la determinazione del pensiero di n. bobbio in

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LA DETERMINAZIONE DEL PENSIERO DI N. BOBBIO
IN SENSO MORALE E IN SENSO GIURIDICO
La progressiva elaborazione delle teorie di Bobbio parte da queste
premesse: dall'educazione scolastica e umana dei Maestri Cosmo, Zini,
Segre, all'insegnamento vivo di Gioele Solari, dalle teorie rivoluzionarie
di Gobetti all'esempio classico del Croce. Il Solari fu, del giovane studioso torinese, maestro e ispiratore a un tempo. L'« idealismo sociale »,
l'attaccamento alla filosofia del diritto (con funzione civile), la « fedeltà
esclusiva al compito che si era assunto » sono le componenti fondamentali del pensiero e dell'opera del Solari. Da lui Bobbio trae inoltre la
necessità di elevare il problema politico da problema pratico a problema morale, a problema filosofico. Bobbio si rifà, invece, a Gobetti per
il rinnovamento del liberalismo. Una vera e propria « rivoluzione liberale » fu concepita dal giovanissimo Gobetti, uomo d'azione (ed è questo un carattere di differenziazione rispetto a Bobbio), una rinnovazione radicale del programma liberale (in Bobbio non c'è traccia di radicalismo). Ginzburg fu un modello morale. Croce qualcosa di più. A lui
Bobbio — come gli altri antifascisti — non deve soltanto l'ispirazione
alla lotta, ma anche — sia pure in parte — la sua concezione del liberalismo (metapolitica). Il pensiero politico di Norberto Bobbio — « posto
che esista un mio pensiero politico (i miei scritti sono piuttosto frammentari, discontinui, e poco connessi gli uni agli altri) » (20) — si svolge da tali presupposti e giunge alla formulazione di una concezione
nuova del liberalismo, che non è quella rivoluzionaria del Gobetti (si
guardi al momento storico in cui essa nacque) e non è più quella metapolitica di Croce (che rendeva il liberalismo una concezione morale, un
ideale quasi personale).
Giustificazione storica del liberalismo.
L'individuo, come entità distinta e autonoma rispetto allo stato,
comincia a comparire con l'affermarsi dello stato moderno. Esso si presenta dapprima come stato assoluto, poggiando su due principi: 1) non
vi sono diritti fuori e sopra lo stato; 2) il principe è l'incarnazione
(20) Mi scriveva 111-1X-1965.
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dello stato. Lo stato assoluto nasce per Bobbio dalla dissoluzione della
società medioevale a carattere pluralistico (21). Contro questo tipo di
società, all'inizio dell'età moderna, le monarchie assolute si costituiscono grazie a un duplice processo unitario: 1) attraverso l'unificazione
di tutte le fonti di produzione giuridiche nella legge, come espressione
del volere del sovrano; 2) con l'unificazione di tutti gli ordinamenti
giuridici superiori e inferiori allo Stato nell'ordinamento giunidico statale, di cui è espressione il volere del principe.
Lo stato moderno liberale e democratico si presenta come reazione
allo stato assoluto, con la duplice rivoluzione inglese del '600 e con la
rivoluzione francese. Non discostandosi da Solari, Bobbio rileva tre momenti nella formazione storica dello stato moderno: 1) il periodo delle
guerre di religione, soprattutto in Francia (sec. XVI); 2) la guerra civile e la rivoluzione pacifica inglesi; 3) la rivoluzione francese.
Formazione dello stato moderno.
Il primo periodo è occupato dalle teorie del tirannicidio dei monarcomachi (in prevalenza cattolici e protestanti), che, rifacendosi a
fonti bibliche e scolastiche, affermano per primi che lo stato esiste non
nell'interesse dei governanti ma per il vantaggio dei popoli: il rapporto
tra popolo e sovrano è posto in un contratto che impone ai governanti
di seguire le leggi morali e divine. Conseguenza della violazione di tale
patto è il tirannicidio.
Il secondo periodo (1640-1688) è quello del liberalismo repubblicano, del democratismo dei livellatori, della teoria dello stato liberale
di Locke. Il liberalismo repubblicano ha nel poeta Milton il massimo
rappresentante. I livellatori costituivano la corrente democratica di un
piccolo partito di breve durata (1647-9). Il « Secondo trattato sul governo civile » (1690) di Locke è considerato da Bobbio (e non solo da
lui) « come la prima e più compiuta formulazione dello stato liberale » (22).
Il liberalismo politico.
Il liberalismo politico fu il movimento che ebbe influenza in tutti
i paesi occidentali, dopo essersi caratterizzato in Inghilterra. Furono i
filosofi radicali che crearono la prima struttura intellettuale del liberalismo e il suo programma. Per il liberalismo ogni problema egualita-
(21) « il diritto da cui era regolata promanava da più fonti di produzione
giuridica, ed era organizzato in diversi ordinamenti giuridici ». Diritto e Stato
nel pensiero di Emanuele Kant. Torino, Giappichelli 1957; p. 9.
