L`alito della libertà- filosofia, politica e retorica

Quaderni Jura Gentium - Feltrinelli
L’ALITO DELLA LIBERTÀ: FILOSOFIA,
POLITICA E RETORICA (*)
Maria Chiara Pievatolo
La terza parte del volume di Giuliano Marini sulla filosofia politica di
Kant (1), dedicata all'ordine internazionale, si chiude con una citazione
dall'articolo segreto per la pace perpetua.
Merita di concludere questa parte del corso (e del sistema kantiano di
filosofia morale) con queste importanti parole, con le quali Bobbio
concludeva il suo corso kantiano del 1957, e che si leggono a questo
punto della illustrazione kantiana dell'articolo segreto: «Non c'è da
attendersi che i re filosofeggino o i filosofi diventino re, e neppure da
desiderarlo, poiché il possesso della forza corrompe inevitabilmente il
libero giudizio della ragione. Ma che re o popoli sovrani (cioè popoli che
si reggono secondo le leggi dell'uguaglianza) non lascino perdere o
ridurre al silenzio la classe dei filosofi, ma la lascino pubblicamente
parlare, questo è indispensabile agli uni e agli altri per aver luce sui loro
propri affari»
Perché Marini ha sentito la necessità di condividere con Bobbio queste
parole di Kant? Kant, nel 1795, stava prendendo le distanze dal Platone
di Resp. 473d ss.: anche se - o, meglio: proprio perché - crediamo
fortemente nel primato della ragione filosofica, dobbiamo rifiutare di
mescolare la filosofia con il potere, per evitare che gli argomenti della
forza si confondano con quelli della ragione. Bobbio, nel 1957, aveva in
mente il suo confronto mediatore col marxismo, cioè con una filosofia
della storia potente, per la quale l'esito necessario dell'evoluzione della
struttura avrebbe alla fine portato a coincidere la forza e la ragione e il
filosofo non può far altro che assecondare questo corso incasellandosi in
un "sistema di ortodossia". Zolo, con finezza, ha messo in epigrafe al suo
volume dedicato a Bobbio una importante citazione da Politica e cultura,
nella quale l'autore riconosce che il marxismo gli ha insegnato a vedere la
storia dal punto di vista degli oppressi. Ma i frutti più sani della
tradizione intellettuale europea sono per lui "l'inquietudine della ricerca,
il pungolo del dubbio, la volontà del dialogo, lo spirito critico, la misura
nel giudicare, lo scrupolo filologico, il senso della complessità delle cose":
(2) in una parola, la libertà della filosofia dal potere. Quella libertà che
Kant aveva tanto cara, da sottrarla, per conservarla, a ogni commistione
con la politica attiva.
Però, come può la filosofia conservare la sua autorità? L'"alito della
libertà", di per sé, non è un contenuto teoretico, bensì un atteggiamento
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etico, una professione di inquietudine nei confronti delle ideologie
ufficiali. Che cosa lo distingue dalla retorica?
In una lettera a Zolo del maggio 1988, Bobbio parla del "crescente senso
di inutilità della maggior parte delle cose che sto facendo, passando da un
convegno all'altro, da un dibattito all'altro, e non avendo mai tempo di
stare con me stesso" (p. 252). Perché i convegni ai quali Bobbio
sembrava partecipare con un crescente senso di frustrazione non sono la
sede in cui filosofi indipendenti dalle ragioni del potere parlano
pubblicamente a re e a "popoli regali"? Quali sono i luoghi in cui la
filosofia può effettivamente parlare, nel senso forte in cui l'intendeva il
Kant richiamato da Bobbio?
Nel 1997 Zolo scriveva (pp. 47-49) che la filosofia politica di Bobbio
oscilla fra Machiavelli e Kant, cioè fra un profondo pessimismo
antropologico e una forte istanza normativa. Questa oscillazione, in
effetti, non è risolvibile se non siamo in grado di indicare - o di inventare
- luoghi nei quali l'uso pubblico della ragione faccia sì che l'istanza
normativa diventi qualcosa di più di una retorica e si confronti con gli
esseri umani. Senza questi luoghi, saremo perennemente condannati ad
oscillare fra una filosofia impotente, la cui principale attività è celebrare,
per dirla con Bobbio, convegni inutili, e un realismo politico senza luce e
senza senso. Questa stessa oscillazione, che forse non è solo quanto Zolo
vede in Bobbio, ma anche in se stesso, è destinata a non risolversi se ci
vede immersi irrimediabilmente in un mondo dominato da mezzi di
comunicazione di massa architettonicamente autoritari quando, come la
televisione, sono strutturati in modo che uno solo parli e tutti gli altri
possano solo ascoltare; se l'habeas mentem dell'autonomia intellettuale è
effettivamente praticabile solo se si sta con se stessi, e non invece nella
denuncia della "degradazione della vita pubblica, dello spettacolo
vergognoso di corruzione, di insipienza, di arrivismo, di cinismo che ci
offre giornalmente gran parte della classe politica italiana" (3).
L'archivio elettronico "Giuliano Marini" è stato pensato, dal punto di
vista bibliotecario, per rendere liberamente disponibili tutti i testi di
Giuliano Marini che stiamo riuscendo a sottrarre al vincolo del copyright.
Ma, dal punto di vista filosofico-politico, l'abbiamo concepito come un
luogo dell'uso pubblico della ragione, nella convinzione che il pubblico
dei lettori possa essere molto più ampio e genuinamente interessato di
quello dei convegni. Per Bobbio non esiste, che io sappia, ancora nulla di
paragonabile a questa iniziativa. Dal punto di vista bibliotecario, è un
peccato. Dal punto di vista filosofico-politico, varrebbe forse la pena di
chiedersi se l'alito della libertà, se rimane chiuso in libri sigillati da ciò che
nominalmente è detto diritto d'autore, ma che di fatto si trasforma
immediatamente in diritto dell'editore, possa davvero spirare con tutta la
forza di cui, oggi, avremmo bisogno.
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Note
*. Questo testo è soggetto a una licenza Creative Commons.
1. G. Marini, La filosofia cosmopolitica di Kant, Laterza, Roma-Bari 2007, p.
213. Il testo è liberamente disponibile presso l'Archivio "Giuliano
Marini".
2. N. Bobbio, Politica e cultura, Einaudi, Torino 1995, p.281.
3. N. Bobbio, Il futuro della democrazia, Einaudi, Torino 1984, p, 64
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