cellule di mammifero e permette una
efficiente espressione dei transgeni: con questo vettore sono stati prodotti maiali modificati, nelle
cellule dei quali il plasmide era episomale ed esprimeva la proteina GFP nei diversi tessuti.
Abbiano clonato il gene hE5’N in pEPI-eGFP (pEPI-E5’N) ed abbiamo dimostrato che il
suddetto gene presentava una sequenza identica a quella contenuta nel database NCBI e che tutti
i geni di pEPI-eGFP erano presenti in pEPI-E5’N. Dopo trasferimento di pEPI-E5’N in cellule di
maiale PIEC, l’analisi RT-PCR ha dimostrato che E5’N risultava espresso efficientemente. Il
DNA plasmidico è stato estratto dalle cellule PIEC ed utilizzato per trasformare Escherichia coli:
sono stati ottenuti cloni batterici a dimostrazione che il plasmide era localizzato episomalmente
nelle cellule. Mediante analisi di restrizione abbiamo dimostrato che pEPI-E5’N non aveva
subito significative alterazioni strutturali nel passaggio in cellule di maiale.
Ci si può attendere che l’introduzione di pEPI-E5’N in maiali modificati geneticamente per
ovviare all’HAR fornirà un importante contributo per risolvere gli altri due ostacoli
immunologici causa di rigetto e potrà essere utile in altri approcci terapeutici che richiedono una
immunosoppressione intensiva in sostituzione della terapia medica.
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Pagina 157 di 288
INVOLVEMENT OF THE AXL/GAS6 PATHWAY IN THE TLR-MEDIATED IMMUNE
RESPONSE
Scutera S.1, Fraone T. 2, Rossi S., Daniele R. 1, Zucca M.3 and Musso T. 1
1
Dept. of Public Health and Microbiology, University of Torino
2
Dept. of Medicine and Experimental Oncology, University of Torino
3
Dept. of Clinical and Biological Sciences, University of Torino, Italy
The innate immune response to pathogens represents the first line of defense against infectious
diseases. The most potent mediators of this response are the TLRs, a set of “pattern-recognition
receptors” that detect invariant molecular signatures displayed by invading pathogens and activate
host defenses. Axl is an important member of the receptor tyrosine-kinase family constituted by
Tyro3, Axl, and Mer (TAM family). It has been verified in vivo that loss of function of the three
TAM receptors, Tyro3, Axl, and Mer, results in profound dysregulation of the immune response.
Moreover recently it has been demonstrated that, in murine macrophages and dendritic cells (DC),
TAM receptor signaling limits the TLR-induced production of proinflammatory cytokines through
the induction of the inhibitory proteins suppressor of cytokine signaling SOCS1 and SOCS3.
We evaluated the effect of these interesting on human DC. Our study revealed that IFN generated
DC, but not IL-4 generated DC, acquire cell surface Axl during their differentiation, but IFN-α did
not affect the expression of Tyro3 and Mer, whose level was comparable in both IFN/DC and IL4/DC.TLR-dependent maturation stimuli (LPS, polyI:C, TLR7/8 ligand) significantly down-regulate
the Axl expression on IFN/DC through increased proteolytic cleavage and that Gas6, the vitamin Kdependent Axl ligand, regulates TLR-induced cytokine release by human DC in vitro.
These data indicate that the Axl/Gas6 system is involved in the regulation of the early immune
response to pathogens.
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INFEZIONI BATTERICHE E ANTIBIOTICO-RESISTENZA IN UNA POPOLAZIONE
DI PAZIENTI
SOTTOPOSTI A TRAPIANTO DI RENE E RENE-PANCREAS
Veroux M, Scriffignano V, Giuffrida G, Gagliano M, Grassi P, Giaquinta A, Grasso E , Corona
D, Gona F, Amodeo A, Tallarita T, Guardo G, Veroux P. Sciacca A, Nicoletti G.
Dipartimento di Scienze Chirurgiche, Trapianto di organi e tecnologie avanzate, Centro
Trapianti d'Organo, Azienda Policlinico Università di Catania
Obiettivo: identificare le resistenze agli antibiotici in una popolazione di trapianti di rene.
Materiali e metodi: Sono stati analizzati retrospettivamente gli esami colturali in una
popolazione di 307 trapianti di rene eseguiti nel periodo Gennaio 2004- Marzo 2009.
Risultati: Un totale di 886 isolati significativi sono stati identificati : 469 E. coli (53%), 63 P.
aeruginosa (7,%), 50 K. pneumoniae (6%), 138 Enterorobatteri (15%), 101 Gram negativi non
fermentanti : 14 Acìnetohacter (2%) 6 Stenotrophomonas( 1%) e_81 Enterococchi (9,%), 29
Stafilococchi coagulasi negativi (3%), 36 S.Aureus ( 4%) (Tab.l). Gli Enterococchi e
l'Acinetobacter hanno mostrato un incremento della resistenza ai chinolonici dal 60% al 100%.
Conclusioni: il progressivo incremento delle resistenze microbiche nel follow up dei pazienti
sottoposti a trapianto di rene, potrà rendere in un futuro prossimo il trattamento delle comuni
infezioni batteriche potenzialmente difficoltoso, con un prevedibile incremento di morbilità e
ospedalizzazione di questi pazienti, con un probabile incremento di perdita per graft Un approccio
mirato e diversificato al trattamento antibiotico delle complicanze batteriche appare quindi
indispensabile al fine di evitare la selezione di ceppi multi-resistenti alle terapie antibiotiche.
Tab.1 Resistenze microbiche durante il periodo 2004-2009
E. Coli
Pseudomonas
Piperacillina
Piperacillina+tazobactam
Carbapenemici
Ciprofloxacina
Levofloxacina
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2004
60%
50%
10%
60%
60%
STAMPA
2009
60%
50%
10%
72%
72%
RELAZIONI
2004
35%
35%
10%
50%
50%
2009
35%
35%
10%
80%
80%
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K. Pneumoniae
2004
100%
25%
10%
10%
10%
POSTER
2009
100%
25%
10%
65%
65%
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11-14 ottobre 2009
Pagina 159 di 288
RUOLO DELL’ERITROMICINA SULLA RISPOSTA DEI PMN NEI CONFRONTI DI
STREPTOCOCCUS PYOGENES ERITROMICINO-RESISTENTI
Nicola Carlone, Vivian Tullio, Giuliana Banche, Valeria Allizond, Narcisa Mandras, Daniela
Scalas, Janira Roana, Deborah Greco E Anna Maria Cuffini
Dipartimento di Sanità Pubblica e Microbiologia, Università degli Studi di Torino
Nonostante la prevalenza della resistenza ai macrolidi in Streptococcus pyogenes, riportata da
diversi paesi come l'Europa e l'Asia, sia notevolmente aumentata, questi allarmanti risultati in vitro
non sempre confermano un impatto negativo sull’efficacia clinica in vivo. Infatti, il successo nel
trattamento delle infezioni microbiche è correlato al sinergismo tra la risposta immunitaria innata,
con i polimorfonucleati (PMN) quali fagociti-prima linea di difesa, ed i farmaci antibatterici
impiegati nel contrastare l’infezione. Un approccio terapeutico corretto deve quindi tendere sia
all’eradicazione del microrganismo patogeno sia al potenziamento dei meccanismi di difesa
dell’ospite. Al fine di valutare l’eventuale attività immunomodulante dell’eritromicina sul binomio
batterio antibiotico-resistente/ospite, è stato determinato l’effetto del macrolide sull’attività
fagocitaria e battericida dei PMN nei confronti di isolati clinici di S. pyogenes sia eritromicinosensibili (ES) sia eritromicino-resistenti (ER). In particolare, sono stati oggetto dello studio 1 ceppo
sensibile, 3 fenotipi altamente resistenti (cMLS, iMLSB-A, iMLSB-B) e 2 fenotipi moderatamente
resistenti (M e iMLSB-C), determinati mediante il test del triplo disco. I risultati ottenuti mostrano
che, in condizioni in cui eritromicina, fagociti e streptococchi sono contemporaneamente presenti
nel mezzo di coltura, l’attività fagocitaria dei granulociti si attesta su valori sovrapponibili a quelli
dei controlli privi di farmaco. Al contrario, i dati enfatizzano un significativo aumento (p<0.05,
p<0.01) del killing intracellulare dei fagociti in presenza dell’eritromicina nei confronti non solo dei
ceppi ES ma anche di quelli ER appartenenti ai fenotipi altamente e moderatamente resistenti.
Questi dati, pertanto, forniscono un valido contributo alla comprensione della cooperazione che si
attua tra il sistema immunitario aspecifico e l’eritromicina che risulta capace di influenzare
positivamente l’interazione ospite-batterio, determinando un considerevole aumento dell’attività
microbicida dei fagociti umani nei confronti di tutti i ceppi di S. pyogenes, sia sensibili che
resistenti, limitando, dunque, la diffusione dell’infezione e prevenendo le manifestazioni cliniche
associate.
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Pagina 160 di 288
DATI PRELIMINARI SULLE MODIFICAZIONI DI ALCUNI PARAMETRI DEL
SISTEMA IMMUNITARIO UMANO INDOTTE DAL TRATTAMENTO CON CEFACLOR
Di Marco R. 1, Meloscia A. 1., Sferra D. 1., Di Zazzo E. 1, Russo R2., Costanzo C. M 2., Scalia G2.,
Nicoletti G. 2
1
Dipartimento di Scienze per la Salute, Università degli Studi del Molise - Campobasso
2
Dipartimento di Scienze Microbiologiche e Scienze Ginecologiche; Università degli Studi di
Catania, Laboratorio
centralizzato, Azienda Ospedaliero-Universitaria Policlinico “G. Rodolico” di Catania
Numerosi antibiotici comunemente usati nella pratica clinica sono anche in grado di influenzare, sia
“in vitro” che “in vivo”, il Sistema Immunitario.
Diversi studi hanno dimostrato che il cefaclor è in grado di modificare alcune componenti della
risposta immunitaria quali, ad esempio, produzione di leucotrieni, la formazione di radicali di
ossigeno e della istamina. Altri dati riportano che il cefaclor è in grado di ripristinare la chemiotassi
ed il potenziale ossidativo dei fagociti nella condizione di immunocompromissione in modelli
animali e nell’uomo. Più recentemente abbiamo descritto l’incremento di alcune citochine Th-1 e
Th-2 in seguito al trattamento con cefaclor sia “in vitro” che “ex vivo” in un modello animale.
Abbiamo voluto approfondire gli effetti immunoregolatori del trattamento con cefaclor in pazienti
affetti da faringotonsillite acuta, una delle più frequenti patologie infettive in età pediatrica. Pazienti
affetti da faringotonsillite sono stati trattati con cefaclor o con amoxicillina per 7 gg se positivi al
test rapido per streptococco β-emolitico di gruppo A o non sottoposti ad alcun trattamento se
negativi. Per la valutazione dell’assetto immunitario si è proceduto alla determinazione
dell’espressione di mRNA di citochine mediante metodiche PCR nei linfomonociti circolanti,
prelevati al reclutamento e 7 giorni dopo l’inizio del trattamento. Inoltre, sono stati valutati i livelli
sierici di TNF-α e IFN-γ e quelli delle IgA secretorie nella saliva.
Il gruppo di pazienti trattato con antibiotico ha mostrato livelli di espressione del TNF-α e l’IFN-γ
significativamente superiori rispetto ai non trattati. In aggiunta, il gruppo sottoposto al trattamento
con cefaclor ha mostrato livelli superiori di queste citochine rispetto al gruppo trattato con
amoxicillina. I pazienti trattati con cefaclor hanno mostrato di mantenere livelli salivari di IgA
nettamente superiori rispetto ai pazienti trattati con amoxicillina, in cui sono apparsi, invece,
decisamente diminuiti.
In accordo a dati precedenti generati sia da noi che da altri autori “in vitro” e in modelli preclinici, il
cefaclor conferma possedere un effetto immunostimolante anche nell’uomo. In particolar modo, i
livelli di citochine essenziali per la clearance batterica, quali TNF-α ed IFN-γ, risultano
considerevolmente aumentati nei pazienti trattati con cefaclor rispetto ad amoxicillina.
L’osservazione che i livelli di IgA secretorie nella saliva risultano notevolmente aumentati in
seguito al trattamento con cefaclor viene descritta da noi per la prima volta.
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VALUTAZIONE DEI POTENZIALI EFFETTI IMMUNO-MODULANTI DEL
CEFACLOR: STUDIO IN VIVO DELLA CHEMIOTASSI.
Quattrocchi C.2, Aiello C.2 Notartomaso. S.1, Sferra D1. , Di Rosa M2, Mangano K.2, Di Buono
M.1, Cece G.1, Fagone P.2, Di Marco R.1
1
Dipartimento di Scienze per la Salute, Università del Molise – Campobasso
2
Dipartimento Scienze Biomediche, Università di Catania - Catania
La chemiotassi è una componente centrale della risposta immune. La conoscenza della sua
fisiologia è di grande rilevanza sia nello studio dei meccanismi patogenetici di malattie su base
immuno-infiammatoria che ai fini della ricerca farmacologica del settore.
Gli studi classici sulla chemiotassi valutano la migrazione direzionale delle cellule bersaglio in
risposta ai gradienti di mediatori chemioattrattanti. Lo studio in questa area è particolarmente
complesso se si considera che l’intero processo è finemente regolato “in vivo” attraverso la
liberazione di una moltitudine di mediatori e che l’intero network di mediatori non è riproducibile
“in vitro”.
Partendo da queste basi, abbiamo recentemente messo a punto un protocollo sperimentale utile per
lo studio della chemiotassi “in vivo”, insufflando sottocute 2 ml di aria sterile nel dorso di topi CD1
femmine ed inducendo 5 gg dopo la chemiotassi nella bolla d’aria mediante l’inoculo di agenti
chemiotattici (LPS o Zymoxan) al fine di valutare la migrazione e/o la produzione di citochine
nelle ore successive. Utilizzando questo modello animale, abbiamo potuto verificare il potenziale
effetto immunomodulante di alcuni antibiotici beta lattamici con i quali gli animali erano stati
pretrattati nei 7 gg giorni antecedenti il sacrificio. E’ stata valutata la migrazione leucocitaria,
l’attivita mieloperossidasica e la produzione di citochine.
I dati emersi dallo studio confermano che il trattamento con antibiotici è sostanzialmente in grado di
influenzare il processo chemiotattico. In breve: in seguito al trattamento con cefixima, ceftibuten
amoxicillina/acido clavulanico ed amoxicillina si è registrato in lieve incremento delle conte
cellulari, mentre il cefaclor ha mostrato di possedere effetti immunofarmacologici più marcati, in
grado di favorire la chemiotassi dei fagociti e l’attività antimicrobica dei polimorfonucleati, dato
confermato, inoltre, mediante la misurazione dell’attività mieloperossidasica.
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Pagina 162 di 288
VALUTAZIONE DELL’ATTIVITA’ DELLA RIFAMICINA SV IN RATTI CON COLITE
INDOTTA DA DNB E SULLA PRODUZIONE DI IFN-γ IN SPLENOCITI DI RATTO
STIMOLATI CON CON-A.
Quattrocchi C1., Mangano K1., Aiello C1., Milasi A1., Celasco G2., Moro L2., Bozzella R2., Surace
M. M.2, Sferra D3., Di Marco R3.
1
COSMO Research & Development Srl - Lainate
2
COSMO Pharmaceuticals S.p.A. - Lainate
3
Dipartimento di Scienze per la Salute, Università del Molise - Campobasso
Scopo dello studio è stato quello di valutare l’attività della rifamicina SV somministrata per os in
ratti con colite indotta da dinitrobenzene (DNB) e sulla produzione di citochine in splenociti di ratti
stimolati con Concanavalina A (Con A) e sottoposti al medesimo trattamento.
La colite è state indotta in ratti Wistar mediante una singola somministrazione intracolonica di 30
mg di DNB in 0.25 ml di etanolo al 50%. Gli animali sono stati suddivisi in 5 gruppi di 10 animali
per gruppo e trattati, a partire dai 5 giorni precedenti l’induzione della colite, per 9 giorni
consecutivi, come segue: veicolo, rifamicina SV 2, 10, 20 mg/ratto p.o., desametasone 0.2 mg/rat
i.p..
La produzione delle citochine (IFN-γ, IL-2, IL-10, TNF-α) è stata valutata in splenociti di ratti non
trattati isolati e incubati in terreno contenente Con A e rifamicina SV alle concentrazioni di 10-9 M e
10-3 M mediante ELISA.
I ratti di controllo dopo l’induzione della colite hanno esibito una significativa riduzione del peso
corporeo, un incremento del peso del colon ed una evidente comparsa di area di necrosi
macroscopica (ANM) nel contesto della mucosa del colon. Come atteso, il trattamento
intraperitoneale con 0.2 mg di desametasone ha ridotto il danno alla mucosa, il peso del colon e
dell’animale. Analogamente, il trattamento con rifamicina SV ha indotto un significativo
decremento della ANM a tutte le dosi testate, mentre il peso del colon era significativamente
diminuito in seguito al trattamento con rifamicina SV alla dose più bassa.
Tra le citochine testate, la percentuale di inibizione della produzione di IFN-γ alle due
concentrazioni di rifamicina SV in splenociti stimolati con ConA è stata rispettivamente del 10,4 %
e 46,9% a 48h e del 54,2% e 77,6% a 72 h.
I risultati ottenuti mostrano che la somministrazione orale di rifamicina SV migliora i segni locali di
colite indotta da DNB nei ratti. In aggiunta, la rifamicina ha evidenziato una significativa riduzione
della produzione di IFN-γ in splenociti di ratto stimolati con ConA.
Questi risultati suggeriscono un ruolo della rifamicina SV nelle patologie intestinali, non solo come
agente antimicrobico utile nelle infezioni, ma anche come possibile agente anti-infiammatorio.
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Pagina 163 di 288
MICRORGANISMI DI ORIGINE NOSOCOMIALE E TIGECYCLINA: RISULTATI DI
UN CENTRO SPERIMENTALE ITALIANO PARTECIPANTE AL “TIGECYCLINE
EVALUATION AND SURVEILLANCE TRIAL” (2005-2008)
R Iatta, T Cuna, C Napoli, MT Montagna
Dip. di Scienze Biomediche e Oncologia Umana, Sez. Igiene, Università degli Studi di Bari
Introduzione. La farmacoresistenza in ambito nosocomiale è un problema ampiamente discusso,
per cui sorge sempre più imperativa la necessità di nuove molecole antibiotiche. Lo studio T.E.S.T.
coordinato a livello internazionale da Wyeth Pharmaceuticals, ha lo scopo di valutare l’attività in
vitro di Tigecyclina nei confronti di isolati clinici Gram(+) e Gram(-).
Materiali e Metodi. Sono stati esaminati 250 ceppi di cui 50 S.aureus (16% MRSA), 30
Enterococcus spp, 50 E.coli, 50 Klebsiella spp, 40 P.aeruginosa e 30 A.baumannii. L’attività di
Tigecyclina è stata valutata mediante microdiluizione in brodo verso Amoxicillina/ac.clavulanico,
Minocyclina, Piperacillina/Tazobactam, Levofloxacina, Ceftriaxone e Ampicillina; inoltre, i
Gram(+) sono stati testati anche verso Linezolid, Vancomicina e Penicillina; i Gram(-) verso
Cefepime, Amikacina e Ceftazidime.
Risultati. Le molecole che hanno dimostrato una buona attività verso i Gram(+) sono state
Linezolid, Vancomicina e Tigecyclina con valori di MIC50 e MIC90 più bassi rispetto agli altri
antibiotici testati (Tab.1). I Gram(-), escluso P.aeruginosa, hanno presentato valori di MIC molto
bassi per Tigecyclina. In particolare per gli enterobatteri si sono registrati valori di MIC50=
0.25mg/l e MIC90=0.5mg/l e per A.baumanni MIC50 =0.5mg/l e MIC90 = 2mg/l (Tab.2).
Tab.1 - MIC50 e MIC90 (mg/l) per Gram(+)
S.aureus
Antibiotico
MIC50
Enterococcus spp
MIC90 MIC50
Tab.2 - MIC50 e MIC90 (mg/l) per Gram(-)
P.aeruginosa
Antibiotico
MIC90
A.baumannii
Klebsiella spp
E.coli
MIC50 MIC90 MIC50 MIC90 MIC50 MIC90 MIC50 MIC90
PiperacillinaTazobactam
1
16
4
>16
PiperacillinaTazobactam
Ceftriaxone
4
64
>64
>64
Levofloxacina
2
>8
8
>8
0,5
>8
0,06
4
Linezolid
1
2
1
2
Amikacina
4
64
64
>64
2
8
2
16
Minocyclina
< 0,25
0,5
2
8
Minocyclina
16
>16
1
1
2
16
2
4
Vancomicina
1
1
1
2
Ceftazidime
<8
32
32
>32
<8
32
<8
32
Ampicillina
2
16
1
16
Tigecyclina
4
16
0,5
2
0,25
0,5
0,25
0.5
Tigecyclina
0,12
0,5
0,06
0,25
4
128
>128
>128
2
64
4
>128
Conclusioni. Tigecyclina ha presentato una buona attività nei confronti di isolati nosocomiali, ad
eccezione – come previsto - di P.aeruginosa. Questo antibiotico rappresenta una nuova speranza nel
trattamento delle infezioni causate da germi nosocomiali, tra i quali ceppi MRSA, enterococchi e
pneumococchi resistenti a macrolidi e tetracicline e A.baumannii considerato particolarmente
pericoloso nei pazienti immunocompromossi.
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11-14 ottobre 2009
Pagina 164 di 288
AMPLIAMENTO DELLO SPETTRO DI ATTIVITÀ DELLA VANCOMICINA NEI
CONFRONTI DI BATTERI GRAM-NEGATIVI MEDIANTE INCAPSULAZIONE IN
LIPOSOMI FUSOGENICI
Daria Nicolosi1, Giovanna Blandino1, Carlo Genovese1, Silvana Matrojeni1, Rosario Pignatello3,
Marina Scalia2, Vito Mar Nicolosi1
Dipartimento di Scienze Microbiologiche e Ginecologiche1,
Dipartimento di Scienze Biomediche, Sezione di Biologia Generale e Cellulare e Genetica
Molecolare “G. Sichel”2, Dipartimento di Scienze Farmaceutiche3, Università di Catania.
Molti antibiotici, tra i quali i glicopeptidi, sono inattivi nei confronti dei batteri gram-negativi a
causa della loro incapacità di attraversare la membrana esterna. Per superare questo limite sono stati
utilizzati diversi metodi chimici e tecnologici. In questo studio abbiamo utilizzato liposomi
fusogenici, fino ad ora utilizzati per trasportare vari composti biologici all’interno delle cellule, per
veicolare un antibiotico glicopeptidico, la vancomicina, nello spazio periplasmico in modo da
permettergli di esercitare la sua attività battericida..