(22) id.; p. 75.
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rio non si può intendere se non si risolve il problema della ilbertà, libertà come autoeducazione, autoformazione. Si è venuto suddividendo
in liberalismo moderato o conservatore e liberalismo radicale. Nella fase giusnaturalistica e romantica il liberalismo concepì i diritti naturali
quasi staticamente: diritti da tutelare non da sviluppare. Scisse poi le
due esigenze, giusnaturalistica e romantica, la prima alimentò il socialismo la seconda il nazionalismo.
Trasformazioni del liberalismo: socialismo e democrazia.
Le dottrine socialiste si apriranno un varco, nel secolo XIX, attraverso la zona critica del liberalismo in connessione col problema della
coercizione e dei suoi fini. La libertà dei socialisti tuttavia è solo in apparenza quella degli individualisti: è intesa non già come indipendenza
dalla costrizione di altri individui o del potere politico ma come possibilità di deliberare e agire in relazione alla situazione di fatto in cui
ogni individuo vive, a prescindere da ogni coercizione. Ogni forma di
socialismo tende però ad accrescere sugli individui la coercizione del
potere pubblico. La differenza non fu avvertita subito e il socialismo
seguì la strada dell'individualismo francese, dapprima solo modificando
poi combattendo, più o meno apertamente negli ultimi due secoli, il
significato e il programma di tale dottrina.
Un'altra trasformazione il liberalismo ha subito, in senso democratico. La differenza fondamentale tra democrazia e liberalismo sta nel
fatto che l'uguaglianza conduce con sé il principio di utilità sociale,
mentre la libertà proclamata dal liberalismo è un piacere, ha una sua
importanza e una sua bellezza indipendentemente dalle utilità sociali.
V'è nella democrazia (che raggiunge il pieno sviluppo nel secolo XIX)
una forte accentuazione dell'elemento sociale della vita politica, a spese
di quello individuale. L'unità del liberalismo e della democrazia ha poi
dato luogo alla democrazia liberale, dove l'aggettivo liberale ha valore
qualificante, cioè differenzia e specifica nell'uniformità mortificante della società democratica. Si tratta di creare una democrazia di uomini
liberi. Sul terreno dell'organizzazione politica dei partiti, questa democrazia non può conseguire rapidi successi, non potendo far leva su
grandi masse.
***
L'ideale di Bobbio resta lo stato di diritto (figura elaborata sulla
base del concetto di stato limitato), cioè « lo Stato il cui potere di comando è subordinato al riconoscimento dei diritti naturali inviolabili e
imprescrittibili dell'individuo (...) i principali diritti naturali sono quelli di libertà (libertà di stampa, di associazione, religiosa, ecc.), di ugua332
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glianza, di proprietà, e di sicurezza. In questo senso lo stato di diritto
si contrappone allo Stato assoluto ». « In secondo tempo, — aggiunge —
per Stato di diritto si è inteso quello che non ha fini etici religiosi sociali propri, ma ha il solo fine di garantire ai propri cittadini il raggiungimento dei loro scopi individuali promuovendo attraverso la legge quel
tanto di controllo sociale che permetta la coesistenza della libertà dell'uno con la libertà dell'altro. In questo senso lo Stato di diritto si pone
come antitesi allo Stato paternalistico, proprio del periodo del dispotismo illuminato, il quale si propone di provvedere alla felicità dei propri sudditi e di indirizzarli sulla via della perfezione morale » (23).
Due concetti di stato.
Il programma politico di Bobbio propone un liberalismo aggiornato. Egli esamina ampiamente il significato e l'origine del termine stato,
introducendo sottilissime distinzioni a riprova delle sue simpatie per
il metodo analitico. Con la parola « stato » noi crediamo di esprimere
due realtà che non dovrebbero essere distinte perché due momenti di
un'unica realtà. Si tratta della « volontà dominante », che è lo stato nel
suo aspetto personale, e dell'« apparato esecutivo », cioè lo Stato nel
suo aspetto strumentale. « Stato-persona morale » il primo « Stato-cosa » il secondo. « La potenza dello Stato, inteso come persona e come
cosa, è data dalla unione e dalla corrispondenza di una volontà e di un
apparato » (24). Bobbio spiega la distinzione come conseguenza inevitabile del potere di astrazione dell'intelletto: la ragione, impadronitasi
poi dell'astrazione, la rende un'entità metafisica che vive lontana dalla
realtà, come idea della ragione. La via del ritorno alla realtà diventa
sempre più ardua. Lo stato-persona morale, generato dall'astrazione
dell'idea di volontà dominante, è « superiore sostanzialmente alle persone singole ed individuali che dell'entità statale son parte, e come tale
ha una sua propria legge di sviluppo ». L'idea di apparato esecutivo,
dando luogo al concetto distinto di stato-cosa o strumento, rivela uno
stato che « non ha né una propria mente né un proprio moto, ma riceve impulso e movimento da una forza ad esso estranea e da esso non
prodotta, ed è quindi indifferente ad ogni valore e valevole per ogni
fine » (25).