Piccoli liposomi unilamellari, di dimensioni < 100 nm, sono stati preparati mediante la tecnica
dell’estrusione (SUVET) partendo da una miscela di fosfolipidi-colesterolo emisuccinato,
conosciuta per le sue proprietà fusogeniche con la membrana delle cellule eucariotiche. La
vancomicina così incorporata è stata sottoposta a saggi microbiologici per calcolare i valori di MIC
nei confronti di diverse specie di gram-negativi. Sono stati registrati valori di MIC di circa 6 µg/ml
per isolati clinici di Escherichia coli e Acinetobacter baumannii. I test sono stati eseguiti anche con
liposomi non caricati con l’antibiotico che, però, non hanno mostrato nessuna attività nei confronti
degli stessi batteri. Infine, sono stati eseguiti studi di microscopia elettronica a trasmissione (TEM)
ed a scansione (SEM) per visualizzare l’interazione/fusione di questi liposomi con le cellule di
batteri Gram-negativi. Questi esperimenti preliminari indicano che questa tecnologia potrebbe
essere impiegata con successo per ampliare lo spettro di attività della vancomicina.
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11-14 ottobre 2009
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VALUTAZIONE DELLA PREVALENZA E RESISTENZA AI MACROLIDI DI
STREPTOCOCCUS PYOGENES ISOLATI IN UN’AREA RELATIVA AL MONREGALESE
(CUNEO)
Crocillà C., Vinai E., Fenoglio S., Cardone M.
Introduzione: Lo Streptococcus pyogenes è uno dei più importanti agenti patogeni delle
faringotonsilliti batteriche. Numerosi studi segnalano un aumento di ceppi resistenti ai macrolidi,
con una distribuzione geografica disomogenea sia per quanto riguarda l’incidenza delle resistenze
che per la distribuzione dei tre diversi fenotipi di resistenza.
Scopo del lavoro: Analizzare la situazione nella popolazione afferente alla nostra struttura,
verificando le percentuali di isolamento di S. pyogenes dai tamponi faringei e le percentuali di
resistenza crociata tra macrolidi a 14 atomi e lincosamidi. Inoltre si è inteso verificare il
comportamento di rokitamicina, cotrimossazolo e penicillina.
Materiali e metodi: Sono stati esaminati 394 tamponi faringei per la ricerca di S. pyogenes; le
colture sono state effettuate su piastra di agar sangue ed incubate per 18-24 ore a 37° C in aerobiosi.
L’identificazione di S. pyogenes è stata effettuata sulla base della beta-emolisi e della reazione
sierologica di agglutinazione al lattice per gli antigeni gruppo-specifici.
Si è proceduto, per tutti gli isolati, alla determinazione della sensibilità in vitro e all’interpretazione
degli aloni di inibizione di eritromicina, rokitamicina, clindamicina, cotrimossazolo e penicillina, su
piastra di agar Mueller Hinton addizionato con 5% di sangue di montone.
Risultati: Nel periodo di osservazione, fra i 394 tamponi faringei, 77(19,5%) sono risultati positivi
per S. pyogenes; 61 isolati provenivano da soggetti pediatrici e 16 da soggetti adulti. Fra i ceppi
isolati, tutti sensibili alla penicillina e resistenti al cotrimossazolo, 67 si sono dimostrati sensibili
all’eritromicina(87%) e 10(13%) resistenti di cui 9(90%) con meccanismo ad efflusso attivo e uno
inducibile. La resistenza ad efflusso attivo(M) è apparsa più diffusa in pazienti pediatrici(8 su 9)
rispetto a quelli adulti. La rokitamicina si è rivelata attiva in tutti gli isolati tranne che nell’unico
ceppo con fenotipo di resistenza inducibile.
Conclusioni: La percentuale di resistenza(13%) ai macrolidi a 14 atomi, riscontrata nel presente
studio, è bassa rispetto ai valori attuali del 25-30% registrati nel nostro paese. Tale resistenza è
conferita soprattutto dal meccanismo di efflusso e non influenza l’attività dei macrolidi a 16 atomi,
tra cui rokitamicina.E’ interessante sottolineare che non è stato isolato alcun stipite di S. pyogenes
con fenotipo di resistenza costitutivo cMLS ma, per confermare questo dato, sarà opportuno
analizzare un maggior numero di ceppi resistenti ai macrolidi.
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Pagina 166 di 288
CARATTERIZZAZIONE DI UN PLASMIDE CHIMERICO CHE VEICOLA ERM(B),
TET(O) E AAD(E) IN S.AGALACTIAE
1
M.Santagati 1 ,A.Lupo, 1M. Scillato, 1O. Tomasello, 1T. Triscari Barberi, , 2J. Northwood, 2D.
Farrell, e 1S. Stefani
1
Department of Microbiology- University of Catania
2
Quotient Bioresearch Ltd, Cambridgeshire
Introduzione
S.agalactiae è considerato uno tra i più importanti patogeni in età neonatale responsabile di
setticemie, polmoniti, meningiti e nei pazienti immunocompromessi è causa di batteriemie, di
infezioni del tratto urinario, gastrointestinale.
Negli streptococchi, la resistenza ai macrolidi è associato alla presenza della classe dei geni erm erm(B), erm(A), erm(C) – che conferiscono un fenotipo di resistenza MLSB ed alla classe mef(A)
responsabile del fenotipo M. Obiettivo del nostro studio è stato quello di caratterizzare un isolato
clinico di S.agalactiae 022 che mostrava un fenotipo MLSB e resistenza verso tetraciclina,
streptomicina e kanamicina, al fine di determinare l’elemento genico che veicola i geni di
resistenza, la sua localizzazione e mobilità mediante coniugazione.
Risultati: S.agalactiae 022GBS veicola i geni di resistenza erm(B), tet(O) ed aadE.
L’amplificazione, mediante Long-PCR, ed il sequenziamento delle sequenza compresa tra erm(B),
tet(O) e delle regioni fiancheggianti tali geni nonché la successiva analisi di sequenza hanno
dimostrato la presenza di un elemento di dimensioni maggiori di 10 kb organizzato in 17 orfs,ed in
particolare orf1 con il 97% di omologia con TnpV di Streptococcus pyogenes MGAS 2096, orf2-34 omologhe a 3 orfs del un plasmide,pCG8245 di Campylobacter jejuni e di questi l’orf2 codifica
il gene tet(O). La sequenza nucleotidica compresa tra orf6 e l’orf16 è identica a quella del plasmide,
pEOCO1, di Pediococcus acidilactici ed in particolare orf6 e 7 codificano una resolvase e
topoisomerase di tipo I, orf10 è il gene erm(B) e orf12 codifica una ATPase associata con il
“partitioning” plasmidico. In fine, a monte dell’estremità sinistra dell’elemento, è presente l’orf17
che codifica una adeniltransferase responsabile della resistenza verso streptomicina e kanamicina.
La localizzazione dei geni di resistenza condotta con il metodo PFGE/ICeuI, in grado di
discriminare tra localizzazione cromosomica e plasmidica, mostra una localizzazione plasmidica. In
fine gli esperimenti di coniugazione utilizzando come ricevente il ceppo OG1SS di Enterococcus
faecalis dimostra la non mobilità dell’elemento.
Conclusione
L’organizzazione genica del plasmide, pEOC01-like, descritta nel nostro studio, rappresenta il
primo caso di un elemento chimerico che veicola erm(B)-tet(O)-aad(E) con geni di provenienza sia
da Gram-positivi che Gram-negativi negli streptococchi.
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CARATTERIZZAZIONE DELLA REGIONE RESPONSABILE DELLA RESISTENZA AI
BENZOTIAZINONI IN ISOLATI CLINICI DI Mycobacterium tuberculosis
Maria Rosalia Pasca1, Giulia Degiacomi1, Ana Luisa de Jesus Lopes Ribeiro 1,2, Francesca Zara3,
Patrizia De Mori4, Maurizio Mirrione4, Roberto Brerra3, Laura Pagani3, Leopoldo Pucillo4, Panajota
Troupioti 5, Vadim Makarov6, Stewart T. Cole7, Giovanna Riccardi1
1
Dipartimento di Genetica e Microbiologia, Università di Pavia, Pavia; 2 DiSCAFF, Università del
Piemonte Orientale, Novara; 3 Dipartimento di Scienze Morfologiche Eidologiche e Cliniche,
Sezione di Microbiologia, Università di Pavia, Pavia; 4 Laboratorio di Analisi chimico Cliniche e
Microbiologiche, INMI "L. Spallanzani" IRCCS, Roma; 5 Laboratorio di Analisi Chimico Cliniche e
Microbiologia, Azienda Ospedaliera della Valtellina e della ValChiavenna, Presidio di Sondalo
(Sondrio), 6 A.N. Bakh Institute of Biochemistry, RAS, Moscow (Russia); 7 Global Health Institute,
EPFL, Lausanne (Switzerland).
La comparsa di ceppi di Mycobacterium tuberculosis multi-resistenti ai farmaci (MDR e
XDR) costituisce una minaccia per il controllo della tubercolosi. Si pone quindi l’esigenza di
trovare nuovi farmaci e nuovi bersagli terapeutici.
Nell’ambito del progetto “New medicines for tuberculosis” (EC-VI) è stato identificato il bersaglio
terapeutico di una nuova classe di farmaci antitubercolari, i benzotiazinoni (BTZ). Il bersaglio è
l’enzima Rv3790 essenziale per la biosintesi dell'arabinogalattano, uno dei principali costituenti
della parete cellulare di M. tuberculosis.
Tutti i mutanti isolati di M. tuberculosis resistenti ai BTZ presentano una mutazione nel codone 387
di Rv3790, dove una cisteina è sostituita da una glicina o una serina.
Obiettivo del lavoro è stato quello di valutare la eventuale presenza di isolati clinici di
M. tuberculosis resistenti ai BTZ.
A tale scopo, sono stati studiati 196 ceppi clinici di M. tuberculosis con diverso fenotipo (farmacosensibile, MDR e XDR), isolati da due ospedali italiani (Sondalo e Roma) nel periodo 2005-2009.
In tutti gli isolati è stato sequenziato il gene Rv3790 ed è stata determinata la minima
concentrazione inibente di BTZ.
Tutti gli isolati non presentano mutazioni nel gene Rv3790 e sono sensibili a BTZ. Di conseguenza i
BTZ sono attivi contro tutti gli isolati clinici di M. tuberculosis analizzati, sia sensibili che multiresistenti ai farmaci antitubercolari.
Tali risultati evidenziano l’importanza dell’enzima Rv3790 quale bersaglio dei BTZ e di nuovi
possibili farmaci antitubercolari che colpiscano questo vulnerabile target.
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CONFRONTO DELL’AZIONE DI DIFFERENTI PROTEASI SULLE PROPRIETÀ DI
VIRULENZA DI STAPHYLOCOCCUS AUREUS
M. Artini (1), G.L. Scoarughi (1), A. Cellini (1), T. Bertuccio (2), V. Cafiso (2), S. Stefani (2), L.
Selan (1) and R. Papa (1),
1) Università degli Studi La Sapienza, Roma, 2) Università degli Studi di Catania
Scopo: in precedenti studi abbiamo dimostrato l’efficacia di una metallo-proteasi
(serratiopeptidasi/SPEP) come molecola anti-virulenza su varie specie batteriche Gram-positive,
incluse specie di Listeria e Staphylococcus spp. In particolare abbiamo dimostrato l’interferenza
con l’adesione, l’invasione cellulare e la formazione di biofilm (1, 2, 3). L’analisi dei profili delle
proteine di superficie ha rivelato che la SPEP modula l’espressione di adesine, autolisine e proteine
coinvolte nel metabolismo. Al fine di far luce sui meccanismi di azione della SPEP abbiamo
studiato l’azione di differenti proteasi (metallo-proteasi e serin-proteasi) confrontando la loro
capacità di interferire con la formazione del biofilm. Sono in corso di attuazione studi di proteomica
allo scopo di valutare aspetti molecolari dell’azione delle varie proteasi.
Metodi: sono stati studiati ceppi di S. aureus con differenti capacità di formare biofilm. La
formazione di biofilm e i pattern delle proteine di superficie sono stati valutati in presenza delle
seguenti proteasi: SPEP, carbossipeptidasi-A, proteinasi-K, tripsina, chimotripsina. L’analisi SDSPAGE e la zimografia sono stati utilizzati per valutare modificazioni degli enzimi autolitici; la
tipizzazione dell’agr è stata effettuata in RT-PCR. L’influenza di alcune proteasi sull’adesione e
l’invasione su cellule eucariotiche è stata condotta mediante antibiotic protection assays.
Risultati: l’azione delle proteasi studiate non è correlabile alla classe enzimatica ed è ceppodipendente. Le metallo-proteasi modulano il fenotipo come dimostrato dalle modificazioni del
pattern delle proteine di superficie, mentre le altre proteasi effettuano una proteolisi completa. La
SPEP è un forte inibitore del biofilm, soprattutto su ceppi forti produttori di biofilm. La SPEP è
anche capace di ridurre l’invasione di cellule eucariotiche da parte S. aureus, mentre la
carbossipeptidasi-A influenza solo l’adesione dei batteri alle cellule HeLa.
Conclusioni: dal confronto della SPEP con le altre proteasi emerge come la sua azione sia specifica
nel modulare il fenotipo virulento.
Bibliografia:
1. Longhi, et al., 2008. Microb. Pathog. 45:45-52.
2. Selan, et al., 1993. Antimicrob. Agents Chemother. 37:2618–21.
3. Artini et al.l., 2009 Appl. Environ. Microbiol. Submitted
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11-14 ottobre 2009
Pagina 169 di 288
EFFETTO DEL RESVERATROLO NELL’INFEZIONE SPERIMENTALE DA
SALMONELLA ENTERICA SEROVAR TYPHIMURIUM
Romano Carratelli C, Paolillo R, Mazzola N, Sorrentino S, Rizzo A.
Dipartimento di Medicina Sperimentale Sezione di Microbiologia e Microbiologia Clinica Facoltà di Medicina e Chirurgia Seconda Università degli Studi di Napoli.
I polifenoli sono composti che esercitano un’importante attività biologica sull’organismo umano
correlabile ad un’attività antiossidante contro il danno svolto dai radicali liberi. Il resveratrolo (3,5,
4’- tri-idrossi-trans-stilbene), fitoalessina polifenolica presente nel vino rosso ed in varie piante
come l'uva e le arachidi, mostra attività antiossidante, antinfiammatoria, antiapoptotica ed
antiangiogenetica, tra l’altro, anche a carico dell’apparato gastroenterico. L'infiammazione è un
processo di difesa dell’ospite, che si verifica in risposta a lesioni e stimoli nocivi. La Salmonella
enterica serovar Typhimurium, enterobatterio capace di invadere e moltiplicarsi in cellule
fagocitiche mononucleate, è uno dei principali agenti eziologici di gastroenterite nell'uomo con
conseguente reazione infiammatoria della mucosa intestinale, associata alla produzione di radicali
tossici e all’induzione di proteine pro- e anti-apoptotiche. Il monossido d’azoto (NO), radicale
libero rilasciato nei vari sistemi biologici, regola una diversa gamma di funzioni fisiologiche
determinando da un lato effetti benefici sui meccanismi di difesa contro alcuni batteri patogeni e
dall’altro la liberazione incontrollata di sostanze citotossiche e di mediatori proinfiammatori,
implicati nel danneggiamento del tessuto.
Nel presente lavoro viene studiato l’effetto, nel tempo, del resveratrolo usato a diverse
concentrazioni in cellule U937 e monociti umani (MN) infettati con S. enterica. I risultati ottenuti
dimostrano che le cellule infettate e trattate con resveratrolo a varie concentrazioni presentano un
leggero anche se graduale decremento di produzione di NO ed una diminuzione tempo e dosedipendente della vitalità e della proliferazione cellulare rispetto alle cellule controllo. Inoltre, il
resveratrolo riduce significativamente il numero delle cellule apoptotiche correlate ad un’aumentata
espressione di geni anti-apoptotici Bcl-2.
Il resveratrolo mostra quindi, di esercitare la sua azione su molteplici targets attraverso diversi
meccanismi d’azione, ed in particolare sembra agire mediante riduzione dell’infiammazione
cronica. Esso, quindi, rappresenta una promettente strategia per prevenire il danneggiamento
tissutale, suggerendo un possibile effetto protettivo dei polifenoli nel ruffling delle cellule epiteliali
intestinali ed una diminuzione del segnale infiammatorio nell’infezione da S. enterica.
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11-14 ottobre 2009
Pagina 170 di 288
VALUTAZIONE
DELL’ATTIVITA’
DEL
RESVERATROLO
E
DELL’IDROSSITIROSOLO NELLA FORMAZIONE DI CELLULE SCHIUMOSE
INDOTTA DA CHLAMYDIA PNEUMONIAE
Iannone M., Schiavoni G., Di Pietro M., Vanzetto A., Zagaglia C., Tofani D.*, del Piano M.,
Sessa R.
Dipartimento di Scienze di Sanità Pubblica, Sapienza Università di Roma; *Dipartimento di
Ingegneria Meccanica e Industriale, Università degli Studi “Roma Tre”
Chlamydia pneumoniae, da tempo correlata all’aterosclerosi, induce la trasformazione dei
macrofagi in cellule schiumose in seguito all’ossidazione delle lipoproteine a bassa densità; infatti
le cellule schiumose rappresentano la prima e fondamentale fase nello sviluppo della placca
aterosclerotica.
Recentemente l’attenzione dei ricercatori si è rivolta alla individuazione di sostanze in grado di
contrastare i processi ossidativi che contribuiscono alla patogenesi dell’aterosclerosi e quindi delle
malattie cardiovascolari.
Lo scopo di questo studio è stato quello di valutare l’attività del resveratrolo e dell’idrossitirosolo,
sostanze antiossidanti di origine naturale, nel processo di formazione di cellule schiumose indotto
da C. pneumoniae.
Macrofagi della linea cellulare J774, in presenza di LDL (100 μg/ml), sono stati infettati con C.
pneumoniae (MOI=1) e quindi trattati con resveratrolo (50 μM) o idrossitirosolo (50 μM).
Contemporaneamente sono state allestite, come controllo, colture di macrofagi infettati con C.
pneumoniae in assenza delle sostanze polifenoliche.
La formazione di cellule schiumose è stata valutata osservando al microscopio ottico il numero di
inclusioni lipidiche nei macrofagi, dopo 48 h dall’infezione mediante colorazione Oil red O.
I risultati ottenuti hanno evidenziato che il resveratrolo e l’idrossitirosolo hanno attività
antiaterogena poiché riducono la formazione di cellule schiumose indotta da C. pneumoniae.
Questi risultati permetteranno di ampliare la ricerca di sostanze naturali per la prevenzione delle
malattie cardiovascolari associate ad infezioni croniche da C. pneumoniae.
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11-14 ottobre 2009
Pagina 171 di 288
CHARACTERIZATION OF TWO ANTIMICROBIAL MOLECULES ACTIVE AGAINST
LISTERIA MONOCYTOGENES PRODUCED BY TWO STRAINS OF CHEESE-ISOLATED
LAB
Genovese F.1, Lamberti C. 1, Coisson J. D. 2, Cocolin L. 3, Napolitano L. 4, Giuffrida M.G. 4, Giunta
C. 1, Pessione E. 1
1
Dipartimento di Biologia Animale e dell’Uomo, Università degli studi di Torino, Via Accademia
Albertina 13, 10123 Torino, Italy, 2DiSCAFF, Via Bovio 6, 28100 Novara, Italy, 3Di.Va.P.R.A., Via
Leonardo da Vinci 44, 10095 Grugliasco, Italy, 4ISPA-CNR, Via Ribes 5, 10010 Colleretto
Giacosa, Italy
Lactic acid bacteria are able to inhibit food pathogens by producing organic acids and antimicrobial
molecules (bacteriocins), therefore their application can be considered a natural biocontrol strategy
to enhance food safety.
In this work the antimicrobial molecules produced by two LAB strains isolated from an Italian
cheese have been characterized. Lactococcus lactis 110A and Lactobacillus plantarum 37A have
been previously selected for their antimicrobial activity against Listeria monocytogenes.
Different growth parameters were tested to establish the best culture conditions for antimicrobial
compounds production, then a 60% ammonium sulfate precipitation of cell-free supernatants
allowed to obtain the inhibitory fractions. To clean up the obtained fractions, other precipitation
methods were used. L. lactis 110A maintained its activity, while L. plantarum 37A wasn’t able to
inhibit L. monocytogenes after a cut-off 1000 Da dialysis, suggesting the production of an
antimicrobial molecule smaller than 1 kDa. Both molecules are heat-stable, maintaining their
inhibitory activity after a 30 minutes heating at 80°C.
HPLC, TLC and IR studies revealed that the inhibitory compound produced by L. plantarum 37A is
lactic acid. This strain is actually able to produce a large amount of this organic acid (up till 37g/l).
In order to determine the size of the L. lactis 110A antimicrobial molecule, the inhibitory fraction
was separated by using Tricine SDS-PAGE leading to the determination of an apparent molecular
mass around 10 kDa. By using different cut-off membranes, the size of the molecule was
determined between 10 and 30 kDa. As SDS interference prevented a satisfactory separation, a
native Tricine PAGE was set up. This method led to the detection of a single band showing
antimicrobial activity; N-terminal sequencing of the peptide corresponding to this band led to the
identification of the following sequence: DEVYTVKSGDSL. In BLASTP a 100% match with
LysM domain was found, allowing a preliminary identification of the molecule as bacteriolysin-like
protein (class III bacteriocin).
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11-14 ottobre 2009
Pagina 172 di 288
PHOTODYNAMIC ACTIVITY OF A NEW Zn(II) PHTHALOCYANINE DERIVATIVE: A
NEW APPROACH TO CONVENTIONAL ANTIMICROBIAL TREATMENT
OF PERIODONTAL DISEASES.
T. Scommegna, C. Alongi, L. Fantetti and G. Roncucci
Molteni Therapeutics, Via Fiorentina 1, 53100, Siena, Italy
[email protected]
The growing resistance of pathogenic microorganisms against antimicrobial agents has generated a
search for alternative treatments for localized infections1. Photodynamic therapy (PDT), currently
applied as a treatment for cancer and for certain benign conditions2, is a promising candidate.
Superficial acute infections are potentially suitable for treatment by PDT because of the ready
accessibility of these wounds for both topical delivery of the photosensitizer and light1.
Here we report results concerning the activity of a new photodynamic agent (RLP068/Cl, a cationic
Zn (II) phthalocyanine derivative), synthesized in our laboratories3.
Specifically we studied the antibacterial effects of RLP068/Cl-mediated PDT on Porphyromonas
gingivalis, one of the major responsible organisms of periodontitis4, as compared with Toluidine
Blue, a cationic phenotiazinium photosensitizer.
The promising bactericidal activity of RLP068/Cl in vitro has driven the preliminary in vivo
treatment of experimental oral localized infections (such as acute abscesses in rats), caused by
Porphyromonas gingivalis. A visible decrease of the formed abscess was obtained in the PDT
treated group following only one application.
In conclusion, our experiments indicate that RLP068/Cl-mediated PDT could be effective and may
represent a potential alternative to conventional antimicrobial treatment of periodontal diseases.
References
1. Saskia A.G. et al, Photodynamic therapy for Staphylococcus aureus infected burn wounds in
mice, Photochem. Photobiol. Sci., 2005, Vol.4, 503-509.
2. Oleinick N.L. et al, The role of apoptosis in response to photodynamic therapy: what, where,
why, and how, Photochem. Photobiol. Sci., 2002, Vol.1, 1-21.
3. Roncucci G. et al, EP 0906758 A1 (1999).
4. Komerik N. et al, In vivo killing of Porphyromonas gingivalis by Toluidine Blue-mediated
photosensitization in an animal model, Antimicrobial agents and Chemoterapy, 2003, Vol.47,
932-940.
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11-14 ottobre 2009
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CARATTERIZZAZIONE MICROBIOLOGICA DI UN PEPTIDE ANTIMICROBICO
RAMIFICATO
Fabiole Nicoletto S.1, Allemand D.1, Baster I.2, Guglierame P.3, Pirri G.1,
Pizzuto L.1, Giuliani A.1, Savoia D.4
1
Spider Biotech S.r.l., Colleretto Giacosa (TO)
2
Dipartimento di Microbiologia, Università di Cracovia, Polonia
3
NeED Pharma, Milano
4
Dipartimento di Scienze Cliniche e Biologiche, Facoltà di Medicina e Chirurgia
S. Luigi Gonzaga, Università di Torino
I peptidi antimicrobici naturali costituiscono un numeroso gruppo di molecole eterogenee in termini
di composizione e di lunghezza aminoacidica che rivestono un ruolo fondamentale nel sistema
immunitario innato di molte specie viventi. L’interesse dei peptidi antimicrobici nell’uso clinico è
legato soprattutto al loro meccanismo d’azione che è in grado di superare la resistenza batterica agli
antibiotici tradizionali.
Il principale problema nell’utilizzo dei peptidi in terapia è tuttavia determinato dalla loro instabilità
e suscettibilità all’azione delle proteasi. Recentemente è stato dimostrato che la sintesi in forma
multimerica MAP (Multiple Antigen Peptide) conferisce ai peptidi una notevole resistenza
all’azione proteolitica del sangue, aumentandone l’emivita e mantenendo generalmente intatta
l’attività biologica. Inoltre i MAP possono essere più efficaci rispetto ai loro omologhi lineari in
diverse applicazioni in vitro e in vivo in virtù della loro natura multimerica che conferisce la
capacità di effettuare interazioni polivalenti.
Uno di tali composti, denominato SB006, è stato saggiato nei confronti di batteri multiresistenti
Gram-positivi (Stafilococchi e Enterococchi) e Gram-negativi (Enterobatteri e batteri nonfermentanti) utilizzando la colistina come antibiotico di riferimento. Inoltre l’effetto di
modificazioni del pH, della presenza di ioni Mg++ e Ca++ e dell’inoculo batterico usato per le prove
è stato preso in esame per valutarne l’influenza sull’attività antimicrobica.
SB006 è risultato particolarmente attivo nei confronti dei microorganismi Gram-negativi e non sono
state rilevate particolari interferenze sull’attività antimicrobica legate al pH, agli ioni e all’aumento
dell’inoculo batterico. Uno studio di induzione di resistenza in vitro ha inoltre evidenziato il
mancato sviluppo di resistenza dopo 15 passaggi seriali in presenza di concentrazioni sub-MIC del
peptide.
SB006 rappresenta pertanto un ottimo precursore per la sintesi di derivati antibatterici attivi verso
microorganismi Gram-negativi multi-antibiotico-resistenti.
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ALTERAZIONE DEI LIVELLI TESSUTALI DI IONI METALLICI IN UN MODELLO
MURINO DI INFEZIONE POLMONARE DA STENOTROPHOMONAS MALTOPHILIA.
Ciavardelli D.,1,2* Pompilio A.,1,2* Picciani C.,1,2 Fiscarelli E.,3 Piccolomini R.,1,2 Di Bonaventura
G.1,2
1
Centro Studi sull’Invecchiamento, Fondazione Università di Chieti-Pescara.
2
Dipartimento di Scienze Biomediche, Università di Chieti-Pescara.
3
Ospedale Pediatrico “Bambin Gesù”, Roma.
Background: Numerosi microrganismi inducono una significativa disomeostasi cationica a carico
dei tessuti infetti. Tale fenomeno sembra essere riconducibile sia alla risposta immune dell’ospite
che all’azione diretta dei patogeni e può avere un ruolo rilevante nei meccanismi patogenetici. Non
sono a tutt’oggi disponibili dati relativi allo squilibrio del metabolismo cationico nell’ospite in
seguito ad infezione da Stenotrophomonas maltophilia, patogeno multi-resistente ed emergente in
fibrosi cistica. Obiettivo: Studiare le modificazioni delle concentrazioni di metalli osservate
durante l’infezione polmonare causata da S. maltophilia in un modello murino. Materiali e Metodi:
Topi “specific pathogen-free” DBA-2N sono stati esposti ad aerosol contenente una sospensione
batterica standardizzata (1-2 x 1010 CFU/ml in PBS; n=3) del ceppo di S. maltophilia SM111,
isolato da un paziente FC. Topi “controllo” (n=3) sono stati esposti a solo PBS. A tre giorni
dall’esposizione i topi sono stati sacrificati e perfusi con NaCl 0.9%. I polmoni sono stati prelevati,
omogenati, sottoposti ad esame microbiologico e, dopo liofilizzazione e digestione acida, analizzati
mediante spettrometria di massa con sorgente al plasma (ICP-MS). Risultati: L’analisi ICP-MS ha
evidenziato nei topi infetti un significativo (p < 0.05) aumento dei livelli polmonari di Mg, P, Zn,
Se, Rb. E’ stata inoltre osservata una correlazione lineare statisticamente significativa (p < 0.05) tra
la carica batterica polmonare ed i livelli di tali elementi. Conclusioni: L’infezione polmonare da S.
maltophilia determina una significativa alterazione delle concentrazioni di elementi biologicamente
importanti nel tessuto polmonare murino. L’analisi di correlazione tra le concentrazioni di tali
elementi e la carica batterica sembra confermare una stretta dipendenza tra infezione e disomeostasi
cationica. Ulteriori studi in vivo ed in vitro saranno condotti per comprendere il reale significato
fisiopatologico delle alterazioni osservate.
* Ciavardelli D. e Pompilio A. hanno ugualmente contribuito alla realizzazione del lavoro.
Questo studio è stato, in parte, finanziato dalla Fondazione per la Ricerca sulla Fibrosi Cistica (Progetto FFC 7/2007,
adottato da Vicenzi Biscotti Spa).
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ATTIVITÁ ANTIBATTERICA
DI SUPERFICI VETROSE RICOPERTE DI
MONOSTRATI DI NANOPARTICELLE D’ARGENTO
C. Dacarro a , G. Dacarro b, Y. Diaz Fernandez c, P. Grisoli a, P. Pallavicini c, M. Patrini c, G.
Santucci c, A. Taglietti c
a) Diparitmento di Farmacologia Sperimentale ed Applicata; b) CILSOMAF; c) Dipartimento di
Chimica Generale; – Università degli Studi di Pavia, Via Taramelli 12-14. d) Dipartimento di
Fisica “A.Volta” - Università degli Studi di Pavia, Via Bassi 6.
Questo progetto di ricerca si propone di ottenere smart materials con innovative proprietà
antimicrobiche, ponendosi all’intersezione tra chimica di coordinazione, surface science e
applicazioni biomediche della scienza dei materiali. Con lo sviluppo delle nanotecnologie l’argento
è stato preparato sotto forma di di nanoparticelle (AgNPs) la cui attività antimicrobica è stata
oggetto di numerosi studi. Lo scopo della ricerca è quello di ottenere superfici vetrose modificate
con la presenza di NPs adese, per ottenere il loro confinamento sulla superficie e per esercitare
l’attività antimicrobica direttamente a contatto con la superficie stessa. La funzionalizzazione delle
superfici vetrose è stata ottenuta adottando l’approccio del Self Assembled Monolayer (SAM).
L’attività antibatterica è stata valutata contro S. aureus ATCC 6538 e E. coli ATCC 10356. Il
saggio è stato realizzato depositando le sospensioni microbiche sulla superficie del vetro
funzionalizzato con SAM di AgNPs; la superficie è stata successivamente ricoperta con un vetro
non modificato. In questo modo si ottiene il contatto dei batteri con AgNPs in un sottilissimo film
liquido. Il tempo di riduzione decimale, Effetto Microbicida (ME), è stato calcolato utilizzando la
seguente formula: ME = log NC – log NE , dove NC è il valore di CFU/ml ottenuto sui vetri non
modificati e NE è il valore di CFU/ml ottenuto dopo l’esposizione ai vetri funzionalizzati. L’attività
antibatterica si osserva già dopo 5 h di contatto con valori di ME pari a 0,92 per S. aureus e 3,77 per
E. coli. Dopo 24 ore di contatto ME è pari a 5,5 S. aureus e 5,06 per E. coli. I risultati mostrano che
i vetri funzionalizzati esercitano una notevole attività antimicrobica a contatto con le superfici
ricoperte di SAM di AgNPs. E' stato evidenziato inoltre come l'azione antibatterica sia svolta per
rilascio continuo nel tempo di ioni Ag(I) dalle NPs, che restano invece saldamente ancorate alla
superficie senza disperdersi nell'ambiente, evitando così eventuali rischi connessi all'azione di NPs
libere su organismi viventi. Questa applicazione delle nanotecnologie mostra di essere
particolarmente promettente per la preparazione di materiali antibatterici di applicazione industriale
e medica.
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ATTIVITÀ ANTIMICROBICA E COMPOSIZIONE FENOLICA DEI GALBULI DI
JUNIPERUS DRUPACEA LAB. DI ORIGINE TURCA
A. Marino, A. Nostro, V. Bellinghieri, P. Dugo*, F. Cacciola*, M.G. Celi, N. Miceli, M.F. Taviano
Dipartimento Farmaco-Biologico. *Dipartimento Farmaco-Chimico.
Università degli Studi di Messina
Introduzione. In Turchia i galbuli di Juniperus drupacea, localmente noti come andiz, trovano
impiego in medicina tradizionale nel trattamento di infezioni da elminti, dolori addominali ed
emorroidi (Kozan et al. 2006; Yesilada et al. 1995). Obiettivo. Valutare l’azione antimicrobica
dell’estratto metanolico dei galbuli di Juniperus drupacea Lab. di origine turca e caratterizzare i
composti fenolici in esso contenuti. Metodi. L’attività antimicrobica è stata saggiata su S. aureus
ATCC 6538P, S. epidermidis G1, E. hirae AM, B. subtilis P3, E. coli ATCC 25922, P. aeruginosa
ATCC 9021, P. vulgaris G5, Candida albicans ATCC 10231 e Aspergillus niger ATCC 16404
mediante i test: Minima Concentrazione Inibente (MIC) e Minima Concentrazione Battericida
(MBC) secondo le linee guida CLSI 2003. L’inibizione della formazione di biofilm è stata valutata
sui batteri mediante il test di Cramton (Cramton et al. 1999). Indagini fitochimiche sono state
condotte sull’estratto: il contenuto in polifenoli totali è stato determinato secondo il metodo di
Folin-Ciocalteau; i flavonoidi e gli acidi fenolici sono stati caratterizzati mediante analisi
HPLC/DAD (Gao et al. 2000; Miceli et al. 2009). Risultati. L’estratto ha dimostrato di avere
attività battericida su S. aureus ATCC 6538P con valori di MIC pari a 625µg/ml e MBC pari a 1250
µg/ml. Sugli altri batteri Gram-positivi ha mostrato invece, solo un’azione batteriostatica con valori
di MIC tra 1250-2500 µg/ml. Nessuna attività è stata rilevata sui batteri Gram-negativi e sui funghi.
L’estratto inoltre, alla concentrazione di 1/2MIC, ha ridotto la formazione di biofilm di S. aureus
(72%), S. epidermidis (55%) e B. subtilis (67%). Il contenuto in polifenoli totali è risultato pari a
48,06 ± 0,99 mgGAE/g di estratto. L’analisi HPLC ha portato all’identificazione di 15 composti
fenolici: quattro flavonoidi, tra i quali ipolaetina-7-pentoside (311 µg/g estratto) e quercetina-3-Oesoside (239 µg/g estratto); sei biflavonoidi, tra i quali amentoflavone (927 µg/g estratto) ed un
metilbiflavone (660 µg/g estratto); cinque acidi fenolici, tra i quali tirosolo (1324 µg/g estratto) ed
acido protocatecuico (1097 µg/g estratto). Conclusioni. L’estratto metanolico di J. drupacea ha
mostrato attività sui batteri Gram-positivi dovuta probabilmente al contenuto in acidi fenolici,
flavonoidi e biflavonoidi. Studi sono in corso per identificare ulteriori composti ad azione
antibatterica.
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EFFETTI DELL’AGLIO (Allium sativum L.) SUI BATTERI INTESTINALI
Filocamo A.1; Nueno-Palop C.2; Mandalari G.1; La Camera E.3; Narbard A.2; Bisignano G.1
1
Dipartimento Farmaco-Biologico Università di Messina, Viale S.S. Annunziata, 98121 Messina,
Italia; 2Integrated Biology of the GI Tract Programme, Institute of Food Research, Norwich
Research Park, Colney, Norwich NR4 7UA, United Kingdom; 3Facoltà di Farmacia, Università di
Messina, Viale S.S. Annunziata, 98121 Messina, Italia.
L’uso di rimedi a base di erbe è sempre più diffuso, guidato dalla convinzione che le sostanze
naturali hanno meno effetti collaterali dei farmaci. Inoltre, l’interesse delle industrie alimentari
verso l’uso di sostanze naturali con attività antimicrobica è in costante aumento al fine di migliorare
la shelf-life degli alimenti.
L’aglio (Allium sativum L.) è una delle più antiche piante medicinali usata per il trattamento e la
prevenzione di molte malattie. Le sue molteplici proprietà (antibatterica, antifungina, antivirale,
ipotensiva, cardioprotettiva, immunostimolante, antiossidante e anticancro) legate principalmente
all’allicina e ad altri sulfuro-composti presenti, sono state valutate per gli effetti benefici sulla
salute, per cui viene oggi considerato un agente di prevenzione per diverse patologie.
Numerosi studi sono presenti sull`attività dell’aglio contro patogeni, tra cui Neisseria Gonorrhoeae,
Staphylococcus aureus ed Enterococcus faecalis.
Tuttavia, l’effetto dell’aglio sui batteri intestinali non è stato finora considerato.
L’obiettivo di questo studio è stato quello di valutare l’effetto di una polvere di aglio commerciale,
usata comunemente a scopo domestico per la preparazione di cibi, su un range rappresentativo di
batteri intestinali mediante modelli di fermentazione in vitro, sia statici che dinamici. Fermentazioni
statiche sono state condotte in anaerobiosi con culture pure di lattobacilli, bifidobatteri, batteroidi e
clostridi. Successivamente un modello di colon è stato utilizzato per valutare gli effetti dell’aglio su
una coltura fecale mista del tratto distale del colon. I risultati ottenuti hanno dimostrato che
Lactobacillus casei DSMZ 20011 è resistente alla polvere di aglio mentre Bifidobacterium longum
DSMZ 20090 e Clostridium nexile A2-232 subisce un abbattimento della carica dopo 6 ore di
incubazione, con una ricrescita dopo 8 e 24 ore. Riesponendo le colture alle stesse concentrazioni di
aglio, non si sono riscontrati effetti sulla crescita, indicando l’acquisizione di una resistenza
all’effetto antibatterico dopo il primo contatto.
Risultati analoghi sono stati ottenuti nel modello dinamico di fermentazione in vitro.
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Pagina 178 di 288
STUDI DELL’ATTIVITÀ ANTIFUNGINA DELL’OLIO ESSENZIALE DI ACHILLEA
AGERATUM IN CANDIDA ALBICANS.
1
Vavala E., 2Ragno R., 2Sivric S., 2Sartorelli G., 1Palamara AT., 1Angiolella L.
1
Dipartimento di Scienze di Sanità Pubblica” G.Sanarelli”,
2
Dipartimento chimica e Tecnologia del farmaco. ”Sapienza” Università di Roma.
In questi ultimi anni assistiamo ad un crescente interesse per lo studio di sostanze naturali
estratte dalle piante, tra questi diversi oli essenziali vengono utilizzati sempre più spesso per
risolvere problemi di diversa natura. Lo studio di molecole naturali ha acquisito un forte interesse a
causa dello sviluppo sempre più diffuso di microrganismi resistenti ai farmaci utilizzati nelle terapie
antinfettive. Tra i diversi microrganismi in grado di produrre ceppi farmaco-resistenti i funghi
rappresentano un problema piuttosto rilevante per la difficoltà a reperire nuovi farmaci antimicotici.
Candida albicans, fungo dimorfo opportunista, è frequentemente isolato nell’uomo, in
particolare nei pazienti immunocompromessi da HIV/AIDS, pazienti sottoposti a chemioterapia,
neutropenici, trapiantati o con diabete.
Sulla base di queste evidenze e nel tentativo di trovare nuovi oli essenziali da poter utilizzare
come antimicotici, è stato utilizzato l’olio essenziale di Achillea ageratum, la cui pianta cresce
sulla costa ovest del mediterraneo ed è stata utilizzata sin dai tempi antichi per diversi usi. Il
principale componente dell’olio essenziale è lo Yomogi alcool presente per circa il 44% insieme
all’1,8 cineolo presente al 20%, più altri componenti con percentuali più basse.
Vari autori ne hanno studiato l’attività citostatica, spasmolitica e le sue proprietà antibatteriche
ma nessuno fino ad ora ne aveva dimostrato l’attività antimicotica. A tale scopo il nostro gruppo ne
ha studiato sia l’attività fungistatica che fungicida, l’inibizione della formazione del tubo
germinativo e del biofilm, importanti fattori di virulenza di C. albicans. Lo studio condotto su
diversi ceppi di diversa provenienza e con differente sensibilità ai comuni farmaci antimicotici ha
messo in evidenza una buona attività fungistatica e fungicida anche sui ceppi resistenti, una
inibizione completa del tubo germinativo a concentrazioni sub-inibenti e una inibizione circa del
60% del biofilm alla concentrazione di 0,25%.
In conclusione abbiamo dimostrato per primi, l’attività antimicotica dell’olio essenziale di
Achillea ageratum contro diversi ceppi di C.albicans, inclusi i ceppi resistenti al fluconazolo. La
sua capacità di inibire il tubo germinativo ed il biofilm a concentrazioni sub-inibenti suggerisce un
suo potenziale uso come alternativa terapeutica ai farmaci di sintesi che più frequentemente
determinano resistenza.
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Pagina 179 di 288
EFFETTO DI FANS SULLA FORMAZIONE DI BIOFILM DI CANDIDA ALBICANS E
POTENZIAMENTO DELLA ATTIVITÀ DI FARMACI ANTIFUNGINI
Emanuela Agus, Carmen C. Piras, Luisa Casula, Nadia Serra, Alessandro De Logu
Sezione di Microbiologia Medica, Dipartimento di Scienze e Tecnologie Biomediche, Università di
Cagliari
C. albicans può determinare serie infezioni superficiali e sistemiche. In conseguenza della
capacità di formare biofilm sulla superficie di cateteri, dispositivi medici e tessuti, è considerata uno
tra i più importanti agenti patogeni coinvolti nelle infezioni nosocomiali. Seppure la setticemia
determinata da cellule fungine liberate dal biofilm risponda generalmente al trattamento con i
farmaci antifungini convenzionali, le cellule dei biofilm si dimostrano, con poche eccezioni,
resistenti e pertanto rappresentano la causa principale delle difficoltà incontrate in corso di terapia
nell’eradicazione dell’infezione. Le prostaglandine prodotte da C. albicans giocano un ruolo
importante nella colonizzazione fungina. La loro sintesi coinvolge le cicloossigenasi COX-1 e
COX-2 che convertono l’acido arachidonico in PGH2 che viene quindi convertita in PGI2, PGF2,
PGD2 e PGE2. Abbiamo valutato gli effetti di farmaci antinfiammatori non steroidei inibitori della
cicloossigenasi sulla formazione di biofilm di C. albicans. Diversi farmaci testati inibiscono a basse
concentrazioni la formazione di biofilm. Gli effetti più evidenti si sono osservati con piroxicam,
ibuprofene, aspirina, etodolac, diclofenac e meloxicam (fino al 95% di inibizione). L’inibizione è
stata determinata sia nei confronti di biofilm in formazione che su biofilm formato per 48 ore.
L’effetto è dose-dipendente ed è in grado di indurre una significativa inibizione a dosi
farmacologicamente attive. L’azione concomitante di PGE2 annulla l’effetto inibitorio dovuto a 25
o 50 μM di piroxicam. Il trattamento con altri inibitori delle cicloossigenasi quali etodolac,
determina la formazione di biofilm costituito quasi esclusivamente da lieviti. I risultati indicano che
la sintesi cicloossigensai-dipendente delle prostaglandine fungine è importante sia per lo sviluppo di
biofilm che per la morfogenesi di C. albicans e può agire come regolatore di questi processi
fisiologici. Il trattamento con concentrazioni subinibenti di piroxicam e diclofenac durante e dopo la
formazione del biofilm aumentano inoltre significativamente la sensibilità nei confronti di
fluconazolo, itraconazolo e derivati ciclici isotiosemicarbazonici. Diversi FANS possono pertanto
essere utili nei protocolli terapeutici in combinazione con agenti antifungini nel trattamento e
prevenzione delle infezioni sostenute da C. albicans.
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Pagina 180 di 288
RUOLO IMMUNOMODULATORIO DEI TEGUMENTI DI MANDORLA (Amygdalus
communis L.)
Adriana Arenaa, Giovanna Stassia, Giuseppina Mandalarib, Martin S.J. Wickhamb, Carlo Bisignanoc.
a
Dipartimento di Discipline Chirurgiche sez. Microbiologia Policlinico Universitario, Messina,
b
Model Gut Platform, Institute of Food Research, UK e cDipartimento Farmaco-biologico,
Università di Messina.