Considerando lo stato come « potenza » Bobbio pone due nuove
raffigurazioni (legate allo stato-persona morale e allo stato-cosa): lo
(23) « Stato », Dizionario di filosofia a cura di A. Biraghi. Milano, Comunità
1957; p. 614.
(24) « La persona e lo Stato », estr. dall'Annuario dell'Università di Padova
dell'anno accademico 1947-8. Padova 1948; p. 5.
(25) id.; pp. 5-6.
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stato-divinità » e Io « stato-macchina ». Le trova nella formazione dello stato moderno, punti fermi nella liberazione dello stato dalle potenze universali che lo limitano e sovrastano (Chiesa e Impero) e nell'unificazione dei più piccoli ordinamenti che sono il punto debole e di disgregazione dello stato. E' in Hobbes, « nella più coraggiosa e coerente
dottrina dello Stato moderno », che Bobbio le vede entrambe. In seguito le due raffigurazioni procederanno distinte. Come esempio della
prima Bobbio porta lo stato di Luigi XIV, della seconda lo stato di
Federico II.
Nell'età moderna lo studioso trova ancora persistente la contrapposizione e la distinzione dei due concetti di stato. Si parla ora di « Stato etico » (che per Bobbio è uno stato-persona con una propria moralità) e di « Stato tecnico » (che non ha fini propri, ma è strumento per
la realizzazione di fini che gli sono estranei). Il primo, avendo una missione (morale), ha un posto nella storia. Il secondo non ha alcuna personalità morale. Il concetto di stato etico fu elaborato dal pensiero politico che seguì al '500. Esso racchiude varie correnti: dal concetto di
sovranità come « summa potestas » alle teoriche della ragion di stato,
dall'esaltazione del principe (Machiavelli) al principio del legittimismo
(appoggiato sul dogma della derivazione divina del potere e diffuso in
tutta Europa). « Inoltre, una solida base per la riaffermazione dello
stato come entità morale è stata offerta, nel secolo scorso, in seguito
all'ostracismo dato alle dottrine illuministiche, dalla teoria romantica
o storicistica delle nazionalità, che, facendo della nazione, come ente
superindividuale, un personaggio attivo della storia e fondandovi sopra
lo stato, ha finito per attribuirgli quelle stesse caratteristiche di personalità privilegiata, cioè un'intelligenza che non sbaglia, una volontà che
non vien mai meno, una missione universale nella storia (...). Oggi la
concezione dello stato etico porta il nome di Hegel » (26).
All'elaborazione del concetto di stato tecnico hanno dato massimo
contributo le dottrine giusnaturalistiche che, partendo dal concetto di
stato di natura che mette in pericolo la conservazione della specie umana, « hanno concepito lo stato come il prodotto di una libera determinazione degli individui, presa per evitare il pericolo di annichilimento » (27). Hegel principale teorico della dottrina dello stato etico, Marx
della teoria dello stato tecnico. L'affermazione più esplicita del valore
strumentale dello stato venne cioè fatta quando in filosofia l'hegelismo
perdeva colpi di fronte ai dilagare della concezione meccanicistica del
mondo e il, positivismo prendeva il posto della filosofia hegeliana e
(26) id.; pp. 7-8.
(27) id.; p. 8.
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quando in politica il radicalismo democratico dissolveva la restaurazione conservatrice del principio legittimistico.
Critica del Bobbio.
Oggi i due concetti di stato (due momenti, in realtà, dello stesso
concetto: Bobbio tiene a ribadirlo) sono tanto radicati in noi che è
difficile uscir fuori da questo schema di idealizzazione. Né lo stato etico
né lo stato tecnico (o, che è lo stesso, lo stato-divinità e lo stato-macchina) favoriscono l'incontro sul piano umano. Lo stato, in un caso, è
considerato al di là dell'uomo in un'astrazione superumana, nell'altro,
è al di sotto dell'uomo, semplice strumento. Conseguenza di tale dissidio è il « distacco dello stato dall'uomo ». Bobbio vi intravede il sostegno delle dottrine totalitarie che di esse si son servite alternativamente
per giustificarsi.
Il problema più urgente è dunque dato dalla « sconsacrazione dell'uomo »: è necessario « che sia ritrovato il piano dell'uomo ». Il problema si fa più urgente in un'era in cui l'adorazione della tecnica ha
preso il posto dell'adorazione degli idoli.
Tentativi di colmare l'abisso tra stato e uomo: liberalismo e democrazia.
Nella storia del pensiero politico moderno ci sono stati due tentativi di colmare l'abisso. L'uno compiuto dal liberalismo l'altro dalle correnti democratiche. Il primo s'è rivolto allo stato-macchina o stato
tecnico o stato-cosa cioè al momento dell'apparato esecutivo, cercando
di umanizzarlo ponendogli limiti, le seconde hanno guardato più allo
stato-persona morale o stato etico o stato-divinità cioè al momento della volontà dominante, estendendola — con una riforma del sistema di
formazione della volontà dominante — sino a farla divenire volontà
di tutti.
Liberalismo e democrazia partono da premesse diverse. L'uno dal
giusnaturalismo: « l'uomo nella sua totalità è irriducibile allo stato ».
Lo stato può impadronirsi solo dell'uomo esterno: l'interiorità dell'uomo appartiene solo all'uomo (interno). « Il liberalismo in teoria non
distrugge la macchina dello stato: ne riduce il potere a quella parte che
si rivolge all'uomo generico e impersonale, in contrapposizione all'uomo
collettivo o pubblico in contrapposto all'uomo particolare o privato.
Essenziale è quindi ad ogni affermazione di liberalismo la dichiarazione
dei diritti naturali dell'uomo » (28).
Bobbio, a questo punto, critica il liberalismo che « non è rimasto
fedele alle sue premesse teoriche ». In pratica il liberalismo ha tradito la
sua missione, subordinando il proprio programma a interessi, pura(28) id.; p. 10.
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mente economici, dei pochi che osservavano con una certa partecipazione
la demolizione dello stato che il liberalismo in nome dei diritti naturali dell'individuo veniva limitando. « In conseguenza di questa
deviazione del moto liberale, lo stato non fu soltanto limitato, ma
a poco a poco svuotato », mentre avrebbe dovuto proteggere gli interessi
e i diritti di altri individui sempre più soverchiati dalla potenza degli
sfruttatori. L'errore — per Bobbio — sta nell'aver considerato lo stato
come una cosa meccanica, fatta dall'uomo e modificabile dallo stesso.
L'uomo tornava così indietro negli anni e nella civiltà, lo stato rimaneva
nell'astratta concezione da cui avrebbe dovuto uscire con l'aiuto del
liberalismo. L'errore deriva « dalle dottrine contrattualistiche di cui
(il liberalismo) fu il prolungamento in sede politica » (29).
Degenerazione del liberalismo: l'anarchia.
L'errore del liberalismo porta alla degenerazione della dottrina nell'anarchia: « nell'esperienza politica liberale la confusione tra l'esigenza
della coscienza e l'esigenza della vita esterna porta ad un'illecita estensione della « libertà dello stato » dall'attività religiosa all'attività economica, onde il pericolo permanente dell'anarchia » (30).
Le teorie democratiche, considerando la volontà dominante e il modo di formazione di essa, si propongono di allargare la base: la volontà dominante dev'essere la volontà di tutti. Premessa da cui partono i democratici è l'uguaglianza naturale di tutti gli uomini, che dovrebbe permettere a tutti di partecipare alla vita attiva e al governo dello stato:
lo stato come « res publica ».
Lo stato è naturale all'uomo — afferma Bobbio — perciò deve rimanere « l'ordinamento esterno della volontà sociale dell'uomo ». Esso
non può pretendere una partecipazione dell'uomo che importa l'impiego
totale della persona. L'uomo non può limitarsi nello stato, e questo non
può chiedergli altro se non la sua attività esterna. Il resto è dell'individuo, che altrimenti rischierebbe di essere preso nella solita statolatria
che sfocia nella disumanizzazione dell'uomo e nel distacco dello stato
dalla persona. L'uomo, in quanto persona, si distingue nettamente dallo
stato e lo « sorpassa ».
Degenerazione della democrazia: il totalitarismo.
Il pericolo che Bobbio trova nelle teorie democratiche si risolve
nel totalitarsmo, cioè nella completa spersonalizzazione dell'individuo
nello stato, più precisamente nella « politicizzazione della vita interiore »: l'uomo al servizio esclusivo della politica.
(29) id.; p. 11.
(30) id.; p. 12.
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Bobbio avverte che la considerazione della possibilità di degenerazione di liberalismo e democrazia dovrebbe determinare un approfondimento dei motivi della degenerazione stessa per evitarne le conseguenze. Entrambe le dottrine partono da una scarsa considerazione del
valore della persona, favorendo l'errore e il traviamento dei principi. E'
îl difetto che hanno in comune. Da una parte manca il « riconoscimento
della validità dell'uomo come essere personale al di là dei limiti della
sfera sociale » dall'altra si verifica un « disconoscimento dei limiti tra
tra la sfera personale e la sfera sociale dell'uomo » (31). Occorre — suggerisce Bobbio — una conoscenza empirica dell'evoluzione sociale. Solo
.ano studio particolare e un'applicazione costante sull'evoluzione della
società umana possono consentire di evitare altri errori. Di pari passo
con la civiltà si sviluppano due esigenze, l'una postula una maggiore
libertà dell'individuo l'altra richiede una solida organizzazione sociale.