Studi recenti hanno evidenziato come alcuni prodotti naturali possano rappresentare un potenziale
approccio terapeutico alternativo e/o sinergico per il trattamento di alcune patologie infettive. È
noto che una efficiente eliminazione virale è legata ad una risposta immune di tipo Th1,
caratterizzata dall’attivazione di cellule mononucleate e dalla produzione di citochine proinfiammatorie, come gli Interferoni, il Tumor Necrosis Factor-α e l’Interleuchina-12. E’, altresì,
noto che la risposta Th2, legata alla produzione di interleuchine come IL-4 e IL-10, è in grado di
contrastare una esagerata risposta di tipo Th1. Questo rapporto dinamico è alla base dell’efficace
risposta immune dell’ospite. Nel presente studio abbiamo valutato sia gli effetti dei tegumenti di
mandorle naturali [NS] ricchi in polifenoli , sia gli effetti delle stesse sottoposte al processo
industriale di blanching con acqua calda [BS] sia gli effetti dei loro rispettivi prodotti di digestione
gastrica e duodenale. Tali effetti sono stati effettuati in un sistema in “vitro” costituito da cellule
mononucleate del sangue periferico [PBMC] infettate o no con Herpes Simplex tipo 2 [HSV2]. In
particolare, abbiamo valutato sia la loro capacità di indurre la produzione di citochine pro- e antiinfiammatorie che la loro attività antivirale. I risultati ottenuti hanno dimostrato che solo NS era in
grado di ridurre significativamente la replicazione virale. Per capire se tale effetto antivirale potesse
essere correlato ad una azione stimolatoria dell’NS sulla risposta immune antivirale, abbiamo
testato la produzione di citochine come IFN-α, IL-12, IFN-γ e TNF-α. NS risultava capace di
indurre le PBMC, sia infettate che non infettate, a rilasciare alti livelli delle citochine prese in
esame. Inoltre, con nostra grande sorpresa NS risultava in grado, nel nostro modello sperimentale,
di indurre anche una risposta di tipo Th2 evidenziata da un’alta produzione di IL-4 e IL-10.I nostri
dati suggeriscono l’ipotesi che NS può comportarsi in modo bivalente, come fattore co-stimolatorio
sia della risposta Th1 che della risposta Th2, in relazione al profilo citochinico presente nel
microambiente. Questa sua capacità immunomodulatoria potrebbe rappresentare quindi un valido
approccio terapeutico, atto ad equilibrare la risposta immune dell’ospite durante un’infezione virale.
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Pagina 181 di 288
PROPRIETA’ANTI-INFIAMMATORIE DI AV119, UNO ZUCCHERO ESTRATTO DA
AVOCADO GRATISSIMA.
Paoletti I, Buommino E, Baudouin C*, Msika P*, De Filippis A, Donnarumma G, Tufano MA
Dipartimento di Medicina Sperimentale, Sezione di Microbiologia e Microbiologia Clinica, Facoltà
di Medicina e Chirurgia, Seconda Università degli Studi di Napoli
*Laboratoires Expansciences Epernon, France
La funzione della cute è quella di creare una barriera di protezione dell’organismo rispetto
all’ambiente esterno. Tale barriera può essere interrotta in seguito a traumi fisici o come
conseguenza di processi infettivi, cui segue la risposta infiammatoria e/o immune delle cellule
residenti nella cute. In particolare, è noto che i cheratinociti, cellule presenti nella cute, oltre ad
avere un ruolo strutturale mediano anche la reazione immune cutanea.
Gli zuccheri in forma di monosaccaridi, oligosaccaridi, polisaccaridi e glicoproteine sono
componenti fondamentali di microrganismi infettanti e cellule ospiti. Essi sono coinvolti nel
signalling associato alla modulazione dell’infiammazione in tutte le strutture di rivestimento. Due
gruppi di recettori, recettori di tipo C lectine (CTLs) e recettori toll-like (TLRs) rendono capace
l’ospite di riconoscere i pattern molecolari patogeno-associati (PAMPs). I CTLs sono in grado di
riconoscere una grande varietà di batteri, funghi e parassiti e sono importanti per l’endocitosi e la
fagocitosi. I TLRs, espressi sulla superficie di una varietà di cellule, compresi i cheratinociti,
svolgono un ruolo importante nella immunità innata. L’ interazione di TLRs con PAMPs avvia una
cascata di eventi che portano alla produzione di radicali liberi, citochine e chemochine,
promuovendo infiammazione. Zuccheri esogeni in grado di bloccare questi recettori potrebbero
fornire un effetto anti-infiammatorio e/o antimicrobico.
In questo studio, utilizzando cheratinociti umani pretrattati con lipopolisaccaride (LPS), è stata
valutata l’attività anti-infiammatoria di AV119, uno zucchero di origine naturale. In particolare,
mediante real time PCR è stata analizzata la modulazione dell’espressione di citochine proinfiammatorie quali IL-1α, IL-6, TNF-α, molecole di adesione intercellulare-1 (ICAM-1) e HSP70.
I dati di mRNA sono stati confermati, misurando la concentrazione proteica delle sopracitate
molecole nei surnatanti cellulari, mediante saggi ELISA e/o western blot. Infine, utilizzando saggi
di attività e western blot è stato valutato anche il coinvolgimento del fattore trascrizionale NF-kB. I
nostri risultati indicano che AV119, inibendo il fattore trascrizionale NF-kB, down-regola
significativamente l’overespressione LPS-indotta, di citochine infiammatorie e molecole di
adesione.
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Pagina 182 di 288
INFLUENZA MICROBICA SUL RILASCIO E SULL'IMMOBILIZZAZIONE
ARSENICO IN UN CO-PRECIPITATO NATURALE DI FERRO E ARSENICO.
R. Gorra, M. Martin
DIVAPRA, Università degli Studi di Torino
DI
Per la sua diffusione nell'ambiente e tossicità, l'arsenico (As) è il primo tra gli elementi tossici nella
lista della Agency for Toxic Substances and Diseases Registry (ATSDR). La contaminazione da
arsenico è un problema gravissimo in molti Paesi, soprattutto asiatici. Purtroppo anche in diverse
zone italiane (Piemonte, Lombardia, Toscana, Lazio, Campania, Sardegna), le acque possono
contenere concentrazioni di As superiori al limite di 10 μg L-1 e numerosi suoli sono contaminati.
Non solo l'acqua potabile, ma anche le colture cresciute in presenza del contaminante possono
rappresentare un rischio per la salute. La mobilità ambientale e la disponibilità dell'As sono limitate,
oltre che dall'adsorbimento sulle fasi minerali, da reazioni di precipitazione e co-precipitazione. In
acque ricche di As e metalli in soluzione, come quelle del Bangladesh, o nei drenaggi di miniera, la
formazione di co-precipitati è documentata e spesso favorita dalla presenza di microrganismi ferroossidanti, che possono promuovere una bio-decontaminazione naturale.
Le comunità microbiche che si sviluppano negli ambienti ricchi di As sono direttamente o
indirettamente coinvolte nel regolarne la mobilità favorendone il passaggio in soluzione (riducendo
l'As o gli ossidi di ferro) oppure l'immobilizzazione in fase solida (mediando l'ossidazione dell'As o
del ferro). I prodotti di co-precipitazione, specialmente quando è coinvolta l'attività microbica,
possono contenere una notevole quantità di sostanza organica, il cui ruolo nel regolare la stabilità
della fase solida e la mobilità ambientale dell'As è ancora da chiarire.
Alcuni ceppi Fe- o Mn-ossidanti, partecipano attivamente alla formazione di prodotti di coprecipitazione Fe-As, promuovendo una bio-decontaminazione naturale. L'eventuale presenza di
microrganismi in grado di ridurre l'As (o il Fe) può invece favorire il rilascio del contaminante. Il
ruolo dei microrganismi nel favorire l’immobilizzazione o il rilascio di As da prodotti di coprecipitazione, riveste quindi notevole interesse per la sua rilevanza ambientale. Perciò è stato
svolto uno studio atto a valutare la stabilità di co-precipitati naturali di Fe-As in relazione a
microrganismi presenti negli stessi co-precipitati, potenzialmente attivi nel promuovere
l’immobilizzazione o la solubilizzazione dell’As.
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DINAMICHE MICROBICHE IN PROVE DI DETERIORAMENTO AEROBICO DI
SILOMAIS
Dolci Paola1, Borreani Giorgio2, Tabacco Ernesto2, Piano Serenella2, Cocolin Luca1.
1
Dipartimento di Valorizzazione e Protezione delle Risorse agroforestali, Facoltà di Agraria,
Università di Torino
2
Dipartimento di Agronomia, Selvicoltura e Gestione del Territorio, Facoltà di Agraria, Università
di Torino
L’esposizione di silomais all’aria, quindi all’ossigeno, provoca la crescita di microrganismi
alteranti. Gli insilati esposti all’aria, infatti, vanno incontro a processi di deterioramento dovuti ad
un’intensa attività microbica aerobia. Inizialmente sono i lieviti a innescare questo processo, in un
secondo tempo vengono sostituiti da bacilli, clostridi, Enterobacteriaceae e muffe. La stabilità degli
insilati esposti all’aria può variare da poche ore ad alcuni giorni in funzione di diversi fattori, tra cui
le specie di microrganismi e la loro carica. In questa ricerca sono state valutate le dinamiche con cui
diverse specie batteriche colonizzano e competono nella matrice silomais durante l’insilamento e
all’esposizione all’aria dopo l’apertura. Il confronto ha previsto la valutazione di due tipologie di
film plastico per la copertura di sili da laboratorio da 30 l:sili coperti con telo polietilene dello
spessore di 120 μm (PE) e sili coperti con un telo a bassa permeabilità all’ossigeno dello spessore di
125 μm (OB) a base di poliammide. Per ogni trattamento sono stati analizzati 3 sili. I
campionamenti sono stati effettuati sul foraggio verde prima dell’insilamento, sull’insilato dopo
circa 110 giorni di conservazione a silo chiuso e sui campioni di insilato esposti all’aria per 2, 5, 7,
9 e 14 giorni. Le dinamiche microbiche sono state seguite mediante un approccio colturaindipendente, in particolare è stata utilizzata la tecnica DGGE (Denaturing gradient gel
electrophoresis) preceduta da un’estrazione totale del DNA dalle matrici e dall’amplificazione della
regione V3 del gene che codifica per l’rRNA 16S. La Cluster Analysis applicata ai profili DGGE
delle matrici evidenzia una parziale influenza dei due diversi trattamenti sulla microflora batterica.
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PROGETTO SIMIFF: SORVEGLIANZA ITALIANA MULTICENTRICA SULLE
INFEZIONI INVASIVE DA FUNGHI FILAMENTOSI
Montagna MT, Coretti C, Lovero G, Iatta R, Caggiano G & GdL Progetto SIMIFF*
Dip di Scienze Biomediche e Oncologia Umana, Sezione di Igiene, Università degli Studi di Bari
Premessa. Negli ultimi decenni, oltre ai classici miceti (es. Aspergillus), altri funghi filamentosi
sono stati riconosciuti responsabili di gravi patologie (Acremonium, Fusarium, Scedosporium,
Mucor e Rhyzopus). Studi sempre più aggiornati sulla biologia di questi microrganismi hanno
permesso di ampliare le conoscenze sul loro saprofitismo e parassitismo e la messa a punto di nuove
tecniche di laboratorio in grado di fornire una diagnosi precoce.
In Italia manca un sistema centralizzato di sorveglianza sulle infezioni fungine gravi, per cui i dati
epidemiologici sono poco omogenei e si riferiscono per lo più a studi condotti su singoli ospedali o
su una tipologia di paziente. Poiché le indicazioni epidemiologiche sono spesso legate alla realtà
territoriale, é importante conoscere l’incidenza delle micosi e i fattori di rischio ad esse correlati,
allo scopo di contenere la diffusione di tali complicanze infettive ancora oggi sottostimate e di
difficile risoluzione.
Obiettivi. Il progetto SIMIFF, coordinato dall’Università di Bari (CC) sotto l’egida della
Federazione Italiana di Micopatologia Umana e Animale (FIMUA, www.fimua.it), ha lo scopo di
valutare l’epidemiologia delle micosi invasive da funghi filamentosi in Italia negli anni 2009-2010.
Percorso operativo. A tuttoggi partecipano allo studio 14 Centri distribuiti su territorio nazionale.
Per ogni caso di micosi certa e probabile il Centro Arruolato (CA) deve compilare una scheda in
formato elettronico per la raccolta delle informazioni cliniche e di laboratorio (fattori di rischio,
approcci diagnostici e terapeutici adottati nelle diverse realtà territoriali, outcome del paziente a 60
gg dalla diagnosi, etc). I dati sono inseriti in un database dal CC ed elaborati da una Unità di
Statistica. Successivamente, sugli stipiti isolati e inviati al CC sarà valutata la sensibilità in vitro nei
confronti degli antimicotici di comune impiego, compresi quelli di più recente introduzione.
(*) Partecipanti allo studio: Ancona (F Barchiesi, E Manso), Bari (MT Montagna, G Specchia),
Bologna (V Sambri), Catania (S Oliveri), Firenze (PL Nicoletti, P Pecile), Foggia (M Li Bergoli),
Genova (C Viscoli, M Malgorzata, O Soro), Milano (C Farina, AM Tortorano), Novara (S
Andreoni), Palermo (S Giordano, R Monastero), Pescara (D D’Antonio, V Savini), Roma (L
Pagano, M Sanguinetti), Treviso (R Rigoli), Udine (PL Viale)
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VALUTAZIONE DELLA FREQUENZA DI DERMATOFITI E ALTRI MICETI IN
SOGGETTI AFFERENTI AD UN CENTRO PODOLOGICO
Vivian Tullio, Janira Roana, Marco De Filippi, Giuliana Banche, Valeria Allizond, Narcisa
Mandras, Daniela Scalas E Nicola Carlone
Dipartimento di Sanità Pubblica e Microbiologia, Università degli Studi di Torino
Le dermatofizie del piede e delle unghie (tinea pedis e tinea unguium) sono estremamente frequenti
nei paesi più sviluppati e industrializzati con una prevalenza tra il 10 e il 25%. La diversa
prevalenza della tinea pedis nei paesi a più alto tenore di vita rispetto a quelli del terzo mondo, trova
la causa essenzialmente nell’uso, spesso incongruo, di calzature non idonee che, anche per cause
climatiche più favorevoli, non sono ugualmente utilizzate nei paesi in via di sviluppo. Benché tinea
pedis e tinea unguium non siano particolarmente pericolose, sono pur tuttavia forme morbose,
tendenti alla rapida diffusione e cronicizzazione e spesso non diagnosticate: i portatori “sani” e
quelli con tinea pedis inapparente potrebbero essere numerosi e in grado di diffondere l’infezione
nell’ambiente e fra la popolazione. Scopo del lavoro è stato quello di valutare se i soggetti afferenti
ad un “centro podologico” privato per la cura e l’estetica del piede potessero risultare portatori sani
di dermatofiti e rappresentare, quindi, un veicolo asintomatico di trasmissione.
Un campione di 157 soggetti, rappresentativo della popolazione della città di Chieri (Torino) è stato
analizzato dal punto di vista micologico, valutando la presenza e la distribuzione di dermatofiti ed
altri miceti. I prelievi sono stati eseguiti anche in base ad una serie di altri possibili fattori di rischio:
sesso, classe di età, presenza di sintomatologia concomitante e attività sportive praticate. In totale,
130 (82.8%) individui sono risultati positivi per una o più specie micotiche (dermatofiti, muffe
filamentose, lieviti). Tra i dermatofiti sono stati isolati per lo più T. mentagrophytes, T. rubrum ed
in parte anche E. floccosum, riconosciuti agenti di tinea pedis e t. unguium, mentre tra i non
dermatofiti i più rappresentati sono risultati i funghi demaziacei. Non è stata osservata una
differenza significativa tra soggetti asintomatici e sintomatici, indicando che l’assenza di sintomi
non è indice di negatività per dermatofiti.
I risultati ottenuti indicano che, a livello epidemiologico, risulta importante e auspicabile attuare
una maggiore sorveglianza, soprattutto estesa a sedi di campionamento dove i soggetti afferiscono
non necessariamente per motivi legati a patologie, così da ottenere un più ampio quadro della
situazione anche in soggetti in apparenti buone condizioni di salute.
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SEPSI FUNGINA IN TERAPIA INTENSIVA NEONATALE: CONFRONTO TRA DUE
METODI DIAGNOSTICI
Trovato L., Oliveri S., *Betta P., *Romeo M., Nicoletti G.
Dipartimento di Scienze Microbiologiche e Scienze Ginecologiche, *Dipartimento di Pediatria
Università di Catania
U.O. Laboratorio Analisi,* U.O. Terapia Intensiva Neonatale
A.O.U. Policlinico “G. Rodolico” di Catania
La fungemia, e più precisamente la candidemia, rappresenta la terza causa più comune di sepsi, con
un’incidenza compresa tra 1.6% e 9% nei neonati pre-termine con peso alla nascita ≤ 1500 grammi
e del 10-16% in quelli con peso ≤ 1000 grammi, con un tasso di mortalità, riportato da diversi studi
multicentrici, pari al 20-30%. La diagnosi certa di IFI nel nato pre-termine, si basa ancora oggi
prevalentemente sull’isolamento di Candida dall’emocoltura che peraltro, risulta positiva,
solamente nel 24-60% dei casi di candidosi invasiva. In particolare, la sensibilità delle emocolture
tende a ridursi ulteriormente per la bassa quantità di volume di sangue prelevabile dai nati pretermine. Esistono comunque dei metodi, tra cui la lisi-centrifugazione, studiato per la raccolta di
piccoli volumi di sangue.
In questo studio osservazionale retrospettivo riportiamo i dati relativi alle emocolture effettuate tra
agosto 2008 e agosto 2009 su neonati pre-termine ricoverati presso l’UTIN al fine di comparare il
sistema di lisi centrifugazione con il sistema Bactec Ped Plus/F. Sono stati selezionati 21 neonati, 9
maschi e 12 femmine, e analizzate 34 emocolture eseguite contemporaneamente con i due metodi.
Con il sistema lisi-centrifugazione è stata diagnosticata IFI in due pazienti (9.5%), mentre con il
sistema Bactec in un solo paziente (4.75%). Delle 34 emocolture analizzate, il 20.6% sono risultate
positive con il sistema lisi centrifugazione e il 5.8% mediante Bactec, con una differenza
statisticamente significativa (test esatto di Fisher: P=0,045). Complessivamente sono state isolate
tre specie, C. albicans (1 pz), C. parapsilosis e M. furfur (1 pz). L’isolamento di C. albicans è stato
evidenziato solo con il sistema lisi centrifugazione insieme all’isolamento simultaneo di batteri (S.
epidermidis), evidenziati successivamente anche con il Bactect. C. parapsilosis è stata evidenziata
con entrambi i metodi. Relativamente a M. furfur, con il sistema lisi centrifugazione sono state
ottenute 5 emocolture positive, mentre con il Bactec solamente una. In conclusione, comparando il
metodo lisi centrifugazione con i sistemi convenzionali utilizzati per l’emocoltura, si osserva una
maggiore sensibilità e una riduzione dei tempi relativi alla detenzione della fungemia, specialmente
quando sono implicati lieviti che richiedono particolari condizioni di crescita.
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IDENTIFICAZIONE E TIPIZZAZIONE MOLECOLARE DI CANDIDA AFRICANA IN
PAZIENTE CON CANDIDOSI VAGINALE RICORRENTE
Sardo V., Trovato L., Rapisarda M.F., Oliveri S.
Dipartimento di Scienze Microbiologiche e Scienze Ginecologiche
U.O. Laboratorio Analisi, A.O.U. Policlinico “G. Rodolico” Catania
La candidosi vulvovaginale rappresenta, dopo la vaginosi batterica, la più frequente causa di
infezione vaginale. C. albicans è la specie più frequentemente isolata; recentemente sono stati
segnalati come agenti di vaginite anche ceppi atipici di tale specie identificati, mediante indagini
molecolari, come C. africana.
In questo lavoro riportiamo un caso di candidosi vaginale da Candida africana osservata in una
paziente con storia clinica di VVCR da circa tre anni e trattata per lungo tempo con diverse terapie
topiche e sistemiche risultate inefficaci.
Dopo un’accurata anamnesi e wash-out dalle terapie eseguite, abbiamo avviato gli esami standard
per escludere la possibile presenza di infezioni vaginali concomitanti ed effettuato esami
micologici seriali per un periodo di sei mesi. In particolare, sono stati effettuati 3 campionamenti,
sia a livello vulvare che vaginale, in concomitanza della presenza della sintomatologia e due
campionamenti a livello vaginale in fase di controllo.
Da tutti i campioni sono stati isolati lieviti con caratteristiche morfologiche e fisiologiche atipiche.
In particolare, tutti ceppi formavano tubulo germinativo in siero bovino a 37°C, ma non
producevano clamidospore in corn-meal agar e rice extract agar con aggiunta di tween 80. In questi
terreni inoltre si osservavano cellule da sferiche a ovoidali, con scarsa produzione di pseudioife.
L’identificazione biochimica effettuata con il Vitek 2 mostrava un profilo di identificazione non
accettabile così come l’utilizzo del sistema ID 32 C. Tenuto conto dei risultati ottenuti abbiamo
avviato una multiplex PCR specifica per l’identificazione di C. albicans. Oltre i ceppi atipici,
sono stati inseriti un ceppo isolato dalla stessa paziente 16 mesi prima e identificato come C.
albicans e il ceppo di controllo C. albicans ATCC 2921. Solamente in quest’ultimo sono stati
evidenziati due prodotti di amplificazione pari a 219 bp e 110 bp, escludendo, nonostante la
positività della formazione del tubulo germinativo, l’identificazione degli altri ceppi come C.
albicans. L’ipotesi che i ceppi isolati siano riconducibili a C. africana, oltre che con altri test
fisiologici e biochimici, è stata verificata attraverso PCR, utilizzando una singola coppia di
primers aventi come target il gene hwp1, in grado di discriminare C. albicans, C. dubliniensis e C.
africana.
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DIAGNOSI MOLECOLARE DI ONICOMICOSI DA TRICHOPHYTON RUBRUM
Oliveri S., Trovato L., *Milici M.E.
Dipartimento di Scienze Microbiologiche e Scienze Ginecologiche - Università di Catania
U.O. Laboratorio Analisi, A.O.U. Policlinico “G. Rodolico” Catania
* Dipartimento di Scienze per la Promozione della Salute - Università di Palermo
I dermatofiti sono tra i principali agenti eziologici causa di onicomicosi ed in particolare, tra questi,
T. rubrum e T. mentagrophytes sono quelli principalmente implicati. L’attuale diagnosi di
laboratorio è basata sull’osservazione microscopica mediante KOH degli elementi fungini, seguita
dall’esame colturale e dall’identificazione morfologica. Questi metodi presentano in alcuni casi
bassa specificità e sensibilità da riferirsi prevalentemente ad esami microscopici positivi e a nessun
isolamento in coltura o all’isolamento di funghi non responsabili dell’infezione che tendono ad
inibire la crescita dei dermatofiti. L’introduzione di metodi molecolari, più sensibili e specifici,
consente una più rapida e accurata identificazione dell’agente eziologico causa dell’infezione.
A partire da un caso clinico di onicomicosi è stata messa a punto una metodica in multiplex PCR
per il rilevamento di dermatofiti e l’identificazione di T. rubrum. L’esame microscopico del primo
campione clinico era positivo per ife e in coltura si isolava Aspergillus. Il 2° campione, raccolto
dopo 15 gg è stato inizialmente trattato con un tampone di lisi e successivamente posto per 2 ore a
65°C. Dopo centrifugazione a 5000 rpm, il pellet ottenuto è stato utilizzato per l’estrazione del
DNA fungino utilizzando il kit DNeasy® Plant Mini Kit. È stata quindi avviata una multiplex PCR
utilizzando una coppia di primers specifici per i dermatofiti aventi come target il gene della chitin
sintetasi e un’altra coppia di primers specifici per l’identificazione del T. rubrum. Oltre al campione
clinico è stato inserito come controllo il ceppo ATCC 9533 di T. mentagrophytes. La corsa
elettroforetica in gel di agarosio ha evidenziato per il ceppo di controllo una banda pari a 435-bp
specifica per i dermatofiti e nel campione clinico oltre alla presenza di tale banda ne è stata
evidenziata una seconda pari a 203-bp specifica per il T. rubrum. Successivamente i prodotti di
amplificazione sono stati purificati e digeriti con MvaI, Eco RI e HaeIII per 90 minuti a 37°C. Dei
tre enzimi utilizzati, solamente MvaI e HaeIII hanno permesso di differenziare il ceppo di T.
rubrum dal T. mentagrophytes. In conclusione, il metodo da noi utilizzato ha permesso, rispetto alle
tecniche convenzionali, una rapida e accurata diagnosi molecolare di onicomicosi da T. rubrum.
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DETERMINAZIONE
DELL’INCIDENZA
E
DELLA
BIODIVERSITA’
DI
BRETTANOMYCES BRUXELLENSIS IN 87 VINI ITALIANI TRAMITE METODICHE
DI BIOLOGIA MOLECOLARE.
Simona Campolongo, Kalliopi Rantsiou, Vincenzo Gerbi e Luca Cocolin
Università degli Studi di Torino
Facoltà di Agraria, Di.VA.PRA
Settore di Microbiologia Agraria e Tecnologie alimentari
Via Leonardo da Vinci 44, 10095, Grugliasco (To)
I lieviti appartenenti al genere Brettanomyces-Dekkera costituiscono oggi un grave problema a
causa della loro larga diffusione nelle bevande alcoliche. Tra le forme oggi conosciute di questo
microrganismo quella più diffusa nel vino è B. bruxellensis, ma talvolta sono stati isolati anche
ceppi di B. anomalus.
Questo microorganismo è tra i maggiori responsabili dell’origine di odori sgradevoli nel vino, che
possono causarne notevoli deprezzamenti. I difetti organolettici causati da Brettanomyces spp. e
riscontrati nei vini di tutto il mondo sono riconducibili a odori simili a cane bagnato, orina di topo,
sudore di cavallo, stalla, vernice, plastica, etc, che vengono nell’insieme definiti come “nota Brett”.
La presenza del difetto condiziona pesantemente il profilo aromatico dei vini causando da un
appiattimento dell’aroma alla comparsa della nota Brett. La presenza di questi odori è attribuibile
alla produzione da parte di Brettanomyces spp. di alcuni fenoli volatili, come il 4-etil guaiacolo, 4etilfenolo, 4-vinilguaiacolo ed il 4-vinilfenolo.
Nella corrente ricerca è stata investigata la presenza in vino del lievito Brettanomyces spp. sotto
diversi aspetti, utilizzando tecniche di microbiologia tradizionale (coltura dipendenti) e biologia
molecolare (coltura indipendenti). Tramite campionamenti di microbiologia tradizionale è stata
analizzata la carica microbica relativa a questo lievito in 87 vini provenienti dalle regioni Piemonte
e Liguria. Sono stati perciò isolati circa 210 ceppi di Brettanomyces spp. poi sottoposti ad ulteriori
analisi di biologia molecolare (PCR specie-specifica e restrizione enzimatica) per stabilirne con
precisione l’appartenenza alla specie bruxellensis. E’ stata poi studiata l’ecologia microbica dei
ceppi così isolati tramite SAU-PCR e tramite l’analisi dei profili così ottenuti.
La combinazione di queste analisi ha condotto alla conclusione che non esiste una diretta
correlazione tra i risultati ottenuti tramite i metodi coltura dipendenti ed indipendenti.
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INFLUENZA DELL’AMBROXOLO SULLA RESISTENZA AGLI AZOLI IN ISOLATI DI
C.PARAPSILOSIS E C.TROPICALIS
Pulcrano G., De Domenico G., Panellis D., Iula V.D., Catania M.R., Rossano F.
Dip. di Biologia e Patologia Cellulare e Molecolare “L. Califano” Facoltà di Medicina e
Chirurgia,
Università degli Studi di Napoli “Federico II”.
La capacità di aderire a superfici diverse formando biofilm è tipica della maggior parte dei
microrganismi,compresi quelli appartenenti al genere Candida. La struttura microscopica e gli
aspetti genetici dei biofilm fungini sono oggetto di studi sempre più frequenti. Dati recenti hanno
evidenziato che la formazione di biofilm procede attraverso fasi successive: una fase precoce, in cui
la maggior parte delle cellule, presenti come blastospore aderenti alla superficie, comincia ad
aggregarsi lungo aree di superficie irregolari; una fase intermedia, caratterizzata dalla deposizione
di materiale extracellulare composto da polisaccaridi ricchi di mannosio e glucosio; una fase finale,
in cui il biofilm maturo si presenta molto eterogeneo in termini di distribuzione di cellule e matrice.
Il biofilm delle Candide non-albicans è strutturalmente molto simile a quello di C. albicans tranne
per C. parapsilosis che non forma ife, per cui la struttura del biofilm è costituita essenzialmente da
pseudoife e cellule lievitiformi (Kuhn et al., 2002. Infect. Immun. 70:878–888).
Come i biofilm batterici, anche quelli fungini sono molto resistenti agli antimicrobici, sia per la
scarsa permeabilità della matrice esterna, che per le alterazioni nel metabolismo delle cellule
fungine (Pfaller et al., 2007. Clin. Microbiol. Rev. 20:133–163). Nel nostro studio, ceppi di C.
parapsilosis e C. tropicalis, isolati da vari siti anatomici e saggiati per la loro capacità di produrre
biofilm, sono stati analizzati in riferimento alla sensibilità a voriconazolo e fluconazolo, mediante
metodo colorimetrico con XTT, per le cellule allo stato sessile, e saggio in micro diluizione, per le
cellule allo stato planctonico.
Il saggio dell’attività antimicrobica su biofilm ha rivelato MIC molto elevate per i ceppi in esame.
L’aggiunta di ambroxolo come agente mucolitico ha permesso il distacco delle cellule formanti
biofilm aumentando così la suscettibilità al voriconazolo anche a MIC più basse.
In conclusione, i dati ottenuti sembrerebbero incoraggiare l’utilizzo di sostanze diverse in
combinazione con i classici antimicotici, per risolvere il problema sempre crescente delle resistenze
dei biofilm formati da Candida non-albicans su dispositivi medici.
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BLASTOCYSTIS HOMINIS: CONFRONTO FRA MORFOLOGIA, SOTTOTIPI
SINTOMI CLINICI
Masucci Luca, Archibusacci Carola Maria, Graffeo Rosalia e Fadda Giovanni.
Istituto di Microbiologia – Università Cattolica del Sacro Cuore – Policlinico “A. Gemelli”.
E
Nel 1911 Alexeieff presentò la Blastocystis hominis come organismo ben distinto e propose il
nome di Blastocystis enterocola, dandone una buona descrizione morfologica, paragonandola ai
funghi e proponendo un ciclo vitale. Alcuni autori tutt’oggi la classificano “in incerta sede” e
rappresenta un organismo di dibattuta eziopatogenicità.
Mediante reazione di amplificazione di acidi nucleici (PCR) con primers specie specifici, si è potuto
chiarire che B. hominis non sia una specie “unica” ma suddivisa in sette sottotipi numerati da I a
VII.
Nel periodo Gennaio 2008-Maggio 2009, su un totale di 3253 pazienti indagati per la ricerca di
parassiti intestinali in campioni fecali, sono stati da noi identificati, mediante microscopia ottica,
157 ceppi di B. hominis. Le morfologie evidenziate sono state vacuolare 60 (38.5%), granulare 28
(17.5%), ameboide (0%), cistica (0%), vacuolare + granulare 50 (31.8%), vacuolare
+granulare+cistica 8 (5.5%), vacuolare + ameboide 11 (6.7%). La tipizzazione molecolare ha
fornito dei risultati che distribuiscono variamente i sette sottotipi nell’ambito delle morfologie,
portando così a ritenere che non esista un’associazione tra morfologia e sottotipi. Dei 157 campioni,
sono state valutate contemporanee positività per microrganismi patogeni (batteri, miceti, virus).
Pertanto dallo studio anamnestico sono stati esclusi 90 (57.3%) pazienti che presentavano coinfezioni. i rimanenti 67 (42.7%) pazienti sono stati valutati per la presenza di sintomatologia
intestinale riconducibile a Sindrome del Colon Irritabile.
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Pagina 192 di 288
IMPIEGO DEL TEST ISAGA IgM NELLA PREVENZIONE DELLA TOXOPLASMOSI
CONNATALE TARDIVA
a,c
Russo R., a,cCostanzo C.M., bGarozzo R., a,cZappalà D., a,cPalermo C.I, a,cSardo V., bBarone
P., a,cFranchina C., a,cScalia G.
a
Dipartimento di Scienze Microbiologiche e Scienze Ginecologiche, bDipartimento di
Pediatria, Università degli Studi di Catania e cU.O. di Virologia Clinica, Laboratorio
Centralizzato, Azienda Ospedaliero-Universitaria Policlinico “G. Rodolico” di Catania.
Tra le infezioni che possono indurre patologie di rilievo nel neonato, quella da Toxoplasma gondii è
da considerarsi tra le più importanti se acquisita per la prima volta in corso di gestazione. Anche in
corso di infezione primaria, il corretto e tempestivo intervento terapeutico, strettamente connesso ad
una valida diagnosi e ad un adeguato schema di controllo della gestante a rischio, può condurre alla
nascita di neonati sani e non infetti. Nel caso in cui la terapia nella gestante non riesca ad eliminare
il rischio di passaggio dell’infezione, è fondamentale riuscire a porre rapidamente e con adeguata
certezza una diagnosi nel neonato che definisca l’infezione acquisita in utero. E’ quindi
indispensabile un idoneo follow-up neonatale che indichi l’eventuale infezione connatale. Il primo
passo è rappresentato da una diagnostica sensibile, soprattutto per la ricerca delle IgM in siero fetale
o cordonale. Nella maggior parte dei casi, basandosi solo sui dati relativi alle metodiche di routine
(antigeni solubili), il test per la valutazione delle IgM risulta negativo mentre viene considerato più
valido l’uso della metodica ISAGA che impiega antigeni figurati.
Sono stati analizzati campioni di siero provenienti da 117 neonati figli di donne con comprovata
infezione primaria da T. gondii in gestazione. Tutti i neonati venivano monitorati ogni mese,
clinicamente e sierologicamente, per almeno un anno dalla nascita per osservare l’andamento delle
IgG specifiche o la comparsa delle IgM. Dei campioni ottenuti alla nascita, solo 2 erano positivi con
metodiche di routine, mentre mediante il test ISAGA (Toxo-ISAGA, bioMérieux sa, France) i
soggetti francamente positivi erano 6 ed in 3 si osservava un risultato “dubbio”. Da quanto emerge,
l’impiego solo di test basati su antigeni solubili non avrebbe permesso un adeguato controllo di 5
neonati a rischio che avrebbero potuto andare incontro a patologia tardiva da toxoplasmosi
connatale. I risultati ottenuti appaiono di particolare interesse in quanto tutti i casi di positività
coincidevano con almeno uno dei seguenti parametri: epoca tardiva di gestazione in cui avviene
l’infezione, tipo di terapia o sua ritardata instaurazione.
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Pagina 193 di 288
PRODUZIONE DI OSTEOPONTINA DA PARTE DI MACROFAGI E CELLULE
DENDRITICHE INFETTATI CON PROTOZOI DEL GENERE LEISHMANIA
Daniele R.1, Scutera S.1, Rossi S.1, Zucca M.2, Savoia D.2, Musso T.1
1
Dip. di Sanità Pubblica e Microbiologia, Università di Torino
2
Dip. di Scienze Cliniche e Biologiche, Università di Torino
L’osteopontina (OPN), una citochina sintetizzata da cellule del sistema immunitario quali macrofagi
e cellule dendritiche (DC), partecipa ai meccanismi immunitari di difesa contro i germi patogeni. I
topi knock-out per OPN non riescono a eliminare i patogeni intracellulari (quali HSV-1 e Listeria
monocytogenes), probabilmente a causa di una ridotta capacità di produrre IL-12 e IFN-gamma e di
un aumento della produzione di IL-10. Inoltre i topi OPN-/- in seguito a infezione con
Mycobacterium bovis sviluppano dei granulomi con delle anomalie funzionali. E’ stata riconosciuta
un’associazione tra OPN, risposta cellulo-mediata e formazione di granulomi: l’OPN è presente nei
linfociti T, nei macrofagi e nelle cellule epiteliali presenti all’interno dei granulomi e può regolare il
processo di calcificazione dei granulomi stessi. La risposta di tipo granulomatoso è indotta da
diversi patogeni intracellulari tra cui le leishmanie. Le interazioni tra leishmanie e DC si sono
dimostrate importanti riguardo all’evoluzione dell’infezione.
Noi abbiamo valutato in vitro l’effetto dell’infezione di macrofagi e DC umane da parte di due
specie di leishmania sulla produzione di OPN. Monociti umani isolati da sangue periferico sono
stati coltivati per 5 giorni in presenza di M-CSF, in modo da indurne il differenziamento in
macrofagi o per 6 giorni in presenza di GM-CSF e IL-4, per generare DC (Mo-DC). Le cellule così
ottenute sono state infettate con amastigoti di Leishmania major o Leishmania infantum ed è stata
quindi valutata mediante ELISA la quantità di OPN secreta nel surnatante delle colture cellulari. I
risultati indicano che monociti e DC producono, in condizioni basali, circa 200 ng/ml di OPN. In
seguito all’infezione con le leishmanie è stato osservato un significativo aumento della quantità di
OPN (da 1400 a 7000 ng/ml, a seconda delle condizioni), mentre la stimolazione con LPS comporta
una diminuzione della produzione di OPN rispetto ai livelli basali. Risultati preliminari indicano
che l’induzione di OPN da parte di leishmania sia mediata da TLR2 mentre il segnale mediato da
TLR4 avrebbe un effetto inibitorio sulla produzione di OPN. Questi dati suggeriscono che l’OPN
possa avere un ruolo nella regolazione della risposta immunitaria ai parassiti del genere Leishmania.
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EPIDEMIOLOGIA DI PATOGENI RESPIRATORI
Ingianni A.*, Madeddu M.A.*, Pittau M.**, Lauterio C.**, De Montis A.**, Passotti C.**, de
Virgiliis S.***, Pompei R.*.
* Department of Science and Biomedical Technology, Section of Applied Microbiology, University
of Cagliari
**
Research and Development Group, bcs Biotech S.p.A., Cagliari
*** Department of Paediatric Science and Clinic Medicine “G.Macciotta”, Chief 1st. Pediatric
Clinic, University of Cagliari
Le infezioni respiratorie acute rappresentano circa il 75% di tutti gli stati morbosi acuti nei paesi
sviluppati e quasi l’80% sono dovute ad infezioni virali. Le sindromi respiratorie, che spesso hanno
dei quadri clinici molto simili, sono causate da patogeni a volte assai differenti. La rapida ricerca
dei differenti patogeni respiratori è di fondamentale importanza, specialmente in neonati o nei
bambini, per effettuare una corretta diagnosi, per condurre una idonea terapia se possibile, per
studiare la stagionalità dei diversi patogeni e per evitare la loro diffusione.
Di recente sono stati realizzati 2 nuovi kit: ProDect® CHIP RV e
ProDect® CHIP RB che utilizzando delle sonde specifiche nei confronti di 11 virus (Parainfluenza
virus type I, Parainfluenza virus type II, Parainfluenza virus type III, Respiratory syncytial virus,
Influenza A virus,
Influenza A virus H1N1, Avian Flu virus H5N1, Influenza B virus, Human
Metapneumo Virus, Adenovirus, Sars Corona Virus) e 3 batteri (M.pneumoniae, L pneumophila,
C.pneumoniae) identificandoli in maniera assolutamente specifica e sensibile (bcs Biotech
S.p.A.,Cagliari).
E’ stata condotta una ricerca epidemiologica nel nostro laboratorio in collaborazione con la 1a
cattedra di clinica pediatrica per verificare la specificità e sensibilità di questo nuovo sistema di
identificazione. Sono stati analizzati 158 tamponi faringei prelevati a bambini e neonati (88 maschi
e 70 femmine), che sono stati ricoverati da Giugno 2008 a Maggio 2009 presso la Clinica
Pediatrica con sintomi riferibili a infezioni respiratorie, quali febbre, vomito, diarrea, faringite,
gastroenterite, etc. Sono stati identificati un totale di 33 patogeni respiratori (21.1%): 14
parainfluenza virus tipo III , 5 influenza A virus, 2 virus respiratorio sinciziale, 5 C.pneumoniae
e 7 M. pneumoniae. L’uso dei 2 nuovi chips per il saggio delle infezioni respiratorie mediante
ibridizzazione del DNA risulta uno strumento molto utile per verificare in un tempo molto breve
una possibile co-infezione da parte di due o più agenti patogeni, virus o batteri. Inoltre, l’uso
continuo di questi test in reparti ospedalieri a rischio può contribuire a definire l’incidenza
stagionale e la diffusione dei patogeni respiratori.
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SORVEGLIANZA VIROLOGICA DELLE INFEZIONI DAL NUOVO
INFLUENZALE A(H1N1)V
M. Sali, S. Manzara, V. Prete, R. Martucci, L. Vaccaro, G. Delogu, G. Fadda
Istituto di Microbiologia e Virologia, Università Cattolica del Sacro Cuore, Roma
VIRUS
Il nuovo ceppo del virus dell’influenza A(H1N1), responsabile dell’attuale pandemia influenzale è
il risultato di una ricombinazione genica di virus influenzali suini, aviari ed umani, diffusi fra i
suini in Europa, Asia, ed America.
Il Laboratorio di Analisi II(Microbiologia e Virologia) del Policlinico Universitario “A.Gemelli” di
Roma costituisce il Laboratorio di riferimento per il monitoraggio della diffusione di virus
influenzali nella Regione Lazio.
In questo lavoro vengono riportati i risultati ottenuti dall’esame dei campioni analizzati nel periodo
Maggio-Settembre 2009 provenienti da pazienti afferenti ai DEA di alcuni ospedali di Roma e della
Regione Lazio con quadro clinico riferibile a sindrome influenzale
Sono stati esaminati 525 campioni clinici (tamponi faringei e/o nasali) utilizzando per ciascuno tre
diverse tecniche di diagnosi diretta:
- Test rapido immunocromatografico Directigen EZ Flu A-B(BD)
- Esame molecolare che prevede l’amplificazione genica Real-Time RT- PCR per
l’identificazione e sottotipizzazione del ceppo A(H1N1)v
- esame colturale attraverso inoculo su colture cellulari (MDCK-SIAT1) sensibili al virus
influenzale
Dei 525 campioni clinici esaminati 200 sono risultati positivi ad uno o più test, in particolare
59(28,5%) positivi al test rapido, 181(90,5%)alla Real-time RT-PCR e 188(95%) all’esame
colturale.
I risultati ottenuti hanno permesso di valutare la diversa sensibilità e specificità dei test utilizzati che
saranno di grande utilità per individuare un percorso diagnostico da utilizzare in previsione di una
prossima emergenza influenzale.
In accordo con i dati pubblicati dal CDC e dall’OMS l’analisi epidemiologica del nostro studio
rivela una significativa correlazione tra la diffusione del virus e l’età dei soggetti infettati
evidenziando la massima diffusione (80%) dei positivi nella fascia d’età tra gli 11 e i 25 anni,
13.5% tra i 26 e 40 anni contro un 8% in bambini sotto i 10 anni ed un 7.5% in soggetti di età
superiore ai 41anni
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VALUTAZIONE DELL’IMPATTO ANNUALE DEI RHINOVIRUS A LIVELLO DELLE
VIE AEREE INFERIORI.
Stefano Gambarino, Massimiliano Bergallo, Sara Astegiano, Salvatore Simeone, Maria Elena
Terlizzi, Daniela Libertucci, Cristina Costa, Rossana Cavallo.
SCDU Virologia; 1Divisione di Pneumologia, AOU San Giovanni Battista di Torino.
Introduzione. I Rhinovirus umani sono gli agenti virali di più comune riscontro. Sebbene
l’infezione sia solitamente limitata alle vie aeree superiori e i rhinovirus presentino una capacità
replicativa ottimale a temperature inferiori a 37°C, è stato evidenziato il possibile coinvolgimento
del tratto respiratorio inferiore in condizioni particolari, quali immunocompromissione, con
manifestazioni patologiche variabili a seconda del background patologico del paziente (polmonite,
rigetto nel trapiantato di polmone, esacerbazione di broncopneumopatie preesistenti). In questo
studio è stata valutata l’epidemiologia molecolare dei rhinovirus a livello delle vie aeree inferiori
mediante real time RT-PCR. Metodi. Sono stati studiati tutti i 374 campioni di lavaggio
broncoalveolare (BAL) consecutivamente raccolti in 1 anno e ottenuti da 247 pazienti adulti
ospedalizzati, in particolare: 167 campioni di 74 pazienti trapiantati e 207 campioni di pazienti non
trapiantati. I campioni sono stati esaminati mediante una tecnica in real time RT-PCR messa a punto
nel nostro laboratorio e in grado di rilevare la maggior parte dei sierotipi di rhinovirus. Tutti i
campioni sono stati inoltre valutati mediante un pannello diagnostico in grado di rilevare 16 virus
potenzialmente responsabili di infezioni delle vie aeree inferiori. Risultati. 23/167 (13.8%)
campioni di altrettanti pazienti (31.1%) trapiantati e 26/207 (12.6%) di 26/173 (15.0%) pazienti non
trapiantati sono risultati positivi per rhinovirus. La differenza di prevalenza tra pazienti trapiantati e
non trapiantati risultava altamente significativa (p = 0.006). Frequente è stato il rilievo di
confezione con almeno un altro virus (prevalentemente beta-herpesvirus). Non è stata riscontrata
una distribuzione stagionale significativamente preferenziale. Conclusioni. Rhinovirus sono
frequentemente rilevati nelle vie aeree inferiori con una significativa associazione alla condizione di
immunocompromissione propria del paziente trapiantato. La frequenza di coinfezioni rapprsenta un
problema nell’interpretazione dell’impatto clinico. Studi futuri dovranno investigare il possibile
ruolo nella patogenesi del rigetto nel trapianto di polmone.