Con la civiltà l'uomo ha preso coscienza della sua individualità, uscendo
dall'impersonalità propria del periodo della barbarie. Senza timore di
cadere nel paradosso, Bobbio afferma che l'uomo, come le altre invenzioni, è un prodotto della civiltà la consapevolezza e la coscienza della
propria personalità sono frutto di un modo di vivere evoluto. Ciò che
ha determinato l'accrescimento dei bisogni individuali: l'uomo dev'essere libero il più possibile per affermare la propria persona. Perché l'uomo
sia libero bisogna procedere a una limitazione dei poteri che la società
ha sull'individuo.
L'antitesi individuo-società.
Nasce dunque l'antitesi individuo-società, che ha portato ora a una
maggiore liberalizzazione ora a una più marcata socializzazione. Un'antitesi che è nell'individuo stesso e che non può risolversi sul piano della
realtà storica ma solo sul piano delle astratte ideologie (il che non convince nessuno). Escludere una delle due esigenze a danno dell'altra
equivarrebbe a complicare le cose. E' la realtà che contraddice qualsiasi tentativo di risolvere l'antitesi. Non è problema di scelta (ripete Bobbio): significherebbe porsi fuori della realtà. Le due esigenze non si possono eliminare senza alterare il senso della storia che verrebbe addirittura sconvolto. Bobbio suggerisce allora di trovare tra i termini del
contrasto un limite che renda il dissidio costruttivo e non distruttivo,
l'antitesi valida e produttiva per i sostenitori delle due esigenze. Qui affiora il tentativo del filosofo torinese di avvicinare liberalismo a socialismo, o almeno i motivi validi di entrambi per il progresso dell'individuo nella società. Il limite è da porre nella distinzione di due sfere nel-
(31) id.; pp. 12-3.
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4 - LA ZAGAGLIA
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l'uomo, condizione unica per delimitare persona e stato. Un'attività (che
è una delle facce dell'uomo) si rivolge all'esterno ed è soggetta alle leggi della società; un'altra rimane all'interno della coscienza operando
per l'elevamento della persona. Il limite si sposta col tempo per mantenere in piedi e conciliare le esigenze delle due teorie. Tenendo conto
del corso della storia Bobbio vuole ammodernare la distinzione illuministica e kantiana tra libertà interna incoercibile e libertà esterna coercibile.
Compito del liberalismo.
Compito del liberalismo è proprio questo: riprodurre la distinzione
spostando, col mutare delle condizioni sociali, la delimitazione tra le
due sfere. « La libertà esterna di Kant, che delinea la sfera entro cui è
valida l'organizzazione giuridica dello stato, presuppone una società di
proprietari, cioè una società in cui soltanto il proprietario, essendo cittadino, diventa persona morale, dal momento che per il rapporto necessario tra personalità e proprietà, quale veniva posto dalle dottrine
politiche illuministiche, la libertà interna, presupposto della personalità,
presuppone a sua volta la libertà esterna, cioè la proprietà » (32). Oggi
— ed è l'innovazione che Bobbio propone al liberalismo perché resti
ancora a galla — il problema è lo stesso. Va spostato il limite: esso va
adeguato alla realtà storica. I lavoratori hanno il diritto di partecipare
alla vita attiva dello stato, così come i possidenti lo avevano — e in
esclusiva — al tempo di Kant. Non si può prescindere dalla realtà che
indica le forze di lavoro come protagoniste dello sviluppo progressivo
dell'umanità. Quella di Bobbio è una vera e propria formulazione politica, programma di partito: il liberalismo guida dell'individuo espressione delle più intime esigenze aperto a un'ampia socialità come occasione per l'affermazione della persona. Lo stato dev'essere limitato di
fronte all'uomo persona, ma gli uomini devono partecipare al governo
dello stato entro quello stesso limite. Tale concezione comporta una restituzione dell'individuo come persona, un accurato riesame del suo valore e nello stesso tempo una umanizzazione dello stato che non è più
l'idolo da adorare e da temere. Lo stato « non è un ente sovrapposto o
sottoposto all'uomo, ma è un'espressione dell'uomo, è la realizzazione
stessa dell'uomo sociale, cioè dell'uomo in quanto si vincola e non può
non vincolarsi con gli altri uomini insieme con lui coesistenti ». (33).
La coscienza della situazione di uomini ci condurrà a un'effettiva partecipazione allo stato che, compiuta con questa coscienza, può ridurre
(32) id.; p. 15.
(33) id.; p. 16.
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l'antitesi nei termini giusti attribuendo allo stato il suo vero volto e alla
persona umana la nobiltà che le è negata.
Religione della persona.
Tale forma di religione della persona (Croce sacerdote della libertà,
Bobbio della persona) si manifesta in una serie di saggi dedicati al rapporto tra persona e società. Ne scaturisce, rinnovata, la proposta di una
restituzione del valore della persona all'individuo. Il programma che
Bobbio assegna alla nuova filosofia sociale prevede la soluzione di vari
problemi: la persona nella società, i rapporti con essa, la sua integrale
autonomia. Egli critica tutte le forme di spersonalizzazione dell'uomopersona, non dell'uomo-individuo: persona è più che individuo, è la dignità stessa dell'individuo trasmessagli dagli sforzi continui di umanizzazione della società e dello stato.