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EPIDEMIOLOGIA DI HPV IN SICILIA ORIENTALE:
GENOTIPIZZAZIONE E RILEVAMENTO DELL’mRNA
a,c
Costanzo C.M., bBruno M.T., a,cRusso R., a,cZappalà D., a,cPalermo C.I, a,cFranchina
C., a,cScalia G.
Dipartimento di Scienze Microbiologiche e Scienze Ginecologiche, aSezione di Microbiologia
b
Sezione di Ginecologia, Università degli Studi di Catania e cU.O. di Virologia Clinica,
Laboratorio Centralizzato, Azienda Ospedaliero-Universitaria Policlinico “G. Rodolico” di
Catania.
Fra le infezioni sessualmente trasmesse, quella da HPV è certamente una delle più diffuse al
mondo. L’infezione può dare esito a forme non clinicamente evidenti o ad alterazioni di vario grado
della mucosa genitale che possono arrivare fino al carcinoma invasivo.
Sono noti oltre 120 genotipi di HPV ed oltre 40 sono in grado di infettare l’apparato genitale
femminile e maschile. Questi virus sono stati suddivisi genericamente in HPV ad alto rischio (HRHPV), comunemente associati ad evoluzione maligna delle lesioni genitali, e HPV a basso rischio
(LR-HPV), che di norma non evolvono negativamente. La distribuzione genotipica di questi virus,
specie degli HR-HPV, varia significativamente sulla base delle aree geografiche: l’HPV 16 è il più
diffuso a livello mondiale, mentre il 18, considerato il secondo come frequenza di rischio di
evoluzione neoplastica, è poco rappresentato in Europa in generale ed in Italia in particolare. E’
noto, inoltre, che solo una piccola percentuale di soggetti infetti andranno incontro ad una patologia
neoplastica e che, quindi, il mero reperimento del DNA virale non implica un’evoluzione verso il
carcinoma, ma solo un rischio. Per una più accurata valutazione prognostica è certamente di grande
ausilio la ricerca dell’mRNA di E6 ed E7 che consente di valutare l’attività replicativa del virus.
Nel nostro studio sono stati valutati campioni di “brushing” provenienti da donne che venivano
indirizzate all’indagine per alterazioni citologiche di vario grado.
In tutti i campioni veniva effettuata la ricerca del DNA di HPV e successiva genotipizzazione nei
casi positivi (HPV AlphaStrip II, Alphagenics Diaco, Italia). In tutti i casi in cui si rilevava DNA di
HPV 16, 18, 31 33 o 45, si valutava anche l’mRNA di E6/E7 (NucliSENS EasyQ HPV v1.0, NASBA
DIAGNOSTICS, bioMérieux, France).
Venivano reperiti 12 diversi genotipi di HR-HPV e se ne descrive la prevalenza anche in
comparazione con i genotipi LR. Si osservava inoltre una rilevante frequenza di infezioni multiple
di HPV sia HR che LR. Per ciò che attiene al mRNA, nei casi analizzati si evidenziava una
positività di oltre il 45%. Questo dato viene analizzato alla luce dei dati clinici ed anatomopatologici.
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Pagina 198 di 288
INFEZIONI DA PAPILLOMAVIRUS (HPV) E CARCINOMA ANALE IN PAZIENTI HIV
POSITIVI
D’onghia S., 1A. De Luca, 1S. Farina, R. Santangelo, V. Prete, 2G.F. Zannoni, 2V.G. Vellone, 3G.
Maria, R. Cauda, G. Fadda, P. Cattani
Istituto di Microbiologia, 1Malattie Infettive, 2Anatomia Patologica, 3Clinica Chirurgica,
Università Cattolica del Sacro Cuore, Roma, Italia
Il carcinoma anale è una patologia emergente nei soggetti con infezione da HIV e, come per il
cancro della cervice, è preceduto da lesioni precancerose. La stretta associazione con l’infezione da
HPV suggerisce la possibilità di una prevenzione mediante la ricerca di DNA e/o RNA virale.
In questo studio è stata valutata la prevalenza di HPV ad alto rischio (HR) e l’espressione degli
oncogeni virali E6/E7 in lesioni perianali di pazienti HIV-positivi. I dati virologici sono stati
correlati con lo screening citologico per lesioni preneoplastiche perianali.
Sono stati esaminati 198 soggetti afferenti all’Ambulatorio della Clinica delle Malattie Infettive
(77% maschi, 42% omosessuali, età 20-68 anni, 90% in terapia HAART, 72% con HIV-RNA <400
cp/ml, CD4: mediana 209 cell/ul), tutti sottoposti a visita proctologica, anoscopia, esame citologico
e ricerca di HPV. I tamponi perianali sono stati esaminati mediante Hybrid Capture II HPV Test,
multiplex-PCR (HPV 6-11-16-18-31-33-45) per la genotipizzazione e NucliSENS EasyQ HPV
assay per la ricerca dell’mRNA di E6/E7 (HPV 16, 18, 31, 33, 45). I risultati virologici sono stati
correlati con i dati clinici e citologici.
Infezioni da HPV sono state riscontrate nel 70% dei soggetti. DNA di HR-HPV è stato rilevato
nell’86% di questi (nel 51% con infezione multipla). Il genotipo prevalente è stato HPV 16 (46%)
seguito da HPV 31, 18, 33 e 45. L’espressione degli oncogeni E6/E7 era presente nel 68 % dei
pazienti positivi per HR-HPV e l’HPV 16 è stato il genotipo prevalente (47%). L’esame citologico è
risultato positivo nel 16% dei pazienti per lesioni intraepiteliali ASCUS (n=9), AIN1 (n=18) e
carcinoma (n=2). L’RNA di HPV è stato riscontrato nei 2 casi di carcinoma e nei 15/18 casi di
AIN1 (complessivamente in 25/29 casi [86%] con displasia/cancro). L’RNA è risultato positivo in
58/169 (34%) pazienti con citologia negativa. I risultati mostrano un’alta prevalenza di infezioni
multiple da HPV con elevata espressione degli oncogeni E6/E7, specialmente nei pazienti con
lesioni displasiche o neoplastiche. Il valore predittivo di tale riscontro è in corso di valutazione in
un’indagine prospettica.Una preliminare valutazione della sensibilità e specificità dei test virologici
suggerisce un elevato valore prognostico dell’RNA di HPV, rilevante nello screening per la
prevenzione del carcinoma anale in soggetti a rischio.
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Pagina 199 di 288
INFEZIONE GENITALE HPV E FERTILIZZAZIONE IN VITRO: UNA POSSIBILE
RELAZIONE?
A. Giardina1, L.Giovannelli1, R.Schillaci2, M.P.Caleca1, A.Perino1, G.Ruvolo3, E.Cefalù3,
D.Matranga4, e P.Ammatuna1.
Dipartimento di Scienze per la Promozione della Salute1, Dipartimento Materno Infantile2,
Dipartimento di Biotecnologie Mediche e Medicina Legale4, Università di Palermo; Centro
Biologia della Riproduzione, Clinica Candela, Palermo3.
Introduzione. Le infezioni sessualmente trasmesse sono una delle cause maggiori di
infertilità. Nonostante il papillomavirus umano (HPV) sia una delle infezioni più comuni,
l’associazione tra HPV e fertilizzazione in vitro (IVF) è stata ancora poco analizzata.
Obiettivo. Valutare la prevalenza dell’ infezione da HPV in coppie sterili che si
sottopongono a IVF, in relazione ai parametri e gli esiti dell’ IVF.
Materiali e Metodi. Sono state esaminate 104 coppie (età media: donne, 34,7 a.; uomini,
38,0 a.). Le cause di infertilità erano femminili (24,1%), maschili (58,6%), di coppia (6,8%) e
idiopatica (10,5%). Le pazienti non presentavano anomalie citologiche al Pap-test. I parametri di
IVF esaminati sono stati età, numero di ovociti, numero di ovociti maturi, numero di embrioni
trasferiti e tasso di gravidanza. I campioni cervicali e seminali sono stati raccolti prima della
raccolta degli ovociti; l’HPV DNA è stato ricercato usando il kit HPV INNOLiPa Genotyping
(Innogenetics). Sono stati impiegati protocolli di induzione di ovulazione standard, e la gravidanza
è stata diagnosticata attraverso rilevazione del battito fetale. I dati sono stati esaminati con test Χ2 e
un modello di regressione logistica.
Risultati. L’infezione di HPV è stata diagnosticata in 18 donne (17,3%) e 8 uomini (7,7%;
p=0.04), per un totale di 22 (21,1%) coppie HPV positive; HPV-16 e HPV-66 erano i tipi più
frequenti. Nessuna differenza era evidente fra le coppie con o senza infezione da HPV in termini di
infertilità e parametri dell’IVF (p=0,20). La gravidanza è stata ottenuta in 7/22 (31,8%) coppie
HPV-positive e 24/82 (29, 2%) coppie non infettate (p>0.05). Età media (36,7 contro 38,4), numero
di ovociti (4,08 contro 4,2), numero di ovociti maturi (3,1 contro 3,3), embrioni trasferiti (2,2 contro
2,1) e gravidanza clinica (31,8 contro 29,2) non differivano (p>0.05) tra le coppie con o senza
infezione da HPV. Il fallimento dell’ IVF era indipendente dall’infezione da HPV (OR’=0,91; 95%
CI:0,28-2,79), ed era invece associato all’età delle donne (OR’=3,08; 95% CI:1,11-8,53) e al
numero di embrioni trasferiti (OR’=0,26; 95%CI:0,07-0,91).
Conclusioni. I nostri dati preliminari sembrano non indicare alcuna associazione tra
infezione da HPV ed esiti dell’ IVF. Le analisi di altre coppie sono attualmente in corso.
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Pagina 200 di 288
EPIDEMIOLOGY OF HERPES SIMPLEX VIRUS INFECTION IN PREGNANCY: A PILOT
STUDY
1
Anzivino E, 1Bellizzi A, 2Fioriti D, 1Mischitelli M, 1Barucca V, 3Marcone V, 3Parisi A, 3Moreira
E, 4Osborn J, 1Chiarini F, 3Calzolari E, 1Pietropaolo V.
1
Department of Public Health Sciences, 2Department of Urology, 3Department of Gynaecology and
Obstetrics, 4Department of Public Health, "Sapienza" University of Rome, Italy.
Herpes simplex virus (HSV) infection is one of the most common sexually transmitted viral
diseases worldwide. HSV type 2 causes most genital herpes and HSV type 1 is usually transmitted
via non-sexual contacts. However, HSV1 has emerged as a principle causative agent of genital
herpes in some developed countries.
Since the greatest incidence of HSV infections occurs in women of reproductive age, the risk of
maternal transmission of the virus to the foetus/neonate has become a major health concern.
We have studied 109 pregnant women between January 2007 and December 2008, in relation to
their age, condom use, number of sexual partners, age at first intercourse, parity and smoking habit.
The aim of this study was to evaluate the prevalence of HSV cervical infection and HSV coinfection with other genital microorganisms associated with poor neonatal outcome.
Our results showed that of the 109 enrolled outpatients, 30% was HSV1 and/or HSV2 positive, of
which 30% was infected with both HSV1 and HSV2, 18% was infected with HSV1 only and 52%
with HSV2 only. A significant association between HSV1 and HSV2 infection was found and the
prevalence of HSV2 infection in women infected with HSV1 was 63%. The prevalence of HSV1/2
varied in presence of other vaginal microorganisms but a statistical significant association was not
found.
This pilot study is probably too small to obtain statistically significant results. Nevertheless using
these observed results we have calculated that about 530 patients with comparable features should
be enrolled to detect an increase of 50% in HSV infection due to the presence of other genital
infection and potential risk factors.
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Pagina 201 di 288
DETERMINAZIONE DI HERPESVIRUS NEL TRATTO RESPIRATORIO INFERIORE
(LAVAGGIO BRONCOALVEOLARE E
BIOPSIA TRANSBRONCHIALE) DI
TRAPIANTATI DI POLMONE: CORRELAZIONE TRA ESAME ISTOPATOLOGICO E
INFEZIONE VIRALE.
Antonio Curtoni, Massimiliano Bergallo, Maria Elena Terlizzi, 1Luisa Delsedime, Francesca Sidoti,
Samantha Mantovani, Stefano Callea, Rossana Cavallo, Cristina Costa.
SCDU Virologia; 1Dipartimento di Anatomia Patologica, Azienda Ospedaliera Universitaria San
Giovanni Battista, Torino
Introduzione: Il monitoraggio delle infezioni da Herpesvirus è di fondamentale importanza per la
prognosi dei pazienti trapiantati di polmone. In questo studio è stata valutata la prevalenza di
HCMV, HHV6, HHV7, EBV in campioni di lavaggio broncoalveolare (BAL) e biopsia
transbronchiale (TBB) di trapiantati di polmone in relazione al riscontro all’esame istopatologico di
rigetto, infiammazione delle vie aeree e polmonite organizzativa. Metodi: La presenza di HCMV,
HHV6, HHV7 ed EBV DNA è stata valutata in 34 campioni (ciascuno costituito da 1 BAL e 1
TBB) di 20 pazienti mediante Real-time-PCR Quantitativa. Ogni paziente era sottoposto a profilassi
combinata (CMV-IG per 12 mesi e ganciclovir o valganciclovir per 3 settimane dal 21° giorno post
operatorio). L’esame istopatologico su TBB è stato effettuato in accordo ai criteri della “ISHLT
working formulation” del 2007. Risultati: HCMV è stato rilevato in 11/34 (32%) campioni (BAL
e/o TBB), HHV6 in 9 (26%), HHV7 in 18 (53%), ed EBV in 4 (12%). 9/34 TBB (26%)
presentavano rigetto acuto, di queste 4 (44%) erano positive per HCMV, 2 (22%) per HHV6, 4
(44%) per HHV7, 0% per EBV (p=n.s.). Nessun campione presentava rigetto cronico. La presenza
di polmonite organizzativa è stata rilevata in 4 campioni (12%), di cui il 100% positivo per HHV6,
il 50% HHV7, il 25% HCMV e lo 0% EBV. Conclusioni: La prevalenza di HCMV DNA è
risultata inferiore rispetto a quella riportata in letteratura (32% contro il 60%), confermando
l'importanza del protocollo di profilassi combinata, indipendentemente dal matching sierologico.
Nonostante il numero ristretto di campioni, i nostri risultati confermano il ruolo di HCMV nella
patogenesi del rigetto acuto, mentre necessitano ulteriori studi per chiarire il ruolo degli altri
herpesvirus nella patogenesi del rigetto e della polmonite organizzativa.
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Pagina 202 di 288
PREVALENZA DI HHV6 NELLE MALATTIE INFIAMMATORIE DELL’INTESTINO
a,b
Zappalà D., cSiringo S., a,bPalermo C.I, dInserra G., a,bRusso R., a,bCostanzo C.M.,
a,b
Franchina C., a,bScalia G.
a
Dipartimento di Scienze Microbiologiche e Scienze Ginecologiche, Università degli Studi di
Catania e bU.O. di Virologia Clinica, Laboratorio Centralizzato, Azienda OspedalieroUniversitaria Policlinico “Gaspare Rodolico” di Catania, cU.O. di Gastroenterologia Azienda
Ospedaliera “Garibaldi” di Catania, dU.O. di Medicina Interna Azienda OspedalieroUniversitaria Policlinico “Gaspare Rodolico” di Catania e Dipartimento di Medicina Interna e
Patologie Sistemiche, Università di Catania.
La retto-colite ulcerosa (RCU) e la malattia di Crohn sono processi infiammatori dell’intestino;
ancora oggi non è stata identificata in modo certo la loro etiologia. La patogenesi è molto complessa
e consiste di tre componenti interattive: fattori di suscettibilità genetica, danno tissutale
immunomediato e agenti infettivi. Sulla base delle caratteristiche istomorfologiche dei due eventi
morbosi, si pensa che la persistenza per lunghi periodi di forme microbiche patogene possa
costituire un fattore di rischio importante. Tra esse si ascrivono gli Herpesviridae che permangono
in forma latente o a bassi livelli replicativi per tutta la vita dell’organismo ospite. Inoltre, nei
soggetti affetti da RCU, si osservano cambiamenti morfo-funzionali, causati dalla presenza del
virus, nelle cellule dell’intestino dell’organismo ospite. L’alta prevalenza degli herpesvirus nel
tratto gastroduodenale è descritta in letteratura ed i virus più frequentemente reperiti sono CMV,
EBV ed HHV6 variante B. In questo studio è stato valutato il possibile ruolo di HHV6 in campioni
bioptici colon-rettali. Sono state analizzate 46 biopsie provenienti da 42 soggetti affetti da R.C.U.
(66%) o morbo di Crohn (34%). L’acido nucleico di HHV6 veniva reperito mediante Real-Time
PCR (HHV6 Q-PCR Alert Kit Nanogen Advenced Diagnostics s.r.l., Italia) in un rilevante numero
di biopsie. L’acido nucleico di HHV6 non veniva, invece, rilevato nei campioni ematici e nei tessuti
derivati dalle stomie, utilizzati in qualità di controllo. I dati ottenuti, per quanto solo preliminari,
indicano l’HHV6 quale possibile importante cofattore, se non potenziale agente etiologico, nelle
patologie infiammatorie intestinali. Appare, inoltre, interessante valutare se in patologia manifesta
vi sia una prevalenza di una variante (A o B) sull’altra.
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Pagina 203 di 288
RILEVAMENTO DI HUMAN HERPESVIRUS-7 (HHV-7) NEL TRATTO RESPIRATORIO
INFERIORE DI UNA PAZIENTE IMMUNOCOMPETENTE CON ACUTE
RESPIRATORY DISTRESS SYNDROME (ARDS).
Rossana Cavallo, Massimiliano Bergallo, Samantha Mantovani, Francesca Sidoti, Stefano
Gambarino, Salvatore Simeone, 1Luisa Delsedime, Cristina Costa.
SCDU Virologia; 1Dipartimento di Anatomia Patologica, Azienda Ospedaliera Universitaria San
Giovanni Battista, Torino
Acute respiratory distress syndrome (ARDS) attribuibile a polmonite virale è descritta
principalmente in soggetti immunocompromessi, mentre è stato descritto solo un caso di ARDS
associato a Human herpesvirus-6 in un paziente immunocompetente. L’associazione di HHV-7 a
malattie polmonari è poco nota e non sono descritti casi di ARDS e HHV-7, sebbene il polmone
rappresenti un sito di persistenza/latenza. In questo studio è descritta l’associazione di ARDS e
HHV-7 in una paziente immunocompetente di 71 anni con dispnea ingravescente da 1 settimana,
tosse secca, dolore toracico, in assenza di febbre e patologie di base rilevanti. All’esame obiettivo
erano presenti tachipnea e riduzione del murmure con crepiti bilaterali; gli esami laboratoristici
evidenziavano leucocitosi, anemia, incremento della proteina C reattiva e grave insufficienza
respiratoria tipo I; alla radiografia del torace era rilevabile addensamento alveolare. Sulla base
degli esami effettuati è stata posta diagnosi di ARDS e la paziente è stata sottoposta a ventilazione
meccanica. L’esame microbiologico e virologico del lavaggio broncoalveolare (BAL) a 7 giorni
evidenziava positività a HHV-6 (544 genomi/ml) e HHV-7 (384 genomi/ml). Alla biopsia
polmonare si rilevava la presenza di infiltrato interstiziale e polmonite di probabile eziologia virale.
Inoltre, la paziente presentava a 30 giorni polineuropatia periferica. Gli esami virologici su BAL a
30 giorni evidenziavano una carica di HHV-6 di 297 copie/ml con un incremento di HHV-7 fino a
>12.5 x 106 copie/ml). Il supporto ventilatorio associato alla somministrazione di vitamina B12 e
fisioterapia ha determinato un progressivo miglioramento, infatti la radiografia del torace a 1 mese
non evidenziava la presenza di polmonite interstiziale, mentre a 5 mesi persistevano segni residui di
polineuropatia. L’elevato titolo di HHV-7 DNA nel BAL, il riscontro di infiltrato interstiziale e
polmonite alla biopsia polmonare e l’insorgenza di complicanze neurologiche hanno condotto a
ipotizzare una possibile associazione tra HHV-7 e ARDS. Il profilo temporale della carica virale del
BAL suggerisce che il danno tissutale polmonare prodotto dall’ARDS abbia contribuito alla
riattivazione di HHV-7. Tuttavia, la definizione di eventuali associazioni tra HHV-7 e patologie
polmonari deve tenere conto dell’elevata prevalenza e del frequente rilevamento concomitante di
altri virus nei campioni respiratori.
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DETECTION OF EPSTEIN-BARR VIRUS IN BRONCHOALVEOLAR LAVAGE FROM
LUNG TRANSPLANT PATIENTS.
Cristina Costa, Massimiliano Bergallo, Maria Elena Terlizzi, Antonio Curtoni, Salvatore Simeone,
Stefano Gambarino, 1Sergio Baldi, Rossana Cavallo.
Virology Unit; 1Division of Pneumology, University Hospital San Giovanni Battista, Turin.
Introduction. Epstein-Barr virus belongs to the herpesviridae family (particularly to the gherpesvirus) and is ubiquitous. Primary EBV infection in childhood is usually subclinical, while in
adolescent and adults a syndrome of infectious mononucleosis may develop. The lower respiratory
tract has been suggested to be a major site of EBV latency, so the virus could have a pathogenetic
role in immunocompromised patients such as transplant recipients. In this study we evaluated the
prevalence and role of EBV in lung transplant recipients in comparison to other solid-organ and
hematopoietic stem cell transplant.
Methods. We studied one-hundred-eight bronchoalveolar lavages (BAL) from 60 transplants (25
lung transplants LT, 22 other solid organ transplants SOT and 13 heamatopoietic stem cell
transplants HSCT).