Bobbio critica la sociologia scientifica che, dando rilevanza alla
società più che all'individuo, ha conservato all'uomo solo l'essere naturale senza curarsi del suo valore spirituale (34)
Critica della sociologia scientifica.
La sociologia trae origine dalle dottrine deterministiche (dell'uomo
e della storia) che partono da tre punti di vista per spiegare i fatti sociali: meccanico biologico psicologico. Dalla sociologia scientifica deriva
il sociologismo che raccoglie varie teorie sociologiche « o meglio sociologizzanti ». L'atteggiamento di Bobbio nei confronti del sociologismo è
doppiamente critico: 1) perché il sociologismo ha tolto significato al
concetto di « persona singola »; 2) perché esso ha creato un nuovo concetto quello di « persona collettiva ». Questa teoria è insufficiente: non
si occupa dell'uomo come centro degli studi di sociologia. Una funzione
Bobbio gli riconosce: di aver considerato l'uomo nel suo essere naturale vincolato dalla natura e dalle sue leggi. Da quando poi il sociologismo ha avuto la pretesa di trasformarsi in filosofia della storia l'uomo,
meglio la persona umana, non vi ha più avuto posto.
Tònnies: società e comunità.
La sociologia scientifica attuale si basa ancora sulla distinzione tra
società e comunità, formulata dal Tònnies (società: aggruppamento di
(34) Sull'argomento: « La persona e la società ». Napoli, Jovene 1938; « La
persona nella sociologia contemporanea ». Torino, 1938; « Lezioni di filosofia del
diritto ». Torino, Giappichelli 1945 (pp. 189-220); « Società chiusa e società aperta ».
Il Ponte, II, dicembre 1946, n. 12 (pp. 1039-46); « Società ». Dizionario di filosofia
a cura di A. Biraghi, cit. (pp. 611-3).
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individui che si uniscono al fine di perseguire un interesse comune, aggruppamento che deriva da un accordo volontario - es.: società commerciali; comunità: gruppo di persone unite da un vincolo di sangue di
razza o di nazione indipendentemente dallo scopo perseguito - es.: famiglia; insomma associazione convenzionale e gruppo naturale). La scienza di stato s'impadronì della distinzione trasformandola in opposizione
di valori e dando alla comunità la funzione preminente di gruppo razziale con un ideale da perseguire a danno della società.
La sociologia — insiste Bobbio — non tiene conto della persona
dell'uomo. E' legata alla concezione naturalistica di cui sono rimasti i
concetti di « meccanismo » e « organismo » (dando origine alla conceione atomistica e alla concezione organica della società). La prima,
propria degli scrittori giusnaturalistici e del periodo illuminista, considera l'individuo un tutto per sé stante che non ha bisogno della società
;e non come di uno strumento per la realizzazione dei fini individuali.
Su questa concezione si fonda la filosofia politica dell'individualismo
(teoria sottostante alle correnti di liberalismo politico). La seconda,
:le vede nella società un organismo umano, considera la società come
un tutto con fini propri e superiori a quelli individuali e l'individuo come un mezzo per l'attuazione dei fini della società in cui questi troverebbe la necessaria integrazione. Su di essa si fonda la filosofia politica
dell'universalismo (teoria sottostante alle correnti socialistiche). La
spiegazione dell'esistenza di una società reale distinta dalla realtà degli
individui è data dai sociologi con la costatazione che ci sono prodotti
umani che si spiegano solo ammettendo la società (il lingua ggio e il
liritto). L'una e l'altra concezione Bobbio rifiuta. Esse non parlano infatti di persone ma solo di individui. L'invenzione della « persona collettiva » accresce le perplessità. Se nella società gli individui sono limitati nella sfera dei propri egoismi e nella comunità entrano in contatto
-Jon gli altri espandendosi, nella collettività l'individuo non esiste più.
Non solo non si può parlare di persona ma nemmeno più d'individuo.
Bergson: società aperta e società chiusa.