The BAL procedure was performed in order to investigate the cause of unexplained fever,
respiratory symptoms (dispnea, cough, hemoptysis) and new infiltrates on chest X-ray. Moreover
we included patients who had a previous positivity or as routine follow-up in lung-transplant
recipients at month 1 post transplantation and at three-month intervals. Specimens were evaluated
with a panel that detected 16 respiratory viruses by rapid shell vial culture and/or nuclear acid
testings (NATs, real time PCR, real time RT-PCR) following automated extraction of total nucleic
acids with the NucliSens easyMAG platform (bioMeriéux, Marcy l’Etoile, France). In particular,
EBV DNA was evaluated by real time PCR using a commercial kit (Q-EBV Alert Kit, Nanogen
Advanced Diagnostics, Milano, Italy), following the manufacturer’s instructions, with the 7300
Real Time PCR System (Applied Biosystems, Monza, Italy). For statistical analysis the chi square
test and the t test were applied.
Results. Overall, EBV was detected in 29/108 (26.8%) specimens from 23/60 (38.3%) patients; in
particular, 17/68(25%) from 12/25 (48%) LT recipients; 8/23 (34.8%) from 8/22 (36.4%) other SOT
recipients, and 4/17 (23.5%) from 3/13 (23.1%) HSCT recipients. Prevalence of EBV did not
significantly differ between LT patients and other SOT and/or HSCT recipients. None of the EBVpositive transplant recipients was diagnosed an-EBV associated PTLD. EBV viral load was
analyzed taking into account the highest value in each patient and resulted significantly lower in LT
vs all the other transplantation.
Conclusion. These results suggest that although EBV positivity is frequent in lung transplant, the
clinical impact of EBV in this group of patients could be lower.
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Pagina 205 di 288
CAMBIAMENTO DELL’EPIDEMIOLOGIA DI HBV IN SICILIA: UNA ANALISI
FILOGENETICA DEGLI ISOLATI VIRALI
Ferraro D, Urone N, Pizzillo P, Di Marco V*, Cacopardo B^ , Craxì A*, Di Stefano R.
Dip. di Scienze per la Promozione della Salute “G. D’Alessandro”, Sezione di Microbiologia,
*Di.Bi.MI.S.,Cattedra di Gastroenterologia, Università di Palermo
^ Dip. di Medicina Interna e Specialità Mediche, Sezione di Malattie Infettive, Università di
Catania
L’epidemiologia di HBV nell’area Mediterranea ha mostrato tradizionalmente un forte effetto di
clustering del genotipo D. La prevalenza del genotipo D condiziona la probabilità di evoluzione sia
dell’infezione cronica, per la maggiore evenienza di mutazioni della regione preC/C, che della
malattia, probabilmente per ridotta sensibilità del virus agli IFN. La recente introduzione di genotipi
di HBV a minore prevalenza da altre aree geografiche, legata fondamentalmente alle migrazioni,
offre la possibilità di valutare la differenziazione filogenetica di HBV nella nostra regione.
Allo scopo di studiare le relazioni filogenetiche tra gli isolati virali di soggetti siciliani con
infezione acuta e cronica e isolati provenienti da altre parti del mondo, sono stati esaminati 34
pazienti con epatite acuta da HBV, M/F 31/3, età media 45 (18-81) e 20 pazienti con infezione
cronica e malattia, M/F 15/5, età media 59 (38-78) provenienti dalle province di Palermo e Catania.
Le sequenze nucleotidiche corrispondenti al gene PreS/S, derivate dagli isolati virali dei pazienti,
sono state allineate con sequenze di riferimento ricavate da GenBank, con il programma BioEdit.
L’analisi filogenetica è stata eseguita mediante il software Mega 4.0 con i metodi Neighbor-Joining
e Kimura-2 parametri e la topologia degli alberi filogenetici è stata confermata con il metodo
Maximun-likelihood.
Tra i soggetti con epatite acuta, sono stati identificati 11 isolati di genotipo A (1 sottotipo A1, 10
A2), 22 di genotipo D (15 sottotipi D1, 1 D2, 4 D3, 1 non sottotipizzabile) ed 1 genotipo E.
L’analisi filogenetica ha mostrato che gli isolati A2 formano un cluster con quelli dell’Europa
continentale. Gli isolati di genotipo D segregano separatamente da quelli derivati da pazienti
siciliani con epatite cronica, mostrando una maggiore somiglianza con quelli dell’Europa centroorientale.
I nostri dati evidenziano un possibile aumento di nuovi casi di infezione da HBV genotipo A in
Sicilia, mentre la contemporanea presenza di un elevato numero di infezioni da genotipo A2 e di
isolati di genotipo D, differenti da quelli circolanti nel passato, suggerisce un cambiamento
nell’epidemiologia dell’infezione da HBV dovuta all’introduzione di nuovi ceppi virali importati da
Paesi Europei lontani dal bacino del Mediterraneo.
I nuovi casi di epatite acuta da HBV osservati in Sicilia potrebbero essere dovuti all’introduzione di
nuove varianti virali provenienti dall’Europa continentale
Nonostante l’efficace programma vaccinale per HBV attivo in Italia dal 1991 per i nuovi nati e dalla
fine degli anni 80 per le categorie a rischio, ancora oggi vengono registrati nuovi casi di epatite
acuta da HBV, in soggetti vaccinati e non, appartenenti ad un ampio range di età. L’infezione da
HBV in soggetti vaccinati può attribuirsi ad una non efficiente risposta immunitaria, o
all’introduzione da altre aree geografiche di nuove varianti virali.
L’introduzione nella nostra area geografica di nuovi isolati virali provenienti dall’Europa
continentale è dimostrato dal riscontro di un elevato numero di HBV genotipo A e dalla diversità
delle sequenze di HBV genotipo D ottenute da pazienti con epatite acuta da quelle dei pazienti con
epatite cronica.
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Pagina 206 di 288
SORVEGLIANZA DELLA CIRCOLAZIONE DI NOROVIRUS A PALERMO IN
BAMBINI CON ENTERITE ACUTA NEL PERIODO 2005-2008
V. Rotolo1, M.A. Platia1, S. Ramirez1, P. Aiello1, C. Colomba2, S. De Grazia1, G.M. Giammanco1
Dipartimento di Scienze per la Promozione della Salute “G. D’Alessandro”, Università di
Palermo, 1Sezione di Microbiologa e 2Sezione di Malattie Infettive
I Norovirus (NoV) sono diffusi e ubiquitari agenti di enteriti sporadiche o epidemiche. Tre
genogruppi di NoV (I, II e IV) sono in grado di determinare patologia nell’uomo ma il genogruppo
II è quello di gran lunga più diffuso. Nel genogruppo II sono stati identificati numerosi genotipi ma
la gran parte dei casi di enterite sono dovuti ai tipi GII.4 e GIIb. I GII.4 NoV vanno incontro a
rapida evoluzione con generazione di varianti svelabili mediante analisi dei geni della polimerasi
(ORF1) e del capside (ORF2). Allo scopo di indagare la circolazione di NoV a Palermo, tra il 2005
e il 2008 è stata effettuata una raccolta di campioni fecali da bambini di età <5 anni ricoverati per
enterite presso l’Ospedale “G. Di Cristina”. I campioni sono stati analizzati mediante PCR realtime. I campioni positivi sono stati tipizzati tramite restrizione enzimatica (RFLP) di ORF1 e
sequenziamento di ORF1 e ORF2. Durante il periodo di sorveglianza è stata riscontrata la presenza
di NoV in 181 campioni fecali su 836 esaminati (21%). La tipizzazione molecolare ha permesso di
individuare la prevalente circolazione del genotipo GII.4 (79%), omogeneamente distribuito nei 4
anni. Il GIIb rappresentava il secondo genotipo, con percentuali fra il 13 e il 17% nel 2005-2007 e
con un aumento al 30% nel 2008. Una piccola percentuale di ceppi GI (4-6%) è stata riscontrata in
tutti gli anni tranne che nel 2008. All’interno del genotipo GII.4, la variante v2004, l’unica
circolante nel 2005, si riduceva al 24% nel 2006 per poi scomparire nel 2007 e riemergere a basso
livello (10%) nel 2008. Al contrario, la variante v2006a compariva nel 2006 (18%) per poi
permanere nel 2007 (26%) e nel 2008 (20%); così come la variante v2006b, che a partire dal 2006
si riscontrava in percentuale crescente nel corso degli anni (dal 59 al 70%). La sorveglianza della
circolazione di NoV a Palermo ha permesso di dimostrare il loro ruolo nelle enteriti infantili. La
tipizzazione molecolare dei ceppi isolati ha mostrato la prevalenza del genotipo GII.4 e ha permesso
di evidenziare l’introduzione di due nuove varianti, v2006a e v2006b, che dal 2006 hanno
soppiantato i ceppi precedentemente circolanti. Questi risultati rafforzano la necessità di una
continua sorveglianza epidemiologica per sviluppare le più opportune strategie di controllo e
prevenzione delle infezioni da NoV.
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Pagina 207 di 288
CMV AND EPIDEMIOLOGY IN LUNG TRANSPLANT RECIPIENTS
Costa Cristina, Bergallo Massimiliano, Astegiano Sara, Sidoti Francesca, 1Solidoro Paolo, Beata
Katia, Negro Ponzi Alessandro, Cavallo Rossana
SCDU Virologia AOU San Giovanni Battista, Torino
1
Divisione di Pneumologia, AOU San Giovanni Battista, Torino
Introduction. HCMV is an important pathogen in transplant recipients. Infection is often
subclinical, whereas clinical disease can assume several forms. Moreover, it is difficult to unravel
the pulmonary manifestations of CMV infection in lung transplant recipients, as the clinical
presentation and features can easily be mistaken for acute rejection. Detection in bronchoalveolar
lavage (BAL) from lung transplant patients should be interpreted taking into account the viral load
and clinical context. This study investigates the clinical epidemiology of HCMV in lung transplant
recipients vs other solid organ transplant recipients.
Materials and methods. 91 BAL from 26 lung transplant recipients and 31 from other solid organ
transplant patients (13 liver, 11 kidney, 7 hearth) were analysed. BAL procedure was performed for
investigating the cause of unexplained fever and/or respiratory symptoms and/or new infiltrates on
chest X-ray or for checking up a previous positivity or as routine follow-up in lung transplant
recipients. HCMV infection was determined by rapid shell vial culture on HELF and Real Time
PCR. Extraction was performed by the EasyMag extractor (BioMérieux). Real Time PCR was
performed with the 7300 Real Time PCR system (Applied Biosystems) using a commercial kit
(Nanogen Adv. Diagnostics).
Results. HCMV was positive in 32/91 (35.2%) specimens from 15/26 (57.7%) lung transplant
patients vs 10/31 (32.2%) in other solid organ transplant recipients (p = n.s.). In lung transplant
patients, HCMV was found both in the absence and in the presence of clinical and/or radiological
signs or symptoms, including transplant complications, respiratory insufficiency, and other
pneumopathies.
In particular, a diagnosis of pneumonia was made in 13/32 (40.6%) samples from 5/15 (33.3%)
patients, all of them with a viral load >105 copies/ml BAL. In other solid organ transplant
recipients, a diagnosis of pneumonia was made in 6 HCMV-positive patients, however viral load
was >105 only in one kidney transplant recipient.
Conclusions. Results confirm the relevant role of HCMV as pathogen responsible of pneumonia in
transplant recipients. A viral load >105 copies/ml BAL is associated with a diagnosis of penumonia
in solid organ transplant recipients. Viral load tended to be higher in lung transplant recipients, thus
suggesting that an impaired pulmonary background may favour viral replication.
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Pagina 208 di 288
EPIDEMIOLOGIA MOLECOLARE DEI POLYOMAVIRUS UMANI KI E WU NELLA
POPOLAZIONE PEDIATRICA ED IN SOGGETTI ADULTI IMMUNOCOMPROMESSI
Debiaggi M, Canducci F, Brerra R, Sampaolo M, Marinozzi MC, Parea M, Nucleo E, Romero E,
Clementi M.
Dipartimento di Scienze Morfologiche, Eidologiche e Cliniche, Sez. Microbiologia, Università di
Pavia, Servizio Analisi Microbiologiche Fondazione IRCCS Policlinico San Matteo, Pavia e
Laboratorio di Microbiologia e Virologia, Università Vita-Salute San Raffaele e Istituto Scientifico
San Raffaele, Milano.
I polyomavirus KI (KIPyV) e WU (WUPyV) sono stati recentemente isolati da campioni delle vie
aeree superiori di bambini e soggetti immunocompromessi con sindromi respiratorie acute. Il loro
ruolo patogeno non è ancora stato determinato anche se alcuni studi hanno rilevato una correlazione
tra immunosoppressione e riattivazione dell’infezione. Nel presente studio si sono analizzati
retrospettivamente, per la presenza dei polyomavirus WU e KI, campioni respiratori ottenuti da
bambini con infezione respiratoria acuta e da pazienti adulti asintomatici, sottoposti a trapianto di
cellule staminali ematopoietiche, valutati in differenti tempi prima e dopo il trapianto.
Dei 31 soggetti immunocompromessi e asintomatici, sono stati valutati 126 campioni di cui due
sono risultati positivi per la presenza di KIPyV (1 campione, 0.79%) e WUPyV (1 campione,
0.79%). Entrambi i campioni positivi erano ottenuti 15 giorni dopo il trapianto e non è stata
osservata persistenza virale nei campioni ottenuti nei tempi successivi di raccolta (30 e 60 giorni
dopo il trapianto). Entrambi i campioni positivi, hanno mostrato coinfezione con metapneumovirus
umano.
Nei bambini con infezione respiratoria acuta, 7 dei 486 campioni analizzati risultavano positivi per
WUPyV (1.4%) ed uno per KIPyV (0.2%). I bambini positivi avevano un’età tra i 2 e i 9 mesi (età
media 5,3 mesi). I casi positivi erano ottenuti da pazienti ricoverati per infezione respiratoria acuta
nei mesi invernali (novembre-gennaio) del periodo 2004-2006 e primaverili del periodo 2007-2008.
Nei soggetti positivi la diagnosi è stata di bronchiolite (3 casi), bronchite o broncopolmonite (4
casi), febbre (1 caso). L’infezione singola da WUPyV o KIPyV è stata rilevata in 4 degli 8 casi
(50%), mentre in 3 dei restanti casi è stata evidenziata una coinfezione da parte del virus
respiratorio sinciziale e in un caso da adenovirus.
I risultati ottenuti suggeriscono che, in Italia, i polyomavirus KI e WU hanno una circolazione
limitata e un basso potenziale patogeno in età pediatrica. Nei pazienti adulti sottoposti a trapianto di
cellule staminali ematopoietiche si può verificare una breve ed asintomatica infezione.
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Pagina 209 di 288
JC VIRUS AND CROHN’S DISEASE: DOES IT EXIST A CORRELATION?
1
Barucca V, 1Iebba V, 2Fioriti D, 1Schippa S, 1Conte MP, 1Proietti Checchi M, 1Chiarini F,
1
Pietropaolo V.
1
Dep. of Public Health Sciences, 2Dep. of Urology, “Sapienza” University, Rome, Italy.
Crohn’s disease (CD) is a chronic inflammatory bowel disease (IBD). CD frequently occurs in the
ileum, but it can affect any part of the digestive tract, from the mouth to the anus. The most
common symptoms of CD are abdominal pain and diarrhea, causing a condition of severe morbidity
with impaired of quality of life. There is a scientific evidence that mucosal inflammation in IBD is
regulated by the interplay of resident microbiota, intestinal epithelium and the mucosal immune
system, with genetic allelism and environmental factors. Clinical and experimental studies indicate
that intestinal bacteria and/or viruses are involved in the initiation and amplification of IBD.
The possibility that infectious agents could play a role in the aetiology of IBD remains an open
question. In particular, regarding viral involvement, some Authors have found that the human
polyomavirus JC (JCV) actively infects the enteroglial cells of the myenteric plexus of patients with
Chronic Idiopathic Intestinal Pseudo-Obstruction, a rare syndrome characterized by severely
impaired gastrointestinal motility. JCV asymptomatically infects up to 80% of the worldwide
human population and establishes latency in the kidney. In the case of immunodeficiency, it can
cause Progressive Multifocal Leukoencephalopathy (PML) and it is associated with several human
cancers. In fact, JCV genomic sequences and oncogenic T antigen expression have been reported in
brain, colon, gastric and esophageal cancers.
Actually the attention is focalized on the possible association between PML and natalizumab or
rituximab treatment in patients with multiple sclerosis, Crohn’s disease and non Hodgkin
limphoma, whereas there are no data about the direct correlation among JCV and inflammatory
intestinal diseases.
In this study we examined 9 bioptic samples from different bowel districts (ileum, colon, rectum) of
a pediatric patient with Crohn’s disease. These samples were obtained within two progressive
pharmacological treatment namely 5-ASA and polymeric diet and were analyzed by Quantitative
PCR (Q-PCR) to investigate the presence of JCV DNA. Q-PCR results showed the presence of JCV
DNA in 1 sample derived from rectum after therapy with 5-ASA.
Since this is the first report concerning JCV in pediatric patient with Crohn’s disease, these data
may be important in the role that JCV may play in autoimmune diseases and poses a particular
focus on the possible viral reactivation in response to drug treatments.
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11-14 ottobre 2009
Pagina 210 di 288
LA REAL-TIME NEL RILEVAMENTO DI HSV1 IN BAL DA PAZIENTI DI
RIANIMAZIONE
a,b
Palermo C.I, cCastiglione G., cPanascia E., a,bRusso R., a,bCostanzo C.M., a,bFranchina C.,
a,b
Zappalà D., a,bScalia G.
a
Dipartimento di Scienze Microbiologiche e Scienze Ginecologiche, Università degli Studi di
Catania e bU.O. di Virologia Clinica, Laboratorio Centralizzato, Azienda OspedalieroUniversitaria Policlinico “Gaspare Rodolico” di Catania, cUnità Operativa di Rianimazione
Azienda Ospedaliero-Universitaria “Vittorio Emanuele II”, Catania.
Le patologie a carico delle basse vie respiratorie sono da considerarsi fra le principali cause di
morbidità e mortalità a livello mondiale. La loro incidenza è in continuo aumento: l’OMS stima che
nel 2020 queste patologie rappresenteranno la terza causa di morte nel mondo. L’etiologia di queste
patologie è varia ed i microorganismi ne rappresentano certamente una delle più rilevanti. Nelle
polmoniti ad etiologia virale sono spesso chiamati in causa i Paramyxovirus o gli Orthomyxovirus;
raramente fanno parte del protocollo di indagine diagnostica il gruppo dei virus herpetici, poiché le
conoscenze sul ruolo patogenetico di tali virus sono scarse, l’epidemiologia clinica è poco nota e
spesso sottostimata.
Scopo dello studio è stato la valutazione della prevalenza di HSV1 nei BAL di pazienti ricoverati
presso le Unità Operative di rianimazione di alcuni nosocomi cittadini. La metodica impiegata a tale
scopo è stata una Real-time PCR (HSV1 Q-PCR Alert Kit, Nanogen Advanced Diagnostics s.r.l,
Italia). In particolare sono stati analizzati 31 BAL provenienti da altrettanti soggetti ricoverati per
gravi patologie respiratorie acute. Una rilevante percentuale dei campioni era positivo per almeno
uno dei virus herpetici ricercati (HSV1, VZV, CMV, EBV, HHV6 ed HHV7). L’HSV1 veniva
reperito nel 13% (4/31) dei campioni, spesso in concomitanza con HHV7 e solo in un caso con altri
virus herpetici ricercati. Il ruolo dell’HHV7 non è chiaro, essendo reperibile in gran parte dei BAL
in coinfezione con altri herpetici, cosa che fa supporre una alta frequenza di riattivazione di questo
virus in soggetti defedati. A causa del ridotto numero di campioni analizzati, questo studio è da
considerarsi preliminare, ma mette in luce la potenziale importanza di HSV1 nelle patologie
respiratorie gravi specie nell’immunodepresso. Una maggiore frequenza di indagine per HSV1, in
questo genere di patologie, potrebbe meglio chiarirne il ruolo, consentendo una più pronta diagnosi
differenziale ed una conseguente tempestiva terapia mirata.
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11-14 ottobre 2009
Pagina 211 di 288
CONFRONTO TRA SAGGI QUANTITATIVI DI REAL TIME PCR ED UN KIT
COMMERCIALE PER LA RICERCA DI HPV DNA DA CAMPIONI CERVICALI.
Cocuzza C, Musumeci R, Sibra B, Cialdella A, Castelli D, Battistello M, Dell’Anna T, Mangioni C,
Piana A.
Dipartimento di Medicina Clinica e Prevenzione, Università degli Studi di Milano-Bicocca
Divisione di Ostetricia e Ginecologia, Ospedale San Gerardo, Monza
Istituto di Igiene e Medicina Preventiva, Università di Sassari
Negli ultimi anni sono stati messi a punto numerosi saggi molecolari per la diagnosi di infezione da
HPV, sia commerciali che “home-made”. Il presente lavoro riporta i risultati relativi al confronto tra
un saggio commerciale e saggi quantitativi “home made” di Real time PCR per la ricerca di HPV
DNA da campioni cervicali.
MATERIALI E METODI
Il lavoro, svolto in collaborazione tra la Divisione di Ostetricia e Ginecologia dell’Ospedale San
Gerardo di Monza, la sezione di Microbiologia del Dipartimento di Clinica Medica e Prevenzione
dell’Università di Milano-Bicocca e, ha previsto l’analisi di n. 312 campioni di cellule cervicali
prelevati nel periodo gennaio 2008-giugno 2009. Per la ricerca del HPV DNA dai campioni clinici
sono stati utilizzati il CLINICAL ARRAYS® HPV (Genomica) che identifica 35 genotipi ad alto e
basso rischio e saggi in Real time PCR per la ricerca e quantificazione dei genotipi 16, 18, 31, 45 e
33/58/67. I risultati ottenuti sono stati analizzati allo scopo di valutare la concordanza mediante
l’indice k di Cohen, successivamente interpretato sulla base dei criteri di Landis e Koch.
RIASSUNTO DEI RISULTATI
Il 79% (247/312) dei campioni sono risultati moderatamente concordanti (k: 0,58; ES: 0,05). Allo
scopo di evitare l’influenza di risultati di dubbio significato clinico (campioni positivi alla PCR, ma
caratterizzati da un viral load ≤ 10 copie/104 cellule, e negativi alla tecnica commerciale), sono stati
esclusi n. 7 campioni, modificando il k di concordanza a 0,6 (254/312; 81%).
Dei 62 campioni, risultati positivi al kit e negativi con la PCR, 57 hanno evidenziato la presenza di
genotipi non rilevabili con i primers utilizzati nei saggi di Real-time PCR. Per tale motivo, il set di
dati è stato sottoposto a clearing evidenziando una concordanza del 98% (k: 0,95; ES: 0,06).