Un tentativo di salvare il valore della persona l'ha compiuto Bergson
:on la distinzione tra società aperta e società chiusa. Caratteristica della società aperta (a cui Bobbio si affida per una liberazione del valore
di persona dalle grinfie delle varie sociologie e per la sua definitiva
affermazione) è di abbracciare l'umanità: la sua morale è umana non
più sociale, la sua forza è la dinamicità. Tipico esempio di società chiusa
è lo stato totalitario (o comunità razziale), di società aperta la democrazia (termine d'opposizione alla dittatura). La società chiusa « è una
tentazione perenne di quell'uomo primitivo che sonnecchia in ciascuno
di noi e si desta e si scatena nei momenti di sconquasso sociale; è la
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tentazione di ignorare che gli altri non sono soltanto i miei figli, quelli
della mia terra e della mia razza, ma tutti gli uomini indistintamente;
di far tacere l'appello della nostra coscienza morale, che è tale in quanto è consapevolezza di una legge universale che unisce tutti gli uomini
al di sopra delle differenze sociali (...). Ogni aggruppamento cela in sé
questa tentazione di chiudersi nel cerchio magico della sua autosufficienza: ed ecco che dalla classe sorge il classismo, dalla nazione il nazionalismo, dalla razza il razzismo ». La società aperta è invece la massima aspirazione della democrazia: « l'aspirazione a quella società che
rompa lo spirito esclusivistico di ciascun gruppo, e tenda a far emergere di sotto alle caligini delle superstizioni sociali, l'uomo il singolo
la persona nella sua dignità e nella sua inviolabilità » (35).
Bobbio: comunità di persone.
Il concetto di persona non si esaurisce nella sua singolarità nell'individualità del soggetto, ma ha pure una funzione sociale. La persona
anzi acquista dignità e autonomia solo in relazione con le altre persone.
Per Bobbio « non vi è società che non sia società di persone. Soltanto
là dove s'incontrano delle persone che si riconoscono e si rispettano
l'un l'altra come fine, si forma l'intima e duratura unione, presupposto
di quella società reale, che per il fatto di instaurare qualcosa di « comune » può ben chiamarsi comunità » (36).
Bobbio vuol dimostrare due cose: 1) la socialità della persona; 2) il
rapporto tra persona e società e la posizione reciproca dei due termini.
Per affermare l'infondatezza dell'opinione che possa esistere una persona isolata cioè insocievole egli parte da Kant. La persona (morale)
kantiana rinvia a un regno dei fini (« l'unione sistematica di diversi esseri ragionevoli sotto leggi comuni ») di cui è suprema legge morale il
rispetto della persona per la persona. Il problema morale si trasforma
in problema interpersonale. Da Kant Bobbio passa a Hegel che ha confinato il concetto di persona (morale) nel primo momento della dialettica dello spirito obbiettivo (il diritto). Da Hegel trassero lo spunto le
correnti sociologiche del secolo scorso: i due concetti di società e di
persona diventano incompatibili.
La società è l'unione degli individui, la comunità l'unione delle persone (così si spiega la distinzione del Einnies). La comunità è la forma
da raggiungere l'ideale per una convivenza civile. Perché ciò avvenga
— osserva Bobbio — occorre che gli individui singoli abbiano il senso
della socialità che si manifesta nel rispetto della persona verso la per-
(35) « Società chiusa e società aperta », cit.; pp. 1045-6.
(36) « La persona nella sociologia contemporanea », cit., p. 32.
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sona. La persona può realizzarsi solo nella comunità che non può essere
se non comunità W persone. La persona dev'essere dunque « socialmente
atteggiata » se vuole affermare i valori morali che porta con sé. La società è unione d'interessi, la comunità di valori spirituali. La società
può sorgere solo dalla comunità: il contratto sociale può valere solo se
c'è una base etica che lo sostiene, la fiducia reciproca. Un contratto
senza tale base determina un « aggruppamento » dove ognuno cerca il
proprio interesse. L'unica società reale (non fittizia come l'aggruppamento) è la comunità di persone. Bobbio intende così comporre il dissidio creato dalle correnti sociologizzanti tra i concetti di società e comunità nei due concetti implicantisi di « persona atteggiata socialmente » e di « società costituita da persone ».
Contro il collettivismo (la società al di sopra dell'individuo) e
contro l'individualismo (l'individuo al di sopra della società) Bobbio
propone una « implicazione reciproca della società nella persona e della
persona nella società ».
Più che di una dottrina della società si può parlare, a proposito di
Bobbio, di una dottrina imperniata sul valore della persona. La sua posizione è chiara: al di sopra di qualsiasi concezione il valore della persona, ineliminabile conquista (sacra conquista) della civiltà umana, una
persona « atteggiata socialmente » cioè capace di esprimersi e di completarsi solo nel contatto con altre persone, in una comunità di persone
non in una società d'individui. La società che sorge dai rapporti interpersonali « non è un nuovo ente » (37), distinto dalle persone che lo
compongono (come affermano i positivisti). Ciascun individuo come
persona possiede un senso sociale spiccato che lo spinge a unirsi ad
altre persone per una integrazione che gioverà a tutti e consentirà la
naturale espansione dei valori morali di ogni persona come tale — il
problema della giustizia in filosofia consiste per Bobbio nel trovare il
punto di questa integrazione: il punto di coincidenza tra il limite che
l'individuo pone alla società e quello che la società pone all'individuo
< è il contenuto della norma della giustizia »: « il limite che l'individuo
pone alla società non dev'essere né più avanti né più indietro del limite
che la società pone all'individuo » (38). La società che ne scaturisce è
la realizzazione del senso sociale che è in ogni persona. Bobbio considera la comunità non solo concetto teorico ma anche « idea regolativi »
zioè concetto normativo atto a portare la situazione presente verso una
più soddisfacente socialità. La comunità permette all'individuo-membro
di conservare integro il suo valore di persona non lo considera strumento per raggiungere il fine ma fine in se stesso.