CONCLUSIONI
I test hanno dimostrato un elevato agreement nell’identificazione dei tipi di HPV più
frequentemente responsabili di lesioni a carico della cervice. Il test “home made”, con la
valutazione quantitativa del DNA virale, è particolarmente indicato per valutazioni diagnostiche e
prognostiche, mentre il test commerciale se da un lato incrementa il range di genotipi identificabili,
dall’altro, è poco esaustivo nella definizione prognostica dell’infezione.
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11-14 ottobre 2009
Pagina 212 di 288
UTILIZZO DI REAL TIME PCR PER LA RICERCA DEI VIRUS HERPES,ENTERO,BK:
STUDIO EPIDEMIOLOGICO 2004-2009
Pollara P.C, Perandin F, Corbellini S, Terlenghi L, Bonfanti C, Manca N.
U.O. Microbiologia e Virologia Spedali Civili di Brescia e Università degli Studi di Brescia.
Introduzione. Nel 2004 è stato introdotto nel nostro laboratorio il saggio molecolare Real Time
PCR (RT) per la diagnosi di infezione da HCMV ed EBV nei pazienti immunocompromessi quali
trapiantati di midollo e organi solidi, sieropositivi per HIV, pazienti con patologie ematologiche.
Successivamente sono state introdotte indagini per la ricerca di HSV1, HSV2, VZV, HHV6,
Enterovirus nel liquor in casi sospetti di infezione a carico del sistema nervoso; in seguito è stata
introdotta la ricerca del BKV responsabile di nefropatia con perdita d’organo nei trapiantati renali.
In questo studio vengono riportati i risultati ottenuti (come carica virale quantitativa) nel periodo
2004-2009 nei diversi campioni biologici analizzati
Materiali e metodi. Per la ricerca quantitativa di CMV, EBV, HSV1, HSV2, VZV, HHV6, BKV,
Enterovirus sono stati usati i Kit forniti dalla Ditta Nanogen Advanced Diagnostics (San Diego,
USA) utilizzando lo strumento ABI PRISM 7300 della Ditta Applied Biosystem (Fostercity,CA).
Per l’estrazione del DNA/RNA dei campioni è stato utilizzato un sistema automatico (EasymagBiomerieux)
Risultati. Dal 2004 al 2009 sono stati analizzati 18227 campioni totali, suddivisi a seconda del
virus ricercato (vedi tabella).
Totale
P
CMV
2839
EBV
258
BKV
169
Enterovirus 5
Varicella
8
HSV-1
4
HSV-2
1
HHV-6
12
N
10977
2550
148
190
265
266
269
266
13816
2808
317
195
273
270
270
278
Durante i 5 anni presi in considerazione, si è notato un incremento del numero di richieste delle
indagini; infatti la percentuale degli esami eseguiti è aumentata del 61.7% per CMV, del 50.5% per
EBV, del 16.7% per BKV, del 59.6% per HSV1/ HSV2/ VZV/ HHV6 e del 36.5% per Enterovirus.
Discussione. Il saggio RT ha dimostrato ottime performances per la rilevazione e la quantificazione
di target virali. Per la facilità di utilizzo e rapidità dei tempi di esecuzione si è rivelato
particolarmente adatto per una diagnosi rapida e accurata nei pazienti affetti da patologie indotte dai
virus sopracitati. Attualmente questa tecnica è stata impiegata anche per porre diagnosi di infezione
da virus Influenzali A/B e per la rivelazione di protozoi ematici ( Toxoplasma gondii e Plasmodio
spp).
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REAL TIME PCR DETECTION OF BK, JC AND MC HUMAN POLYOMAVIRUSES IN
METASTASES OF MELANOMA SKIN CANCER: PRELIMINARY DATA.
1
Bellizzi A, 1Anzivino E, 2Fioriti D, 1Barucca V, 1Mischitelli M, 3Panasiti V, 3Calvieri S, 1Chiarini
F, 1Pietropaolo V.
1
Department of Public Health Sciences, 2Department of Urology, 3Department of Dermatology,
"Sapienza" University, Rome, Italy.
The Polyomaviridae is a family of DNA tumourviruses that frequently cause cancer upon
inoculation into heterologous hosts. The human polyomaviruses BK (BKV) and JC (JCV) was
recovered from the urine of a renal allograft recipient and from the brain of a patient with
progressive multifocal leukoencephalopathy (PML), respectively. Then serological surveys have
shown that both viruses are acquired during childhood and the worldwide seroprevalence rates in
adults is of ~75%–80%. Recently, a newly described human polyomavirus, Merkel cell
polyomavirus (MCV), has been associated with Merkel cell carcinoma (MCC), an unusual and
aggressive neuroendocrine carcinoma of the skin. It was shown that MCV positive MCCs contain
viral DNA in an integrated and clonal form, suggesting an involvement of this virus in the aetiology
of those tumours. Moreover, MCC affects elderly and immunosuppressed individuals, a suggestive
feature of an infectious origin, as the case of JCV infection-associated PML. Finally, melanocytes
are of neuroepithelial origin. This background impelled us to detect in a preliminary study the
possible presence of BKV, JCV and MCV DNAs in metastatic skin melanomas in order to
investigate if these viruses could play a role in the development of melanomas, taking into account
the neurotropism of JCV and potentially the neurotropic features of MCV, given the neuroepithelial
origin of melanocytes, and of BKV, considering the metastatic origin of the samples. For this
purpose, 17 paraffin wax embedded tissue samples of metastatic skin melanomas were examined,
using a TaqMan Real Time PCR to detect BKV and JCV DNAs and a SYBR Green Real Time
PCR for MCV DNA.
Surprisingly no MCV DNA was detected in any samples, while 5/17 samples were positive for
BKV DNA and 2/17 for JCV DNA, one of which presented a co-infection.
This results suggest that, considering the sample’s type, the DNA of MCV may be lost as a result of
metastatic migration: thus in order to support this hypothesis, it is necessary to obtain tissue for
primary malignant melanoma. As for BKV and JCV, their presence could be due to the inclusion of
surrounding non-metastatic cells on sample tissues. However, these data do not allow us to
conclude that BKV, JCV and MCV contribute to the development of cutaneous melanoma and
therefore further investigations are required.
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SVILUPPO DI UNA METODICA ELISPOT PER LA DETERMINAZIONE DELLA
RISPOSTA LINFOCITARIA T BKV-SPECIFICA.
Massimiliano Bergallo, Maria Elena Terlizzi, Sara Astegiano, Francesca Sidoti, Stefano
Gambarino, Stefano Callea, Rossana Cavallo, Cristina Costa.
SCDU Virologia, Azienda Ospedaliera Universitaria San Giovanni Battista, Torino
Introduzione. La metodica EliSPOT per la valutazione della risposta cellulo-mediata specifica
all'infezione da polyomavirus BKV consente di determinare e quantificare i linfociti T BKVspecifici che producono interferone-γ (IFN-γ), previa incubazione con l'antigene virale. Gli obiettivi
di questo lavoro sono stati l'ottimizzazione e la standardizzazione della metodica per la valutazione
della risposta IFN-mediata anti-BKV.
Metodi. I linfociti CD3+ sono stati separati negativamente utilizzando Robosep (EasySep® HLA
WB Human T Cell Enrichment Kit, StemCell Technology). Il saggio EliSPOT è stato ottimizzato
modificando un protocollo fornito dalla ditta Nanogen, utilizzando il kit Elispot Interferon- γ Basic
Kit. Per quanto riguarda la messa a punto della metodica sono stati considerati diversi parametri,
quali il numero di cellule da stimolare (200000 – 300000), il tempo di incubazione (18 – 20 - 22 –
24h), il tempo e il numero di lavaggi, le condizioni di incubazione con l'anticorpo secondario e le
condizioni di sviluppo del substrato.
Risultati. 200000 linfociti CD3+/pozzetto sono stati stimolati con l’antigene BK Virus Peptide mix
per 18h a 37°C in camera umida; in seguito sono stati effettuati una serie di lavaggi e l’incubazione
con l’anticorpo secondario a temperatura ambiente in camera umida per 2h. Ad una seconda serie di
lavaggi è seguita l’incubazione con il substrato per 15 min. L’avvenuta reazione è stata letta
mediante il lettore di piastre AID EliSpot.
Conclusione. L'ottimizzazione e la standardizzazione del saggio EliSPOT, descritti in questo
studio, per la valutazione della risposta immunitaria T-specifica nei confronti del polyomavirus BK,
uniti al monitoraggio virologico, possono essere un valido strumento per la gestione clinica dei
pazienti trapiantati renali.
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CARATTERIZZAZIONE MOLECOLARE DELL’INTERO GENOMA DI ROTAVIRUS
G3P[9] IDENTIFICATI A PALERMO
M.A. Platia1, P. Aiello1, V. Rotolo1, C. Colomba1, G.M. Giammanco1, V. Martella2, S. De Grazia1
1
Dipartimento di Scienze per la Promozione della Salute – Università di Palermo; 2 Dipartimento
di Sanità Pubblica e Zootecnia, Università di Bari.
I rotavirus di gruppo A sono i più frequenti agenti eziologici di gastroenterite virale sia nell’uomo
che in numerose specie animali. Nel corso di una sorveglianza attiva delle infezioni da rotavirus, in
bambini ospedalizzati a Palermo dal 1986 ad oggi, è stata effettuata un’analisi molecolare dei geni
codificanti per le proteine del capside esterno VP7 e VP4, per la proteina del capside interno VP6 e
per la proteina non strutturale NSP4 che ne permette la caratterizzazione come tipi G, P, I ed E,
rispettivamente. Tale indagine ha permesso di svelare la presenza di ceppi con un inusuale
associazione VP7, VP4, VP6 ed NSP4. In particolare, sono stati identificati due rotavirus G3P[9]
isolati in bambini di 2 anni, ricoverati con gastroenterite acuta presso l’Ospedale dei Bambini “G.
Di Cristina” di Palermo nel 1996 (PAI58/96 e PAH136/96). Essi presentavano un genotipo di
origine umana/felina per i geni VP7 e VP4 incongruente con la tipizzazione dei geni VP6 e NSP4.
Tale risultato suggeriva un possibile evento di ricombinazione tra ceppi di diversa derivazione. Allo
scopo di investigare sull’effettiva origine dei ceppi PAI58/96 e PAH136/96 è stata effettuato il
sequenziamento e l’analisi filogenetica dell’intero genoma virale. Quattro degli undici segmenti
genici (VP7, VP4, NSP1 e NSP5) sono risultati di origine umana/felina (AU-1-like), mentre almeno
cinque geni sono risultati geneticamente correlati con il ceppo RF di origine bovina. Tuttavia, è
stato possibile escludere un’origine clonale dei due ceppi palermitani G3P[9], in quanto sono state
rilevate differenze sostanziali in diversi segmenti genici e principalmente nel gene codificante per la
proteina NSP2. Nel corso dell’evoluzione dei ceppi di rotavirus l’evenienza di fenomeni di
ricombinazione o riassortimento con ceppi animali è probabilmente più frequente di quanto atteso.
L’analisi del genoma completo dei rotavirus atipici si è rivelata utile per investigare in dettaglio i
meccanismi genetici che guidano la loro evoluzione.
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Pagina 216 di 288
SEQUENZIAMENTO DEI GENI CODIFICANTI LA TRASCRITTASI INVERSA, LA
PROTEASI E LA GP41 DAL DNA PROVIRALE ESTRATTO DA SANGUE INTERO E
DALL’RNA VIRALE DI HIV, IN PAZIENTI CON BASSE CARICHE PLASMATICHE DI
HIV-RNA
A. Di Franco1, R. Santangelo1, S. Marchetti1, S. Di Giambenedetto2, M. Colafigli2, M.Fabbiani2, P.
Cattani1, A. De Luca2, G. Fadda1.
1
Istituto di Microbiologia e 2Istituto di Clinica delle Malattie Infettive, Università Cattolica del
Sacro Cuore, Roma.
La diagnosi precoce di mutazioni di farmaco resistenza ha un ruolo importante nella scelta della
terapia antiretrovirale nei pazienti HIV positivi. Anche lo studio del “reservoir” di HIV nelle cellule
mononucleate del sangue periferico è considerato un interessante marcatore della risposta alla
terapia antiretrovirale.
Lo scopo di questo lavoro è stato quello di migliorare le metodiche di sequenziamento delle regioni
codificanti la Proteasi (PR), la Retrotrascrittasi (RT) e la Glicoproteina 41 (gp41), dell’RNA virale
plasmatico e del DNA provirale estratto da sangue intero, in campioni di pazienti con bassi livelli
plasmatici di HIV–RNA, plurifalliti a diversi regimi terapeutici.
E’ stato quindi condotto uno studio su 18 pazienti con infezione da HIV afferenti all’ambulatorio di
Malattie Infettive del Policlinico Universitario “A. Gemelli“ dell’Università Cattolica del Sacro
Cuore di Roma. I pazienti analizzati presentavano una carica virale inferiore alle 800 copie/ml .
Il sequenziamento dell’RNA virale è stato ottenuto per le regioni codificanti la PR e la RT in 5
pazienti su 18 (27,8%), mentre per la regione HR1 della gp41 in 7 pazienti su 18 (38,9%). In totale
è stato possibile sequenziare il 33,3 % degli RNA virali analizzati. Nel caso del DNA provirale, il
sequenziamento è stato ottenuto nel 100% dei casi in tutte le regioni analizzate. Il sequenziamento
genico del DNA provirale si è rivelato più sensibile rispetto a quello dell’RNA virale (χ2 =36,
p<0,0005). In totale sono state rilevate 277 mutazioni correlate con le resistenze ai farmaci
antiretrovirali (Drug Resistance Mutation, DRM): 141 di queste DRM (50,9%) sono mutazioni
correlate alla resistenza agli inibitori della RT, 129 (46,6%) alla resistenza agli inibitori della PR e 7
(2,5%) alla resistenza all’inibitore dell’entrata. In molti pazienti per i quali non è stato possibile
sequenziare l’RNA virale, nel DNA provirale sono state evidenziate mutazioni in grado di conferire
farmaco-resistenza.
In conclusione, l’analisi del DNA provirale estratto da sangue intero si è rivelata importante ai fini
di una corretta valutazione della farmaco-resistenza e potrebbe essere considerata un buon
marcatore di progressione dell’infezione di HIV, soprattutto in pazienti con cariche virali basse.
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Pagina 217 di 288
RILEVAMENTO DEI GENOTIPI 1 E 2 DI PARV4 IN CAMPIONI CLINICI NORMALI E
PATOLOGICI.
Massimiliano Bergallo, Cristina Costa, Francesca Sidoti, Sara Astegiano, Mariangela Lorusso,
1
Paolo Solidoro, 2Renata Ponti, Rossana Cavallo.
SCDU Virologia, 1Divisione di Pneumologia, 2Dipartimento di Scienze Biomediche e Oncologia
Umana, Sezione di Dermatologia; Azienda Ospedaliera Universitaria San Giovanni Battista,
Torino.
L’epidemiologia molecolare e la distribuzione tessutale del parvovirus umano PARV4 e della sua
variante PARV5 (anche denominati genotipo 1 e 2), appartenenti alla famiglia Parvoviridae sono
poco noti. In questo studio sono stati valutati il ruolo epidemiologico e la prevalenza di PARV4/5 in
differenti campioni clinici provenienti da soggetti sani e non. In totale sono stati esaminati 234
campioni: 53 campioni di sangue di donatori sani, 37 campioni di cute sana di donatori, 105
campioni di cute con diverse patologie dermatologiche (infiammatorie e neoplastiche), 39 lavaggi
bronco alveolari ottenuti da pazienti trapiantati (di polmone o altro organo solido). La prevalenza di
PARV4/5 è stata valutata mediante una nested PCR home-made con profilo fast che utilizza primer
disegnati all’interno della regione ORF1 di PARV4/5. Sono stati ottenuti i seguenti risultati di
positività per PARV4/5: 2/53 (4%) campioni di sangue intero da donatori sani; 3/37 (8%) campioni
di cute sana; 23/105 (21%) campioni di cute patologica, mentre nessun campione di lavaggio
broncoalveolare è risultato positivo. In base a questi e altri risultati della letteratura, PARV4 sembra
essere presente in differenti campioni, tra cui sangue intero e cute, provenienti da soggetti sia sani
che affetti da differenti patologie. Al contrario, PARV4 non è stato rilevato in campioni di lavaggio
broncoalveolare suggerendo quindi una differente distribuzione tessutale di questo parvovirus
rispetto allo Human Bocavirus (appartenenente alla stessa famiglia) che è stato identificato in
campioni delle vie aeree. Si può quindi ritenere che la via aerea non rappresenti la modalità di
trasmissione di PARV4, a differenza di altri parvovirus.
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11-14 ottobre 2009
Pagina 218 di 288
MODULAZIONE DELL’ESPRESSIONE GENICA DI CITOMEGALOVIRUS UMANO IN
RELAZIONE ALLA LOCALIZZAZIONE NUCLEOLARE DELLA PROTEINA VIRALE
PPUL83 ED AL CICLO CELLULARE
Arcangeletti M.C.1, Rodighiero I.1, Mirandola P.2, Germini D.1, De Conto F.1, Covan S.1, Dettori
G.1, Chezzi C.1
1.Dipartimento di Patologia e Medicina di Laboratorio - Sezione di Microbiologia;
2.Dipartimento di Anatomia Umana, Farmacologia e Scienze Medico-Forensi - Sezione di
Anatomia Umana;
Università degli Studi di Parma.
La compartimentalizzazione funzionale del nucleo delle cellule eucariote ed il suo utilizzo da parte
di numerosi agenti virali sono fatti ormai ampiamente documentati in letteratura. Per quel che
riguarda, in particolare, citomegalovirus umano (HCMV), dati pubblicati recentemente dal nostro
gruppo di ricerca hanno evidenziato, in un modello di infezione litica in vitro, uno spiccato
tropismo nucleolare della fosfoproteina pp65 (ppUL83) del virione infettante a tempi molto precoci
dopo l’infezione. I risultati ottenuti hanno anche avvalorato l’ipotesi di una relazione tra la
localizzazione nucleolare di tale proteina, la sintesi di rRNA ed il corretto avvio del programma di
espressione genica di HCMV.
Tra le possibili ipotesi sul significato funzionale dell’insediamento di componenti di HCMV nel
nucleolo, in questo studio è stata verificata quella di una relazione tra il suddetto evento, una azione
interferente sul ciclo cellulare indotta dal virus attraverso la localizzazione nucleolare e
l’espletamento del programma di espressione litica virale. Utilizzando lo stipite virale di riferimento
AD169 e fibroblasti MRC5 quale modello sperimentale, è stato dimostrato che HCMV è in grado di
raggiungere la sede nucleare indipendentemente dalla fase del ciclo cellulare in cui avviene
l’infezione, ma che l’espressione genica virale ha una efficienza significativamente più elevata in
fase G1 o alla transizione G1/S, rispetto ad S o G2/M. Inoltre, le cellule infettate in G1 subiscono
anche un arresto del ciclo cellulare, contrariamente a quanto accade in cellule non infettate. Altro
aspetto interessante è che solo in G1 e G1/S la proteina virale pp65 mostra una spiccata
compartimentalizzazione nucleolare.
Tali dati supportano l’ipotesi secondo la quale l’insediamento nucleolare di pp65 consentirebbe ad
HCMV di interferire con i meccanismi di controllo del ciclo cellulare e della trascrizione di rDNA,
eventi per i quali il nucleolo ha un ruolo di spicco. Il virus avrebbe così la possibilità di cooptare a
proprio vantaggio un maggiore contingente di ribosomi, così come gli enzimi necessari alla
successiva sintesi di DNA, impedendone l’utilizzo da parte della cellula ospite attraverso
l’inibizione dell’ulteriore avanzamento del ciclo cellulare.
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11-14 ottobre 2009
Pagina 219 di 288
ANALISI MOLECOLARE DEI GENI NSP3, NSP4, VP4, VP6 E VP7 DI UN CEPPO DI
ROTAVIRUS RIVELATO NEL LIQUOR DI UNA BAMBINA CON GASTROENTERITE E
MENINGISMO.
Medici M.C., Abelli L.A., Guerra P., Dettori G. e Chezzi C.
Sezione di Microbiologia – Dipartimento di Patologia e Medicina di Laboratorio – Università degli
Studi di Parma.
Si ritiene che alcune proteine virali di rotavirus di gruppo A, tra le quali quella non strutturale NSP4
e le proteine del capside esterno VP4 e VP7 siano implicate in meccanismi che determinano la
virulenza dei ceppi. Inoltre, il gene NSP3 sembra essere un determinante genetico per la diffusione
extra-intestinale del virus.
In gennaio 2008 presso l’ospedale Maggiore di Parma si era presentato un caso di gastroenterite da
rotavirus associata a meningismo in una bambina di 27 mesi, negativa per batteri ed altri virus alle
indagini condotte a scopo diagnostico. Sequenze del gene VP6 di rotavirus con identità nucleotidica
del 100% e del gene virale VP4 con stessa specificità erano state identificate mediante RT-PCR nel
liquor e nelle feci della bambina (Abelli L.A. e coll., XXXVII Congresso Nazionale AMCLI, Stresa
5-8 ottobre 2008, abstract 103). La caratterizzazione molecolare del ceppo aveva dimostrato che si
trattava di rotavirus di genotipo G1P[8] con elettroferotipo lungo.
Allo scopo di indagare sulle possibili basi genetiche della diffusione extraintestinale e della
patogenicità del ceppo denominato PR267/08/M, i geni NSP3, NSP4, VP4 e VP7 di questo ceppo
sono stati amplificati e sequenziati e le sequenze aminoacidiche dedotte sono state confrontate con
quelle di geni cognati di ceppi G1P[8] circolanti localmente in bambini affetti solo da gastroenterite
(ceppi GE). Nelle sequenze del ceppo PR267/08/M sono state rivelate mutazioni aminoacidiche non
conservative presenti solo in 2 ceppi GE: due nel gene NSP3, una nel gene NSP4 e una nel gene
VP4. Nessuna sostituzione è stata invece osservata nel gene VP7.
L’identità delle sequenze del gene VP6 e delle specificità P[8] degli RNA virali rivelati nelle feci e
nel liquor della bambina con gastroenterite e meningismo dimostrano che il ceppo di rotavirus che
ha invaso il SNC era lo stesso che aveva infettato l’intestino. E’ ragionevole ipotizzare che le
mutazioni aminoacidiche non conservative dimostrate nei geni NSP3, NSP4 e VP4 possano aver
permesso o favorito con un’azione sinergica la diffusione extraintestinale del virus e causato la
neuropatia nella piccola bambina, senza escludere il possibile intervento di fattori ospite-correlati.
Studi di bioinformatica potrebbero dimostrare se tali mutazioni sono in grado di modificare la
conformazione e l’attività delle proteine coinvolte, a supporto dell’ipotesi formulata.
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