(37) « La persona e la società », cit.; p. 16.
(38) « Lezioni di filosofia del diritto », cit.; p. 194.
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La persona come « dignità dell'individuo ».
« L'individuo sta alla persona, come la società alla comunità. La
persona è un valore che si aggiunge all'individuo: è la dignità dell'individuo. La comunità è un valore che si aggiunge alla società: è la dignità
della società » (39). Il « personale » è il vero « sociale ». Bobbio non
pone la comunità accanto alle tre forme tipiche di società (folla, società d'interessi, comunità di vita) come quarto tipo. « La comunità è la
forma più alta dell'umana associazione » (40). La comunità delle persone « è il tipo ideale della società umana, a cui tutte le società tendono
e che da tutte è sottinteso » (41). Così come l'individuo tende a trasformarsi in persona la società tende a diventare comunità (di persone).
E' ciò che distingue la civiltà dalla barbarie.
Caratteri della comunità di persone.
Nella comunità di persone Bobbio distingue tre caratteristiche: 1) la
spiritualità (il vincolo che unisce le persone non è né materiale come
nella società d'interessi né naturale come nella comunità di vita); 2) la
totalità (tutta la persona dell'uomo è vincolata dalla comunità); 3) l'universalità (non si parla di differenze di nazione di razza di religione di
classe). Il rapporto che corre tra i membri nella comunità personale è
rapporto d'integrazione che esclude la subordinazione (propria della
comunità di vita) e la coordinazione (propria della società d'interessi).
La comunità di vita e la società d'interessi sono enti posti al di sopra
degl'individui mentre la comunità di persone è nel senso sociale di ogni
individuo divenuto persona. « La comunità delle persone è una meta
ideale. Ma appunto per questo rappresenta il valore della giustizia, assai
meglio che una forma reale di associazione » (42).
Critiche a Scheler e a Hartman.
Il primo parte da una concezione metafisica basata sopra l'idea di
un Dio personale: Dio è la persona delle persone. Scheler combatte la
razionalità della persona di Kant affermandone come carattere più saliente l'individualità. Egli fonda sul principio della solidarietà morale
(che non c'è in Kant) la comunione delle persone (che non prescinde
dall'individualità dei singoli. Secondo tale principio ogni individuo si
trova ad essere originariamente corresponsabile degli atti delle altre
persone oltre che dei propri. La solidarietà delle persone poggia su una
(39)
(40)
(41)
(42)
id.; p. 209.
id.; p. 210.
id.; p. 214.
id.; p. 217.
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solidarietà comune di ciascuno verso Dio (persona delle persone). Scheler dà una personalità alla comuni tà partendo sempre dal presupposto
teistico che ispira la sua opera. La sociologia — ribatte Bobbio — richiede concretezza: non si può accettare la presupposta astrattezza metafisica dello Scheler. Il filosofo torinese si pone contro la personificazione della comunità che non dà soluzione al problema del rapporto tra
persona e società ma suscita nuove contradizioni e travisa il significato
e il valore dei due concetti. Per Scheler accanto alla persona singola
c'è poi una « persona collettiva » che considera la fase avanzata della
vita associata. Le altri fasi sono: la folla, la comunità di vita, la società.
La persona collettiva, che poggia anch'essa su basi metafisiche, crea un
ordine di rapporti inconcepibile per Bobbio: « una responsabilità reciproca della persona singola verso la persona collettiva e della persona
collettiva verso la persona singola: e di entrambe verso la persona delle
persone, Dio » (43).
Contro la degenerazione metafisica di Scheler, N. Hartman (che
pure ne è seguace) spoglia il concetto di persona del suo carattere teologizzante, immettendolo nel sistema di etica. In contrasto con lo Scheler, lo Hartman attribuisce personalità solo al soggetto senza fare del
concetto di personalità una categoria a sé. Riconosce tuttavia la realtà
di una società non personale ma transpersonale. Ciò che contrasta ugualmente con la posizione di Bobbio: non è necessario sottoporre l'individuo a qualcosa di estraneo che lo trascenda (ciò che equivale alla sua
spersonalizzazione — il pericolo contro cui Bobbio predica tutta la sua
filosofia). La società è in ciascun individuo come persona, è presente
nel riconoscersi reciproco degli individui come persone sia pure nei limiti che ambiente o altre circostanze esterne determinano. Il senso sociale che è nella persona la eleva nel contatto con le altre persone concretando la reciproca integrazione dei valori morali che rendono persona l'individuo.
GIANFRANCO SCRIMIERI
(43) « La persona e la società », cit.; p. 11.
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